Perso Lavoro a 50 Anni: Cosa Fare Se Hai Debiti

Hai perso il lavoro a 50 anni e ti stai chiedendo come affrontare i debiti che continuano ad accumularsi? Le rate del mutuo, i finanziamenti o le cartelle non si fermano e hai paura di non riuscire più a reggere la situazione?

Perdere il lavoro in un’età in cui il reinserimento è più difficile è un colpo durissimo, ma esistono soluzioni legali concrete per proteggere la tua casa, bloccare pignoramenti e trovare una via d’uscita dai debiti, anche senza un reddito fisso immediato.

Cosa succede se perdi il lavoro e hai ancora debiti?
– I creditori continueranno a chiedere il pagamento delle rate
– Le banche e le finanziarie possono avviare azioni legali dopo pochi mesi di insolvenza
– L’Agenzia delle Entrate Riscossione può notificare cartelle, avvisi di pignoramento o ipoteche
– Senza interventi, rischi pignoramenti di beni, casa, stipendio futuro o pensione

Esistono soluzioni per chi ha perso il lavoro?
Sì. La legge ti permette di accedere a strumenti pensati proprio per chi è in difficoltà economica ma vuole ripartire. Tra questi:
Sovraindebitamento: una procedura legale che può bloccare tutto e ridurre i debiti, anche se sei disoccupato
Esdebitazione del debitore incapiente: se non hai reddito, beni o possibilità concrete di pagare, puoi essere liberato legalmente dai debiti residui
Accordi di ristrutturazione con i creditori, con rate più basse o sospensioni
Sospensione temporanea dei mutui o finanziamenti, nei casi previsti

Come funziona il sovraindebitamento in questi casi?
– Presenti una richiesta al tribunale, con l’aiuto di un OCC o di un avvocato
– Viene analizzata la tua situazione economica: debiti, reddito, patrimonio
– Si costruisce un piano sostenibile, o si chiede la liquidazione controllata
– Se non hai nulla, puoi ottenere l’esdebitazione anche senza pagare
– Al termine, i debiti vengono cancellati e puoi ripartire da zero

Cosa puoi fare subito per fermare il crollo?
Non nascondere la situazione: affrontala con un legale esperto
– Blocca sul nascere ogni azione aggressiva da parte dei creditori
– Valuta le agevolazioni disponibili: bonus disoccupazione, sostegni pubblici
– Se hai familiari a carico, ci sono ulteriori tutele previste dalla legge

Cosa NON devi fare mai?
– Aspettare troppo: più il tempo passa, più aumentano interessi e azioni legali
– Fare altri debiti per coprire quelli vecchi
– Accettare soluzioni “miracolose” da soggetti non autorizzati
– Pensare che a 50 anni sia troppo tardi per risolvere tutto: non è vero

La perdita del lavoro non è la fine. Con gli strumenti giusti puoi fermare i creditori e ricominciare.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi da sovraindebitamento – ti spiega cosa fare se hai perso il lavoro a 50 anni e non riesci più a pagare i debiti, quali sono le soluzioni concrete che puoi attivare e come costruire una nuova stabilità legale ed economica.

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Introduzione

Perdere il lavoro a 50 anni è un evento traumatico che può mettere seriamente a rischio la stabilità finanziaria di una persona e della sua famiglia. A questa età si hanno spesso impegni economici importanti – mutui sulla prima casa, prestiti personali contratti negli anni precedenti, finanziamenti per l’auto o per gli studi dei figli – e ritrovarsi improvvisamente senza reddito rende difficile farvi fronte regolarmente. Si entra così in una condizione di sovraindebitamento, ovvero l’impossibilità di adempiere regolarmente alle obbligazioni assunte, a causa di uno squilibrio perdurante tra i debiti e il patrimonio liquidabile o il reddito disponibile del debitore. In Italia, il fenomeno del sovraindebitamento è in crescita: nel 2023 i casi sono aumentati del 15% rispetto all’anno precedente, complice l’aumento dei tassi d’interesse, dell’inflazione e del costo della vita.

Dal punto di vista del debitore ultracinquantenne che ha perso l’occupazione, la prospettiva di non riuscire a pagare i debiti può generare forte stress e preoccupazione: si teme di perdere la casa, di subire pignoramenti sui (futuri) stipendi o sulla pensione, di essere perseguitati dai creditori. Fortunatamente, l’ordinamento giuridico italiano – aggiornato al giugno 2025 – offre una serie di strumenti, sia extragiudiziali (accordi privati, moratorie, piani di rientro) sia giudiziali (procedure concorsuali di composizione della crisi da sovraindebitamento), che consentono al debitore onesto ma sfortunato di gestire la propria crisi debitoria e, in molti casi, di ottenere la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione). Queste procedure, introdotte originariamente con la Legge 3/2012 (la cosiddetta “legge salva-suicidi”) e oggi disciplinate dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, entrato in vigore il 15 luglio 2022), permettono anche ai soggetti “non fallibili” – consumatori, piccoli imprenditori, professionisti – di affrontare in modo ordinato la propria insolvenza personale, con tutele simili a quelle previste per le procedure fallimentari delle imprese maggiori. Tali norme sono state più volte modificate e migliorate, da ultimo col Decreto Correttivo Ter del settembre 2024, in modo da ampliare l’accesso alle procedure e favorire il cosiddetto fresh start, ossia la possibilità di ripartire liberandosi dai debiti pregressi una volta concluso il percorso di crisi.

In questa guida affronteremo in dettaglio cosa fare se a 50 anni hai perso il lavoro e sei gravato dai debiti, esaminando tutte le soluzioni possibili dal punto di vista del debitore. Adotteremo un taglio avanzato – con riferimenti a normative e sentenze aggiornate al 2025 – adatto sia ai professionisti legali (avvocati, commercialisti) sia ai privati e piccoli imprenditori interessati a capire le opzioni a disposizione. Il linguaggio sarà di carattere giuridico ma con intento divulgativo, per rendere comprensibili anche ai non addetti ai lavori concetti complessi. Organizzeremo il materiale in modo sistematico, includendo tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande e Risposte frequenti. Al termine, verrà fornita una sezione Fonti contenente tutti i riferimenti normativi, dottrinali e giurisprudenziali utilizzati.

Struttura della guida: dopo una panoramica sulla valutazione iniziale della propria situazione debitoria e sui rischi immediati (pignoramenti, interessi di mora, ecc.), analizzeremo le soluzioni extragiudiziali, ovvero quelle che non richiedono di ricorrere al tribunale: rinegoziazione con banche e finanziarie, moratorie sui mutui, piani di rientro, saldo e stralcio, gestione dei debiti fiscali, nonché eventuali strumenti di supporto come i fondi di prevenzione dell’usura. Successivamente passeremo alle soluzioni giudiziali, ossia alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dalla legge italiana: il Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore), il Concordato minore (ex accordo di composizione), la Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio) e l’Esdebitazione del debitore incapiente (la cancellazione dei debiti “a costo zero” per chi non ha nulla da offrire). Per ciascuna di queste procedure vedremo i requisiti soggettivi e oggettivi di ammissione, le modalità di funzionamento, i vantaggi e gli svantaggi, con riferimento alle novità normative introdotte fino al 2024 – ad esempio la nuova definizione di “consumatore” più inclusiva, la possibilità di presentare un’unica domanda di liquidazione familiare, la reintroduzione della moratoria biennale sui crediti privilegiati, l’accesso degli Organismi di Composizione della Crisi all’anagrafe tributaria, ecc. – e agli orientamenti giurisprudenziali più recenti (sentenze di Cassazione e di merito rilevanti in materia di sovraindebitamento). Infine, proporremo una serie di FAQ – Domande e Risposte per chiarire i dubbi pratici più comuni (ad es. cosa succede alla casa di residenza, quali debiti si possono effettivamente cancellare, in quanto tempo si ottiene l’esdebitazione, come vengono trattati i coobbligati, ecc.) e forniremo delle tabelle riassuntive che confrontano le diverse soluzioni. Il tutto dal punto di vista del debitore, cioè mirato a tutelare al meglio chi si trova in difficoltà economica, nel rispetto però dei limiti di legge e dei diritti dei creditori.

Prima di addentrarci nelle soluzioni, è importante compiere alcuni passi preliminari per valutare la propria situazione debitoria: quantificare i debiti, capire la propria posizione patrimoniale e i rischi immediati, così da poter scegliere la strategia più adeguata. Vediamoli di seguito.

Valutare la propria situazione debitoria e i rischi

Quando ci si trova senza lavoro a 50 anni con debiti accumulati, il primo passo è fare una ricognizione completa dei debiti e dei creditori. Occorre stilare un elenco dettagliato di tutte le esposizioni: mutui ipotecari, finanziamenti personali, scoperti di conto, carte di credito, eventuali debiti verso il Fisco o enti previdenziali, bollette arretrate, ecc. Per ciascun debito vanno annotate alcune informazioni chiave:

  • Importo residuo dovuto (inclusi interessi maturati e morosi).
  • Tipo di credito: ad esempio se è un debito chirografario (non garantito) come un prestito personale o un debito di carta di credito; oppure ipotecario (garantito da ipoteca su un immobile); privilegiato (ad es. debito fiscale o contributivo con privilegio; credito alimentare); pignoratizio (garantito da pegno); ecc.
  • Creditore: banca, finanziaria, privato, Agenzia delle Entrate-Riscossione (per cartelle esattoriali), ecc.
  • Eventuali garanti o coobbligati: se qualcuno ha firmato fideiussioni o se il debito è cointestato (ad es. un mutuo cointestato col coniuge).
  • Stato dei pagamenti: se si è in regola o in ritardo, da quanto tempo non si paga, se il credito è già stato ceduto a società di recupero crediti, ecc.
  • Presenza di procedure in corso: ad esempio se è già arrivato un decreto ingiuntivo, un pignoramento, un preavviso di iscrizione ipotecaria, ecc.

Questa mappatura è fondamentale per capire quali debiti sono più urgenti e quali rischi concreti si prospettano. In genere, i debiti garantiti e quelli verso enti pubblici sono i più pericolosi nel breve termine:

  • Un mutuo ipotecario sul quale non si pagano le rate può portare, dopo un certo numero di rate insolute (di solito 6-7 mensilità), alla decadenza dal beneficio del termine e all’avvio di un’azione esecutiva immobiliare da parte della banca, con il rischio di espropriazione della casa. Se la casa è l’abitazione principale del debitore, la banca può comunque procedere al pignoramento e alla vendita all’asta (l’ordinamento italiano non prevede un divieto assoluto di pignoramento della prima casa da parte di creditori privati, a meno che intervengano specifiche sospensioni concordate o misure come vedremo) – salvo che il debitore riesca a trovare un accordo o acceda a una procedura di composizione della crisi.
  • Un debito verso il Fisco (es. cartelle esattoriali per imposte non pagate) può comportare – dopo la notifica della cartella e il decorso di 60 giorni senza pagamento – iscrizioni di fermo amministrativo su veicoli, ipoteca sugli immobili e successivamente pignoramenti. Va segnalato però che Agenzia Entrate-Riscossione (AER), ex Equitalia, attualmente non può pignorare l’abitazione principale del debitore se ricorrono alcune condizioni: l’immobile deve essere l’unico di proprietà, adibito a uso abitativo e residenza anagrafica del debitore, non di lusso, e il debito totale iscritto a ruolo deve essere inferiore a €120.000. In presenza di tali condizioni, la legge vieta l’esproprio della prima casa da parte di AER. Questo però non vale per altri creditori: un creditore privato (es. una banca senza garanzia, o un privato munito di titolo esecutivo) potrebbe pignorare la casa di proprietà del debitore anche se è prima casa, qualora ritenga vi sia sufficiente equity (valore di mercato al netto di mutui) da ricavare. Spesso nella pratica i creditori chirografari sono restii a pignorare case abitate dal debitore perché la procedura è lunga e costosa, ma la possibilità giuridica esiste. Inoltre, i crediti privilegiati (es. banca con mutuo ipotecario, Fisco oltre certe soglie) hanno priorità sul ricavato dell’eventuale vendita.
  • I debiti di natura alimentare (ad esempio assegni di mantenimento all’ex coniuge o ai figli) e i debiti per risarcimento di danni possono anch’essi portare a pignoramenti, in particolare di stipendio o conto corrente, e godono spesso di uno status privilegiato (i crediti alimentari hanno privilegio generale sui beni del debitore).
  • Debiti commerciali o verso fornitori, se il debitore era un piccolo imprenditore, possono sfociare in decreti ingiuntivi e pignoramenti di beni aziendali/residuali o di immobili personali se il creditore agisce in via esecutiva.

Dopo aver elencato i debiti, è importante valutare il patrimonio e il reddito disponibile del debitore:

  • Si possiedono beni immobili? Qual è il loro valore approssimativo di mercato e sono gravati da ipoteche? Ad esempio, se si ha una casa del valore di €150.000 con un mutuo residuo di €100.000, il patrimonio netto in quell’immobile è di €50.000 (che teoricamente i creditori chirografari potrebbero aggredire pignorando l’immobile, anche se dovrebbero soddisfare prima la banca ipotecaria).
  • Si possiedono beni mobili di valore (auto, moto, conti bancari con liquidità, investimenti, polizze riscattabili)? La legge esenta dal pignoramento alcuni beni essenziali (abbigliamento, mobili di casa di minimo valore, beni strumentali necessari per il lavoro entro certi limiti), ma auto e depositi bancari in genere sono aggredibili. Ad esempio, un saldo di conto corrente può essere pignorato dal creditore fino a concorrenza del credito vantato.
  • Si ha un reddito? In questo scenario il debitore ha perso il lavoro, quindi attualmente non percepisce stipendio. Tuttavia potrebbe aver diritto a un sussidio di disoccupazione (NASpI) o ad altre indennità. Tali entrate hanno una tutela parziale: la NASpI, in quanto sostegno al reddito, non è direttamente pignorabile come un normale stipendio (sebbene vi siano dibattiti giurisprudenziali, di regola l’indennità di disoccupazione non dovrebbe essere pignorabile dai creditori ordinari, mentre la legge consente pignoramenti su stipendi e pensioni con precise percentuali). In ogni caso, se il debitore percepisce una pensione (non il caso tipico a 50 anni, ma per completezza), la quota pignorabile è solo quella eccedente il minimo vitale (circa 1,5 volte l’assegno sociale) e comunque entro il limite di un quinto.
  • Il debitore ha ricevuto o riceverà un TFR (trattamento di fine rapporto) dall’ultimo lavoro? Il TFR maturato e non ancora versato può essere pignorato dal creditore presso il datore di lavoro (se l’azione avviene prima dell’erogazione). Se invece il TFR viene accreditato sul conto corrente del debitore disoccupato, esso confluisce nel saldo e potrebbe essere pignorato sul conto (salvo la difesa del minimo vitale se si tratta di pensionato). È prudente in questi casi valutare di tenere il TFR in un conto separato o informarsi sulle norme di impignorabilità relative (il TFR già liquidato, entro certa misura, potrebbe godere di tutela similare allo stipendio per un periodo, ma la giurisprudenza non è univoca).

