Hai ricevuto un decreto ingiuntivo da parte della società di leasing e ti stai chiedendo se puoi opporti, come difenderti e quali sono le conseguenze se non agisci subito? Vuoi sapere quali sono le strategie legali per bloccare l’esecuzione e contestare le somme richieste?
Il leasing, soprattutto quello finanziario, può diventare un problema serio se si interrompono i pagamenti. La società può ottenere un decreto ingiuntivo in tempi molto rapidi e, se non ti difendi, partono pignoramenti, ipoteche e blocchi dei beni aziendali o personali. Ma hai diritto a difenderti, se agisci nei tempi e con le giuste motivazioni.
Cos’è un decreto ingiuntivo sul leasing?
È un ordine del giudice, emesso su richiesta della società di leasing, che ti impone di pagare una determinata somma per canoni scaduti, penali, interessi o restituzione del bene. Diventa esecutivo dopo 40 giorni dalla notifica, se non presenti opposizione.
Perché può essere pericoloso?
Perché è un titolo esecutivo immediato: se non reagisci in tempo, la società può pignorare beni, conti correnti, stipendi o avviare il recupero del bene in leasing, anche senza ulteriori passaggi giudiziari.
Quando e come puoi opporti?
– Entro 40 giorni dalla notifica del decreto
– Con atto di opposizione al decreto ingiuntivo da depositare in tribunale
– Assistito da un avvocato, motivando la tua difesa con documenti e prove concrete
Quali sono i motivi validi per opporsi?
– Importi richiesti errati o maggiorati (interessi usurari, penali sproporzionate)
– Violazioni contrattuali della società di leasing (es. mancata manutenzione del bene, addebiti non dovuti)
– Inadempimenti giustificati (per esempio causa di forza maggiore, danni al bene imputabili al fornitore)
– Rate già pagate non correttamente registrate
– Clausole contrattuali nulle o vessatorie
Cosa succede se presenti opposizione in tempo?
– Il decreto non è più esecutivo, e il creditore non può agire fino alla decisione del giudice
– Puoi chiedere la sospensione urgente dell’esecuzione
– Hai tempo per costruire una difesa solida e, se possibile, trovare un accordo transattivo
E se non fai opposizione?
– Il decreto diventa definitivo
– La società di leasing può avviare esecuzioni forzate su beni e denaro
– Il debito diventa non più contestabile, anche se ci sono errori o abusi
Cosa NON devi fare mai?
– Aspettare pensando che “tanto il leasing non può agire subito”
– Ignorare l’atto o buttarlo via: la notifica fa scattare i 40 giorni
– Firmare accordi o pagare a rate senza aver verificato la legittimità dell’importo
– Pensare che non valga la pena opporsi “perché tanto hai sbagliato tu”: la società può aver esagerato o violato il contratto
Il decreto ingiuntivo può essere fermato. Ma devi agire subito, nei tempi giusti e con una difesa tecnica.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, leasing e contenzioso esecutivo – ti spiega come funziona il decreto ingiuntivo nel leasing, quando puoi opporlo e come costruire una difesa efficace per bloccare il pignoramento e far valere i tuoi diritti.
Hai ricevuto un decreto ingiuntivo dalla società di leasing e non sai come reagire? Vuoi sapere se puoi opporlo e bloccare l’esecuzione?
Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo il contratto di leasing, verificheremo gli importi richiesti e costruiremo una strategia concreta per opporci al decreto e difendere il tuo patrimonio.
Introduzione
Ricevere un decreto ingiuntivo relativo a un contratto di leasing può essere un evento allarmante per qualsiasi debitore. In termini semplici, il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso dal giudice, su richiesta del creditore (ad esempio la società di leasing o un cessionario del credito), che ordina al debitore di pagare una certa somma di denaro (spesso i canoni scaduti, i danni e altri importi dovuti) e, nel caso del leasing, ingiunge anche la restituzione del bene oggetto del contratto. Questo strumento permette al creditore di ottenere rapidamente un titolo esecutivo senza passare per un lungo giudizio ordinario, a condizione di provare il credito con documenti scritti (ad esempio il contratto di leasing e l’estratto conto delle rate impagate). Dal punto di vista del debitore, è fondamentale capire come reagire tempestivamente per evitare che l’ingiunzione diventi definitiva ed esecutiva, aprendo la strada a pignoramenti, sequestri del bene in leasing e altre azioni esecutive.
In questa guida approfondiremo cosa prevede la normativa italiana (aggiornata a giugno 2025) in materia di leasing e decreto ingiuntivo, analizzando in dettaglio come difendersi efficacemente. Adotteremo un taglio avanzato, utile sia a professionisti legali (avvocati) sia a privati e imprenditori, utilizzando un linguaggio giuridico ma chiaro e divulgativo. Esamineremo le varie tipologie di leasing (finanziario e operativo) e come si differenziano in caso di inadempimento, spiegheremo il funzionamento del procedimento ingiuntivo e dell’eventuale opposizione dal punto di vista del debitore, approfondendo tutte le possibili difese tecniche: vizi contrattuali, contestazioni sui calcoli di interesse (anatocismo e usura), clausole abusive e altri motivi di opposizione fondati su leggi e sentenze aggiornate. Non mancheranno esempi pratici, tabelle riepilogative per schematizzare i concetti chiave, e una sezione di domande e risposte per chiarire i dubbi più frequenti. Tutte le fonti e i riferimenti normativi e giurisprudenziali citati saranno elencati in fondo alla guida, per consentire ulteriori approfondimenti.
Lo scopo è fornire al debitore gli strumenti per comprendere i propri diritti e le strategie difensive disponibili, in modo da poter affrontare con consapevolezza un decreto ingiuntivo legato a un leasing e difendersi bene, evitando di subire passivamente le conseguenze di eventuali clausole contrattuali squilibrate o calcoli indebiti del credito.
Il contratto di leasing: tipologie e disciplina normativa
Il leasing (in italiano detto anche locazione finanziaria) è un contratto atipico molto diffuso, che consente a un soggetto (utilizzatore o conduttore) di godere di un bene dietro pagamento di canoni periodici, con la facoltà di acquistare il bene alla fine (nel caso del leasing finanziario) o con l’obbligo di restituirlo (tipico del leasing operativo). In base alla funzione economica e alla normativa applicabile distinguiamo principalmente due categorie di leasing:
- Leasing finanziario (traslativo) – Forma di leasing in cui di regola è prevista, a fine contratto, un’opzione di acquisto del bene a un prezzo prestabilito (spesso simbolico rispetto al valore del bene). È tipicamente stipulato con una banca o intermediario finanziario autorizzato (iscritto ex art. 106 TUB) che acquista il bene scelto dall’utilizzatore e glielo concede in uso dietro canoni. Tutti i rischi e oneri del bene (ad es. perimento, manutenzione, vizi) sono a carico dell’utilizzatore durante la durata del contratto. Questo tipo di leasing ha una causa traslativa: in pratica funge da finanziamento per acquistare il bene a lungo termine. In passato, la giurisprudenza italiana lo qualificava come leasing traslativo proprio perché, a fronte di un bene destinato a restare utile anche al termine, l’intento delle parti è spesso il trasferimento finale della proprietà. Oggi il leasing finanziario è espressamente disciplinato dalla legge: la Legge 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza) ne ha fornito per la prima volta una definizione legale e una regolamentazione unitaria in caso di inadempimento (art.1 commi 136-140).
- Leasing operativo (di godimento) – In questa forma, spesso offerta direttamente dal produttore o fornitore del bene, l’utilizzatore paga per l’uso del bene per un periodo determinato, ma senza generalmente prevedere un’opzione di acquisto finale (o comunque senza che l’acquisto sia l’obiettivo primario). È sostanzialmente assimilabile a un noleggio a lungo termine: il bene viene restituito al concedente alla fine, oppure sostituito/rinnovato. Il leasing operativo è indicato per beni soggetti a rapida obsolescenza (es. apparecchiature tecnologiche, veicoli aziendali in flotte, macchinari da aggiornare spesso). Dal punto di vista giuridico, si tratta di un contratto non specificamente regolato da una legge ad hoc, se non per alcune norme fiscali: la disciplina è lasciata all’autonomia negoziale e ai principi generali dei contratti di locazione e fornitura. Il concedente nel leasing operativo di solito non è un intermediario finanziario ma il produttore o un intermediario commerciale, e si fa carico della manutenzione e altri servizi (spesso i canoni comprendono assistenza, assicurazione, ecc.). In caso di risoluzione anticipata per inadempimento dell’utilizzatore, gli effetti sono simili a quelli di una locazione semplice: il concedente riprende il bene e può chiedere il pagamento dei canoni scaduti e un indennizzo o penale per la cessazione anticipata. Non essendo prevista la proprietà finale dell’utilizzatore, non si pone il problema di restituire anticipatamente parte dei canoni per evitare un ingiusto profitto del concedente, come invece accade nel leasing finanziario traslativo (dove senza correttivi il concedente potrebbe trattenere sia il bene sia tutti i canoni già incassati e futuri). Nel leasing operativo, tuttavia, eventuali clausole penali che imponessero all’utilizzatore di pagare tutti i canoni residui anche dopo la restituzione del bene possono comunque essere sindacate dal giudice per eccessiva onerosità e ridotte equamente (art. 1384 c.c.), oltre che potenzialmente vessatorie se il cliente è un consumatore (vedremo più avanti).
Tradizionalmente, prima dell’intervento normativo del 2017, la giurisprudenza applicava un regime differente a seconda che il leasing avesse natura traslativa o di godimento. In particolare, per il leasing traslativo (finanziario) in caso di risoluzione per inadempimento si applicava in via analogica l’art. 1526 c.c. (previsto per la vendita con riserva di proprietà). Ciò comportava che il concedente, pur potendo trattenere i canoni scaduti, non potesse cumulare il bene e tutti i pagamenti senza conguaglio: bisognava restituire all’utilizzatore la parte di canoni già versati eccedente un equo compenso per l’uso del bene, e l’eventuale penale contrattuale doveva essere valutata dal giudice ed eventualmente ridotta se manifestamente eccessiva. Nel leasing di godimento, invece, i giudici ammettevano che il concedente trattenesse integralmente i canoni riscossi (in quanto corrispettivo dell’uso già goduto) e, di regola, non era prevista restituzione di somme all’utilizzatore, salvo il caso di clausole penali sproporzionate (anche qui riducibili ex art. 1384 c.c.). Questa bipartizione è stata confermata dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2021, ribadendo che la Legge 124/2017 non ha effetto retroattivo: per i contratti risolti prima dell’entrata in vigore della riforma (29 agosto 2017) resta valida la distinzione leasing di godimento vs traslativo, applicando per quest’ultimo la disciplina dell’art. 1526 c.c. e non quella (non pertinente) dell’art. 72-quater L.Fall.. Dunque, se ad esempio un contratto di leasing finanziario si è risolto per inadempimento nel 2016, il giudice in un’eventuale causa applicherà ancora i principi elaborati prima della legge 2017, con la possibilità di disapplicare o ridurre clausole che prevedano un indebito arricchimento del concedente.
Per i contratti di leasing finanziario più recenti, invece, la Legge 124/2017 ha introdotto una disciplina organica e uniforme. In base all’art.1 comma 136, viene tipizzato il contratto di locazione finanziaria come quello in cui un intermediario finanziario, su scelta dell’utilizzatore, acquista o fa costruire un bene e lo mette a disposizione dell’utilizzatore per un tempo determinato verso un canone, assumendo quest’ultimo tutti i rischi sul bene, e riconoscendogli alla scadenza il diritto di acquistare la proprietà a un prezzo prefissato (o l’obbligo di restituirlo se non esercita l’opzione). La normativa prosegue prevedendo, al comma 137, quando si verifica il grave inadempimento dell’utilizzatore che legittima la risoluzione: il mancato pagamento di una certa soglia di canoni, predeterminata ex lege. In particolare, per i leasing immobiliari è grave l’inadempimento se non si pagano almeno 6 canoni mensili (o 2 trimestrali), anche non consecutivi; per gli altri leasing (beni mobili) bastano 4 canoni mensili non pagati (anche non consecutivi), oppure un importo equivalente. Questa soglia funge da tutela minima per il debitore: impedisce al concedente di risolvere il contratto per lievi ritardi (ad es. uno-due canoni saltati) e uniforma la nozione di gravità dell’inadempimento nel leasing finanziario, sottraendola alla valutazione discrezionale caso per caso (di solito richiesta dall’art. 1455 c.c.). Va precisato che se l’inadempimento è inferiore a tali soglie, la risoluzione immediata non è automatica a meno che vi sia una clausola risolutiva espressa nel contratto: in tal caso il giudice potrà comunque valutare la rilevanza dell’inadempimento inferiore alla soglia, ma per i contratti soggetti alla L.124/2017 la soglia è vincolante (quindi sotto di essa di norma non si dovrebbe poter risolvere).
Il comma 138 della legge del 2017 disciplina poi in dettaglio gli effetti economici della risoluzione per inadempimento, con un meccanismo simile a un patto marciano. In caso di risoluzione, il concedente ha diritto a:(i) riottenere la disponibilità del bene in leasing (restituzione immediata da parte dell’utilizzatore) e (ii) ottenere dall’utilizzatore il pagamento del saldo a suo favore risultante da un apposito conguaglio. Tale conguaglio si calcola così: il concedente fa la somma di tutti i crediti che vanta – ossia i canoni scaduti e non pagati fino alla data di risoluzione, più i canoni a scadere non ancora maturati (soltanto la quota capitale, senza gli interessi non maturati), più l’eventuale opzione finale di acquisto prevista, più le spese sostenute per il recupero, la stima e la conservazione del bene – e da questa somma sottrae il ricavato netto che riesce ad ottenere dalla vendita o da altra collocazione del bene sul mercato. Se dalla differenza risulta un importo positivo, significa che il creditore ha recuperato meno di quanto vantava, e quell’ammanco costituisce il debito residuo che l’utilizzatore deve pagare; se invece la vendita del bene copre interamente il credito (o addirittura lo supera), il concedente deve restituire all’utilizzatore l’eventuale eccedenza ricavata. In formula:
Importo dovuto dall’utilizzatore = (canoni scaduti impagati) + (canoni a scadere, quota capitale) + (prezzo finale) + (spese) – (ricavato netto dalla ricollocazione del bene).
