Hai ricevuto un atto di pignoramento sul tuo stipendio da dipendente pubblico e ti stai chiedendo quali sono i limiti, come funziona la procedura e se puoi difenderti? Temi che il tuo intero stipendio venga bloccato o che la tua situazione peggiori rapidamente?
Il pignoramento dello stipendio è una procedura legale che consente al creditore di prelevare una parte della tua retribuzione mensile direttamente dal datore di lavoro. Ma ci sono limiti ben precisi e tutele per il lavoratore pubblico, che non possono essere superati.
Quanto possono pignorarti dallo stipendio se sei un dipendente pubblico?
– La legge stabilisce un tetto massimo del 20% dello stipendio netto, se si tratta di crediti ordinari (es. prestiti, fatture)
– Per crediti alimentari, il giudice può autorizzare fino al 50%
– Per debiti verso lo Stato (es. tributi, multe) si può arrivare al 10%, 20% o 1/5, a seconda del caso
– Lo stipendio è impignorabile fino alla soglia del minimo vitale, pari a circa 1.000 euro netti mensili, salvo eccezioni
Chi esegue il pignoramento e come avviene?
– L’atto viene notificato al datore di lavoro, che è obbligato a trattenere la quota
– I soldi vengono versati direttamente al creditore o all’ufficiale giudiziario
– L’ente pubblico (es. Comune, Ministero, Asl) non può rifiutarsi, salvo casi specifici
Come puoi difenderti?
– Verifica la regolarità della notifica dell’atto di pignoramento
– Controlla se il credito è prescritto o già pagato
– Puoi presentare opposizione al pignoramento per contestare importi, modalità o illegittimità
– In certi casi puoi chiedere al giudice la riduzione della quota trattenuta
Cosa NON devi fare mai?
– Ignorare la notifica: il pignoramento parte comunque
– Accordarti con il creditore senza verificare i tuoi diritti
– Sperare che il datore di lavoro blocchi la procedura: non può farlo
Anche da dipendente pubblico puoi difenderti dal pignoramento, ma devi agire subito e con precisione.
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Introduzione
Il pignoramento dello stipendio è una forma di esecuzione forzata mediante la quale una parte dello stipendio di un debitore viene sequestrata presso il datore di lavoro (il “terzo”) per soddisfare i crediti di uno o più creditori. Nel caso di un dipendente pubblico, il datore di lavoro è un’amministrazione pubblica (Ministero, ente locale, scuola, ASL, ecc.), e la procedura ha alcune peculiarità di notifica e gestione. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, fornisce una trattazione avanzata sul pignoramento dello stipendio dei dipendenti pubblici dal punto di vista del debitore, con riferimento alla normativa italiana vigente, alle ultime novità normative e giurisprudenziali, includendo sentenze recenti, tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte. Il taglio è tecnico-giuridico ma con intento divulgativo: è rivolta sia a professionisti del diritto (avvocati, giuristi) sia a privati cittadini e imprenditori che vogliano comprendere approfonditamente la materia.
Inquadramento generale: Il pignoramento dello stipendio rientra tra i pignoramenti presso terzi, ossia quei procedimenti esecutivi in cui il bene aggredito non è direttamente in mano al debitore ma a un terzo che ne è debitore a sua volta (nel nostro caso, il datore di lavoro che deve pagare lo stipendio). La normativa chiave è contenuta nel Codice di Procedura Civile (c.p.c.), in particolare all’art. 543 c.p.c. (procedura di pignoramento presso terzi) e all’art. 545 c.p.c. (limiti di pignorabilità dei crediti da lavoro). Inoltre, per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, rileva il D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 (Testo Unico sul sequestro, pignoramento e cessione di stipendi e pensioni dei dipendenti pubblici), che contiene disposizioni specifiche, ad esempio sulle modalità di esecuzione e sul cumulo con la cessione del quinto. Va premesso che, a seguito di importanti interventi della Corte Costituzionale negli anni ‘80, oggi gli stipendi pubblici sono pignorabili sostanzialmente alle stesse condizioni degli stipendi privati. Ciò significa che anche il dipendente pubblico risponde dei propri debiti verso qualsiasi creditore (salvo eccezioni di legge) con il proprio stipendio, entro i limiti fissati dalla normativa di tutela (di norma il quinto dello stipendio, come vedremo). Non esiste un’esenzione assoluta di una “quota vitale” per gli stipendi (a differenza delle pensioni minime), ma la legge mitiga l’espropriazione imponendo il rispetto di frazioni massime pignorabili.
Nel corso di questa guida vedremo:
- Il fondamento normativo del pignoramento dello stipendio e i limiti di legge (inclusi i diversi tipi di crediti: alimentari, fiscali, ordinari).
- La procedura dettagliata del pignoramento presso terzi quando il terzo è un’amministrazione pubblica: dalla notifica alla dichiarazione del terzo, fino all’assegnazione delle somme.
- I casi di concorso tra più creditori e la gestione di più pignoramenti sul medesimo stipendio, compresi i rapporti con eventuali cessioni del quinto già in corso.
- Un focus sulle categorie particolari di dipendenti pubblici e su eventuali peculiarità (es. dipendenti statali, enti locali, forze armate, ecc.), inclusa la corretta individuazione dell’ufficio presso cui eseguire il pignoramento e recenti interventi normativi per dipendenti pubblici debitori di somme erariali.
- Le novità 2025, in particolare la misura introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 sul blocco preventivo di parte degli stipendi pubblici in caso di debiti fiscali elevati (in vigore dal 2026).
- Esempi pratici e tabelle riepilogative che illustrano come calcolare la quota pignorabile in varie situazioni (stipendi di diverso importo, presenza di cessione del quinto, più creditori concorrenti, ecc.).
- Una sezione di Domande & Risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni dal punto di vista del debitore (ad es.: “quanto possono pignorarmi?”, “cosa succede se ho già un quinto ceduto?”, “possono toccare la mia tredicesima o TFR?”, “come incide un pignoramento sul rapporto di lavoro?”, ecc.).
Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio la disciplina del pignoramento dello stipendio del dipendente pubblico.
Quadro Normativo di Riferimento
Per comprendere il pignoramento degli stipendi dei dipendenti pubblici è necessario partire dalle norme generali del Codice di procedura civile sui crediti impignorabili o parzialmente pignorabili, per poi vedere le norme speciali per i dipendenti pubblici e le pronunce che le hanno armonizzate con quelle del settore privato.
Art. 545 c.p.c. – Limiti legali alla pignorabilità dello stipendio
L’art. 545 c.p.c. disciplina i limiti entro cui stipendi, salari e altre indennità da lavoro possono essere pignorati. In particolare, il terzo e quarto comma stabiliscono che gli stipendi sono pignorabili solo entro determinate quote:
- Crediti alimentari: per i crediti di natura alimentare (es. assegni di mantenimento per figli o coniuge, dovuti per obbligo di legge), lo stipendio può essere pignorato nella misura autorizzata dal Presidente del Tribunale o da un giudice da lui delegato. In pratica, in presenza di un titolo per alimenti, il giudice dell’esecuzione stabilirà la quota opportuna da trattenere; tradizionalmente i tribunali autorizzano fino a 1/3 dello stipendio per soddisfare crediti alimentari, ritenendo tale frazione coerente con l’art. 545 c.p.c. (pur non essendo fissata espressamente, 1/3 è un limite utilizzato di frequente come equilibrio tra esigenze del creditore alimentare e mantenimento del debitore). Va notato che non tutti i crediti verso familiari hanno natura alimentare in senso tecnico: ad esempio, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’assegno di mantenimento per l’ex coniuge non è equiparabile agli alimenti (in quanto volto a conservare un tenore di vita dignitoso e non la mera sopravvivenza), mentre il mantenimento per i figli minori o non economicamente autosufficienti ha natura alimentare. Questo comporta che un assegno divorzile a favore dell’ex coniuge può essere pignorato come un normale credito (quindi nei limiti del quinto), mentre le somme dovute per il mantenimento dei figli godono delle garanzie degli alimenti (impignorabilità assoluta salvo per altri crediti alimentari, e pignorabilità presso il debitore di lavoro solo previa autorizzazione del giudice). In sintesi, i “crediti alimentari” ai sensi dell’art. 545 c.p.c. sono soltanto quelli che trovano fondamento nello stato di bisogno e nel vincolo di assistenza familiare (tipicamente gli alimenti ex art. 433 c.c. o il mantenimento dei figli); gli assegni di mantenimento per l’ex coniuge, invece, seguono la regola generale del quinto pignorabile.
- Tributi dovuti allo Stato, agli enti locali: per i debiti fiscali o tributari (es. imposte non pagate a Stato, Regioni, Comuni) lo stipendio è pignorabile fino a un quinto del suo ammontare. Lo stesso limite del 20% si applica “per ogni altro credito” diverso da quelli alimentari. Dunque qualsiasi creditore ordinario (banche, finanziarie, fornitori, privati) può pignorare al massimo un quinto dello stipendio netto del dipendente. Questo limite del quinto è la regola fondamentale del pignoramento di stipendi: nasce per riservare comunque al debitore la maggior parte delle sue entrate lavorative (almeno i 4/5) così da poter provvedere al proprio sostentamento. Il limite vale per singola categoria di crediti (come vedremo meglio più avanti): ad esempio, un creditore bancario può ottenere al massimo il 20%, e anche un diverso creditore sempre per un credito ordinario dovrà attendere il suo turno perché non si può superare globalmente il 20% per crediti della stessa natura. Fanno eccezione solo le cause di credito diverse (es. un credito alimentare e uno fiscale insieme, vedi oltre).
In estrema sintesi, stipendi e salari sono parzialmente pignorabili solo nei limiti di: quota autorizzata (fino ~1/3) per crediti alimentari; 20% (un quinto) per crediti erariali e per qualsiasi altro credito di natura ordinaria. Questa regola del quinto si applica sia ai dipendenti privati che pubblici, a seguito di un processo di uniformazione giuridica conclusosi alla fine degli anni ’80. Infatti, originariamente il D.P.R. 180/1950 prevedeva addirittura l’impignorabilità assoluta degli stipendi pubblici salvo poche eccezioni (era una norma pensata per tutelare i funzionari statali), ma la Corte Costituzionale – con sentenze n. 89/1987 e n. 878/1988 – ha eliminato quelle disparità dichiarando illegittimo il privilegio di impignorabilità e imponendo la pignorabilità degli stipendi pubblici nei medesimi limiti del quinto già previsti dall’art. 545 c.p.c. per i dipendenti privati. Dunque oggi non vi è più differenza: il dipendente pubblico risponde dei propri debiti come qualunque lavoratore, con pignorabilità dello stipendio fino al quinto (salvo il caso di crediti alimentari dove decide il giudice, di norma entro 1/3).
- Somme per licenziamento, indennità di fine servizio: l’art. 545 c.p.c. equipara alle “somme dovute a titolo di stipendio o salario” anche altre indennità legate al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento. Ciò significa che anche le buonuscite, TFR o TFS maturati dal dipendente pubblico possono essere oggetto di pignoramento nelle stesse misure del quinto. Ad esempio, se un dipendente pubblico cessa il servizio e ha diritto al TFS (trattamento di fine servizio), un creditore potrà pignorare quella indennità nei limiti del 20%. Questo aspetto è importante perché il debitore potrebbe attendersi che il creditore aggredisca il TFR per soddisfarsi in un colpo solo: invece, la legge impone comunque che anche su quella somma una quota rimanga al debitore (4/5), a tutela del suo sostentamento futuro. Pertanto, se il debito eccede il quinto del TFR, il residuo insoluto non potrà essere prelevato tutto dal TFR stesso, ma il creditore dovrà continuare a soddisfarsi eventualmente sullo stipendio (se il debitore trova un nuovo impiego) o su altri beni.
- Impignorabilità assoluta di alcuni crediti: Prima di proseguire, vale la pena ricordare che il primo comma dell’art. 545 c.p.c. prevede anche crediti totalmente impignorabili, come i crediti alimentari del debitore stesso (es. se Tizio vanta egli stesso il diritto di ricevere alimenti da qualcuno, quel diritto non può essere pignorato dai creditori di Tizio, se non per cause di alimenti verso altri e con autorizzazione del giudice). Inoltre, vi sono leggi speciali che rendono impignorabili determinate somme (ad esempio, alcune provvidenze assistenziali, indennità di accompagnamento per invalidi, ecc., sono impignorabili). Queste ipotesi particolari esulano però dal tema principale – qui ci focalizziamo su stipendio e assimilati – ma vanno tenute presenti: lo stipendio in sé non gode di impignorabilità assoluta, mentre eventuali assegni a carattere assistenziale legati al rapporto di lavoro (come ad es. l’assegno per il nucleo familiare, che ha natura di sostegno economico per bisogni familiari) potrebbero essere esclusi dalla pignorabilità in quanto crediti di natura alimentare a favore del dipendente. Su questo aspetto, la giurisprudenza è attenta a valutare la causa delle somme: se si tratta di emolumenti con funzione alimentare specifica (es. assegni familiari), potrebbero essere sottratti all’esecuzione forzata se ciò comprometterebbe il sostentamento del nucleo familiare. In linea di massima però, tutto ciò che rientra nella normale retribuzione (stipendio base, indennità fisse, tredicesima mensilità, ecc.) segue le regole del quinto pignorabile.
Cosa significa quinto dello “stipendio”? La percentuale si applica di norma sul netto mensile percepito dal lavoratore, ovvero sulla retribuzione al netto delle ritenute di legge (previdenziali e fiscali). Infatti la giurisprudenza qualifica come pignorabile l’importo “dovuto al dipendente”, che corrisponde alla somma che egli avrebbe incassato – il suo credito verso il datore – una volta detratte le trattenute obbligatorie. Non si calcola dunque sul lordo contrattuale, ma sull’importo effettivamente pagabile al lavoratore (in busta paga, l’importo di netto in calce). Ad esempio, se il dipendente pubblico ha uno stipendio lordo di €2.500 e un netto di €1.900, un pignoramento ordinario potrà colpire al massimo circa €380 al mese (cioè un quinto di 1.900). Questo criterio vale anche per le altre quote: il quinto, un eventuale terzo alimentare, o le fasce del decimo/settimo (che vedremo per i crediti fiscali) sono riferiti alla retribuzione netta mensile.
D.P.R. 180/1950 – Esecuzione dei pignoramenti presso pubbliche amministrazioni
Il D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 è la storica fonte che disciplina la cessione e il pignoramento degli stipendi e pensioni dei dipendenti pubblici (è noto anche come Testo Unico in materia di sequestri, pignoramenti e cessioni per dipendenti statali). Sebbene molte sue parti siano state superate o integrate da successive modifiche (come quelle costituzionali menzionate), alcune disposizioni restano rilevanti, in particolare per le modalità procedurali del pignoramento quando il datore di lavoro è un ente pubblico, e per il cumulo con cessioni del quinto.
Le norme principali del DPR 180/1950 da considerare sono:
- Art. 1 e 2 D.P.R. 180/1950: originariamente, l’art.1 prevedeva l’impignorabilità assoluta degli stipendi dei dipendenti di Stato, province, comuni, salvo quanto disposto dall’art.2 che elencava le eccezioni (pignorabilità entro certi limiti per cause specifiche). Come detto, queste parti sono state dichiarate incostituzionali negli anni ’80 nella misura in cui escludevano i comuni crediti ordinari. Oggi dunque anche in base al DPR 180 lo stipendio pubblico è pignorabile per qualsiasi credito, nei limiti di un quinto, esattamente come stabilito dal codice di procedura civile. Si può considerare che il combinato disposto del nuovo art. 545 c.p.c. e della reinterpretazione costituzionale del DPR 180 allineano il regime pubblico e privato.
- Art. 3 D.P.R. 180/1950: stabiliva (nel testo originale) come eseguire pignoramenti e sequestri a carico di impiegati e salariati delle Amministrazioni statali. In origine indicava che l’atto di pignoramento dovesse eseguirsi presso il Ministero del Tesoro – Ispettorato Generale per il Credito ai dipendenti dello Stato, in persona del relativo Ispettore Generale Capo. Questa era la centralizzazione tipica del 1950: per tutti i dipendenti statali (di qualsiasi Ministero) l’ufficio deputato era al Tesoro. Tale previsione è stata superata e “attualizzata”: prima, la Corte Costituzionale con sentenza n. 231/1994 ha sancito che per i dipendenti e pensionati statali la competenza venisse decentrata all’ufficio amministrativo che gestisce in concreto il rapporto di lavoro (cioè l’articolazione ministeriale locale titolare del potere di spesa per quello stipendio). Successivamente, una riforma organizzativa (art. 2, co. 1-ter, L. 22/5/2010 n. 73) ha soppresso gli Ispettorati e le Direzioni territoriali del Tesoro, trasferendo l’attività di pagamento stipendi del personale statale alle Ragionerie Territoriali dello Stato (RTS). In conclusione, oggi un pignoramento dello stipendio di un dipendente di un’amministrazione statale (esempio: un agente di Polizia Penitenziaria, come nel caso di un quesito riportato) va notificato alla Ragioneria Territoriale dello Stato competente per la provincia in cui il dipendente presta servizio. È questo ufficio, facente capo al MEF, che funge da tesoriere pagatore degli stipendi statali periferici e quindi da “terzo pignorato”.