Questa analisi serve anche a comprendere se esistono margini per negoziare con i creditori. Ad esempio, se il debitore non ha stipendio né beni aggredibili, la sua capacità di pagamento è pressoché nulla: paradossalmente ciò può metterlo in una posizione di negoziazione più forte per un saldo e stralcio (il creditore, pur di incassare qualcosa, potrebbe accettare una forte decurtazione sapendo che altrimenti non ricaverebbe nulla). Viceversa, se il debitore ha ancora qualche entrata o possiede una casa libera da ipoteche, i creditori avranno più incentivi ad agire in via forzata o comunque a pretendere il pagamento integrale.

Occorre poi considerare l’aspetto temporale: da quanto tempo perdura lo stato di insolvenza? Se è una situazione appena sopravvenuta (es. disoccupazione recente e prime rate saltate), c’è spazio per interventi tempestivi (moratorie, accordi) prima che i creditori attivino procedure legali. Se invece la crisi è già conclamata da tempo (es. debiti scaduti da anni, procedure esecutive già iniziate), bisognerà magari agire in modo più deciso attivando strumenti giudiziari per bloccare le azioni in corso. La normativa sul sovraindebitamento prevede che, una volta accolta la domanda di ammissione a una procedura (piano del consumatore, concordato minore o liquidazione), vengano sospese o vietate le azioni esecutive individuali dei creditori. Ciò significa che il tribunale, all’apertura della procedura, emette un provvedimento di divieto di iniziare o proseguire esecuzioni contro il debitore e sul suo patrimonio: i pignoramenti in corso vengono quindi congelati (sarà poi il giudice dell’esecuzione a disporne la sospensione una volta informato del divieto). Questa protezione concorsuale evita la “corsa al patrimonio” tra creditori e consente di gestire la crisi in modo unitario. È dunque cruciale, per il debitore, valutare per tempo se attivare una procedura concorsuale così da cristallizzare la situazione ed evitare la dispersione dei beni in tante esecuzioni disordinate.

Riassumendo, una persona di 50 anni che ha perso il lavoro e si ritrova sommerso dai debiti deve innanzitutto:

  1. Quantificare i debiti e identificarne la natura (chirografari, ipotecari, privilegiati, alimentari, ecc.).
  2. Mappare i creditori e lo stato delle eventuali azioni (solleciti, decreti, pignoramenti).
  3. Valutare il proprio patrimonio e reddito (beni disponibili, liquidità, eventuali entrate future, TFR, ecc.).
  4. Stimare la fattibilità di pagare almeno in parte questi debiti con le risorse attuali o prevedibili (spesso, senza lavoro, la risposta sarà negativa, ma è bene avere uno scenario quantitativo).
  5. Considerare i tempi: se vi sono scadenze imminenti (aste giudiziarie, termini di opposizione, ecc.) occorre agire d’urgenza.

Con queste informazioni si può poi passare a esaminare le soluzioni possibili, che come anticipato si dividono in due macro-categorie:

  • Soluzioni extragiudiziali o stragiudiziali: quelle attuate tramite accordi privati con i creditori, senza coinvolgimento formale del tribunale (se non eventualmente in modo indiretto per atti notarili, quietanze, ecc.). Richiedono la disponibilità dei creditori a trattare e non offrono garanzie assolute di esito, ma possono essere rapide e meno costose.
  • Soluzioni giudiziali: quelle che richiedono di presentare un ricorso in tribunale ai sensi della legge sul sovraindebitamento, attivando una procedura concorsuale sotto il controllo del giudice. Offrono maggiori tutele (sospensione delle azioni esecutive, vincolo per tutti i creditori) e portano a esdebitazione, ma sono più complesse, pubbliche e hanno costi procedurali da considerare.

Nel prossimo capitolo tratteremo delle soluzioni extragiudiziali, consigliando come muoversi con banche, finanziarie e altri creditori per provare a ristrutturare il debito senza passare dal tribunale.

Soluzioni extragiudiziali per gestire i debiti

Non sempre è necessario (o immediatamente opportuno) rivolgersi al tribunale per risolvere una crisi debitoria. Spesso, chi perde il lavoro può ottenere temporanei sollievi o rinegoziazioni dai propri creditori attraverso canali informali, soprattutto se la situazione di difficoltà è gestibile in un lasso di tempo ragionevole (ad esempio si prevede di trovare un nuovo impiego in qualche mese, o si dispone di beni vendibili privatamente per pagare i creditori). Le soluzioni extragiudiziali richiedono una buona capacità di comunicazione con i creditori e, preferibilmente, l’assistenza di un professionista o di un ente di consulenza sul debito, ma presentano il vantaggio di evitare i costi e la complessità di una procedura giudiziaria. Analizziamo le principali opzioni extragiudiziali.

Moratorie e rinegoziazione di mutui e finanziamenti bancari

Se il debitore ha in essere un mutuo ipotecario prima casa o altri prestiti con banche/finanziarie, la prima mossa dovrebbe essere contattare gli istituti di credito per informarli della nuova condizione di disoccupazione e richiedere misure di sollievo temporaneo. Il sistema bancario e il legislatore prevedono infatti alcune moratorie in caso di eventi come la perdita del posto di lavoro:

  • Per i mutui relativi all’abitazione principale, è attivo il Fondo di solidarietà “Gasparrini” gestito da Consap, che consente la sospensione fino a 18 mesi delle rate del mutuo in presenza di determinate situazioni di temporanea difficoltà. Fra le cause ammissibili rientra la cessazione del rapporto di lavoro sia dipendente (a tempo indeterminato o determinato) sia parasubordinato. In pratica, un disoccupato può chiedere alla propria banca la sospensione totale delle rate (quota capitale + interessi) del mutuo prima casa; durante il periodo di sospensione il Fondo paga alla banca metà degli interessi maturati sul debito residuo (interessi compensativi al 50%), alleviando il peso finanziario per il mutuatario. La sospensione massima è graduata in base alla durata della disoccupazione: 6 mesi se la sospensione dal lavoro dura 30-150 giorni, 12 mesi se 151-302 giorni, 18 mesi oltre i 303 giorni. Dal 1° gennaio 2024 sono tornati in vigore i requisiti ordinari: ISEE entro 30.000 euro e mutuo di importo originario fino a 250.000 euro, e un massimo di 18 mesi totali di sospensione fruibili (tenendo conto anche di eventuali sospensioni già concesse dalla banca). Questo strumento è prezioso perché permette, ad esempio, di congelare per un anno le uscite del mutuo senza essere segnalati come cattivi pagatori, dando respiro in attesa di trovare un nuovo impiego.
  • Anche per i prestiti personali e il credito al consumo, in passato sono state attivate moratorie volontarie tramite accordi ABI-consumatori (ad esempio nei periodi di crisi economica). Attualmente non vi è una moratoria automatica di legge per i prestiti al consumo, ma molte finanziarie offrono piani di sospensione o riduzione rata su richiesta motivata. Vale quindi la pena parlare con la banca/finanziaria: alcune prevedono la possibilità di saltare alcune rate all’anno, altre di rimodulare il piano di ammortamento allungandone la durata (riducendo così l’importo mensile). Dal 2021, inoltre, tutte le nuove offerte di credito al consumo devono per legge includere un’opzione di riconosciuto ritardo di almeno 60 giorni prima di poter risolvere il contratto per inadempimento, concedendo quindi un minimo margine di tolleranza.
  • Un’altra strada è chiedere una vera e propria rinegoziazione del mutuo o prestito: ad esempio trasformare il mutuo da tasso variabile a fisso o viceversa per abbassare la rata, oppure ottenere un periodo di solo pagamento interessi (interest only) per alcuni mesi. Le banche valutano caso per caso; se il cliente ha sempre pagato regolarmente prima della perdita del lavoro, spesso preferiscono accordarsi per evitare di incorrere in sofferenze.
  • Consolidamento debiti: se il debitore ha più finanziamenti piccoli (es. prestito auto, carta di credito revolving, ecc.), potrebbe provare a chiedere un prestito di consolidamento presso una banca, ossia un nuovo finanziamento che estingue tutti i debiti esistenti e li accorpa in un’unica rata mensile più bassa. Tuttavia, ottenere un consolidamento richiede comunque che la banca valuti un minimo di reddito o garanzie; per un disoccupato totale è difficile accedere a nuovo credito, ma se si dispone di un garante (es. un familiare con reddito) potrebbe essere fattibile. Bisogna valutare con cautela questa opzione, perché spesso allunga di molto i tempi di rimborso e può avere costi aggiuntivi; va utilizzata solo se si intravvede una concreta capacità futura di pagare la nuova rata.

Importante: comunicare tempestivamente con la banca, preferibilmente per iscritto, allegando documentazione (lettera di licenziamento, iscrizione al centro per l’impiego, eventuale ISEE aggiornato) è fondamentale. Non bisogna aspettare di accumulare molte rate impagate: prima si segnala la difficoltà, più alta è la probabilità che il creditore concordi misure di favore (anche perché fino a un certo punto la situazione può essere segnalata come “rimodulazione consensuale” e non come sofferenza creditizia). Inoltre, alcune banche aderiscono a codici di condotta che prevedono di evitare azioni legali immediate se il debitore mostra collaborazione e trasparenza nella crisi.

Da segnalare che, se il debitore ritrova un lavoro nel periodo di moratoria, potrà riprendere i pagamenti regolari (magari posticipando in coda le rate sospese). Se invece la situazione di insolvenza persiste, la moratoria serve soprattutto a guadagnare tempo per organizzare altre soluzioni (come la vendita di un immobile o l’accesso a una procedura di sovraindebitamento).

Accordi stragiudiziali e saldo a stralcio

Un’altra strategia extragiudiziale consiste nel negoziare direttamente con i creditori per raggiungere un accordo transattivo sulla riduzione o la ristrutturazione del debito. Questa via, spesso chiamata di saldo e stralcio, implica che il debitore proponga di pagare una certa somma – inferiore al dovuto – a completo stralcio (cancellazione) del debito residuo. Ad esempio, su un debito di €20.000 si potrebbe offrire il pagamento immediato di €8.000 in un’unica soluzione a titolo di saldo finale, ottenendo dal creditore la rinuncia a pretendere il resto e la chiusura della posizione.

I creditori possono essere disposti ad accettare un saldo e stralcio soprattutto quando:

  • Il debitore versa in comprovate difficoltà economiche (disoccupazione, nessun patrimonio rilevante) e quindi la prospettiva di ottenere l’intero importo è scarsa. Incassare subito una percentuale (magari grazie a risorse che il debitore raccoglie da familiari o vendendo piccoli beni) può essere preferibile per il creditore rispetto ad affrontare lunghe e incerte azioni legali per poi magari non recuperare nulla.
  • Il credito è già in sofferenza o ceduto: ad esempio, le società di recupero crediti che comprano i crediti deteriorati dalle banche a prezzi scontati hanno margine per accettare stralci, perché spesso hanno acquistato quel credito per molto meno del valore nominale. Non è raro che un’agenzia di recupero accetti anche il 30-40% dell’importo pur di chiudere la pratica, specialmente se il debitore dimostra risolutezza (es. “posso pagare subito questa cifra grazie all’aiuto di parenti, altrimenti dovrò dichiarare insolvenza e non avrete nulla”).
  • Il debitore offre un pagamento immediato (cash) anziché dilazionato. Un principio fondamentale del saldo-stralcio è poter offrire liquidità pronta: ad esempio, se si richiede al creditore uno sconto del 50%, bisogna essere in grado di versare il 50% subito o in pochissime rate. Più il pagamento è rapido, maggiore può essere lo sconto ottenibile.

Per negoziare efficacemente, è consigliabile:

  • Contattare il creditore per iscritto, spiegando la propria situazione (es. lettera in cui si comunica di aver perso il lavoro, di non avere mezzi per saldare integralmente, allegando eventuale documentazione medica, fiscale, ecc. a supporto della buona fede) e avanzando una proposta concreta di accordo.
  • Eventualmente farsi assistere da un legale o da un consulente debitorio: un avvocato può redigere la proposta in forma più incisiva e trattare con i legali del creditore. Inoltre, se si prevede di dover coinvolgere più creditori, è utile avere un professionista che coordini le trattative per assicurarsi che l’accordo con uno non pregiudichi quello con altri.
  • Mirare a un importo realisticamente sostenibile: bisogna calcolare quanto si può mettere insieme (magari grazie all’aiuto di parenti o attingendo a risparmi) per chiudere i debiti. Se la somma disponibile è modesta rispetto al totale dovuto, può aver senso offrirla pro quota ai vari creditori in proporzione, o concentrarsi su chi è più propenso allo sconto.
  • Mettere per iscritto l’accordo: è fondamentale che, in caso di accettazione, il creditore firmi un accordo transattivo chiaro in cui dichiara di ricevere X euro a saldo e stralcio e di rinunciare irrevocabilmente ad ogni ulteriore pretesa. Idealmente, l’accordo andrebbe formalizzato con una scrittura privata autenticata o scambio di lettere controfirmate, per avere piena prova liberatoria. Non pagare mai somme pattuite senza avere prima ottenuto dall’altra parte un impegno scritto alla cancellazione del debito residuo.

Esempio pratico: il signor Rossi, 50 anni, disoccupato, ha due prestiti personali (uno con banca A di €10.000 residui, uno con finanziaria B di €5.000 residui) e una carta di credito con €3.000 di arretrato. Totale debiti chirografari €18.000. Riesce, chiedendo aiuto ai familiari, a raccogliere €9.000. Contatta i tre creditori proponendo: a banca A €5.000 su €10.000, a finanziaria B €3.000 su €5.000, alla società emittente carta €1.000 su €3.000, tutto pagabile entro 30 giorni come saldo finale. Mette in evidenza che non ha più reddito e che se non accettano sarà costretto alla procedura di sovraindebitamento (dove probabilmente i chirografari prenderebbero zero). La banca A accetta uno stralcio del 50%, la finanziaria B accetta il 60%, la società carta inizialmente offre 50% ma poi, vista la situazione, accetta ~33%. Il signor Rossi effettua i bonifici e riceve lettere liberatorie. Ha così dimezzato il suo debito complessivo utilizzando la leva negoziale della propria insolvenza. Questo è un esempio in cui tutte le parti hanno interesse a trovare un compromesso: il debitore evita azioni legali e dimezza l’esposizione; i creditori incassano subito qualcosa evitando spese legali e rischio di zero.

Ovviamente, non sempre tutti i creditori si dimostrano collaborativi. Alcune banche possono avere politiche rigide e preferire di attendere tempi migliori per recuperare, oppure possono rifiutare offerte se ritengono che il debitore (o i suoi familiari) abbiano patrimoni su cui rivalersi. Inoltre, l’accordo stragiudiziale non vincola i creditori dissenzienti: se ad esempio 4 creditori su 5 accettano e uno no, quel creditore potrà comunque agire per l’intero suo credito. A differenza delle soluzioni giudiziali, qui manca un meccanismo di cram-down (imposizione ai dissenzienti) – a meno di non raggiungere un accordo con tutti i creditori, il problema potrebbe non risolversi completamente.