Questo schema evita che il concedente possa ottenere più di quanto gli spetterebbe dal contratto, risolvendo a monte il problema dell’ingiustificato arricchimento. In altri termini, non è più ammesso (per i nuovi leasing) che la società di leasing cumuli sia il bene ripreso sia tutti i canoni pattuiti, senza alcun conguaglio: un simile esito viene ora esplicitamente impedito dalla legge. Se al contrario dalla vendita del bene il concedente ricava meno del credito, la differenza resta a carico dell’utilizzatore, che dovrà pagarla come risarcimento del danno/penale contrattuale per l’inadempimento. È infatti generalmente così qualificato il debito residuo: una forma di indennizzo contrattuale dovuto per la risoluzione anticipata per colpa del conduttore (nel linguaggio comune, la “penale” o il “danno” da inadempimento). Su tale importo residuo continueranno a maturare gli interessi (in genere interessi moratori previsti dal contratto stesso, fino al saldo effettivo).
Va evidenziato che la L.124/2017 si applica soltanto ai contratti di locazione finanziaria stipulati con soggetti qualificati (banche o intermediari ex art.106 TUB) e con opzione finale di acquisto, i cui presupposti di risoluzione si verificano dopo l’entrata in vigore della legge. Rimangono esclusi dal suo campo applicativo i leasing di natura diversa (ad esempio, leasing operativi puri offerti da società non finanziarie) e, come detto, tutti i casi di risoluzione verificatisi in data antecedente al 29 agosto 2017. In tali situazioni continuano a valere le regole contrattuali integrate dalla giurisprudenza: il che significa, in sostanza, tutela del debitore caso per caso attraverso l’intervento del giudice che, se ne ricorrono i presupposti, può dichiarare nulle o inefficaci le clausole contrarie a norme imperative (es. tassi usurari, patti contrari al divieto di anatocismo, clausole indeterminate), oppure può correggere gli squilibri più gravi (es. riducendo penali sproporzionate, imponendo la restituzione di parte dei canoni in base all’art.1526 c.c. analogicamente applicato). Come vedremo, molte sentenze recenti della Cassazione (fino al 2024) si sono occupate proprio di delineare questi principi per i leasing anteriori alla riforma e di ribadire l’applicazione delle norme antiusura, antianatocismo e sulla trasparenza anche ai contratti di leasing.
Il decreto ingiuntivo nel leasing: caratteristiche e procedura
Quando l’utilizzatore di un leasing non paga i canoni ed è in situazione di inadempimento grave (ad esempio superando le soglie di morosità viste sopra, oppure comunque violando una clausola risolutiva espressa), il concedente può decidere di risolvere il contratto e attivarsi per recuperare il credito residuo. Di frequente, le società di leasing ricorrono alla via monitoria presentando un ricorso per decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c.. Si tratta di un procedimento unilaterale e sommario: il creditore presenta al giudice competente la documentazione del proprio credito (nel leasing, tipicamente il contratto sottoscritto e una dichiarazione del debito residuo con i canoni scaduti e la penale/indennizzo previsto) e chiede venga ingiunto al debitore di pagare. Nel caso del leasing, come accennato, spesso si chiede contestualmente anche un’ingiunzione di consegna/rilascio del bene stesso, se l’utilizzatore non lo ha ancora restituito spontaneamente. Il codice di procedura civile consente infatti il decreto ingiuntivo non solo per somme di denaro, ma anche per la consegna di cose determinate (ad es. un autoveicolo in leasing) in presenza di prova scritta dell’obbligo (art. 633, co.1, n.3 c.p.c.). È così possibile ottenere in un unico provvedimento sia l’ordine di pagamento del dovuto, sia l’ordine di restituzione immediata del bene. Ciò è molto utile per il concedente, perché evita di dover avviare separatamente un’azione di rivendica o di sfratto per riavere il proprio bene: il decreto ingiuntivo può contenere entrambe le intimazioni.
Spesso i contratti di leasing prevedono clausole a favore del concedente che facilitano questo percorso. Due clausole frequenti sono: (a) la deroga alla competenza territoriale ordinaria, indicando un foro specifico per ogni controversia (di solito il foro della sede della società di leasing) e (b) la cosiddetta clausola ex art. 642 c.p.c. sulla provvisoria esecutorietà. Quest’ultima è un accordo con cui il debitore, al momento del contratto, riconosce il debito e accetta che in caso di ingiunzione la stessa possa essere dichiarata immediatamente esecutiva dal giudice. In generale, il giudice può concedere la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo inaudita altera parte se ricorre uno dei presupposti di legge (pericolo nel ritardo, oppure se il credito è fondato su cambiale, assegno o atto ricevuto da notaio, ex art. 642 c.p.c.). Nel leasing spesso si invoca il periculum nel ritardo dato dal rischio di perdita di valore del bene o di sottrazione dello stesso, nonché si produce la clausola contrattuale come elemento di convincimento. In molti casi, i decreti ingiuntivi in materia di leasing vengono emessi già muniti di formula di provvisoria esecutività (immediatamente esecutivi), specialmente se il credito apppare documentato con estratti contabili certificati e se c’è timore che il bene in leasing venga alienato o deteriorato. Ciò significa che il creditore può procedere subito ad esecuzione forzata, senza attendere la scadenza del termine di opposizione, salvo che il debitore ottenga poi una sospensione dal giudice (vedremo più avanti).
Una volta che il decreto ingiuntivo è emesso, esso viene notificato al debitore. Da quel momento, decorre il termine di 40 giorni (salvo termini maggiori se la notifica avviene all’estero) entro cui il destinatario può proporre opposizione (art. 641 e 645 c.p.c.). Nel decreto stesso il giudice ingiunge al debitore di pagare entro 40 giorni oppure di proporre opposizione, avvertendolo che in mancanza il decreto diverrà esecutivo. È fondamentale dunque non ignorare un decreto ingiuntivo di questo tipo: se il debitore rimane inerte e lascia trascorrere i 40 giorni senza agire, l’ingiunzione acquista efficacia di giudicato e diventa definitiva. A quel punto, la società di leasing (o il suo cessionario) potrà procedere con i pignoramenti dei beni o dei crediti del debitore per soddisfare quanto dovuto, e non sarà più possibile discutere nel merito la fondatezza delle pretese (l’unica strada residua potrebbe essere un’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., possibile solo in casi eccezionali, ad esempio se la notifica non è andata a buon fine per cause non imputabili al destinatario).
Riassumiamo schematicamente il percorso tipico di un decreto ingiuntivo su leasing:
- Risoluzione del contratto e ricorso monitorio: Accertato l’inadempimento grave dell’utilizzatore, il concedente risolve il contratto (spesso tramite formale comunicazione di risoluzione e diffida a restituire il bene) e presenta ricorso per decreto ingiuntivo al tribunale competente. Allegati: contratto di leasing, eventuale atto di cessione del credito se il creditore non è originario, documenti attestanti il credito (conteggio canoni scaduti, interessi di mora, costo di riscatto, spese, ecc.), prova dell’inadempimento (es. estratto conto, lettere di messa in mora non adempiute) e documenti che giustifichino l’urgenza (se chiede la provvisoria esecuzione).
- Emissione del decreto ingiuntivo: Il giudice, esaminata la documentazione, emette il decreto ingiuntivo. Se ritiene sufficienti le prove e sussistenti i presupposti, può concedere la provvisoria esecutività (totale o parziale). Nel caso leasing, spesso viene resa immediatamente esecutiva quantomeno la parte di ingiunzione relativa alla restituzione del bene, data la natura del bene e il possibile deprezzamento col tempo. Il decreto ingiuntivo ingiunge all’utilizzatore (e ad eventuali garanti fideiussori) di pagare la somma indicata e di riconsegnare il bene in leasing immediatamente.
- Notifica al debitore: Il decreto, una volta rilasciato in forma esecutiva, viene notificato al debitore (utilizzatore) e ad eventuali garanti obbligati (spesso i decreti ingiuntivi vengono emessi anche verso i fideiussori che hanno garantito il leasing, essendo obbligati in solido).
- Termine per adempiere o opporsi (40 giorni): Dal ricevimento, il debitore ha 40 giorni per eseguire quanto ingiunto (pagare e restituire il bene) oppure presentare un atto di opposizione al decreto ingiuntivo. L’opposizione si propone con atto di citazione davanti allo stesso tribunale che ha emesso il decreto (si instaura così un giudizio a cognizione piena).
- Mancata opposizione: Se il debitore non propone opposizione entro i termini, il decreto ingiuntivo diventa automaticamente definitivo ed esecutivo (viene apposta la formula esecutiva decorsi 40 giorni). A quel punto il creditore può procedere con il precetto e, trascorsi almeno 10 giorni, con i pignoramenti dei beni o crediti del debitore, senza più ostacoli di merito.
- Opposizione tempestiva: Se invece il debitore propone opposizione, si apre un giudizio di merito in cui il decreto ingiuntivo viene sostanzialmente “messo in discussione” davanti al giudice. L’opposizione si svolge come un ordinario giudizio civile di primo grado: il debitore opponente assume il ruolo di attore (deve esporre i motivi per cui contesta il credito ingiunto) e il creditore opposto diventa convenuto (dovrà chiedere conferma del decreto e rispondere alle contestazioni). Nel giudizio di opposizione, il giudice potrà confermare, revocare o modificare il decreto ingiuntivo con la sentenza conclusiva.
- Esecutività durante l’opposizione: Se il decreto era già provvisoriamente esecutivo, l’opposizione non sospende automaticamente l’esecuzione. Il debitore, se vuole bloccare temporaneamente le azioni esecutive nel frattempo, deve chiedere al giudice un provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva (art. 649 c.p.c.), dimostrando “gravi motivi” (ad esempio evidenti vizi del decreto o del credito, il pericolo di un danno grave dalla prosecuzione dell’esecuzione, ecc.). Se invece il decreto ingiuntivo non era provvisoriamente esecutivo, l’opposizione ne impedisce l’esecutorietà finché la causa non sarà decisa (il creditore però può chiedere al giudice dell’opposizione di concedergli l’esecuzione provvisoria del decreto in corso di causa, ex art. 648 c.p.c., se l’opposizione non pare fondata su motivi seri). In pratica, molte opposizioni a decreti di leasing vedono il creditore chiedere al giudice di autorizzare comunque l’esecuzione per la parte non contestata o per l’intero, soprattutto quando il debitore solleva eccezioni dilatorie. Il giudice deciderà caso per caso.
- Eventuale definizione anticipata: Il giudizio di opposizione potrebbe concludersi anche con una conciliazione o transazione tra le parti. Ad esempio, il debitore potrebbe negoziare una rinegoziazione del debito o un saldo e stralcio, magari restituendo volontariamente il bene e pagando una parte delle somme per evitare ulteriori spese legali. Se ciò avviene, le parti possono far estinguere la causa.
- Sentenza sull’opposizione: Se si arriva a sentenza, il tribunale deciderà se il decreto ingiuntivo era pienamente legittimo oppure no. In caso positivo, rigetterà l’opposizione e confermerà il decreto (che diverrà definitivo, se non impugnato). In caso di fondatezza anche parziale delle contestazioni del debitore, il giudice potrà revocare il decreto ingiuntivo (annullarlo) o modificarlo (ad esempio riducendo l’importo dovuto). La sentenza è appellabile nelle forme ordinarie.
Va sottolineato che l’opposizione a decreto ingiuntivo è un mezzo indispensabile per il debitore che voglia far valere le proprie ragioni: questioni come l’applicazione di tassi usurari, errori di calcolo, nullità contrattuali, incompetenza territoriale o altre difese (che tratteremo nel prossimo paragrafo) devono essere sollevate in questo giudizio. Se il debitore si limita a non pagare e subisce passivamente, perderà la possibilità di far valere eventuali torti o irregolarità commessi dal creditore.
Nei prossimi paragrafi analizzeremo nel dettaglio come difendersi in sede di opposizione, ovvero quali sono le eccezioni e i motivi che un debitore può far valere per contestare, in tutto o in parte, la pretesa della società di leasing o di chi è subentrato nel credito. Dal punto di vista del debitore, l’obiettivo dell’opposizione è ottenere la revoca del decreto ingiuntivo, ossia evitare di dover pagare somme non dovute o eccessive e, se possibile, far emergere in giudizio eventuali irregolarità del contratto di leasing o del conteggio del credito.
Di seguito, prima di passare alle specifiche difese, proponiamo una tabella riepilogativa delle differenze principali tra leasing finanziario e leasing operativo, e delle relative conseguenze in caso di inadempimento:
Opporsi a un decreto ingiuntivo di leasing: difese e strategie del debitore
Quando un debitore (utilizzatore di leasing o suo garante) decide di proporre opposizione al decreto ingiuntivo, entra in una fase di giudizio ordinario nella quale può far valere tutte le contestazioni di merito e di procedura per cercare di ottenere la revoca o la modifica dell’ingiunzione. Di seguito analizziamo le principali difese tecniche che il debitore può sollevare, suddividendole per materia. È importante preparare un’opposizione completa e dettagliata, poiché in quella sede vanno concentrati tutti i motivi di contestazione noti (non è possibile, di regola, presentare motivi nuovi oltre i termini di legge).
Ecco le principali categorie di difesa in un’opposizione a decreto ingiuntivo da leasing:
1. Vizi procedurali e di notificazione
Prima ancora di entrare nel merito del rapporto di leasing, conviene verificare se il decreto ingiuntivo o la sua notifica presentano irregolarità formali che possano essere fatte valere. Alcuni punti da considerare:
- Competenza territoriale e clausole di deroga: Spesso il contratto di leasing contiene una clausola che individua un foro esclusivo (ad es. Foro di Milano se la società di leasing ha sede lì). Tali clausole, se validamente sottoscritte dall’utilizzatore (per i contratti tra professionisti) o non vessatorie (per i consumatori, una clausola che deroga al foro del consumatore è generalmente vessatoria e quindi inefficace ex art.33 Cod. Cons.), possono radicare la competenza in un tribunale diverso da quello del luogo di residenza del debitore. Il debitore in opposizione può eccepire l’incompetenza territoriale del giudice che ha emesso il decreto se ritiene che la clausola sia invalida o non applicabile. Ad esempio, se il debitore è un consumatore e ha firmato un contratto con foro diverso dalla propria residenza, potrà opporsi eccependo che la clausola è nulla per contrasto con il Codice del Consumo (foro inderogabile del consumatore ex art.33, co.2, lett. u) D.Lgs. 206/2005). La giurisprudenza recente è attenta a questo aspetto: in un caso del 2023 riguardante un leasing immobiliare, i garanti persone fisiche avevano eccepito l’incompetenza territoriale invocando la disciplina consumeristica, ma il Tribunale verificò che i garanti erano anche amministratori/soci della società utilizzatrice e quindi non li considerò “consumatori”, rigettando l’eccezione. Ciò mostra che l’applicabilità del foro del consumatore va valutata caso per caso in base alle qualifiche soggettive. In ogni caso, se esistono dubbi sulla competenza (nessuna valida deroga pattizia, o deroga nulla), l’opposizione deve tempestivamente sollevare la relativa eccezione (entro le prime difese) per evitare decadenze.
