Quanto Dura Un Titolo Esecutivo E Quando Scade L’Efficacia?

Hai ricevuto un pignoramento o un sollecito di pagamento basato su un titolo esecutivo vecchio di anni e ti stai chiedendo se è ancora valido o se è scaduto? Vuoi capire quanto dura l’efficacia di un titolo esecutivo e in quali casi puoi farlo valere o contestarlo per prescrizione?

Capire quando un titolo esecutivo perde efficacia è essenziale per sapere se il creditore ha ancora il diritto di agire contro di te o se puoi bloccare l’esecuzione semplicemente dimostrando che il titolo non è più valido.

Cos’è un titolo esecutivo?
È il documento legale che consente al creditore di agire esecutivamente contro il debitore, cioè di pignorare beni, conti, stipendi o immobili. Può essere:
– Una sentenza
– Un decreto ingiuntivo
– Una cartella esattoriale
– Un avviso esecutivo
– Un atto notarile con obbligo di pagamento
– Un lodo arbitrale esecutivo

Quanto dura l’efficacia di un titolo esecutivo?
La regola generale è che un titolo esecutivo dura 10 anni dalla sua formazione o dalla sua esecutorietà. Trascorso questo periodo, non può più essere utilizzato per avviare azioni esecutive, salvo che il creditore ottenga un nuovo titolo.

Da quando decorrono i 10 anni?
Dipende dal tipo di titolo:
– Sentenza o decreto ingiuntivo: dalla data in cui passano in giudicato o diventano esecutivi
– Cartella esattoriale: dalla data di notifica al contribuente
– Avviso esecutivo: dalla notifica dell’atto impositivo che ha valore esecutivo

Cosa succede alla scadenza dei 10 anni?
– Il titolo perde efficacia: non può essere più usato per eseguire
– Eventuali pignoramenti avviati dopo la scadenza sono nulli
– Puoi contestare l’esecuzione in corso con un’opposizione all’esecuzione per intervenuta prescrizione

Ci sono eccezioni o interruzioni del termine?
Sì. Il termine può interrompersi se:
– Il creditore inizia un’azione esecutiva entro i 10 anni
– Viene notificato un atto interruttivo (diffida, intimazione, precetto)
Dopo l’interruzione, il termine ricomincia da capo.

Come puoi difenderti se il titolo è prescritto?
– Con un’opposizione all’esecuzione, se è già iniziato un pignoramento
– Con un’eccezione in sede stragiudiziale, se ti viene richiesto il pagamento
– Richiedendo la dichiarazione di inefficacia del titolo al giudice competente

Cosa NON devi fare mai?
– Pagare spontaneamente senza verificare se il titolo è ancora valido
– Ignorare gli atti di esecuzione pensando che siano “scaduti da soli”
– Aspettare che l’ufficiale giudiziario arrivi prima di informarti
– Confondere la prescrizione del debito con la scadenza del titolo: sono due concetti diversi

Un titolo esecutivo non è eterno: se è scaduto, l’esecuzione è illegittima.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in esecuzioni e opposizioni – ti spiega quanto dura un titolo esecutivo, da quando decorre il termine e come puoi contestarne l’efficacia se sono passati più di dieci anni.

Hai ricevuto un atto esecutivo fondato su un titolo vecchio? Vuoi sapere se è ancora valido o se puoi bloccare tutto?

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Introduzione

Un titolo esecutivo è l’atto formale che consente al creditore di iniziare un’esecuzione forzata contro il debitore. In altre parole, senza un valido titolo esecutivo non è possibile pignorare beni o attivare altre procedure esecutive. Sapere quanto dura l’efficacia di un titolo esecutivo è fondamentale sia per i creditori (che devono agire entro certi termini per non perdere i propri diritti) sia per i debitori (che possono difendersi eccependo la scadenza o prescrizione del titolo). Questa guida, aggiornata a giugno 2025, esamina in dettaglio la durata e i termini di scadenza dei titoli esecutivi nell’ordinamento italiano, tenendo conto delle ultime riforme (in particolare la Riforma Cartabia del 2022/2023 e i correttivi del 2024) e dei più recenti orientamenti giurisprudenziali.

