Quando Un Pignoramento È Improcedibile?

Hai ricevuto un atto di pignoramento e ti stai chiedendo se ci sono casi in cui può essere dichiarato improcedibile? Vuoi sapere quando puoi farlo bloccare perché mancano i presupposti legali per procedere all’esecuzione?

Non tutti i pignoramenti sono legittimi e, se mancano determinati requisiti previsti dalla legge, l’intera procedura può essere fermata per improcedibilità. Ma serve agire con competenza, entro i termini e con motivazioni chiare.

Cos’è un pignoramento improcedibile?
È una procedura esecutiva che, pur essendo stata avviata, non può andare avanti per mancanza di un elemento essenziale. In questi casi, il giudice può dichiararne l’improcedibilità, cioè l’impossibilità di proseguire l’azione esecutiva.

Quando un pignoramento è improcedibile?
– Quando manca un titolo esecutivo valido (es. sentenza, decreto ingiuntivo definitivo, contratto notarile con clausola esecutiva)
– Se l’atto di precetto non è stato notificato oppure non sono trascorsi i 10 giorni obbligatori prima dell’avvio del pignoramento
– Se il pignoramento è iniziato oltre 90 giorni dalla notifica del precetto, senza rinnovarlo
– Quando non viene depositata l’istanza di assegnazione o vendita entro 45 giorni dalla notifica del pignoramento
– Se il creditore non partecipa all’udienza prevista dalla procedura o non adempie agli obblighi previsti dalla legge

Cosa succede se il pignoramento è improcedibile?
– Il giudice dichiara l’estinzione della procedura
– Vengono revocate le misure esecutive già disposte, come i blocchi su conti o stipendi
– Il creditore può ricominciare la procedura, ma solo partendo da capo e rispettando i termini
– Il debitore può ottenere la liberazione dei beni e bloccare la vendita forzata

Come si fa a far dichiarare l’improcedibilità?
– Presentando opposizione agli atti esecutivi davanti al giudice dell’esecuzione
– Dimostrando con documenti che manca un requisito essenziale
– Agendo entro i termini di legge, con un ricorso ben motivato

Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare il pignoramento sperando che si fermi da solo
– Presentare ricorsi generici o senza prova
– Lasciare che il pignoramento arrivi alla vendita, se puoi bloccarlo molto prima
– Affidarti al passaparola: solo un’analisi tecnica può confermare l’improcedibilità

Un pignoramento improcedibile può essere annullato. Ma devi sapere dove colpire.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa esecutiva e opposizione a pignoramenti – ti spiega quando un pignoramento è improcedibile, quali sono i vizi più frequenti e cosa fare per bloccare la procedura e tutelare i tuoi beni.

Hai ricevuto un pignoramento e pensi che ci sia qualcosa che non torna? Vuoi sapere se puoi farlo dichiarare improcedibile?

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Introduzione

La procedura di pignoramento è l’atto con cui inizia l’esecuzione forzata: il creditore munito di un titolo esecutivo e di un atto di precetto procede, tramite l’ufficiale giudiziario, a vincolare determinati beni del debitore per soddisfare coattivamente il proprio credito. Tuttavia, non ogni pignoramento va a buon fine. Vi sono numerose circostanze in cui un pignoramento risulta “improcedibile”, cioè non può validamente proseguire, portando all’estinzione della procedura esecutiva o all’inefficacia degli atti compiuti. In questa guida esamineremo quando e perché un pignoramento può essere dichiarato improcedibile o inefficace, con un approfondimento avanzato (fino a giugno 2025) dal punto di vista del debitore.

Forniremo riferimenti normativi del diritto italiano, pronunce giurisprudenziali aggiornate, esempi pratici, domande e risposte, oltre a tabelle riepilogative utili per orientarsi. L’esposizione adotta un linguaggio giuridico ma divulgativo, rivolgendosi sia a professionisti legali (avvocati, giuristi) sia a privati cittadini e imprenditori interessati a comprendere i propri diritti e le strategie di difesa nel processo esecutivo.

Introduzione: cos’è il pignoramento e quando inizia l’esecuzione forzata

Il pignoramento è l’atto formale con cui il creditore (o il suo avvocato) intima all’ufficiale giudiziario di vincolare determinati beni del debitore, avviando così l’espropriazione forzata (esecuzione). Si tratta del primo atto “giudiziale” dell’esecuzione: la notifica del pignoramento segna l’inizio del processo esecutivo, mentre l’atto di precetto (che la precede) è un atto stragiudiziale di intimazione. In altre parole, l’esecuzione forzata inizia solo con il pignoramento, non con il precetto.

Per poter validamente iniziare un pignoramento occorre:

  • Un titolo esecutivo valido e attuale, ossia un documento che prova il diritto del creditore e che, per legge, è immediatamente eseguibile (esempi: sentenza passata in giudicato, decreto ingiuntivo non opposto, cambiale o assegno protestato, atto notarile di mutuo, ecc. – art. 474 c.p.c.). In mancanza di titolo, vale il principio generale “nulla executio sine titulo”, per cui l’esecuzione è illegittima.
  • Un atto di precetto notificato al debitore (art. 480 c.p.c.), contenente l’intimazione a pagare entro almeno 10 giorni e l’avvertimento che, in difetto, si procederà ad esecuzione forzata. Il precetto deve indicare le parti, il titolo esecutivo (con data di notifica, se separata, o con testo integrale se richiesto) e deve riportare una serie di avvertimenti obbligatori a pena di nullità. Tra questi, dal 2021, vi è l’avviso al debitore della possibilità di ricorrere alle procedure di sovraindebitamento (oggi procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento nel Codice della crisi). Deve inoltre contenere l’elezione di domicilio o PEC del creditore procedente nel circondario del giudice competente.
  • Il rispetto dei termini di legge: il precetto una volta notificato vale 90 giorni; se entro 90 giorni non viene eseguito il pignoramento, il precetto perde efficacia (art. 481 c.p.c.) e occorre notificarne uno nuovo per procedere****. Dunque un pignoramento eseguito con un precetto scaduto è improcedibile, poiché manca una condizione necessaria.
  • Competenza territoriale corretta: in generale, l’esecuzione va iniziata davanti al tribunale del luogo in cui i beni si trovano (per i beni immobili) o del luogo di residenza del debitore (per mobili e crediti, salvo eccezioni – v. art. 26 c.p.c.). Un pignoramento presso un giudice incompetente può dar luogo ad opposizione del debitore e al trasferimento o annullamento degli atti. Il precetto deve indicare il giudice dell’esecuzione competente (requisito introdotto dalla riforma Cartabia del 2022/2023); se ciò manca, la legge ora stabilisce comunque quale giudice sarà competente per eventuali opposizioni, ma l’omissione può causare confusioni e ritardi nella procedura****.

Tipi di pignoramento previsti dall’ordinamento

L’ordinamento italiano prevede diversi tipi di pignoramento, a seconda della natura dei beni da aggredire:

  • Pignoramento mobiliare presso il debitore: riguarda beni mobili fisicamente nella disponibilità del debitore (denaro contante, gioielli, mobili, autoveicoli trovati presso di lui, ecc.). L’ufficiale giudiziario si reca nel luogo (di regola la residenza/sede del debitore) e redige un verbale in cui descrive e “sequestra” i beni pignorati (artt. 513 e segg. c.p.c.). Il bene mobile pignorato può essere lasciato in custodia al debitore stesso o ad un custode nominato, e in seguito venduto all’asta.
  • Pignoramento mobiliare presso terzi (pignoramento presso terzi): colpisce crediti o beni del debitore che sono in possesso di terzi. Il caso più comune è il pignoramento del conto corrente bancario, dello stipendio o pensione presso l’ente erogatore, o di somme dovute da un cliente al debitore. L’atto di pignoramento viene notificato al terzo debitore e al debitore esecutato, intimando al terzo di non pagare al debitore le somme (o di non restituire i beni) fino a diversa disposizione del giudice (art. 543 c.p.c.). Contestualmente viene fissata un’udienza in tribunale per decidere sulla assegnazione o vendita del credito pignorato.
  • Pignoramento immobiliare: ha ad oggetto beni immobili o diritti immobiliari del debitore (case, terreni, usufrutti, ecc.). L’atto di pignoramento immobiliare viene notificato al debitore e poi trascritto nei registri immobiliari per vincolare formalmente l’immobile (art. 555 c.p.c.). La trascrizione è fondamentale perché dà pubblicità ai terzi e “perfeziona” il pignoramento immobiliare; solo dopo che l’atto è trascritto l’esecuzione potrà proseguire con la vendita.
  • Forme speciali: esistono forme particolari come il pignoramento di autoveicoli, navi e aeromobili (art. 521-bis c.p.c. e ss.), che combinano aspetti del pignoramento mobiliare e presso terzi (ad esempio, il pignoramento di un’automobile si effettua anche mediante iscrizione del vincolo al PRA – Pubblico Registro Automobilistico). Oppure, il pignoramento di quote societarie (azioni o quote di s.r.l.): la legge prevede che si esegua notificando l’atto sia al debitore proprietario della quota, sia alla società partecipata (per rendere indisponibili le quote). Procedure particolari riguardano anche i beni indivisi, i beni in comunione legale tra coniugi, ecc., ma rientrano sempre nelle categorie generali sopra indicate.

Ciascuna tipologia di pignoramento ha regole procedurali specifiche (ad esempio, il pignoramento presso terzi richiede la dichiarazione del terzo sull’esistenza del credito, quello immobiliare necessita della perizia di stima, ecc.), ma i principi di base sull’improcedibilità sono in gran parte comuni. Andremo ad analizzarli nel dettaglio.

Condizioni di procedibilità: quando il pignoramento è valido?

Per comprendere quando un pignoramento è improcedibile, è utile identificare prima quali sono le condizioni di validità e procedibilità di un pignoramento. In sintesi, un pignoramento può validamente procedere solo se:

  1. Sussiste un titolo esecutivo idoneo e vigente: Il creditore deve avere un titolo non solo esistente all’inizio (pre-esistenza), ma che permanga valido per tutta la durata dell’esecuzione. Se il titolo viene meno (ad es. una sentenza provvisoriamente esecutiva viene riformata in appello, o un decreto ingiuntivo viene successivamente revocato), viene meno la “base” dell’esecuzione e questa non può più proseguire****. Anche la legittimazione attiva del creditore rientra in questo requisito: se il credito è stato ceduto prima dell’esecuzione, solo il cessionario legittimato può procedere (come vedremo, la carenza di titolarità del credito rende improcedibile il pignoramento).
  2. È stato regolarmente notificato un precetto (salvo i casi di esenzione previsti dalla legge, ad esempio per il creditore fondiario ex art. 40 TUB, o nelle esecuzioni in cui il titolo stesso vale anche come precetto). La notifica del titolo e precetto al debitore è condizione necessaria – a tutela del suo diritto di difesa – prima di procedere forzosamente. Se il precetto manca o è nullo e il vizio viene tempestivamente eccepito, l’esecuzione può essere fermata per difetto di condizione.
  3. Il precetto è ancora efficace: come visto, l’art. 481 c.p.c. dà 90 giorni di tempo dalla notifica del precetto per iniziare l’esecuzione. Decorso tale termine, il precetto “scade” e non può più legittimare un pignoramento. Un pignoramento effettuato oltre i 90 giorni sarà improcedibile per precetto inefficace, su eccezione del debitore.
  4. L’atto di pignoramento è notificato e redatto in forma regolare: Il pignoramento stesso deve rispettare i requisiti di forma stabiliti dal codice (artt. 492 e segg. c.p.c.) e deve essere correttamente notificato al debitore (oltre che al terzo, se pignoramento presso terzi). Errori formali essenziali o notifica viziata possono comportare la nullità del pignoramento e quindi l’improcedibilità della prosecuzione. Su questo punto vi è distinzione tra vizi sanabili e insanabili, che tratteremo a parte.
  5. Deposito e tempi rispettati: Dopo il compimento del pignoramento, la legge impone al creditore di compiere alcuni atti entro termini perentori per dare impulso alla procedura. In particolare:
    • Iscrizione a ruolo e deposito atti: il creditore deve iscrivere a ruolo la procedura depositando in tribunale la nota di iscrizione, copia titolo, precetto e pignoramento entro 15 giorni dalla consegna dell’atto di pignoramento da parte dell’ufficiale giudiziario (art. 557 c.p.c., come modificato dalle riforme). Inoltre, nel pignoramento immobiliare va depositata anche la nota di trascrizione (appena restituita dal Conservatore). Se questi termini non sono rispettati, il pignoramento perde efficacia automaticamente.
    • Richiesta di vendita/assegnazione: l’art. 497 c.p.c. stabilisce (dal 2015) che il pignoramento perde efficacia se entro 45 giorni dal suo compimento non è stata presentata istanza di vendita o di assegnazione**. Ciò vale specialmente nelle esecuzioni mobiliari e immobiliari: ad esempio, dopo aver iscritto a ruolo un pignoramento immobiliare, il creditore deve presentare l’istanza di vendita (corredata dai documenti ipocatastali ex art. 567 c.p.c.) entro 45 giorni, pena l’inefficacia del pignoramento stesso. Analogamente, nel pignoramento mobiliare il creditore deve attivarsi per chiedere la vendita entro 45 giorni dal verbale. Questa regola serve a evitare che la procedura rimanga inattiva troppo a lungo**.
    • Notifiche al debitore nel pignoramento presso terzi: se il pignoramento colpisce crediti presso terzi, la legge richiede che l’atto, notificato inizialmente al terzo, sia notificato anche al debitore entro un termine breve (generalmente indicato in 30 giorni), al fine di rendere il contraddittorio completo. In caso di mancata notifica al debitore nei termini, il pignoramento presso terzi può essere dichiarato inefficace limitatamente a quel debitore. Ad esempio, dottrina e giurisprudenza ritengono che l’omessa notifica al debitore entro 30 giorni renda il pignoramento tamquam non esset nei suoi confronti.
    • Udienza e obblighi del terzo: nell’espropriazione presso terzi, l’atto di pignoramento fissa un’udienza in cui il terzo deve rendere la “dichiarazione” sul credito. Se il creditore non iscrive a ruolo e non compare all’udienza, il terzo è liberato dai vincoli. La riforma Cartabia ha introdotto un meccanismo per cui, se il pignoramento è eseguito verso più terzi, l’inefficacia per mancata notifica o deposito dell’avviso colpisce solo i terzi non avvisati; e comunque, se l’avviso di iscrizione a ruolo non è notificato, “gli obblighi del terzo cessano alla data dell’udienza indicata nell’atto di pignoramento”. Ciò significa che il vincolo sul terzo non può protrarsi oltre la data fissata se il procedimento non viene coltivato regolarmente.
  6. Altre condizioni legali: Non devono sussistere cause legali di sospensione o improcedibilità esterne al processo. Ad esempio, se il debitore è stato dichiarato fallito (o, secondo la nuova terminologia, ammesso alla liquidazione giudiziale ex art. 150 Cod. Crisi), nessuna esecuzione individuale può essere iniziata o proseguita dal giorno della dichiarazione di liquidazione giudiziale. Altrettanto dicasi se il debitore è ammesso a un concordato preventivo (art. 168 Legge Fall. e ora Cod. Crisi) o a una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento: vi sono “blocchi legali” alle esecuzioni individuali. In tali casi, un pignoramento avviato violando il divieto legale è improcedibile ed è destinato a essere dichiarato nullo o privo di effetto. Approfondiremo anche queste situazioni.

In generale, il Giudice dell’esecuzione (G.E.) ha il potere-dovere di verificare d’ufficio la sussistenza delle condizioni dell’azione esecutiva durante tutto il procedimento. Se ravvisa la mancanza di un presupposto imprescindibile, può dichiarare l’improcedibilità e chiudere anticipatamente l’esecuzione. D’altro canto, molti vizi o irregolarità devono essere sollevati dal debitore tempestivamente tramite opposizione, altrimenti si possono considerare sanati o non più deducibili (soprattutto i vizi formali).

Nei paragrafi seguenti passeremo in rassegna tutte le principali cause di improcedibilità o inefficacia del pignoramento, suddividendole in categorie: vizi formali, vizi sostanziali (es. assenza di titolo), omissioni del creditore (depositi tardivi, ecc.), beni non pignorabili, nonché cause legali di sospensione. Ogni sezione conterrà anche i rimedi di cui il debitore dispone e i riferimenti a norme e sentenze pertinenti.

Vizi formali dell’atto di pignoramento e relative nullità

Il pignoramento è un atto processuale soggetto a forma vincolata. Deve contenere una serie di indicazioni richieste dal codice di procedura civile e deve essere notificato secondo le norme sulle notificazioni degli atti giudiziari. Vizi di forma rilevanti possono tradursi in una nullità del pignoramento, incidente sulla validità della procedura. In casi estremi (vizi radicali), l’atto può addirittura considerarsi inesistente, con conseguente insanabilità. Vediamo i principali vizi formali:

Contenuto obbligatorio dell’atto di pignoramento

L’art. 492 c.p.c. stabilisce, per tutti i pignoramenti, che l’atto deve contenere l’ingiunzione al debitore di astenersi da qualunque atto dispositivo dei beni pignorati (o delle somme dovute). Si tratta di un avvertimento formale fondamentale: se l’ufficiale giudiziario omette di intimare al debitore di non alienare i beni, l’atto di pignoramento può essere dichiarato nullo, perché privo di un requisito essenziale. La giurisprudenza ha più volte confermato che la mancanza dell’ingiunzione ex art. 492 c.p.c. comporta nullità del pignoramento, in quanto viene meno la tutela delle esigenze della procedura (impedire la dispersione dei beni).

Nel pignoramento immobiliare, l’art. 555 c.p.c. richiede che l’atto indichi esattamente i beni immobili con gli estremi catastali e ipotecari necessari, e che riporti l’ingiunzione al debitore ai sensi dell’art. 492. La mancata precisa individuazione dell’immobile da pignorare (ad es. indirizzo, dati catastali errati o incompleti) può rendere nullo l’atto per indeterminatezza dell’oggetto.

Con la riforma 2021-2023, inoltre, per tutti i pignoramenti l’atto deve contenere l’invito al debitore a dichiarare o eleggere un domicilio (fisico o digitale/PEC) presso il circondario del giudice dell’esecuzione, con avvertimento che in mancanza le comunicazioni gli verranno fatte in cancelleria. Questa previsione mira a garantire che il debitore riceva gli atti successivi (es. avvisi di vendita) in modo celere. Se l’atto di pignoramento non contiene tale invito e avvertimento, si configura un’irregolarità formale; essendo una novità normativa recente, la giurisprudenza potrebbe doverne valutare la sanzione. Trattandosi di elemento espressamente previsto dal codice, l’omissione dovrebbe comportare nullità relativa dell’atto, da far valere con opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni dalla notifica al debitore.

Nel pignoramento presso terzi, l’atto deve indicare con precisione il credito (o bene) presso terzi che si intende vincolare, e contenere la citazione del terzo a comparire all’udienza designata dinanzi al giudice competente, con indicazione di luogo, data e ora di tale udienza (art. 543 c.p.c.). Errori come omessa indicazione dell’udienza o indicazione di un termine non conforme di comparizione potrebbero comportare nullità. Ad esempio, se nell’atto manca del tutto l’indicazione della data di udienza, il terzo non saprebbe quando deve rendere la dichiarazione: un tale pignoramento è viziato e il debitore può opporsi per farlo dichiarare nullo. Anche l’errata indicazione del tribunale competente (es. indicare un giudice incompetente) può essere causa di nullità relativa, sanabile se non opposta tempestivamente.

Esempi di vizi formali dell’atto di pignoramento:

  • Mancanza della formula di ingiunzione al debitore di non disporre dei beni (art. 492 c.p.c.): nullità dell’atto.
  • Mancata sottoscrizione o sottoscrizione incompleta da parte dell’ufficiale giudiziario: può determinare nullità (un atto non sottoscritto dall’ufficiale è giuridicamente inesistente se manca la certezza della sua provenienza).
  • Errata indicazione delle parti (es. nome del debitore sbagliato): se genera incertezza assoluta sul destinatario, la notifica può essere nulla****. In caso di mero errore materiale che però non impedisce di individuare il debitore (ad es. un piccolo refuso nel nome), di solito non si arriva a nullità se l’atto ha raggiunto lo scopo (portare a conoscenza del destinatario il contenuto).
  • Omessa indicazione del titolo esecutivo o sua mancata allegazione quando richiesta: il pignoramento deve menzionare il titolo in base al quale si procede. Se l’atto non indica il titolo o, nel caso particolare di pignoramento eseguito su titoli cambiari, non allega il titolo in copia, si configura un vizio.
  • Errori sugli importi dovuti: il pignoramento dovrebbe indicare l’importo precettato e gli accessori. Un’indicazione errata dell’importo (per eccesso) non comporta nullità, potendo il giudice ridurre la somma; mentre un’indicazione troppo vaga potrebbe creare problemi ma tendenzialmente non invalida l’atto se il titolo fornisce i riferimenti.