- Validità della notifica del decreto: Il debitore dovrebbe controllare se la notifica del decreto ingiuntivo è stata eseguita correttamente (luogo di notifica, eventuale irreperibilità e affissione, ecc.). Notifiche inesistenti o radicalmente nulle potrebbero aprire la strada a un’opposizione tardiva oltre i 40 giorni. Anche senza arrivare a tanto, se la notifica è irregolare (ad es. consegnata a persona non autorizzata, o vizio nella relazione di notifica) si può far rilevare nell’atto di opposizione per chiedere eventualmente la rinnovazione. Tuttavia, difetti minori difficilmente condurranno all’annullamento del decreto, specie se la notifica ha comunque raggiunto lo scopo.
- Petitum del decreto ingiuntivo: Si può verificare se il contenuto del decreto eccede quanto richiesto dal creditore nel ricorso o ciò che è dovuto secondo il contratto. In sede di opposizione, il debitore può lamentare che il giudice abbia ingiunto più di quanto dovuto o voci non documentate. Ad esempio, se nel decreto compaiono importi non richiesti nel ricorso monitorio o non giustificati dai documenti, ciò può essere motivo di revoca parziale. È importante anche esaminare la data di decorrenza degli interessi indicati nel decreto e l’eventuale formula di esecutorietà concessa: se la provvisoria esecuzione è stata data fuori dai casi consentiti (ad es. senza reale prova scritta sufficiente), il debitore può chiederne la sospensione ex art.649 c.p.c.
- Soggetti legittimati (in caso di cessione del credito): Un punto cruciale, specialmente se il credito è stato ceduto a una società terza (ad es. un SPV di cartolarizzazione): il debitore può contestare la legittimazione attiva dell’opposta (la società cessionaria) qualora questa non abbia provato adeguatamente di aver acquisito il credito. Nelle opposizioni ai decreti ingiuntivi promossi da cessionari in blocco ex art.58 TUB, i giudici richiedono che la cessionaria produca documentazione chiara che il singolo credito rientrasse nel perimetro della cessione (tipicamente l’estratto della Gazzetta Ufficiale con l’avviso di cessione e riferimenti sufficienti a identificare il credito). Se manca questa prova specifica, l’opposizione può essere accolta per difetto di prova della titolarità: ad esempio, il Tribunale di Monza ha revocato un decreto ingiuntivo perché la società cessionaria non era riuscita a dimostrare con certezza che lo specifico credito di leasing fosse incluso nell’operazione di cessione in blocco da essa invocata. Quindi, il debitore può chiedere al giudice di verificare rigorosamente la catena di trasferimento del credito (contratto di cessione, pubblicazione in G.U., notifiche di cessione al debitore ex art.1264 c.c.). Se tale prova risulta carente, il decreto ingiuntivo andrebbe revocato per mancanza di prova del diritto della parte opposta.
In sintesi, queste difese “procedurali” mirano a verificare se il decreto ingiuntivo formalmente sta in piedi: foro competente, legittimazione di chi agisce, regolarità della notifica e del provvedimento. Sono aspetti che vanno valutati prima di entrare nel merito. Spesso da soli non risolvono la controversia (perché un vizio sanabile può essere superato, ad esempio il creditore può riassumere la causa altrove se c’è incompetenza, o riproporre il decreto se era solo un difetto formale), ma possono far guadagnare tempo e posizionare meglio il debitore nella trattativa.
2. Contestazione dell’inadempimento e risoluzione
Una linea difensiva sostanziale consiste nel contestare proprio i presupposti su cui si fonda il decreto ingiuntivo, ossia la legittimità della risoluzione del contratto e l’esistenza del grave inadempimento dell’utilizzatore. Qui le domande chiave sono: era davvero dovuto tutto quello che la società di leasing reclama? Si è verificato un inadempimento grave tale da legittimare la risoluzione e l’ingiunzione?
Possibili argomenti del debitore includono:
- Importi non pagati inferiori alla soglia di legge: Se il contratto rientra nella L.124/2017, occorre verificare se effettivamente la morosità ha superato le soglie di 4 o 6 canoni. Ad esempio, se il decreto ingiuntivo si basa su 3 canoni di leasing mobiliare non pagati, il debitore potrebbe eccepire che non vi era un “grave inadempimento” ex comma 137 L.124/2017 e che pertanto la risoluzione era illegittima o prematura. Tuttavia, bisogna fare attenzione: la soglia legale vincola il concedente a non risolvere anticipatamente sotto quel livello, ma se il contratto contiene una clausola risolutiva espressa (spesso presente) che dichiara risolto il contratto al semplice mancato pagamento di un canone, potrebbe sorgere un conflitto tra la clausola e la norma. La legge 124/2017 sembrerebbe imporre il superamento di quelle soglie per poter invocare la risoluzione (introducendo una sorta di minimo di tolleranza). Quindi il debitore potrebbe sostenere che, non essendo stata raggiunta la soglia, il contratto non poteva dirsi risolto di diritto e la pretesa del concedente è anticipata. Sarà poi il giudice a valutare: alcuni potrebbero ritenere nulla o inefficace la clausola risolutiva più rigorosa del limite di legge, altri potrebbero dire che comunque 1–2 rate non pagate non integrano inadempimento grave e quindi non giustificano il decreto.
- Inadempimento non imputabile o situazione sanata: Il debitore potrebbe provare che il mancato pagamento dei canoni è dipeso da cause di forza maggiore o fatto del creditore. Ad esempio, se i canoni erano domiciliati in banca e un disguido tecnico ne ha impedito il pagamento, l’utilizzatore può aver tentato di pagarli subito dopo ma la società di leasing ha comunque risolto. Oppure potrebbe sostenere di aver offerto la prestazione arretrata (pagamento delle rate scadute) prima che il concedente dichiarasse la risoluzione, ma quest’ultimo l’ha rifiutata indebitamente. In tal caso si può invocare l’art. 1181 c.c. (creditore che rifiuta pagamento parziale senza giustificazione) o l’art. 1453 c.c. comma 3 (possibilità di adempiere anche dopo domanda giudiziale finché il contratto non è risolto). Sono difese non semplici, perché una volta che la risoluzione di diritto si è verificata, l’adempimento tardivo potrebbe non rimettere in vita il contratto, ma potrebbero influire sull’ammontare del dovuto (magari evitando alcune penali).
- Mancata formale costituzione in mora: In alcuni casi, specialmente se il contratto non contiene clausola risolutiva espressa, il debitore potrebbe eccepire che il concedente ha risolto il contratto senza neppure avergli inviato una formale diffida ad adempiere o messa in mora, violando l’art. 1454 c.c. (se applicabile). Tuttavia, nei leasing finanziari spesso è inserita la clausola risolutiva espressa (es. “il mancato pagamento di anche una sola rata per oltre x giorni determina la risoluzione di diritto ex art.1456 c.c.”), per cui questa difesa si riduce.
- Adempimento dell’utilizzatore vs inadempimento del concedente (eccezione d’inadempimento): Una difesa molto rilevante è contestare che in realtà l’utilizzatore non è in colpa, oppure che vi è un inadempimento della stessa società di leasing o di altri soggetti coinvolti che giustifica la sospensione dei pagamenti. Ad esempio:
- Vizi o problemi del bene: Se il bene in leasing presentava difetti gravi, malfunzionamenti, o non corrispondeva a quanto pattuito, l’utilizzatore potrebbe aver sospeso i pagamenti perché di fatto non ha potuto godere utilmente del bene. In linea di massima, nel leasing finanziario puro l’utilizzatore assume su di sé i rischi anche dei vizi del bene, dovendo eventualmente rivalersi sul fornitore. Quindi la società di leasing di solito si considera estranea a contestazioni sul bene. Tuttavia, ci sono scenari in cui l’utilizzatore può sollevare l’exceptio inadimpleti contractus verso il concedente: ad esempio, se il leasing era di scopo (costruzione di un impianto su misura) e il bene non è mai stato consegnato funzionante, oppure se c’era un accordo tripartito in cui il concedente garantiva determinate prestazioni (manutenzioni mai effettuate, ecc.). Oppure nel leasing operativo, il concedente ha maggiori obblighi sul bene (manutenzione, efficienza): se non li ha adempiuti, l’utilizzatore può aver sospeso le rate legittimamente. In un caso deciso dal Tribunale di Brescia, l’utilizzatore opposto fece valere gravi inadempimenti contrattuali del concedente per contestare la risoluzione e chiedere addirittura la risoluzione per colpa della società di leasing, con restituzione di quanto pagato. L’esito di tali eccezioni dipende dalle prove: se l’utilizzatore dimostra che il bene era inutilizzabile per colpa altrui, il giudice potrebbe ritenere non dovuti i canoni (o parte di essi) e dunque revocare o ridurre il decreto.
- Illegittimità della risoluzione anticipata: L’utilizzatore può sostenere che la risoluzione è stata dichiarata senza valida causa. Ad esempio, se la società di leasing ha invocato una clausola risolutiva ma il presupposto non si era verificato (pagamenti non oltre il termine di tolleranza, errore nel calcolo delle rate dovute), oppure se la comunicazione di risoluzione non era conforme al contratto. È raro che tali eccezioni portino a un annullamento del decreto, ma possono essere poste.
- Pagamenti non contabilizzati o importi contestati: A volte il debitore può contestare il saldo richiesto dal concedente sostenendo di aver già pagato alcune delle somme. È fondamentale verificare l’estratto conto: se l’utilizzatore ha effettuato pagamenti che per qualche motivo non risultano (es. bonifici non contabilizzati in tempo, coperture assicurative anticipate, deposito cauzionale versato inizialmente che andrebbe scalato, ecc.), deve evidenziarlo. Ogni importo già corrisposto deve infatti essere detratto dal credito ingiunto. Una difesa efficace è produrre le ricevute di pagamento e chiedere la corretta imputazione ai sensi dell’art. 1193 c.c. (ad esempio imputando prima ai canoni scaduti più vecchi, ecc.) per ridurre l’esposizione.
In definitiva, contestare l’inadempimento significa cercare di dimostrare che, in tutto o in parte, la pretesa del creditore non è dovuta perché il debitore non era realmente in difetto grave, o perché aveva ragioni valide per non pagare, o perché ha pagato almeno in parte. Se tali argomentazioni convincono il giudice, il decreto ingiuntivo potrebbe essere revocato integralmente (ad esempio se si accerta che il leasing non doveva essere risolto e che il debitore era pronto a adempiere) oppure parzialmente (riducendo la somma dovuta, eliminando penali non dovute, scorporando importi già pagati, ecc.). È raro che un debitore riesca a far “resuscitare” il contratto di leasing dopo una risoluzione – salvo nei casi di gravi inadempimenti della controparte – ma può quantomeno evitare di pagare oltre il dovuto.
3. Contestazione del calcolo degli interessi: anatocismo e usura
Gran parte delle opposizioni in materia finanziaria riguardano la verifica degli interessi applicati e richiesti. Nel caso di leasing, occorre distinguere tra interessi corrispettivi (quelli incorporati nei canoni periodici, equivalenti agli interessi sul capitale finanziato) e interessi moratori (quelli dovuti in caso di ritardo nei pagamenti, di solito previsti contrattualmente con un tasso annuale sulle somme scadute). Le contestazioni del debitore possono riguardare entrambi i tipi, invocando il rispetto delle norme anti-anatocismo e anti-usura.
Anatocismo: il termine si riferisce alla produzione di interessi su interessi già dovuti (interessi composti). In Italia vige il divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c., salvo casi specifici (interessi dovuti da almeno 6 mesi e richiesta giudiziale, oppure accordo successivo alla scadenza per capitalizzarli). In ambito bancario, la materia è stata oggetto di riforme (ad es. l’art. 120 TUB come modificato nel 2016 prevede la capitalizzazione annuale reciproca e condizioni paritetiche tra cliente e banca, superando la capitalizzazione trimestrale a debito prima diffusa). Nel leasing, come si può presentare l’anatocismo? Alcune possibili situazioni:
- Interessi moratori su rate scadute che includono interessi corrispettivi: Questo è uno scenario classico. Quando un canone di leasing arriva a scadenza, esso comprende una quota capitale e una quota interessi (corrispettivi) per il periodo di utilizzo. Se il canone non viene pagato, la società di leasing applica interessi di mora sull’intero importo della rata scaduta. Ciò significa che sta facendo pagare interessi di mora anche sulla parte di interessi corrispettivi contenuta nella rata. Il debitore potrebbe obiettare che ciò costituisce interesse su interesse (anatocismo). La giurisprudenza degli ultimi anni ha però chiarito che non è considerato anatocismo vietato il fatto che gli interessi moratori vengano calcolati sull’importo complessivo del rateo scaduto (comprensivo di interessi corrispettivi), se ciò è pattuito espressamente nel contratto. In sostanza, se il contratto di leasing prevede chiaramente che alla scadenza di ogni rata, in caso di mancato pagamento, l’importo scaduto (capitale + interessi maturati per quel periodo) produrrà interessi di mora fino al saldo, questa pattuizione è lecita. La logica è che gli interessi corrispettivi diventano “somme scadute” al pari del capitale e quindi possono produrre interessi di mora come qualunque importo dovuto. Ad esempio, il Tribunale di Roma nel 2023 ha ribadito che l’utilizzo di un piano di ammortamento “francese” (in cui ogni rata ha interessi incorporati) non comporta di per sé anatocismo illegittimo, e che è legittimo calcolare interessi di mora sull’intera rata scaduta se contrattualmente previsto. Dunque questa difesa dell’utilizzatore, molto invocata in passato, oggi ha perso incisività: di norma i giudici non annullano una clausola del genere, considerandola conforme all’autonomia contrattuale e alla normativa secondaria di trasparenza (che richiede semmai chiarezza nell’indicare i criteri di calcolo).