- Art. 4 D.P.R. 180/1950: analogamente, prevedeva per gli impiegati e salariati di enti, aziende ed amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato (es. enti locali, aziende autonome, ecc.) che i sequestri e pignoramenti si eseguissero presso l’ente stesso (o secondo le disposizioni regolamentari proprie). In pratica già l’art.4 stabiliva che per enti pubblici non statali, il pignoramento andasse fatto presso l’ente o azienda interessata, in persona dell’organo competente a rappresentarlo. Dunque, per un dipendente comunale il pignoramento va notificato all’ente Comune (di solito all’ufficio ragioneria/personale del Comune); per un dipendente regionale, alla Regione; per un dipendente di un’ASL, all’ASL medesima, e così via. Anche gli enti pubblici economici o aziende speciali rientrano in questa previsione. Già dal 1950, insomma, per i non statali la regola era la notifica “in loco”. L’estensione ai dipendenti statali è avvenuta come detto nel 1994, parificando il criterio.
- Art. 68 D.P.R. 180/1950: questa disposizione è molto rilevante nella coordinazione tra cessioni e pignoramenti (tema che tratteremo in dettaglio più avanti). Anticipiamo qui che essa prevede sostanzialmente: “Qualora i sequestri o i pignoramenti abbiano luogo dopo una cessione già perfezionata e notificata, non si possono colpire somme oltre la differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta”. Ciò pone un ulteriore limite a tutela del dipendente debitore quando egli abbia già in corso una cessione del quinto: in tal caso eventuali pignoramenti successivi possono attingere solo fino a concorrenza di metà stipendio meno la parte ceduta. Di fatto, questo articolo – letto in combinato con l’art. 545, 5° comma c.p.c. – garantisce che la somma delle trattenute sullo stipendio (cessioni + pignoramenti) non superi mai il 50%. Torneremo su questo argomento approfonditamente, perché è cruciale quando il dipendente pubblico ha già un prestito con cessione del quinto o delegazione in busta paga.
Da segnalare infine che esistono norme speciali per casi particolari: ad esempio il D.L. 25/05/1994 n. 313 (conv. in L. 460/1994) disciplina i pignoramenti sulle contabilità speciali delle Prefetture e delle Direzioni di amministrazione delle Forze Armate e della Guardia di Finanza, che sono i sistemi contabili tramite cui vengono pagati stipendi a forze dell’ordine e militari. Questa norma, di interesse più per il creditore procedente che per il debitore, ha dettato procedure specifiche per pignorare somme su tali conti speciali (prevedendo ad esempio termini e modalità diverse). Senza entrare nei dettagli tecnici, è bene sapere che anche i militari e le forze di polizia in servizio attivo possono subire il pignoramento dello stipendio, ma che il creditore dovrà seguire le regole particolari nel notificarlo ai reparti competenti (spesso coinvolgendo la Prefettura o la Direzione amministrativa dell’Arma/Corpo). Dal lato del debitore ciò non cambia i limiti (sempre un quinto etc.), ma solo la prassi: ad esempio, un Carabiniere vedrà il proprio quinto trattenuto dal Centro Amministrativo dell’Arma preposto, a seguito di un atto notificato lì secondo quanto stabilito dalla legge speciale del 1994.
Giurisprudenza costituzionale e di legittimità
Nessun “minimo vitale” impignorabile per gli stipendi: è utile ribadire un punto fondamentale sancito più volte dalla Corte Costituzionale: non esiste un diritto a un minimo salariale impignorabile assoluto per il lavoratore. La Consulta ha affrontato più volte la questione se fosse incostituzionale consentire il pignoramento di retribuzioni molto basse senza garantire al debitore mezzi adeguati alla vita. Ebbene, con sentenza n. 248/2015 e successivamente con ordinanza n. 202/2018, la Corte ha dichiarato infondate le questioni di legittimità, affermando che il legislatore, per ragioni di tutela del credito e certezza dei rapporti, può non prevedere una soglia totalmente impignorabile sullo stipendio, limitandosi a introdurre attenuazioni (come il limite del quinto). In altre parole: la legge bilancia già i diritti prevedendo il pignoramento parziale (20%) e non integrale, ma non è obbligatorio introdurre un “minimo vitale” come invece avviene per le pensioni. Questo perché, secondo la Corte, pensione e stipendio non sono omogenei: la pensione è spesso l’unica fonte di sostentamento di persona anziana non più in grado di lavorare, mentre lo stipendio si inserisce in un rapporto sinallagmatico di lavoro attivo e gode di tutela differente. Pertanto, sotto il profilo costituzionale, il prelievo del quinto sullo stipendio del lavoratore è legittimo anche se la retribuzione è modesta, e non è incostituzionale che la legge non preveda una franchigia impignorabile (cosa che invece ora esiste per le pensioni minime). La Corte ha però demandato al legislatore ogni scelta di merito su eventuali futuri correttivi. Ad oggi, salvo interventi futuri, resta confermato che il debitore lavoratore dipendente non può opporsi al pignoramento invocando insufficienza dei mezzi di sostentamento, se sono stati rispettati i limiti di legge del 20%.
Stipendio accreditato in conto corrente: un tema correlato, affrontato tanto dal legislatore quanto dalla giurisprudenza, è la sorte delle somme salariali una volta versate sul conto bancario del dipendente. In passato la Cassazione riteneva che, una volta confluite sul conto, le somme perdessero la loro “causa” di stipendio, divenendo normale risparmio del debitore e quindi pignorabili senza limiti come qualsiasi saldo di conto. Questa impostazione è stata in parte modificata con il D.L. 83/2015 (conv. L. 132/2015), che ha introdotto nell’art. 545 c.p.c. una tutela specifica: se lo stipendio o la pensione sono accreditati su conto bancario o postale intestato al debitore, in caso di pignoramento del conto le somme accreditate anteriormente al pignoramento sono impignorabili fino all’importo pari al triplo dell’assegno sociale (per le pensioni; per gli stipendi, il legislatore non estese pienamente questa regola, come chiarito dalla Consulta). Tuttavia, a scanso di equivoci, il medesimo D.L. 83/2015 inserì anche un comma (il 8° dell’art.545) chiarendo che gli obblighi del terzo pignorato (la banca) “non si estendono all’ultimo emolumento affluito sul conto” a titolo di stipendio o pensione. In pratica: se un creditore notifica un pignoramento del conto corrente del debitore dove confluisce lo stipendio, l’ultimo stipendio accreditato rimane nella piena disponibilità del debitore e non può essere toccato. Solo l’eventuale residuo sul conto oltre l’ultimo accredito potrà essere assegnato al creditore, senza più distinzione di causale. Questa norma garantisce almeno un mese di respiro al lavoratore, evitando che un pignoramento sul conto “prosciughi” anche l’ultima mensilità accreditata necessaria per vivere quel mese. Ovviamente, dal mese successivo il creditore potrà pignorare nuovamente il conto (o meglio, se il pignoramento continua, potrà aggredire i nuovi bonifici in entrata successivi con le stesse limitazioni commisurate al quinto). Attenzione: questa tutela dell’ultimo accredito opera solo se il pignoramento viene fatto direttamente sul conto bancario. Se invece il creditore pignora lo stipendio presso il datore di lavoro, quel meccanismo non entra in gioco (perché in quel caso le somme non arrivano mai integralmente sul conto, venendo trattenuta la quota prima). Dunque, riepilogando:
- Pignoramento presso datore di lavoro: il datore trattiene la quota (es. 1/5) e paga il resto al dipendente; il dipendente può disporre liberamente di quanto ricevuto, e se poi quelle somme le versa in banca non sono più coperte da specifiche “protezioni” (salvo resti l’ultimo mese se un domani anche il conto fosse pignorato).
- Pignoramento del conto corrente: la banca, come terzo pignorato, deve congelare le disponibilità sul conto fino all’udienza; in tal caso però deve escludere da subito l’importo dell’ultimo stip stipendiale accreditato (che resta libero per il correntista). All’udienza, il giudice assegnerà al creditore solo l’eventuale eccedenza sul conto oltre quell’importo.
Questa disciplina è stata ulteriormente ritoccata per le pensioni nel 2022: oggi il minimo impignorabile sul conto per le pensioni è pari a due volte l’assegno sociale, e comunque almeno €1.000 (Legge 142/2022). Ma per gli stipendi tale innalzamento non è stato previsto: rimane solo la regola dell’ultimo accredito intangibile. La Corte Costituzionale nel 2018 ha confermato che il legislatore non ha esteso ai salari accreditati la soglia fissa riservata alle pensioni, e che ciò, pur creando disparità di trattamento, non è irragionevole dati i diversi presupposti (sent. nn. 85/2015 e ord. 202/2018). In sintesi, per il dipendente pubblico debitore è fondamentale sapere che il suo stipendio non è mai completamente al sicuro sul conto bancario: se un creditore sceglie di pignorare il conto invece che il datore, l’ultima mensilità è salva ma eventuali risparmi accumulati da stipendi precedenti potrebbero essere presi interamente. Dunque non sarebbe efficace spostare lo stipendio sul conto di un familiare perché sarebbe comunque attaccabile come atto in frode (e inoltre la protezione del triplo assegno sociale sul conto altrui non opera). L’unica vera tutela sta nei limiti di pignorabilità originari (il quinto) e nel fatto che almeno la metà dello stipendio deve sempre restare libera anche in caso di cumulo di cause (come vedremo nel prossimo paragrafo).
Procedura di Pignoramento presso Terzi dello Stipendio Pubblico
Passiamo ora a descrivere come avviene concretamente il pignoramento dello stipendio di un dipendente pubblico. La procedura ricalca in larga parte quella prevista per qualsiasi pignoramento presso terzi (art. 543 e seguenti c.p.c.), con alcuni accorgimenti per il terzo pubblico. Dal punto di vista del debitore, è utile capire le fasi della procedura, i propri diritti e doveri in ciascuna di esse e cosa comporta l’intervento del proprio datore di lavoro come terzo pignorato.
Titolo esecutivo e atto di precetto
Il presupposto per iniziare un pignoramento è che il creditore sia munito di un titolo esecutivo valido contro il debitore. Può trattarsi di una sentenza di condanna al pagamento, di un decreto ingiuntivo definitivo, di una cartella esattoriale non pagata (nel caso di crediti fiscali o contributivi), di un verbale di conciliazione giudiziale, o di altri atti ai quali la legge attribuisce efficacia esecutiva. Ad esempio, se il dipendente ha un debito verso una banca per un prestito non rimborsato, la banca dovrà ottenere un decreto ingiuntivo o una sentenza; se il debito è verso il Fisco per tasse non pagate, il titolo è la cartella di pagamento emessa dall’Agente della Riscossione; se è verso l’ex coniuge per mantenimenti, il titolo potrebbe essere la sentenza di separazione/divorzio o un provvedimento del giudice. In ogni caso, senza titolo esecutivo non si può procedere a pignorare lo stipendio.
Ottenuto il titolo, il creditore (salvo nel caso di esecuzione esattoriale, dove la procedura è speciale) deve notificare al debitore un atto di precetto, ossia un’intimazione ad adempiere entro un termine non minore di 10 giorni, pena l’esecuzione forzata (art. 480 c.p.c.). Nel precetto il creditore indica la somma dovuta (capitale, interessi, spese) e manifesta la volontà di procedere esecutivamente. Spesso il precetto viene notificato unitamente al titolo stesso (se quest’ultimo non era stato precedentemente notificato) o successivamente. Nel caso dei debiti fiscali, la notifica della cartella esattoriale fa già le veci di precetto; dal 2021 inoltre, per le cartelle, prima di pignorare lo stipendio pubblico l’Agente della Riscossione invia un avviso (intimazione) con 30 giorni di anticipo (divenuti 60 giorni dal 2025) entro cui il debitore può pagare o chiedere la rateizzazione. Passato il termine, può scattare l’azione esecutiva anche senza ulteriore precetto.
Notifica dell’atto di pignoramento presso terzi
Trascorso inutilmente il termine del precetto, il creditore può procedere col pignoramento presso terzi ai sensi dell’art. 543 c.p.c. Ciò comporta la predisposizione di un atto di pignoramento in forma di atto di citazione rivolto sia al debitore che al terzo. Questo atto deve contenere:
- l’indicazione del credito per cui si procede e del titolo esecutivo;
- l’ingiunzione al debitore (ex art. 492 c.p.c.) di astenersi da atti dispositivi sulla somma pignorata (in questo caso, di non percepire direttamente dal terzo le somme soggette a pignoramento);
- la citazione del terzo a comparire davanti al Giudice dell’Esecuzione (presso il tribunale competente) a una certa udienza, con invito al terzo a dichiarare se è debitore di somme verso il debitore e in quale misura.
Nel nostro caso, il terzo pignorato è il datore di lavoro pubblico. Per individuare esattamente il soggetto:
- Se il debitore è un dipendente di un Ministero (dipendente statale), come detto, l’atto va notificato alla competente Ragioneria Territoriale dello Stato (RTS) per quel Ministero e per la provincia in questione. Ad esempio, per un insegnante dipendente dal Ministero dell’Istruzione in servizio a Milano, il terzo sarà la RTS di Milano del MEF; per un agente della Polizia Penitenziaria in servizio a Roma (Min. Giustizia – Dipart. Amm. Penitenziaria), il terzo sarà la RTS di Roma, e così via. In caso di dubbio, l’elenco delle RTS e relative competenze territoriali è pubblico; inoltre l’atto di pignoramento può essere indirizzato anche all’Ufficio locale del Ministero (es. Provveditorato agli studi, direzione dell’istituto, comando dell’ufficio) purché venga coinvolta la RTS che effettua i pagamenti.
- Se il debitore è un dipendente di altro ente pubblico (ente locale, ente pubblico non economico, azienda pubblica), il terzo sarà quell’ente stesso, in persona del legale rappresentante pro tempore o del dirigente responsabile del servizio paghe. Ad esempio, per un dipendente comunale: Comune di XYZ in persona del Sindaco pro tempore; per un dipendente di Azienda Sanitaria Locale: ASL n. …, in persona del Direttore Generale; per un professore universitario: l’Università di riferimento; per un dipendente INPS: l’INPS – direzione regionale o centrale che cura le paghe; e così via.
- Categorie particolari: se il debitore è un militare o appartenente a forze di polizia, come accennato, esistono procedure tramite conti speciali: in tal caso il pignoramento va notificato tipicamente alla Prefettura o all’Amministrazione di appartenenza (es. Ministero Difesa per militari) indicando specificamente che si tratta di pignoramento dello stipendio. Ad esempio, per un Carabiniere il creditore notificherà l’atto al Ministero della Difesa – Direzione Generale del Tesoro (o all’ufficio amministrativo di riferimento dell’Arma), citandolo come terzo. Questi dettagli esulano dalla trattazione generale, ma è bene sapere che nessuna categoria di dipendenti pubblici è esente dal pignoramento: giudici, medici pubblici, forze dell’ordine, diplomatici, tutti soggiacciono al pignoramento stipendiale (salvo immunità diplomatiche per personale accreditato estero, che è caso a parte).
L’atto di pignoramento va notificato sia al terzo che al debitore. La legge richiede che la notifica al terzo avvenga a mani di un ufficiale giudiziario (non basta la PEC sebbene ci sia dibattito, ma in genere per enti pubblici si procede in cartaceo o via PEC nei modi consentiti) e che dall’atto risulti chiaro l’importo pignorato (nei limiti del quinto, di regola). Spesso l’atto indicherà espressamente al terzo di non pagare al debitore le somme oggetto di pignoramento entro la misura autorizzata (il quinto), congelandole in attesa delle disposizioni del giudice. Ad esempio, una formula tipica: “si pignora lo stipendio di Tizio fino alla concorrenza di €…, con ordine all’ente datore di lavoro di non disporre delle relative somme e di accantonare mensilmente la quota di 1/5 dello stipendio netto di Tizio”.
Notifica all’Avvocatura dello Stato? – Una domanda che ci si pone spesso, considerando che il terzo è una Pubblica Amministrazione, è se sia necessario coinvolgere l’Avvocatura dello Stato per rappresentare l’ente in giudizio. La risposta è no: nel pignoramento presso terzi, l’amministrazione-datrice di lavoro non è parte del processo esecutivo in senso sostanziale, ma solo soggetto terzo chiamato a rendere la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. Come chiarito dalla Cassazione (sent. n. 798/1981) citata anche dalla dottrina, l’Avvocatura dello Stato non deve essere destinataria della notifica del pignoramento presso terzi nei confronti di una P.A., perché la P.A. non assume la qualità di parte sostanziale esecutata. Occorre invece notificare l’atto al dirigente dell’ufficio che gestisce quelle somme, come visto sopra, il quale renderà poi la dichiarazione al giudice. Dunque, un pignoramento dello stipendio di un funzionario ministeriale non va notificato all’Avvocatura distrettuale, ma direttamente all’ufficio pagatore (Ragioneria). L’Avvocatura potrà eventualmente entrare in gioco se nascono contenziosi (ad es. se la PA viene coinvolta in opposizioni), ma non nella fase normale di mera dichiarazione del terzo.
Udienza davanti al giudice dell’esecuzione e dichiarazione del terzo
Nell’atto di pignoramento è indicata la data dell’udienza di comparizione davanti al Giudice dell’Esecuzione (G.E.) presso il Tribunale competente (generalmente, tribunale del luogo di residenza del debitore, salvo eccezioni). A tale udienza devono comparire il creditore procedente e il terzo pignorato (il debitore può comparire, ma tipicamente non è obbligatoria la sua presenza personalmente).