La sanatoria dei vizi formali segue i principi generali dell’art. 156 c.p.c.: una nullità formale non può essere pronunciata se l’atto ha comunque raggiunto lo scopo (cioè informare il debitore). Ad esempio, un lieve difetto formale (come l’indicazione incompleta di un indirizzo) non comporta nullità se il debitore ha compreso e partecipato all’esecuzione. Viceversa, i vizi gravi che pregiudicano lo scopo (identificazione soggetti, notificazione regolare) comportano nullità insanabile se non sanati di fatto.

Il debitore che riscontri un vizio formale nell’atto di pignoramento deve reagire rapidamente: l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. va proposta entro 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato (o dalla sua conoscenza, se successiva). Trascorso questo termine, non potrà più far valere quel vizio (salvo il caso di inesistenza, di cui diremo). Pertanto, per errori formali nel pignoramento l’azione tipica è l’opposizione 617, che nel caso di pignoramento già iniziato si propone con ricorso al G.E. (giudice dell’esecuzione) competente, entro 20 giorni.

Vizi nella notificazione del pignoramento (e del precetto)

La notifica dell’atto di pignoramento al debitore è fondamentale per instaurare correttamente il contraddittorio nella procedura esecutiva. Problemi nella notifica – ad esempio se il pignoramento non viene mai notificato al debitore, oppure viene notificato in modo nullo – incidono profondamente sulla procedura:

  • Notifica nulla: si ha quando la notifica avviene ma viola le forme prescritte (artt. 137 e segg. c.p.c.), ad esempio consegna a persona sbagliata, mancata indicazione nella relazione della persona a cui è stata consegnata copia, o altre irregolarità formali. La nullità della notifica è sanabile se il debitore dimostra di aver comunque avuto conoscenza dell’atto (principio di raggiungimento dello scopo, art. 156 c.p.c.). Infatti, se il debitore compare nell’esecuzione o propone opposizione, la nullità della notifica potrebbe considerarsi sanata, avendo l’atto raggiunto lo scopo di portarlo a conoscenza. Tuttavia, spetta al debitore eccepire la nullità entro i 20 giorni ex art. 617 c.p.c. dal primo atto successivo ricevuto.
  • Notifica inesistente: è una categoria elaborata dalla giurisprudenza per le notifiche talmente viziate da essere assimilabili a un mancato invio. Ad esempio, notifica effettuata a un soggetto totalmente estraneo (indirizzo e persona senza alcun collegamento col debitore) è considerata inesistente. Parimenti, se l’ufficiale giudiziario non ha compiuto alcun atto (atto mai partito) o se l’atto viene restituito al mittente senza consegna, si parla di notifica inesistente. La notifica inesistente non è suscettibile di sanatoria nemmeno per raggiungimento dello scopo, e può essere eccepita in ogni tempo, poiché equivale alla mancanza stessa della notificazione. In pratica, se il debitore non ha mai ricevuto l’atto di pignoramento (né diretta né indirettamente), la procedura iniziata è in radice invalida nei suoi confronti. Ad esempio, Cass. S.U. n.14916/2016 ha precisato che è inesistente la notifica quando “nessun atto sia stato consegnato” dall’ufficiale giudiziario o quando l’atto ritorna al mittente senza consegna.

Una notifica omessa o inesistente del pignoramento comporta che il termine di 20 giorni per l’opposizione decorre solo dalla effettiva conoscenza che il debitore abbia avuto dell’atto (ad es., se il debitore lo scopre perché subisce un atto successivo, o perché viene a saperlo in altro modo). In ogni caso, un pignoramento non notificato al debitore non dovrebbe produrre effetti: si pensi al pignoramento presso terzi notificato solo al terzo ma mai al debitore, in cui la dottrina ritiene che l’ordinanza di assegnazione sarebbe inutiliter data in assenza di contraddittorio con il debitore.

Per reagire, come già accennato, il debitore propone opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. per i vizi di notifica. La competenza in caso di pignoramento in corso è del giudice dell’esecuzione, con ricorso entro 20 giorni dal momento in cui il debitore ha avuto conoscenza dell’atto (che può coincidere con la notifica, se questa era solo nulla, oppure con altro momento se la notifica era mancante). Se la notifica è totalmente omessa e il debitore non ne sapeva nulla fino a molto tempo dopo, potrà sollevare il vizio non appena ne viene a conoscenza, chiedendo l’annullamento degli atti esecutivi compiuti senza la sua partecipazione.

Effetti concreti dei vizi di notifica:

  • Un precetto notificato nullamente comporta che il debitore potrebbe non aver saputo di dover pagare, perdendo la chance di adempiere entro 10 giorni ed evitare il pignoramento. Se però il debitore viene comunque a conoscenza e non paga, il vizio del precetto dovrà essere fatto valere con opposizione tempestiva, altrimenti la procedura prosegue.
  • Un pignoramento notificato nullamente o non notificato può far perdere al debitore opportunità difensive, ad esempio la possibilità di chiedere la conversione del pignoramento prima della vendita (ex art. 495 c.p.c.) entro i termini. Se il debitore non viene informato, potrebbe vedersi vendere i beni senza aver potuto proporre soluzioni alternative. Questo aggravio costituisce sicuramente un “pregiudizio” che giustifica l’annullamento della procedura su istanza del debitore leso dal vizio.

Riassumendo: vizi formali sostanziali (ingiunzione mancante, oggetto non individuato, atti non depositati in tempo, notifica nulla/inesistente) possono condurre il giudice a dichiarare improcedibile il pignoramento o estinguere la procedura. Tuttavia, molte nullità formali devono essere fatte valere dal debitore nei termini di legge (20 giorni), pena la preclusione. Il giudice dell’esecuzione non può rilevare d’ufficio irregolarità formali “sanabili” non eccepite dal debitore; diversamente, per i presupposti fondamentali (come il titolo mancante, vedi infra) il giudice ha poteri officiosi ampi.

Opposizione agli atti esecutivi: il rimedio per i vizi formali

Per completare questo capitolo, va chiarito il ruolo dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. L’art. 617 distingue:

  • Opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto – da proporre prima dell’inizio dell’esecuzione, con atto di citazione entro 20 giorni dalla notifica del titolo o precetto.
  • Opposizioni contro i vizi dei singoli atti dell’esecuzione – da proporre entro 20 giorni dal compimento dell’atto viziato (o dalla notizia di esso), al giudice dell’esecuzione se la procedura è in corso.

Ciò significa che, ad esempio:

  • Se il precetto ha un vizio formale (manca un requisito ex art. 480 c.p.c.), il debitore deve opporlo entro 20 giorni dalla notifica del precetto, con atto di citazione al giudice indicato nel precetto stesso. Questa è una opposizione agli atti esecutivi preventiva. Se non lo fa, il vizio formale del precetto non potrà più essere eccepito successivamente (il precetto, pur irregolare, produce effetti se il debitore non reagisce).
  • Se il pignoramento presenta un vizio formale (es. notifica nulla), il debitore lo eccepisce con ricorso al G.E. entro 20 giorni. Il giudice, accertato il vizio, dichiarerà la nullità dell’atto pignorato e di quelli conseguenti, eliminando la procedura (o disponendo la rinnovazione dell’atto, se possibile).
  • Se il termine di 20 giorni è decorso senza opposizione, l’atto viziato può essere considerato sanato per acquiescenza, a meno che il vizio non abbia di per sé impedito al debitore di averne conoscenza (caso estremo di inesistenza di notifica). Ad esempio, se il debitore era presente al pignoramento mobiliare (quindi ne ha avuta conoscenza diretta) ma non ha fatto opposizione entro 20 giorni per qualche difetto formale, poi non potrà più lamentarsene. La Corte di Cassazione ha affermato che non esiste un interesse astratto alla regolarità formale degli atti se il vizio non ha arrecato pregiudizio concreto. Quindi l’opposizione formale è ammessa solo se il vizio ha comportato un danno all’opponente, altrimenti può essere rigettata per difetto di interesse.

In conclusione, il debitore deve vigilare attentamente sui profili formali degli atti esecutivi sin dall’inizio e agire prontamente. Le nullità formali, se correttamente eccepite, possono condurre il giudice a dichiarare improcedibile il pignoramento (nel senso che la procedura viene estinta per vizio insanabile dell’atto introduttivo). In caso contrario, un pignoramento formalmente viziato ma non opposto continuerà e potrà arrivare a completamento; anzi, una volta giunti alla vendita aggiudicata o all’assegnazione, la successiva scoperta di un vizio formale anteriore non travolge il risultato a tutela dei terzi acquirenti (art. 2929 c.c. prevede che le nullità degli atti esecutivi prima della vendita non pregiudicano l’acquirente in buona fede). Ciò rafforza l’idea che le opposizioni per vizi formali vadano fatte prima che l’espropriazione si concluda, preferibilmente il prima possibile.

Mancanza del titolo esecutivo o di legittimazione: “nulla executio sine titulo”

Passiamo ora ai vizi sostanziali più gravi, quelli che riguardano la sussistenza del diritto del creditore di procedere all’esecuzione. La regola fondamentale, già ricordata, è “non c’è esecuzione senza un titolo esecutivo valido”. Un pignoramento è improcedibile se manca un valido titolo esecutivo, sia all’origine sia sopravvenutamente. Qui distinguiamo varie situazioni:

Titolo esecutivo inesistente o invalido ab origine

Si ha assenza originaria di titolo quando il creditore procedente in realtà non disponeva di alcun titolo esecutivo, oppure il titolo è giuridicamente inesistente/nullo. Esempi:

  • Il creditore ha ottenuto un provvedimento che non è titolo esecutivo ai sensi di legge, ma tenta ugualmente il pignoramento. Ad esempio, cerca di pignorare sulla base di una scrittura privata non autenticata o di un’ordinanza che non rientra in quelle previste dall’art. 474 c.p.c. Se l’ufficiale giudiziario non se ne avvede (in teoria dovrebbe, ma come vedremo subito, il suo potere di sindacato è limitato), il pignoramento verrà iniziato. Tuttavia, il debitore potrà opporsi ex art. 615 c.p.c. e far valere che manca il titolo: l’esecuzione verrà dichiarata inammissibile/improcedibile per difetto di titolo, con effetti ex tunc (come se non fosse mai validamente iniziata).
  • Il titolo è nullo o inesistente: ad esempio una sentenza priva di formula esecutiva quando invece sarebbe richiesta (oggi la formula esecutiva cartacea è stata in parte superata dal processo telematico, ma vi sono stati casi in passato di atti privi di formula), oppure un decreto ingiuntivo affetto da vizi radicali. In tali casi, se il vizio del titolo è sostanziale e lo rende “inidoneo a produrre effetti esecutivi”, il pignoramento basato su di esso è privo di fondamento. Esempio pratico: un creditore ottiene erroneamente dalla cancelleria la formula esecutiva su una copia di provvedimento che non è definitivo né provvisoriamente esecutivo; se procede a precetto e pignoramento, il debitore può far valere che quel provvedimento non rientra tra i titoli esecutivi di cui all’art. 474 c.p.c. e quindi l’esecuzione è illegittima.
  • Carenza di legittimazione attiva: anche se il titolo in sé esiste, il procedimento esecutivo deve essere promosso dal soggetto titolare del diritto risultante dal titolo. Se il creditore procedente non è (o non è più) il titolare del credito, l’esecuzione manca di titolo in senso soggettivo. Un caso tipico è la cessione del credito prima del pignoramento: la banca A ottiene decreto ingiuntivo contro Tizio, poi cede il credito a società B; se la banca A (ormai non più creditrice) avvia ugualmente il pignoramento senza intervenuta surroga di B, l’esecuzione è priva di titolo in capo ad A. Il G.E. può rilevare d’ufficio tale circostanza se emerge (ad esempio se B interviene sostenendo di essere l’avente diritto), oppure il debitore con opposizione ex art. 615 può far valere che il procedente non aveva più diritto di agire. In termini pratici: il giudice dichiarerà l’improcedibilità della procedura per difetto di legittimazione del creditore procedente e disporrà la cancellazione del pignoramento. Proprio una situazione del genere è avvenuta in Tribunale di Imperia sentenza 29.11.2023: il G.E. aveva dichiarato improcedibile un pignoramento immobiliare perché la società che era intervenuta in qualità di cessionaria del credito non aveva provato di aver effettivamente acquisito il credito dalla banca originaria; il tribunale, in sede di opposizione proposta dalla cessionaria, ha confermato l’improcedibilità per carenza di prova sulla titolarità del diritto. In quel caso, la Gazzetta Ufficiale con l’elenco dei crediti ceduti era formulata in modo così generico da non consentire di individuare con certezza il credito in questione, e la semplice pubblicazione non è bastata a provare la titolarità; mancavano anche contratti di cessione certi. Quindi, il tribunale ha ritenuto legittimo chiudere l’esecuzione per mancanza di titolarità in capo al procedente.

Il ruolo dell’ufficiale giudiziario: a fronte di un difetto di titolo, ci si potrebbe chiedere se già l’ufficiale giudiziario possa rifiutarsi di eseguire un pignoramento. La Cassazione ha affrontato il tema di recente. In linea generale, l’ufficiale giudiziario è un organo ausiliario privo di poteri giurisdizionali di valutazione dei titoli. Una recente ordinanza della Cassazione, n. 14478/2024, ha chiarito che l’ufficiale non può rifiutare di eseguire un pignoramento solo perché, a suo giudizio, il documento esibito non è un titolo esecutivo valido, specie se tale documento porta la formula esecutiva. Il controllo del titolo spetta al giudice dell’esecuzione (o al giudice dell’opposizione) non all’ufficiale giudiziario. Eccezione: l’ufficiale può rifiutare solo se la richiesta di pignoramento non è avanzata “legalmente” e il documento presentato è manifestamente privo di ogni apparenza di titolo esecutivo (esempio: qualcuno presenta una semplice fattura spacciandola per titolo esecutivo). In tal caso, l’ufficiale esercita un minimo controllo di legalità formale. Negli altri casi, deve procedere e lasciare al giudice le valutazioni di merito. Dunque, se un titolo è discutibilmente valido, l’ufficiale eseguirà comunque il pignoramento, e sarà il debitore a dover attivare il controllo giudiziale (opposizione).

Sopravvenuta perdita di efficacia del titolo esecutivo

Anche dopo un pignoramento legittimamente iniziato, l’esecuzione può divenire improcedibile se il titolo esecutivo perde efficacia nel corso del processo esecutivo. Il principio affermato da Cassazione è che il titolo deve permanere durante tutta l’esecuzione; in mancanza (anche sopravvenuta), il processo esecutivo “non può proseguire o raggiungere alcuno dei suoi fini e va chiuso anticipatamente”. Alcuni esempi di eventi sopravvenuti:

  • Pagamento o soddisfazione del credito: se il debitore paga integralmente il dovuto dopo il pignoramento (o comunque il credito si estingue, ad es. per compensazione o novazione concordata), viene meno la ragione d’essere dell’esecuzione. Il debitore può proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. per far accertare l’extinzione del debito. Se provata, il giudice dichiarerà improcedibile l’esecuzione per sopravvenuta mancanza dello scopo (credito estinto).
  • Riforma o annullamento del titolo giudiziale: se il titolo è una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva e, pendente esecuzione, arriva la sentenza d’appello che la riforma (eliminando o riducendo la condanna), il titolo originario perde efficacia ex tunc e l’esecuzione deve cessare. Il giudice dell’esecuzione, anche d’ufficio appena informato, deve prenderne atto e chiudere la procedura. Cass. 19 maggio 2011, n. 11021 ha ribadito che il giudice (anche in sede di opposizione all’esecuzione) deve verificare d’ufficio in ogni stato se il titolo sia stato caducato, perché questo determina l’illegittimità dell’esecuzione con effetto retroattivo. Lo stesso vale se il titolo viene annullato con revocazione o altri mezzi straordinari.
  • Revoca del decreto ingiuntivo per clausole abusive: un caso particolare ma importantissimo, sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2023 (sentenza S.U. 9479/2023), è quello dei decreti ingiuntivi non opposti contenenti clausole abusive. Prima di questa pronuncia, un decreto ingiuntivo definitivo costituiva titolo incontestabile. Le S.U. 9479/2023 hanno invece stabilito che, in presenza di clausole contrattuali abusive (ad es. interessi anatocistici o clausole nulle in contratti bancari) non valutate dal giudice che ha emesso il decreto, il debitore può farle valere tardivamente. In concreto: se una banca procede esecutivamente con pignoramento (spesso immobiliare) basandosi su decreto ingiuntivo non opposto, ma fondato su un contratto con clausole nulle (come le fideiussioni omnibus a schema ABI 2003, dichiarate parzialmente nulle da Cass. S.U. 41994/2021), il Giudice dell’esecuzione deve sospendere l’esecuzione per consentire al debitore di proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo**. Questa pronuncia “rivoluzionaria” delle Sezioni Unite riconosce un limite al dogma dell’irretrattabilità del titolo esecutivo, in ossequio alla normativa UE a tutela del consumatore da clausole abusive. Dunque, in tali situazioni limitate, il pignoramento può essere bloccato e l’esecuzione resa improcedibile fintanto che non si risolve la contestazione sul titolo ingiuntivo abusivo. Condizioni chiave: (1) il titolo è un decreto ingiuntivo non opposto; (2) il credito deriva da contratto contenente clausole abusive determinanti; (3) il giudice dell’esecuzione verifica la plausibilità delle clausole abusive alla luce di Cass. 41994/2021 ecc. e sospende. Non si applica a titoli diversi (es. sentenza passata in giudicato, mutuo fondiario per atto pubblico). In pratica, SU 2023 apre uno spiraglio al debitore per far dichiarare improcedibile (almeno temporaneamente) il pignoramento basato su un titolo che, pur formalmente esecutivo, è inficiato all’origine da illegalità contrattuali. Si consente così un’opposizione tardiva prima preclusa**. Il debitore dovrà poi effettivamente proporre opposizione al decreto per far accertare la nullità delle clausole e rideterminare il credito; nel frattempo, l’esecuzione resta ferma.
  • Procedura concorsuale: se dopo l’inizio dell’esecuzione il debitore viene dichiarato fallito (liquidazione giudiziale), il titolo del creditore rimane (il credito esiste) ma non può più proseguire l’azione individuale (subentra il concorso fallimentare). In questo caso più che di mancanza di titolo si parla di causa legale di improseguibilità. Il G.E. emetterà ordinanza di chiusura anticipata dell’esecuzione per intervenuto fallimento, e i beni (se pignorati) passeranno sotto l’egida del curatore fallimentare. Come stabilito dall’art. 150 del Codice della crisi d’impresa, dal giorno dell’apertura della liquidazione giudiziale nessuna azione esecutiva individuale può proseguire. L’ordine di chiusura non elimina però gli effetti sostanziali del pignoramento già avvenuto a fini di prelazione: ad esempio, un immobile pignorato prima del fallimento resta colpito dal vincolo ai fini della collocazione preferenziale del credito (art. 51 L. Fall., ora art. 150 c.2 CCII), ma l’asta non avverrà in sede esecutiva bensì, eventualmente, in sede fallimentare. La Cassazione ha chiarito che l’improcedibilità per fallimento non caduca retroattivamente gli effetti sostanziali del pignoramento già trascritto, ma ne arresta la procedura esecutiva.

Mezzi di tutela per il debitore in ipotesi di perdita di titolo: l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. è lo strumento classico. Questa opposizione può essere proposta anche dopo l’inizio dell’esecuzione (si chiama opposizione a esecuzione iniziata, o “successiva”), proprio per far valere fatti sopravvenuti come pagamento o caducazione del titolo. È bene proporla senza ritardo non appena si verifica l’evento (es.: subito dopo aver ottenuto la sentenza d’appello favorevole). In molti casi il G.E., venuto a conoscenza del venir meno del titolo, può sospendere o dichiarare d’ufficio l’estinzione; spesso però è richiesta un’istanza di parte o un’opposizione formale per attivare il contraddittorio su questi fatti.

Da notare che la Cassazione (sent. 2043/2017) ha affermato che il G.E. può e deve accertare d’ufficio la mancanza (originaria o sopravvenuta) del titolo, perché si tratta di “condizione dell’azione esecutiva” imprescindibile. Quindi, anche in assenza di opposizione del debitore, se il giudice scopre (per documenti in atti o intervento di terzi) che non c’è un titolo valido, deve fermare la procedura. Naturalmente, il debitore interessato farà bene a sollecitare tale rilievo attraverso un’opposizione all’esecuzione, così da mettere formalmente la questione al vaglio e ottenere una pronuncia.