- Capitalizzazione periodica degli interessi moratori: Bisogna verificare se il contratto di leasing prevede ulteriori meccanismi di capitalizzazione. Di solito, per i contratti con utenti non consumatori, le banche/lease possono avere previsto la capitalizzazione annuale degli interessi di mora non pagati (ad es. al 31 dicembre di ogni anno gli interessi di mora maturati e non saldati si sommano al capitale). Dopo la delibera CICR 2000 e la riforma 2016 del TUB, tali pratiche sono state uniformate: oggi è generalmente ammesso solo un regime di capitalizzazione annuale e reciproca. Se il leasing ha clausole di capitalizzazione più frequente (trimestrale) o asimmetrica (solo a favore della finanziaria), il debitore può eccepirne la nullità perché contrarie a norme imperative. Esempio: una clausola che dicesse “gli interessi di mora maturati verranno somministrati al capitale ogni mese e da quel momento produrranno a loro volta interessi” sarebbe quasi certamente nulla. Il giudice, su eccezione, eliminerebbe l’indebita capitalizzazione, ricalcolando il dovuto con sola maturazione semplice degli interessi.
- Ammortamento “alla francese” e presunta componente occultamente composta: In alcuni casi, i debitori contestano che il piano di ammortamento alla francese (quello con rata costante e interessi decrescenti nel tempo) celi una capitalizzazione composta degli interessi ad ogni rata. Questa tesi è stata oggetto di dibattiti tecnici e cause. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2024 (sent. SU 15188/2024) sono intervenute sull’argomento (riguardava i mutui, ma i principi valgono in generale): hanno sostanzialmente escluso che l’ammortamento alla francese violi di per sé il divieto di anatocismo, purché le formule siano trasparenti e il tasso effettivo corrisponda a quello pattuito. Dunque, come massima generale, oggi non è considerato illegittimo il semplice fatto che il piano di pagamento del leasing sia strutturato con rate calcolate con attualizzazione composta: l’importante è che il tasso contrattuale indicato (TAEG o TAN) sia rispettato. Un debitore potrebbe comunque richiedere una CTU contabile per verificare se gli interessi corrispettivi applicati corrispondono al tasso nominale dichiarato o se vi sono discrepanze (talvolta i piani possono contenere errori). In alcuni procedimenti, infatti, i CTU hanno riscontrato errori di calcolo o indeterminatezze, obbligando a rideterminare gli interessi dovuti.
Se dal controllo emergesse una violazione del divieto di anatocismo (ad esempio interessi su interessi non consentiti), il rimedio di solito è la nullità parziale della clausola che li prevede ex art. 1283 c.c. e art. 1418 c.c. Ciò comporta che gli interessi devono essere ricalcolati eliminando la parte illegittima (ad esempio conteggiando i soli interessi semplici). Un caso concreto: un decreto ingiuntivo conteggiava interessi moratori su canoni scaduti includendo anche l’adeguamento ISTAT non applicato in corso di contratto; ebbene, la CTU ha ritenuto quel calcolo errato e non conforme alle pattuizioni, riducendo l’importo dovuto. Anche se non era anatocismo in senso stretto, è un esempio di come un ricalcolo tecnico può cambiare le somme.
Usura: L’altra pietra angolare delle difese è la normativa antiusura (L. 108/1996). Un tasso di interesse (corrispettivo o moratorio) pattuito oltre la soglia d’usura vigente al momento della stipula è nullo e comporta conseguenze pesanti: in base all’art. 1815 c.c. comma 2 (modificato dalla L.108/96), se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (ossia il creditore avrebbe diritto alla sola restituzione del capitale, senza alcun interesse). Pertanto, un utilizzatore di leasing può aver convenienza a far accertare che il tasso di mora o addirittura il tasso leasing corrispettivo fossero usurari.
Come si determina la soglia d’usura? Il Ministero dell’Economia pubblica trimestralmente i Tassi Effettivi Globali Medi (TEGM) per varie categorie di credito (mutui, leasing immobiliare, leasing autoveicoli, altri finanziamenti, etc.), e la soglia d’usura è pari a tale tasso medio aumentato di un margine (attualmente: +25% più ulteriori 4 punti percentuali, con un massimo di 8 punti di differenza assoluta). Nel caso degli interessi moratori, per lungo tempo vi è stata incertezza su come considerarli rispetto alla soglia: alcuni ritenevano che dovessero sommarsi ai corrispettivi, altri che andassero valutati separatamente. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2020 (sent. SU 19597/2020) e poi altre pronunce nel 2021-2022 hanno chiarito la questione: anche gli interessi moratori sono soggetti alla normativa antiusura e vanno confrontati con la soglia d’usura, ma la modalità di calcolo dipende dai dati statistici disponibili. In particolare, se i decreti ministeriali indicano il margine medio delle penali di mora praticate, la soglia per i moratori sarà il TEGM della categoria di operazione più la maggiorazione media dei moratori (moltiplicata per il coefficiente 1,25) più i 4 punti percentuali di margine. Se invece i decreti non riportano tale dato (in passato spesso no), bisogna calcolare il TEG comprensivo degli interessi di mora del singolo rapporto e confrontarlo con la soglia normale. Ad ogni modo, il principio è che “la disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori” e che ciò che conta è il momento in cui gli interessi sono promessi o convenuti, a prescindere dal fatto che poi vengano corrisposti o meno. Dunque, se un contratto di leasing prevede un tasso di mora del 15% annuo e all’epoca la soglia d’usura per quella categoria (comprensiva di mora) era, poniamo, il 12%, la pattuizione è nulla ab origine. Non importa se il cliente è sempre stato puntuale e non ha mai pagato un euro di mora: la sola previsione contrattuale di interessi usurari è illecita (e integra persino reato di usura contrattuale, anche se su questo profilo penale incide la volontà).
Come tradurre questa difesa nel giudizio? Il debitore dovrà produrre il contratto e i documenti ufficiali (TEGM) dell’epoca per dimostrare il superamento. Spesso è opportuno nominare un consulente o chiedere una CTU tecnica che accerti i valori. Nel leasing ci sono state controversie specifiche sul calcolo: ad esempio, se per determinare il tasso effettivo si debbano sommare interessi corrispettivi e moratori insieme. Su questo la Cassazione ha chiarito che non vanno sommati tra loro perché i moratori si applicano in alternativa ai corrispettivi (quando c’è ritardo, gli interessi corrispettivi normalmente non maturano oltre la scadenza). Dunque la verifica va fatta separatamente: tasso corrispettivo vs soglia corrispettivi; tasso di mora vs soglia moratori. Inoltre, è stato affermato che la clausola di salvaguardia spesso inserita (“gli interessi di mora, se eccedono la soglia di legge, si intendono ridotti al limite massimo”) non salva dalla nullità originaria: quella clausola può al più evitare l’applicazione pratica di tassi usurari, ma se al momento del contratto il tasso convenuto era sopra soglia, la nullità colpisce comunque il patto di interesse eccedente. La Cassazione ha infatti statuito che anche la sola pattuizione di interessi usurari è nulla, indipendentemente da ogni pattuizione di adeguamento.
Quali sono gli effetti in caso di usura accertata? Se ad essere usurario è il tasso corrispettivo del leasing (caso raro, vorrebbe dire che fin dall’inizio il tasso leasing supera la soglia dei finanziamenti: potrebbe accadere in microleasing a persone con cattivo merito, ma di solito i tassi leasing sono allineati al mercato), allora nessun interesse è dovuto: il contratto resta valido ma gli interessi si considerano non dovuti, quindi il debitore deve restituire solo il capitale finanziato (e può chiedere compensazione per eventuali interessi corrispettivi già pagati in eccesso). Se invece il tasso corrispettivo era lecito ma è usurario il tasso di mora, secondo l’orientamento prevalente la clausola di mora è nulla e il creditore non può pretendere interessi di mora. Resta però dovuto il capitale e gli interessi corrispettivi fino alla scadenza; per il periodo di ritardo potrebbe eventualmente essere dovuto il risarcimento del danno da mora ex art.1224 c.c. nella misura degli interessi legali (questo punto è dibattuto: alcuni sostengono che eliminata la mora contrattuale non spetti alcun interesse di mora, altri dicono si applichi il tasso legale). Ad ogni modo, in sede di decreto ingiuntivo su leasing, far dichiarare usurari gli interessi di mora comporta tipicamente uno sgravio significativo: la società di leasing non potrà capitalizzare né chiedere quelle penali di ritardo. Ad esempio, se un decreto includeva € 10.000 di interessi di mora, quell’importo verrebbe espunto, riducendo il dovuto.
Importante: come rilevato, rileva il tasso al momento della convenzione. Quindi se un contratto fu stipulato in un’epoca con soglia bassa e il tasso di mora pattuito la superava, è usura originaria. Se invece all’epoca era sotto soglia, ma poi durante l’esecuzione la soglia si è abbassata o i tassi variabili sono aumentati superandola, si parla di usura sopravvenuta: su questa la Cassazione esclude la nullità della pattuizione (che era lecita alla stipula), ma ammette che non possano essere pretesi interessi oltre soglia per il periodo eccedente (in virtù di principi di buona fede contrattuale). In pratica, l’usura sopravvenuta viene spesso risolta evitando di applicare la parte eccedente oltre soglia nel conteggio, ma non annullando il contratto.
Riassumendo, il debitore in opposizione può:
- Chiedere la verifica tecnica dei tassi effettivi globali applicati nel leasing.
- Eccepire la nullità delle clausole contrattuali che prevedono interessi in violazione di norme (art.1283 c.c. per anatocismo, art.1815 c.c. per usura, art.117 TUB per mancanza di trasparenza, di cui diremo tra poco).
- Ottenere, se fondato, un ricalcolo del saldo depurato dagli interessi illegittimi.
Le fonti giurisprudenziali attuali sono favorevoli a riconoscere tali tutele: la Cassazione 2024 sul leasing traslativo (sent. 3930/2024) ha ribadito che gli interessi di mora vanno entro soglia d’usura e che il giudice deve valutare l’equilibrio delle pretese in caso di risoluzione, riducendo quelle ingiuste. Dunque, un’opposizione ben motivata sotto il profilo di usura e anatocismo può portare a revocare il decreto ingiuntivo o a ridurre sensibilmente l’importo dovuto dal debitore.
4. Nullità di clausole contrattuali (interessi indeterminati, oneri non trasparenti, clausole vessatorie)
Un altro fronte di difesa riguarda la presenza nel contratto di clausole nulle o abusive, la cui invalidità si riflette sul credito preteso. Qui ci si basa su vari corpi normativi: dal Codice Civile (per indeterminatezza dell’oggetto, contrasto con norme imperative) al Testo Unico Bancario (norme sulla trasparenza), fino al Codice del Consumo (clausole vessatorie nei contratti con consumatori).
Alcune clausole tipiche da attenzionare nei contratti di leasing:
- Clausole di determinazione degli interessi poco chiare: In passato, i contratti di leasing talvolta non esplicitavano chiaramente il tasso nominale o gli indici di indicizzazione dei canoni, limitandosi a riportare l’importo delle rate. Ad esempio, alcuni contratti prevedevano canoni variabili legati a parametri (Euribor, cambio valutario, ecc.) senza spiegare compiutamente la formula di calcolo. Ebbene, la normativa sulla trasparenza (art. 117 TUB e Istruzioni di Banca d’Italia) impone che nei contratti di credito sia indicato in modo chiaro il tasso applicato e ogni costo. La giurisprudenza ha applicato queste norme anche al leasing: clausole di indicizzazione o di interesse indeterminate o indeterminabili possono portare alla nullità della clausola e alla sostituzione del tasso con quello legale o con il tasso BOT minimo (ex art.117 TUB, comma 7). Ad esempio, la Cassazione (ord. 35084/2024) ha confermato la nullità di contratti di leasing in cui la clausola di adeguamento dei canoni era formulata in modo così generico da rendere indeterminabile il corrispettivo: in quel caso, ha approvato la decisione della Corte d’Appello che aveva dichiarato nulli i contratti per violazione dell’art. 1346 c.c. (oggetto indeterminato) e applicato l’art.117 TUB per ricalcolare gli interessi dovuti in base al tasso sostitutivo previsto (tasso BOT o tasso minimo di legge). Dunque, il debitore può eccepire che manca un valido accordo sul tasso: se ad esempio il contratto dice “tasso leasing da comunicarsi successivamente” oppure “tasso di indicizzazione rilevato a discrezione della società”, ciò non va bene. La Cassazione 2024 (n.3930) ha precisato che se il “tasso leasing” non è indicato ma è determinabile per relationem a criteri oggettivi e senza discrezionalità per la banca, la clausola è valida; altrimenti se resta margine di incertezza, c’è nullità per difetto di trasparenza. Nel merito, il Tribunale in un caso ha appurato che il contratto conteneva comunque tutti gli elementi per calcolare il tasso e ha escluso l’indeterminatezza, ma non sempre è così.
- Clausole di penale manifestamente eccessive: Abbiamo già in parte trattato questo tema parlando di risoluzione. Se il contratto di leasing (specialmente ante 2017) prevede che in caso di risoluzione l’utilizzatore perda tutti i canoni già pagati e debba pagare anche tutti quelli a scadere in unica soluzione, ci troviamo di fronte a una clausola penale a favore del concedente. Spesso essa è formulata come “a titolo di penale il concedente tratterrà i canoni incassati e avrà diritto all’integrale pagamento di quelli non ancora scaduti, fermo restando il diritto al risarcimento ulteriore”. Clausole così sbilanciate sono state ritenute nulle o comunque da disapplicare in numerosi giudizi, in quanto realizzano un indebito arricchimento. Oggi, per i contratti soggetti alla L.124/2017, una clausola del genere sarebbe contraria alla legge stessa (che impone il conguaglio col valore del bene) e quindi nulla ex art.1418 c.c. per contrasto con norma imperativa. Per i contratti precedenti, le Sezioni Unite 2021 e Cass. 2024 hanno stabilito che la clausola non è per sé nulla ma deve essere integrata dall’art.1526 c.c. (cioè il giudice deve comunque calcolare l’equo compenso e restituire l’eccedenza). In ogni caso, il debitore in opposizione deve sollevare il tema: può invocare l’applicazione analogica di art.1526 c.c. (se leasing traslativo anteriore alla riforma) o chiedere la riduzione della penale ex art.1384 c.c. se la ritiene eccessiva rispetto al danno. Una notevole arma è far emergere quanto il creditore abbia già recuperato col bene: se risulta che il bene è stato rivenduto a un buon prezzo, la penale intera diventa manifestamente esosa. Già molti tribunali, prima della legge 2017, facevano questo ragionamento: “concedente, se vuoi tutte le rate, devi comunicare quanto hai ricavato dal bene, poi eventualmente scomputiamo”. Ad esempio, Cass. 2061/2021 (SU) letteralmente dice che in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente che si insinua deve indicare la somma ricavata dalla riallocazione del bene per permettere al giudice di valutare se la penale è equa o va ridotta. Dunque, il debitore opponente può chiedere che la controparte provi il valore del bene e l’eventuale ricavato, proprio per attivare il meccanismo equitativo.