Il terzo (datore di lavoro pubblico) è tenuto per legge a comunicare una dichiarazione in cui specifica quali somme deve al debitore. Nel caso di stipendio: dichiarerà che il debitore Tizio è suo dipendente con una certa retribuzione mensile, e se su di essa gravano già altre cessioni o pignoramenti. Ad esempio, il dirigente dell’ufficio del personale dell’ente X invierà (di solito per iscritto prima dell’udienza) una dichiarazione tipo: “Con riferimento al pignoramento n…, si dichiara che il sig. Tizio, matr. 123, è alle dipendenze di questo ente con stipendio mensile netto di €…; su detto emolumento grava già cessione volontaria del quinto per €… mensili fino al…; attualmente non vi sono altri pignoramenti in corso. Si resta a disposizione…”. Oppure, se il dipendente nel frattempo è cessato dal servizio o lo stipendio è modesto, lo preciserà. Questa dichiarazione può essere resa per iscritto (inviata via PEC alla cancelleria/creditore, come spesso accade) oppure oralmente in udienza tramite un funzionario che si presenta. Le Pubbliche Amministrazioni di solito anticipano per iscritto la dichiarazione, facilitando il compito.
Se la dichiarazione del terzo conferma l’esistenza del rapporto di lavoro e quindi la disponibilità di una quota pignorabile, il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza di assegnazione: dispone cioè che la quota pignorata dello stipendio venga assegnata al creditore procedente fino a soddisfo del credito. L’ordinanza indicherà l’importo mensile (ad es. “assegna a favore del creditore Alfa S.p.A. la somma pari ad 1/5 dello stipendio netto mensile di Tizio, che il terzo datore di lavoro dovrà versare periodicamente sino alla concorrenza del credito di €… oltre interessi e spese”). Da notare: se sullo stipendio gravano già altre trattenute pignoratizie o cessioni, il giudice ne terrà conto nel disporre l’assegnazione, per rispettare i limiti di legge (ad esempio, se risulta che c’è già un quinto ceduto, l’ordinanza specificherà che il prelievo avverrà nei limiti del quinto residuo, ossia un ulteriore quinto finché la somma dei due non ecceda il 50%). Ci torneremo meglio nella parte sul concorso di più pignoramenti.
Dopo l’ordinanza di assegnazione, il datore di lavoro diviene obbligato a pagare al creditore la quota assegnata, mese per mese, prelevandola dalla busta paga del dipendente. Per gli stipendi pubblici, spesso l’ordinanza viene inviata anche per tramite della Ragioneria/Tesoreria, e i pagamenti al creditore possono avvenire tramite mandati diretti o tramite il tribunale (a seconda delle prassi: talvolta il datore accantona e poi invia al creditore le somme; altre volte deposita le quote in un libretto infruttifero presso la cancelleria finché si accumula l’importo totale che il G.E. autorizza a ritirare). In genere comunque il creditore preferisce l’assegnazione diretta delle quote, così da riceverle regolarmente.
Mancata dichiarazione del terzo: se la P.A. datore di lavoro non rende la dichiarazione (ipotesi rara, ma possibile per dimenticanza o ritardi burocratici), il giudice può applicare l’art. 548 c.p.c. Dichiarando “fittiziamente” ammesso il debito corrispondente a quanto richiesto dal creditore nei limiti di legge, il giudice può assegnare comunque le somme pignorate. Ad esempio, se il Ministero non risponde, il giudice può presumere che esista uno stipendio e assegnare il quinto sulla base delle info note. Ovviamente la P.A. ha interesse a dichiarare esattamente per evitare di vedersi poi chiedere somme non dovute.
Opposizione del debitore: il debitore, dal canto suo, può presentare eventualmente opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi se ritiene che il pignoramento sia illegittimo (ad es. perché il titolo è invalido o il debito è già pagato). L’opposizione va proposta con atto di citazione al giudice competente (spesso lo stesso G.E. per gli atti esecutivi) e, se del caso, può portare alla sospensione dell’esecuzione. In assenza di opposizioni, la procedura prosegue linearmente. Dal punto di vista del debitore, è importante sapere che non ha margine per contestare l’ordinaria entità della quota pignorata (il 20%): se il pignoramento è avvenuto correttamente e il credito è dovuto, non si può chiedere al giudice di ridurre il quinto per motivi di bisogno, perché come detto la legge non lo consente. Le opposizioni utili possono riguardare casistiche come: il creditore sta pignorando oltre quello che gli spetta (magari computando interessi usurari, ecc.), oppure i calcoli sono errati, o ancora il titolo non è efficace. Ma non si può contestare un pignoramento lamentando “mi serve più denaro per vivere”, poiché quella valutazione è già stata fatta dal legislatore con il limite standard. Solo in ambito familiare a volte il giudice può modulare la quota alimentare (ad es. se l’ex coniuge chiede più di 1/3 il giudice potrebbe comunque contenerla a 1/3 bilanciando gli interessi in gioco).
Costi e spese: le spese dell’esecuzione (contributo unificato, notifiche, eventuali spese legali) di solito sono poste a carico del debitore e aggiunte all’importo del precetto. Non vi sono costi a carico del datore di lavoro terzo: quest’ultimo non può addebitare al dipendente alcuna commissione per il servizio di trattenuta. Questo punto è stato recentemente oggetto di una controversia nel settore privato: la Cassazione, sent. n. 22362/2024, ha stabilito che il datore di lavoro non può trattenere al dipendente costi amministrativi per la gestione della cessione del quinto, in quanto rientra nei suoi obblighi gestionali. Analogamente, non sono previsti per legge addebiti al dipendente per gestire pignoramenti; qualche autore ha ipotizzato che in caso di pluralità di pignoramenti il datore possa pattuire in sede contrattuale un rimborso spese se ciò diventa oneroso, ma si tratta di ipotesi opinabili e comunque applicabili solo al privato. Per le Pubbliche Amministrazioni certamente non vi è alcun costo: gli uffici stipendiali devono attuare le trattenute come parte dei propri compiti d’ufficio, senza penalizzare in alcun modo il dipendente (oltre naturalmente alla quota pignorata che va al creditore).
Durata della procedura: una volta emessa l’ordinanza, il pignoramento prosegue fino al soddisfacimento integrale del credito indicato. Le trattenute mensili continueranno finché, sommando capitale, interessi (che maturano fino al saldo) e spese, il creditore sia stato interamente pagato. Non c’è un termine fisso: dipende dall’ammontare del debito e dalla grandezza della quota mensile. Ad esempio, un debito di €5.000 su uno stipendio di €1.500 netti comporterà circa €300 al mese di trattenuta, quindi durerà attorno ai 17-18 mesi considerando interessi; un debito molto elevato (es. €50.000) su uno stipendio modesto (€1.200) a €240 al mese potrebbe durare diversi anni (oltre 15 anni in quell’esempio). Se il debitore cessa dal servizio prima che il credito sia estinto (es. perché va in pensione o cambia lavoro), il pignoramento su quello stipendio termina e il creditore dovrà attivarsi per pignorare la nuova entrata (pensione o nuovo stipendio) notificando un nuovo atto al nuovo soggetto erogante. L’ordinanza di assegnazione infatti vincola solo quel terzo specifico; non si “trasferisce” automaticamente su un’altra retribuzione. Tuttavia, se il debitore percepisce contestualmente TFS/TFR, il creditore potrà chiedere di estendere il pignoramento a tali somme (se non già incluso inizialmente) finché l’esecuzione è pendente, ottenendo di prelevare il quinto di quelle indennità. In caso di passaggio ad altra amministrazione pubblica senza soluzione di continuità (mobilità), l’ordinanza potrebbe continuare ad essere eseguita sul nuovo ente pagatore, ma in pratica è opportuno emettere un nuovo atto perché formalmente il terzo è mutato.
Riassumendo dal lato pratico per il debitore pubblico: egli riceverà la notifica del pignoramento e capirà che una parte del suo stipendio verrà bloccata. Potrà eventualmente attivarsi contattando il creditore per un saldo stragiudiziale (se riesce a trovare i fondi) al fine di far rinunciare al pignoramento, oppure presentare opposizione in presenza di vizi. Altrimenti dovrà subire la trattenuta. Dopo l’ordinanza, vedrà sulla propria busta paga una voce di “pignoramento presso terzi” o simile, con l’importo detratto. Il resto dello stipendio (non pignorato) continuerà a riceverlo regolarmente. L’ente datore di lavoro è tenuto per legge al rispetto rigoroso dei limiti: non potrà mai trattenere più di quanto ordinato dal giudice o previsto dalla legge – se lo facesse, violerebbe i diritti patrimoniali del dipendente. Il debitore dunque ha la certezza che gli rimarrà in tasca almeno la porzione non pignorabile (ad es. l’80% se c’è un solo pignoramento ordinario).
Una volta pagato tutto, il creditore rilascerà una dichiarazione di soddisfo e il giudice disporrà la cessazione delle trattenute. Se per errore venisse prelevato qualcosa in più (può capitare un ritardo nell’interruzione), il dipendente ha diritto alla restituzione dell’eccedenza. Di regola, comunque, i conti vengono fatti attentamente: spesso l’ultimo mese la trattenuta viene ridotta proprio per chiudere al centesimo il debito.
Limiti di Pignorabilità e Calcolo della Quota Trattenibile
Come già delineato, la quota massima pignorabile dello stipendio dipende dal tipo di credito: generalmente è il 20% per crediti ordinari e fiscali, quota decisa dal giudice (fino a circa 1/3) per crediti alimentari. Approfondiamo ora il calcolo concreto della quota pignorabile e illustriamo alcuni casi esemplificativi, includendo anche la particolare normativa per i pignoramenti fiscali con importi ridotti e le situazioni di cumulo tra più cause di credito.
Pignoramento “ordinario” – Esempi di calcolo del quinto
Chiamiamo “ordinario” il pignoramento intrapreso da creditori che non siano per alimenti o per tributi erariali. In tali casi la legge fissa al 20% del netto mensile la parte aggredibile. Ecco qualche esempio pratico:
- Esempio 1: Dipendente pubblico con stipendio netto di €1.500 al mese, debitore verso una banca di €10.000. La banca ottiene un decreto ingiuntivo e procede a pignorare lo stipendio. La quota pignorabile è €300 al mese, ossia un quinto di 1500. Il dipendente continuerà a percepire €1.200. Il credito di €10.000 verrà soddisfatto in circa 34 mesi (poco meno di 3 anni), considerando che nel frattempo maturano interessi legali sui €10.000 residui.
- Esempio 2: Stipendio netto €2.400, debitore verso un privato di €5.000. Quota pignorata: €480 mensili (1/5 di 2400). In circa 11 mesi il debito capitale è estinto, poi cessa la trattenuta (in realtà potrebbe cessare un mese prima calcolando interessi e spese).
- Esempio 3: Stipendio netto €900, debitore verso finanziaria di €3.000. Quota pignorata: €180/mese (un quinto). Al dipendente resteranno €720 al mese. Occorreranno circa 18 mesi per estinguere il debito (più qualche piccolo interesse). È importante notare: benché €900 sia uno stipendio basso, la legge consente comunque di pignorarlo in parte (lasciando però il 80% al lavoratore, cioè €720). Non c’è un minimo intoccabile (ad es. “lasciare sempre €500”): se guadagnasse €500, gli toglierebbero €100 (il quinto) lasciandogliene €400; se guadagnasse €400, gli toglierebbero €80 e gliene resterebbero €320, e così via, anche se scendono sotto la soglia di povertà. La Corte Costituzionale ha appunto ritenuto non irragionevole questa possibilità, per quanto severa, perché bilanciata dal limite percentuale. Chi percepisce stipendi molto bassi potrebbe tuttavia avere diritto ad alcune esenzioni (es. reddito di cittadinanza, ora assegno di inclusione, etc.) ma queste sono considerazioni al di fuori del pignoramento stipendio strettamente inteso.
- Esempio 4: Stipendio netto €3.000, debitore verso fornitore per €45.000 (es. danno erariale richiesto da un ente pubblico con sentenza di Corte dei Conti, equiparabile a credito ordinario). Quota pignorata: €600 al mese. Il debitore incasserà €2.400 mensili. Considerando il debito, occorreranno circa 75 mesi (oltre 6 anni) per recuperarlo interamente, più interessi.
Dalle simulazioni si comprende che più alto è lo stipendio, maggiore è la rata in valore assoluto, ma minore è il numero di mensilità necessario a estinguere un determinato debito. Viceversa, stipendi piccoli comportano rate piccole e quindi tempi di rimborso molto lunghi. In nessun caso comunque il creditore può pretendere oltre 1/5: se il debito è enorme e lo stipendio basso, potrebbe non convenirgli il pignoramento (tempi biblici) a meno che non abbia pochi altri mezzi.
Crediti alimentari – Calcolo della quota autorizzata
Nel caso di crediti alimentari (tipicamente: arretrati di assegni di mantenimento per figli o coniuge, oppure crediti per alimenti ex art. 433 c.c. riconosciuti con sentenza), l’iniziativa esecutiva può essere presa dal beneficiario dell’assegno. Si tratta di esecuzioni particolari: l’art. 545 c.p.c. stabilisce che decide il presidente del Tribunale (o giudice delegato) la misura. In genere, come detto, i tribunali autorizzano il pignoramento entro 1/3 dello stipendio. Ciò significa che l’ex coniuge che vanti €X di arretrati potrebbe ottenere il 33% di trattenuta. Tuttavia, non è un automatismo: il giudice valuta caso per caso, considerando i bisogni del debitore e degli aventi diritto agli alimenti.
Esempio: stipendio netto €1.800, padre debitore di €10.000 di arretrati mantenimento figli. Il giudice può disporre che fino a 1/3 (€600) vada ai figli. Quindi ogni mese €600 è pignorato. Se però il padre ha anche altri familiari a carico o situazione delicata, il giudice potrebbe autorizzare una percentuale minore, tipo 1/4 (€450). Non c’è una formula fissa, ma mai si supera la metà (anche cumulando con altri pignoramenti, come vedremo).
Un caso particolare: se sullo stipendio gravano solo crediti alimentari (ad esempio più mensilità di mantenimento dovute per figli), teoricamente il giudice potrebbe autorizzare anche oltre 1/5, fino a 1/3 come detto, perché l’art. 545 consente quella maggiore incidenza per finalità alimentare. Il debitore in tal caso riceverebbe solo 2/3 dello stipendio finché gli arretrati non sono pagati. E se i figli nel frattempo hanno ancora diritto al mantenimento corrente, quel pignoramento del 1/3 può continuare a coprire via via anche le mensilità in corso, in una sorta di delegazione forzata del mantenimento.
Va ricordato che per attivare un pignoramento alimentare serve un titolo esecutivo specifico (es. decreto del tribunale sui mensili dovuti o riconoscimento degli alimenti). Inoltre, il pignoramento per crediti alimentari ha priorità assoluta sugli altri: la legge lo denota come di natura diversa, quindi se concorre con pignoramenti ordinari o fiscali, ha una preferenza sia nel pagamento (intervenendo nel processo esecutivo ha prelazione sul riparto) sia nel quantum (perché gli altri devono eventualmente ridursi per non eccedere la metà complessiva, come vedremo nel concorso di cause).
Agenzia delle Entrate-Riscossione – Soglie di pignoramento fiscale
Un capitolo a parte meritano i pignoramenti esattoriali avviati dall’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, AER, ex Equitalia) per crediti fiscali o contributivi. La normativa speciale (art. 72-ter del D.P.R. 602/1973, introdotto dal D.L. 69/2013) prevede che le somme da lavoro dipendente pignorate dall’Agente pubblico seguano una scala percentuale a scaglioni:
- 1/10 (10%) dello stipendio, se l’importo percepito dal debitore non supera €2.500 al mese.
- 1/7 (~14,28%) dello stipendio, se l’importo mensile è superiore a €2.500 ma non a €5.000.
- 1/5 (20%) dello stipendio, se l’importo mensile supera €5.000.
Queste soglie non dipendono dall’ammontare del debito, ma dall’ammontare dello stipendio del debitore. In pratica, la legge tutela maggiormente chi ha stipendi bassi, limitando la trattenuta al 10% per stipendi fino a 2500 €, e al 14% circa per stipendi medi (tra 2500 e 5000 €). Solo chi guadagna oltre 5000 € netti può subire la trattenuta standard del 20%. La ratio legis è evidente: se un lavoratore ha un reddito modesto, subire il prelievo di un quinto potrebbe compromettere troppo il suo sostentamento; meglio quindi ridurre l’incidenza al decimo o settimo, accettando per lo Stato di incassare più lentamente. Per redditi alti (>5000 € netti mensili sono casi rari nel pubblico impiego, forse dirigenti apicali), si applica la regola ordinaria, ritenendo che su quelle fasce il quinto non crei problemi di sopravvivenza.
Da notare: i parametri di 2500 e 5000 € sono riferiti alla retribuzione netta percepita. La norma parla di “importi fino a 2500 euro” etc., interpretati come nettI mensili (corrispondenti al “reddito” mensile). Ad esempio, se un dipendente pubblico ha €2.400 netti mensili, rientra nello scaglione basso (≤2500), quindi pignorabile al 10% (€240). Se guadagna €2.600, rientra nello scaglione medio, pignorabile al 1/7 (€371 circa al mese). Se guadagna €5.100 netti, rientra nello scaglione alto, pignorabile al 20% (€1.020).