Va segnalato anche che un saldo e stralcio peggiora la reputazione creditizia del debitore (verrà segnalato nelle banche dati come “accordo transattivo a saldo” o similare), rendendo difficile ottenere nuovi prestiti in futuro almeno nel medio termine. Tuttavia, se si è in una situazione di insolvenza, la priorità è uscire dai debiti più che salvaguardare il merito di credito.

Piani di rientro e dilazioni informali

Se il debitore non è in grado di offrire un pagamento immediato per stralciare il debito ma può permettersi piccole somme mensili (ad esempio grazie al sostegno della famiglia, a lavoretti saltuari, o utilizzando l’indennità di disoccupazione per quote), può proporre ai creditori un piano di rientro rateale extragiudiziale. Si tratta di accordi in cui il debitore si impegna a versare una certa somma mensile per un periodo concordato, eventualmente chiedendo la rinuncia agli interessi di mora o la riduzione degli interessi futuri.

Ad esempio, su un debito di €10.000, il debitore potrebbe proporre di pagare €200 al mese per 50 mesi (4 anni e qualcosa), magari con uno sconto su interessi e spese se rispetta il piano. Questo tipo di accordo somiglia a una dilazione e spesso i creditori (specie le finanziarie) preferiscono formalizzarlo tramite un riconoscimento di debito o cambiali. Bisogna fare attenzione: firmare cambiali o nuovi contratti di riconoscimento potrebbe, se non ben gestito, dare al creditore titoli esecutivi immediati (la cambiale non pagata consente subito pignoramento). È quindi opportuno che tali accordi siano equilibrati, prevedano magari che in caso di tre rate saltate l’intero importo residuo torni esigibile, ma evitando clausole troppo gravose o la perdita di eventuali benefici già maturati (ad es. se il creditore rinuncia a metà degli interessi, mantenere questa rinuncia anche se si ritarda qualche rata, per non vanificare l’accordo).

Il piano di rientro extragiudiziale ha senso se:

  • Il debitore prevede di recuperare un reddito a breve e vuole guadagnare tempo impegnandosi in buona fede.
  • L’importo del debito non è enorme e con una dilazione si può gestire.
  • Il creditore è disponibile e magari preferisce non incardinare cause (specie per importi medio-piccoli, dove le spese legali inciderebbero molto).

Naturalmente, l’accordo va messo per iscritto. Si può fare una semplice scrittura privata in cui il creditore dichiara che accetta pagamenti mensili di tot euro e si astiene da azioni esecutive purché il debitore rispetti le scadenze, riservandosi in caso contrario di procedere. In alcuni casi, specie con le società di recupero, possono proporre loro un “piano di rientro” standard con moduli prestampati: leggere sempre attentamente e magari farlo visionare da un legale, per evitare di sottoscrivere condizioni troppo onerose (come interessi ulteriori esorbitanti o decadenza dal beneficio del termine e aggravio di penali in caso di minimo ritardo).

Uno svantaggio di queste soluzioni informali rateali è che, finché si paga, magari il creditore non incalza, ma il debito resta e se il debitore per un motivo qualsiasi interrompe i pagamenti, ci si ritrova punto e a capo (con qualche soldo in meno avendo pagato). Inoltre, altri creditori non partecipanti all’accordo potrebbero nel frattempo procedere legalmente. Pertanto, i piani di rientro funzionano meglio quando si ha a che fare con un solo creditore o comunque pochi, e si riesce a trovare un equilibrio accettabile.

Gestione dei debiti fiscali e con enti pubblici

Un capitolo a parte meritano i debiti verso l’Erario (Agenzia Entrate-Riscossione, per cartelle su imposte, multe, contributi INPS) perché seguono regole proprie. Anche qui esistono strumenti extragiudiziali:

  • Rateizzazione delle cartelle esattoriali: il debitore con debiti fiscali può presentare istanza ad Agenzia Entrate-Riscossione per ottenere un piano di dilazione fino a 72 rate mensili (6 anni) o, se sussistono comprovate difficoltà e il debito supera certi importi, fino a 120 rate (10 anni) come massimo. Attualmente, i debiti fino a €120.000 possono essere rateizzati con semplice richiesta senza necessità di dimostrare lo stato di difficoltà; oltre tale soglia serve dimostrare la temporanea situazione di obiettiva difficoltà. Durante il periodo di rateazione, AER sospende le azioni esecutive (purché il piano sia rispettato) e il debitore evita ulteriori sanzioni per ritardato pagamento (restano però dovuti gli interessi legali di dilazione, circa il 3-4% annuo). Per un disoccupato con debito fiscale, ottenere la rateazione può essere complicato se non ha alcun reddito (bisogna comunque indicare come si sosterranno le rate, anche se minime – a volte basta l’ISEE basso a giustificare un piano lungo con rate piccole). Anche rate di €50-100 al mese possono evitare misure come fermi auto o altro nel breve termine.
  • Definizioni agevolate (“rottamazione” e “saldo e stralcio”): negli ultimi anni varie norme hanno introdotto possibilità di estinguere i debiti fiscali con sanzioni e interessi ridotti o annullati (le cosiddette rottamazioni delle cartelle). Ad esempio, la Rottamazione-quater (2023) ha permesso di pagare le sole imposte e contributi, senza sanzioni né interessi di mora, anche in forma rateale. Altre misure (come il “saldo e stralcio” del 2019) addirittura abbattevano parte dell’imposta per soggetti in difficoltà. Queste procedure però sono straordinarie e legate a finestre temporali specifiche stabilite dal legislatore: al giugno 2025, la rottamazione-quater è in fase di pagamenti (scadenza prima rata ottobre 2023) ma non ci sono – allo stato – nuove edizioni annunciate. Il debitore deve stare attento alle eventuali novità normative (che spesso arrivano con le Leggi di Bilancio) e, se possibile, aderirvi nei termini previsti, perché offrono sconti importanti. Ad esempio, se un 50enne disoccupato aveva cartelle per €10.000 di cui €4.000 di imposte e €6.000 tra sanzioni e interessi, con la rottamazione poteva impegnarsi a pagarne solo €4.000 dilazionato in 5 anni e risparmiare il resto. Monitorare il sito di AER e le notizie fiscali è dunque consigliabile.
  • Transazione fiscale e altre misure: la transazione fiscale in senso tecnico è uno strumento previsto nelle procedure concorsuali (come vedremo, anche nel sovraindebitamento concordatario si può prevedere una falcidia dei debiti fiscali, purché l’Erario non riceva meno di quanto otterrebbe in una liquidazione). Fuori dalle procedure, AER in genere non transige privatamente importi: o li si rateizza, o bisogna aderire a misure di legge. Ciononostante, in casi estremi di evidente irrecuperabilità, si può tentare di interloquire con l’ente (specie se il debito deriva da sanzioni amministrative di Comuni o da contributi, alcuni enti possono valutare stralci parziali per definire bonariamente le liti, anche se formalmente servirebbe una procedura).

In sintesi, per i debiti fiscali l’approccio extragiudiziale tipico è la dilazione. Ad esempio, un contribuente disoccupato con €5.000 di cartelle potrebbe ottenere 72 rate da circa €70 al mese. Se poi riprende a lavorare potrà accelerare i pagamenti; se invece anche quelle rate diventassero ingestibili e la situazione complessiva di debiti è grave, si dovrà valutare la procedura di sovraindebitamento, dove i debiti fiscali possono essere inclusi in un piano o liquidati con possibile esdebitazione.

Nota: le procedure di sovraindebitamento giudiziali consentono di agire su debiti fiscali anche oltre ciò che è consentito extragiudizialmente. Ad esempio, la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità di piani del consumatore che prevedano il pagamento parziale dei debiti tributari privilegiati, purché allo Stato non venga offerto meno di quanto otterrebbe in un fallimento. Questo principio è ora recepito nel Codice della crisi. Quindi, se il debito fiscale è insostenibile, potrebbe convenire la strada giudiziale (ne parleremo nel prossimo capitolo).

Fondi di prevenzione dell’usura e aiuti di enti di solidarietà

In situazioni di grave indebitamento personale, esiste in Italia anche la possibilità di rivolgersi a fondazioni antiusura o enti di solidarietà (come la Caritas o associazioni specializzate) che gestiscono fondi pubblici per aiutare chi è strozzato dai debiti. La legge n. 108/1996 ha istituito infatti:

  • Un Fondo di prevenzione dell’usura presso il Ministero dell’Economia, che tramite apposite fondazioni e associazioni concede garanzie su nuovi finanziamenti bancari destinati a estinguere debiti a rischio usura. In pratica, se un soggetto sovraindebitato rischia di cadere nelle mani di usurai, queste fondazioni possono garantirgli un prestito bancario (a tasso legale) per pagare i debiti “cattivi”, consentendogli poi di restituire il nuovo prestito in modo sostenibile. La procedura richiede di presentare domanda a tali enti (ce ne sono diversi sul territorio nazionale, spesso di emanazione cattolica o associativa) che valutano il caso e, se meritevole, deliberano la garanzia.
  • Un analogo fondo per le vittime dell’usura che però interviene dopo che l’usura c’è già stata, fornendo mutui agevolati alle vittime.

Nel caso di un 50enne disoccupato con debiti bancari, non si è propriamente nella situazione tipica di rischio usura (a meno che non abbia contratto debiti con strozzini). Tuttavia, alcune Caritas diocesane o enti simili dispongono anche di fondi propri per aiutare famiglie indebitate: ad esempio possono aiutare nel pagamento di arretrati di bollette, nel trovare accordi con creditori locali, oppure offrire consulenza finanziaria gratuita. Un progetto significativo in quest’ambito è il citato Progetto “Riparto”, una rete di sportelli di consulenza sul debito attiva in Italia che assiste gratuitamente i cittadini nella gestione dei debiti e nell’accesso alle procedure di composizione delle crisi.

Vale quindi la pena, per un debitore in crisi, informarsi presso i servizi sociali del Comune o presso associazioni sul territorio se esistono iniziative di sostegno. Non si tratta di soluzioni sistemiche per cancellare grandi debiti, ma in alcuni casi possono tamponare situazioni emergenziali (es. evitare il distacco di utenze, fornire piccoli prestiti di solidarietà, ecc.) e soprattutto fornire orientamento qualificato.

Valutare la vendita di beni e il ridimensionamento dello stile di vita

Un ultimo aspetto extragiudiziale – che attiene più alle scelte personali del debitore – è valutare se sia possibile liquidare volontariamente qualche bene per ridurre i debiti e ridurre le spese per riequilibrare il bilancio. Per esempio:

  • Se il debitore possiede due auto, potrebbe venderne una e usare il ricavato per pagare parte dei debiti (oltre a risparmiare su bollo e assicurazione).
  • Se la casa di proprietà è troppo costosa da mantenere e presenta un discreto valore di mercato, si potrebbe considerare di venderla (magari ricorrendo alla vendita con riserva di usufrutto o soluzioni che consentano di continuare ad abitarla per un certo periodo) e con il ricavato estinguere i debiti, eventualmente trasferendosi in affitto. Questa è una decisione difficile, specialmente a 50 anni, ma talvolta è preferibile vendere spontaneamente l’immobile ottenendo un prezzo di mercato, piuttosto che farselo pignorare e vedere svendere all’asta a valori molto più bassi. Una vendita volontaria può anche essere inserita in un accordo con i creditori (ad esempio: “vendo casa per X euro, con cui pago la banca mutuante e do a voi chirografari il tot% a saldo e stralcio”).
  • Ridurre drasticamente le spese mensili per convogliare risorse verso i pagamenti prioritari. Significa rivedere il budget familiare, tagliando costi non essenziali (tv a pagamento, palestra, cene fuori, ecc.) almeno temporaneamente. Se la famiglia del debitore dispone di un solo reddito (magari quello del coniuge), bisogna tarare le uscite su quel solo reddito.

Queste misure, pur non essendo “giuridiche”, sono parte integrante di un percorso di uscita dai debiti: mostrano anche ai creditori e, se si arriverà a una procedura giudiziale, al giudice, la serietà e la buona fede del debitore, che si sta attivando in tutti i modi per ridurre il danno. La legge sul sovraindebitamento premia il debitore che dimostra diligenza e meritevolezza (concetti come l’assenza di “colpa grave nell’indebitarsi” e l’aver fatto tutto il possibile per onorare i debiti sono rilevanti, come vedremo, ai fini dell’omologazione dei piani e della concessione dell’esdebitazione).

In sintesi sulle soluzioni extragiudiziali: sono da tentare con convinzione, specie nelle fasi iniziali della crisi debitoria, perché possono evitare di arrivare a misure concorsuali più drastiche. Tuttavia, esse richiedono il consenso dei creditori: se anche uno solo dei principali creditori non collabora, il debitore potrebbe non risolvere il problema totalmente. Inoltre non offrono la certezza della cancellazione completa dei debiti: un accordo stragiudiziale può ridurre o diluire il debito, ma a differenza dell’esdebitazione concorsuale non cancella automaticamente ogni residuo per legge (la cancellazione avviene solo in base all’accordo specifico e vincola solo i creditori aderenti). In caso di difficoltà con uno o più creditori riottosi, o se la situazione è troppo grave perché un semplice piano informale sia sufficiente, è il momento di valutare le soluzioni giudiziali, cioè l’accesso alle procedure previste dal Codice della crisi. Nel prossimo capitolo, quindi, affronteremo in dettaglio il piano del consumatore (ora piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore), il concordato minore, la liquidazione controllata e l’esdebitazione dell’incapiente, ovvero gli strumenti legali per ristrutturare o azzerare i debiti attraverso il tribunale.