- Clausole contrarie a norme imperative: Oltre ai tassi usurari (già trattati) e anatocistici, possono esserci altre clausole nulle: ad esempio se il leasing riguarda un consumatore, eventuali clausole che prevedano interessi di mora superiori al limite legale per ritardato pagamento di consumatori (D.Lgs. 231/2002 si applica solo tra imprese, quindi non qui, ma il Codice del Consumo vieta comunque clausole eccessivamente onerose). Oppure clausole che impongano spese non trasparenti (commissioni occulte). In generale, grazie all’art. 117 TUB, se nel contratto finanziario mancano l’indicazione del TAEG o altre voci obbligatorie, il cliente può chiedere la nullità parziale con applicazione delle sanzioni previste (ad esempio interessi sostituiti dal tasso minimo BOT se manca l’indicazione del tasso nominale). Il Tribunale di Roma in una recente sentenza del 2024 (opposizione a DI leasing) ha confermato che la normativa di trasparenza bancaria si applica anche ai leasing, per cui la mancata indicazione di un elemento essenziale come il tasso comporta nullità della clausola.
- Clausole vessatorie (per i consumatori): Se l’utilizzatore è una persona fisica che ha stipulato il leasing per scopi estranei all’attività imprenditoriale (ad esempio un privato che fa un leasing auto personale, o un leasing abitativo), si qualifica come consumatore ai sensi del Codice del Consumo. In tal caso gode di un grado di protezione maggiore: qualsiasi clausola del contratto che crei un significativo squilibrio a suo svantaggio può essere dichiarata vessatoria e quindi nulla (artt.33-36 D.Lgs. 206/2005). Nel contesto leasing, potenziali clausole vessatorie sono:
- la già citata clausola di foro competente lontano (deroga al foro del consumatore) – certamente nulla ex lege (a meno che la società di leasing dimostri che il garante o utilizzatore non era vero consumatore, v. caso sopra).
- le clausole che impongono al consumatore inadempiente penali elevatissime o la perdita integrale di quanto pagato senza possibilità di restituzione: queste possono essere considerate vessatorie perché impongono al consumatore una sanzione eccessiva per la risoluzione, violando l’art.33, co.2, lett. f) (clausole che impongono al consumatore inadempiente una somma sproporzionata). Ad esempio, un leasing di auto a un privato con penale pari a tutte le rate residue senza restituzione dell’anticipo probabilmente verrebbe ritenuto vessatorio dal giudice.
- clausole che escludono o limitano fortemente la responsabilità del concedente (es. “il consumatore non può mai sollevare eccezioni relative al bene nei confronti del concedente”) potrebbero essere vessatorie (ex art.33, co.2, lett. b e d, clausole che escludono diritto di compensazione o limitano le azioni).
- clausole che consentono al concedente di recedere senza adeguato preavviso o di modificare unilateralmente le condizioni (non frequenti nei leasing standard, ma da controllare).
Un caso peculiare riguarda i garanti (fideiussori) consumatori: spesso i leasing sono garantiti da persone fisiche (soci, familiari) che non sono parte attiva del contratto ma firmano una fideiussione. Ci si è chiesti se costoro possano invocare la tutela del consumatore. La Corte di Giustizia UE ha aperto alla possibilità che il garante persona fisica non imprenditore sia considerato consumatore rispetto alla banca, anche se la debitrice principale è una società (causa C-110/14 Costea). In Italia, alcune pronunce di merito hanno effettivamente applicato il Codice del Consumo ai garanti, specie se si tratta di parenti estranei all’attività. Nel nostro contesto, ad esempio, se Tizio garantisce il leasing stipulato dalla società di cui non fa parte, Tizio può chiedere di beneficiare della nullità di clausole vessatorie (come foro, penali, ecc.). Viceversa, come visto in Trib. Roma 2023, se il garante è strettamente coinvolto nella società (socio o amministratore), tende a considerarlo “professionista” anch’egli, negando la qualifica di consumatore. Comunque, vale la pena per un garante persona fisica di eccepire l’applicabilità delle tutele consumeristiche: al minimo, questo gli ha permesso in alcuni casi di spostare la causa al suo foro locale o di far dichiarare inefficaci alcune clausole contrattuali nei suoi confronti.
- Nullità per violazione di norme di ordine pubblico economico: Un esempio è il caso delle fideiussioni “ABI” dichiarate intese anticoncorrenziali (Provv. Banca d’Italia 55/2005): se il garante oppone la nullità della fideiussione standard per violazione della normativa antitrust (art.2 legge 287/90), alcuni tribunali hanno effettivamente dichiarato nulle quelle garanzie omnibus. Tuttavia, va notato che in una decisione riportata (Trib. Roma 2023 sopra) si specifica che la fideiussione specifica rilasciata per un singolo leasing non rientra nel modello delle fideiussioni omnibus censurate, a meno che si provi che anche quel modello è frutto di intesa restrittiva. Quindi non è una difesa facile nel leasing, ma da valutare se il modulo di garanzia ricalca proprio lo schema vietato (solitamente tre clausole su reviviscenza, renuncia eccezioni ex art.1957 c.c., etc.).
In conclusione su questo punto, il debitore e i suoi legali dovrebbero passare al vaglio tutto il contratto di leasing e la fideiussione, per individuare qualunque clausola che possa essere affetta da nullità. Ogni nullità in parte qua può ridurre il carico: ad es. nullità della clausola di interessi di mora usurari = niente mora dovuta; nullità della clausola di penale = si paga solo il danno effettivo da provare; nullità dell’indicizzazione indeterminata = interessi ricalcolati al tasso legale o sostitutivo, spesso inferiore a quanto preteso. Tali eccezioni, se fondate, faranno sì che il decreto ingiuntivo venga revocato o modificato di conseguenza, evitando al debitore esborsi non dovuti.
5. Verifica della correttezza del credito residuo e altri aspetti (surplus, danni ulteriori, spese)
Oltre alle grandi questioni (validità del contratto, tassi, ecc.), nell’opposizione conviene sempre controllare nel dettaglio il conteggio fatto valere dal creditore. Abbiamo accennato ad alcune cose: imputazione pagamenti, interessi. Aggiungiamo:
- Surplus da vendita del bene: Se il bene in leasing è già stato ripreso e venduto prima o durante la causa, il debitore deve pretendere che il ricavato sia considerato. Con la legge 2017 ciò è un suo diritto ex lege; ma anche nei casi anteriori i giudici lo ritengono doveroso. Dunque, nell’opposizione il debitore può chiedere informazioni sul destino del bene: è stato venduto? a quanto? c’è un affidamento in conto vendita? e conseguentemente chiedere che l’importo ingiunto sia ridotto di quell’importo ricavato. Se il concedente si rifiuta di rivelarlo, il giudice potrebbe nominare un CTU stimatore per valutare il bene. Questo aspetto assicura che il debitore paghi solo l’eventuale differenza mancante, come detto. In passato alcuni debitori vittoriosi in causa hanno perfino ottenuto la restituzione di somme perché il valore del bene superava il loro debito residuo (esiti rari, ma possibili se erano state pagate molte rate e il bene aveva tenuto valore). Oggi la legge impone esplicitamente questo conguaglio, quindi farlo valere è importante. Dal punto di vista pratico, un utilizzatore dovrebbe sempre monitorare la vendita all’asta o sul mercato del bene restituito e, se nota un prezzo elevato, segnalare la cosa al giudice.
- Riduzione della penale contrattuale ex art.1384 c.c.: Anche al di là della nullità o meno, come accennato, l’art.1384 permette al giudice di ridurre equamente la penale se manifestamente eccessiva rispetto all’interesse del creditore. Questo è un potere officioso del giudice, ma è bene sollecitarlo nell’opposizione. Ad esempio: il debitor-opponente potrebbe argomentare “la somma richiesta (€ XX) è palesemente eccessiva: la società ha già riottenuto il bene e i mancati guadagni reali sono molto inferiori a quanto pretendono”, quindi invocare la riduzione. Soprattutto per leasing operativi o per contratti pre-2017, i giudici hanno usato spesso questo strumento, come risulta da varie sentenze in cui le clausole penali “in deroga alla legge” sono state disapplicate in favore del conteggio equo ex art.1526. Per i contratti post-2017, essendoci una formula di legge, è meno frequente che si debba intervenire, ma non è escluso: se le parti avessero pattuito un criterio divergente dalla legge (ad es. non vendere il bene ma attribuirgli convenzionalmente un valore zero), il giudice potrebbe trovarlo scorretto e ridurre comunque.
- Danni ulteriori e spese aggiuntive: Nel decreto ingiuntivo, oltre ai canoni e interessi, vengono spesso richiesti danni ulteriori (ad es. danni da ritardata restituzione) o spese di recupero (custodia, riparazioni). Il debitore può contestare analiticamente anche queste voci: il concedente dovrà provarle. Se la macchina in leasing è stata riconsegnata danneggiata e chiedono €5.000 di riparazioni, il debitore può chiedere fatture e dimostrazione che il danno eccede l’usura normale. Se il concedente chiede, poniamo, €2.000 per spese legali extra-giudiziali, il debitore può eccepire che quelle sono già coperte eventualmente dalle spese legali che il giudice liquiderà nel decreto (evitando duplicazioni). Insomma, non dare per scontate tali voci: spesso i contratti prevedono che tutte le spese siano a carico dell’utilizzatore, ma almeno in giudizio bisogna verificarne la quantificazione e necessità. Molti giudici, in assenza di prova rigorosa, non riconoscono danni ulteriori oltre la penale contrattuale (ritenendo che la penale assorba tutto).
- Spese legali del decreto ingiuntivo: Normalmente, nel decreto ingiuntivo il giudice liquida le spese legali a favore del creditore. Se l’opposizione del debitore riesce (decreto revocato o modificato a suo favore), è possibile ribaltare anche le spese. In particolare, se l’opponente vince, il tribunale in sentenza porrà le spese del procedimento (monitorio e di opposizione) a carico della società di leasing. Viceversa, se l’opposizione viene rigettata, di solito il debitore soccombente deve rifondere anche le spese legali dell’opposizione, aggiungendosi a quelle già liquidate nel decreto. È quindi un rischio calcolato: opporsi ha costi, ma se vi sono valide ragioni il beneficio economico (riduzione del dovuto) li supera.
In definitiva, l’opposizione è il momento in cui far valere ogni elemento che possa ridurre o eliminare l’importo richiesto. Non bisogna trascurare nulla: un errore nel conteggio degli interessi, una penale esosa non giustificata, l’omessa deduzione di un valore di realizzo, possono fare migliaia di euro di differenza.
Procedura esecutiva dopo il decreto ingiuntivo
Se nonostante l’opposizione (o per mancata opposizione) il decreto ingiuntivo rimane in piedi ed efficace, il creditore procederà con la fase esecutiva per recuperare coattivamente quanto dovuto. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale sapere cosa aspettarsi e come comportarsi in questa fase.
Titolo esecutivo e precetto: Il decreto ingiuntivo, una volta esecutivo (perché provvisoriamente esecutivo ab origine o perché decorso il termine senza opposizione o dopo sentenza favorevole al creditore), costituisce un titolo esecutivo giudiziale. Il creditore notificherà quindi al debitore un atto di precetto, ossia un’intimazione a pagare le somme dovute (capitale, interessi, spese) entro almeno 10 giorni, con l’avvertimento che in mancanza si procederà a esecuzione forzata (art. 480 c.p.c.). Nel precetto saranno specificati gli importi aggiornati (comprensivi di eventuali interessi maturati dopo il decreto e delle spese di notifica, ecc.). Se il decreto ingiuntivo ordinava anche la restituzione del bene in leasing, il precetto potrà intimare sia il pagamento che la consegna del bene entro il termine.
Restituzione forzata del bene: Per quanto riguarda la ripresa del bene, se l’utilizzatore non lo restituisce spontaneamente, il creditore avvierà l’esecuzione per consegna o rilascio (artt. 605 ss. c.p.c.). In pratica, dopo il precetto, il creditore chiederà al giudice l’atto di pignoramento o la requisizione del bene: l’ufficiale giudiziario, con l’ausilio se necessario della forza pubblica, può recarsi dove si trova il bene e prelevarlo coattivamente per restituirlo al legittimo proprietario (la società di leasing). Ad esempio, se trattasi di autoveicolo, verrà individuato (anche tramite PRA e localizzazione) e un ufficiale giudiziario potrà eseguirne il ritiro forzoso. Per un macchinario presso uno stabilimento, analogamente. Per un immobile in leasing, si procede come per uno sfratto: l’ufficiale ingiunge di liberare i locali, e se non avviene interviene con forza pubblica per il rilascio. Il debitore non può opporsi se non con motivi formali (ad esempio sospensione intervenuta, pagamento eseguito, ecc.). Non ottemperare all’ordine di consegna potrebbe esporre, tra l’altro, a responsabilità anche penale per sottrazione di cose pignorate o appropriazione indebita. Pertanto, una volta che l’ingiunzione è definitiva, conviene cooperare nella restituzione del bene, onde evitare ulteriori guai e costi (le spese dell’esecuzione – custodia, rimozione – vengono addebitate al debitore).
Pignoramento dei beni del debitore: Parallelamente o dopo la ripresa del bene, il creditore punterà a pignorare beni o crediti del debitore per soddisfare la somma di denaro dovuta (il debito residuo post vendita bene, oppure l’intero importo se il bene non è stato ancora ripreso/venduto). Le forme di pignoramento possibili:
- Pignoramento mobiliare presso il debitore: l’ufficiale giudiziario può recarsi presso la sede/abitazione del debitore e pignorare beni mobili di proprietà (ad es. attrezzature, arredi, merci). Nel caso di un imprenditore, potrebbero mirare a macchinari non in leasing, veicoli di proprietà, ecc. Tale forma è meno usata dalle società di leasing se sanno già che beni prendere (di solito preferiscono puntare ai conti bancari).