Queste percentuali ridotte prevalgono sulle regole generali: l’art. 545 c.p.c. quarto comma fissa sì il quinto per tributi, ma è norma del 1940; la legge speciale del 2013 è intervenuta come deroga espressa per le esecuzioni esattoriali, stabilendo quelle frazioni più favorevoli al debitore e pertanto, in virtù del principio di specialità, va applicata dall’Agente della Riscossione. In termini pratici, quando AER notifica un atto di pignoramento dello stipendio a un ente pubblico (poniamo per cartelle IRPEF non pagate), dovrà indicare la fascia di reddito e la percentuale corretta. Solitamente l’atto riporta: “ritenuto che il debitore percepisce stipendio di €X, si pignora la quota di 1/10 (o 1/7, ecc.) ai sensi dell’art.72-ter DPR 602/73”. Sarà poi il datore di lavoro a confermare la fascia con la dichiarazione (se differisse, andrebbe adeguata la percentuale).
Vediamo qualche esempio:
- Stipendio netto €1.800 – Fascia ≤2500. AER pignora 1/10, cioè €180 al mese.
- Stipendio netto €3.000 – Fascia 2500-5000. AER pignora 1/7, cioè circa €428 al mese.
- Stipendio netto €4.500 – Fascia 2500-5000 (ancora). 1/7 ≈ €643/mese.
- Stipendio netto €6.000 – Fascia >5000. AER pignora 1/5 = €1.200 al mese.
Come si vede, tra 2500 e 5000 c’è un range ampio in cui vale sempre il settimo (~14%). Ciò crea la curiosità che a €2501 di stipendio si trattiene il 14% (quindi €350), mentre a €2499 solo 10% (€249.9). Una differenza brusca per pochi euro di stipendio. Ma tant’è, la norma fissa soglie secche.
Credito erariale frazionato su stipendio e TFR: se l’Agente della Riscossione pignora anche l’eventuale TFR contestualmente, su quel TFR credo si applichino i medesimi scaglioni (probabilmente calcolati sul “importo mensile” come se fosse reddito? In realtà il TFR non è reddito mensile, quindi in genere su TFR i giudici tendono a mantenere il vincolo del quinto indipendentemente dai decimi, anche perché le fasce riguardano salari). La questione è tecnica: formalmente l’art. 72-ter parla di “stipendi, salari e altre indennità relative al rapporto di lavoro”, includendo le indennità di licenziamento, per cui si applicano le stesse percentuali. Probabilmente l’Agenzia farà 1/10, 1/7 o 1/5 sull’intero TFR a seconda della retribuzione pensionabile. Questo però è dettaglio per addetti; in mancanza di indicazione contraria, si intende che il TFR, se aggredito da AER, subisce la stessa limitazione percentuale (non integrale). Dunque, lo Stato come creditore non può prendersi tutto il tuo TFR se rientri nelle fasce protette: es. impiegato pubblico con stipendio 1800 e TFR da 30.000, AER potrà prendere 1/10 del TFR (3.000) più decimi mensili sullo stipendio, lasciando 27.000 al debitore – e se il debito fiscale era più alto, dovrà proseguire sulla pensione eventualmente.
Novità 2025: quanto esposto sopra riguarda il pignoramento giudiziale avviato da AER e già in vigore da anni. Nel 2025 però, come vedremo meglio più avanti, la Legge di Bilancio ha introdotto un meccanismo di prelievo diretto per i dipendenti pubblici con cartelle esattoriali non pagate sopra 5.000 €: il datore di lavoro pubblico dovrà autonomamente bloccare una parte dello stipendio (1/7 o 1/10) in attesa che AER attivi la riscossione. Tale misura, che scatterà dal 2026, ricalca proprio le percentuali di 1/7 e 1/10 di cui sopra. Ne dedurremo che in sostanza vengono anticipate “in automatico” le trattenute esattoriali senza attendere il pignoramento formale. Ma rimandiamo ai paragrafi sulle Novità 2025 per i dettagli.
Di seguito una tabella riepilogativa dei limiti di pignorabilità dello stipendio in base al tipo di credito:
Tipo di credito | Quota massima pignorabile dello stipendio |
---|---|
Crediti alimentari (es. mantenimento figli, coniuge in stato di bisogno) | Fissata dal giudice caso per caso. In genere fino a 1/3 dello stipendio netto. (Impignorabile totalmente solo ciò che serve a garantire i mezzi minimi di sopravvivenza al familiare avente diritto; l’azione esecutiva richiede autorizzazione del presidente del Tribunale) |
Crediti ordinari (banche, finanziarie, privati, aziende) | 1/5 dello stipendio netto. (20%) |
Crediti tributari verso Stato, Regioni, Comuni (es. imposte, tasse) | 1/5 dello stipendio netto. (20%) – NB: Se il pignoramento è effettuato da Agenzia Entrate-Riscossione: vedi scaglioni sotto. |
Crediti contributivi (es. INPS) tramite AER | Equiparati ai tributari: 1/5 (con scaglioni AER). |
Crediti esattoriali per imposte, contributi, multe ecc. con pignoramento Agente Riscossione | Stipendio netto ≤ €2.500: pignorabile 1/10 (10%). €2.500 < stipendio ≤ €5.000: pignorabile 1/7 (~14,3%). Stipendio > €5.000: pignorabile 1/5 (20%). |
Concorso di crediti di diversa natura (es. uno alimentare + uno ordinario, oppure uno fiscale + uno alimentare) | Max metà dello stipendio impignorabile in totale. (50%) – Vedi dettagli nel prossimo paragrafo. |
Concorso di crediti della stessa natura (es. due creditori ordinari) | Limite complessivo 1/5 (20%). Gli ulteriori creditori possono intervenire ma riceveranno pagamento successivo, rispettando l’ordine o la ripartizione del medesimo quinto. |
(Legenda: per “stipendio” si intende sempre la retribuzione netta mensile del dipendente al momento del pignoramento. Restano esclusi dal calcolo gli eventuali assegni familiari e simili, che non costituiscono reddito da lavoro pignorabile in quanto destinati per legge al sostegno dei figli.)
Concorso di più pignoramenti e pluralità di creditori
Una situazione frequente è che il debitore abbia più debiti verso creditori diversi. Può dunque capitare che sul suo stipendio vengano avviati più pignoramenti. La legge si preoccupa di regolare questa evenienza all’art. 545, 5° comma c.p.c., stabilendo il principio già anticipato: “il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate non può estendersi oltre la metà delle somme”. In altre parole, anche avendo più pignoramenti contemporanei, almeno metà dello stipendio deve comunque rimanere al debitore. Vediamo nel dettaglio come funziona il concorso:
- Concorso di cause diverse (alimenti, tributi, crediti ordinari): è ammesso il cumulo simultaneo. Ciò significa, ad esempio, che se un dipendente pubblico ha in corso un pignoramento per mantenimento figli (causa alimentare) al 1/3 dello stipendio, e sopraggiunge un pignoramento per una banca (causa ordinaria) al 1/5, entrambi potranno essere eseguiti contemporaneamente, ma con il limite che sommandoli non si superi il 50% dello stipendio. Nel nostro esempio numerico: stipendio €1.500, 1/3 alimentare = €500, 1/5 ordinario = €300, somma = €800 che eccede la metà di 1500 (€750). In questo caso, l’art. 545(5) impone un tetto di €750. Normalmente la regola pratica è dare priorità al credito alimentare e ridurre l’altro. Quindi il giudice potrebbe assegnare €500 all’alimentare e solo €250 all’altro, oppure più spesso tende a modulare proporzionalmente (nel caso in esempio: ridurre l’alimentare a €450 e l’ordinario a €300 così da stare a €750 totali – ma ridurre l’alimentare spettante di solito non avviene, prevale l’alimentare). In ogni caso il debitore in questo scenario pagherà la metà esatta dello stipendio (750) e gli resterà l’altra metà. Se i due crediti fossero molto sbilanciati, il giudice può anche decidere di soddisfare prima uno poi l’altro, ma la giurisprudenza – come vedremo – ha chiarito che “concorso simultaneo” significa che non serve siano nello stesso processo, basta che coesistano pignoramenti attivi. Quindi il datore di lavoro può legittimamente trattenere e versare due quote differenti allo stesso tempo (purché la somma non superi 50%).
- Concorso di crediti della stessa natura: se invece più creditori appartengono alla medesima categoria, allora non possono esigere più quinti. Ad esempio, due finanziarie che abbiano entrambi un decreto ingiuntivo per prestiti insoluti: il primo notifica il pignoramento e prende 1/5. Se un secondo tenta anch’esso, troverà che c’è già un quinto pignorato per crediti ordinari; in tal caso, il secondo creditore non può ottenere un altro quinto contemporaneamente. Dovrà attendere che il primo venga soddisfatto, oppure può intervenire nella stessa esecuzione e partecipare proporzionalmente a quel medesimo quinto. In pratica: se più creditori ordinari agiscono, l’insieme delle loro pretese non può comprimere lo stipendio oltre il 20% in totale (lo stesso vale per più creditori tributari tra loro, o più crediti alimentari tra loro). Dunque il limite di 1/5 è insuperabile per concorso omogeneo, mentre il limite di 1/2 è insuperabile per concorso eterogeneo.
Questo meccanismo è meglio chiarito dalla giurisprudenza: la Pretura di Modena (sent. 29/10/1997) affermò che “le somme dovute a titolo di stipendio sono pignorabili fino ad un limite massimo della metà del loro ammontare solo nel caso di concorso simultaneo fra cause creditorie diverse (crediti alimentari, tributi, ogni altro credito); invece, nel caso di concorso di crediti della medesima causa, il pignoramento non può superare 1/5 e i crediti ulteriori potranno essere pignorati solo dopo la soddisfazione del precedente”. Questa interpretazione è stata poi confermata dalla Cassazione (si cita Cass. 6432/2003) nel senso che “concorso simultaneo” non significa che i pignoramenti debbano essere nello stesso momento, basta che esistano più crediti in essere, e ciò dà luogo al rispetto del cumulo entro metà. Quindi, ad esempio, se un creditore alimentare pignora 1/3 e qualche mese dopo arriva un pignoramento fiscale, quest’ultimo si inserirà subito con 1/5 ma adattandosi affinché il totale sia ≤50%. Non si dirà al secondo “aspetta la fine del primo” perché sono di natura diversa, anzi la legge consente espressamente la simultaneità. Al contrario, se c’è un pignoramento ordinario in corso (1/5) e ne arriva un secondo di altro creditore ordinario, la prassi è che il secondo non possa iniziare un secondo prelievo finché c’è il primo: generalmente viene fatto intervenire nel medesimo procedimento e dividerà eventualmente pro quota quel quinto (se ad es. intervengono due creditori chirografari sullo stesso pignoramento, il giudice può disporre che ciascuno riceva metà di quel quinto, o che vada tutto al primo finché soddisfatto e poi passi al secondo – c’è dibattito, ma di solito vale la priorità temporale). Il punto chiave è: in ogni caso lo stipendio non può subire trattenute oltre il 50% e se i creditori sono dello stesso tipo, il totale resta il 20%.
Esempi di concorso:
- Esempio 5 (cause diverse): stipendio €1.600. Pignoramento A) crediti alimentari per €200/mese (autorizzato dal giudice, ~12,5%); Pignoramento B) crediti ordinari per €320 (1/5). Totale trattenute = €520, che è il 32,5% dello stipendio, dunque entro il 50% – è legittimo. Il dipendente prende €1.080 (67,5%). Se invece nell’esempio A fosse stato autorizzato 1/3 (€533) e c’è anche B) €320, tot. €853 (>50% di 1600 = 800). In tal caso si dovrà ridurre qualcosa: presumibilmente il giudice assegnando B limiterà B a €267 (così €533+€267 = €800 esatto, metà). In alternativa potrebbe ridurre l’alimentare a €480 e lasciare i €320 – le modalità variano, ma l’essenziale è che non oltrepassa 800 complessivi.
- Esempio 6 (tutte cause diverse, scenario estremo): stipendio €1.800. Pignoramento alimentare 1/3 = €600, pignoramento fiscale (AER) 1/7 = €257, pignoramento ordinario 1/5 = €360. Sommando verrebbe €1.217, che è il 67,6%, troppo. Il tetto è 900 (metà di 1800). Dunque bisognerà tagliare di €317 le somme assegnate. L’alimentare di solito no perché è sacro, il fiscale e l’ordinario dovranno cedere: potrebbero diventare rispettivamente €200 e €100, cosicché sommato a 600 faccia 900. Oppure altre combinazioni decise in sede di esecuzione. In pratica, al di là del calcolo, al debitore resteranno sempre almeno €900 (cioè metà) in qualsiasi scenario multi-creditore.
- Esempio 7 (cause omogenee): stipendio €2.000. Un primo pignoramento ordinario del 20% = €400. Arriva un secondo pignoramento ordinario: il totale degli ordinari deve restare €400. Se il primo credito è molto grande, il secondo potrà iniziare a essere pagato solo dopo che il primo si estingue (il datore proseguirà a trattenere €400, ma dal momento in cui il primo creditore ha preso i suoi totali €X dovuti, i successivi €400/mese andranno al secondo). Se però il secondo creditore interviene prima che il primo sia soddisfatto, il giudice potrebbe disporre un accantonamento proporzionale: ad es. €400 raccolti ogni mese vengono divisi in proporzione ai crediti tra i due. Questa seconda modalità viene talora applicata per non far attendere troppo il secondo, ma in ogni caso, il dipendente non subirà mai €800 di trattenute in questa ipotesi – rimane €400 totale.
Interazione con crediti esattoriali: L’Agente della Riscossione per legge rientra nella categoria tributi. Quindi un pignoramento AER e uno di un Comune (tributo locale) sono stessa natura (tributi) e insieme non vanno oltre 1/5 (ma di solito AER accentra tutto, i Comuni ora si avvalgono di AER stesso, scenario multiplo improbabile). Un pignoramento AER e uno bancario invece sono diversi (tributo vs ordinario) e seguono la regola del 50%. Attenzione però: il pignoramento AER non è mai oltre 1/5 comunque, quindi in caso di concorso con un alimentare, la somma di 1/7 (14%) + 1/3 (33%) = 47% rimane entro metà, quindi potrebbe procedere integralmente senza tagli (es. €1.000 stipendio, alimentare €333 + fiscale €142 = €475, ok). Se invece stipendio alto con AER al 20% e alimentare 1/3, possono sforare e si aggiusta.
In conclusione, la massima esposizione mensile per il dipendente pubblico, anche sommando tutti i possibili pignoramenti, è il 50% dello stipendio. Questo principio del “metà garantita” è un caposaldo del sistema, volto ad assicurare che il lavoratore conservi almeno metà del reddito da lavoro per le proprie esigenze vitali e familiari. Ciò vale salvo casi eccezionalissimi di cessione volontaria aggiuntiva di altra quota (es. delegazione di pagamento, di cui sotto), ma quella è una scelta del dipendente, non un pignoramento.
Tabella di esempio – Concorso di pignoramenti
Di seguito una tabella che sintetizza alcuni esempi di cumulo:
Scenario Debitore | Descrizione | Trattenute totali | Dettaglio | Quota residua al debitore |
---|---|---|---|---|
A. Un solo pignoramento ordinario(es. debito banca) | Stipendio €1.600; pignoramento quinto (20%). | €320 (20%) | 1/5 stipendio. | €1.280 (80%). |
B. Un pignoramento alimentare + uno ordinario | Stipendio €1.500; alimentare autorizzato 1/4 (€375) + ordinario 1/5 (€300). Somma = €675. | €600 (40%) | Ridotto a metà totale: alimentare €375 + ordinario €225 (aggiustato per totale 600). | €900 (60%). |
C. Un pignoramento alimentare + uno esattoriale (AER) | Stipendio €1.200; alimentare 1/3 (€400) + AER 1/10 (€120). Somma = €520. | €520 (43,3%) | Entrambi eseguibili perché somma < 50%. | €680 (56,7%). |
D. Due pignoramenti ordinari successivi | Stipendio €2.000; primo ordinario 1/5 (€400), secondo ordinario… | €400 (20%) | Il secondo attende finché il primo soddisfatto. Totale sempre 20%. | €1.600 (80%). |
E. Pignoramento alimentare + ordinario + fiscale | Stipendio €2.400; alimentare 1/3 (€800), ordinario 1/5 (€480), fiscale AER 1/7 (€342). Somma = €1.622. | €1.200 (50%) | Riadeguamento: ad es. alimentare €800 + ordinario €250 + fiscale €150 = €1.200. | €1.200 (50%). |
(N.B.: i numeri di aggiustamento sono indicativi. In pratica l’esatto importo può variare di qualche euro per approssimazioni. Il principio è che in B ed E è stata effettuata una riduzione delle quote dei creditori non alimentari per rispettare il tetto 50%. In D il secondo creditore parte solo dopo. In C non c’è problema di taglio perché siamo già sotto metà stipendio.)