Soluzioni giudiziarie: le procedure di sovraindebitamento

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono strumenti introdotti per via legislativa con l’obiettivo di offrire a persone fisiche e piccole imprese sovraindebitate una via ordinata e legalmente disciplinata per superare la crisi, sul modello delle procedure concorsuali previste per le società (fallimento, concordato preventivo, ecc.), ma adattate ai soggetti “minori”. In Italia queste procedure sono state inizialmente previste dalla Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (nota come legge sul sovraindebitamento o “salva suicidi”) e, dal 15 luglio 2022, sono confluite nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) D.Lgs. 14/2019, che ne ha aggiornato la disciplina. Ad oggi (giugno 2025) le procedure previste – applicabili ai debitore civili (consumatori) e agli altri soggetti non fallibili – sono quattro:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) – in precedenza noto come Piano del consumatore. È una procedura riservata ai debitori consumatori, cioè persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Consente al debitore di proporre un piano di pagamento (anche parziale) dei propri debiti, da omologare in tribunale senza necessità di accordo dei creditori, purché il giudice verifichi che il piano è fattibile, che il debitore merita l’esdebitazione e che i creditori non subirebbero un trattamento peggiore rispetto a quello che avrebbero in caso di liquidazione. È uno strumento molto potente in quanto può imporre ai creditori una ristrutturazione anche contro la loro volontà.
  2. Concordato minore (artt. 74-83 CCII) – in precedenza accordo di composizione della crisi. È la procedura destinata ai debitori non consumatori (piccoli imprenditori commerciali sotto soglia di fallibilità, imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative, enti non commerciali, ecc., come elencati all’art. 2, c.1, lett. c CCII). Si tratta di un vero e proprio concordato in cui il debitore propone ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti, soggetto all’approvazione di una maggioranza dei crediti e successiva omologazione del tribunale. È dunque analogo al concordato preventivo ma semplificato e su scala minore. Può prevedere sia la continuazione dell’attività (concordato in continuità) sia, in casi particolari, la liquidazione dei beni (concordato liquidatorio) purché vi sia un apporto di risorse esterne apprezzabile. Se approvato, vincola tutti i creditori (dissenzienti compresi) e consente l’esdebitazione a fine piano. Se non viene approvato o il tribunale non omologa, può essere convertito in liquidazione controllata.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII) – in precedenza liquidazione del patrimonio. È la procedura concorsuale di tipo liquidatorio: tutti i beni del debitore vengono acquisiti da un Liquidatore nominato dal tribunale e venduti per distribuire il ricavato ai creditori. Può essere richiesta volontariamente dal debitore oppure anche imposta dai creditori: una novità del CCII infatti è che i creditori di un soggetto non fallibile insolvente possono chiederne la liquidazione giudiziale, similmente a come avrebbero potuto chiederne il fallimento se fosse stato fallibile. La liquidazione controllata non richiede, per l’apertura, alcun giudizio di meritevolezza sul debitore (si apre se c’è insolvenza, punto). Al termine, se il debitore è persona fisica e ha cooperato lealmente, può ottenere l’esdebitazione dei debiti rimasti insoddisfatti; al contrario, se ha tenuto condotte fraudolente o gravemente colpose, l’esdebitazione gli sarà negata. La durata della procedura è stata contingentata: il Codice della crisi prevede che la liquidazione si svolga di regola entro 3 anni (durata minima per poter poi chiedere la chiusura con esdebitazione, salvo casi particolari).
  4. Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) – introdotta in via definitiva dal CCII recependo l’istituto già sperimentato con la L. 3/2012 art. 14-quaterdecies (inserito nel 2020). È una misura eccezionale che consente al debitore persona fisica meritevole e privo di qualsiasi patrimonio o reddito di ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza dover prima liquidare beni, dunque “a costo zero”. In cambio, il debitore si impegna che per i 4 anni successivi, se dovessero sopravvenire utilità (eredità, vincite, aumento di reddito oltre il minimo per vivere), esse saranno in parte destinate ai creditori. È un vero e proprio fresh start immediato per chi è nullatenente, pensato per evitare che persone totalmente incapienti restino oppresse dai debiti per tutta la vita. Può essere ottenuta una sola volta.

Le procedure 1, 2 e 3 richiedono la nomina di un organismo o professionista chiamato Gestore della crisi o OCC (Organismo di Composizione della Crisi), che assiste il debitore nella preparazione della proposta, verifica la veridicità dei dati e redige le relazioni per il tribunale. L’OCC svolge un ruolo chiave: funge da “supervisore” neutrale, attestando la fattibilità del piano del consumatore o del concordato, e gestisce la procedura di liquidazione (diventando Liquidatore). Il debitore dovrà dunque rivolgersi a un OCC (ce n’è almeno uno presso ogni tribunale o ordine professionale locale) per avviare formalmente la procedura.

Vediamo ora in dettaglio ciascuna procedura, dal punto di vista del debitore, evidenziandone requisiti, funzionamento e tutele. A seguire verranno fornite anche tabelle comparative.

Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore

Il Piano del consumatore – oggi denominato Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore nel CCII – è la procedura pensata per il debitore consumatore, ovvero la persona fisica che ha contratto debiti per esigenze personali/familiari e non in connessione con un’attività d’impresa. La definizione di consumatore ai fini di questa procedura è stata oggetto di chiarimenti normativi: il Decreto Correttivo Ter del 2024 ha ulteriormente specificato che può qualificarsi consumatore anche chi in passato ha svolto attività d’impresa o professionale, purché i debiti da ristrutturare non siano derivati da tale attività. In sostanza, un ex imprenditore può accedere al piano del consumatore limitatamente ai debiti di natura personale (ad es. mutui, prestiti al consumo, debiti di famiglia), mentre per i debiti professionali dovrà eventualmente usare il concordato minore. Già la Cassazione aveva affermato questo principio: “la qualifica di consumatore ai fini del sovraindebitamento non esclude chi abbia svolto attività d’impresa, purché i debiti non siano correlati a tale attività”. Oggi ciò è espressamente previsto dalla legge (art. 2, lett. e CCII come modificato).

Come funziona il piano del consumatore? In breve, il debitore prepara – con l’ausilio dell’OCC – una proposta di ristrutturazione di tutti i suoi debiti, indicando in che modo intende pagarli (in parte o totalmente) e in quali tempi. Il piano può prevedere le forme più varie: dilazioni pluriennali, pagamento parziale (falcidia) di alcuni crediti, cessione di determinati beni (es. destinare ai creditori il ricavato della vendita di un immobile o di un veicolo), intervento di terzi che apportano somme a favore del debitore, ecc. È uno strumento molto flessibile: l’importante è che il piano offra ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore. In altri termini, bisogna dimostrare che se non si facesse il piano ma si liquidasse tutto, i creditori non otterrebbero di più. Questo requisito della convenienza del piano è oggetto di valutazione da parte del giudice in sede di omologazione.

La grande peculiarità del piano del consumatore è che non richiede il voto dei creditori. Il debitore consumatore può proporre il piano anche senza l’assenso dei creditori, e il tribunale può omologarlo d’ufficio se ritiene che:

  • il debitore sia meritevole, ossia non abbia causato la situazione con dolo o colpa grave (ad esempio ricorrendo in modo spropositato al credito in modo imprudente);
  • il piano sia fattibile dal punto di vista economico (le entrate previste e le risorse da impiegare siano reali e sufficienti per attuare quanto promesso);
  • i creditori ricevano almeno quanto riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale.

La verifica della meritevolezza è specifica per il piano del consumatore (mentre nel concordato minore è focalizzata sulla mancanza di atti in frode, come visto). La legge (art. 69 CCII, ex art. 12-bis L.3/2012) stabilisce che l’omologazione è subordinata a che il giudice escluda che il consumatore abbia commesso “colpa grave, malafede o frode” nell’indebitamento o nella presentazione del piano. Ciò significa ad esempio che se la persona ha contratto debiti manifestamente sproporzionati rispetto alle sue capacità senza ragione (colpa grave) o ha occultato parte del patrimonio (frode), il piano verrà respinto. La recente riforma ha enfatizzato questo aspetto, introducendo esplicitamente il concetto di squilibrio colposo nell’indebitamento come causa di inammissibilità (concetto di “eccesso di credito colposo”). Dunque, il debitore deve convincere il tribunale della propria buona fede: a tal fine deposita una relazione particolareggiata dell’OCC che ricostruisce la storia debitoria, le cause del sovraindebitamento e attesta l’assenza di intenti fraudolenti.

Iter procedurale: il consumatore deposita il ricorso in tribunale allegando il piano, le dichiarazioni dei redditi, lo stato patrimoniale, l’elenco di tutti i creditori e una relazione dell’OCC. Il tribunale, se la documentazione è completa e non ci sono cause di inammissibilità, emette un decreto di apertura della procedura in cui, tra l’altro, dispone:

  • la nomina di un Giudice delegato e di un OCC/gestore (se non era già designato);
  • il provvedimento di stop alle azioni esecutive dei creditori (divieto di iniziare o proseguire pignoramenti) fino all’omologazione;
  • eventualmente, misure urgenti per conservare il patrimonio del debitore (divieto di alienare beni senza autorizzazione, ecc.).

A differenza del concordato, i creditori non votano, ma possono presentare opposizioni o osservazioni entro un termine. Ad esempio un creditore potrebbe sostenere che il debitore ha agito con malafede, o contestare l’attivo disponibile. Il tribunale fissa l’udienza di omologazione, in cui valuta le opposizioni ed esamina il piano. Se tutto è in ordine, emette il decreto di omologazione del piano del consumatore: da quel momento il piano diviene obbligatorio per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Gli eventuali creditori che non avevano avuto notizia (perché magari dimenticati) possono comunque aderire in corso di esecuzione, ma non possono agire fuori dal piano.

Effetti per il debitore: con l’omologa, il debitore deve eseguire puntualmente il piano come approvato. Durante l’esecuzione rimane sotto la vigilanza dell’OCC e del tribunale. Se il debitore adempie regolarmente e porta a compimento tutte le obbligazioni previste (pagando le somme promesse, cedendo i beni indicati, ecc.), ottene l’esdebitazione per la parte di debiti eventualmente non soddisfatta. In pratica, tutti i debiti inclusi nel piano e non integralmente pagati vengono cancellati. Il decreto di omologa tiene luogo di quietanza liberatoria per i pagamenti parziali previsti.

Se invece il debitore non rispetta il piano, il tribunale (su istanza di un creditore o dell’OCC) può dichiarare la risoluzione del piano: in tal caso i creditori riacquistano diritto per l’intero importo originario, detratto quanto ricevuto. È una situazione da evitare accuratamente: per il debitore sarebbe disastrosa perché avrebbe magari perso tempo e soldi e si ritroverebbe di nuovo esposto ai creditori (per questo i piani vanno proposti solo se realisticamente sostenibili).

Uno degli aspetti interessanti del piano del consumatore è la possibilità di preservare alcuni beni essenziali, in particolare l’abitazione principale. La legge consente infatti di escludere la vendita della casa di abitazione se l’OCC attesta che ciò non reca pregiudizio ai creditori. In concreto, se la casa ha un valore tale che, considerati eventuali mutui, non darebbe un maggior soddisfacimento ai creditori chirografari rispetto alla proposta del piano, il debitore può prevedere di trattenere l’immobile e continuare magari a pagare il mutuo come da contratto. Questa è una differenza fondamentale rispetto alla liquidazione: nel piano (o nel concordato minore) c’è margine per salvare la casa, nel rispetto del principio di convenienza per i creditori. Ad esempio, se la casa vale €100.000 ed è gravata da mutuo residuo €90.000, vendendola all’asta i creditori chirografari prenderebbero praticamente zero; tanto vale lasciare la casa al debitore (che non verrebbe sfrattato) e concentrare le risorse altrove nel piano – ovviamente continuando a pagare il mutuo al creditore ipotecario che altrimenti sarebbe soddisfatto comunque solo fino a concorrenza del ricavato.

Trattamento dei crediti privilegiati e delle varie categorie di creditori: nel piano del consumatore, a differenza del concordato, non c’è votazione, ma bisogna rispettare certe regole di trattamento:

  • I crediti con prelazione (ipotecari, pignoratizi, privilegiati) non possono essere alterati senza il loro consenso, salvo che il piano preveda che saranno soddisfatti in misura non inferiore a quanto otterrebbero liquidando la garanzia. Il CCII, nella versione attuale, consente tuttavia una moratoria fino a 2 anni per il pagamento dei crediti privilegiati: significa che il piano può prevedere che i creditori privilegiati inizino a essere pagati (per la parte di soddisfo garantita) dopo fino a 24 mesi dall’omologazione. Questo dà al debitore respiro iniziale. Ad esempio, il piano può stabilire che le rate del mutuo ipotecario vengano sospese per due anni e poi riprendano, con la banca postergata nel frattempo. Questa moratoria biennale era presente nella L.3/2012, poi era stata rimossa e ora è stata reintrodotta nel 2024.
  • I crediti alimentari (es. mantenimento) probabilmente vanno trattati con particolare riguardo, essendo spesso impignorabili oltre certe soglie, ma comunque rientrano nel piano anch’essi e possono essere falcidiati solo se si garantisce il minimo.
  • I debiti fiscali e contributivi possono essere compresi nel piano e subire decurtazioni di interessi e sanzioni, e persino del capitale se il piano dimostra che in liquidazione l’Erario non prenderebbe di più. Ad esempio, IVA e ritenute non pagate – che in altre procedure concorsuali erano intoccabili – nel sovraindebitamento possono essere falcidiate con l’omologazione giudiziale (la Consulta ha avallato ciò nel 2016). Resta però fondamentale il parere dell’Agenzia delle Entrate: spesso l’Agenzia, pur non potendo votare, invia osservazioni sulla convenienza del piano. Se il piano dà meno del 5% su IVA, è facile che sollevino obiezioni. Sta poi al giudice valutare.

Durata del piano: la legge non fissa una durata massima esplicita. In genere i piani vengono proposti con durate tra 4 e 5 anni, talvolta 7 anni, raramente oltre. Un periodo troppo lungo è poco gradito perché introduce incertezze (in 10-15 anni può succedere di tutto). Tuttavia, non c’è un limite come nel piano del consumatore francese (che è max 7 anni). Il CCII recependo la direttiva UE sull’insolvenza spinge per soluzioni non troppo protratte nel tempo, quindi ragionevolmente entro 5 anni (3 anni se liquidazione, 5 anni se ristrutturazione, secondo lo spirito della direttiva 2019/1023).

Per il nostro debitore 50enne disoccupato, il piano del consumatore sarebbe indicato se:

  • La sua condizione di reddito può migliorare (es. possibile nuova occupazione, pensione di reversibilità futura, etc.) o ha aiuti terzi, cosicché possa garantire un pagamento sia pur parziale ma continuativo ai creditori.
  • Vuole evitare di perdere la casa e ha possibilità di sostenere almeno il mutuo o una parte di esso col supporto familiare.
  • La sua situazione debitoria è tale che i creditori chirografari prenderebbero comunque poco da una liquidazione (es. non ha grandi asset), quindi un piano con pagamenti modesti ma protratti può comunque risultare migliore del fallimento per loro.
  • Non ha tenuto comportamenti maliziosi e può superare il vaglio della meritevolezza.

Se, però, il soggetto non ha alcuna prospettiva di reddito e la sua proposta ai creditori sarebbe pressoché nulla, il piano potrebbe non essere fattibile o comunque il giudice potrebbe dubitare della convenienza. In tal caso si valuterebbe la liquidazione o addirittura l’esdebitazione incapiente. Ma prima di arrivare a quella “resa”, vediamo la seconda procedura: il Concordato minore, destinato ai casi in cui il debitore non è un semplice consumatore.

Concordato Minore

Il Concordato minore è la procedura analoga al piano, ma rivolta a debitori non consumatori e basata sul consenso dei creditori. Si chiama “minore” in contrapposizione al concordato preventivo (che è riservato alle imprese soggette a fallimento). Qui parliamo di piccoli imprenditori, professionisti, imprenditori agricoli, etc., ossia quei soggetti elencati nell’art. 2, c.1, lett. c) CCII, che in stato di sovraindebitamento vogliono evitare la liquidazione cedendo ai creditori una parte dei loro beni/futuri utili in cambio del saldo dei debiti.

Finalità e tipologie: il concordato minore è pensato in primis per consentire al debitore di proseguire l’attività nonostante la crisi. Quindi la legge lo configura di regola come concordato in continuità: l’azienda o lo studio professionale continuano a operare, e col reddito generato in futuro (integrato magari da apporti di terzi o cessione di asset non essenziali) il debitore paga i creditori secondo il piano. Tuttavia, è ammesso anche un concordato minore liquidatorio, cioè senza prosecuzione d’attività, ma solo in casi eccezionali: precisamente, se non c’è continuità, il debitore deve offrire qualcosa in più ai creditori, ossia un apporto di risorse esterne significativo. Ciò per evitare che usi il concordato per fare una semplice liquidazione “scontata” bypassando le regole più rigide (nel concordato preventivo liquidatorio delle imprese, ad esempio, la legge richiede il 20% minimo ai chirografari; qui non c’è soglia, ma si compensa con l’apporto esterno). In pratica: se un piccolo imprenditore ha cessato l’attività ma vuole comunque chiudere i debiti con un accordo invece che subire la liquidazione, deve far entrare fondi nuovi (ad es. denaro di un familiare) che migliorino il recupero creditori in misura apprezzabile.