- Pignoramento presso terzi (es. conto corrente, crediti): molto comune. Il creditore può pignorare i conti correnti bancari del debitore (notificando atto alla banca) oppure crediti verso clienti, stipendio, ecc. Ad esempio, per un privato, possono pignorare parte dello stipendio o pensione presso il datore di lavoro/INPS; per un’azienda, possono pignorare crediti che l’azienda vanta verso i propri committenti. I leasing sono spesso concessi da banche che conoscono i conti del debitore, per cui questa è una via efficace.
- Pignoramento immobiliare: se il debitore (persona o azienda) possiede immobili, il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale già col decreto ingiuntivo esecutivo e poi procedere a pignorare l’immobile, metterlo all’asta. Ciò accade per debiti ingenti; ad esempio, leasing immobiliari insoluti, dove magari l’utilizzatore ha altri beni immobili su cui rivalersi.
- Escussione di fideiussori: contestualmente, se c’è un garante che ha anch’egli ricevuto decreto ingiuntivo e questo è esecutivo, il creditore può agire anche contro di lui. In base alla fideiussione, di solito la società può chiedere l’intero importo al garante senza prima escutere il principale (salvo patto di beneficium ordinis, raro). Quindi anche i beni personali del garante possono essere pignorati. Il garante poi avrà rivalsa verso il debitore principale, ma intanto subisce l’esecuzione. In tal senso, i garanti farebbero bene a coordinare la difesa insieme all’utilizzatore nell’opposizione, perché se l’opposizione fallisce entrambi saranno aggredibili.
Opposizioni nell’esecuzione: Se il debitore ritiene che vi siano vizi nella fase esecutiva (ad esempio il precetto contiene importi non conformi alla sentenza, oppure si avvia esecuzione nonostante la concessione di una sospensione), può proporre un’opposizione all’esecuzione (art.615 c.p.c.) o agli atti esecutivi (617 c.p.c.) a seconda del caso. Tuttavia, queste opposizioni non permettono di ridiscutere il merito del credito (quello doveva farsi nell’opposizione a DI). Servono solo per far valere fatti estintivi sopravvenuti (es. pagamento effettuato e ignorato) o vizi formali dell’atto di pignoramento. Ad esempio, se il creditore procede per importi diversi da quelli in decreto (interessi non spettanti oltre, ecc.), si può opporre. Ma nella normalità, una volta che esiste un titolo definitivo, c’è poco da fare: l’esecuzione andrà avanti finché il debito non è pagato o finché non si trova un accordo.
Accordi transattivi e saldo stralcio: Anche durante l’esecuzione forzata, è sempre possibile cercare un accordo. Anzi, spesso proprio sotto la pressione del pignoramento delle proprie disponibilità, il debitore trova un’intesa col creditore per chiudere la vicenda. Le società di leasing talvolta accettano un saldo e stralcio (pagamento di una somma inferiore al dovuto in via transattiva) soprattutto se intravedono rischiosità o tempi lunghi nelle procedure (ad esempio se l’azienda è sull’orlo del fallimento, preferiscono incassare qualcosa subito). Naturalmente, a quel punto il potere contrattuale è ridotto se il titolo è definitivo: conviene attivarsi prima. Cionondimeno, si può proporre, ad esempio: “restituisco subito il bene e pago immediatamente X, a fronte di stralcio del resto”. Nella guida citata di avvocati, si suggeriva per il debitore di considerare soluzioni alternative come cessione del contratto a un terzo o restituzione volontaria concordata prima di giungere alla risoluzione. Effettivamente prevenire è meglio che curare: se il debitore sa di non poter più sostenere il leasing, può proporre al leasing di trovare un acquirente per il bene o un soggetto che subentri nel contratto, evitando la procedura giudiziale.
Caso di insolvenza o fallimento del debitore: Una menzione va fatta: se il debitore è un’impresa e finisce in liquidazione giudiziale (fallimento), subentrano regole particolari. L’art. 72-quater L.Fall. (ora trasfuso negli artt.177-179 del Codice della Crisi d’Impresa) disciplina il leasing in fallimento. In sostanza, se al momento del fallimento il leasing non era ancora risolto, il curatore può sciogliersi dal contratto o continuarlo. Se si scioglie, il bene torna al concedente e quest’ultimo insinua al passivo un credito calcolato come somma dei canoni scaduti e metà dei canoni a scadere (per i beni mobili, differenti percentuali per immobili), dedotto quanto ricavato dal bene. Se invece il contratto era già risolto prima del fallimento, si applicano le regole ordinarie viste (leasing traslativo -> art.1526 analogico). Il creditore a quel punto si insinua come chirografario per il residuo. Per il debitore consumatore queste norme non si applicano, riguardano procedure concorsuali di imprese. Ho citato questo scenario perché in opposizione a decreto ingiuntivo, se interviene il fallimento nel frattempo, la causa si arresta e il creditore dovrà far valere il credito in sede fallimentare. Ma sono questioni oltre l’ambito di questa guida, che è focalizzata sul punto di vista del debitore non fallito. Semplicemente, la presenza di norme speciali in fallimento (art.72-quater) evidenzia come anche il legislatore riconosca la necessità di equità nel calcolo: in quell’articolo, di fatto, è incorporato un patto marciano (il 72-quater prevede appunto deduzione del ricavato del bene e ripartizione dell’eventuale eccedenza al fallimento).
Impatti sul debitore: Subire un’esecuzione forzata a seguito di decreto ingiuntivo di leasing significa rischiare il pignoramento di conti e beni personali/aziendali, con tutte le difficoltà connesse (conto bloccato, reputazione commerciale danneggiata, possibili vendite all’asta di immobili). Inoltre, il debito aumenta per via degli interessi e spese di esecuzione. Per questo è cruciale muoversi per tempo: già in opposizione cercare di ridurre il dovuto e magari, parallelamente, studiare un piano di rientro.
Conclusione pratica: Dal punto di vista del debitore, “difendersi bene” da un decreto ingiuntivo su leasing significa: opporsi efficacemente sul piano legale per far valere i propri diritti (ridurre importi illegittimi, far emergere eventuali torti del creditore) e, allo stesso tempo, gestire in modo oculato la fase esecutiva (restituire il bene tempestivamente per limitare i costi, valutare transazioni, evitare mosse che aggravino la posizione). Nei prossimi paragrafi troverai alcune domande e risposte ricorrenti che riassumono molti degli aspetti trattati, e infine un’ulteriore tabella riassuntiva con i punti-chiave delle difese del debitore.
Domande frequenti (FAQ) – Decreto ingiuntivo e leasing
D: Cos’è in parole semplici un decreto ingiuntivo su un leasing?
R: È un ordine emesso dal giudice su richiesta della società di leasing (o di chi è subentrato nel credito) che intima al debitore/utilizzatore di pagare quanto dovuto in base al contratto di leasing e di restituire il bene oggetto del leasing. Viene emesso senza ascoltare prima il debitore, sulla base del contratto e dei documenti che attestano il mancato pagamento dei canoni. Se il debitore non reagisce entro 40 giorni, il decreto diventa definitivo ed equiparabile a una sentenza: il creditore potrà allora procedere con pignoramenti e prelievo forzato del bene. È uno strumento rapido che tutela il creditore, quindi per il debitore è fondamentale non ignorarlo e attivarsi subito per contestarlo se vi sono motivi validi.
D: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo leasing, cosa devo fare subito?
R: Devi rivolgerti prontamente a un avvocato e valutare la proposizione di un’opposizione entro 40 giorni dalla notifica. Insieme al legale dovrai esaminare il contratto di leasing, il conteggio del credito, e individuare le possibili difese (vizi procedurali, errori di calcolo, tassi usurari, clausole nulle, ecc.). L’opposizione si propone con atto di citazione al tribunale che ha emesso il decreto: dà il via a un giudizio in cui potrai far valere le tue ragioni e bloccare (temporaneamente o definitivamente) l’esecuzione. Se non fai nulla entro 40 giorni (o il termine indicato), il decreto diverrà esecutivo: a quel punto il creditore potrà iniziare i pignoramenti (ad es. blocco conto corrente, stipendio, auto) e riprendere il bene in leasing. Quindi, la mossa immediata è: non lasciar scadere i termini e preparare un’opposizione ben motivata. Nel frattempo, se il decreto è provvisoriamente esecutivo (verificalo: dovrebbe essere scritto nel decreto), il creditore potrebbe agire subito; in tal caso, si può anche chiedere al giudice una sospensione urgente.
D: Quanto tempo ho per oppormi e cosa succede se perdo il termine?
R: Il termine standard è 40 giorni dalla notifica (non dal ricevimento, ma dalla data in cui l’atto ti è stato consegnato o si è perfezionato secondo le regole di notifica). Se lasci trascorrere questo periodo senza presentare opposizione, il decreto ingiuntivo diventa definitivo. Ciò significa che non potrai più contestare nel merito il debito in quella sede. L’unica possibilità residuale sarebbe l’opposizione tardiva ex art.650 c.p.c., ma è ammessa solo in casi eccezionali: ad esempio, se non hai potuto fare opposizione per cause di forza maggiore o per irregolarità nella notifica (es. non sapevi del decreto perché notificato a un vecchio indirizzo e l’hai scoperto tardi). Ma queste situazioni sono rare e di non semplice accoglimento. In pratica, perso il termine, il decreto è equiparabile a una sentenza passata in giudicato: dovrai pagare e subire l’esecuzione, salvo cercare un accordo col creditore. Dunque 40 giorni è il limite invalicabile nella normalità dei casi.
D: Posso evitare il decreto ingiuntivo prima che accada?
R: Idealmente sì: il decreto ingiuntivo arriva di solito dopo che sei già in mora con i pagamenti e hai magari ricevuto solleciti o diffide dalla società di leasing. Se sai di non poter pagare le rate di leasing, hai qualche opzione prima che si arrivi al monitorio:
- Puoi tentare di rinegoziare il contratto di leasing o un piano di rientro col concedente, spiegando le difficoltà e magari versando almeno una parte del dovuto per guadagnare tempo.
- Puoi proporre di cedere il contratto a un terzo disposto a subentrarvi (molti contratti lo consentono con approvazione del concedente) in modo che sia il terzo a continuare a pagare.
- In extrema ratio, puoi restituire volontariamente il bene prima che te lo chiedano, cercando di negoziare la chiusura anticipata: alcune società accettano di riprendersi il bene e di chiudere il rapporto chiedendo un conguaglio inferiore a quanto chiederebbero dopo una risoluzione “punitiva”.
- Se il problema è temporaneo, potresti chiedere una sospensione o moratoria (ad esempio, negli anni di crisi a volte banche e leasing concedevano rinvio di alcune rate).
Nessuna di queste vie è garantita, dipende dalla disponibilità della controparte. Ma provare a trattare prima è sempre meglio che arrivare al decreto ingiuntivo. Una volta emesso, la società di leasing di solito irrigidisce la posizione (ha speso soldi per avvocati, ecc.), e pretenderà tutto il dovuto più spese legali.
D: Cosa succede se non mi oppongo e non pago dopo il decreto?
R: In assenza di opposizione e di pagamento spontaneo, trascorsi i 40 giorni la società di leasing (o chi per essa) potrà agire in via esecutiva. Il primo passo sarà la notifica di un atto di precetto, che ti dà un ultimatum di 10 giorni per pagare. Se ancora non paghi, potranno:
- Pignorarti i beni (conto corrente, stipendio/pensione, auto di proprietà, immobili, ecc.) fino a concorrenza del credito. Ad esempio, potrebbero bloccare il conto e prelevare il saldo dovuto, o notificare al tuo datore di lavoro il pignoramento di una quota dello stipendio mensile.
- Intervenire per ritirare il bene in leasing: auto, macchinari, apparecchiature – con l’ufficiale giudiziario, forzando la restituzione. Se ti rifiuti, possono coinvolgere forze dell’ordine e potresti incorrere in responsabilità (il bene ormai è legalmente dovuto indietro).
- Addebitarti ulteriori spese: le spese legali dell’esecuzione, compensi di avvocati, ufficiali, custodi, ecc., si sommeranno al tuo debito.
In sostanza diventerai soggetto esecutato. Se il debito è ingente e sei un imprenditore, esiste anche il rischio (remoto, ma possibile) che tu venga spinto verso una procedura concorsuale (fallimento) se diversi creditori agiscono. Se sei un privato, potresti vederti sottrarre beni di famiglia (tranne quelli impignorabili per legge). Insomma, non fare nulla è lo scenario peggiore: il creditore userà tutti i mezzi per recuperare. Pertanto, anche se ti sembra di non avere difese sul merito, può convenire opporsi almeno per guadagnare tempo e magari vendere spontaneamente dei beni per pagare, o trovare un accordo, anziché farti pignorare tutto in fretta.
D: Durante l’opposizione, devo comunque restituire il bene o pagare?
R: Dipende. Se il decreto ingiuntivo non è provvisoriamente esecutivo, allora la notifica del decreto ti impone di fare qualcosa entro 40 giorni ma il creditore non può forzare l’esecuzione finché pendi opposizione. Quindi fino alla sentenza sei “protetto” e non devi restituire subito il bene (a meno che tu decida di farlo spontaneamente per ridurre i danni, cosa che a volte è opportuna). Se invece il decreto è stato emesso con clausola di provvisoria esecuzione (il che è frequente nei leasing, specie per la restituzione bene), il creditore può agire subito. In pratica potrebbe presentarsi l’ufficiale giudiziario per l’auto anche se hai depositato opposizione. In questo scenario, puoi chiedere d’urgenza al giudice dell’opposizione di sospendere l’esecuzione (sospendere la provvisoria esecutività del decreto) ex art.649 c.p.c. Se il giudice accorda la sospensione per gravi motivi, il creditore dovrà attendere l’esito della causa per eseguire. Ma se la sospensione non viene concessa, l’esecuzione andrà avanti durante la causa. In tal caso, a volte conviene consegnare il bene per evitare ulteriori spese (dimostrando buona fede) e concentrarsi sul contestare le somme. Quanto al pagamento, non sei obbligato a pagare durante l’opposizione, però sappi che sul debito continueranno a maturare interessi moratori. Se hai liquidità e la tua opposizione verte magari su questioni di principio (tipo interessi usurari), potresti depositare in tribunale la somma non contestata, o l’intero importo con riserva di ripetizione, per dimostrare che non vuoi solo perdere tempo. Questa è una strategia a volte usata per evitare il rischio di esecuzione: depositi in cancelleria le somme, chiedi sospensione; se vinci ti restituiscono, se perdi quelle somme vanno al creditore. Ma è un caso particolare. In generale, durante l’opposizione non sei costretto a pagare, ma rischi l’esecuzione se il decreto è esecutivo.