Difetto di altri presupposti: incompetenza e vizi vari

Vi sono altre ipotesi più rare di irregolarità sostanziali che possono rendere improcedibile un pignoramento:

  • Incompetenza territoriale assoluta: se l’esecuzione è intrapresa presso un tribunale totalmente privo di competenza (ad es. pignoramento immobiliare eseguito in un circondario diverso da quello dove si trova l’immobile), il processo esecutivo è viziato. Il debitore può dedurre l’incompetenza con l’opposizione ex art. 615 (questione di merito del diritto a procedere in quella sede). Il giudice dichiarerà l’incompetenza, e gli atti eventualmente potranno essere trasmessi al giudice competente se la legge lo consente, altrimenti la procedura va ricominciata correttamente. Questo è un aspetto meno frequente, perché la competenza per esecuzione è in genere rigida (il creditore di norma sa dove pignorare); tuttavia, errori possono accadere ad esempio se il debitore cambia residenza e si notifica al tribunale sbagliato.
  • Irregolarità del titolo non incidente sulla validità: come accennato nel paragrafo precedente, vi sono irregolarità formali del titolo esecutivo (ad es. formula esecutiva non apposta quando prevista, oppure errori nell’identificazione delle parti sul titolo) che però non tolgono l’esistenza del titolo, ma ne mettono in dubbio la regolarità. Tali irregolarità formali del titolo non comportano improcedibilità automatica, ma vanno contestate con opposizione formale (art. 617 c.p.c.) entro 20 giorni dalla notifica del titolo o precetto. Se non opposte, il processo esecutivo “prosegue utilmente” nonostante il vizio del titolo. La Cassazione ha infatti affermato che se un atto (il titolo) ha raggiunto il suo scopo perché il debitore ne è a conoscenza e l’irregolarità non gli ha causato pregiudizio, un’opposizione basata solo su tale irregolarità sarebbe priva di utilità. Esempio: se per errore il decreto ingiuntivo notificato al debitore non recava la formula esecutiva, ma il debitore non l’ha opposto e viene altrimenti accertato che è copia conforme, difficilmente potrà ottenere l’annullamento del pignoramento lamentando la mancanza di formula, soprattutto se il vizio non è stato subito eccepito.
  • Pignoramento di beni altrui: il codice consente di pignorare beni che risultano in possesso del debitore o intestati a lui. Se vengono pignorati beni che il debitore afferma appartenere a terzi (ad es. beni di un familiare), ciò non rende di per sé improcedibile il pignoramento – l’ufficiale non può sapere la vera proprietà in molti casi. Sarà il terzo proprietario a doversi attivare con l’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) per far accertare la sua proprietà e ottenere la liberazione del bene. Dal punto di vista del debitore, questi può segnalare la cosa ma non è un vizio che impedisce al creditore di tentare l’esecuzione (salvo ipotesi di abuso). Dunque la questione “bene di terzo” non attiene a improcedibilità, bensì ad un conflitto di proprietà da risolvere a parte.
  • Errori nell’individuazione del debitore: se viene pignorato a un soggetto diverso (omonimia, scambio di persona), l’esecuzione è viziata perché diretta contro chi non è debitore. Questa situazione è evidente quando colpisce un estraneo, e costui potrà opporsi ex art. 615 (negando di essere soggetto obbligato) o ex art. 619 c.p.c. (se gli vengono presi beni come terzo proprietario). In pratica, l’esecuzione così intrapresa è inammissibile. Anche il debitore “giusto”, se scopre che per errore il pignoramento è stato notificato a un altro e non a lui, può eccepire che la procedura non l’ha visto parte e quindi è nulla/inefficace.

In definitiva, la mancanza di titolo (in senso ampio: documento esecutivo valido e legittimazione del procedente) è una causa radicale di improcedibilità del pignoramento. Il giudice ha potere di rilievo officioso e il debitore ha sempre interesse a far valere la cosa con opposizione all’esecuzione, in ogni stato e grado. Come recita Cass. 2017 n.15605, il giudice deve dichiarare l’improcedibilità dell’esecuzione se riconosce l’assenza o l’inefficacia totale/parziale del titolo, perché manca o è divenuta impossibile la finalità dell’esecuzione stessa.

Omesso tempestivo deposito e altri inadempimenti del creditore: inefficacia del pignoramento

Una tra le cause più frequenti di “stop” di un pignoramento è l’inerzia o ritardo del creditore nell’adempiere agli oneri processuali imposti dalla legge. Come anticipato, esistono termini perentori entro i quali il creditore deve depositare atti o promuovere fasi della vendita; in caso di mancato rispetto, la legge sancisce l’inefficacia del pignoramento (che equivale a improcedibilità dell’esecuzione). Esaminiamo i principali casi:

Mancata iscrizione a ruolo e deposito entro 15 giorni (art. 557 c.p.c.)

Per i pignoramenti immobiliari e presso terzi (nonché per i pignoramenti mobiliari eseguiti con verbale da ufficiale giudiziario, anche se su questi ultimi la prassi è meno rigida), il creditore deve depositare entro 15 giorni dalla consegna del pignoramento:

  • La nota di iscrizione a ruolo della procedura esecutiva;
  • Copie conformi del titolo esecutivo, del precetto e dell’atto di pignoramento;
  • (Per l’immobiliare) la nota di trascrizione del pignoramento.

Questa tempistica è stabilita dall’art. 557 c.p.c. co.2 e 3. In particolare, il terzo comma afferma espressamente: “Il pignoramento perde efficacia quando […] le copie dell’atto di pignoramento, del titolo esecutivo e del precetto sono depositate oltre il termine di quindici giorni dalla consegna al creditore”. Dunque il termine di 15 giorni è perentorio e la sanzione è l’inefficacia (ossia il pignoramento diventa nullo come se non avesse vincolato i beni).

Questa norma, introdotta dal 2015 e confermata nelle riforme successive, mira ad accelerare le procedure: il creditore non può tenere in sospeso il debitore a lungo dopo avergli notificato il pignoramento.

Esempio: Tizio subisce pignoramento immobiliare il 1 marzo, l’ufficiale consegna copia atti al creditore in pari data; il creditore avrebbe tempo fino al 16 marzo per depositare tutto. Se il creditore deposita il 20 marzo, il pignoramento è già decaduto (inefficace) dal 17 marzo. Il giudice dell’esecuzione, se vede il deposito tardivo, dichiarerà l’estinzione/inefficacia della procedura per violazione del termine di legge.

In un caso deciso dal Tribunale di Tivoli (sent. 1273/2018), un creditore aveva depositato entro 15 giorni ma senza l’attestazione di conformità sulle copie del titolo, precetto e pignoramento. Il G.E. aveva dichiarato l’estinzione ritenendo violato l’art. 557 c.p.c. poiché le copie non erano asseverate conformi, e la copia conforme è richiesta dalla norma. Il reclamo del creditore è stato rigettato: il Tribunale di Tivoli ha confermato che depositare copie non autenticate equivale a omesso deposito degli atti richiesti, quindi comporta l’inefficacia del pignoramento. Ha osservato che la ratio dell’art. 557 è dare al giudice la certezza che il creditore possieda davvero il titolo esecutivo; senza attestazione, il G.E. non può saperlo e la procedura non può procedere****. Questo orientamento (conforme a Trib. Milano) sottolinea come il termine per il deposito include anche l’onere di depositare copie “conformi”, non semplici fotocopie tardivamente certificate. Non è possibile invocare il principio del “raggiungimento dello scopo” per sanare il tardivo deposito, perché qui si tratta di inefficacia per decadenza temporale, non di nullità formale sanabile. La conseguenza è impietosa: se manchi un documento richiesto o l’attestazione entro il 15° giorno, il pignoramento diventa inefficace automaticamente e l’esecuzione deve chiudersi.

La prassi applicativa di questa norma ha sollevato questioni particolari. Ad esempio, il testo dell’art. 557 c.p.c. stabilisce anche che la nota di trascrizione dell’immobile va depositata “appena restituita dal conservatore”. Capita a volte che il conservatore riconsegni la nota con ritardo (oltre i 15 giorni). In teoria, il creditore potrebbe trovarsi impossibilitato a rispettare il termine per il deposito della nota se questa gli perviene dopo. Si è discusso se, in tal caso, l’inefficacia scatti comunque. Per prudenza, i creditori depositano intanto gli atti disponibili entro 15 giorni e aggiungono la nota appena arriva, chiedendo eventualmente al G.E. di considerare non perentorio il termine per la sola nota quando la colpa è del ritardo altrui. La norma però letteralmente non fa eccezioni e “genera perplessità”, come segnalato dagli operatori****. È auspicabile un chiarimento legislativo o di legittimità su questo punto.

Effetto dell’inefficacia ex art. 557: il pignoramento inefficace è come se non avesse prodotto vincolo. Se era un immobile, il G.E. ordinerà la cancellazione della trascrizione; se era un conto, il terzo (banca) sarà liberato dall’obbligo di blocco e potrà sbloccare i fondi al debitore; se erano beni mobili custoditi, dovranno essere restituiti al debitore. Il creditore dovrà ripartire da capo, notificando un nuovo precetto (quello vecchio può essere ormai scaduto) e quindi rifacendo il pignoramento. Il creditore potrebbe anche subire la condanna a pagare le spese della procedura estinta.

Dal punto di vista del debitore, questi ha interesse a rilevare l’eventuale tardività del deposito. In pratica, se il termine decorre infruttuosamente, molti tribunali dichiarano d’ufficio l’estinzione appena se ne accorgono. Ma nulla vieta al debitore, trascorsi i 15 giorni, di presentare un’istanza al G.E. per far dichiarare l’inefficacia del pignoramento. Si tratta di una semplice istanza (non serve opposizione) basata sull’art. 557 co.3 c.p.c., allegando i dati da cui risulta il deposito tardivo. Spesso è la cancelleria stessa a monitorare i depositi: se il fascicolo non viene iscritto entro i termini, il fascicolo d’esecuzione neppure si forma; tuttavia, a volte l’iscrizione c’è ma senza i documenti, o con documenti non conformi, e allora l’intervento del giudice su sollecitazione del debitore può essere provvidenziale. Una volta dichiarata l’inefficacia, il debitore ottiene la fine di quella esecuzione.

Mancata richiesta di vendita o inattività ultrannuale (art. 497 e art. 630 c.p.c.)

Oltre al deposito iniziale, il creditore deve attivare la fase di vendita/assegnazione entro termini stabiliti. In particolare:

  • L’art. 497 c.p.c. prevede che se entro 45 giorni dal pignoramento non viene chiesta la vendita o l’assegnazione, il pignoramento perde efficacia. Questa norma (modificata dal D.L. 83/2015, che ridusse il termine da 90 a 45 giorni) vale per tutte le esecuzioni forzate. Ad esempio, nel pignoramento mobiliare, se il creditore non presenta l’istanza di vendita dei beni pignorati in cancelleria entro 45 giorni dal verbale di pignoramento, il vincolo sui beni decade. Nel pignoramento immobiliare, l’istanza di vendita ex art. 567 c.p.c. con la documentazione ipocatastale deve essere depositata entro 45 giorni dall’iscrizione a ruolo (e comunque dal pignoramento). Se il creditore non lo fa, il giudice può dichiarare l’inefficacia del pignoramento per decorso del termine.
  • L’art. 631 c.p.c. (applicabile tramite rinvio dell’art. 629 in sede esecutiva) contempla un’ipotesi di “estinzione per inattività delle parti” analoga a quella dei processi di cognizione: se l’esecuzione resta ferma per oltre 6 mesi per inattività, può esserne dichiarata l’estinzione su istanza di parte o d’ufficio. Inoltre, una norma introdotta nel 2016 (art. 497 c.p.c., comma aggiunto poi abrogato e sostituito da art. 164-ter disp. att. c.p.c.) sanciva l’estinzione automatica se dall’ultimo atto esecutivo compiuto trascorre oltre un anno senza atti di impulso da parte del creditore. Questa disposizione mirava a evitare esecuzioni pendenti troppo a lungo. Oggi la questione è in parte coperta dalla possibilità per il giudice di dichiarare l’estinzione per inattività dopo 6 mesi. Per il debitore ciò significa che, se l’esecuzione rimane sospesa o ferma senza motivo per un tempo prolungato, può chiedere al giudice la declaratoria di estinzione ex art. 630 c.p.c. Tale scenario può presentarsi, ad esempio, se dopo il pignoramento e magari l’udienza il creditore non prosegue negli atti (non deposita istanze, non versa le anticipazioni dovute per l’esperto o la vendita, ecc.). Attenzione: l’estinzione per inattività non pregiudica il diritto del creditore di iniziare una nuova esecuzione (salvo dover rifare atti e pagare spese).
  • Nel pignoramento presso terzi, il caso comune è che all’udienza fissata il creditore debba udire la dichiarazione del terzo. Se il creditore non si presenta o non chiede nulla, il giudice spesso archivia la procedura; formalmente, la cessazione degli obblighi del terzo alla data dell’udienza (ex art. 543 riformato) significa che il vincolo cessa e il pignoramento perde efficacia rispetto a quel terzo. Un’ordinanza di estinzione di solito viene emessa per sancire la conclusione.

Esempio pratico: Caio subisce un pignoramento mobiliare, i suoi beni sono pignorati e custoditi. Il creditore però non chiede la vendita per molto tempo. Dopo 45 giorni il pignoramento è inefficace ex lege; Caio (o il custode stesso) può chiedere al giudice di ordinare la liberazione dei beni e la chiusura del procedimento. Il giudice pronuncerà estinzione e Caio riavrà i beni pignorati (salvo siano già stati venduti o assegnati in frangenti intermedi, ma in quel caso l’azione esecutiva sarebbe completata).

Dal punto di vista del debitore esecutato, è utile conoscere questi termini: se vede che il creditore è inerte, può tirare un sospiro di sollievo dopo la scadenza perché il vincolo cade. Ma per maggiore sicurezza è opportuno presentare istanza di verificare l’inefficacia. Alcuni debitori preferiscono attendere e vedere se il creditore si attiva tardivamente per poi eccepire la decadenza in sede di opposizione agli atti (ad esempio, se il giudice erroneamente proseguisse la vendita anche dopo i 45 giorni senza istanza). In generale, i giudici dell’esecuzione applicano d’ufficio l’art. 497: se l’istanza di vendita arriva tardi, viene dichiarata tardiva e il pignoramento inefficace. Così anche se l’istanza non arriva affatto e passa il tempo, molti tribunali emettono un decreto di estinzione dopo aver avvisato le parti.

Prassi giurisprudenziale locale: inizialmente, la riduzione del termine a 45 giorni creò dubbi (ad esempio sulla decorrenza esatta del termine – notifica pignoramento, consegna verbale, ecc.). Ormai però è pacifico: 45 giorni dall’atto di pignoramento in senso stretto (per i mobiliari, dal verbale; per i presso terzi, probabilmente dall’udienza se fissata entro tale termine; per immobiliari, dal compimento del pignoramento e iscrizione a ruolo). Nel dubbio, i creditori presentano le istanze tempestivamente. Al debitore basta dimostrare che il creditore non ha depositato istanza entro la data limite. Anche in questo caso, se il giudice tardasse a pronunciarsi, il debitore può avanzare ricorso in opposizione agli atti ex art. 617 contro eventuali atti di vendita compiuti oltre i termini, per far valere l’inefficacia del pignoramento.

Documentazione ipocatastale incompleta (art. 567 c.p.c.)

Un caso specifico di improcedibilità, tipico del pignoramento immobiliare, si verifica quando il creditore non adempie agli obblighi documentali dell’art. 567 c.p.c. Per ottenere l’ordine di vendita, il creditore deve depositare:

  • Estratto del catasto e certificato dei registri immobiliari, dai quali risulti la situazione dei gravami sull’immobile pignorato negli ultimi 20 anni (c.d. certificato di continuità delle trascrizioni).
  • Copia conforme del titolo esecutivo e del precetto (già depositati all’iscrizione a ruolo, ma in caso di vendita vanno confermati in atti).
  • Eventuali altri documenti richiesti (es. attestazione certificato energetico per gli immobili, planimetrie se necessarie, ecc.).

La legge prevede che se il creditore non deposita la documentazione ipocatastale nel termine fissato dal G.E., quest’ultimo dichiara l’inefficacia del pignoramento (art. 567, co. 2). In passato era previsto espressamente un termine di 60 giorni prorogabili per il deposito del certificato; oggi il G.E. in concreto concede un termine (30-60 giorni dall’istanza) e può prorogarlo per giustificati motivi, ma se il creditore non riesce a produrre i certificati, l’esecuzione non può procedere alla vendita.

Caso concreto: Nel pignoramento immobiliare a carico di Tizio, il creditore Caio deposita l’istanza di vendita ma allega una relazione notarile incompleta: magari mancano alcune trascrizioni di passaggi di proprietà, o non viene provata la continuità delle intestazioni. Il debitore, tramite il suo avvocato, se ne accorge. Cosa può fare? Può presentare un’istanza al G.E. segnalando l’irregolarità. Ed è proprio quanto accaduto in un caso seguito dallo studio Mandico: il Tribunale di Napoli con provvedimento del 19 giugno 2021 ha dichiarato improcedibile un’esecuzione immobiliare perché la relazione ipocatastale prodotta dal creditore risultava incompleta, non evidenziando la continuità delle trascrizioni di un’avvenuta successione ereditaria sull’immobile. In sostanza, mancava la prova che il debitore esecutato fosse effettivamente divenuto proprietario dell’immobile a seguito di una successione non trascritta regolarmente; ciò impediva di accertare esattamente la situazione dei diritti sul bene. Il G.E. ha dapprima concesso al creditore 60 giorni per regolarizzare (trascrivere la successione e integrare la relazione); decorso inutilmente tale termine, su istanza del debitore, ha dichiarato l’inefficacia del pignoramento ai sensi dell’art. 567 co. 3 c.p.c.. La motivazione del giudice è stata: “manca la possibilità di accertare compiutamente la continuità delle trascrizioni e l’attuale titolarità del bene”, dunque non si può procedere alla vendita, e il pignoramento va rimosso.

Questo provvedimento evidenzia come, dal punto di vista del debitore, sia importante scrutinare i documenti prodotti dal creditore: un errore o mancanza può salvarlo. In quell’episodio, grazie alla tenacia della difesa del debitore, l’esecuzione è stata bloccata e l’immobile liberato.

Va detto che la documentazione ipocatastale è onerosa (in genere il creditore incarica un notaio o professionista per compilarla). Se il creditore non ha interesse concreto (ad esempio perché il bene appare invendibile o il debitore sta pagando), potrebbe anche volontariamente non depositare nulla, lasciando scadere i termini: in tal caso il G.E. dichiarerà l’estinzione per inattività.

In sintesi, gli adempimenti post-pignoramento da parte del creditore (depositi di atti e richieste) sono strettamente monitorati dal codice. Il debitore può trarre vantaggio da ogni mancanza del creditore: la legge infatti lo tutela prevedendo che, se il creditore è negligente, “ne paga le spese” in senso processuale, perdendo il vincolo sul patrimonio del debitore. Di riflesso, per il debitore significa riacquisire libertà sui beni. Naturalmente, se rimane insoluto, il creditore potrà riprovare; ma intanto guadagna tempo e magari può nel frattempo trovare soluzioni (accordi, pagamenti, procedure concorsuali, ecc.). Tatticamente, molti debitori con l’assistenza legale cercano di far emergere qualunque inadempimento del creditore per far dichiarare l’estinzione dell’esecuzione.

Beni impignorabili e limiti di pignorabilità: il pignoramento di beni “protetti” è improcedibile

Non tutti i beni del debitore possono essere pignorati liberamente. L’ordinamento prevede una serie di beni impignorabili o parzialmente pignorabili (artt. 514-515 c.p.c. e leggi speciali). Se il creditore tenta di pignorare un bene assolutamente impignorabile, l’atto è viziato in quanto rivolto verso un oggetto non assoggettabile ad esecuzione. Dal punto di vista del debitore, invocare l’impignorabilità significa negare la legittimità dell’azione esecutiva su quello specifico bene, di conseguenza il pignoramento su di esso deve essere dichiarato improcedibile o inefficace.

Vediamo le principali categorie di beni/crediti protetti:

Beni mobili impignorabili (art. 514 c.p.c.)