Pignoramento e Cessione del Quinto: cumulo e limiti
Molti dipendenti pubblici ricorrono al finanziamento tramite cessione del quinto dello stipendio, ossia un prestito rimborsato con trattenuta automatica del 20% in busta paga, autorizzata volontariamente ai sensi del D.P.R. 180/1950. Inoltre, nel pubblico impiego è diffusa anche la delegazione di pagamento (ulteriore quota ceduta, spesso un altro quinto, con convenzione tra amministrazione e finanziaria). Ci si chiede quindi: cosa accade se il dipendente ha già una cessione del quinto in corso e subisce un pignoramento? E se ha due quinti ceduti? Quali sono i limiti complessivi delle trattenute in busta paga?
La materia è regolata principalmente dall’art. 68 D.P.R. 180/1950 (citato prima) e dall’art. 545, co. 5 c.p.c. già visto. Si possono fissare alcune regole:
- Cessione del quinto + pignoramenti successivi: Se il pignoramento arriva dopo che il dipendente ha concluso un contratto di cessione del quinto (regolarmente notificato al datore), la legge impone che la somma tra quota ceduta e quota pignorata non ecceda la metà dello stipendio. In altre parole, il pignoramento “si accontenterà” dello spazio che resta fino ad arrivare al 50%. Esempio: stipendio €1.500, c’è cessione 1/5 = €300; la metà stipendio è €750; dunque i pignoramenti totali (se di cause diverse) possono prendere al massimo €750-300 = €450 in totale. Se arriva un solo pignoramento ordinario, anziché poter chiedere €300 (1/5) potrebbe, in teoria dello spazio, prenderne €450? No, perché è comunque limitato al suo quinto. Quindi in pratica prenderà €300 e si resterà sotto il tetto (300+300 ced.=600 < 750). Se invece arrivassero due pignoramenti di cause diverse, teoricamente senza cessione avrebbero potuto prelevare 750 (metà) complessivi; ma con la cessione in corso possono prelevare solo (metà – cessione). Nel nostro esempio €450 totali se più d’uno, da suddividersi tra i due creditori. In nessun caso la somma di cessione + pignoramenti supera il 50%. Questa regola è tassativa.
- Cessione in corso e singolo pignoramento: come si applica nella pratica? Poniamo stipendio €2.000, cessione quinto €400. Arriva un pignoramento per debito bancario. Il giudice sa che già €400 vanno via per la cessione, ma il pignoramento ordinario può comunque disporre fino a €400 (il quinto dello stipendio) perché 400+400 = 800 che è esattamente il 50% di 2000, quindi ok. Se lo stipendio fosse €1.000 con cessione €200, un pignoramento fiscale 1/10 (€100) + 200 cessione = 300, che è < 500 (metà), quindi ok pure. Dunque spesso non cambia nulla: finché c’è margine entro il 50%, il pignoramento preleva la sua frazione standard. La differenza si vede solo quando la somma dei pignoramenti vorrebbe eccedere il 50% a causa della cessione già presente, come nell’ipotesi di più pignoramenti.
- Due quinti già ceduti (cessione + delega): alcuni dipendenti pubblici hanno in busta paga due trattenute volontarie (il quinto e un’ulteriore delega di altro quinto). Già la somma di queste fa il 40% dello stipendio. In base al D.P.R. 180, la delega è ammessa purché insieme alla cessione non superi il 50%. Quindi al massimo uno può avere 2/5 ceduti. In tale scenario, lo spazio residuo per eventuali pignoramenti giudiziari è solo il 10% dello stipendio (per arrivare al 50%). Di fatto, un giudice in presenza di due cessioni (totalizzanti il 40%) potrà assegnare un pignoramento solo fino al 10% (anche se fosse alimentare avrebbe poco margine, salvo valutare altre soluzioni come ridurre temporaneamente la delega – ma ciò esula, la delega essendo volontaria non può essere ridotta d’ufficio). Fortunatamente, non è comune avere delega + cessione più subire pignoramenti, ma capita. Un esempio: stipendio €1.800, cessione €360 (1/5) + delega €360 (altro 1/5) = €720 trattenuti (40%), €1.080 netti al dipendente. Se arriva un pignoramento alimentare, teoricamente avrebbe diritto anche al 1/3 (€600) ma ovviamente non può prenderli perché 720+600 > 900 (metà). Il giudice al massimo potrà destinare €180 al credito alimentare (così delega+cessione+pignoramento fanno €900, esatto 50%). Questo vuol dire che il creditore alimentare, se vuole di più, dovrà attendere che il debitore finisca di pagare una delle cessioni volontarie per liberare spazio. Insomma, le cessioni volontarie già in atto riducono la capienza pignorabile per i creditori. Questa interrelazione in passato generava dubbi, ma la Cassazione già dal 1995 confermò che la coesistenza di cessione non impedisce il concorso di pignoramenti, purché si rispetti il tetto metà. La stessa Cass. n. 4584/1995 citata in Dottrina ha sancito che avere ceduto il quinto non esime dal pignoramento, smentendo vecchie prassi di attendere fine cessione. Però c’è l’art. 68 DPR 180 che tutela comunque il dipendente col limite 50% comprensivo.
Riassumendo, si può dire: il dipendente pubblico non può ritrovarsi con oltre la metà dello stipendio decurtata, nemmeno se ha contratto prestiti e subìto pignoramenti. La metà è il muro invalicabile. E questo include sia trattenute volontarie (cessioni) sia forzose (pignoramenti).
Se volessimo esprimerlo con formula:
Cessione + (eventuale delega) + Σ pignoramenti ≤ 50% dello stipendio netto.
In particolare, l’art. 68 DPR 180/50 menziona espressamente il caso di pignoramento successivo a cessione: “non si può pignorare se non l’eventuale differenza fra la metà dello stipendio e la quota ceduta”. Questo significa, come visto, che il giudice assegnerà al creditore pignorante solo la parte che, sommata alla quota ceduta, arrivi al 50%. Se poi più pignoramenti di cause diverse concorrono, essi tra loro condividono quella differenza residua senza superarla.
Facciamo un ultimo esempio riepilogativo di massima complessità:
- Stipendio netto €2.000. Dipendente con cessione €400 (20%) + delega €400 (altri 20%) = tot 40%. Arrivano tre pignoramenti: uno alimentare, uno fiscale AER, uno ordinario. La metà dello stipendio è €1.000, ma già €800 sono occupati da trattenute volontarie. Rimane €200 di spazio pignorabile. In base alle priorità, l’alimentare probabilmente assorbirà tutti quei €200 (anche se il suo fabbisogno sarebbe più alto), lasciando zero spazio agli altri due, che dovranno attendere. Dunque, al debitore rimarrà €1.000 (l’altra metà) pulita; starà comunque restituendo €800 in prestiti + €200 in alimenti. I creditori fiscale e bancario dovranno aspettare che scada o la delega o la cessione o che l’alimentare si esaurisca. Quando ad esempio la delega (20%) sarà interamente rimborsata e cesserà, quel 20% liberato potrà essere destinato ai creditori in coda, sempre col limite metà totale. In sintesi, la presenza di due quinti ceduti rende pressoché inattaccabile lo stipendio da ulteriori creditori fino a quando non terminano uno dei due impegni, a meno che i crediti in questione non siano alimentari (che prendono comunque la precedenza nel poco margine rimasto).
Va notato che le amministrazioni pubbliche monitorano queste soglie: non concedono cessioni o deleghe che violino la metà stipendio (illegalmente non potrebbero nemmeno attuarle se arrivate). Quindi il sistema di per sé impedisce sforamenti aritmetici.
Per maggiore chiarezza sul punto, riportiamo uno stralcio di commento giurisprudenziale in materia: “nell’ipotesi di cumulo tra cessione e più pignoramenti successivi, la quota complessivamente pignorabile non potrà comunque essere superiore alla differenza tra la metà dello stipendio e l’importo oggetto di precedente cessione; la somma dei pignoramenti concorrenti, in sostanza, non potrà eccedere la metà dello stipendio, al netto dell’importo ceduto”. Ciò significa che il giudice, se investito di più istanze di assegnazione, deve coordinare l’art. 545 c.p.c. con l’art. 68 DPR 180/50: l’ordinanza di assegnazione scriverà ad esempio “tenuto conto della cessione in corso di €X, assegna al creditore procedente la minor quota di 1/10 dello stipendio netto, così che la somma delle ritenute non ecceda il 50%”.
Conclusione pratica per il debitore: se hai già un quinto ceduto, sappi che al massimo un altro quinto può esserti pignorato (per cause ordinarie/fiscali) e forse un altro quinto per alimenti, ma comunque mai più della metà in totale andrà via. Se addirittura hai ceduto due quinti, le tue ulteriori esposizioni sono protette quasi del tutto, perché restano solo briciole pignorabili (ciò non elimina il debito, ma ne posticipa l’esazione). Ovviamente, ciò significa che il debito non soddisfatto continuerà a pendere con interessi: quindi cedere troppo stipendio per evitare pignoramenti non è una soluzione indolore, ma solo dilatoria.
Casi Particolari e Approfondimenti Vari
In questa sezione affrontiamo alcune questioni particolari inerenti il pignoramento dello stipendio pubblico, per offrire un livello di approfondimento avanzato:
- Pignoramento di stipendi di categorie specifiche di dipendenti pubblici: differenze procedurali o normative (es. magistrati, forze dell’ordine, personale con status speciali).
- Effetti del pignoramento sul rapporto di lavoro: la segretezza, le eventuali ripercussioni disciplinari o di carriera.
- Pignoramento di arretrati, tredicesime, indennità accessorie: come vengono trattate varie componenti della retribuzione.
- Rapporto tra pignoramento dello stipendio e altre azioni esecutive parallele: ad esempio pignoramento del conto corrente dove confluisce lo stipendio, oppure pignoramento presso lo stesso ente di eventuali crediti diversi (es. rimborsi).
- Sospensione o modifica delle trattenute in particolari situazioni: insolvenza dell’ente (dissesto di un Comune), procedure concorsuali a carico del debitore, ecc.
Dipendenti di organi costituzionali e altre categorie
Parlamentari e stipendi equiparati: I membri del Parlamento percepiscono un’indennità che, pur avendo natura diversa dallo stipendio di pubblico impiego, è soggetta a regole proprie. Formalmente i parlamentari non sono “dipendenti” dello Stato, quindi non ricadono nel D.P.R. 180/1950, ma le Camere hanno regole interne di garanzia. In passato ci si chiedeva se l’indennità parlamentare fosse pignorabile: la risposta è sì, lo è nei limiti usuali (20%), però la procedura deve rispettare l’autonomia parlamentare. In pratica il creditore deve notificare il pignoramento all’ufficio di questione della Camera/Senato, e spesso viene interessato il Consiglio di Presidenza per autorizzare il pagamento. È un tema complesso legato all’art. 68 Cost. (insindacabilità e immunità, che però riguardano atti politici, non certo i debiti privati). Di solito le Camere cooperano e attuano volontariamente le trattenute, senza bisogno di coazione, quando ricevono pignoramenti validi. Comunque, trattandosi di casistica rara e non di “dipendenti pubblici” in senso stretto, non approfondiamo oltre.
Magistrati, diplomatici, prefetti: Sono dipendenti dello Stato a tutti gli effetti (Magistrati stipendiati dal Ministero della Giustizia; diplomatici dal MAECI; prefetti dal Ministero Interno). Non vi sono norme che li esentino dal pignoramento stipendiale. Tuttavia, per i diplomatici va considerata l’eventuale immunità se operano all’estero: un ambasciatore in un paese estero, ad esempio, gode di immunità locale, ma il suo stipendio è pagato dalla Farnesina in Italia, quindi un creditore potrebbe pignorare presso il Ministero in Italia. Nessuna legge lo vieta, perciò anche queste categorie possono subire il quinto.
Forze armate e di polizia: Come detto, esiste una disciplina logistica speciale (D.L. 313/94) per i pignoramenti sulle contabilità speciali. In sostanza, il pignoramento di stipendio di un Carabiniere, Poliziotto, Finanziere, Militare va notificato alla sua Direzione Amministrativa (Carabinieri e Esercito al Ministero Difesa – Direzione di commissariato/tesoreria, Polizia e Penitenziaria al Ministero Interno o Giustizia – servizi amministrativi, ecc.) secondo regole coordinate con le Prefetture. Ciò potrebbe comportare qualche ritardo o complicazione formale, ma non incide sul diritto sostanziale. Semplicemente, il creditore potrebbe dover tenere conto di termini e adempimenti previsti da quel decreto (che, ad esempio, stabilisce che l’atto di pignoramento deve indicare con precisione il reparto e la contabilità speciale, e dà all’amministrazione 30 giorni per effettuare il pagamento dall’assegnazione). Dal lato del debitore, è utile sapere che la propria Amministrazione di appartenenza è tenuta alla riservatezza: normalmente questi atti sono trattati con discrezione negli uffici amministrativi; i superiori gerarchici non coinvolti nella gestione non dovrebbero venirne a conoscenza, a meno che il pignoramento non incida su requisiti di sicurezza. Ad esempio, per un militare con nulla osta di sicurezza (NOS) elevato, problemi finanziari gravi possono far scattare una segnalazione interna (questo perché l’indebitamento può esporre a vulnerabilità; è previsto dai protocolli di security clearance). Ciò però attiene a questioni di servizio, non al pignoramento in sé: quest’ultimo segue la sua strada legale e non può essere contestato disciplinarmente. Un dipendente pubblico non può essere sanzionato né licenziato per il fatto di aver subito un pignoramento (configurerebbe una discriminazione per motivi economici). Fanno eccezione ruoli dove la condotta finanziaria possa rilevare come incompatibile: ad es. un magistrato o un funzionario di polizia con debiti notevoli potrebbe essere attenzionato per possibili conflitti di interesse o ricattabilità. Ma in generale, l’ordinamento preferisce aiutare il risanamento (anche con cessioni ecc.) piuttosto che punire.
Arretrati, tredicesima, premi e altre voci
Tredicesima mensilità: è pignorabile esattamente come lo stipendio ordinario, in quanto “altra indennità relativa al rapporto di lavoro”. Se il pignoramento è in corso, quando viene erogata la tredicesima (generalmente dicembre), il datore dovrà trattenere anche da essa la stessa percentuale. Per cui a dicembre il debitore potrebbe vedersi trattenuto due volte il quinto (sul mensile e sulla tredicesima). Non è un doppio prelievo illegittimo, perché la tredicesima è un emolumento distinto: giuridicamente è come se in quel mese percepisse due stipendi (dicembre + tredicesima) e ognuno è soggetto al quinto. Stesso dicasi per l’eventuale quattordicesima (in enti dove prevista) o altri bonus contrattuali.
Arretrati di contratto, premi produzione, straordinari: tutte queste voci, se sono somme di natura retributiva dovute dal datore, ricadono nel pignoramento. La dichiarazione del terzo solitamente indica “stipendio mensile €X, oltre eventuali competenze accessorie”. Quindi quando il datore paga arretrati o premi, deve applicare la stessa percentuale. Esempio: arriva un rinnovo contrattuale PA e il dipendente riceve €1.000 di arretrati per gli ultimi 18 mesi: il datore tratterrà il 20% di quei €1.000, oltre al quinto dello stipendio corrente. Analogamente, se il dipendente fa molto straordinario in un mese e ha un cedolino più ricco, il quinto si calcola sul totale netto (quindi aumenta in valore assoluto). Attenzione: se gli arretrati riguardano periodi precedenti al pignoramento ma vengono pagati dopo, contano comunque perché il pignoramento colpisce ciò che il terzo deve al debitore al momento della dichiarazione. Se alla data del pignoramento il datore sapeva di dover dare €X di arretrati, doveva dichiararlo e quindi assegnarlo in quota. Se non lo sapeva (arretrati stanziati dopo), li includerà man mano che maturano.
Trattamento di Fine Servizio (TFS/TFR): come già spiegato, il TFS (liquidazione) è pignorabile anch’esso al quinto. Però attenzione: il TFS viene spesso liquidato dopo la cessazione del rapporto, momento in cui lo stipendio cessa. Se il creditore ha già un pignoramento stipendio in corso e il debitore va in pensione, il creditore farebbe bene a notificare un pignoramento aggiuntivo sul TFS presso lo stesso ente (in quanto dopo la cessazione, l’obbligo del datore è di pagare il TFS). Se ciò avviene, il datore tratterrà 1/5 del TFS e lo destinerà. Se non viene fatto nulla, capita che gli enti paghino il TFS intero al dipendente cessato, perché l’ordinanza di assegnazione riguardava solo stipendio (che ormai non c’è più). Il debitore quindi potrebbe trovarsi col TFS in tasca mentre aveva ancora debito: a rigore avrebbe dovuto essere pignorato, ma se non è stato fatto, quei soldi sono suoi (salvo il creditore rincorrere poi il conto in banca, ma col limite dell’ultimo accredito…). Questo cavillo temporale è qualcosa di cui i creditori sono coscienti; spesso infatti appena sanno di un pensionamento, attivano pignoramento sul TFS. Dal lato del debitore, incassare il TFS prima che il creditore agisca è fortunoso e potrebbe comunque essere vano se il creditore poi pignora il conto dove lo depositi (salvo 1/5 ultimo assegno, come detto).