D: Il bene in leasing è già tornato alla società, devo comunque pagare qualcosa?
R: Sì, la restituzione del bene non estingue automaticamente il debito. Come spiegato, in caso di risoluzione anticipata tu sei tenuto a coprire il delta tra il credito residuo e il valore ricavato dal bene. Quindi, se ad esempio ti è stata ingiunta la restituzione e tu l’hai eseguita, la società di leasing venderà o ricollocerà il bene e poi ti chiederà la differenza. Nella migliore delle ipotesi, se il bene vale molto e il tuo arretrato era piccolo, potresti non dover più nulla o addirittura aver diritto a un conguaglio a tuo favore. Ma questo è raro (accade se avevi pagato quasi tutto). Di solito rimane un debito residuo. E il decreto ingiuntivo serve proprio a riscuotere quel residuo. Dunque, restituire il bene è giusto e doveroso, ma non ti esonera dal pagamento delle somme pattuite (canoni scaduti, eventuale capitale a scadere non coperto dal valore del bene, interessi, spese). È sbagliato pensare “gli ho ridato l’auto, siamo pari”: no, perché il contratto prevedeva un certo valore. Solo la vendita all’asta del bene potrà diminuire ciò che devi, ma se non copre tutto dovrai pagare differenza. Naturalmente, è fondamentale assicurarsi che il creditore detragga correttamente il valore del bene incassato: su questo abbiamo insistito, e se non lo fa spontaneamente, va imposto dal giudice.
D: Come faccio a sapere se gli interessi del mio leasing sono usurari o illegittimi?
R: Devi recuperare il contratto di leasing e verificare i tassi indicati. Cerca:
- Il tasso nominale annuo del leasing (quello base per calcolare i canoni). Di solito è indicato nella proposta o nelle condizioni economiche (es. “TAN 7%”). Se non è indicato affatto, c’è già un problema di trasparenza.
- Il tasso di mora previsto per ritardato pagamento. Ad esempio potrebbe dire “interessi di mora: TAN + 5 punti” oppure un valore fisso (es. “mora 10% annuo”).
Una volta trovati, confrontali con il tasso soglia vigente all’epoca della stipula. Per i leasing, esistono tassi soglia differenziati (leasing auto, leasing immobiliare, etc.). Puoi trovare i decreti del MEF per il trimestre in cui hai firmato il contratto – spesso allegati al contratto stesso c’è il TAEG di confronto. Se il tasso di mora convenuto supera la soglia d’usura, è molto probabile che quella clausola sia nulla. Ad esempio, supponiamo che nel 2020 la soglia per leasing fosse 11% e il tuo tasso di mora è 15%: c’è usura contrattuale. Questo è un motivo forte di opposizione. Se invece il tasso base è alto, verifica anche quello: se superava la soglia, allora addirittura nessun interesse è dovuto (caso raro, ma non impossibile in microleasing). Inoltre, verifica se il contratto prevede costi ulteriori che possono concorrere al TAEG (commissioni, spese incasso): a volte includendo quelli il tasso effettivo annuo risulta più alto. Ti consigliamo di farti assistere da un professionista o un consulente tecnico: nelle opposizioni spesso vengono depositate perizie econometriche per dimostrare usura e anatocismo. Ad esempio, un CTU nominato dal Tribunale di Roma ha avuto il compito di verificare se il contratto di leasing presentava indeterminatezza, anatocismo o usura. Il CTU controlla ogni formula. Anche tu, nel tuo piccolo, puoi vedere sul contratto se c’è la clausola di salvaguardia (“tassi adeguati ai limiti legge”), che però come detto non salva dalla nullità, e se c’è una chiara indicazione del TAEG (tasso annuo effettivo globale). Se il TAEG indicato dal contratto era inferiore alla soglia e i tuoi pagamenti rispettano quello, probabilmente non c’è usura. In caso di dubbio, una perizia è la via.
D: Ho firmato senza leggere bene, posso dire che il contratto è nullo per questo?
R: La legge presume che quanto firmi lo hai letto e compreso, soprattutto se sei un imprenditore o professionista. Non puoi ottenere l’annullamento per “errore” salvo casi eccezionali (es. ti hanno ingannato sul contenuto, allora sarebbe dolo contrattuale, ma devi provarlo). In generale, non sapere cosa c’era scritto non è una difesa valida. Piuttosto, devi appigliarti a norme che proteggono la parte debole senza bisogno di non aver capito:
- Se sei consumatore, come detto, varie clausole possono essere annullate perché vessatorie indipendentemente dal fatto che tu le capissi o meno. Anche la modulistica deve averti fatto approvare specificamente certe clausole (quelle di cui all’art.1341 c.c., come deroga foro, arbitrati, ecc.): controlla se accanto alle firme finali ci sono firme aggiuntive per quelle clausole. Se mancano, per un consumatore è un ulteriore appiglio (ma pure per un imprenditore, l’art.1341 c.c. vale per contratti per adesione).
- Puoi invocare l’indeterminatezza di clausole come abbiamo discusso: se il tasso non era chiaro, non è questione di “non l’ho letto” ma di “oggettivamente non era determinato”. Quindi la nullità viene da un vizio oggettivo, non soggettivo tuo.
- In casi estremi, se il contratto di leasing è davvero squilibrato e tu sei un piccolo imprenditore, potresti tentare la carta della meritevolezza della causa o dell’equità (art. 1418 c.c., contrarietà a ordine pubblico di clausole leonine). Non facile, ma qualcosa si muove: nel 2023 la Cassazione ha persino affermato la possibilità di rilevare d’ufficio clausole nulle per squilibrio contrattuale anche senza input del consumatore, in linea con la tutela europea del consumatore.
Quindi, in breve: non potrai dire “non sapevo, annullate tutto”, ma potrai dire “questa clausola X è nulla perché viola la norma Y, e io chiedo di non applicarla”.
D: Sono garante (fideiussore) di un leasing di un’azienda: posso difendermi come il debitore?
R: Sì, in larga misura il garante può far valere tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, tranne quelle a lui personalissime. In particolare, nel decreto ingiuntivo spesso viene ingiunto pagamento anche ai garanti (coobbligati in solido). Tu come garante potrai:
- Proporre opposizione e contestare la validità del contratto principale (leasing) con le stesse argomentazioni del debitore. Ad esempio, se il leasing era nullo per tasso usurario, la nullità giova anche a te garante, perché l’obbligazione di garanzia non può eccedere quella principale.
- Sollevare eccezioni specifiche della fideiussione: ad es. se la tua fideiussione è omnibus e ricalca schema ABI, potresti eccepirne la nullità per antitrust (anche se, come detto, quelle specifiche per leasing potrebbero sfuggire all’intesa vietata). Oppure eccepire la liberazione ex art.1957 c.c. se il creditore ha tardato a agire (però attenzione: molte fideiussioni rinunciano a questo beneficio, e comunque l’azione col decreto è stata rapida di solito).
- Invocare eventualmente la qualità di consumatore se ne hai i requisiti: se tu, persona fisica, hai fatto da garante a un’operazione che non ha a che fare con la tua attività imprenditoriale, alcuni giudici ti riconoscono le tutele consumeristiche. Quindi potresti invalidare la clausola di deroga foro (e farti spostare la causa nel tuo foro) o altre clausole vessatorie nei tuoi confronti. Come abbiamo visto, dipende dal tuo legame con l’azienda debitrice: se sei solo un parente che ha garantito, direi consumer; se sei socio o amministratore, più difficile.
In sostanza, il garante può (e deve) difendersi attivamente, perché rischia di subire l’esecuzione tanto quanto il debitore principale. Non è saggio pensare “è la società che deve pagare, io sono solo garante”: legalmente, il garante obbligato in solido è come un co-debitore, il creditore può benissimo saltare la società e pignorare te se sei più solvibile. Quindi le opposizioni vanno fatte in parallelo o congiunte. E se il garante ha difese personali (es. nullità fideiussione), le alza.
D: Se perdo l’opposizione, dovrò pagare anche le spese legali dell’altra parte?
R: Di norma sì. Nella sentenza che chiude l’opposizione, il giudice regola le spese di lite. Se la tua opposizione viene respinta totalmente, risulterai “soccombente” e sarai condannato a rimborsare alla controparte le spese legali del giudizio di opposizione (onorari avvocati, contributo unificato, etc., secondo i parametri). Inoltre, resteranno a tuo carico le spese già liquidate nel decreto ingiuntivo. Quindi finirai per pagare anche tutte le spese processuali. Se invece la tua opposizione riesce totalmente (decreto revocato) o parzialmente (importo ridotto), normalmente il giudice pone le spese a carico della parte prevalentemente soccombente (cioè la società di leasing). Potrebbe anche fare una compensazione (ogni parte paga le proprie) se, ad esempio, avete vinto e perso su alcuni punti ciascuno. Dunque c’è il rischio spese, ma va bilanciato col possibile risparmio sul merito. Ad esempio, se opporsi ti costa 5 mila € di legale e rischi altri 5 mila € di spese se perdi, ma ti potrebbe far risparmiare 50 mila € di indebito, chiaramente vale la pena tentare. Considera che talvolta, se emergono vizi tipo usura o nullità clausole, il giudice può condannare la banca/lease a pagare anche le spese (perché hai fatto valere un diritto sacrosanto).
D: Ci sono precedenti di tribunale a favore dei debitori in casi simili?
R: Sì, molti. Negli ultimi anni la giurisprudenza italiana ha prodotto varie sentenze a favore di utilizzatori di leasing o garanti, riconoscendo ad esempio:
- la nullità di clausole di interessi di mora usurari nei leasing e l’azzeramento di tali interessi;
- l’analogia con l’art.1526 c.c. per i leasing traslativi pre-2017 e quindi l’obbligo di equo conguaglio (non far pagare tutto senza restituzioni);
- la riduzione di penali eccessive e la necessità di valutare la proporzione tra canoni già pagati e danno subito dal concedente;
- la nullità per indeterminatezza di clausole di tasso se il contratto non spiega bene il calcolo (vedi Cass.35084/2024 sopra);
- la possibilità per un garante-consumatore di avere tutela consumeristica (alcuni tribunali l’hanno ammessa, altri no, ma è tema caldo).
Insomma, non sei il primo ad opporsi a un decreto di leasing: ci sono stati casi di successo. Ad esempio, ci sono pronunce di merito (Trib. Milano 2025) che hanno affrontato inadempimenti leasing e applicato correttamente la nuova legge; oppure Trib. Brescia 2022 che ha riscontrato errori di calcolo nel monitorio e ridotto la somma. Anche la Suprema Corte, come visto, con la sentenza di febbraio 2024 n.3930 ha fissato principi importanti a tutela del debitore (usura mora, clausola di risoluzione da valutare col 1526, necessità di criteri trasparenti per interessi). Nella sezione Fonti in fondo a questa guida troverai riferimenti ad alcune di queste decisioni, che potranno essere utili al tuo avvocato.
D: Se l’azienda debitrice fallisce, la società di leasing può comunque perseguirmi (come garante) o i beni personali?
R: Sì. Il fallimento dell’utilizzatore comporta che la società di leasing dovrà insinuare il proprio credito nel fallimento per la parte non coperta dal bene (secondo i criteri di legge). Ma se tu hai fatto da garante personale (fideiussore), la tua obbligazione rimane in piedi e non è toccata dal fallimento altrui. La società potrà quindi agire contro di te (decreto ingiuntivo e esecuzione) per ottenere il pagamento. Tu a tua volta potrai insinuarti nel fallimento come surroga, ma intanto paghi. Lo stesso se hai dato un’ipoteca o pegno a garanzia: possono agire su quelle garanzie (azione separata). Se invece sei socio illimitatamente responsabile o coobbligato principale, allora il fallimento si estende anche a te (caso delle SNC, ad esempio). In generale, la presenza di un fallimento rende ancora più importante per il creditore rivalersi su garanti e beni fuori massa. Dal lato tuo, se sei garante e la società è insolvente, potresti valutare strumenti di gestione del sovraindebitamento (se persona fisica non fallibile) per evitare di essere schiacciato dal debito, oppure transare per chiudere la posizione. Ma questo esula dal focus del leasing. Da sapere: nel Codice della Crisi (D.Lgs.14/2019) anche i consumatori sovraindebitati possono chiedere di essere esdebitati; se ti trovi ad avere un debito insostenibile dal leasing, è una via estrema ma c’è.
D: Cos’è la “clausola 642 c.p.c.” di cui parlano nel decreto ingiuntivo?
R: Probabilmente si riferisce a una dichiarazione inserita nel contratto dove l’utilizzatore riconosce il debito e accetta la provvisoria esecutorietà del futuro decreto ingiuntivo. In pratica, l’art.642 c.p.c. consente al giudice di dare immediata esecuzione al decreto se vi è pericolo nel ritardo o se il credito è fondato su determinate prove. Alcune banche inseriscono nel contratto standard una clausola in cui il debitore concorda che il credito risulterà da scritture contabili certificate ex art.50 TUB e che il giudice potrà rendere esecutivo il decreto. Non è propriamente vincolante per il giudice (deve valutare comunque), ma spesso viene menzionata per rafforzare la richiesta. È chiamata colloquialmente clausola di esecutorietà anticipata. Per te significa che molto probabilmente il decreto che hai ricevuto era già esecutivo e la società può non aver dovuto aspettare 40 giorni per agire. In opposizione, puoi contestare l’abuso di questa clausola se mancavano i presupposti (es. nessuna urgenza vera), ma in pratica una volta concessa l’esecuzione devi puntare alla sospensione come detto.
D: Il leasing era “operativo” (senza riscatto): cambia qualcosa nella difesa?