L’art. 514 c.p.c. elenca beni mobili assolutamente impignorabili, per ragioni umanitarie o sociali. Sono, ad esempio:

  • Vestiti, biancheria, arredamento di base: gli abiti, i letti, i tavoli con sedie, l’armadio, il frigorifero e in generale i mobili indispensabili per l’abitazione del debitore e della famiglia non si possono pignorare. La ratio è di evitare di privare il debitore e i suoi familiari dei mezzi minimi di vita. Esempio: non si possono portare via l’unico letto o il fornello per cucinare.
  • Attrezzi di lavoro indispensabili al debitore: se il debitore esercita una professione o mestiere, gli strumenti, oggetti e libri necessari per il suo lavoro non sono pignorabili, tranne che per alcuni crediti particolari (ad esempio crediti per stipendi dei dipendenti, spese di produzione degli stessi beni, ecc., art. 515 c.p.c.). Ad esempio, il computer e la scrivania di un professionista, le macchine di un artigiano sono protette, salvo esecuzioni per i loro debiti verso dipendenti o per il mutuo acceso per acquistarle.
  • Animali da affezione o da servizio: una novità introdotta nel 2015 è l’impignorabilità degli animali da compagnia (cani, gatti, etc.) o comunque degli animali impiegati a fini terapeutici o affettivi dal debitore. Non si possono pignorare neppure animali da lavoro se il debitore li utilizza per vivere (a meno che l’esecuzione serva a riscuotere il prezzo di quegli animali, ipotesi rara). Dunque il cagnolino o il cavallo da terapia non possono essere sequestrati dall’ufficiale giudiziario.
  • Beni sacri e decorazioni: non si possono pignorare cose come l’anello matrimoniale, le medaglie al valore, la corrispondenza personale, manoscritti, nonché arredi sacri e strumenti per esercizio del culto (se il debitore è un ministro di culto, per es., i paramenti sacri).
  • Generi alimentari e combustibile: scorte di cibo o carburante necessarie per un mese al mantenimento del debitore e della famiglia non si toccano.
  • Attrezzature mediche e sanitarie: oggetti che servono a cure del debitore (protesi, sedie a rotelle, letti ospedalieri, ecc.) non possono ovviamente essere pignorati.

Se l’ufficiale giudiziario ignorasse tali regole e pignorasse uno di questi beni, il debitore può reagire immediatamente. In pratica, durante il pignoramento mobiliare, il debitore o famigliare dovrebbe contestare subito all’ufficiale che quel dato bene è impignorabile per legge (in genere gli ufficiali lo sanno e evitano di prendere, ad es., il frigorifero, ma può capitare con beni al limite). Se nonostante l’eccezione il bene viene sequestrato, il debitore può:

  • Segnalare la cosa al G.E. in sede di richiesta di vendita, oppure
  • Proporre direttamente opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. per far dichiarare che su quel bene l’esecuzione non poteva avere luogo. Questa è un’opposizione sull’esistenza del diritto a procedere riguardo a quel bene (si nega che il bene potesse essere toccato).
  • In caso di dubbio sulla destinazione del bene (strumento di lavoro o meno), il giudice valuterà se la sua impignorabilità sussiste o no.

Un esito tipico è che il G.E., riconosciuta l’impignorabilità, disponga la liberazione e restituzione di quel bene. Il resto della procedura eventualmente può proseguire su altri beni, ma quell’atto di pignoramento sarà almeno parzialmente inefficace.

Crediti impignorabili o parzialmente pignorabili (stipendi, pensioni, ecc.)

La legge pone limiti alla pignorabilità dei crediti da lavoro e assistenza, per garantire al debitore un minimo vitale. Le norme chiave sono nell’art. 545 c.p.c. e in alcune leggi speciali:

  • Stipendio e salario: lo stipendio del lavoratore dipendente è pignorabile presso il datore di lavoro solo nei limiti di 1/5 dell’importo netto mensile (20%). Ciò significa che se Tizio percepisce €1.500 netti al mese, al massimo €300 al mese possono essere prelevati alla fonte per il creditore. Se vi sono più pignoramenti concorrenti (es. uno per crediti alimentari, uno per crediti bancari), la regola generale è che la somma delle trattenute non ecceda la metà dello stipendio.
    • Eccezione: per alcuni crediti particolari la legge consente una diversa aliquota. Ad esempio, per crediti alimentari (es. mantenimento figli), il giudice può autorizzare pignoramenti superiori al quinto a seconda del bisogno. Oppure, per crediti tributari (Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione) valgono soglie differenziate: 1/10 dello stipendio sotto 2.500€, 1/7 tra 2.500 e 5.000€, e 1/5 oltre 5.000€.
    • Stipendio già depositato in conto corrente: se lo stipendio è accreditato in banca e il creditore pignora il conto, occorre distinguere la parte già esistente sul conto prima del pignoramento e le somme accreditate dopo. Per la parte già sul conto, la legge (art. 545, commi 7 e 8 c.p.c.) stabilisce che essa è pignorabile solo per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale. L’assegno sociale è ~€534,41 (nel 2024), il triplo è circa €1.603. Quindi, se il giorno del pignoramento il conto stipendio di Tizio ha €3.000, la banca dovrà lasciare intatti €1.603 circa (minimo vitale corrispondente a tre mensilità di assegno sociale) e potrà bloccare la parte eccedente (nell’esempio circa €1.397). Invece gli accrediti successivi al pignoramento (cioè gli stipendi che maturano poi) sono pignorati nei limiti del quinto come se fosse presso terzi.
    • Sequestri penali e amministrativi: qui trattiamo l’esecuzione civile, ma è utile notare che i limiti di pignorabilità valgono per la riscossione coattiva civile. In sede penale (ad es. confisca di proventi illeciti) o di sanzioni amministrative, i limiti sui redditi potrebbero non applicarsi nello stesso modo. Ma nel contesto civile ordinario, i tetti di pignorabilità stipendiale sono inderogabili.
  • Pensione: anche le pensioni godono di un minimo vitale impignorabile. Attualmente la legge prevede che l’importo pari a 1,5 volte l’assegno sociale (oppure, da alcuni anni, è stato elevato a 2 volte l’assegno sociale) sia intoccabile. Con l’assegno sociale 2024 di €534,41, ciò significa che circa €1.068,82 al mese della pensione non possono essere toccati. In pratica, le pensioni basse (fino a ~1000€) sono impignorabili del tutto. La parte eccedente tale soglia invece è pignorabile con lo stesso criterio del quinto. Ad esempio, se Caio percepisce pensione di €1.500, la parte sopra €1.068 (~€432) è pignorabile al massimo per 1/5, quindi circa €86 al mese.
    • Se la pensione è accreditata in banca, analogamente allo stipendio, vale la regola: sul saldo antecedente al pignoramento il minimo vitale (1,5 o 2x assegno sociale) è libero e solo l’eccedenza è pignorata; sugli accrediti successivi, trattenuta del quinto.
  • TFR (trattamento fine rapporto): il TFR non ancora erogato è considerato credito da lavoro e pignorabile presso il datore (o fondo) al massimo per 1/5. Se il TFR è già stato versato sul conto, di fatto diventa risparmio, ma essendo identificabile come somma proveniente da lavoro, parte della giurisprudenza applica comunque i limiti (specie se è sul conto dedicato).
  • Crediti alimentari a favore del debitore: se il debitore vanta crediti per alimenti (es. assegno di mantenimento che deve ricevere), questi crediti per loro natura servono al suo sostentamento e sono impignorabili tranne che per cause di alimenti verso chi li ha erogati. Quindi, l’assegno che Tizio riceve come mantenimento non può essergli sottratto dai creditori (salvo forse se il creditore è a sua volta un familiare che vanta alimenti).
  • Sussidi di povertà, indennità di invalidità: sono inimpignorabili tutte le somme aventi natura assistenziale, ad esempio Reddito di cittadinanza (fino al 2023) o la nuova assegno di inclusione, pensioni sociali, indennità per disabili, accompagnamento. Anche in caso di accredito in banca, tali somme sono protette e se ne può ottenere lo svincolo provandone la provenienza.
  • Assegni e bonus una tantum: negli anni recenti sono stati introdotti bonus o assegni temporanei (es. bonus bebè, bonus Covid ecc.); per lo più hanno natura impignorabile in quanto destinati a specifiche finalità protette.

Se un creditore effettua un pignoramento presso terzi (datore di lavoro, INPS, banca) ignorando questi limiti, il terzo (datore/INPS/banca) stesso dovrebbe segnalare al giudice il calcolo dei limiti. Spesso accade automaticamente: il datore di lavoro non trattiene più del quinto perché sa di non poterlo fare; la banca quando riceve l’atto, se identifica che il conto è alimentato da stipendio/pensione, applica i parametri di legge. Tuttavia, vi possono essere controversie: ad es. se sul conto del debitore confluiscono anche altre entrate, la banca magari blocca più di quanto dovuto e sarà il giudice a dover quantificare.

Tutela del debitore: se ritiene che il pignoramento del suo stipendio/pensione violi i limiti, può rivolgersi al G.E. con un’istanza di riduzione del pignoramento (art. 546 c.p.c. e 588 c.p.c. per eccesso di pignoramento) o fare opposizione all’esecuzione ex art. 615 se proprio contesta radicalmente la pignorabilità. Ad esempio, se erroneamente gli venisse pignorato metà stipendio senza titolo che lo giustifichi, può chiedere immediata rettifica. Il giudice provvederà in tempi rapidi, data la natura alimentare di quelle somme.

Un caso particolare importante: prima casa impignorabile dal Fisco. Dal 2013 (DL 69/2013, conv. L. 98/2013, inserito nell’art. 76 del DPR 602/1973) è stabilito che l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) non può pignorare l’unico immobile di residenza del debitore, a condizione che non sia un immobile di lusso e che il debitore non abbia altri immobili. In pratica, se un contribuente ha un solo immobile che è la sua casa di abitazione, il Fisco non può procedere con esecuzione immobiliare su di esso per i tributi non pagati (restano consentite ipoteche di garanzia sopra certe soglie di debito, ma non l’espropriazione). Questa norma non vale per i creditori privati, ma è molto rilevante per i debitori verso il Fisco. La Cassazione, ord. 32759 del 16/12/2024, ha di recente confermato l’impignorabilità della prima casa da parte di Agenzia Entrate-Riscossione, ribadendo che tale divieto persiste per l’unico immobile non di lusso ove il debitore risiede. Dunque, se erroneamente venisse tentato un pignoramento su prima casa per cartelle esattoriali, il debitore può far valere immediatamente l’inopponibilità dell’atto esecutivo per legge (tramite incidente di opposizione, anche se spesso questi atti non vengono nemmeno accettati dai tribunali perché noti come illegittimi).

Altri beni non pignorabili o con divieti speciali:

  • Fondi patrimoniali e trust: beni conferiti in fondo patrimoniale sono impignorabili per debiti estranei ai bisogni familiari. Se un creditore ci prova e il debito non ha attinenza, il debitore può opporsi ex art. 615 c.p.c. In caso di trust, pignorare beni formalmente intestati al trust può essere complesso: la giurisprudenza (es. Trib. Roma 2019) ha detto che pignorare beni intestati al “Trust X” come se il trust fosse un soggetto è un errore – bisogna pignorare presso il trustee (amministratore) i beni del trust. Se un creditore li pignora erroneamente, quell’esecuzione può essere dichiarata improcedibile (pignoramento contro soggetto inesistente o incapace). Ad esempio, si è affermato che un pignoramento trascritto contro un trust non vale, perché il trust non è persona giuridica; va rifatto contro il trustee.
  • Beni in comunione legale dei coniugi: se solo uno dei coniugi è debitore, i beni in comunione possono essere pignorati ma con procedure di cautela (notifica al coniuge non debitore che può chiedere la separazione dei beni). La legge prevede tutele per il coniuge estraneo, ma qui entriamo in finezze particolari. Non è un’impignorabilità assoluta, ma un regime protetto.
  • Veicoli speciali: non c’è un divieto generale di pignorare l’auto del debitore (spesso anzi è uno dei primi bersagli). Però se il veicolo è strumentale al lavoro del debitore (es. unico furgone di un artigiano), potrebbe rientrare negli strumenti di lavoro impignorabili, valutando caso per caso. Ad ogni modo l’auto è pignorabile tramite iscrizione al PRA ed eventualmente sequestro fisico (art. 521-bis c.p.c.). Non esistono limiti specifici come per la casa prima abitazione (tranne per fisco: il Fisco non può pignorare automezzi se il debito è sotto €10.000, introdotto dal 2021).
  • Conti correnti cointestati: se un conto è cointestato tra debitore e terzo, si può pignorare solo la quota parte spettante al debitore (presunta al 50%, salvo prova contraria). Il terzo cointestatario può opporsi per liberare la sua parte. Questo è un limite parziale: non impignorabilità, ma pignorabilità pro-quota.

Conclusione su beni impignorabili: quando un pignoramento ha per oggetto un bene o credito che la legge dichiara non pignorabile, il debitore ha una difesa potente. Può sollevare la questione con opposizione all’esecuzione (in quanto contesta il diritto a procedere su quel bene). Il giudice, verificata la natura impignorabile, esclude il bene dalla procedura. Se era l’unico bene attaccato, la procedura si estingue proprio perché manca l’oggetto. Se vi erano più beni, la procedura continua solo sugli altri. Questo è particolarmente importante per il salario/pensione: il debitore deve vigilare che non vengano superati i limiti, altrimenti può immediatamente chiedere al giudice di ridurre il pignoramento alla soglia legale.

Procedure concorsuali e altri casi di sospensione legale dell’esecuzione

Come accennato in precedenza, vi sono situazioni in cui la legge preclude o sospende le azioni esecutive individuali a favore di procedure collettive o di composizione delle crisi. Dal punto di vista del debitore, utilizzare questi strumenti può rendere improcedibili i pignoramenti avviati dai singoli creditori.

Fallimento (liquidazione giudiziale)

Con la dichiarazione di fallimento (ora liquidazione giudiziale nel Codice della Crisi d’Impresa), la legge blocca le esecuzioni in corso e vieta di intraprenderne di nuove. L’art. 150 CCII recita che dal giorno dell’apertura della liquidazione giudiziale “nessuna azione individuale esecutiva… può essere iniziata o proseguita” sul patrimonio del debitore. Inoltre, gli atti compiuti in violazione di tale divieto sono nulli o inefficaci. Tradotto: se un creditore ignaro (o malinformato) notifica un pignoramento dopo la sentenza di fallimento, quell’atto non ha valore e il curatore può agire per farlo dichiarare nullo. Se invece il pignoramento era in corso da prima, si “congela” e normalmente il G.E. su istanza del curatore o del debitore fallito emette un’ordinanza di chiusura per improcedibilità sopravvenuta (come già spiegato, mantenendo però eventuali effetti di prenotazione del credito).

Dal lato pratico per il debitore: una volta fallito, non deve più subire pignoramenti (i creditori devono andare in insinuazione al passivo nel fallimento). Quindi se un creditore tentasse ugualmente un’esecuzione, il debitore (o il curatore, che ne ha la rappresentanza) solleverà immediatamente l’eccezione e il giudice esecutivo chiuderà.

È utile sapere che, se il debitore non è ancora fallito ma è in corso un’istanza di fallimento, il tribunale fallimentare può su richiesta emettere provvedimenti d’urgenza per sospendere temporaneamente le esecuzioni (specie in concordato, vedi oltre). In più, se un creditore ha già pignorato qualcosa e poi sopravviene il fallimento entro 90 giorni dal pignoramento, quell’atto di pignoramento potrebbe essere revocabile ex art. 164 CCII (azione revocatoria fallimentare), ma questo riguarda i rapporti tra curatore e singolo creditore.

Concordato preventivo e ristrutturazione debiti

Quando un’impresa presenta domanda di concordato preventivo, viene di solito richiesta e ottenuta dal tribunale una “protezione” dalle azioni esecutive individuali: nella vecchia legge fallimentare c’era l’art. 168 L.F., ora nel Codice della Crisi ci sono misure protettive (artt. 54-55 CCII). In pratica, dalla data di ammissione al concordato (o anche dalla pubblicazione della domanda di concordato con riserva) le esecuzioni individuali rimangono sospese e non se ne possono iniziare di nuove.

Se il debitore (impresa o imprenditore) ottiene l’apertura del concordato, qualsiasi pignoramento notificato dopo quel momento è inibito. Deve essere dichiarato improcedibile dal G.E. su segnalazione. Se un pignoramento era in corso, rimane sospeso: di solito i G.E. attendono l’esito del concordato e poi dispongono l’estinzione se il concordato viene omologato (i crediti saranno trattati in quella sede).

Il debitore in concordato ha dunque un modo per “congelare” i pignoramenti. Ad esempio, un’azienda con vari creditori presenta domanda di concordato in bianco; il tribunale concede le misure protettive; i creditori che stavano pignorando merci o crediti devono fermarsi. Il debitore segnala ai G.E. la pendenza del concordato, allegando il decreto, e i giudici sospendono le vendite. Se un creditore notificasse un nuovo pignoramento in violazione, il debitore con opposizione urgente otterrebbe la sua nullità.

Procedure di sovraindebitamento (piani del consumatore, accordi, liquidazione del patrimonio)

Per i soggetti non fallibili (privati, piccoli imprenditori), esiste dal 2012 la legge sul sovraindebitamento, oggi confluita nel Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019). Le procedure come il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore e l’accordo di composizione prevedono anch’esse misure protettive analoghe al concordato. In particolare:

  • Quando un consumatore presenta ricorso per ottenere un piano di ristrutturazione dei debiti o un accordo, può chiedere al giudice la sospensione delle esecuzioni in corso. Il giudice emette un decreto che vieta l’inizio o la prosecuzione di pignoramenti per tutta la durata della procedura (massimo 120 giorni, prorogabili).
  • Se la procedura viene omologata, i debiti sono ristrutturati e le esecuzioni individuali perdono ragion d’essere (i creditori devono attendere l’esecuzione del piano; eventuali ipoteche potrebbero essere posticipate secondo il piano).
  • Addirittura, nella liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”), l’effetto è simile al fallimento: nominato un liquidatore, i beni vengono liquidati in modo unitario e i creditori non possono agire se non nel concorso.

Un esempio: Maria, persona fisica sovraindebitata, subisce pignoramento della casa da un creditore. Decide di presentare un ricorso per piano del consumatore. Il tribunale emette subito un decreto di sospensione dell’esecuzione immobiliare in corso (art. 54 CCII). Il G.E. riceve il decreto e sospende la procedura esecutiva (questo è accaduto in vari casi pratici, e siti specializzati riportano frasi come “bloccato pignoramento con ammissione piano del consumatore”). Se poi il piano viene omologato e prevede ad esempio che la casa non sia venduta ma i creditori vengano soddisfatti diversamente, il pignoramento verrà estinto definitivamente.

La giurisprudenza di merito è generalmente favorevole a sospendere le esecuzioni pendenti in caso di procedure da sovraindebitamento: serve a dare respiro al debitore e a trattare in maniera ordinata i crediti. Talora, se un creditore pignorante è garantito da ipoteca, la sospensione può non essere concessa per quell’esecuzione specifica (dipende dal caso, con le nuove norme il giudice della crisi ha discrezionalità). Ma se concessa, è vincolante.

Insomma, attivare una procedura concorsuale è uno strumento importante per il debitore per rendere improcedibili i singoli pignoramenti. Dal momento dell’apertura, i creditori dovranno inserirsi nella procedura collettiva: se insistono nell’esecuzione individuale violando la legge, il debitore li fermerà facilmente con l’ordinanza di sospensione in mano.

Sospensioni ex lege temporanee e moratorie

In alcuni periodi, il legislatore è intervenuto con sospensioni generalizzate delle esecuzioni, ad esempio durante l’emergenza Covid-19 (2020) furono sospese per alcuni mesi le procedure immobiliari sulla prima casa. Oppure ci sono state norme di “moratoria” come il divieto di pignorare case in zone terremotate, ecc. Queste sono situazioni eccezionali in cui, per legge, le esecuzioni diventano improcedibili temporaneamente. Il debitore non deve far altro che eccepire la norma emergenziale per ottenere la sospensione.

Un caso tipico e attuale è la moratoria nei piani di ristrutturazione del debito: talvolta i piani prevedono una moratoria (es. pagamento dei creditori dopo un anno). Ci si è chiesti se durante quell’anno i creditori potessero pignorare. La Cass. 9549/2025 pare aver interpretato che la moratoria concordataria fino a un anno impedisce ai creditori di agire esecutivamente in quel periodo, perché i pagamenti sono differiti e l’accordo li vincola. Insomma, se il piano omologato dice “inizi a pagare tra 12 mesi”, i creditori soggetti al piano non possono dire “nel frattempo pignoro”; devono attendere, altrimenti violerebbero l’omologazione.