Contenuto della proposta: è molto simile al piano del consumatore dal punto di vista tecnico. Può prevedere ristrutturazione dei debiti in ogni forma: dilazione, stralcio, conversione di crediti in quote (quest’ultima ipotesi più per enti, qui rara), formazione di classi di creditori con trattamenti differenziati, ecc.. La differenza fondamentale è che serve l’approvazione dei creditori:

  • Il concordato minore deve essere approvato dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. La legge non richiede maggioranze diverse per classi come nel concordato preventivo delle imprese (dove serve 2/3 di votanti); qui è sufficiente più del 50% in valore dei crediti totali votanti favorevoli, salvo che siano state previste classi (si possono creare classi se opportuno, e se una classe vota contro ma altre a favore e c’è maggioranza aggregata, il tribunale può fare cram down su quella classe dissenziente).
  • Hanno diritto di voto tutti i creditori chirografari e i privilegiati per la parte eventualmente falcidiata. I creditori privilegiati integralmente soddisfatti secondo la proposta non votano (come da regole generali).
  • I creditori relazionati (es. parti correlate) in genere non contano nel computo o hanno limitazioni, per evitare manipolazioni di maggioranza (questo dettaglio è nel CCII come per concordati maggiori).

L’iter procedurale iniziale è simile: si deposita la domanda con la proposta e il piano, l’OCC redige la relazione di attestazione di veridicità e fattibilità. Il tribunale emette decreto di apertura, nomina un Giudice delegato e un Commissario giudiziale (nel concordato minore l’OCC spesso diventa commissario giudiziale), e fissa un termine per la votazione dei creditori (che avviene per lo più per via scritta, raccogliendo le manifestazioni di voto, o in adunanza se il GD la indice). Durante la pendenza, valgono gli stessi effetti protettivi: divieto di azioni esecutive, sospensione delle prescrizioni e decadenze, etc.

Se la maggioranza approva, si passa all’omologazione davanti al tribunale. I creditori dissenzienti possono opporsi; il giudice verifica legalità e convenienza (quest’ultima solo se creditori dissenzienti lamentano che avrebbero di più in liquidazione). Se tutto ok, il tribunale omologa il concordato minore con decreto. Da quel momento, la proposta diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche per chi non ha votato o ha votato contro, analogamente a un concordato preventivo.

Esecuzione: può essere gestita dal debitore stesso sotto la vigilanza di un eventuale liquidatore nominato (ad esempio, se sono previsti atti da compiere come vendite di beni, il tribunale può nominare un liquidatore; se invece è solo continuazione d’attività con pagamenti periodici, può lasciare il debitore in possesso con supervisione del commissario). Se il piano viene eseguito con successo fino al termine, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti residui non pagati; se il debitore è una società non fallibile (tipo un’associazione) ovviamente non si parla di esdebitazione in senso personale, ma comunque la società si libera essendo stati stralciati i debiti nel concordato omologato.

Se il concordato minore fallisce (cioè o non viene approvato dai creditori, oppure dopo l’omologa non viene adempiuto e viene risolto), la legge – come già accennato – consente un paracadute: su istanza del debitore il tribunale può aprire la liquidazione controllata, evitando che vengano meno le protezioni e consentendo ai creditori di essere soddisfatti con la vendita dei beni residui. Questo meccanismo è molto importante per il debitore: significa che, se prova la via del concordato ma non ce la fa, non perde automaticamente il beneficio di blocco dei pignoramenti ottenuto – la procedura prosegue semplicemente in forma liquidatoria. Naturalmente, in tal caso, se il concordato era saltato per inadempimento colpevole, il debitore rischierà di non ottenere l’esdebitazione finale (verrà valutato in sede di chiusura liquidazione).

Meritevolezza nel concordato minore: come riportato nell’art. 77 CCII, richiamato dall’art. 69 (norme analoghe al piano), anche qui ci sono cause di inammissibilità relative a comportamenti del debitore:

  • Non può accedere chi ha già avuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale (stesse preclusioni temporali e quantitative).
  • Non può chi ha commesso atti in frode ai creditori (distinguendo, per l’imprenditore, i concetti: qui specificano atti fraudolenti come distrazione di beni).
  • A differenza del consumatore, non si parla esplicitamente di colpa grave nell’indebitamento per l’imprenditore, perché si considera sufficiente il filtro della mancanza di frode. Tuttavia, una condotta molto imprudente potrebbe essere letta come colpa grave, ma formalmente la legge è più permissiva qui sulla meritevolezza: ciò si spiega pensando che l’imprenditore può fallire anche per sfortuna imprenditoriale senza colpa, mentre il consumatore spesso se sovraindebitato può aver abusato del credito. In ogni caso, anche nel concordato minore il debitore deve agire con correttezza e trasparenza (presentare tutti i documenti, non nascondere nulla, pena revoca dell’omologa).

Protezione dell’abitazione principale: grazie al correttivo 2024, anche nel concordato minore è stata estesa la possibilità di non liquidare la prima casa se ciò non lede i creditori. Questo è cruciale per piccoli imprenditori che magari hanno garantito i debiti aziendali con l’ipoteca sulla casa: col concordato minore possono proporre di tenere l’immobile (continuando a pagare il mutuo) e soddisfare i chirografari in altra maniera, facendosi attestare dall’OCC che venderla non migliorerebbe il loro soddisfo. Ovviamente, se la casa ha valore netto e i creditori chirografari prenderebbero qualcosa dalla sua vendita, difficilmente si potrà omettere di liquidarla a meno di compensare con risorse terze.

Confronto con il piano del consumatore: in sintesi, il concordato minore è più complesso perché richiede l’accordo dei creditori (quindi un negoziato di fatto, benché mediat da OCC e giudice) e solitamente coinvolge situazioni con attività economiche in corso. Il vantaggio, rispetto al piano, è che può essere utilizzato anche da soggetti non persone fisiche (es. un’associazione, una startup) e può includere qualsiasi tipo di debito (anche misti). Il nostro debitore 50enne potrebbe doversi rivolgere al concordato minore se, ad esempio, era un piccolo imprenditore (negoziante, artigiano) e ha debiti d’impresa significativi: in quel caso non è un “consumatore” per quei debiti, e deve seguire la via del concordato. Se ha cessato l’attività ma possiede ancora beni vendibili, può proporre un concordato liquidatorio (con l’apporto esterno se richiesto). Se invece sta avviando una nuova attività, potrebbe fare un concordato in continuità spalmando i debiti pregressi sull’arco di un piano di risanamento.

Va però sottolineato che un debitore persona fisica “misto” – cioè con debiti sia personali sia da ex attività – può potenzialmente usare entrambe le procedure: come accennato nel testo della legge e confermato da pronunce, il socio illimitatamente responsabile ad esempio potrebbe presentare un concordato minore per i debiti dell’ex azienda (se ancora in qualche forma continua o se c’è apporto) e parallelamente o successivamente un piano del consumatore per i debiti personali. Sono situazioni complesse e poco comuni, da gestire con cautela perché occorre coordinare bene le due procedure (ad esempio evitando che l’una pregiudichi l’altra, magari accorpandole in tribunale).

Tabella di confronto (Piano del Consumatore vs Concordato Minore):

CaratteristicaPiano del consumatoreConcordato minore
Soggetti ammessiSolo consumatore (persona fisica, debiti personali)Debitori non consumatori (imprenditore minore, professionista, ente non fallibile)
Accordo creditoriNon richiesto (omologa giudiziale senza voto)Richiesto: voto favorevole di >50% crediti
Controllo di meritevolezzaSì, niente dolo o colpa grave nell’indebitarsi (art. 69 CCII)Sì, niente frode pregressa (art.77 richiama art.69)
Protezione prima casaPossibile mantenere se non pregiudica creditoriPossibile mantenere se non pregiudica creditori
Coinvolgimento attivitàDebitore in genere non ha attività d’impresa (o l’ha cessata del tutto)Pensato per continuità aziendale; se liquidatorio, serve apporto esterno
Falcidia debiti fiscaliPossibile, con rispetto trattamento non deteriorePossibile alle stesse condizioni (Erario può votare contro ma se c’è maggioranza si omologa)
Durata tipica4-5 anni (non prefissata, ma soglia di sostenibilità)Variabile; continuità può durare anni secondo piano industriale, liquidatorio di solito breve con vendite
EffettiVincola tutti i creditori anteriori; esdebitazione a fine pianoVincola tutti i creditori anteriori; esdebitazione a fine piano
In caso di mancato successoSe non omologato, niente protezione (ma debitore può convertire in liquidazione chiedendolo subito)Se non omologato o risolto, conversione in liquidazione controllata su istanza debitore

(La tabella sopra riassume alcune differenze chiave tra le due procedure.)

Liquidazione controllata del sovraindebitato

La Liquidazione controllata è la procedura concorsuale “di ultima istanza” per il sovraindebitato. Corrisponde, in sostanza, al fallimento (oggi liquidazione giudiziale) ma applicato ai soggetti non fallibili e condotto con formalità ridotte. Qui l’obiettivo non è ristrutturare il debito, bensì liquidare il patrimonio esistente per pagare i creditori il più possibile, secondo le regole del concorso (priorità ai privilegiati, ecc.), e poi eventualmente liberare il debitore dai debiti residui se meritevole.

Possono accedere alla liquidazione controllata tutti i debitori sovraindebitati, senza distinzione di natura (consumatore, impresa minore, ecc.). L’iniziativa può provenire:

  • Dal debitore stesso, che deposita ricorso chiedendo la propria liquidazione. Spesso ciò avviene quando non è praticabile un piano o un concordato (perché il debitore non ha reddito da offrire per un piano, o i creditori non sarebbero d’accordo) e il debitore preferisce “mettere in mano al giudice” quel poco che ha, confidando poi nell’esdebitazione.
  • Dai creditori, come già evidenziato: se un soggetto non fallibile (es. un privato, una società semplice, un artigiano sotto soglia) è insolvente, uno o più creditori possono rivolgersi al tribunale e chiedere l’apertura della liquidazione controllata. È un meccanismo nuovo introdotto dal CCII, simile all’istanza di fallimento. Il creditore deve provare lo stato di insolvenza del debitore (incapacità di pagare regolarmente i debiti). Se il tribunale accerta l’insolvenza, dichiara aperta la liquidazione. Esempio: un professionista ha 200 mila € di debiti verso fornitori e ha cessato l’attività, i creditori possono chiederne la liquidazione per evitare che egli temporeggi o dissipi beni.

Apertura e organi: la liquidazione si apre con un decreto del tribunale che accerta lo stato di sovraindebitamento (insolvenza). Con il decreto:

  • Si nomina un Liquidatore giudiziale (di solito un professionista iscritto nell’albo dei gestori della crisi).
  • Si ordina al debitore di consegnare entro 7 giorni l’elenco di beni, creditori, etc. se non prodotto.
  • Si dispone che i creditori presentino le domande di insinuazione al passivo entro un certo termine.
  • Si fissano le misure protettive e i divieti (le esecuzioni pendenti sono improcedibili, i beni si considerano pignorati dalla data di apertura, ecc.).

Da questo momento, il patrimonio del debitore diviene una massa attiva gestita dal liquidatore. Egli deve predisporre l’inventario, far pubblicare l’apertura (Registro delle imprese se persona giuridica, e comunque nei registri elettronici), notificare ai creditori.

I creditori fanno pervenire le domande di ammissione al passivo, come in fallimento. Il liquidatore forma l’elenco delle pretese, e il Giudice delegato (se nominato, altrimenti il tribunale stesso) tiene un’udienza per esaminare lo stato passivo ed emette un decreto di formazione dello stato passivo, elencando creditori e importi ammessi, con relative cause di prelazione.

Liquidazione dei beni: il liquidatore procede a vendere i beni del debitore secondo le norme della liquidazione giudiziale, ma in modo semplificato. Ad esempio può vendere beni mobili anche senza autorizzazione specifica se di modico valore, oppure proporre al giudice la vendita diretta di immobili senza procedure competitive complesse (dipende dai regolamenti). I beni impignorabili per legge restano esclusi (es: letti, elettrodomestici di base, strumenti di lavoro indispensabili nei limiti di legge, animali di affezione, ecc.). Se il debitore ha uno stipendio/pensione, di solito il liquidatore ne preleva la parte pignorabile (20% oltre minimo vitale) per il periodo di durata della liquidazione.

Durata e termine: il CCII ha stabilito che la procedura di liquidazione controllata ha una durata minima di 3 anni. Ciò significa che, anche se i beni vengono venduti rapidamente, il debitore persona fisica potrà ottenere la chiusura anticipata solo decorsi almeno 3 anni dall’apertura, salvo caso di totale assenza di beni. Questa norma mira a garantire che per 3 anni il debitore resti sotto osservazione: se durante quei 3 anni guadagna qualcosa (es. trova lavoro) parte di quei redditi andrà a incrementare l’attivo da distribuire. In assenza di beni da liquidare, però, la legge prevede la possibilità di chiudere prima, proprio attraverso l’istituto dell’esdebitazione dell’incapiente che vedremo a breve (art. 283 CCII). Inoltre è previsto che la domanda di liquidazione sia improcedibile se dall’inventario non risulta alcun attivo realizzabile e l’OCC attesta che non c’è possibilità di ricavare utilità. In pratica: se un debitore chiede la liquidazione ma non ha davvero nulla, il tribunale può dirgli “usa direttamente la procedura di esdebitazione incapiente, perché qui non c’è nulla da liquidare” per non aprire procedure inutili.

Distribuzione e chiusura: una volta venduti i beni e riscosse eventuali rate e crediti, il liquidatore predispone un piano di riparto delle somme ai creditori, rispettando l’ordine delle cause di prelazione (ipotecari, privilegiati, poi chirografari in proporzione). Possono esserci più riparti se arrivano somme in tempi diversi. Terminata la liquidazione o trascorsi 3 anni, il liquidatore presenta il rendiconto finale e il tribunale dichiara chiusa la procedura con decreto motivato.

A questo punto entra in gioco la possibile esdebitazione del debitore persona fisica (se il debitore era una società non fallibile, semplicemente cessa l’esistenza, ma i soci rimangono responsabili per i debiti eventualmente non soddisfatti secondo le regole proprie dei soci).