R: Sì e no. Dal punto di vista procedurale (ingiunzione, opposizione) nulla cambia: i diritti processuali sono gli stessi. Cambiano alcuni argomenti di merito: nel leasing operativo, non si applica la legge 124/2017, quindi niente soglie fisse di inadempimento e niente obbligo legale di conguaglio, ma allo stesso tempo i giudici riconoscono comunque il principio per cui il concedente non può ottenere più del danno subito. Dunque, in opposizione potrai insistere molto sulla riduzione della penale ex art.1384 c.c., evidenziando che il concedente trattiene già i canoni passati e si riprende il bene, e che chiedere anche tutti quelli futuri integralmente sarebbe un arricchimento. Spesso nei leasing operativi c’è una clausola penale tipo “XX% dei canoni residui” e non 100%. Se è una percentuale moderata (es. 50%), il giudice potrebbe considerarla equa; se è 100% allora la vedrà come eccessiva. Inoltre, potresti avere più margine per eccepire vizi del bene come difesa, perché nel leasing operativo il concedente è generalmente anche fornitore/gestore del bene: se non ha manutenuto il macchinario e si è rotto causando il tuo inadempimento, puoi addurre inadempimento del concedente. Nel leasing finanziario ciò non funziona perché il concedente è finanziatore e scarica i vizi sul fornitore esterno, nel leasing operativo invece concessionario e fornitore coincidono spesso. Quindi la tua exceptio non pagamento per bene difettoso ha più forza. Infine, per i calcoli di interessi e usura: di solito il leasing operativo ha canoni fissi pattuiti, a volte senza separata indicazione di tasso. Potresti eccepire indeterminatezza se davvero manca un tasso di riferimento. Quanto all’usura, se non è finanziario forse la categoria di riferimento potrebbe essere “altri finanziamenti” ma comunque il concetto di soglia vale. Verifica il tasso implicito. Insomma, la difesa nel leasing operativo è più vicina a quella di un normale contratto di noleggio: concentratevi su eventuale ingiustizia della penale e su eventuali inadempimenti contrattuali del concedente.
D: Dopo la sentenza sull’opposizione, posso fare appello?
R: Sì. La sentenza che definisce il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è una sentenza di primo grado, quindi appellabile entro i termini (di solito 30 giorni se notificata, altrimenti 6 mesi dal deposito). Durante l’appello, però, il decreto ingiuntivo di solito è provvisoriamente esecutivo (a meno che in primo grado l’abbiano sospeso del tutto, eventualità rara se hai perso). Quindi, se sei soccombente in primo grado e fai appello, dovresti chiedere alla corte d’appello di sospendere l’esecutività (cosa ancor più difficile da ottenere). Insomma, l’appello non ferma l’esecuzione salvo casi eccezionali. In appello potrai far valere errori di diritto del tribunale. Ad esempio, se ritieni che il giudice non abbia applicato correttamente un principio di legge (magari ha disconosciuto usura in contrasto con Cassazione, o ti ha negato un diritto di consumatore), potrai ribaltare. Ma valuta costi/benefici: se ormai la causa riguarda solo 10 mila € e l’appello te ne costa 8 mila, forse non conviene. In più, le cause d’appello durano qualche anno, quindi se nel frattempo ti pignoreranno i beni potresti subire il danno comunque. L’appello è utile se c’è un principio importante o se la somma è ingente e hai chance concrete di vincere in secondo grado.
D: Potrei risolvere questa situazione con una procedura di sovraindebitamento (tipo legge 3/2012) o altra soluzione?
R: Se sei una persona fisica non fallibile (consumatore o piccolo imprenditore sotto soglie) e il debito del leasing, sommato magari ad altri debiti, ti schiaccia, puoi valutare la procedura prevista dalla legge sul sovraindebitamento (ora nel Codice della Crisi): piano del consumatore o liquidazione controllata del patrimonio. È una sorta di “mini-fallimento” per privati, dove presenti un piano per pagare i creditori in parte e avere l’esdebitazione. Il giudice può anche stralciare una parte di debiti se approva il piano per ragioni di meritevolezza. Ad esempio, un consumatore con un leasing auto non pagato potrebbe proporre di vendere l’auto, dare quel ricavato ai creditori e farsi cancellare il resto del debito. Tuttavia, queste procedure sono complesse e non immediate; inoltre richiedono che tu metta a disposizione tutto il tuo patrimonio non essenziale. È una via di ultima istanza. Se invece sei un imprenditore che può fallire, oltre certe soglie di debito rischi effettivamente il fallimento su istanza del creditore (se il debito supera €30k e ci sono altri insoluti). La società di leasing spesso preferisce agire esecutivamente sui beni e basta, il fallimento lo chiede se vede che non recupera niente via esecuzioni singole. A quel punto tu perderesti la gestione: verrebbe un curatore a liquidare i tuoi beni. Perciò, meglio muoversi prima, magari vendendo qualche asset volontariamente per chiudere il debito, piuttosto che arrivare a quel punto.
Queste domande coprono molti dubbi comuni. In generale, la regola d’oro è: informarsi bene sui propri diritti (cosa che stai facendo leggendo questa guida), agire tempestivamente e strategicamente, e farsi assistere da professionisti competenti in diritto bancario/finanziario, perché le questioni possono essere molto tecniche (tassi, calcoli, normative speciali). Nel prossimo paragrafo conclusivo forniamo una tabella riepilogativa degli aspetti chiave delle possibili difese del debitore in un decreto ingiuntivo da leasing, in modo da avere un colpo d’occhio finale.
Tabelle riepilogative delle difese del debitore e riferimenti normativi
Di seguito una tabella che sintetizza le principali possibili difese/opposizioni che un debitore può sollevare contro un decreto ingiuntivo su contratto di leasing, indicando per ciascuna la base giuridica e l’effetto ottenibile:
Note: Molte di queste difese possono coesistere nell’opposizione; spesso gli avvocati del debitore le articolano in via subordinata. Ad esempio: prima eccepiscono usura (per azzerare interessi), poi in subordine chiedono riduzione penale ex art.1384 c.c., e così via. Il giudice valuterà ogni profilo. È importante fornire prove e/o chiedere consulenze tecniche dove opportuno (soprattutto per questioni di tassi di interesse). Le sentenze di Cassazione citate (SU 2021 n.2061, Cass.2024 n.3930, etc.) rappresentano orientamenti autorevoli di cui tener conto nella propria strategia difensiva.
Conclusione
Difendersi efficacemente da un decreto ingiuntivo legato a un contratto di leasing richiede un approccio accurato e multidisciplinare. Dal punto di vista del debitore, è essenziale comprendere che il leasing, pur essendo uno strumento finanziario diffuso, presenta insidie contrattuali (tassi, clausole penali, rischi sui beni) che, in caso di inadempimento, possono tradursi in pretese molto onerose da parte del concedente. Tuttavia, l’ordinamento giuridico italiano – attraverso sia la legislazione (ad esempio la riforma del 2017) sia la giurisprudenza – ha approntato una serie di tutele per evitare che il debitore subisca ingiustizie o paghi più del dovuto.
Abbiamo visto come la legge 124/2017 abbia introdotto una maggiore equità nei leasing finanziari, imponendo soglie di tolleranza per la risoluzione e soprattutto il conguaglio patto marciano in caso di risoluzione per inadempimento. Questo già di per sé protegge il debitore da richieste eccessive (come trattenere sia il bene sia tutti i soldi). Per i contratti più vecchi o i leasing operativi, la supplenza della giurisprudenza (art.1526 c.c. in analogia, riduzione delle penali, ecc.) offre comunque appigli di difesa. Inoltre, strumenti generali come la normativa antiusura e antianatocismo valgono erga omnes: se il leasing ha interessi fuori legge, quel vantaggio indebito non sarà riconosciuto al creditore. Le Corti hanno più volte affermato principi a favore dei debitori, come la rilevabilità d’ufficio delle clausole nulle nei contratti bancari e la necessità di verificare sempre la presenza di condizioni usurarie o non trasparenti.
In questa guida abbiamo affrontato, con un linguaggio il più possibile chiaro ma senza rinunciare al rigore giuridico, tutti i principali aspetti della difesa in sede di opposizione a decreto ingiuntivo per leasing. L’argomento è complesso e “di frontiera” tra diritto civile, diritto bancario e procedura civile. Per un privato o imprenditore debitore non è facile orientarsi tra articoli di legge e sentenze: perciò, l’auspicio è che il presente lavoro fornisca una mappa dettagliata. Dalla preventiva attenzione (cosa fare quando si firma un leasing e cosa evitare di sottovalutare) alla reazione procedurale (tempistiche, atti da compiere, possibili esiti), fino alle tecniche difensive specifiche (contestazioni sul contratto, sui calcoli, sulle garanzie), il debitore informato ha sicuramente più chance di giungere a un esito equo.
Va sottolineato che ogni caso concreto può presentare peculiarità: ad esempio, contratti di leasing di immobili con patto di rivendita, leasing in ambito consumeristico piuttosto che leasing strumentali di importo elevato – ognuno richiederà un’analisi ad hoc. Le linee generali però restano valide: far valere i propri diritti di fronte a un decreto ingiuntivo non è impossibile, anzi è un diritto sacrosanto del cittadino garantito dall’ordinamento (diritto alla difesa, art.24 Cost.).
In definitiva, “difendersi bene” da un decreto ingiuntivo sul leasing significa:
- agire tempestivamente e affidarsi a consulenti legali esperti in materia finanziaria;
- non lasciarsi intimorire dalla natura sommaria del decreto: in opposizione si apre un vero giudizio, dove anche la “parte debole” può far valere le proprie ragioni e mettere in discussione le pretese;
- utilizzare tutte le leve normative a disposizione, dalla verifica dei requisiti formali (che spesso vengono trascurati) alla contestazione di merito più sofisticata (tassi soglia, nullità contrattuali);
- mantenere un approccio pragmatico: talvolta una soluzione negoziale può essere preferibile a una lunga battaglia legale, valutando costi e benefici;
- imparare, per il futuro, dai propri errori o leggerezze: la prossima volta, leggere bene il contratto di leasing, negoziare clausole più equilibrate se possibile, o magari considerare alternative (ad esempio un finanziamento tradizionale) se le condizioni di leasing appaiono troppo gravose.
Dal punto di vista del debitore, questa vicenda può essere difficile, ma affrontandola con le giuste conoscenze e strategie si possono evitare gli esiti più penalizzanti e ristabilire un certo equilibrio nel rapporto con il creditore. La legge, dopotutto, non vuole distruggere chi fa impresa o acquista beni tramite leasing, ma garantire che ciascuno ottenga il dovuto: il creditore il suo capitale con un giusto compenso, e il debitore di non pagare oltre ciò che è legittimo e pattuito in modo trasparente.
“Difendersi bene” significa quindi far valere la giustizia sostanziale all’interno delle regole processuali: non per sottrarsi ai propri obblighi, ma per onorarli in misura corretta, senza subire abusi o irregolarità. Con questa guida, ricca di riferimenti a fonti normative e giurisprudenziali aggiornate, speriamo di aver fornito un valido strumento per raggiungere tale scopo.
Fonti e Riferimenti
- Legge 4 agosto 2017, n.124, art.1 commi 136-140 – Definizione di locazione finanziaria e disciplina della risoluzione per inadempimento. Pubblicata in G.U. n.189/2017.
- Cass., Sez. Unite Civili, 28 gennaio 2021, n.2061 – Principi di diritto su irretroattività della L.124/2017 e distinzione leasing traslativo/godimento per contratti risolti prima.
- Cass., Sez. III, 13 febbraio 2024, n.3930 – Ordinanza (Pres. Travaglino, Rel. Cricenti) sul leasing immobiliare traslativo: usura degli interessi moratori, nullità clausola di risoluzione senza conguaglio (applicazione art.1526 c.c.) e indeterminatezza del tasso leasing.
- Cass., Sez. I, 30 dicembre 2024, n.35084 – Ordinanza sulla nullità per indeterminatezza di clausole di indicizzazione nei contratti di leasing e applicazione dell’art.117 TUB in caso di tasso non chiaramente determinato.
- Cass., Sez. Unite Civili, 18 settembre 2020, n.19597 – Sentenza che chiarisce l’assoggettabilità degli interessi di mora alla legge antiusura e le modalità di confronto con la soglia (confermata da Cass. 1930/2024 sopra).
- Tribunale di Roma, Sentenza 10 maggio 2023, n.7396 – Pronuncia in opposizione a decreto ingiuntivo su leasing immobiliare con garanti: valutazione della qualifica di consumatore del garante (negata perché socio/amministratore) e validità delle fideiussioni; conferma che contratto leasing conteneva tutti gli elementi del tasso (no indeterminatezza) e che piano “francese” non comporta anatocismo illecito.
- Tribunale di Brescia, Sentenza 12 agosto 2022, n.2133 – Causa di opposizione a DI leasing: discussi quesiti su anatocismo, indeterminatezza tasso di mora e usura. CTU individuata errata applicazione tasso di mora e mancata indicizzazione (no violazione anatocismo).
- Tribunale di Monza, Sentenza 16 novembre 2024 (Giud. Rizzotto) – In materia di cessione di crediti in blocco ex art.58 TUB: onere della cessionaria di provare l’inclusione specifica del credito ceduto; in caso di mancata prova, accoglimento opposizione a DI e revoca decreto.
- Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005) – in particolare artt.33-36 (clausole vessatorie nei contratti B2C) e art.18 (definizioni di consumatore e professionista). Utili per valutare nullità di clausole foro, penali eccessive, ecc., in contratti leasing a consumatori.
- Codice Civile italiano – rilevanti: artt.633-648 c.p.c. (procedura ingiuntiva e opposizione); art.1283 c.c. (anatocismo); art.1815 c.c. co.2 (effetti usura); art.1341-1342 c.c. (clausole vessatorie da approvare); art.1384 c.c. (riduzione penale); art.1455 c.c. (importanza inadempimento); art.1526 c.c. (risoluzione vendita con riserva – analogia leasing traslativo); artt. 117 e 120 TUB D.Lgs.385/93 (trasparenza contratti bancari e capitalizzazione interessi).
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Quando e perché arriva il decreto ingiuntivo sul leasing?
Il decreto ingiuntivo viene richiesto dalla società di leasing quando:
- Ci sono canoni scaduti e non pagati
- È stata risolta anticipatamente la fornitura per inadempimento
- Viene richiesto il pagamento dell’intero residuo del contratto
- Il bene è stato restituito, ma la società chiede ulteriori somme
Spesso si tratta di importi elevati, calcolati in modo automatico e unilaterale, senza tener conto di eventuali vizi del bene o della situazione reale del debitore.
Come difendersi da un decreto ingiuntivo per leasing?
Hai 40 giorni dalla notifica per fare opposizione. Puoi contestare:
- L’importo richiesto, se sproporzionato o non giustificato
- L’interesse moratorio illegittimo o l’applicazione di penali eccessive
- La legittimità della risoluzione del contratto
- Eventuali clausole abusive o squilibrate nel contratto
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Conclusione
Un decreto ingiuntivo sul leasing può essere contestato e bloccato. Ma devi agire subito.
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