Inoltre, ricordiamo che, se c’è una causa pendente sul titolo esecutivo (es.: appello, opposizione a decreto ingiuntivo) il debitore può chiedere al giudice competente di sospendere l’esecutività del titolo (art. 283 c.p.c. in appello, art. 649 c.p.c. per decreto opposto). Se il giudice concede la sospensione del titolo, automaticamente il pignoramento in corso deve fermarsi perché viene meno la provvisoria esecutorietà. Il debitore comunicherà l’ordinanza di sospensione al G.E., e il G.E. disporrà la sospensione della procedura esecutiva (art. 624 c.p.c.). Se poi il giudizio definisce nel merito a favore del debitore (titolo annullato), l’esecuzione sarà chiusa definitivamente.

Riassumendo questa sezione: il debitore può invocare varie circostanze esterne per bloccare pignoramenti:

  • Apertura di fallimento o liquidazione giudiziale: blocco totale.
  • Ammissione a concordato preventivo o omologa: blocco pignoramenti.
  • Ammissione a piano del consumatore/accordo sovraindebitamento: blocco pignoramenti (su richiesta, ma quasi automatico).
  • Sospensione giudiziale del titolo in un processo di impugnazione: pignoramento sospeso finché il titolo è congelato.
  • Norme di legge temporanee: ad es., l. 3/2012 prevedeva che se il debitore deposita una proposta di accordo, potesse chiedere al tribunale di sospendere i pignoramenti già pendenti sino all’omologazione (ed era spesso concesso).

Dal lato procedurale, il debitore userà perlopiù istanze al G.E. e comunicazioni di provvedimenti. Se il creditore non cooperasse, c’è sempre la strada dell’opposizione all’esecuzione, ma raramente serve arrivarci se c’è un chiaro dettato normativo: il giudice dell’esecuzione è tenuto a prendere atto di fallimento, concordato o provvedimento di sospensione.

Va notato che l’art. 624-bis c.p.c. consente al giudice dell’esecuzione di sospendere l’esecuzione anche in via “atipica” per gravi motivi, su istanza del debitore (ad esempio, se pende opposizione all’esecuzione e il giudice la ritiene molto fondata, può dare una sospensione extra). Questo però esula dalle cause “oggettive” di improcedibilità, essendo discrezionale. Comunque, è uno strumento in più nelle mani del debitore per congelare temporaneamente la procedura, in attesa della decisione sull’opposizione.

Opposizioni del debitore: strumenti per far valere l’improcedibilità

Abbiamo più volte menzionato le opposizioni esecutive come mezzo per il debitore di far valere i suoi diritti. Riassumiamo brevemente i tipi di opposizione e in quali casi si usano, in riferimento alle cause di improcedibilità:

  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): serve a contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione. Può essere proposta prima che inizi l’esecuzione (opposizione al precetto) o dopo l’inizio (opposizione successiva). Nell’opposizione all’esecuzione il debitore può far valere:
    • L’inesistenza o invalidità sostanziale del titolo esecutivo (es: titolo già soddisfatto, non più valido, prescritto, soggetto a condizione non avverata, etc.).
    • L’impignorabilità del bene aggredito o la mancanza di legittimazione del creditore procedente (tutte questioni che attengono al diritto di procedere).
    • Fatti estintivi sopravvenuti (pagamento, transazione, etc.).
    • In generale, ogni motivo per cui il creditore non avrebbe dovuto iniziare o proseguire l’esecuzione.
    L’opposizione all’esecuzione preventiva (prima del pignoramento) si fa con atto di citazione contro il creditore, davanti al giudice competente indicato nel precetto (di solito il tribunale dell’esecuzione). Se il debitore la propone dopo aver ricevuto il precetto ma prima che avvenga il pignoramento, può chiedere a quel giudice di merito una sospensione ex art. 615 co.1 c.p.c. (ma in pratica i tempi sono stretti e spesso il pignoramento arriva prima della decisione). L’opposizione all’esecuzione successiva (dopo il pignoramento) si propone con atto di citazione al tribunale dell’esecuzione; tuttavia, siccome l’esecuzione è in corso, il debitore può contestualmente chiedere al G.E. la sospensione immediata (art. 624 c.p.c.), oppure chiedere allo stesso giudice dell’opposizione un provvedimento cautelare. In molti tribunali, la prassi è: il debitore deposita ricorso al G.E. ex art. 624 spiegando i motivi di opposizione (ad es: “titolo già pagato, chiedo sospensione”), il G.E. fissa un’udienza a breve per decidere la sospensione e nel frattempo il debitore introduce la causa di merito (citazione) davanti al tribunale. L’opposizione all’esecuzione non ha un termine fisso (tranne l’ovvia regola che se è preventiva va fatta entro la fine dei 90 giorni del precetto, e se è successiva va proposta prima che l’esecuzione sia terminata). Dottrina e giurisprudenza dicono che il termine ultimo per proporla è fino al momento in cui il provvedimento distributivo del ricavato diventa definitivo. Ad esempio, se l’immobile è venduto, ma la distribuzione non è ancora approvata, il debitore potrebbe ancora sollevare un’opposizione all’esecuzione su motivi rilevanti (in pratica, però, arrivare così tardi può pregiudicare la tutela, specie per proteggere i terzi acquirenti). Infatti l’art. 2929 c.c. tutela gli aggiudicatari se i vizi vengono fuori tardivamente. Quindi meglio proporre opposizione all’esecuzione il prima possibile per le questioni sostanziali. Competenza: se l’esecuzione è davanti al tribunale, l’opposizione all’esecuzione va in tribunale. Se fosse per caso davanti al giudice di pace (casi rari per importi minori su mobili?), andrebbe lì. Esempi di opposizione all’esecuzione che rendono improcedibile il pignoramento:
    • Debitore oppone che il debito è già prescritto da anni prima del precetto: se ha ragione, il pignoramento verrà dichiarato illegittimo.
    • Debitore oppone che la casa è un bene in fondo patrimoniale non vincolabile per quel debito: se provato, il pignoramento sarà nullo su quell’immobile.
    • Debitore oppone che lui non è il soggetto debitore (scambio di persona): se vero, l’esecuzione contro di lui verrà annullata.
    • Debitore oppone un fatto sopravvenuto (es. ottenuto un piano di ristrutturazione, come visto): il pignoramento viene stoppato.
  • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): come visto dettagliatamente prima, riguarda i vizi formali. Termine perentorio 20 giorni. In pratica:
    • Prima dell’esecuzione (cioè contro titolo e precetto per vizi formali, come notifica viziata del precetto): atto di citazione in 20 gg dalla notifica.
    • Durante l’esecuzione (contro pignoramento e atti del G.E. o del delegato): ricorso al G.E. in 20 gg dal compimento o dalla conoscenza dell’atto.
    L’opposizione agli atti può portare alla nullità dell’atto impugnato. Se l’atto è il pignoramento ed esso viene annullato, l’intera esecuzione cade (improcedibilità). Se l’atto viziato è successivo (es. un’ordinanza di vendita emessa senza sentire le parti, ecc.), l’annullamento di quell’atto può far retrocedere la procedura di un passo, ma non la estingue del tutto. L’opposizione agli atti esecutivi può riguardare anche atti del procedimento di distribuzione (ad es. un’assegnazione non conforme alle regole). Competenza: il G.E. stesso decide sulle opposizioni agli atti durante l’esecuzione. In forma di ordinanza, reclamabile al collegio (Tribunale) ex art. 630 c.p.c. Spesso però se la questione è complessa, il G.E. può anche convertire il ricorso in citazione e rimettere le parti davanti al collegio in camera di consiglio. In caso di opposizione a precetto o titolo (prima del pignoramento), il giudice competente è quello del luogo di notifica del precetto ex art. 480, ed è definita con sentenza in contraddittorio. Dal punto di vista del debitore, l’opposizione agli atti è un meccanismo di garanzia formale: non scalfisce il diritto del creditore di soddisfarsi, ma fa in modo che la procedura segua la forma corretta. A volte annullare un atto formale (come la notifica nulla) può dargli un sollievo temporaneo grande: il creditore dovrà rifare la notifica, forse rinnovare il precetto, insomma ripartire da un certo punto, guadagnando tempo per il debitore e forse spingendo il creditore a negoziare. Non a caso, molti avvocati difensori dei debitori usano strategicamente l’opposizione agli atti per “guadagnare tempo” (purché ci siano vizi reali da far valere, altrimenti l’opposizione temeraria può portare condanna a spese e sanzioni).
  • Opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.): la citiamo per completezza. Non è l’opposizione del debitore, ma del terzo proprietario o terzo avente diritto su bene pignorato. Serve se il bene pignorato non appartiene al debitore o è in comunione col terzo per una quota non del debitore. Ad esempio: pignorano un’auto intestata a Sempronio, pensando fosse di Caio debitore, allora Sempronio fa opposizione di terzo per liberare il suo veicolo. Oppure pignorano un bene in comunione dei coniugi per un debito di uno solo: il coniuge non debitore può opporsi per la sua metà. Dal lato del debitore, questa opposizione non lo riguarda direttamente, ma in pratica è un’altra via con cui l’esecuzione può fermarsi (se il terzo ha ragione, il pignoramento viene dichiarato inefficace perché colpisce patrimonio altrui). Il debitore potrà eventualmente sollecitare il terzo a fare opposizione se sa che un bene pignorato non era suo.
  • Opposizione alla distribuzione (art. 512 c.p.c.): quando si arriva alla fase finale di distribuzione del ricavato tra più creditori, se il debitore contesta il progetto di distribuzione (magari perché ritiene qualche credito non dovuto, o spese eccessive), può sollevare opposizione alla distribuzione. Questo però non mette in discussione il pignoramento in sé (ormai i beni sono stati venduti), ma solo come dividerne il ricavato. È residuale e poco usata dal debitore, perché di solito a quel punto non ha grande interesse (il denaro verrà comunque ai creditori, salvo rivendicare residui minimi).

Sommario pratico per il debitore:

  • Se vuole contestare che il creditore non poteva agire, userà opposizione all’esecuzione (615).
  • Se rileva errori di forma o notifiche, userà opposizione agli atti (617).
  • Se un terzo rivendica i beni, quell’altro soggetto farà opposizione di terzo (619).
  • Tutte queste opposizioni possono essere cumulate se necessario (es. in una stessa causa si possono dedurre più motivi, alcuni di merito e alcuni formali, anche se il rito potrebbe complicarsi; in genere conviene tenerle distinte).

È fondamentale agire nei termini corretti (subito per art. 615 se prima, entro 20 giorni per 617, ecc.) e presso il giudice competente. Per esempio, un errore comune: confondere un’opposizione all’esecuzione con una agli atti e proporla con il rito sbagliato o fuori termine – ciò può portare all’inammissibilità. Ad esempio, se il debitore contesta una notifica nulla del precetto e lo fa dopo 30 giorni, quella opposizione verrà dichiarata tardiva e il vizio considerato sanato.

Sospensione della procedura (art. 624 c.p.c.)

Quando il debitore propone opposizione (615 o 617), di solito chiede contestualmente la sospensione dell’esecuzione in corso, per evitare che intanto si arrivi alla vendita. Come già menzionato:

  • Se c’è opposizione all’esecuzione successiva, il debitore chiede al G.E. la sospensione ex art. 624 c.p.c. Il G.E. la concede se ravvisa “gravi motivi”. Ad esempio, se il debitore ha prove evidenti che il titolo è inesistente o che il bene è impignorabile, il giudice sospende, attende l’esito dell’opposizione di merito.
  • Se c’è opposizione agli atti, il giudice può sospendere gli atti successivi relativi (in realtà, l’opposizione agli atti di per sé può bloccare la fase finché non è decisa).

Anche senza opposizione, come visto, il debitore può chiedere sospensione ex art. 624-bis per ragioni particolari (ma serve un accordo con i creditori o depositare cauzione, quindi non comune).

Oppure, come visto, porta un provvedimento di sospensione del titolo (283 c.p.c. ecc.) o misure concorsuali: pure in questi casi l’esecuzione resta sospesa.

La sospensione è importante perché inibisce la vendita. Se la vendita avvenisse prima che ci sia una decisione sull’opposizione, il debitore rischia di perdere il bene comunque (con tutela limitata poi, vista la protezione dell’acquirente). Quindi ottenere la sospensione è spesso cruciale per il debitore.

Statisticamente, i giudici concedono la sospensione solo se i motivi appaiono seri e non dilatori: ad esempio, se il debitore porta la quietanza di pagamento del debito, è probabile la sospensione; se semplicemente contesta senza prova, di solito negata per non rallentare l’esecuzione senza motivo.

Esito delle opposizioni: se l’opposizione del debitore ha successo, il risultato è tipicamente una pronuncia che dichiara:

  • Nel caso di opposizione all’esecuzione: “l’esecuzione forzata non doveva essere iniziata o proseguita” quindi di fatto cessa. Spesso la formula è “accoglie l’opposizione e dichiara improcedibile l’esecuzione”.
  • Nel caso di opposizione agli atti: “annulla il pignoramento” (o l’atto viziato) con conseguente inefficacia e cessazione della procedura.
  • Il debitore in questi casi ottiene vittoria di principio e anche la condanna del creditore alle spese processuali (salvo compensazioni se c’erano dubbi seri).

Al contrario, se le opposizioni vengono rigettate, l’esecuzione riprende e il debitore potrebbe dover pagare spese e talvolta risarcimento per opposizione pretestuosa (in casi di dolo o colpa grave, art. 96 c.p.c.).

In ogni caso, l’opposizione è il veicolo processuale necessario per far valere in giudizio le ragioni del debitore: senza di essa, molte eccezioni non possono essere prese in considerazione dal giudice esecutivo (a parte titoli mancanti d’ufficio).

Esempi pratici (casi simulati)

Di seguito presentiamo alcuni casi pratici simulati che illustrano le varie situazioni di improcedibilità del pignoramento dal punto di vista del debitore, con la relativa soluzione giuridica.

Caso 1: Pignoramento immobiliare senza deposito nei termini
Debitore: Mario. – Creditore: Banca X.
Mario subisce un pignoramento immobiliare sulla sua casa il 2 gennaio 2025 (l’ufficiale giudiziario gli notifica l’atto e lo consegna al creditore). La Banca X, però, non iscrive a ruolo il pignoramento entro 15 giorni (avrebbe dovuto farlo entro il 17 gennaio). Passano tre settimane e Mario non riceve alcuna comunicazione dal tribunale. Nel frattempo, Mario si informa e scopre che alla cancelleria esecuzioni non risulta alcun fascicolo aperto a suo nome. Che può fare Mario?

Soluzione: Ai sensi dell’art. 557 c.p.c., il pignoramento è divenuto inefficace il 18 gennaio, trascorsi 15 giorni senza deposito. Mario, per sicurezza, tramite il suo avvocato, presenta un’istanza al giudice dell’esecuzione (Tribunale) segnalando che il creditore non ha iscritto la procedura nei termini e chiedendo di dichiarare l’inefficacia del pignoramento e disporre la cancellazione della trascrizione. Il G.E., verificato che effettivamente non vi è stato deposito (oppure c’è stato ma tardivo), emette un decreto/ordinanza che dichiara improcedibile l’esecuzione e ordina la cancellazione della nota di pignoramento. Mario conserva la sua casa; la banca per tentare di nuovo dovrà notificare un nuovo precetto (il precedente è ormai decaduto anch’esso) e rifare da capo tutto, con aggravio di costi. È probabile che la banca, resasi conto dell’errore, tenti di trovare un accordo con Mario invece di procedere nuovamente.

Caso 2: Pignoramento con precetto scaduto
Debitore: Anna. – Creditore: Società di recupero crediti Y.
Anna riceve un atto di precetto il 1 marzo 2025 intimante il pagamento di €10.000 entro 10 giorni per un vecchio debito. Per varie ragioni, la società creditrice Y non procede subito. Passano 4 mesi (oltre 90 giorni). Il 10 luglio 2025 l’ufficiale giudiziario si presenta da Anna per pignorarle l’auto su richiesta di Y. Anna firma il verbale di pignoramento, ma il suo avvocato nota che il precetto allegato porta la data 1 marzo, quindi oltre 4 mesi prima. Cosa può fare Anna?

Soluzione: Il precetto era valido solo fino al 30 maggio (90 gg da 1 marzo). Avviando il pignoramento il 10 luglio, il precetto era inefficace ex art. 481 c.p.c. Di conseguenza, il pignoramento è stato eseguito senza un precetto valido, cioè senza condizione necessaria. Anna deve proporre prontamente un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., facendo valere l’inesistenza di un precetto valido. Potrà depositarla lo stesso luglio al tribunale competente. Nel frattempo può chiedere al G.E. la sospensione (dato che l’illegittimità è evidente). Il giudice, verificato che il pignoramento è avvenuto oltre i 90 gg dal precetto, con ogni probabilità accoglierà l’opposizione dichiarando nullo/improcedibile il pignoramento perché “eseguito in mancanza di valido precetto”. L’auto di Anna dovrà esserle restituita immediatamente. La società Y verrà anche condannata a pagare le spese legali di Anna. Se vorrà riprovarci, dovrà notificare un nuovo precetto (ormai quello di marzo non valeva più) e rifare pignoramento; ma intanto ha perso diversi mesi e ha mostrato una certa negligenza, cosa che Anna potrebbe sfruttare in eventuali trattative (magari offrendo un saldo a stralcio per chiudere).

Caso 3: Pignoramento di bene impignorabile
Debitore: Roberto.
Roberto ha un conto corrente bancario dove gli viene accreditata solo la pensione minima che percepisce, pari a €800 al mese. Un creditore notifica pignoramento alla banca per €5.000. La banca, per errore, blocca l’intero saldo del conto (ad esempio €1.600). Roberto si ritrova improvvisamente senza accesso alla pensione e non può neanche prelevare per le spese correnti. Che può fare?

Soluzione: La pensione di Roberto è al di sotto del minimo vitale di circa €1.068 (nel 2024-25). Pertanto essa è assolutamente impignorabile nella sua interezza. Il pignoramento sul conto, nella parte in cui tocca somme frutto della pensione entro quella soglia, è illegittimo. Roberto, tramite un avvocato o anche da solo con ricorso in carta semplice, deve rivolgersi al Giudice dell’esecuzione (Tribunale) per ottenere la liberazione delle somme. Di solito, è sufficiente una “istanza di svincolo di somme impignorabili” allegando prova che il conto riceve solo la pensione di quell’importo (es. estratti conto con evidenza accredito INPS). Il G.E., verificato ciò, emetterà un provvedimento di sblocco, ordinando alla banca di liberare le somme fino a concorrenza dell’importo impignorabile (qui tutto, €1.600, perché inferiore a €1.068 x 1,5 mensilità, a seconda delle interpretazioni). La banca eseguirà e Roberto riavrà accesso ai suoi soldi. Il creditore rimarrà insoddisfatto (come è giusto in quanto per legge non poteva prendere la pensione minima). Non essendo neanche necessario un giudizio contenzioso, la soluzione è abbastanza rapida (nel frattempo il G.E. potrebbe anche con una telefonata sollecitare la banca a sbloccare, se opportuno). Roberto potrebbe anche, in aggiunta, fare opposizione ex art. 615 c.p.c. per far dichiarare impignorabile la pensione, ma spesso non occorre una causa vera e propria: il giudice esecutivo risolve con ordinanza nel procedimento esecutivo stesso. D’ora in poi, quel creditore non potrà attaccare la pensione di Roberto se resta di quell’importo; potrà al più tentare di pignorare altri beni (se esistenti).

Caso 4: Pignoramento con errore formale nell’atto
Debitore: Lucia.
Lucia riceve un atto di pignoramento presso terzi avente ad oggetto il suo conto PayPal presso una società. Nell’atto, però, l’udienza di comparizione è fissata in data sbagliata: indica 30 febbraio (inesistente) 2025. Inoltre, il luogo indicato è “Tribunale di Torino” mentre Lucia risiede a Milano e il giudice competente sarebbe quello di Milano. Che può fare Lucia?