Esdebitazione dopo liquidazione controllata: è regolata dagli artt. 280-282 CCII. Prevede che il debitore persona fisica possa ottenere, su sua istanza (o segnalazione del liquidatore), un decreto che lo libera dai debiti concorsuali insoddisfatti. Tuttavia, non tutti i debitori liquidati ne hanno diritto automatico: non opera di diritto come nel fallimento (dove oggi è quasi automatica salvo eccezioni). Il CCII elenca cause di diniego:

  • Se il debitore ha tenuto comportamenti fraudolenti o gravemente colposi (distratto beni, aggravato il debito con dolo, falsificato documenti, etc.) – questi casi integrano la mancanza di meritevolezza per avere il beneficio.
  • Se ha violato gli obblighi nella procedura (non ha cooperato, ha ritardato, violato ordini del giudice).
  • Se già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale.
  • Se non ha soddisfatto almeno il 10% dei crediti chirografari, salvo che ciò dipenda da incapienza del patrimonio. Questa clausola è interessante: significa che se in liquidazione si è pagato meno del 10% ai chirografari, il debitore potrebbe vedersi negato il beneficio, a meno che la scarsa soddisfazione sia dovuta a oggettiva mancanza di beni. È un incentivo a evitare che il debitore scelga la liquidazione solo per non pagare nulla; tuttavia, se era davvero nullatenente, allora può ricorrere al 283 CCII (incapiente) o dimostrare che l’insufficienza è dovuta a cause non imputabili a lui.
  • Restano comunque esclusi dall’esdebitazione alcuni debiti anche dopo la liquidazione: in ogni caso non sono mai cancellati i debiti per obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti per risarcimento danni da fatto illecito extracontrattuale e le sanzioni penali o amministrative pecuniarie (es. multe) che non siano accessorie a debiti estinti. Queste categorie di debiti, per espresso dettato legislativo, restano a carico del debitore anche dopo l’esdebitazione. Ciò significa, ad esempio, che se il debitore aveva multe stradali o un debito per lesioni volontarie, tali importi restano dovuti (anche se i creditori ordinari non potrebbero più agire esecutivamente perché il patrimonio è stato liquidato – quei crediti sopravvivono solo come obbligazioni naturali o riprenderanno esigibilità su nuovi beni futuri? La norma dice “restano esclusi”, quindi se il debitore dovesse, anni dopo, avere un reddito, potrebbe essere costretto a pagare quelle sanzioni, perché non erano coperte dall’esdebitazione). Il senso è di non permettere che fallimenti o procedure cancellino, ad esempio, le multe penali per reati, o i danni per fatti illeciti dolosi (dolosamente cagionati).

Proceduralmente, se non sussistono cause ostative, il tribunale emette decreto di esdebitazione e comunica ai creditori che quei crediti non sono più esigibili. Il debitore a questo punto è libero dal passato e potrà ripartire (pur con le esclusioni viste).

Conseguenze per il debitore: la liquidazione è certamente la procedura più gravosa dal punto di vista personale, perché comporta la perdita della disponibilità dei propri beni (inclusa, di norma, la casa di abitazione) e uno scrutinio sulla propria condotta. Tuttavia, offre due grandi vantaggi:

  1. Blocca immediatamente le aggressioni individuali: tutti i pignoramenti e le cause esecutive dei creditori vengono accorpati nella procedura concorsuale, evitando dispersioni e spesso anche alleggerendo i costi (un conto è avere 10 pignoramenti, un altro è una procedura unica).
  2. Può condurre alla totale liberazione dai debiti (esdebitazione), se il debitore ha mantenuto un comportamento onesto e cooperativo. Ciò avviene anche se il pagamento ottenuto dai creditori è stato minimo o nullo, a condizione che la situazione fosse davvero compromessa senza colpa grave del debitore. Quindi anche chi paga, ad esempio, il 5% ai chirografari (perché non aveva di più e ha venduto tutto), può essere esdebitato se ha rispettato le regole e la scarsa soddisfazione dipende dall’incapienza e non da frodi.

Esempio pratico: il signor Bianchi, 50 anni, ex piccolo imprenditore, ha debiti totali per €300.000. Non ha più un lavoro e possiede solo la casa di proprietà (del valore di €200.000 con residuo mutuo €50.000). Non riesce a sostenere un piano. Si apre la liquidazione: la casa viene venduta dal liquidatore a €180.000 (purtroppo nelle aste spesso si ricava meno del mercato). Con €180.000 si paga prima la banca ipotecaria (€50.000 + interessi), restano €130.000. Si pagano poi alcuni crediti privilegiati (poniamo €30.000 tra TFR dipendenti e Inps), restano €100.000 da distribuire sui chirografari che avevano €220.000 di crediti: prendono circa il 45% ciascuno. La procedura dura 2 anni per vendere e distribuire. Il signor Bianchi ha collaborato. Dopo la chiusura chiede esdebitazione: il tribunale gliela concede, liberandolo dal residuo 55% (€120.000 non pagati). Egli però ha perso la casa. Dovrà ripartire in affitto, ma almeno è senza debiti. – Se invece il signor Verdi aveva stessi debiti €300.000 ma nessuna casa né beni (diciamo viveva in affitto), i creditori avrebbero recuperato zero. In tal caso potrebbe non essere neppure aperta la liquidazione (per improcedibilità), oppure si aprirebbe giusto per chiudersi subito. Il signor Verdi però per avere esdebitazione di quei €300.000 senza pagamento dovrà rientrare nei canoni dell’incapiente di cui sotto, e dimostrare la sua meritevolezza.

Esdebitazione del debitore incapiente (“fresh start” a costo zero)

L’esdebitazione dell’incapiente è una speciale misura prevista dall’art. 283 CCII, concepita per quei casi in cui il debitore:

  • è una persona fisica sovraindebitata;
  • risulta privo di beni liquidabili e di redditi da offrire ai creditori (nessuna utilità né immediata né prospettica nell’arco di pochi anni);
  • tuttavia ha mantenuto un comportamento meritevole (non ha frodato i creditori né colpe gravi);
  • e non ha già usufruito in passato di procedure di esdebitazione analoghe.

In tali circostanze, invece di aprire una liquidazione inutile (che non distribuirebbe nulla), la legge consente al debitore di chiedere direttamente al tribunale di essere esdebitato, ossia di ottenere l’cancellazione di tutti i suoi debiti, senza pagare nulla ai creditori. È un beneficio straordinario che rappresenta il vero “fresh start” (nuovo inizio) per l’insolvente onesto ma sfortunato.

Questa norma, introdotta in via sperimentale con la L. 3/2012 (art. 14-quaterdecies aggiunto nel 2020) e ora stabilizzata all’art. 283 CCII, intende recepire le indicazioni europee sulla necessità di dare una seconda chance al debitore persona fisica, bilanciando però l’interesse dei creditori con delle condizioni rigorose.

Vediamo in pratica come funziona:

  • Il debitore propone ricorso al tribunale (di norma, lo stesso competente per le altre procedure concorsuali) esponendo la propria situazione di insolvenza e dichiarando di non avere alcun bene di valore né capacità reddituale per soddisfare i creditori. Deve allegare documentazione completa su redditi, patrimonio, famiglia a carico, ecc., in modo trasparente.
  • Il debitore deve dimostrare di essere meritevole: l’art. 283 richiede espressamente l’assenza di atti in frode e di colpa grave. Se il debitore ha dissipato volontariamente il patrimonio prima di chiedere il beneficio, la domanda sarà rigettata (non ci si può “auto-impoverire” per poi cancellare i debiti).
  • Deve anche risultare che non può offrire ai creditori nessuna utilità né ora né nel prossimo futuro (indicativamente 4 anni). Questo va valutato realisticamente: se il debitore è disoccupato ma ha competenze spendibili, potrebbe obiettarsi che nel futuro potrebbe trovare lavoro e quindi offrire qualcosa. La legge però considera anche quell’eventualità, come vedremo.
  • Il tribunale, sentiti eventualmente i creditori (possono comparire per opporsi, magari sostenendo che il debitore in realtà qualcosa avrebbe), se ritiene fondati i presupposti, emette un decreto di esdebitazione dell’incapiente. Ciò libera il debitore da tutti i debiti chirografari e dai privilegi non soddisfatti (restano escluse, come sempre, le obbligazioni alimentari, risarcitorie per illeciti e le sanzioni penali/amministrative: quelle anche qui non vengono cancellate).
  • Il decreto può imporre al debitore alcuni obblighi, in particolare quello di pagare ai creditori, nei 4 anni successivi, le sopravvenienze attive oltre una certa soglia. In pratica, se il debitore, entro 4 anni dall’esdebitazione, riceve un’eredità, vince alla lotteria, o comunque la sua situazione economica migliora sensibilmente (ad esempio trova un lavoro ben retribuito), dovrà informare il tribunale/curatore e rendere disponibili le somme eccedenti il necessario per il proprio mantenimento, fino a concorrenza dei debiti cancellati. Questo meccanismo serve per bilanciare l’alea: il debitore incapiente viene perdonato, ma se entro un tempo ragionevole la sua fortuna cambia, i creditori avranno diritto a essere pagati con quelle nuove risorse (fino al 100% del loro credito originario al massimo, ovviamente).
  • Trascorsi i 4 anni, se anche fosse capitato un arricchimento successivo, il debitore ormai è libero definitivamente.

È importante notare che l’esdebitazione incapiente è concessa una sola volta nella vita (come l’esdebitazione post-liquidazione è data max due volte, questa “a costo zero” direi solo una volta, e se ne hai avuta una non ne puoi avere altre analoghe). Serve quindi come extrema ratio.

Esempio estremo: la sig.ra Maria, 50 anni, era coobbligata in alcuni prestiti con l’ex marito. Ora è sola, disoccupata, vive in affitto e ha zero risparmi. Debiti totali €50.000. Non ha prospettive realistiche di lavoro stabile (diciamo ha problemi di salute). Presenta domanda di esdebitazione incapiente, mostrando ISEE praticamente nullo, nessun bene intestato. Il tribunale verifica che non ci sono atti in frode (ad es. che non ha donato casa ai figli di recente – in tal caso sarebbe malafede e rigetterebbe). Concede l’esdebitazione. La sig.ra Maria è finalmente libera da quei €50.000. Tre anni dopo, inaspettatamente, una zia le lascia in eredità €30.000. Poiché è entro i 4 anni dalla misura, la signora dovrebbe destinarli (almeno in parte, al netto di ciò che serve alla sua sopravvivenza) ai vecchi creditori, fino a concorrenza dei crediti. In pratica il liquidatore (se ne fu nominato uno di vigilanza) o il tribunale potrebbero riaprire la questione per far assegnare quei soldi, fino a €30.000, ai creditori originari, che verrebbero pagati tardivamente. Se però la sig.ra non riceve nulla in quel quadriennio, i creditori non vedranno mai nulla – il che è il prezzo consapevole del sistema per dare pace al debitore onesto.

Se la sig.ra Maria trovasse un lavoretto nei 4 anni guadagnando un piccolo stipendio che le basta appena a vivere, probabilmente non dovrà nulla ai creditori perché la legge la obbliga a versare solo le utilità sopravvenute “oltre una certa soglia” destinata al suo mantenimento dignitoso. Quindi dovrebbe trattarsi di entrate straordinarie o di redditi molto superiori al suo fabbisogno.

Rapporto con le altre procedure: l’esdebitazione incapiente può essere richiesta anche dopo una liquidazione se lì non c’è stata soddisfazione dei creditori (ma il Codice la configura più come alternativa a monte). In pratica, se uno ha proprio nulla, conviene chiedere direttamente l’art. 283 senza aprire liquidazione. Se invece è stata aperta liquidazione e durante questa ci si accorge che non si ricaverà nulla, credo si possa convertire la richiesta in esdebitazione incapiente.

Attenzione: se emergono frode o cattiva fede, la legge esclude nettamente questo beneficio. Ad esempio, se si scoprisse che il debitore incapiente ha nascosto qualche bene, il decreto di esdebitazione può essere revocato o negato, e si potrebbero anche profilare sanzioni.

Considerazioni finali sulle procedure concorsuali

Dal punto di vista del debitore cinquantenne che ha perso il lavoro, l’orizzonte di queste procedure offre una scala di opzioni:

  • Se ha ancora qualche capacità di produrre reddito o supporto esterno e vuole conservare il più possibile i suoi beni (specialmente la casa), tenterà un piano del consumatore (se è un consumatore) o un concordato minore (se i debiti sono d’impresa), perché queste procedure gli permettono di proporre soluzioni meno distruttive. Dovrà però poi rispettare un piano pluriennale.
  • Se invece non vede vie di ristrutturazione sostenibili, potrebbe optare per la liquidazione controllata, accettando di sacrificare il patrimonio residuo in cambio della liberazione dai debiti in tempi relativamente brevi. Questa scelta può essere dolorosa (perdita della casa, ecc.), ma a volte è la più pragmatica per chi non ha prospettive di pagare altrimenti. Meglio 3 anni di procedura e poi un nuovo inizio, che trascinarsi debiti per decenni senza mai potersi riprendere.
  • Se infine il debitore è completamente privo di risorse e prospettive, la esdebitazione incapiente è la strada maestra: nel giro di pochi mesi può ottenere la cancellazione dei debiti, pur con il vincolo di quei 4 anni di sorveglianza sulle eventuali entrate impreviste.

Va detto che la legge italiana, soprattutto dopo le riforme del 2020-2022, è diventata molto più debtor-friendly rispetto al passato: ottenere l’esdebitazione personale non è più un evento rarissimo. La Corte di Cassazione ha affermato la natura di diritto all’esdebitazione per il debitore meritevole, salvo ricorrano cause ostative. Lo spirito è che il fallimento del consumatore/imprenditore minore è visto come un rischio economico da gestire, ma non come una colpa da punire vita natural durante. Dunque, un 50enne sovraindebitato oggi ha reali chance di risolvere i suoi problemi e tornare “pulito” sul piano finanziario, cosa che 20 anni fa era quasi impossibile (all’epoca non c’era alcuna procedura per cancellare i debiti di un privato insolvente, se non attendere la prescrizione per molti anni, con tutte le complicazioni del caso).

È importante anche notare che l’accesso alle procedure non preclude i tentativi extragiudiziali: anzi, spesso i giudici guardano con favore il debitore che ha provato a negoziare prima di ricorrere in tribunale, perché dimostra buona fede. Inoltre, l’OCC stesso può svolgere una funzione di mediatore con i creditori anche durante la preparazione del piano o del concordato, cercando di ottenere consensi e di limare opposizioni (il CCII prevede tra l’altro la possibilità di conversione di concordato in accordo stragiudiziale omologato se poi tutti firmano, ma è dettaglio tecnico).

Costi e tempi: le procedure concorsuali hanno dei costi (OCC, contributi unificati, eventuali compensi di liquidatore). Il contributo unificato per un ricorso di sovraindebitamento è attorno ai €98 (come indicato dal Tribunale di Torino), più bolli. Il compenso dell’OCC/gestore è stabilito per legge e di solito viene pagato nell’ambito del piano (prendendo una percentuale sui pagamenti effettuati) o nell’ambito della liquidazione (come prededuzione sulle somme ricavate). Se il debitore è nullatenente, a volte l’OCC richiede un fondo spese iniziale; esistono tuttavia forme di patrocinio a spese dello Stato in alcuni tribunali per sovraindebitati non abbienti. È bene informarsi presso l’OCC locale. In ogni caso, la grande maggioranza del costo è condizionata al successo (i gestori vengono pagati soprattutto se la procedura realizza attivo o prevede pagamenti).