Indennità di disoccupazione (NASpI): Non è esattamente stipendio, ma è una prestazione a sostegno del reddito. In linea teorica la NASpI sarebbe pignorabile alle stesse condizioni dello stipendio, poiché la legge la assimila a un credito verso terzi (INPS) di natura sostitutiva di reddito. Tuttavia, va segnalato che c’è un dibattito: alcuni tribunali hanno ritenuto la NASpI in parte impignorabile perché destinata al minimo vitale del disoccupato (richiamando principi di tutela analoghi alle pensioni minime). L’INPS nelle sue circolari tende ad applicare lo stesso meccanismo delle pensioni: cioè lascia intoccabili somme fino a un certo importo. In mancanza di normativa chiara, è prudente ritenere che la NASpI sia pignorabile nei limiti del quinto, ma con il vincolo di lasciare almeno €1.000 come minimo (questo perché alcune pronunce hanno esteso la soglia pensioni anche alla NASpI, considerandola di scopo alimentare). Quindi se un dipendente pubblico viene licenziato o si dimette e percepisce NASpI, un creditore potrebbe pignorarla presso INPS ma l’INPS applicherà quanto indicato dall’autorità giudiziaria tenendo conto di eventuale minimo non toccabile. Dato il focus su dipendenti in servizio, non ci dilunghiamo oltre.
Stipendi pagati in ritardo dall’ente: se per assurdo l’amministrazione paga con mesi di ritardo e accumula più mensilità, il pignoramento colpirà quelle mensilità arretrate insieme, ciascuna col proprio quinto. In pratica lo scenario è come arretrati contrattuali. Non vi è alcun vantaggio per il debitore nel fatto che il datore sia in ritardo: anzi, quando poi paga cumulativamente, la trattenuta sarà più grande (perché 1/5 di un cumulo di 3 mensilità = 3/5 di una mensilità se pagate tutte assieme, anche se di solito si farebbe 1/5 di ciascuna separatamente – ma se sommano nel cedolino unico, attenzione che a volte il software effettua 1/5 sul totale). Comunque, normalmente nelle PA lo stipendio mensile è puntuale.
Altre considerazioni: opposizioni e difese del debitore
Dal punto di vista del debitore, quali strumenti legali esistono per cercare di limitare i danni o contestare il pignoramento? Li riassumiamo:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): contestazione sul merito del diritto del creditore di procedere. Va proposta se, ad esempio, il debitore ritiene che il titolo esecutivo non sia valido o efficace, o che il debito sia già stato pagato o non dovuto. Nel contesto di stipendio pubblico, un caso tipico è contestare la quantificazione: ad esempio il creditore chiede €50.000 ma il debitore prova che ne doveva solo 30. Se l’opposizione viene accolta, l’esecuzione viene limitata o cessata. È un processo a parte, che può durare vari mesi/anni, durante i quali il giudice dell’esecuzione può sospendere le trattenute se ci sono gravi motivi.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): contestazione su vizi formali della procedura. Ad esempio, se l’atto di pignoramento non è stato notificato correttamente o è viziato; oppure se l’ordinanza di assegnazione è errata (magari assegnasse più del quinto!). Va fatta entro termini brevi (20 giorni dalla conoscenza dell’atto). Se accolta, può far ricominciare da capo il processo esecutivo sanando il vizio.
- Istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): il debitore potrebbe chiedere di sostituire alle trattenute un pagamento rateale del dovuto, offrendo una cauzione iniziale almeno del quinto del debito. Tuttavia, questo strumento è poco usato negli stipendi perché la trattenuta stessa è già una forma di pagamento rateale. La conversione servirebbe se il debitore vuole evitare di coinvolgere il datore e preferisce pagare spontaneamente a rate concordate in tribunale. Bisogna però depositare subito il 20% del dovuto in cancelleria, cosa spesso onerosa. In più, per legge la conversione non sospende automaticamente le trattenute: serve accordo del creditore o ordine di giudice, e comunque se il debitore poi non rispetta le rate, l’esecuzione riprende. Dato che il pignoramento stipendio è una forma di “rateizzazione forzata”, raramente conviene al debitore convertirlo se non ha la liquidità per chiuderlo rapidamente.
- Accordo transattivo con il creditore: extraprocessuale. Il debitore può sempre tentare di negoziare col creditore (es. proporre un saldo stralcio, o un piano di rientro volontario con condizioni migliori). Se il creditore accetta, il pignoramento può essere revocato (il creditore fa istanza di rinuncia agli atti). Questa è spesso la via più efficace per chi, ad esempio, ottiene un finanziamento dalla banca o dai familiari per liberarsi del pignoramento a sconto. Il creditore a volte preferisce un pagamento maggiore immediato che attendere anni col quinto. Dipende dal rapporto e dal tipo di creditore (banche e finanziarie talvolta accettano stralci anche del 70-80% se il piano di rientro forzoso sarebbe lunghissimo; altri creditori no).
- Procedure concorsuali del debitore privato (es. sovraindebitamento): il dipendente pubblico potrebbe accedere alla procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento (Legge n. 3/2012 e succ. mod., ora Codice della Crisi). Se omologata una ristrutturazione dei debiti o liquidazione del patrimonio, i pignoramenti in corso vengono sospesi o cessano secondo le disposizioni del piano. Ad esempio, un debitore sopraffatto dai debiti con cessioni e pignoramenti potrebbe presentare un piano del consumatore al tribunale per rinegoziare tutto in un’unica soluzione più sostenibile. Se il piano viene approvato, i singoli pignoramenti stipendio possono venire meno e trasformarsi nella rata unica prevista nel piano. Questa è una soluzione altamente tecnica, ma è opportuno menzionarla per completezza, essendo rivolta a quei debitori in situazione di grave squilibrio che meritano un’esdebitazione. Tuttavia, va detto che se il debitore pubblico mantiene uno stipendio stabile, è difficile ottenere forti stralci in queste procedure, perché i creditori sanno di poter continuare a pignorare la fonte di reddito.
- Eventuale concorso con procedure esecutive immobiliari o mobiliari: se il debitore ha anche un immobile pignorato o altro, il pignoramento stipendio può coesistere. Sono indipendenti. Il debitore potrebbe trovarsi a subire il prelievo sullo stipendio e contemporaneamente l’asta della casa. Nel caso di fallimento del debitore (evento raro se è persona fisica non imprenditore), i pignoramenti individuali decadono. Ma un dipendente pubblico difficilmente è soggetto a fallimento se non è imprenditore.
In tutti i casi, è fondamentale che il debitore conosca i propri diritti: ad esempio, sapere che il datore non può licenziarlo per via del pignoramento (lo vieta l’art. 5 L. 108/1990 per i privati, e analoghi principi valgono per il pubblico impiego in quanto sarebbe un atto ritorsivo), né può sanzionarlo disciplinarmente solo perché ha problemi finanziari. Il dipendente deve però collaborare con l’ufficio amministrativo fornendo eventuali informazioni richieste (es. comunicare se un pignoramento si è estinto per evitare trattenute inutili).
Un’ultima annotazione: il pignoramento termina automaticamente quando il credito è pagato; tuttavia, è buona norma che il debitore verifichi l’ammontare versato per non pagare più del dovuto. Se l’importo assegnato al creditore supera il debito (ad esempio per interessi calcolati in eccesso), il debitore può chiederne la restituzione. Per questo è utile tenere traccia dei conteggi e degli estratti conto del pignoramento, eventualmente chiedendo al proprio datore quanti soldi sono stati prelevati e fino a quando continueranno. Una volta chiuso, il datore dovrebbe ripristinare lo stipendio integrale dalla mensilità successiva.
Novità 2025: Blocco Preventivo degli Stipendi Pubblici per Debiti Fiscali Elevati
Una delle più significative novità normative in tema di pignoramento stipendio (settore pubblico) è stata introdotta con la Legge di Bilancio 2025 (Legge 29 dicembre 2024 n. 207, commi 84-86, art.1). Essa prevede una sorta di pignoramento “automatico” per i dipendenti pubblici che abbiano grosse pendenze con il Fisco. Vediamo in dettaglio di cosa si tratta:
La nuova disposizione (commi 84-86): le Pubbliche Amministrazioni e le società a controllo pubblico, prima di erogare stipendi o altri emolumenti di importo superiore a €2.500 lordi mensili, devono verificare se il dipendente risulta inadempiente verso l’Erario per cartelle esattoriali notificate, per un ammontare totale almeno pari a €5.000. In caso affermativo, non procedono al pagamento della parte pignorabile dello stipendio e segnalano la circostanza all’Agente della Riscossione competente.
In sostanza: se un dipendente pubblico ha debiti iscritti a ruolo (non pagati) per almeno 5.000 euro, e il suo stipendio mensile è sopra una certa soglia, l’amministrazione ha l’obbligo di bloccare d’ufficio una parte dello stipendio e avvisare l’Agenzia Entrate-Riscossione (AER).
Soglie e importi coinvolti: il blocco si applica solo ai lavoratori con stipendio mensile lordo > €2.500. Quindi i dipendenti part-time o con stipendi modesti non saranno toccati (2.500 lordi corrispondono a circa 1.800 netti, indicativamente). Per chi supera questa soglia, l’entità del blocco varia in base allo stipendio:
- Stipendi mensili superiori a €2.500 lordi: viene bloccata una somma pari a 1/7 della retribuzione mensile. Il settimo (circa 14,3%) richiamato è lo stesso previsto per le fasce 2.500-5.000 nei pignoramenti esattoriali classici. Ad esempio, per un dipendente con stipendio di €3.500 netti (diciamo €4.500 lordi), saranno bloccati €500 al mese. Per uno stipendio di €2.800 netti, saranno circa €400 bloccati.
- Emolumenti una tantum (tredicesima, arretrati, liquidazioni) che portino il mese sopra soglia: in tali casi il blocco è del 1/10. In pratica, se un dipendente normalmente guadagna sotto 2500 (quindi non soggetto), ma riceve ad esempio tredicesima e quel mese supera la soglia, allora su quella mensilità extra verrà trattenuto il 10%. Il caso tipico: “dipendenti pubblici che percepiscono 1.500 euro e superano quota 2.500 solo tramite la tredicesima, il pignoramento corrisponderà a un decimo dello stipendio, pari a ~150 euro al mese”. Quindi un dipendente da €1.500/mese netti non viene toccato di solito, ma a dicembre con tredicesima prende €3.000 e quindi quell’importo extra subisce 10% di trattenuta (€300, equamente si può pensare come €150 sulla tredicesima e €150 sullo stipendio, oppure 300 sulla tredicesima – il meccanismo esatto lo chiarirà AER ma l’esempio indica €150 al mese medi, presumibilmente intendendo 150 su tredicesima).
Queste somme bloccate non vengono versate subito al Fisco, ma la P.A. le accantona e comunica ad AER di aver effettuato il blocco. Sarà poi l’Agenzia Entrate-Riscossione a dover attivare la procedura esecutiva per riscuoterle. In pratica, la norma funge da “segnalatore e congelatore”: evita che il dipendente percepisca interamente lo stipendio eccedente la soglia quando ha grossi debiti, e avvisa AER che c’è capienza da aggredire.
Finalità della norma: è stata presentata come misura anti-evasione rivolta a quei “dipendenti evasori” (si stima ~180mila soggetti) che, pur lavorando nel pubblico, hanno ignorato cartelle esattoriali. Lo Stato datore di lavoro, in un’ottica esemplare, applica d’ufficio la stretta che un creditore privato applicherebbe con pignoramento. Si prevede un gettito non enorme (36 milioni nel primo anno, 90 a regime), segno che riguarda una minoranza di casi, ma con valenza simbolica e dissuasiva.
Decorrenza: la norma sarà operativa dal 2026. È infatti prevista una “decorrenza lunga” di un anno per dare tempo alle amministrazioni e all’AER di approntare le procedure informatiche di controllo. Fino al 31/12/2025 nulla cambia: i dipendenti pubblici sotto tiro del Fisco potranno continuare a percepire regolarmente lo stipendio (salvo i soliti pignoramenti su iniziativa AER). Dal 2026, invece, dovranno fare i conti con questo automatismo.
Maggior termine per pagare/ricorrere: in parallelo, il comma 86 ha aumentato da 30 a 60 giorni il termine dato al contribuente, dall’avviso pre-pignoramento, per pagare o presentare documentazione, nell’ambito delle procedure esattoriali. Questo è un piccolo beneficio per il debitore: dal 2025, quando AER invierà la comunicazione (ad esempio quella ex art. 50 DPR 602/73 prima di attivare esecuzione), il debitore avrà 60 giorni per muoversi, riducendo il rischio di farsi trovare con stipendi bloccati senza preavviso. Inoltre, è stato emanato il D.Lgs. 110/2024 che amplia i casi di opposizione alle cartelle, rendendo un po’ più agevole contestare debiti anche datati.
Impatto sul dipendente debitore: dal suo punto di vista, questo blocco stipendiale “interno” avrà effetti simili a un pignoramento, con due differenze: (1) non è più necessaria la notifica di un atto di pignoramento – il datore agisce d’ufficio appena scopre la morosità; (2) la quota bloccata resta indisponibile ma non va immediatamente al creditore, quindi il debito formalmente non diminuisce finché AER non perfeziona la procedura esecutiva. In pratica, l’amministrazione trattiene quella parte dello stipendio su un conto a parte o la sospende e, presumibilmente, se l’Agenzia non si attiva entro un certo tempo, potrebbe doverla sbloccare (questo aspetto andrà chiarito dai decreti attuativi o prassi – potrebbe crearsi una situazione di stallo se AER per inefficienza non notifica il pignoramento formale). Essendo una norma nuova, alcuni dettagli applicativi sono in via di definizione.
Dalla prospettiva del debitore, come prepararsi? Chi rientra in questa casistica (debiti fiscali ≥ €5.000 e stipendio lordo > 2.500) ha il 2025 come “anno cuscinetto” per risolvere la situazione ed evitare il blocco. Le strade sono: pagare il debito, oppure rateizzarlo con AER (la rateizzazione sospende le azioni esecutive: se al 2026 il debitore ha un piano di rate in corso e regolare, la P.A. non dovrebbe bloccare lo stipendio, poiché il debito non è “inadempiuto” ma in corso di pagamento). Oppure valutare strumenti deflativi (rottamazione, saldo e stralcio, se disponibili). Il legislatore ha coscientemente dato un anno: “lo slittamento dell’entrata in vigore si traduce in più tempo per sanare il dovuto senza effetti sulla busta paga”.
È importante comprendere che questo blocco preventivo rispetterà comunque i limiti di pignorabilità dello stipendio: il comma 84 infatti dice che l’ente segnala ad AER “ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme, ferma restando la capienza pignorabile”. Ciò significa che il datore non bloccherà mai più del settimo o decimo previsto, e comunque se già c’è un pignoramento in atto, dovrà tenere conto del limite metà. Ad esempio, un dipendente che avesse già un pignoramento per un altro creditore del 20%, e poi scattasse il blocco AER 1/7, insieme farebbero ~34% che è sotto metà, quindi possibile. Ma se ci fosse anche un alimentare al 1/3, sarebbe problematico superare metà, e l’ente dovrebbe modulare (non facile a dire: probabilmente in situazioni intricate così, subentrerà il G.E. una volta che AER formalizza il pignoramento in tribunale per distribuire le somme).
In definitiva, questa novità si può vedere come una integrazione del meccanismo di pignoramento fiscale: finora era passivo (AER doveva attivarsi e notificare), dal 2026 diventa in parte attivo dall’interno dell’Amministrazione. L’idea è di evitare che dipendenti pubblici con alti stipendi sfuggano al fisco per inerzia di controlli: ora il controllo sarà incrociato e automatizzato (infatti le P.A. dovranno interfacciarsi con una banca dati). Un effetto collaterale è che il debitore potrà subire decurtazioni stipendiali senza preavviso “ad personam” (il preavviso generico c’è adesso, ma a regime dal 2026 uno appena supera soglia e ha debiti si troverà la busta paga decurtata da un mese all’altro).
Questa normativa è innovativa ma non abroga il normale pignoramento: se un dipendente pubblico ha debiti fiscali <5.000 oppure stipendio <2.500, AER potrà ancora fare il pignoramento classico (1/10,1/7,1/5). Se ha >5.000 ma AER se ne avvede prima del datore, ugualmente il pignoramento tradizionale potrà avvenire. Insomma, è una misura aggiuntiva.
Riepilogo delle novità chiave:
- Chi colpisce? Dipendenti di Pubbliche Amministrazioni (e società a prevalente partecipazione pubblica) con stipendio > €2.500 lordi/mese, che abbiano debiti con AER per almeno €5.000.
- Che succede? L’ufficio paga stipendi blocca ogni mese una parte della retribuzione: 1/7 dello stipendio mensile ordinario; 1/10 delle erogazioni aggiuntive come tredicesime.
- Quando? Dal 1° gennaio 2026 (nel 2025 c’è solo la predisposizione).
- Cosa deve fare il debitore? Idealmente, regolarizzare la propria posizione entro il 2025: ad es. richiedere una rateazione all’Agenzia Entrate-Riscossione. Il comma 86 concede 60 giorni per muoversi dopo notifica solleciti, e con D.Lgs 110/2024 alcune contestazioni diventano possibili su cartelle prima definitive. Inoltre, la norma non si applica se il pagamento è già in corso in forma dilazionata.
- Rapporto con pignoramento ordinario del quinto: la somma trattenuta 1/7 o 1/10 è concettualmente un pignoramento presso terzi in favore dello Stato. Dunque si cumula come causa distinta con eventuali altri pignoramenti (entro il limite metà stipendio). Il testo richiama appunto “nei limiti della pignorabilità”, implicando che non si supererà ciò che un giudice avrebbe potuto assegnare comunque. In pratica lo Stato si autoinserisce come creditore concorrente senza attendere il decreto del giudice.