Soluzione: Siamo di fronte a vizi formali del pignoramento: data impossibile, indicazione di giudice incompetente. Questi errori comportano nullità del pignoramento perché rendono impossibile o molto difficile il proseguimento: un’udienza indicata in un giorno inesistente è come non fissata affatto; l’indicazione del giudice errato genera confusione (il fascicolo sarà a Milano presumibilmente, ma l’atto dice Torino). Lucia deve proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni da quando ha ricevuto l’atto (supponiamo glielo abbiano notificato il 10 aprile, avrà tempo fino al 30 aprile). Nel suo ricorso, evidenzia i due errori e chiede l’annullamento dell’atto di pignoramento. Il G.E. con ogni probabilità accoglierà: infatti la Suprema Corte insegna che l’assenza di un elemento essenziale come l’indicazione valida dell’udienza rende nullo l’atto per violazione dell’art. 543 c.p.c. La nullità non può ritenersi sanata perché Lucia non ha potuto di fatto partecipare ad un’udienza (non c’era data utile) e l’errore sul giudice crea un’assoluta incertezza sul luogo. Quindi il giudice dichiarerà la nullità del pignoramento presso terzi. Ciò rende l’esecuzione improcedibile: la banca o società terza è sciolta da obblighi, Lucia torna padrona del suo conto. Il creditore potrà eventualmente rifare la procedura correggendo gli errori (questa volta davanti al giudice giusto e con data corretta), ma intanto ha perso tempo e dovrà pagare le spese legali a Lucia per l’opposizione.

Caso 5: Titolo esecutivo viene meno durante l’esecuzione
Debitore: Marco.
Marco è stato condannato con sentenza di primo grado a pagare €50.000 a Alfa. Alfa notifica precetto e avvia pignoramento di un appartamento di Marco. Però, pochi mesi dopo, esce la sentenza d’appello che riforma la decisione e assolve Marco dal pagamento (o riduce l’importo). L’appello non era provvisto di sospensiva, quindi l’esecuzione era partita lecitamente. Ora Marco si trova con un pignoramento immobiliare in corso (magari l’asta ancora da fissare) ma con una sentenza d’appello a sé favorevole. Che deve fare?

Soluzione: In base ai principi visti, manca più il titolo esecutivo valido: la condanna è stata eliminata o ridotta. Marco (tramite l’avvocato) presenta subito un’istanza al G.E. allegando copia autentica della sentenza d’appello che revoca/modifica il titolo. Chiede la sospensione immediata della procedura e la successiva chiusura per mancanza del titolo. Il giudice può direttamente dichiarare cessata la materia (se è chiarissimo che nulla più è dovuto) oppure sospendere e invitare Alfa a spiegare se residua qualcosa. Nella maggior parte dei casi, se la sentenza d’appello annulla totalmente il debito, il giudice dell’esecuzione emette un’ordinanza con cui dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione per sopravvenuta caducazione del titolo. Il pignoramento viene cancellato, l’immobile di Marco è salvo e libero da vincoli (eventualmente il giudice ordina la cancellazione della trascrizione). Alfa dovrà anche pagare le spese a Marco, e restituirgli magari quanto eventualmente incassato provvisoriamente. – Se invece la sentenza di secondo grado riduce soltanto la somma (es. da 50.000 a 10.000), allora il titolo originario non è sparito del tutto, ma è mutato. In questo caso l’esecuzione attuale diventa illegittima per l’eccedenza: Marco avrebbe dovuto subire pignoramento solo per 10.000. Il G.E. quindi sospenderà la procedura; Alfa dovrà ricalcolare il dovuto. Verosimilmente il giudice dichiarerà estinto il pignoramento attuale per come è impostato e Alfa dovrà eventualmente riprendere l’esecuzione limitatamente al nuovo importo (forse con un nuovo precetto per il saldo di 10.000 se non volontariamente pagato). Marco così almeno non rischia di perdere l’intero immobile per un debito molto minore (di solito in questi casi si cerca un accordo: con una condanna ridotta, spesso il debitore paga e toglie il problema).

Caso 6: Creditore procedente senza prova della cessione del credito
Debitore: Sara. – Creditore procedente: Società Beta. – Originario creditore: Banca Z.
Sara aveva un mutuo con Banca Z, che ottenne decreto ingiuntivo. La banca però ha ceduto quel credito a Società Beta (cartolarizzazione), come da avviso in G.U. Beta avvia pignoramento immobiliare come cessionaria. Sara però nota che Beta allega solo un estratto di Gazzetta Ufficiale con centinaia di crediti elencati in modo generico; inoltre emerge che la Banca Z ha ceduto in blocco a più società in tempi diversi e non è chiaro se Beta sia realmente la titolare del credito di Sara. Il G.E., su istanza di Sara, aveva inizialmente chiesto a Beta di produrre il contratto di cessione, ma Beta esibisce solo una scrittura non autenticata e parziale, contestata da Sara. Come si risolve?

Soluzione: Questo scenario ricalca quello reale del Tribunale di Imperia 2023 esaminato prima. Mancando la prova certa che Beta sia creditore, il pignoramento è viziato da difetto di legittimazione attiva. Sara, attraverso il suo legale (che per l’appunto era Avv. Orsini come da caso reale), ha proposto opposizione all’esecuzione contestando il diritto di Beta di procedere, e il G.E. ha sospeso il tutto e chiesto chiarimenti. Non essendo arrivata una prova soddisfacente, il Tribunale (in sede di merito sull’opposizione) ha confermato l’improcedibilità dell’esecuzione e disposto la cancellazione del pignoramento. Sara dunque salva l’immobile. Questa vicenda insegna al debitore di non dare per scontato che chi lo pignora abbia davvero titolo: se c’è stata una cessione, il debitore può pretendere che sia provata rigorosamente. Nel dubbio, il giudice ferma tutto, perché far vendere la casa a favore di un soggetto che forse non è creditore sarebbe gravissimo. Dal canto suo, Beta se vorrà riprovarci dovrà magari recuperare l’atto notarile di cessione completo e notificarlo, oppure trovare un accordo con Sara. In definitiva, il rilievo di Sara ha fatto sì che “manca la prova del titolo in capo al procedente”, quindi il pignoramento va caducato.

Caso 7: Clausole abusive nel titolo (decreto ingiuntivo non opposto)
Debitore: Davide, consumatore. – Creditore: Banca Q.
Davide ha fatto da fideiussore per un prestito bancario nel 2015. Nel contratto di fideiussione vi erano clausole che riproducevano lo schema ABI (ad esempio clausola di reviviscenza, ecc.). Nel 2018 Banca Q ha ottenuto decreto ingiuntivo contro Davide come fideiussore, per €20.000. Davide, non capendo bene e confidando che l’altro obbligato pagasse, non ha fatto opposizione. Il decreto è passato in giudicato. Nel 2024, la banca (o una cessionaria) avvia pignoramento immobiliare sulla casa di Davide per recuperare quella somma. Davide nel frattempo è venuto a conoscenza di pronunce che dichiarano nulle le fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI 2003 perché intese restrittive della concorrenza (Cass. S.U. 41994/2021). Cosa può fare, dato che il titolo è definitivo?

Soluzione: Questo caso rientra esattamente nell’ambito della Cass. Sezioni Unite 9479/2023. Davide deve, tramite il suo legale, presentare istanza al Giudice dell’esecuzione invocando la recente giurisprudenza: evidenzierà che il suo decreto ingiuntivo era fondato su una fideiussione con clausole dichiarate nulle (clausole abusive perché contrarie a norme antitrust e potenzialmente anche al Codice del Consumo). Chiederà quindi la sospensione dell’esecuzione per poter proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo. Il G.E., constatato che: (a) il titolo è un decreto non opposto; (b) emergono clausole potenzialmente nulle che, se valutate, avrebbero potuto evitare l’emissione del titolo o ridurre l’importo (tipicamente, se la fideiussione è nulla parzialmente, forse il debito garantito crolla o viene contestato), accoglierà la richiesta di sospensione. Quindi disporrà il blocco del pignoramento immobiliare di Davide, magari per un periodo definito (es. 90 giorni) entro cui Davide dovrà depositare l’opposizione tardiva al decreto in tribunale. A quel punto, Davide potrà in sede di merito far valere la nullità parziale della fideiussione: se il giudice accerterà che quelle clausole sono nulle, potrebbe ridurre o azzerare la pretesa della banca. In attesa, l’esecuzione resta congelata. Se Davide ottiene una pronuncia favorevole (ad es. annulla la fideiussione perché senza clausole non avrebbe prestato garanzia, oppure elimina interessi e altre somme), probabilmente il debito residuo sarà molto minore o nullo, rendendo definitiva l’improcedibilità dell’esecuzione. Questo caso dimostra che anche un titolo ormai definitivo può essere scalfito se contaminato da clausole contrarie a norme imperative e a tutela del consumatore, grazie all’evoluzione giurisprudenziale. Davide, da consumatore, beneficia delle tutele europee (Direttiva 93/13/CEE sugli abusi nei contratti) che richiedono ai giudici di intervenire anche d’ufficio. Le Sezioni Unite hanno aperto questa porta e Davide ne usufruisce. Ovviamente, questo strumento non vale se il titolo è una sentenza passata in giudicato dopo un contraddittorio: lì il giudicato copre anche eventuali clausole (salvo ricorso in Cassazione se ancora possibile, o revocazione se requisiti). Ma per i decreti non opposti basati su contratti di consumo, c’è questa eccezione.

Caso 8: Debitore in procedura di sovraindebitamento ottiene sospensione
Debitore: Paolo, persona fisica sovraindebitata.
Paolo ha diversi debiti (banche, finanziarie) e ha subito un pignoramento dello stipendio in corso (gli prelevano 1/5) e un pignoramento immobiliare sulla seconda casa. Decide di rivolgersi ad un OCC (Organismo Composizione Crisi) e presenta una proposta di piano di ristrutturazione dei debiti al tribunale competente. Nella proposta include sia i crediti chirografari (banche) che quelli privilegiati (l’ipoteca sulla casa). Chiede al giudice misure protettive. Il giudice, esaminata la fattibilità iniziale, emette un decreto di sospensione di tutte le azioni esecutive ai sensi dell’art. 54 CCII, valido per 120 giorni. Che succede ora alle procedure di pignoramento in corso contro Paolo?

Soluzione: Il decreto di sospensione viene comunicato ai vari giudici dell’esecuzione coinvolti.

  • Il G.E. che gestisce il pignoramento immobiliare sulla casa di Paolo sospende la vendita. Se l’asta era fissata a breve, la rinvia di alcuni mesi in attesa di capire l’esito del piano. Se il creditore procedente prova a opporsi, il G.E. normalmente conferma la sospensione poiché è prevista dalla legge specifica (nessuna esecuzione individuale su quei beni).
  • Per il pignoramento dello stipendio: il giudice dell’esecuzione o il datore di lavoro, informati della sospensione, dovranno cessare le trattenute sullo stipendio temporaneamente (o accantonarle separatamente) in attesa. Paolo quindi per alcuni mesi tornerà a percepire lo stipendio pieno, giovandosi della moratoria.
    Durante questo periodo, Paolo deve far omologare il piano. Se tutto va bene, il piano sarà omologato e prevederà magari un pagamento dilazionato dei creditori (forse con stralcio). A quel punto, le esecuzioni si chiuderanno definitivamente: i creditori dovranno rispettare il piano e quindi non potranno riprendere i pignoramenti. Il pignoramento immobiliare sarà abbandonato (magari l’immobile di seconda casa verrà venduto entro il piano a un certo prezzo concordato, o magari Paolo lo cede ai creditori come soddisfo parziale – dipende dal piano). Lo stipendio non verrà più aggredito singolarmente, ma Paolo verserà una quota a tutti i creditori secondo il piano.
    Se invece il piano di Paolo fallisse (non omologato), allora trascorsi i 120 giorni (più eventuali proroghe) i creditori potranno riattivarsi. Ma intanto hanno perso tempo e, in caso di riattivazione, non potrebbero comunque pretendere le quote di stipendio dei mesi sospesi (che Paolo legittimamente ha usato per mantenersi). Paolo potrebbe anche nel frattempo aver trovato altra soluzione (es. venduto volontariamente un bene per pagare qualcuno, ecc.).
    In ogni caso, grazie alla procedura di sovraindebitamento, Paolo ha ottenuto un “respiro” e una chance di evitare le esecuzioni. Dal suo punto di vista, i pignoramenti diventano improcedibili finché la procedura concorsuale è in corso e, se va a buon fine, anche definitivamente.

Caso 9: Pignoramento della prima casa da parte del Fisco
Debitore: Silvia.
Silvia ha un debito fiscale con Agenzia Entrate-Riscossione di €30.000. Possiede un solo immobile, che è la casa dove risiede con la famiglia, non di lusso. Dopo varie cartelle e intimazioni, l’ADER iscrive ipoteca e minaccia esecuzione. Nel 2025, Silvia si vede notificare un atto che pare un pignoramento immobiliare ad istanza dell’ADER. Tuttavia, ricorda di aver letto che la “prima casa” non è pignorabile dal Fisco. Come deve reagire?

Soluzione: Silvia ha ragione: l’art. 76 del DPR 602/1973 vieta all’Agente della Riscossione di espropriare l’unico immobile di proprietà del debitore che sia adibito ad abitazione principale e non di lusso. Dunque, quell’atto esecutivo è illegittimo ab origine. In realtà, è probabile che ADER non possa nemmeno aver depositato tale pignoramento in tribunale perché i giudici (e i funzionari stessi) sanno della norma; potrebbe trattarsi di un atto pre-esecutivo improprio. Comunque, supponendo che ADER provi a procedere, Silvia deve immediatamente proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. eccependo l’impignorabilità della sua casa in base alla legge speciale. Trattandosi di esecuzione esattoriale, il giudice competente è lo stesso tribunale civile (con alcune peculiarità, come il fatto che si applica il DPR 602 per le forme). Il giudice, riscontrate le condizioni (unico immobile, residenza, ecc.), non può che dichiarare inammissibile/improcedibile il pignoramento. Molto probabilmente, nemmeno si arriverà a tanto: i funzionari ADER, appena sollevata la questione, faranno marcia indietro, perché è un limite oggettivo ben noto. A supporto, Silvia potrebbe citare la giurisprudenza (la stessa Cass. 32759/2024 che ribadisce il principio di impignorabilità). In conclusione, la casa di Silvia è salva per espressa disposizione di legge. Lei dovrà comunque risolvere il debito fiscale (che rimane, se non paga ADER potrà iscrivere ipoteca e aspettare eventuale decadenza dei termini, o agire su altri beni o sullo stipendio se ne ha uno). Ma almeno non rischia lo sfratto dal suo unico tetto.

Caso 10: Pignoramento dello stipendio oltre i limiti di legge
Debitore: Carlo.
Carlo è dipendente pubblico con stipendio netto di €2.000. Ha due creditori chirografari che lo pignorano quasi contemporaneamente: il primo ottiene pignoramento del quinto (€400); poi anche il secondo notifica e chiede un altro quinto. In teoria, la somma di due quinti sarebbe €800, cioè 40% dello stipendio. Il datore di lavoro erroneamente inizia a trattenere due quinti, lasciando a Carlo solo €1.200 (60%). Carlo fatica a vivere con tale importo mensile e ritiene sia illegittimo togliergli più del 50%. Che rimedi ha?

Soluzione: La legge prevede che mai oltre la metà dello stipendio netto può essere pignorata per più cause ordinarie (art. 545, co. 4 c.p.c.). Nel caso di Carlo, due quinti fanno il 40%, quindi in teoria rientra nel 50%; però potrebbe capitare un terzo pignoramento (es. alimenti) e la somma supererebbe il limite. Nel nostro esempio, se davvero trattenessero €800, è comunque entro la metà (1000 sarebbe la metà). Dunque formalmente due quinti sono leciti se non di natura omogenea (se fossero entrambi chirografari ordinari, di solito si concorrono in un unico quinto, ma se il secondo era ad esempio per alimenti, potrebbe sommarsi). Diciamo però che Carlo subisca un errore peggiore: magari il datore interpreta male e gli trattiene 1/5 per ognuno di due creditori dello stesso tipo, andando a 2/5 per crediti ordinari, quando invece dovevano concorrere nel medesimo quinto. Carlo allora può:

  • Presentare ricorso al giudice dell’esecuzione (lo stesso che ha emesso l’ordinanza di assegnazione per il primo pignoramento) spiegando la situazione e chiedendo di regolare la quota. Il G.E. con ordinanza chiarirà che i due creditori concorrono entro il 20% totale (non ciascuno) e quindi disporrà la riduzione delle trattenute.
  • Oppure proporre opposizione agli atti esecutivi se l’errore deriva proprio dall’ordinanza (ad es. se il giudice avesse erroneamente assegnato due quinti). È più probabile un ricorso in via di volontaria giurisdizione nella procedura esecutiva, perché i giudici sanno del limite e di solito già nelle ordinanze di assegnazione scrivono: “eventuali altri pignoramenti concorreranno nel limite del quinto”, ecc.
    In definitiva, Carlo otterrà un aggiustamento: al massimo il 50% del suo stipendio potrebbe essere destinato ai creditori se uno fosse per alimenti e l’altro per banca, ma se entrambi ordinari, comunque mai oltre 20% totale. Quindi gli dovranno restituire l’eccedenza trattenuta. Questo esempio evidenzia come il debitore deve sorvegliare i calcoli: le amministrazioni a volte sbagliano, e i giudici possono correggere. Finché Carlo riceve almeno la metà, è in regola col limite generale; se stessero prendendo di più, violerebbero un diritto fondamentale (anche costituzionalmente tutelato, art. 36 Cost., retribuzione sufficiente).

Questi esempi pratici mostrano situazioni tipiche e soluzioni in base alla normativa e giurisprudenza attuale (2025). Ogni caso concreto può avere sfumature particolari, ma il filo conduttore è: il debitore informato può individuare vizi o circostanze che rendono illegittimo il pignoramento e attivarsi per far valere i propri diritti.

Tabelle riepilogative

Di seguito alcune tabelle che sintetizzano i punti chiave della guida, per una consultazione rapida.