I tempi variano: un piano del consumatore può essere omologato in pochi mesi e poi durare, ad esempio, 4 anni di esecuzione; un concordato minore similmente. Una liquidazione dura in media 2-3 anni (che è ora il periodo minimo standard). Dunque, in prospettiva, entro 3-5 anni il debitore 50enne può aspirare a essere fuori dal tunnel dei debiti, con una situazione finanziaria “pulita” per ricominciare (compatibilmente con la possibilità di ottenere nuovo credito, che comunque dopo una procedura rimarrà difficile per un po’).

Passiamo ora ad affrontare alcune Domande frequenti (FAQ) che un debitore in questa condizione potrebbe porsi, così da chiarire ulteriormente i dubbi pratici.

Domande e Risposte frequenti

Domanda: Che differenza c’è tra tentare un accordo privato con i creditori e fare una procedura di sovraindebitamento?
Risposta: L’accordo stragiudiziale è informale: funziona solo se tutti i creditori principali sono d’accordo a concederti tagli o dilazioni. Ha il vantaggio di evitare tribunali e pubblicità, ma non offre garanzie assolute – un creditore potrebbe comunque rivalersi se cambia idea o se salti un pagamento. Invece, la procedura di sovraindebitamento è omologata da un giudice ed è vincolante per tutti i creditori, anche quelli che non collaborano. Inoltre, solo la procedura concorsuale può darti l’esdebitazione legale, cioè la cancellazione ufficiale dei debiti residui non pagati. D’altro canto, la procedura è più onerosa e richiede tempi e requisiti (meritevolezza, ecc.). In pratica: tenta sempre prima un accordo amichevole se credi di poter pagare una parte in modo concordato; se fallisce o non è fattibile, la procedura giudiziale diventa l’unica via per risolvere definitivamente la situazione.

Domanda: In che modo la legge mi protegge durante una procedura di sovraindebitamento? I creditori possono continuare a perseguitarmi?
Risposta: No, una volta che il tribunale apre la procedura (sia essa un piano, un concordato o una liquidazione) emette un provvedimento che blocca tutte le azioni esecutive individuali. Ciò significa che i creditori non possono iniziare nuovi pignoramenti e quelli in corso vengono sospesi. I beni del debitore entrano nella procedura concorsuale e i creditori devono far valere le loro ragioni solo lì, non più individualmente. Inoltre, dalla domanda e per tutta la procedura, sugli importi dovuti cessano di decorrere gli interessi (salvo eccezioni per i privilegiati se il piano lo prevede), e non si possono applicare nuove sanzioni. Questa protezione – chiamata stay o automatic stay – è uno dei maggiori benefici: ti offre un periodo di respiro in cui nessun ufficiale giudiziario busserà alla porta e non vedrai il conto corrente pignorato. Naturalmente, devi rispettare le condizioni della procedura (ad esempio non puoi sottrarre beni): se venisse revocata, i creditori potrebbero riprendere le azioni.

Domanda: Posso perdere la mia casa?
Risposta: Dipende dalla soluzione adottata e dalla tua situazione:

  • Se riesci a fare un piano del consumatore o concordato minore, c’è la possibilità di mantenere la casa se il piano dimostra che i creditori non ci perdono. Magari continuerai a pagare il mutuo e offrirai qualcos’altro ai creditori chirografari. Molti tribunali, soprattutto dopo la riforma, sono sensibili all’idea di non far perdere la prima casa al debitore, se questo non danneggia i creditori economicamente. L’OCC dovrà attestare che non venderla è neutrale per loro (es. perché già ipotecata o di valore modesto).
  • Se entri in liquidazione controllata, purtroppo la casa diventa parte dei beni da liquidare. Il liquidatore di norma la metterà in vendita per soddisfare i creditori. Non esistono esenzioni per la prima casa (quelle valgono solo contro Equitalia sotto 120k, come detto, ma nella liquidazione concorsuale cade quel limite). Quindi sì, in liquidazione la casa è a rischio concreto di essere persa, salvo che il valore sia talmente basso o le offerte all’asta talmente insoddisfacenti da indurre i creditori a rinunciare (evenienza rara).
  • In un accordo stragiudiziale, dipende: se la casa è ipotecata, la banca potrebbe pignorarla se non paghi. Però potresti convincerla a pazientare, ad esempio attivando il Fondo mutui per sospendere le rate mentre risolvi altri debiti, oppure vendere tu stesso l’immobile a condizioni migliori che all’asta (per poi magari andare in affitto e sanare i debiti con il ricavato netto).

In conclusione: le procedure di sovraindebitamento offrono qualche speranza in più di salvare la casa rispetto all’esecuzione forzata pura e semplice, ma solo se riesci a elaborare un piano sostenibile. Se la casa ha un valore significativo libero da ipoteche, aspettati che una parte di quel valore debba andare ai creditori in un modo o nell’altro. Se invece ha già un mutuo vicino al valore, è più semplice tenerla perché i creditori chirografari non ci guadagnerebbero dalla vendita.

Domanda: Quali debiti possono essere cancellati con l’esdebitazione e quali no?
Risposta: L’esdebitazione (sia dopo liquidazione sia quella “incapiente”) cancella la maggior parte dei debiti residui, in particolare:

  • Debiti verso banche, finanziarie, fornitori, privati (chirografari): sì, vengono resi inesigibili.
  • Debiti fiscali e contributivi: sì, rientrano e vengono cancellati se non pagati integralmente, salvo che per essi può esserci qualche limitazione (es. se erano garantiti da privilegio su beni esistenti, ma in tal caso sarebbero stati pagati col ricavato). Comunque la Consulta ha detto che anche i debiti erariali privilegiati si possono esdebitare. Quindi, se rimangono scoperti, lo Stato non potrà più pretendere nulla dopo l’esdebitazione.
  • Debiti derivanti da finanziamenti garantiti da pegno o ipoteca: attenzione, l’esdebitazione libera te dal debito personale, ma non rimuove il vincolo sui beni dati in garanzia. Questo significa, ad esempio, che se avevi un mutuo con ipoteca e non hai pagato interamente, dopo l’esdebitazione la banca non potrà chiedere a te altre somme, ma l’ipoteca sulla casa (se ancora tua o se l’ha presa un terzo acquirente) rimane per la parte non soddisfatta durante la procedura. In pratica di solito la casa viene venduta nella liquidazione, quindi il tema non si pone. Se così non fosse, la banca potrebbe comunque escutere l’ipoteca anche post esdebitazione (ma tu persona fisica saresti protetto perché non hai più la casa o se l’hai non sei più debitore? Tecnicamente l’ipoteca è sul bene, quindi riflessione complessa; tuttavia di norma quei crediti si chiudono in procedura).
  • Debiti da reato, multe, sanzioni amministrative: no, non vengono cancellati. La legge esclude espressamente “le sanzioni penali e amministrative pecuniarie” dall’effetto esdebitativo. Quindi, per esempio, le multe stradali, le ammende penali, le sanzioni per violazioni amministrative restano dovute. Anche i debiti per danni extracontrattuali causati da fatti illeciti dolosi restano esclusi (es. risarcimento per lesioni volontarie, diffamazione, ecc.). Se erano colposi invece potrebbero rientrare, la norma parla di extracontrattuali in generale quindi pare escludere anche quelli colposi dal beneficio. Questo è un punto di attenzione: vuol dire che se ad esempio avevi un grosso debito per aver provocato un incidente (colposo), quella è una responsabilità che potrebbe restare anche dopo la procedura. Si tratta di tutelare crediti di natura sanzionatoria o personale.
  • Obblighi di mantenimento e alimentari: no, non si cancellano. Se devi degli arretrati per mantenimento ai figli o al coniuge divorziato, continuerai a doverli. Non c’è scampo legale su quello, perché sono crediti di natura particolare, ritenuti indisponibili.
  • Debiti nuovi sorti dopo l’apertura della procedura: quelli devi pagarli, ovviamente l’esdebitazione riguarda solo i debiti pregressi. Se durante un piano contrai un nuovo debito (sconsigliatissimo), quello rimane fuori e dovrai onorarlo. In liquidazione, i debiti post-apertura (di solito non ne puoi fare, se non quelli autorizzati per sopravvivenza, che sono in prededuzione) non sono toccati dall’esdebitazione.

Domanda: I miei familiari o coobbligati vengono liberati insieme a me?
Risposta: No, l’effetto delle procedure di sovraindebitamento e dell’esdebitazione è strettamente personale per il debitore che vi accede. Ciò significa che gli eventuali garanti, fideiussori o coobbligati non sono protetti: se ad esempio tuo fratello aveva garantito un tuo prestito, la banca, pur non potendo più agire contro di te dopo la procedura, potrà comunque rivalersi su tuo fratello per l’intero (o la parte non pagata) in base al contratto di garanzia. Allo stesso modo, se eri cointestatario di un mutuo con il coniuge, la banca potrà chiedere al coniuge di pagare il 100% una volta che tu sei esdebitato (il condebitore rimasto “valido” diventa obbligato per intero). Questo principio era già chiarito nella L.3/2012 e rimane: “L’accordo o il piano omologato non produce effetto nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori”. Quindi, attenzione: la tua liberazione non libera gli altri. Anzi, spesso i creditori quando tu accedi a procedura intensificano l’azione verso garanti se esistono, sapendo che tu ne uscirai incolume.

C’è un’eccezione, introdotta nel 2020: l’art. 7, comma 2-ter L.3/2012 (oggi in parte nel CCII) ha stabilito che se la procedura riguarda una società, gli effetti si estendono ai soci illimitatamente responsabili. Ma questo è il caso di soci di S.n.c o S.a.s: se la società fa l’accordo, libera anche i soci per quei debiti sociali. Nel tuo caso personale, è il contrario: se tu persona fisica fai il piano, la tua garanzia verso debiti altrui (se facevi da fideiussore a qualcuno) resta valida? Sì, tu potresti dover pagare per altri se eri garante e la tua esdebitazione non ti libera da quell’obbligo, attenzione: la norma parla di debiti “verso i creditori concorsuali”, quindi forse anche l’obbligazione di fideiussore rientra se era sorta prima? In realtà, se eri garante di un debito altrui, il creditore è tuo creditore eventuale solo se l’altro non paga, questione complessa. Comunque tu di certo non puoi liberare un terzo.

Riassumendo: ciascun debitore deve eventualmente fare la sua procedura. Se tu e un familiare siete indebitati insieme, potete fare magari una procedura familiare unica (il CCII lo consente: membri della stessa famiglia con sovraindebitamento possono presentare un unico piano o concordato) per gestire tutto in un colpo solo. Ma se uno non vuole o non può, sappi che la tua esdebitazione non li copre, e viceversa.

Domanda: Quanto tempo ci vuole per tornare “pulito” dai debiti?
Risposta: Dalla presentazione della domanda di sovraindebitamento, i tempi dipendono dalla procedura scelta:

  • Per un piano del consumatore, potresti avere l’omologazione in pochi mesi (indicativamente 4-6 mesi, variabile a seconda del tribunale). Da lì, l’esecuzione del piano dura quanto previsto (di solito 3-5 anni). L’esdebitazione definitiva arriva con l’attestazione finale di adempimento. Quindi potresti essere completamente libero in, ipotizziamo, 4-6 anni totali.
  • Per un concordato minore, tempi simili: 6-8 mesi per omologa (per via del voto creditori che richiede un po’ di tempo), poi esecuzione magari su 5 anni, totale 5-6 anni per chiudere e avere esdebitazione.
  • Per la liquidazione controllata, la legge fissa 3 anni come periodo minimo prima di poter chiudere con esdebitazione. Se i beni si vendono prima, potresti chiudere giusto trascorso il triennio. Se i beni sono difficili da vendere o c’è contenzioso, può prolungarsi di più (4-5 anni non sono rari, ma il legislatore vorrebbe tenere nei 3 anni, staremo a vedere l’applicazione pratica). Diciamo 3-4 anni per essere prudenti.
  • L’esdebitazione incapiente invece è la più rapida: se tutto è chiaro, il tribunale potrebbe concederla in pochi mesi (magari 4-5 mesi). Poi hai quei 4 anni di possibile obbligo di versare eventuali sopravvenienze, ma se non ne ricevi, sei di fatto libero già al momento del decreto. Dovrai solo “stare attento” a eventuali colpi di fortuna nei 4 anni, ma psicologicamente sei già fuori dal tunnel subito.

Va aggiunto che le tempistiche dipendono molto dal carico del tribunale e dall’efficienza dell’OCC. Alcuni tribunali italiani sono velocissimi (un paio di mesi per aprire la procedura), altri impiegano di più. Ma rispetto al passato, in cui un fallimento persona fisica durava 10 anni e comunque non liberava dal debito, oggi in un lustro si può risolvere tutto.

Domanda: Potrò accedere a finanziamenti dopo l’esdebitazione?
Risposta: Nel breve termine, molto probabilmente no. L’aver fatto una procedura di sovraindebitamento verrà registrato nelle banche dati (in particolare nel Registro Informatico dei Protesti e delle Procedure, e Crif/Centrale Rischi se c’erano insoluti). Le banche e finanziarie, vedendo che sei stato insolvente e hai cancellato debiti, saranno restie a prestarti di nuovo denaro, almeno finché non dimostrerai una storia nuova di affidabilità. Non esiste un divieto legale di chiedere prestiti dopo l’esdebitazione (a differenza del fallito che per un anno non poteva ottenere credito oltre soglia, ma quelle norme per persone fisiche non ci sono qui), però l’accesso al credito sarà difficoltoso. In genere, le segnalazioni nei SIC privati (Crif & C.) restano per 36 mesi dalla regolarizzazione/chiusura della posizione. Quindi per alcuni anni il tuo “score” sarà basso. Col tempo e magari se trovi un lavoro stabile, potrai gradualmente ripristinare la fiducia. Tieni presente che dopo un’esdebitazione è sconsigliato tornare a indebitarsi: conviene vivere un periodo cash-only per evitare di ricadere in problemi (anche perché la legge ti permette l’esdebitazione una seconda volta solo in casi limitati e comunque non prima di 5 anni, e una terza volta mai).