Questa misura segna un passo verso la digitalizzazione e incrocio di dati tra amministrazioni: il MEF stima che incrociando gli stipendi con il database dei debitori si individueranno rapidamente i soggetti in questione. Per il dipendente pubblico debitore, il messaggio è chiaro: i debiti con lo Stato non potranno più essere ignorati impunemente; conviene affrontarli attivamente prima di trovarsi la busta paga decurtata.
Domande Frequenti (FAQ) – Pignoramento Stipendio Pubblico (Debitore)
Di seguito raccogliamo alcune domande comuni che un dipendente pubblico debitore potrebbe porsi riguardo al pignoramento del proprio stipendio, con risposte concise basate sulla normativa spiegata finora:
❓ D1: Quanto possono pignorarmi al massimo sul mio stipendio da dipendente pubblico?
✅ R: Di regola, non più di un quinto (20%) del tuo stipendio netto mensile per ciascuna categoria di debito. Ad esempio, per debiti con banche, finanziarie o altri creditori ordinari il massimo è il 20%. Allo stesso modo, per debiti fiscali verso Stato o enti locali, il massimo è il 20% (salvo soglie ridotte di 1/10 o 1/7 se il tuo stipendio è basso, come visto sopra per l’Agenzia Entrate Riscossione). Fanno eccezione i crediti alimentari (mantenimento figli, coniuge) dove può essere autorizzato il pignoramento fino a circa 1/3 dello stipendio su decisione del giudice. Tuttavia, in nessun caso la somma delle trattenute può superare metà stipendio: quindi se hai contemporaneamente un pignoramento per mantenimento e uno per un prestito, insieme non andranno oltre il 50% del netto. Normalmente, se hai un solo pignoramento (la situazione più comune), ti tratterranno il 20% e ti rimarrà l’80%. Solo se l’unico pignoramento è per alimenti potrebbe essere un po’ più alto (ma comunque ti resterà almeno 50%).
❓ D2: Il limite di pignoramento (1/5, 1/3, metà) si calcola sullo stipendio netto o lordo?
✅ R: Sul netto. La giurisprudenza e la prassi considerano pignorabile la retribuzione al netto delle ritenute fiscali e previdenziali obbligatorie. Quindi, se il tuo stipendio lordo è €3.000 ma il netto in busta è €2.000, il quinto si calcola su €2.000 (sarebbe €400). Le soglie di €2.500 e €5.000 per i pignoramenti fiscali sono anch’esse riferite al netto (reddito mensile disponibile). Attenzione che per “netto” si intende dopo le tasse, ma prima di eventuali cessioni o deleghe volontarie e prima di altri pignoramenti in corso (questi sono elementi successivi). Dunque la base di calcolo è il tuo stipendio tabellare più indennità, meno IRPEF, meno contributi.
❓ D3: Se ho più debiti con diversi creditori, possono pignorare più di un quinto contemporaneamente?
✅ R: Sì, ma solo se i crediti sono di natura differente e comunque fino a un massimo complessivo del 50%. In concreto: se hai due o più debiti dello stesso tipo (es. due finanziarie), no, non andranno oltre un quinto in totale – il secondo creditore dovrà aspettare il turno. Se invece hai debiti di tipo diverso (es. uno per alimenti, uno bancario, uno fiscale), allora ciascuno può attivarsi e le quote si possono sommare, però con il vincolo assoluto che la somma non superi metà stipendio. Esempio: hai un pignoramento per mantenimento figli (magari 1/4 dello stipendio) e poi Equitalia ne avvia uno per tasse (diciamo 1/7). Questi possono coesistere (perché alimentare + fiscale sono cause diverse). Se insieme superassero il 50%, il giudice ridurrà le percentuali in modo da lasciarti metà. Ma se insieme stanno sotto il 50%, andranno entrambi per intero. Quindi il totale pignorato potrà arrivare fino al 50% in scenari di cumulo (raramente di più, solo se uno volontariamente aveva ceduto quote – vedi domanda seguente).
❓ D4: Ho già una cessione del quinto in corso sul mio stipendio (prestito personale). Come influisce sul pignoramento?
✅ R: La cessione volontaria del quinto riduce la parte pignorabile residua. Per legge, se il pignoramento arriva dopo la cessione, pignoramento + cessione insieme non possono superare il 50% dello stipendio. In pratica, la quota ceduta (di solito il 20%) occupa già una fetta di metà stipendio. Rimane al massimo un altro 30% per eventuali pignoramenti. Ad esempio, se hai il quinto ceduto (20%) e ti pignorano per un debito ordinario, quel pignoramento potrà comunque prendere il suo quinto (20%) – totale trattenute 40% che è sotto metà, quindi ok. Se però dovessero aggiungersi altri pignoramenti, avresti il vincolo del 50% totale. In sintesi: la presenza di una cessione non impedisce di subire un pignoramento, ma garantisce che la somma delle trattenute non ti porti via più di metà stipendio. Nota: se hai due cessioni (cessione + delega, 40% in totale di trattenute volontarie), rimane solo il 10% di margine per pignoramenti giudiziari. Quindi in quel caso un creditore pignorante potrà prendere al massimo il 10% perché il 40 è già ceduto, così da restare al 50%.
❓ D5: Possono pignorare anche la mia tredicesima e altre mensilità extra?
✅ R: Sì, la tredicesima viene considerata parte dello stipendio e subisce il pignoramento nella stessa percentuale. Quando ti verrà pagata la tredicesima (o eventuali arretrati di contratto, incentivi, straordinari, ecc.), il datore di lavoro deve trattenere la quota percentuale prevista (1/5, 1/7, ecc. a seconda del tipo di pignoramento). Ad esempio, se hai un pignoramento del quinto in corso, a dicembre ti tratterranno il 20% sia sul normale stipendio sia sulla tredicesima. Lo stesso vale per la quattordicesima (dove esiste) o per qualsiasi emolumento accessorio di natura retributiva.
Eccezione parziale: eventuali somme aventi natura strettamente di rimborso spese o assegni familiari potrebbero non essere toccate. Esempio: se nella busta paga hai un rimborso per spese viaggio, quello in teoria non è stipendio pignorabile. Ma voci ordinarie (indennità, premi, bonus) lo sono. Inoltre, se percepisci arretrati di stipendio (es. aumenti contrattuali retroattivi), essi saranno soggetti a pignoramento come se fossero stipendio dei mesi pregressi. Quindi sì, aspettati che il pignoramento incida anche sulle mensilità aggiuntive.
❓ D6: Il pignoramento incide sul TFR o TFS quando lascio il servizio?
✅ R: Sì, il TFR/TFS (liquidazione) rientra tra le indennità da lavoro pignorabili. La legge prevede che anche le somme dovute al lavoratore a fine rapporto possano essere pignorate nei soliti limiti (20% di quella somma, salvo concorsi). Quindi, se quando vai in pensione hai un pignoramento in corso, il creditore potrà chiedere al giudice di estenderlo alla tua liquidazione. In tal caso, l’ente trattiene il 20% del tuo TFS e lo destina al creditore. Esempio: maturi €50.000 di TFS, il creditore può pigliarne €10.000 (1/5) e tu ricevi €40.000. Se il tuo debito residuo era inferiore a €10.000, allora con quel quinto si chiude e ti danno il resto. Se invece era superiore, il creditore incasserà quel quinto dal TFS e per il resto dovrà magari pignorarti la pensione. Nota: se il creditore non fa in tempo a pignorare il TFR (cioè non attiva la procedura), l’ente potrebbe pagarti il TFR intero; ma il debito verso il creditore resta, e lui potrà poi attaccare i soldi sul tuo conto (ciò sarebbe però un pignoramento del conto, dove ricordiamo che 3 volte l’assegno sociale sono impignorabili se fossero pensione; ma se identificherà i fondi come TFR sul conto, attualmente non c’è una protezione specifica sui depositi di TFR, quindi meglio non fare troppo affidamento).
❓ D7: Se ho già un pignoramento in corso sullo stipendio e cambio lavoro (passando magari a un altro ente pubblico o al privato), cosa succede?
✅ R: Il pignoramento notificato vale per il rapporto di lavoro attuale e vincola quel datore di lavoro. Se cessi il servizio, il pignoramento di per sé si interrompe (perché il terzo non deve più nulla). Il credito residuo del creditore rimane però insoddisfatto. Il creditore per recuperare dovrà notificare un nuovo pignoramento al tuo nuovo datore di lavoro (o all’INPS se vai in pensione). Il titolo esecutivo è lo stesso, ma va iniziata una nuova esecuzione presso il nuovo soggetto. Spesso i creditori lo fanno: quindi, se passi ad un’altra amministrazione, aspettati che prima o poi arrivi al nuovo ente un atto di pignoramento analogo. Finché c’è un periodo in cui non sei dipendente da nessuno (disoccupazione), il pignoramento stipendio è sospeso di fatto (non c’è terzo). Attenzione, però: il creditore potrebbe aggredire altre cose (conto in banca, autovetture, ecc.) in quel frattempo. In sintesi, il cambio di lavoro non estingue il debito né il diritto del creditore a pignorare il nuovo stipendio, ma impone a lui di attivarsi di nuovo.
Pro tip: se il tuo debito è vicino a fine e cambi PA, talvolta il creditore non si accorge subito e potresti guadagnare qualche stipendio pieno. Ma è un sollievo temporaneo, quindi conviene in quei casi magari approfittare per saldare volontariamente il residuo, evitando la riattivazione.
❓ D8: Un pignoramento dello stipendio può causare problemi nel mio lavoro pubblico? Ad esempio, il mio capo lo verrà a sapere? Può influire su avanzamenti o disciplinarmente?
✅ R: In linea generale, no, non dovresti subire conseguenze disciplinari o di carriera solo perché hai un pignoramento. È un fatto privato. Per legge (art. 545 c.p.c. e L. 108/1990) è vietato licenziare o sanzionare un dipendente a causa di pignoramenti subiti. Nel pubblico impiego vige analogamente il principio che le vicende creditorie personali non intaccano lo status lavorativo, salvo casi di particolare rilevanza (ad esempio, se sei un cassiere o economo e accumuli debiti di gioco potrebbe insinuarsi il dubbio su malversazioni, ma dovrebbero esserci altri indizi). Normalmente, l’unico ufficio a conoscenza del pignoramento è l’Ufficio stipendio/ragioneria che esegue la trattenuta. Il tuo diretto superiore o dirigente non ha motivo di essere informato, a meno che la somma da pignorare sia tale da dover eventualmente rimodulare il tuo trattamento accessorio (improbabile). Fanno eccezione alcuni ruoli con nulla osta sicurezza: in tali casi, grosse esposizioni finanziarie potrebbero dover essere segnalate per le valutazioni di sicurezza (lo scopo è prevenire rischi di corruzione o ricatto). Ma parliamo di incarichi sensibili (es. appartenere a forze di polizia con accesso a dati riservati, servizi segreti, ecc.). Anche in tali casi, comunque, un pignoramento di per sé non implica provvedimenti automatici: al più può innescare verifiche sul tuo equilibrio finanziario. In conclusione, il tuo capo non dovrebbe saperlo e non può usarti il pignoramento contro; l’atmosfera sul lavoro non deve cambiare per questo. Molti dipendenti pubblici hanno cessioni/pignoramenti e proseguono regolarmente la carriera.
❓ D9: Possono pignorare lo stipendio già depositato sul mio conto corrente?
✅ R: Sì, il creditore ha due modi per pignorare lo stipendio: o agisce presso il datore di lavoro (come abbiamo trattato finora), oppure può pignorare il tuo conto in banca dove lo stipendio va a finire. Se sceglie di pignorare il conto, la banca bloccherà il saldo fino a concorrenza del credito. In tal caso c’è una tutela: l’ultimo stipendio accreditato sul conto non si tocca. Ad esempio, se hai appena ricevuto lo stipendio di maggio sul conto e scatta il pignoramento del conto, quella somma (diciamo €1.500) ti rimane libera; il creditore potrà però prendere l’eventuale eccedenza oltre 1.500 € (cioè risparmi già presenti). Per gli stipendi accreditati dopo la notifica di pignoramento, invece, la banca dovrà congelare di volta in volta la quota pignorabile. In pratica: se sul conto hai solo stipendio corrente e nient’altro, il primo mese non ti prelevano nulla (perché c’è solo l’ultimo accredito intangibile); dal secondo mese in poi, man mano che arriva un nuovo stipendio, quello del mese precedente diventa “penultimo” e quindi pignorabile. Tuttavia, qui entra un ulteriore limite: quando la banca pignora somme derivanti da stipendio, deve applicare comunque il vincolo del quinto (o delle soglie fiscali). Dunque, non potrebbero pignorarti l’intero stipendio via conto, ma solo la parte che avresti dovuto dare via in busta. Diciamo che il pignoramento del conto per salari è un po’ più complicato e spesso i creditori preferiscono agire direttamente sul datore. In sintesi, se ti pignorano il conto: l’ultimo stipendio che vi è affluito rimane a te libero al 100%, le eventuali somme più vecchie e risparmi sul conto possono essere prese integralmente (non godono di protezione causale). Quindi accumulare troppi stipendi sul conto è rischioso se hai creditori in giro: meglio tenere il conto con non più di uno-due mesi di stipendio se temi aggressioni. Infine, se il creditore pignora sia lo stipendio presso il datore sia il conto, chiaramente quello sul conto troverà poco perché la fonte è già intaccata alla base.
❓ D10: Ho uno stipendio basso, possibile che mi lascino solo 4/5 anche se così faccio fatica a vivere?
✅ R: Purtroppo, sì. La legge non prevede una soglia minima in cifra sotto cui lo stipendio sarebbe impignorabile. L’unica tutela è appunto la limitazione al 20%. Quindi se prendi, ad esempio, €800 al mese, possono prelevarne €160 e lasciartene €640, anche se è una somma modesta. La Corte Costituzionale ha giudicato legittima questa situazione, affermando che il legislatore bilancia con il quinto e non è tenuto a esentare completamente i redditi bassi. L’eccezione riguarda le pensioni: quelle sotto circa €1.000 mensili sono impignorabili per la parte minima, ma ciò non vale per gli stipendi. Quindi, ad esempio, un lavoratore part-time pubblico che porti a casa €600 potrebbe vedersi trattenere €120, restando con €480. So che è duro, ma così funziona attualmente. In tali frangenti, l’unico rimedio è cercare di negoziare col creditore una soluzione diversa (ad esempio, offrendogli un pagamento parziale in cambio di rinuncia al pignoramento, oppure rivolgersi a procedure da sovraindebitamento se ci sono più debiti e la situazione è insostenibile). Ma legalmente, finché c’è quello stipendio, il creditore ha diritto al suo quinto.
❓ D11: L’amministrazione (datore di lavoro pubblico) può addebitarmi dei costi per gestire il pignoramento? Mi hanno detto di no, ma vorrei conferma.
✅ R: No, non possono farti pagare nulla. Il datore di lavoro è tenuto per legge a effettuare le trattenute e i versamenti come obbligo derivante dal pignoramento, e non può scaricare su di te costi amministrativi. Recentemente la Cassazione ha sancito che nel caso delle cessioni del quinto ogni eventuale spesa di gestione è a carico del datore (fa parte dei suoi doveri organizzativi). Lo stesso principio vale per i pignoramenti. Fa eccezione solo l’ipotesi in cui magari nel contratto di assunzione (nel privato) sia previsto qualcosa per oneri straordinari in caso di molteplici pignoramenti – ma nel pubblico non è usuale poter inserire clausole del genere. Quindi stai tranquillo: il quinto che ti trattengono va tutto al creditore, e non ci rimetterai altri soldi per commissioni. (Al massimo, indirettamente paghi le spese legali del creditore, ma quelle sono incluse nel precetto e rientrano nel montante del debito, non sono un balzello extra richiesto dall’ufficio).
❓ D12: Dopo quanto tempo finisce il pignoramento?
✅ R: Finisce quando il tuo debito è completamente pagato, includendo eventuali interessi di mora e spese processuali. Non c’è un termine fisso di legge (tipo “dura 1 anno” o simili): dipende dall’importo dovuto e da quanto si riesce a prelevare ogni mese. Ad esempio, un debito di €5.000 con rata di €250/mese durerà circa 20 mesi; un debito di €50.000 con rata €300 potrebbe durare più di 15 anni. Durante questo periodo, la somma prelevata va a scalare il debito. Se il creditore ha diritto a interessi (di solito sì, al tasso legale o convenzionale), anche quelli maturano nel frattempo e vengono soddisfatti. In pratica la procedura termina quando il creditore dichiara di essere soddisfatto. Il datore di lavoro di solito segue le istruzioni del tribunale: il giudice può indicare l’importo complessivo da raccogliere, e una volta raggiunto, il creditore o il giudice informerà che si può cessare. È importante controllare gli importi: se per errore continuassero a prelevare dopo l’estinzione, hai diritto a riavere indietro le eccedenze. Ma casi del genere sono rari perché i creditori sono attenti a non mollare prima, e i debitori a non far trattenere oltre.
❓ D13: Se il mio stipendio aumenta (per promozione o scatto), la quota pignorata aumenta?