Tabella 1: Cause di improcedibilità/inefficacia del pignoramento e rimedi

Causa di improcedibilità/inefficaciaDescrizioneRiferimenti normativi/giurisprudenzialiRimedi per il debitore
Mancanza di titolo esecutivo (inesistenza originaria)Il documento presentato non è un titolo esecutivo valido (es. atto non rientrante in art.474 cpc, titolo privo di formula se richiesta)Art. 474 c.p.c.; Principio nulla executio sine titulo; Cass. 11021/2011Opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. (anche preventiva). Il G.E. può rilevare d’ufficio in ogni momento.
Sopravvenuta caducazione del titoloIl titolo esecutivo inizialmente valido viene meno (es. sentenza di condanna riformata in appello, decreto ingiuntivo revocato)Art. 615 co.2 c.p.c.; Cass. 2043/2017; Cass. 15605/2017Opposizione all’esecuzione o istanza al G.E. per cessazione esecuzione. Il giudice dichiara improcedibile l’esecuzione.
Precetto inefficace (90 gg decorsi senza esecuzione)Pignoramento iniziato dopo la scadenza del precetto notificato al debitore (oltre 90 giorni)Art. 481 c.p.c.Opposizione all’esecuzione (vizio di condizione). Il pignoramento viene annullato per mancanza di precetto valido.
Pignoramento non iscritto a ruolo nei terminiMancato deposito in cancelleria di NIR e copie conformi titolo, precetto, pignoramento entro 15 gg (immobiliari/ppti)Art. 557 co.2-3 c.p.c.; Trib. Tivoli 2018Istanza al G.E. per dichiarazione di inefficacia. Il G.E. dichiara il pignoramento “perdente efficacia”.
Mancata istanza di vendita entro 45 ggTrascorsi 45 giorni dal pignoramento senza richiesta di vendita/assegnazione (nessun impulso del creditore)Art. 497 c.p.c. (termine ridotto da 90 a 45 gg)Istanza al G.E. o eccezione in sede di distribuzione. G.E. dichiara l’estinzione ex art. 630 o inefficacia del pignoramento.
Vizi formali essenziali del pignoramento (nullità atti)Errori nell’atto di pignoramento: es. mancata ingiunzione ex 492, oggetto non determinato, omissione avvertimenti obbligatori (domicilio, etc.), firma mancante, terzo non citato a udienza, ecc.Art. 492, 543, 555 c.p.c.; Art. 156 c.p.c. (raggiungimento scopo); Cass. 3967/2019 (raggiungimento scopo)Opposizione agli atti esecutivi ex art.617 c.p.c. entro 20 gg dal pignoramento. Annullamento del pignoramento e atti conseguenti.
Notifica nulla del pignoramento/precettoVizi nella consegna (persone sbagliate, omissioni ex art. 160 cpc) ma atto pervenuto a conoscenza del debitoreArt. 160 c.p.c.; Art. 156 c.p.c. (sanatoria se scopo raggiunto)Opposizione agli atti (entro 20 gg da notifica). Se debitore ha avuto conoscenza, nullità sanabile; giudice annulla atto se pregiudizio diritti difesa.
Notifica inesistente del pignoramento/precettoAtto mai notificato o notificato a destinatario del tutto estraneo (assenza totale di consegna valida)Cass. S.U. 14916/2016: notifica inesistente se nessun atto consegnatoOpposizione agli atti (non soggetta a termine rigoroso, inesistenza insanabile). Il pignoramento è inesistente, procedura da chiudere.
Carenza di legittimazione del creditore (titolo non suo)Creditore procedente non è (o non prova di essere) il titolare del credito (es. credito ceduto a terzi e procedente è cedente senza più diritto, o cessionario che non prova la cessione)Cass. 2043/2017 (poteri officiosi G.E.); Trib. Imperia 29/11/2023 (cartolarizzazione non provata)Opposizione all’esecuzione ex art.615. Il G.E. può sospendere e chiedere prova. Se mancata, dichiarazione improcedibilità e cancellazione pignoramento.
Bene impignorabile (assoluto)Beni mobili art.514 cpc (vestiario, letti, animali affezione, strumenti di culto, etc.); Crediti impignorabili (es. alimenti a favore del debitore); Unico immobile di residenza vs Fisco.Art. 514 c.p.c.; Art. 545 c.p.c. (crediti alimentari); DPR 602/73 art. 76 (prima casa impignorabile dal Fisco). Cass. 32759/2024 (conferma divieto su casa)Opposizione all’esecuzione per far dichiarare l’ineseguibilità su quel bene. Anche istanza al G.E. in corso di esecuzione. Il giudice esclude il bene dalla vendita (o estingue procedura se unico bene).
Limiti di pignorabilità superati (beni pignorabili parzialmente)Violazione delle quote: pignorato più di 1/5 stipendio/pensione, non lasciato minimo vitale, ecc.Art. 545 c.p.c. commi 3-7; L. 208/2015 impignorabilità <€1000 pensioniIstanza al G.E. per ridurre pignoramento (art. 546/611 cpc) o opposizione atti se l’ordinanza ha disposto oltre il limite. Giudice ordina adeguamento (es. libera quota eccedente).
Debitore in procedura concorsuale (fallimento, concordato)Divieto di proseguire o iniziare esecuzioni individuali dopo apertura procedura concorsuale (fallimento/liquidazione giud., concordato preventivo)Art. 150 CCII (stop da dichiarazione liquidazione giud.); Art. 168 L.F. (concordato); Cass. 10507/1994 (effetti su esecuzioni pendenti).Istanza al G.E. comunicando l’apertura procedura concorsuale. Il G.E. dichiara improcedibile l’esecuzione (chiusura anticipata). Pignoramento mantiene effetti ai fini concorsuali (se ipoteche, prelazione).
Ammissione a procedura di sovraindebitamentoSospensione esecuzioni pendenti e divieto di nuovi pignoramenti su patrimonio del debitore protetto da decreto del giudiceArt. 54 CCII (misure protettive crisi da sovraindeb.); Cass. 1243/2020.Istanza di sospensione al giudice della crisi, che emette decreto. Debitore lo deposita nei procedimenti esecutivi => G.E. sospende l’esecuzione. Se omologa: esecuzione estinta (creditori vincolati al piano).
Sospensione giudiziale del titoloIl titolo esecutivo è stato sospeso dal giudice competente (es: sospensiva in appello ex art.283 cpc, o in opposizione a decreto 649 cpc)Art. 283 c.p.c.; Art. 624 c.p.c. (sospensione dell’esecuzione)Il debitore deposita l’ordinanza di sospensione al G.E. => G.E. sospende la procedura (art. 623 cpc). L’esecuzione rimane improcedibile finché dura la sospensione.

Note: improcedibilità e inefficacia sono spesso usate come equivalenti nel contesto esecutivo: l’inefficacia del pignoramento causa l’estinzione/improcedibilità della procedura; la distinzione è che “inefficace” è l’atto che non produce effetti (es. pignoramento inefficace ex lege), “improcedibile” è la definizione del processo esecutivo che non può andare avanti per mancanza di presupposti.

Tabella 2: Tipi di opposizione del debitore nell’esecuzione

Tipo di opposizioneCosa contestaTerminiGiudice competenteEsempi di motivi
Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)Diritto del creditore a procedere (questioni di merito: inesistenza o estinzione del diritto, impignorabilità beni, invalidità del titolo)Prima del pignoramento: 20 gg da notifica titolo/precetto, con citazione (opposizione a precetto).– Dopo il pignoramento: fino a chiusura esecuzione, prima distribuzione (tempestività richiesta prima aggiudicazione definitiva per efficacia tutela).Giudice indicato nel precetto (fase preventiva) / Tribunale dell’esecuzione (fase successiva). Si tratta di un giudizio di cognizione ordinaria (rito sommario ex art.702-bis se dopo il 2022, convertibile in ordinario se complesso).– Titolo già pagato o prescritto.– Debitore non è la parte obbligata (scambio persona).– Mancanza titolo (o titolo caducato dopo).– Bene pignorato impignorabile (es. bene necessario, pensione minima, prima casa Equitalia).– Creditore procedente privo di legittimazione (credito ceduto, mancanza procura, etc.).– Incompetenza territoriale del giudice dell’esecuzione (raramente sollevata dal debitore, ma possibile).
Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)Regolarità formale degli atti del processo esecutivo (precetto, pignoramento, avvisi, ordinanze).Contro precetto o titolo (atti antecedenti l’esecuzione): 20 gg dalla notifica del titolo/pre-cetto, con atto di citazione (rito ordinario).– Durante esecuzione: 20 gg dal compimento dell’atto viziato (o da conoscenza, se non notificato), con ricorso al G.E. (rito camerale).– Prima dell’esecuzione: giudice compet. ex art.480 cpc (di regola giudice dell’esecuzione designato nel precetto).– Durante: Giudice dell’esecuzione procedente (tribunale). Di norma deciso con ordinanza (reclamabile in corte d’appello ex art. 624 cpc).– Vizi notifica del precetto o titolo (es. nullità relativa).– Pignoramento privo di ingiunzione ex 492 cpc.– Errore su indicazione giudice, data udienza errata nel pignoramento presso terzi.– Mancata indicazione elementi essenziali nell’atto (es. beni o crediti non individuati).– Omessa comunicazione avviso di vendita, ecc.– Violazione forma degli atti del G.E. (es. ordinanza di vendita emessa prima del deposito doc. obbligatori).
Opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.)Lamenta che l’esecuzione ha colpito beni di sua proprietà (o diritti propri) anziché del debitore.Entro 20 gg dalla data in cui il terzo ha avuto conoscenza effettiva del pignoramento (spesso dalla notifica dell’atto di pignoramento o da avviso).Tribunale dell’esecuzione (giudizio ordinario di cognizione).– Bene mobile pignorato appartenente interamente a un terzo (non debitore).– Quota di immobile in comunione pignorato come fosse tutto del debitore (terzo comproprietario fa valere la sua parte).– Credito pignorato dovuto al terzo (es. pignorano un credito credendo sia del debitore, ma era di altro soggetto).
Opposizione alla distribuzione (art. 512 c.p.c.)Contesta come vengono ripartite le somme ricavate (ordine di privilegi, calcoli interessi, spese, ecc.). Spesso riguarda creditori tra loro; raramente il debitore (che di solito non riceve nulla, salvo eccedenza).20 gg dal deposito del progetto di distribuzione o dall’udienza di discussione.Giudice dell’esecuzione (forma di incidente contenzioso definito con ordinanza collegiale in tribunale).– Erronea collocazione di un credito (deb. può eccepire che un credito non era privilegiato e ridurne priorità, ad es. per liberare residuo).– Spese di esecuzione non dovute o eccessive imputate al debitore.(Il debitore ha interesse solo se vi è un attivo residuo che gli tornerebbe oppure per ridurre spese a suo carico).

Tabella 3: Limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni (valori 2024)

Tipo di entrataQuota pignorabileNormativa
Stipendio o salario (da lavoro dip.)Fino a 1/5 dell’importo netto (20%). Se concorrono più pignoramenti di diversa natura: – crediti ordinari totalità max 1/5 (ripartito tra creditori); – crediti alimentari decisi dal giudice caso per caso (possono aggiungersi); – crediti fiscali con ADER: • 1/10 sotto €2.500• 1/7 tra €2.501 e €5.000• 1/5 sopra €5.000. In ogni caso, somma delle trattenute non oltre 50% stipendio netto.Art. 545 co.4, 5 c.p.c.; Art. 72-ter DPR 602/73 (Fisco).
PensioneImpignorabile la parte fino a 1,5x l’assegno sociale (talora indicato 2x assegno sociale ≈ €1.000). Nel 2024 assegno soc. €534,41 => quota impignorabile €1.068,82. La parte eccedente tale soglia pignorabile nei limiti di 1/5. Somma di più pignoramenti su pensione comunque max 1/5 (salvo alimentari). Esempio: pensione €1.500 => impignorabili ~€1.069, pignorabile su eccedenza €431 max 1/5 => ~€86.Art. 545 co.7 c.p.c. (soglia minima vitale pari a assegno sociale aumentato metà – modifiche 2017/2018); L. 197/2022 (innalzamento soglia a €1.000 circa).
Stipendio o pensione già accreditati in conto corrente– Somme accreditate prima del pignoramento: impignorabile l’importo equivalente a 3 volte l’assegno sociale (circa €1.603 nel 2024). L’eventuale eccedenza sul conto è pignorabile (nei limiti del credito precettato).– Somme accreditate dopo la notifica del pignoramento: si considerano come crediti futuri da lavoro, quindi ogni accredito è pignorato nei limiti di 1/5 (o secondo le regole di cui sopra per stipendio/pensione). La banca di fatto trattiene il quinto di ogni nuova entrata da stipendio.Art. 545 co.8-9 c.p.c. (introdotti da D.L. 83/2015 conv.L.132/2015).
Esempi calcolo (2024):– Conto con saldo €3.000 proveniente da stipendio prima del pignoramento: banca lascia €1.603 (3x €534) a deb. e blocca €1.397.– Pensionato con pensione €800/mese: impignorabile intera pensione (essendo < soglia ~€1.069).– Lavoratore con stipendio €1.500: max trattenuta €300 (1/5). Se accredito in banca di €1.500: banca trattiene €300 su ciascun futuro bonifico stipendio.Calcoli basati su normativa

Tabella 4: Beni assolutamente impignorabili (art. 514 c.p.c.) – esempi

CategoriaDescrizioneNote
Beni di uso quotidiano ed essenzialiVestiti, biancheria, letto, tavolo, sedie, armadio, frigorifero, fornelli, lavatrice. Strumenti di cottura e stoviglie.Necessari alla vita domestica minima. Non si pignorano anche se di valore (tranne oggetti di lusso non necessari).
Oggetti sacri e di cultoOggetti destinati all’esercizio del culto religioso (es: paramenti sacerdotali, Bibbia personale del sacerdote).Protezione libertà religiosa. Vale solo se debitore è ministro di culto o simili.
Animali da compagnia o affezioneAnimali tenuti presso il debitore per compagnia, affetto o per esigenze terapeutiche.Introdotto nel 2015: cani, gatti, ecc. impignorabili.
Strumenti e beni di lavoro indispensabiliStrumenti, utensili, libri che il debitore necessita per esercitare la propria professione, arte o mestiere.Limite: pignorabili se l’esecuzione riguarda debiti per stipendi dei suoi dipendenti o obbligazioni contratte per acquisto di quegli strumenti (art. 515 cpc). Anche in tal caso, però, giudice può limitare pignoramento valutando quantità sufficiente per attività minima.
Medaglie, decorazioni, ricordi di famigliaDecorazioni al valore, medaglie al merito; scritti di famiglia, fotografie, ecc.Alto valore affettivo; esclusi dal pignoramento salvo siano oggetti di rilevante valore economico autonomo (in tal caso a volte si discute, ma la regola tende a escluderli).
Cibo e combustibileScorte alimentari e di combustibile necessarie al sostentamento del debitore e famiglia per un mese.Esempio: l’ufficiale non può pignorare la dispensa di cibo o l’unico bombolone del gasolio per riscaldamento domestico.

Tabella 5: Norme principali in materia di improcedibilità del pignoramento

AmbitoNorme (Codice Proc. Civ. e altre)
Titolo esecutivo e precettoArt. 474 c.p.c. (titoli esecutivi); Art. 479 c.p.c. (notificazione titolo e precetto); Art. 480 c.p.c. (forma del precetto: requisiti a pena di nullità); Art. 481 c.p.c. (efficacia precetto 90 gg).
Atto di pignoramentoArt. 492 c.p.c. (ingiunzione al debitore + novità elezione domicilio); Art. 555 c.p.c. (forma pignoramento immobiliare: notifica + trascrizione + ingiunzione); Art. 543 c.p.c. (forma pignoramento presso terzi: contenuti e termini notifica a debitore); Art. 521-bis c.p.c. (pignoramento autoveicoli tramite registri pubblici).
Deposito e terminiArt. 557 c.p.c. (deposito atti pignoramento immobiliare: 15 gg, sanzione inefficacia); Art. 159-ter disp. att. cpc (Coordinamento con PCT per copie conformi); Art. 497 c.p.c. (termine efficacia pignoramento 45 gg per istanza vendita); Art. 567 c.p.c. (documentazione per vendita immobiliare, termine giudiziale, co.3 sanzione inefficacia); Art. 569 c.p.c. (provvedimento di vendita, presuppone documenti ok); Art. 164-ter disp. att. cpc (estinzione per inattività annuale).
ImpignorabilitàArt. 514 c.p.c. (cose mobili assolutamente impignorabili); Art. 515 c.p.c. (beni relativamente pignorabili: strumenti di lavoro con limiti); Art. 545 c.p.c. (crediti impignorabili o con limiti: pensioni, stipendi, alimenti); DPR 602/1973 art. 76 (limiti esecuzioni esattoriali su immobili prima casa). Codice Civ. art. 2929 (nullità atti esecutivi non pregiudica acquirente in buona fede).
Opposizioni e sospensioniArt. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione: pre e post); Art. 616 c.p.c. (rito delle opposizioni all’esecuzione); Art. 617 c.p.c. (opposizione atti esecutivi, 20 gg); Art. 618 c.p.c. (fase decisionale opposizioni atti); Art. 619 c.p.c. (opposizione di terzo); Art. 624 c.p.c. (sospensione dell’esecuzione su istanza debitore); Art. 624-bis c.p.c. (sospensione concordata o con cauzione); Art. 625 c.p.c. (revoca/modifica ordinanze esecuzione); Art. 626 c.p.c. (estinzione procedura es. per rinuncia o inattività); Art. 630 c.p.c. (estinzione per inattività >6 mesi); Art. 632 c.p.c. (estinzione effetti vs parti).
Procedure concorsualiArt. 150 Codice Crisi (Divieto azioni esecutive da apertura liquidaz. giud.); Art. 54 Codice Crisi (misure protettive concordato e sovraindebitamento); Art. 55 Codice Crisi (durata ed effetti misure protettive); Art. 270 Codice Crisi (effetti apertura liquidazione controllata sovr.ind.: stesso art.150 CCII); Legge 3/2012 (abrogata, ora confluita).

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa significa in concreto “pignoramento improcedibile”?
R: Significa che il processo esecutivo iniziato con il pignoramento non può proseguire validamente e deve essere fermato o chiuso. In pratica può voler dire che il giudice dichiara l’esecuzione estinta/inefficace oppure sospende indefinitamente gli atti. Un pignoramento è improcedibile quando manca una condizione necessaria (es. titolo esecutivo valido, atto di precetto efficace) o c’è un vizio che invalida radicalmente l’atto (es. notifica inesistente, bene non pignorabile per legge) o interviene un evento che toglie fondamento all’esecuzione (es. fallimento del debitore, pagamento integrale del debito, ecc.). Il risultato è che l’esecuzione forzata si arresta e i beni pignorati vengono liberati (o rimangono vincolati solo per altre procedure ammissibili, ad es. concorsuali). Esempio: se il giudice dichiara improcedibile un pignoramento immobiliare, dispone la cancellazione della trascrizione e nessuna vendita sarà fatta. Per il debitore, in sostanza, quel pignoramento non avrà più effetti sul suo patrimonio.

D: Quali sono le cause più comuni per cui un pignoramento viene dichiarato improcedibile?
R: Le cause più comuni (nella pratica quotidiana) sono:

  • Omesso o tardivo deposito degli atti da parte del creditore (mancata iscrizione a ruolo entro 15 giorni per pignoramenti immobiliari/presso terzi), con conseguente inefficacia ex lege. Questa è frequentissima, tanti pignoramenti decadono così.
  • Mancata attivazione successiva (mancata istanza di vendita entro 45 giorni). Anche questa è molto comune, soprattutto se il debitore nel frattempo tratta col creditore, spesso il creditore lascia scadere termini e il pignoramento muore.
  • Vizi di notifica: capita spesso che la notifica del precetto o del pignoramento sia nulla (indirizzo errato, consegna a persona sbagliata ecc.). Se il debitore si attiva entro i termini, il pignoramento viene annullato. Un esempio ricorrente: pignoramento presso terzi non notificato al debitore entro 30 gg – in quel caso, inefficacia verso il debitore.
  • Assenza di titolo: un po’ meno comune perché di solito i creditori hanno un titolo, ma succede di vedere decreti ingiuntivi provvisori eseguiti e poi revocati in giudizio di opposizione, oppure pignoramenti iniziati da chi ha ceduto il credito e non poteva. Es: la cessione di credito mal gestita (come nel caso Imperia 2023) è più frequente di quanto sembri perché tante banche cedono a società, e talvolta la documentazione è lacunosa. Il debitore attento può sfruttare queste mancanze.
  • Violazione dei limiti di pignorabilità: su stipendi e pensioni i giudici devono vigilare. Situazioni come pignorare la pensione minima (che è illegale), oppure pignorare più del quinto dello stipendio di un lavoratore, vengono corrette non appena portate all’attenzione. Di fatto, se un creditore cerca di pigliarsi più del dovuto, quell’atto è in parte inefficace e va ridimensionato.
  • Intervento di procedure concorsuali: non raro è il caso di debitori che ottengono un concordato preventivo o un piano di ristrutturazione – allora le esecuzioni vengono sospese/improcedibili. Ad esempio, negli ultimi anni molti hanno sfruttato la Legge 3/2012 sul sovraindebitamento per bloccare aste immobiliari pendenti presentando un “piano del consumatore”. I tribunali quasi sempre sospendono l’asta in attesa della decisione sul piano. Se poi il piano passa, quell’asta non riparte più.
  • Errori formali grossolani: tipo dimenticare l’ingiunzione nell’atto di pignoramento (rarissimo perché i moduli ormai lo prevedono) o indicare male le parti (pignorare Caio per debito di Tizio). Questi casi di solito emergono e vengono sanati (se possibili) o portano all’annullamento.

D: Se il giudice dichiara inefficace o estinto un pignoramento, il creditore può riprovarci?
R: Sì, di norma l’inefficacia o l’estinzione del pignoramento non pregiudica il diritto del creditore di iniziare una nuova esecuzione (a meno che la causa fosse la mancanza sostanziale di diritto). Mi spiego: se il pignoramento è stato annullato per vizi procedurali (ad es. deposito tardivo, vizio formale, precetto scaduto), si tratta di ostacoli formali o decadenze che colpiscono quell’atto, ma il credito rimane dovuto e il titolo esecutivo resta valido. Il creditore quindi può porre rimedio e ripartire: magari notificando un nuovo precetto (se quello precedente era scaduto), oppure correggendo gli errori formali (nuova notifica corretta) e pignorando di nuovo. Non c’è un “ne bis in idem” in esecuzione: l’estinzione non è un giudicato sostanziale sul rapporto (fa eccezione se la causa di improcedibilità era il merito, ad es. titolo inesistente o debito pagato – in quel caso, se il giudice accerta che il debitore nulla deve, ovviamente il creditore non può riprovarci perché verrebbe bloccato di nuovo e rischierebbe sanzioni).
In sintesi: se un pignoramento muore per ragioni procedurali, il creditore può ritentare ex novo, finché il credito è ancora esigibile. Chiaramente dovrà tenere conto magari delle spese andate perse e di eventuali prescrizioni (l’azione esecutiva interrotta non interrompe la prescrizione sostanziale se dichiarata estinta, quindi attenzione al tempo trascorso). In alcuni casi, serve un nuovo precetto perché quello originario è decaduto; in altri, può bastare riavviare subito un nuovo atto di pignoramento se il precetto è ancora nei 90 gg.
Esempio: se il pignoramento immobiliare è inefficace per mancato deposito in 15 gg, il creditore può immediatamente (anche il giorno dopo) notificare un nuovo atto di pignoramento – ma solo se il precetto è ancora valido. Se invece i 90 gg dal precetto sono passati, prima notifica un nuovo precetto e poi pignora di nuovo. Non c’è bisogno di una “revoca” della dichiarazione di inefficacia, perché riguarda la vecchia procedura.
Detto ciò, il creditore che reitera può incappare in opposizioni se commette di nuovo errori, e può anche essere condannato a pagare le spese delle procedure estinte. In casi estremi, se abusasse del processo (pignoramenti ripetuti solo per molestare), il debitore potrebbe chiedere al giudice di sanzionare l’abuso, ma è raro. Finché il creditore ha un titolo legittimo e corregge gli errori precedenti, ha diritto di tentare di soddisfarsi.