Domanda: Se trovo un lavoro durante la procedura, cosa succede ai soldi che guadagno?
Risposta: Dipende dalla procedura:

  • In un piano del consumatore o concordato, il piano stesso dovrebbe aver considerato eventuali tuoi redditi. Se trovi un lavoro migliore del previsto, formalmente dovresti comunque rispettare il piano omologato: nulla ti vieta di usarlo per pagare più rapidamente le rate del piano (potresti saldare in anticipo e chiudere prima, con consenso OCC/giudice). Ma i creditori non possono chiederti di più di quanto stabilito in omologa, a meno che tu stesso non modifichi il piano (non obbligatorio). Quindi un aumento di reddito durante l’esecuzione del piano, di base, è a tuo beneficio (ti permette di vivere meglio e magari pagare più comodo). Ovviamente, in uno spirito di buona fede, potresti decidere di destinare parte dell’extra reddito per coprire eventuali spese impreviste o saldi migliori, ma non sei costretto oltre il piano.
  • In liquidazione controllata, se trovi un lavoro, la quota pignorabile del tuo stipendio (di solito il 20% oltre il minimo vitale) entra nella procedura. Quindi il liquidatore inizierà a prelevare quella percentuale dallo stipendio ogni mese finché la procedura è aperta (massimo 3 anni). Questo ovviamente aumenterà i soldi da dare ai creditori. Se il tuo reddito è basso (appena sufficiente a vivere), si potrebbe anche chiedere di non applicare pignoramento, ma in linea di massima se percepisci reddito formalmente è incluso. Dopo la chiusura della liquidazione, ciò che guadagni è tutto tuo perché arriva l’esdebitazione.
  • Nell’esdebitazione incapiente, come detto, se trovi un lavoro entro 4 anni e guadagni bene, potresti doverne destinare una parte ai vecchi creditori. La norma non fissa una percentuale, ma parla di qualsiasi utilità sopravvenuta oltre quella necessaria al mantenimento dignitoso. Quindi se trovi un lavoretto part-time che ti dà 800€ e ti servono tutti per vivere, probabilmente non verserai nulla. Se miracolosamente trovi un lavoro da 3000€ al mese single, allora forse una parte eccedente (diciamo sopra 1500€) potrebbe considerarsi utilità da ripartire. Sarà il tribunale eventualmente a valutare caso per caso.

In ogni caso, comunicare sempre all’OCC o liquidatore le variazioni: nascondere un reddito nuovo sarebbe un atto di malafede che può compromettere l’esdebitazione.

Domanda: Cosa succede se, durante la procedura, scopro un nuovo creditore che avevo dimenticato?
Risposta: Nelle procedure di sovraindebitamento è fondamentale dichiarare tutti i creditori fin dall’inizio. Devi presentare l’elenco completo. Se involontariamente ne ometti uno, la legge prevede che:

  • Nel piano del consumatore/concordato, il creditore pretermesso (non avvisato) non è vincolato dal piano, però potrebbe far valere il suo credito nei limiti in cui avrebbe avuto soddisfazione se fosse stato considerato. Diciamo che se l’omissione è in buona fede, il giudice può estendere l’effetto del piano anche a quel creditore entro certi limiti. Ma c’è il rischio che quel creditore possa comunque chiedere la risoluzione del piano se la sua esclusione altera la fattibilità.
  • Nella liquidazione, se un creditore non è stato avvisato e non ha fatto domanda, può comunque insinuarsi finché la procedura è aperta (c’è un termine, ma può fare istanza tardiva). Se la procedura chiude e proprio non ha partecipato, in teoria il suo credito rientra tra quelli concorsuali e dovrebbe essere esdebitato lo stesso (eccetto che non abbia potuto far valere i suoi diritti – in dottrina c’è dibattito, ma la Costituzionale nel 2016 ha detto che i creditori pretermessi in buona fede non possono poi pretendere oltre se sarebbero stati chirografari comunque).
  • Ad ogni modo, se nascondi volutamente un creditore, questa è grave malafede e porta alla revoca dell’omologa o alla non concessione dell’esdebitazione. Quindi trasparenza totale! Se ti accorgi di un errore, informa subito l’OCC/giudice: a volte è possibile un’integrazione.
  • Un creditore non incluso potrebbe comunque, per prudenza, ritenersi non toccato e provare a esigere dopo. Tu potresti eccepire l’esdebitazione (se il debito era anteriore) e probabilmente avresti ragione se l’omissione era casuale. Ma meglio non trovarsi in quella situazione conflittuale.

Domanda: Cosa significa che posso fare la procedura “in famiglia”?
Risposta: Significa che se più membri della stessa famiglia sono sovraindebitati, la legge consente di presentare un’unica procedura familiare. Ad esempio marito e moglie con debiti comuni o separati possono proporre un unico piano del consumatore congiunto. Oppure padre e figlio soci che hanno garantito debiti l’uno dell’altro possono fare insieme un concordato minore. Il vantaggio è semplificare e coordinare meglio la soluzione, specie se il patrimonio è in parte comune (es. casa cointestata) e i creditori sono intrecciati. In pratica, le masse attive e passive si gestiscono in modo unificato. Questo richiede ovviamente consenso reciproco e trasparenza totale tra i familiari coinvolti.

Domanda: Se ho già beneficiato di una procedura di sovraindebitamento in passato, posso farne un’altra?
Risposta: La legge pone dei limiti temporali:

  • Non puoi ottenere una nuova esdebitazione se ne hai già avuta una nei 5 anni precedenti. Quindi devi aspettare almeno 5 anni dalla precedente.
  • In ogni caso, non più di due volte nella vita puoi avere un’esdebitazione. La terza non è ammessa (questo per evitare abusi seriali).
  • Quindi al massimo due procedure con esdebitazione, distanziate di oltre 5 anni.
  • Anche le moratorie: se hai fatto un piano del consumatore omologato, credo non puoi accedere a un altro piano se non dopo tot anni perché altrimenti aggireresti la regola (lo stesso art. 69 pone preclusioni analoghe, 5 anni).
  • Se avevi fatto un fallimento con esdebitazione ex legge fallimentare, vale comunque come esdebitazione ai fini del conteggio (penso di sì, quindi anche quello conta come volta).
  • Se invece hai fatto un accordo stragiudiziale senza procedura, quello non conta, puoi ancora accedere.

Domanda: Quali sono i costi di queste procedure? Posso permettermelo se sono in bolletta?
Risposta: Ci sono alcuni costi fissi modesti (contributo unificato ~€98, bolli ~€27). Il costo principale è il compenso dell’OCC e degli eventuali professionisti. Di solito:

  • Nelle procedure di piano/concordato, l’OCC viene pagato nell’ambito del piano stesso, considerandolo come un creditore con privilegio sui pagamenti del piano. L’ammontare dipende dal lavoro e dall’importo gestito, ed è soggetto a tariffe ministeriali. Può variare da poche centinaia di euro a qualche migliaio, raramente di più per persone fisiche (ad esempio 4-8% di quanto pagato ai creditori, con minimi). Spesso il debitore versa un fondo iniziale di qualche centinaio di euro a titolo di acconto spese OCC.
  • Nella liquidazione, il liquidatore è pagato in prededuzione sui beni liquidati, secondo scaglioni (simile al compenso del curatore fallimentare, percentuale sul ricavato). Se non c’è nulla da liquidare, il liquidatore potrebbe chiedere al creditore istante o al debitore un acconto per le spese vive, ma non verrà di certo nominato un liquidatore se non c’è nulla (ricordi, può essere improcedibile).
  • Per l’esdebitazione incapiente, dato che non c’è attivo, spesso i tribunali nominano comunque un OCC/gestore per verificare i requisiti. Alcuni lo fanno anche pro bono, altri potrebbero non attivarsi se non c’è un minimo fondo. In base all’art. 283, dovrebbe essere un procedimento gratuito a parte i bolli, ma nella realtà un piccolo costo per il lavoro del gestore potrebbe esserci, salvo venga coperto dal fondo ministeriale (esiste un fondo di finanziamento OCC per situazioni disagiate, ma non so quanto funzioni).

Va detto che se sei veramente nullatenente, potresti accedere al patrocinio a spese dello Stato per la consulenza legale nella procedura (ma molti OCC preferiscono comunque un piccolo compenso perché il patrocinio spesso non copre l’OCC, è incerto). Conviene chiedere all’Organismo se c’è la possibilità di riduzione del compenso. Alcuni professionisti aiutano pro bono casi socialmente meritevoli.

Comunque, confrontati: il costo della procedura è di solito molto inferiore al debito che ti cancella. Anche se spendi ad es. €2.000 tra tutto, per cancellare 100k di debiti, è ben speso. E puoi di solito rateizzare i pagamenti OCC nel piano. Non farti scoraggiare dai costi: esponi la tua situazione, spesso troverai comprensione e magari pagamento a fine procedura.


Queste sono alcune delle domande più comuni. Ovviamente ogni caso ha particolarità, quindi è sempre consigliabile farsi assistere da un professionista esperto di sovraindebitamento o rivolgersi a un OCC per una consulenza preliminare.

Conclusione

Affrontare un sovraindebitamento a 50 anni dopo aver perso il lavoro è una sfida difficile, ma non insormontabile. L’ordinamento italiano, aggiornato alle più recenti riforme, offre una serie di strumenti efficaci per gestire la crisi debitoria e permettere al debitore di tornare ad una vita economicamente sostenibile. La chiave del successo è agire con tempestività, trasparenza e con il supporto di professionisti competenti:

  • Tempestività nel non lasciar incancrenire la situazione: prima di cadere in uno stato di insolvenza irreversibile, cerca moratorie e accordi; e se vedi che non riesci, non aspettare che i creditori ti portino via tutto, valuta la procedura concorsuale per tempo.
  • Trasparenza e buona fede: ammetti la tua difficoltà, mostra ai creditori e al tribunale che sei “onesto ma sfortunato” (“honest but unfortunate debtor” come dicono nei principi internazionali). Questo atteggiamento è spesso ripagato con soluzioni più favorevoli (meritevolezza riconosciuta, omologazioni facilitate).
  • Supporto professionale: le norme sono complesse e far da sé può portare a errori. Rivolgiti a un avvocato specializzato in crisi da sovraindebitamento o direttamente a un Organismo di Composizione della Crisi. In molte città esistono sportelli pubblici o convenzionati (come il progetto Riparto) dove ottenere una prima assistenza gratuita.

Ricorda che l’obiettivo finale delle procedure di sovraindebitamento è darti un fresh start, ossia la possibilità di ricominciare senza il peso dei debiti passati. Questo non è solo un beneficio per te, ma anche per la società: un cinquantenne liberato dai debiti può tornare ad essere economicamente attivo, a consumare, investire, lavorare senza finire nell’economia sommersa. È uno spirito di seconda opportunità che permea ormai il nostro ordinamento.

Dal punto di vista del debitore, quindi, il consiglio è: non cedere allo sconforto, informati sui tuoi diritti e sulle soluzioni disponibili, perché anche nella peggiore delle ipotesi (debiti enormi, zero lavoro, zero beni) esiste comunque una via di uscita legale (l’esdebitazione dell’incapiente) per voltare pagina. E se invece hai qualche risorsa su cui fare leva, con un po’ di strategia (accordi o piani) potrai probabilmente salvare il salvabile e onorare i debiti in misura ragionevole, senza rimanerne schiacciato.

La situazione di aver “perso il lavoro a 50 anni con debiti” è purtroppo comune in tempi di crisi, ma oggi la legge è dalla parte di chi vuole risolverla con correttezza. Fatti aiutare e pianifica bene i passi, e potrai trasformare un momento drammatico in un percorso verso un nuovo equilibrio finanziario.

Seguiranno le fonti normative e giurisprudenziali di riferimento utilizzate in questa guida, per approfondimento e verifica.

Fonti

  1. Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Testo normativo vigente (aggiornato con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024) contenente la disciplina delle procedure di sovraindebitamento (artt. 65-83 CCII per piani e concordato minore; artt. 268-283 CCII per liquidazione controllata ed esdebitazione). Disponibile su normative giuridiche aggiornate.
  2. Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (Legge sul sovraindebitamento) – Normativa antecedente al Codice della Crisi, di cui permangono alcuni principi interpretativi (ad es. definizione di consumatore, estensione a soci illimitati). Riferimento storico, ora inglobata nel CCII.
  3. Decreto-Legge 137/2020, convertito L. 176/2020 – Ha introdotto importanti novità urgenti alla L.3/2012 (accesso procedure per soci illimitati, esdebitazione incapiente art. 14-quaterdecies, ecc.), anticipando parti del CCII. Citato per estensione effetti ai soci e definizione consumatore.
  4. D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Correttivo Ter) – Ultimo decreto correttivo al CCII, in vigore dal 28/09/2024, che ha modificato tra l’altro: definizione di consumatore (art. 2 lett. e CCII), esclusione concordato minore per imprenditore cessato <1 anno, reintroduzione moratoria 2 anni crediti privilegiati (art. 67 CCII), tutela abitazione in concordato (art. 74 CCII), limiti a liquidazione (art. 268 CCII). Analisi in dottrina:
  5. Tribunale di Torino – Guida sovraindebitamento (agg. 2021) – scheda informativa ufficiale. Contiene:
    • Condizioni per esdebitazione in L.3/2012 (cooperazione, % pagata, assenza dolo, ecc.).
    • Condizioni esdebitazione post-fallimento e post-liquidazione giudiziale (confronto).
    • Casi in cui restano esclusi dall’esdebitazione (obblighi alimentari, debiti da risarcimento illecito extracontr., sanzioni penali/amm.).
    • Costi indicativi (contributo unificato €98, bollo €27).
      Questa fonte conferma le categorie di debiti non cancellabili e i costi di procedura.
  6. Corte Costituzionale, sentenza 15/12/2016 n. 225 – Ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sulla falcidia dei debiti tributari nelle procedure ex L.3/2012, affermando che è legittimo trattare i crediti erariali privilegiati anche non integralmente, purché non ricevano meno che in un fallimento. Questa sentenza ha aperto la strada a includere e ridurre i debiti fiscali nei piani.
  7. Corte di Cassazione, Sez. I, 21/01/2021 n. 115 – Principio di diritto sulla nozione di “consumatore” nel sovraindebitamento: un ex imprenditore può essere considerato consumatore se i debiti da ristrutturare sono personali e non attinenti all’attività cessata. Normativa poi recepita (nuova definizione nel CCII). Conferma l’approccio inclusivo verso debitori “misti”.
  8. Corte di Cassazione, Sez. I, 17/12/2015 n. 262/2016 – Caso di socio SNC considerato consumatore per debiti personali distinti da quelli sociali, anticipando orientamento poi normato.
  9. Cassazione Sez. Unite 18/11/2011 n. 24215 – (riferita a esdebitazione fallimentare) stabilì che per concedere esdebitazione serve soddisfazione di una parte non trascurabile dei crediti insinuati. Questo principio ha influenzato il requisito (poi normato in CCII art. 282) di almeno 10% ai chirografari salvo incapienza.
  10. Cassazione, Sez. I, 31/01/2018 n. 2485 – Ha confermato la necessità di completa e veritiera informazione/documentazione: occultare attivo o presentare inventario incompleto può portare a revoca dell’omologa o rigetto. Rileva per l’obbligo di buona fede del debitore.
  11. Cassazione, Sez. III, 10/08/2021 n. 22665 – Ha stabilito che il decreto di rigetto di apertura di procedura di sovraindebitamento (per inammissibilità) non è ricorribile per Cassazione ex art.111 Cost., ma solo con reclamo ex art. 10 L.3/2012. Riguarda aspetti processuali (giurisdizionali) non direttamente contenuto nella guida pratica ma rileva per completezza.
  12. Fonti statistiche ISTAT e normative collegate – Per dati su povertà (ISTAT 2023 citato), soglie di pignorabilità (es. limite 1,5x assegno sociale per pensioni – art. 545 c.p.c.), norme impignorabilità prima casa Equitalia (D.L. 69/2013, art. 52, conv. L.98/2013 – soglia €120k e unica casa non lusso).

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Conclusione

Perdere il lavoro a 50 anni non significa perdere tutto. Anche con i debiti, esistono soluzioni legali che possono darti respiro, protezione e un nuovo inizio.
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