✅ R: Sì, la quota è sempre calcolata in percentuale. Quindi se il tuo stipendio netto sale, anche il 20% di esso sarà una cifra maggiore. Ad esempio, ora ti trattenono €300 su €1.500; se tra qualche anno il tuo netto è €1.800, ti tratterranno €360. Questo però significa che finirai prima di pagare il debito, perché versi di più ogni mese. Viceversa, se il tuo stipendio diminuisse (es. da full-time a part-time), la quota in € scende (resta 1/5). In quel caso il creditore ci metterà più tempo a soddisfarsi. Qualsiasi variazione di stipendio o di elementi come la tredicesima impatta proporzionalmente sulla somma assoluta pignorata, dato che resta costante la percentuale.
❓ D14: E se percepisco assegni familiari o altri aiuti in busta paga? Li toccano?
✅ R: Gli assegni per il nucleo familiare (ANF), ora integrati nell’Assegno Unico Universale, in passato erano considerati impignorabili in quanto credito di natura alimentare a favore dei figli. Anche oggi l’INPS ritiene che l’assegno unico non sia pignorabile dai creditori (se non per altri alimenti). Quindi direi che quelle somme destinate ai figli non dovrebbero essere conteggiate ai fini del pignoramento. Nella pratica, il datore di lavoro pubblico quando calcola 1/5 lo fa sul “netto dopo ANF”. Quindi se hai €1.500 netti + €150 di assegni familiari, il quinto verrà su 1.500 e non su 1.650. Altre indennità particolari vanno valutate caso per caso: ad esempio, un’indennità di accompagnamento per un figlio disabile erogata in busta paga è considerata a scopo assistenziale e dunque non pignorabile. In genere, ciò che è di natura assistenziale/alimentare non si tocca (se opportunamente distinto). Ma fai attenzione: spesso tutte le voci confluiscono nel “netto pagabile” e il meccanismo di calcolo del quinto può non distinguere. Quindi conviene segnalare all’ufficio stipendi eventuali voci impignorabili, in modo che le escludano dal calcolo. Un altro esempio: rimborso spese (metti che in busta paga ti rimborsano €100 di trasferta) – quello non andrebbe pignorato. Dovrebbero escluderlo. Ma per sicurezza, controlla la loro dichiarazione al tribunale e se vedi anomalie, puoi far correggere.
❓ D15: Sono un dipendente pubblico con debiti fiscali (cartelle). Ho sentito che dal 2026 lo Stato bloccherà lo stipendio automaticamente, è vero?
✅ R: Sì, è vero, c’è una novità in arrivo. In breve: dal 1° gennaio 2026, se lavori in una PA e hai cartelle esattoriali non pagate per oltre €5.000, e guadagni più di circa €2.500 lordi al mese (circa €1.800 netti), il tuo datore di lavoro dovrà bloccare parte del tuo stipendio (di solito il 14% se superi 2500) e segnalarlo all’Agenzia Entrate-Riscossione. In pratica, senza nemmeno bisogno che arrivi un pignoramento dal giudice, la tua amministrazione ti decurterà la busta paga di 1/7 ogni mese (o 1/10 su tredicesima) e attenderà che l’Agente della Riscossione proceda a incassare quelle somme. Questa misura è stata prevista dalla legge di bilancio 2025 proprio per combattere i “furbetti” delle cartelle tra i dipendenti pubblici. Nel 2025 ancora non succede, perché la norma entra in vigore col 2026, quindi hai tempo per regolarizzare. Cosa puoi fare? Ti conviene contattare l’Agenzia Riscossione nel 2025 e magari chiedere una rateazione del debito. Se hai una rateazione attiva e paghi, l’amministrazione non bloccherà lo stipendio (perché risulterai in regola, non “inadempiente”). In ogni caso, se arrivi a gennaio 2026 ancora con cartelle >5k non pagate e stipendio>2500, preparati a vedere una voce di trattenuta in busta paga (ad es. “blocco stip. ex L.Bilancio 2025”) di un settimo del tuo stipendio. Sarà in pratica un pignoramento “automatico” a favore del Fisco. Questo non toglie che l’Agenzia potrà comunque notificare un vero e proprio atto di pignoramento (anzi dovrà, per acquisire formalmente quelle somme). Ma intanto i soldi restano bloccati. Quindi sì, è una novità reale. Se sei in questa situazione, il 2025 è l’anno buono per risolvere il debito prima che scatti la decurtazione.
❓ D16: Il pignoramento termina se il creditore muore? (O se fallisce la banca creditrice?)
✅ R: No, il pignoramento prosegue perché il credito non si estingue con la morte del creditore: passerebbe agli eredi, che subentrerebbero nella procedura. Analogamente, se il creditore è una banca o società e viene incorporata o fallisce, il credito verrà ceduto o gestito dal curatore. Per te debitore cambia solo il destinatario dei pagamenti, ma la trattenuta continua. Solo la tua morte (tocchiamo ferro) estinguerebbe il pignoramento sullo stipendio ovviamente, perché lo stipendio non ci sarebbe più; il debito però passerebbe eventualmente agli eredi tuoi. In generale, il pignoramento va avanti finché il credito trova qualcuno che lo rappresenta e finché c’è stipendio da prendere.
❓ D17: Posso accordarmi col creditore per pagare un po’ per conto mio e far cessare il pignoramento?
✅ R: Certo, puoi sempre trovare un accordo transattivo col creditore. Ad esempio, potresti offrirgli un pagamento immediato (o a breve termine) di una cifra magari inferiore al totale dovuto, in cambio della rinuncia al pignoramento. Se il creditore accetta e formalizza la rinuncia agli atti esecutivi, il giudice chiude la procedura e l’ente smette di trattenere. Questa è spesso una soluzione vantaggiosa se riesci a racimolare una somma (es. con l’aiuto di familiari o con un mutuo) e il creditore è disposto a uno sconto per ottenere subito il denaro. Fai attenzione: finalizza l’accordo per iscritto e assicurati che il creditore depositi in tribunale l’atto di rinuncia/soddisfazione. Solo allora il datore verrà liberato dall’obbligo di pignorare. Se ti limiti a pagare qualcosa al creditore senza formalizzare, rischi di continuare a subire la trattenuta perché il datore esegue finché non riceve un ordine di cessazione. Quindi, sì all’accordo, ma gestito correttamente tramite gli avvocati.
❓ D18: Cosa succede se l’ente datore di lavoro non esegue il pignoramento (per errore o omissione)?
✅ R: In tal caso, il creditore potrebbe rivalersi direttamente sul datore. La legge prevede che se il terzo pignorato (qui l’amministrazione) non adempie all’obbligo di accantonare e versare le quote assegnate, il giudice può emettere un ordine di pagamento diretto nei suoi confronti e persino condannarlo per il valore non versato (in sostanza, il terzo inadempiente può dover pagare di tasca propria il credito). Per questo le amministrazioni sono molto caute e diligenti nel rispettare le ordinanze. Per il debitore, se l’ente sbaglia a trattenere (troppo o troppo poco), conviene segnalarlo: se trattiene meno, il rischio è per l’ente; se tratiene troppo, sei tu a subire un danno finché non rimedia. Quindi tieni d’occhio la busta paga. In ogni caso, errori clamorosi sono rari nel pubblico perché le procedure sono standardizzate.
❓ D19: Possono pignorare la mia pensione futura per debiti avuti sullo stipendio?
✅ R: Sì, la pensione è anch’essa pignorabile (con regole simili, salvo la franchigia di circa €1.000 impignorabili). Se quando andrai in pensione non avrai finito di pagare un debito, il creditore quasi certamente notificherà pignoramento alla tua sede INPS per la pensione. La buona notizia è che sulla pensione ti lasciano un minimo vitale (circa €1.000, come detto), poi applicano il quinto sul resto. Ma è meglio non arrivare a quel punto, se possibile, perché allunghi ancora i tempi. Quindi sì, un debito non si “dimentica” con la pensione: il creditore può seguirti. (Caso specifico: se il debito era verso l’erario per somme fiscali, l’INPS o l’ente pensionistico potrebbe attivare trattenute dirette su pensione – specie se era per contributi, come fa l’INPS su pensioni ex dipendenti pubblici per contributi non versati. Comunque, il concetto è: se c’è residuo, la pensione sarà attaccata, con protezioni leggermente maggiori).
❓ D20: Che differenza c’è tra pignoramento presso terzi e questo nuovo blocco d’ufficio (Legge Bilancio 2025) per dipendenti pubblici?
✅ R: Il blocco d’ufficio è una sorta di pre-pignoramento automatico limitato a casi di debito fiscale. La differenza principale è che non interviene subito il giudice: il datore di lavoro pubblico congela la somma (1/7 o 1/10) e aspetta. Mentre nel pignoramento normale, il giudice emette l’ordinanza di assegnazione e dispone il prelievo a favore del creditore. In pratica, con la nuova norma, il tuo datore diventa proattivo nel trattenere e avvisare il creditore erariale. Per te, l’effetto in busta paga è simile: ti trovi una trattenuta. Ma tecnicamente, finché AER non perfeziona l’azione esecutiva (che farà comunque con atto di pignoramento entro 60 giorni dalla segnalazione, si suppone), quella trattenuta resta “sospesa”. Se per ipotesi tu paghi tutto il debito appena dopo il blocco, quelle somme bloccate ti verranno restituite perché il creditore non avrà più titolo a prenderle. Diciamo che è un pignoramento anticipato e condizionato: anticipa il congelamento, e condiziona l’esito alla successiva regolarizzazione o pignoramento formale. Per il resto, come percentuali e tutele (metà massimo, ecc.) funziona come un pignoramento (infatti 1/7 e 1/10 sono gli stessi parametri). Il vero impatto sta nel togliere al debitore la possibilità di far finta di nulla: prima, solo se l’Agenzia si muoveva subivi il pignoramento; dal 2026, è la tua stessa PA datrice a fare da sentinella. Difficile sfuggire, insomma.
Queste FAQ coprono i quesiti più frequenti. Se ne avessi altri specifici sulla tua situazione, è sempre consigliabile consultare un avvocato esperto in esecuzioni o un servizio di consulenza legale (spesso i sindacati o patronati forniscono assistenza di base ai dipendenti pubblici su queste materie). Ricorda: conoscere i tuoi diritti e obblighi è il primo passo per affrontare al meglio una situazione di pignoramento.
Conclusione
Il pignoramento dello stipendio per un dipendente pubblico è certamente un evento spiacevole, ma è regolato da norme precise che bilanciano il diritto del creditore a essere soddisfatto con la tutela di una parte significativa del reddito del debitore. Dal punto di vista del debitore, abbiamo visto che:
- L’ordinamento garantisce che almeno la metà (e spesso molto di più) dello stipendio rimanga in suo possesso, anche in presenza di più debiti. La quota ordinaria pignorabile è il quinto, percentuale che l’esperienza considera sostenibile nella maggioranza dei casi.
- Non esistono scappatoie legali per evitare il pignoramento dovuto: il datore di lavoro pubblico è obbligato per legge a eseguirlo e non può opporsi. Il debitore non può invocare “insufficienza di mezzi” come esimente. Tuttavia, può agire per vie negoziali o giudiziali per ridurre l’impatto: ad esempio, consolidando i debiti, chiedendo la conversione, approfittando di rateizzazioni fiscali, o contestando eventuali vizi.
- Lo stipendio pubblico non gode più di privilegi di impignorabilità rispetto al privato (vecchie differenze ormai abolite). L’unico vantaggio del lavoratore pubblico potrebbe essere la maggiore stabilità del posto, che facilita semmai accordi e dilazioni con i creditori (sapendo questi che il quinto lo prenderanno di sicuro, possono essere più propensi a trattare uno stralcio per accelerare).
- Abbiamo sottolineato l’importanza di monitorare la propria posizione debitoria: specialmente alla luce delle novità normative, ignorare un debito fiscale fino a farlo crescere può portare dal 2026 a un taglio stipendiale automatico. Meglio prevenire, attivandosi in anticipo (ad esempio con una rateazione volontaria) per evitare misure coattive.
- Dal lato umano, subire un pignoramento può generare stress e imbarazzo, ma è fondamentale ricordare che non sei il primo né sarai l’ultimo: la situazione è più comune di quanto si pensi nel settore pubblico (complice la facilità con cui vengono concessi prestiti con cessione, a volte in modo eccessivo). Non comporta una “lettera scarlatta” sul lavoro, e non devi viverla come una colpa morale. È un problema finanziario gestibile. Concentrati su come estinguere il debito e ripristinare la piena disponibilità del tuo reddito. Informati sui tuoi diritti (questa guida speriamo ti sia stata utile in ciò) e non esitare a chiedere consiglio professionale se necessario.
In un’ottica di rientro, se hai la possibilità, valuta di rifinanziare il debito con una cessione del quinto (paradossalmente, se la situazione lo consente: ad esempio potresti estinguere un pignoramento ordinario chiedendo un prestito con cessione – pagheresti lo stesso 1/5 ma almeno chiudi la posizione esecutiva e magari ottieni condizioni migliori, come niente pignoramento sul conto o su TFR, etc.). Questa è una strategia che a volte i debitori usano: contrarre un prestito delega per pagare i creditori e far cessare il pignoramento. Va ponderata bene (significa prolungare la trattenuta per più anni, con interessi), ma può semplificare la vita rispetto a n pignoramenti multipli.
Infine, tieni sempre a mente che la legge – a parte i casi di dolo o frode – non punisce oltre misura il debitore: l’istituto del quinto pignorabile nasce proprio per evitare che la persona venga ridotta sul lastrico. Quindi, anche se la situazione è disagiata, c’è luce in fondo al tunnel: pagando mese dopo mese, il debito diminuisce e alla fine si chiude. Con disciplina e eventualmente sfruttando opportunità di chiudere anticipatamente (tredicesime, TFR in arrivo, piccoli patrimoni da vendere per pagare il debito), puoi venirne fuori.
In conclusione, il pignoramento dello stipendio del dipendente pubblico è un tema articolato dove confluiscono norme del codice di procedura civile, leggi speciali e considerazioni pratiche di gestione. Ci auguriamo che questa guida – ricca di riferimenti normativi aggiornati al 2025 e di esempi concreti – abbia chiarito i tuoi dubbi e ti serva da riferimento.
Fonti
- Codice di Procedura Civile, art. 543 (forma del pignoramento presso terzi) e art. 545 (crediti impignorabili e limiti di pignorabilità di stipendi, salari e pensioni).
- D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, artt. 1-4, 68 – Testo Unico su sequestro, pignoramento e cessione di stipendi di dipendenti pubblici.
- Corte Costituzionale, sentenza n. 248/2015 e ord. n. 202/2018 – legittimità costituzionale della mancata previsione di un minimo vitale impignorabile per gli stipendi.
- Corte Costituzionale, sentenza n. 85/2015 – sollecitazione al legislatore su trattamento differenziato stipendi/pensioni, recepita da DL 83/2015 conv. L.132/2015.
- Corte di Cassazione, sentenza n. 4584/1995 – ammissibilità di pignoramento stipendio nonostante cessione del quinto preesistente.
- Corte di Cassazione, sentenza n. 6432/2003 – interpretazione di “simultaneo concorso” ex art. 545 co.5 c.p.c.: basta coesistenza crediti, non necessaria stessa procedura.
- Pretura di Modena, sentenza 29/10/1997 – limiti 1/5 e 1/2 rispettivamente per concorso omogeneo vs eterogeneo di crediti.
- Legge 29 dicembre 2024 n. 207 (Legge di Bilancio 2025), commi 84-86 – Introduzione obbligo per P.A. di verifica e blocco stipendi >2500€ in presenza di cartelle ≥5000€ (in vigore dal 2026).
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Se lavori nel pubblico impiego e ti è arrivata una comunicazione di pignoramento dello stipendio, non sei senza difese. Anche in questi casi, la legge impone limiti precisi a quanto può esserti trattenuto ogni mese e regole rigorose che il creditore deve rispettare.
Con un’azione tempestiva, puoi verificare la legittimità del pignoramento, ridurre l’impatto economico e, in certi casi, bloccarlo.
Quanto può essere pignorato dallo stipendio di un dipendente pubblico?
La legge tutela il lavoratore pubblico con limiti inderogabili:
- Massimo 1/5 dello stipendio netto per debiti ordinari (es. prestiti, fornitori, cartelle esattoriali)
- Percentuali diverse per mantenimento, alimenti o crediti fiscali prioritari
- Nessuna trattenuta può mai superare il livello minimo vitale previsto dalla legge
- Il pignoramento avviene alla fonte, quindi è l’amministrazione pubblica a trattenere e versare la quota al creditore
⚠️ Se hai più pignoramenti contemporanei, i limiti devono essere cumulati correttamente. In caso contrario, puoi contestarli.
Quando il pignoramento può essere bloccato o ridotto?
Puoi intervenire se:
- Il pignoramento non rispetta i limiti di legge (es. più di 1/5)
- La notifica è irregolare o mai avvenuta correttamente
- Il credito è prescritto o non più dovuto
- Stai attraversando una grave crisi economica o hai altri debiti in corso
- È possibile attivare una procedura di sovraindebitamento per bloccare tutte le trattenute
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in pignoramenti e diritto dell’esecuzione
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di dipendenti pubblici e privati contro abusi esecutivi
✔️ Consulente per la tutela del reddito e la protezione della famiglia
Conclusione
Anche se sei un dipendente pubblico, il tuo stipendio non può essere aggredito oltre certi limiti.
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