D: Cosa succede se il giudice dell’esecuzione non si accorge di un vizio o di un termine scaduto? Devo fare qualcosa io come debitore?
R: Se sei il debitore, non dovresti mai fare affidamento passivo sul fatto che il giudice rilevi d’ufficio tutti i vizi. Alcuni li può rilevare (tipo mancanza di titolo e tardività depositi), ma altri no. In particolare:

  • Vizi formali (nullità relative) devono essere eccepiti dal debitore entro i termini di legge (20 giorni). Il G.E. spesso non li nota o non li può considerare se non sollevati. Ad esempio, se la notifica del tuo precetto era nulla ma tu non hai fatto opposizione in tempo e l’esecuzione è partita, il giudice non annullerà mai più quel precetto per iniziativa sua. Quindi devi agire tempestivamente.
  • Termini perentori: su quelli i giudici sono più attenti, però è buona prassi del debitore (o suo difensore) segnalare con istanza quando scade qualcosa. Es: se sai che il creditore non ha depositato nei 15 gg, scrivi subito in cancelleria chiedendo la declaratoria di inefficacia. Magari il giudice l’avrebbe fatto ugualmente qualche settimana dopo, ma tu acceleri e soprattutto dimostri attivamente la tua posizione (questo può avere riflessi sulle spese: se fai istanza e ottieni la chiusura, spesso le spese vengono a carico del creditore negligente).
  • Questione come impignorabilità di beni, sovrapposizione con concorsuale, etc., è opportuno portarle all’attenzione formale del G.E. tramite istanza o opposizione. Il giudice potrebbe non sapere ad esempio che sei fallito se nessuno glielo comunica ufficialmente; o potrebbe non riconoscere un bene come impignorabile se tu non lo fai presente (l’ufficiale giudiziario nel verbale potrebbe scrivere genericamente “pignorati i mobili XY”, e solo tu sai che quell’oggetto aveva un significato particolare, ecc.).
    In sintesi: sì, devi attivarti. Il sistema delle esecuzioni prevede una combinazione di controlli d’ufficio e di eccezioni di parte. Il debitore attivo può far valere i suoi diritti; il debitore inerte rischia che alcuni vizi passino in cavalleria. Un proverbio: “la nullità senza opposizione dorme”. Quindi, meglio prevenire: segnala tutto, deposita note, fai opposizione quando serve.

D: Un pignoramento dichiarato improcedibile lascia tracce negative? Penso ad esempio a una trascrizione nei registri immobiliari poi cancellata: può causare problemi?
R: In linea di massima, no, una volta dichiarato improcedibile il pignoramento e ordinata la cancellazione, la situazione giuridica torna quella di prima. Però alcuni strascichi pratici possono capitare:

  • Sul bene immobile, una trascrizione di pignoramento poi cancellata lascia comunque uno “storico” consultabile nelle visure: comparirà che in data X c’era un pignoramento poi cancellato in data Y. Questo potrebbe destare curiosità nei futuri acquirenti o nelle banche (es. se chiedi mutuo, vedono che c’era un pignoramento). In genere, però, la nota di cancellazione riporta che è stata ordinata dal giudice tale cancellazione, e un operatore del settore capisce che l’esecuzione è estinta e non ci sono vincoli. Quindi non è un pregiudizio attuale, ma è un fatto storicamente esistito. Non hai modo di cancellare la traccia storica (i registri conservano tutto), ma hai la formalizzazione della sua chiusura. Ad ogni modo, meglio un pignoramento cancellato che uno pendente! In certe situazioni (es. se vendi la casa subito dopo) può esserti utile esibire agli interessati la copia dell’ordinanza di estinzione, per tranquillizzarli sul perché c’era quell’iscrizione.
  • Per i beni mobili registrati (auto): un pignoramento su auto comporta annotazione al PRA. La cancellazione va annotata anch’essa. Dopo, il veicolo è libero. Anche qui, una visura storica evidenzierà quell’annotazione, ma la visura attuale no. Quindi non incide sulla vendibilità.
  • Sul debitore persona: l’esistenza di un pignoramento in sé non viene iscritta in banche dati pubbliche (tranne che nei registri degli atti esecutivi del tribunale). Non va a finire automaticamente nelle centrali rischi finanziarie (quelle registrano ritardi nei pagamenti, non procedimenti di esecuzione). Tuttavia, in alcuni casi i dati di procedure esecutive sono pubblici e alcuni servizi privati li aggregano (ad es. banche dati di eventi negativi da fonti pubbliche). Però se la procedura si chiude, anche quell’elemento perde significato. Non c’è un “casellario” delle esecuzioni a carico di una persona accessibile come il casellario giudiziale penale.
  • Per le spese di giustizia: attenzione che se la procedura esecutiva è iniziata e poi estinta, le spese di esecuzione (come compenso dell’eventuale custode, C.T.U., ecc.) possono gravare sul creditore se improcedibile per colpa sua, oppure talvolta rimangono a carico del creditore a prescindere (art. 632 cpc). Il debitore di solito non viene gravato di spese se non ha colpa. Quindi l’unica “traccia” negativa potrebbe essere il costo: il creditore potrebbe aver anticipato somme (es. marca da bollo, acconti custode) e se la procedura chiude, a volte chiede al giudice di porle a carico del debitore ex art. 95 cpc. Ma se la chiusura è dovuta a errore del creditore, il giudice di regola le pone a carico suo, o le dichiara irripetibili. Ad esempio, se l’esecuzione era illegittima e vince il debitore in opposizione, il creditore si accolla le spese processuali e spesso anche le spese di esecuzione.
    In conclusione, la revoca di un pignoramento ripristina la libertà del bene/patrimonio. Ci possono essere residui burocratici (dover verificare che la cancellazione sia stata eseguita, etc.), ma giuridicamente il debitore torna come prima, salvo magari aver speso di avvocato (ma di solito rifonde il creditore soccombente) o aver subito stress.

D: Se il creditore abusa del processo esecutivo (es. pignora sapendo di non aver titolo, o continua nonostante opposizione fondata), posso chiedere un risarcimento?
R: Sì, c’è questa possibilità, sebbene non facile. Il codice prevede all’art. 96 c.p.c. la condanna per responsabilità aggravata di chi agisce o resiste in giudizio con mala fede o colpa grave. In ambito esecutivo, i giudici la applicano ad esempio quando un creditore intraprende un’esecuzione sapendo di non averne diritto (mala fede) o non curandosi di evidenti ragioni ostative (colpa grave). Un caso classico: creditore che insiste nel pignorare nonostante il debito sia stato integralmente pagato – e magari produce in giudizio giustificazioni pretestuose. Il giudice, nel chiudere l’esecuzione su opposizione del debitore, può condannare il creditore al risarcimento dei danni subiti dal debitore (ad es. spese non coperte, danno da stress, ecc.).
Tuttavia, la giurisprudenza è prudente nel riconoscere questi danni. Serve dimostrare la malafede o un errore grossolano inescusabile del creditore. Per esempio, se la banca s’è “dimenticata” di registrare un pagamento e pignora, e poi si scopre che aveva incassato – quello è colpa grave. Casi di abusi più “diabolici” (creditori che pignorano beni impignorabili per far pressione, o che pignorano due volte lo stesso bene per molestare) possono giustificare anche interventi disciplinari o di responsabilità.
In pratica: quando fai opposizione, puoi chiedere anche la condanna ex art. 96 c.p.c. e quantificare un danno (es. “€X per danno morale e materiale”): se il giudice condivide che c’è stata temerarietà dall’altra parte, liquiderà qualcosa. A volte per atti evidenti il G.E. stesso condanna subito il creditore alle spese e aggiunge una somma ex art. 96 c.3 (equità) per aver abusato dell’esecuzione.
Quindi sì, è possibile. Anche senza arrivare a risarcimento danni, sappi che se la tua opposizione viene accolta, quasi sempre le spese legali te le deve rimborsare il creditore opponente. Già quello è un “danno” evitato. Il risarcimento extra è su altri pregiudizi (es. per aver tenuto occupata la casa pignorata e non hai potuto venderla prima, ecc. – cose così vanno allegate e provate).

D: In sede di asta immobiliare, se ci sono vizi nel pignoramento, posso farli valere dopo che l’immobile è stato aggiudicato?
R: È molto rischioso attendere. Il codice (art. 2929 c.c.) tutela gli aggiudicatari di aste: “la nullità degli atti esecutivi anteriori non pregiudica l’acquirente in buona fede”. Significa che se un immobile viene venduto a un terzo all’asta, e dopo tu tiri fuori che la notifica del precetto era nulla, questo vizio non fa perdere l’immobile all’aggiudicatario, salvi i casi di collusione o malafede. L’aggiudicatario si tiene la casa, e tu potresti solo rivalerti sul ricavato o sul creditore. Quindi, il momento ultimo per far valere vizi è prima che il decreto di trasferimento diventi definitivo. In pratica, meglio opporsi prima della vendita. Se scopri tardissimo qualcosa, c’è l’opposizione contro la distribuzione (art. 512 cpc) o perfino un’opposizione tardiva a esecuzione ex post se riguardasse proprio l’inesistenza del titolo (ci sono state sentenze che hanno ammesso che finché i soldi non sono distribuiti, il debitore può sempre contestare una mancanza di titolo con effetti sul come vanno distribuiti i soldi, ma non per riavere il bene già trasferito a terzi).
Riassumendo: no, dopo l’asta conclusa e il decreto emesso, non puoi riottenere il bene sulla base di vizi precedenti (tranne il caso estremo di aggiudicatario colluso col creditore per frodarti, allora si parla di opposizione di terzo revocatoria ex art. 404 cpc, ma è una cosa rara e complessa).
Quindi, se sei il debitore e hai validi motivi, agisci tempestivamente. Dopo l’asta, al massimo potresti impedire la distribuzione del prezzo se il titolo era nullo e rivendicare quell’importo (ma la casa l’hai persa lo stesso). E se il vizio era formale e dovevi eccepirlo 6 mesi prima, ormai è considerato sanato.
In conclusione: la finestra utile per far valere improcedibilità è fino alle soglie della conversione in denaro del bene. Oltre, i tuoi argomenti saranno accolti solo per questioni di riparto di soldi, non per “riavvolgere” la vendita.

D: Cosa prevede la legge se il creditore non deposita la documentazione ipocatastale (20-ennale) nel pignoramento immobiliare?
R: Prevede che il giudice dell’esecuzione possa dichiarare l’inefficacia del pignoramento. Più precisamente, l’art. 567 c.p.c. dice che se il creditore non deposita l’estratto dei registri immobiliari (ventennale) nei termini, il G.E. può dare un termine, e se persiste la carenza, può dichiarare l’inefficacia. Di solito funziona così: dopo aver iscritto a ruolo, il creditore chiede la vendita; il G.E. fissa un termine (es. 60 giorni) per il deposito del certificato ipocatastale. Se il creditore non lo deposita affatto, scaduto il termine, il giudice – spesso su istanza del debitore – dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione per difetto di presupposti (manca la prova della titolarità e gravami, quindi non si può vendere).
Se il creditore deposita qualcosa ma è incompleto, il giudice può concedere una proroga per integrare (specie se c’è una buona ragione, tipo uffici tavolari in ritardo). Però oltre un certo limite, se non si ottempera, l’esecuzione si chiude. Il caso concreto nella guida (Mandico/Napoli 2021) mostra proprio questo: relazione incompleta => il G.E. ha dato 60 gg per aggiustare => nulla fatto => pignoramento dichiarato inefficace.
Per il debitore, tenere d’occhio queste scadenze è utile: se vede che il creditore non deposita i certificati, può allo scadere depositare un’istanza di estinzione. Alcuni tribunali sanciscono direttamente l’estinzione (che ha effetti leggermente diversi dall’inefficacia tecnica, ma il risultato è analogo: procedura chiusa).
Quindi, in conclusione: mancato deposito certificato ventennale = niente vendita = esecuzione ferma e destinata a chiudersi su provvedimento del G.E. Il bene resta al debitore libero da vincoli (salvo l’ipoteca eventualmente già esistente, ma il pignoramento in sé viene cancellato).


Conclusione: dal punto di vista del debitore, conoscere e sfruttare queste regole di improcedibilità è fondamentale per difendersi da esecuzioni forzate ingiuste o viziated. Il quadro aggiornato a giugno 2025 mostra un trend di rigore formale (termini stretti per i creditori) e al contempo di attenzione sostanziale ai diritti dei debitori (tutela del consumatore contro clausole abusive anche tardivamente, protezione della prima casa, ecc.). È sempre consigliabile farsi assistere da un legale esperto in esecuzioni, poiché la materia è complessa e in continua evoluzione (si pensi alle riforme Cartabia 2022-24, alle pronunce recenti di Cassazione). La corretta strategia difensiva può salvare beni preziosi o guadagnare tempo utile a ristrutturare il debito in modo sostenibile.

Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali

  • Codice di Procedura Civile: artt. 474 – 512, 514 – 515, 543, 555, 557, 567, 615 – 619, 624 – 630 c.p.c. (norme su titoli esecutivi, precetto, pignoramento, limiti di pignorabilità, opposizioni, estinzioni).
  • D.Lgs. 31.10.2024 n.164 (“Decreto correttivo Cartabia”) – ha modificato vari articoli del c.p.c. in materia esecutiva (es. art. 492, 543, 557, 567), riducendo termini e introducendo novità (domicilio digitale nel pignoramento, ecc.).
  • D.P.R. 29.9.1973 n.602 art.76 – (riscossione coattiva tributi) divieto di esproprio prima casa per crediti fiscali.
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019): art. 150 (stop esecuzioni da liquidazione giudiziale); art.54-55 (misure protettive concordato/sovraindebitamento); art. 57 (effetti su pignoramenti immobiliari pendenti nella ristrutturazione).
  • Cass., Sez. Unite, sent. n. 41994/2021 – nullità parziale schemi ABI fideiussioni omnibus (clausole abusive).
  • Cass., Sez. Unite, sent. n. 9479/2023 (6 aprile 2023) – principio di diritto: il G.E. deve sospendere l’esecuzione basata su decreto ingiuntivo non opposto se emergono clausole abusive nel contratto su cui si fonda il credito. Pronuncia rivoluzionaria per tutela consumeristica.
  • Cass., Sez. III, ord. n. 32759/2024 (16 dicembre 2024) – conferma impignorabilità dell’unico immobile adibito ad abitazione ex art.76 DPR 602/73.
  • Cass., Sez. III, sent. n. 24859/2024 (16 settembre 2024) – pignoramento di quote societarie fiduciarie: chiarisce che va effettuato nei confronti del fiduciario, non del fiduciante (corretto soggetto passivo, altrimenti esecuzione improcedibile)
  • Cass., Sez. I, ord. n. 14478/2024 – ufficiale giudiziario non può rifiutare il pignoramento per presunto difetto di titolo esecutivo; controllo spetta al giudice. Mantiene limite: U.G. può rifiutare solo se mancanza titolo è manifesta.
  • Cass., Sez. III, sent. n. 6873/2024 (14 marzo 2024) – ha stabilito che il provvedimento del G.E. che chiude anticipatamente l’esecuzione per omessa/tardiva trascrizione o deposito è impugnabile con opposizione agli atti ex art.617 cpc, non con appello. Rilevante per i creditori (reclamo vs estinzione) ma conferma la necessità di tempestività atti.
  • Cass., Sez. III, sent. n. 15605/2017 – ribadisce potere del giudice di dichiarare improcedibile l’esecuzione in assenza (anche sopravvenuta) di titolo, perché mancano i presupposti fondamentali.
  • Cass., Sez. III, sent. n. 2043/2017 – il G.E. deve verificare d’ufficio la presenza del titolo in ogni momento; mancando, deve chiudere l’esecuzione.
  • Cass., Sez. U, 14916/2016 – definisce i casi di notifica inesistente vs nulla. Inesistenza se atto mai giunto a destinatario; insanabile e rilevabile sempre.
  • Cass. civ. n. 3967/2019 – sull’assenza di interesse ad opporsi a vizi formali innocui: opposizione agli atti va rigettata se l’atto ha comunque raggiunto lo scopo senza pregiudizio.
  • Tribunale di Napoli, ordinanza 19/06/2021 (Mandico) – Pignoramento immobiliare dichiarato improcedibile per documentazione ipocatastale incompleta: mancata prova continuità delle trascrizioni, art. 567 co.2 cpc.
  • Tribunale di Imperia, sentenza 29/11/2023 – conferma estinzione procedura esecutiva immobiliare perché creditore intervenuto (cessionario) non prova cessione del credito in suo favore. Importante su onere di prova nelle cartolarizzazioni.
  • Tribunale di Tivoli, sent. 1273/2018 – afferma che depositare copie non conformi entro 15 gg equivale a mancato deposito: pignoramento improcedibile ex art.557 cpc. Confronta orientamento Trib. Bari 2016 (più permissivo) e lo disapprova.

Hai ricevuto un pignoramento? Attenzione: in certi casi può essere dichiarato improcedibile. Fatti Aiutare da Studio Monardo.

Il pignoramento è una delle forme più invasive di riscossione del credito, ma non sempre può andare avanti.
La legge prevede una serie di condizioni obbligatorie che, se non rispettate, rendono il pignoramento improcedibile, cioè non valido o non proseguibile davanti al giudice.

Con un’azione legale mirata puoi bloccarlo e difendere i tuoi beni o il tuo stipendio.


Cos’è l’improcedibilità del pignoramento?

Un pignoramento è improcedibile quando:

  • Manca uno dei presupposti fondamentali dell’esecuzione forzata
  • Il creditore non rispetta i termini o gli adempimenti previsti dalla legge
  • L’atto presenta vizi formali gravi
  • La procedura è iniziata, ma non può andare avanti per errori tecnici o mancanze

In questi casi, puoi chiedere al giudice dell’esecuzione di dichiarare l’improcedibilità, con l’effetto di fermare immediatamente l’azione esecutiva.


Quando il pignoramento è considerato improcedibile?

Ecco alcuni casi tipici:

  • Mancato deposito del titolo esecutivo, del precetto o della nota di iscrizione a ruolo nei termini
  • Trascorsi 45 giorni dalla notifica del pignoramento senza iscrizione a ruolo (nei pignoramenti presso terzi e mobiliare)
  • Vizi gravi nella notifica del precetto o del pignoramento stesso
  • Mancanza di autorizzazioni necessarie (es. per pignorare stipendi o pensioni oltre i limiti)
  • Il pignoramento è avviato da soggetto non legittimato (es. cessione del credito non formalizzata)
  • Violazione delle regole di tutela del debitore, come l’impignorabilità di alcuni beni o la violazione dei limiti di pignorabilità dello stipendio

⚠️ Se il creditore non rispetta i tempi o gli obblighi, la procedura decade automaticamente o su richiesta del debitore.


Cosa puoi fare per far dichiarare l’improcedibilità?

  1. Esamina con attenzione la documentazione ricevuta (precetto, atto di pignoramento, eventuale decreto ingiuntivo)
  2. Controlla i termini di iscrizione a ruolo e notifica
  3. Verifica se il bene pignorato è impignorabile per legge
  4. Presenta istanza al giudice dell’esecuzione per far valere l’improcedibilità
  5. Agisci in fretta: i tempi nel processo esecutivo sono molto stretti

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza tutti gli atti esecutivi ricevuti e individua i vizi formali
📑 Controlla il rispetto dei termini e l’esistenza di eventuali nullità
⚖️ Presenta l’istanza per l’improcedibilità davanti al giudice
✍️ Ti difende anche in caso di procedura già in corso o di più pignoramenti
🔁 Attiva, se opportuno, strumenti alternativi come il sovraindebitamento o l’accordo con i creditori


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in esecuzioni forzate e opposizioni giudiziarie
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di famiglie e imprese contro azioni esecutive irregolari o aggressive


Conclusione

Non tutti i pignoramenti sono validi: se mancano i presupposti legali, puoi bloccarli.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi verificare se il pignoramento è improcedibile e agire subito per fermare l’esecuzione.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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