Affronteremo tutti i tipi di titolo esecutivo, distinguendo tra titoli giudiziali e stragiudiziali, e passeremo in rassegna tutte le procedure esecutive (mobiliare, immobiliare, presso terzi, ecc.), evidenziando per ognuna i termini entro cui devono essere avviate e condotte. Verranno inoltre illustrate le strategie difensive che un debitore può adottare per opporsi o ritardare l’esecuzione forzata, incluse le novità introdotte dalle riforme più recenti (es. Riforma Cartabia).


Cos’è un titolo esecutivo? Tipologie e caratteristiche

Prima di tutto, definiamo cosa si intende per titolo esecutivo. L’art. 474 c.p.c. stabilisce che “l’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile”. Ciò significa che il creditore deve avere un documento riconosciuto dalla legge come prova formale di un diritto ben determinato (certo), di importo definito (liquido) e già scaduto o comunque azionabile (esigibile), per poter procedere coattivamente contro il patrimonio del debitore.

Tipologie di titoli esecutivi riconosciuti dalla legge

Lo stesso art. 474 c.p.c. elenca quali sono i titoli esecutivi ammessi nel nostro ordinamento. Essi si suddividono in due macro-categorie: titoli esecutivi giudiziali (formati con l’intervento di un giudice) e titoli esecutivi stragiudiziali (formati senza un processo, per volontà delle parti o per legge). Di seguito le principali tipologie:

  • Sentenze di condanna ed altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria a cui la legge attribuisce efficacia esecutiva. Ad esempio:
    • Sentenze passate in giudicato (definitive) che condannano il debitore a pagare una somma di denaro o a consegnare un bene;
    • Sentenze di primo grado provvisoriamente esecutive (oggi in molti casi la sentenza di primo grado è esecutiva immediatamente, salvo cauzione o sospensione in appello – la Riforma Cartabia ha esteso l’esecutorietà immediata delle sentenze di primo grado);
    • Decreti ingiuntivi non opposti o dichiarati provvisoriamente esecutivi dal giudice (il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso inaudita altera parte che, se non viene opposto dal debitore entro i termini, diviene definitivo e costituisce titolo esecutivo);
    • Lodi arbitrali resi esecutivi (il lodo arbitrale, per avere forza esecutiva, deve essere dichiarato esecutivo dal tribunale competente mediante un’apposita istanza di exequatur).
  • Scritture private autenticate, limitatamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute. Si tratta di accordi sottoscritti tra privati e autenticati da un notaio (o altro pubblico ufficiale), in cui una parte si obbliga a pagare una somma di denaro. La legge (dopo la riforma del 2005) conferisce efficacia esecutiva a tali atti, “eventualmente autenticate”, che contengano un chiaro riconoscimento di debito liquido ed esigibile. Esempio: un contratto di riconoscimento di debito o una transazione in cui il debitore, davanti al notaio, si obbliga a pagare €X entro una certa data. Questo documento, grazie all’autenticazione, può essere utilizzato direttamente come titolo esecutivo.
  • Atti pubblici ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato a riceverli. L’atto pubblico notarile (ad esempio: un contratto di mutuo stipulato per atto notarile, una ricognizione di debito in forma pubblica) è di per sé titolo esecutivo, purché vi sia l’obbligo di pagamento di una somma di denaro o di consegna di cose fungibili. In generale, tutti gli atti redatti con formalità di atto pubblico e contenenti obbligazioni certe e liquide possono essere posti in esecuzione senza bisogno di passare da un giudice. Importante: la recente sentenza Cass. Sez. Un. 6 marzo 2025 n. 5968 ha confermato ad esempio che un contratto di mutuo bancario stipulato per atto pubblico “integra titolo esecutivo a favore del mutuante” a condizione che la somma mutuata sia stata effettivamente messa a disposizione del mutuatario (anche solo contabilmente) e che il mutuatario abbia assunto l’obbligo incondizionato di restituzione. Quindi, anche se nel mutuo notarile la somma viene contestualmente vincolata in un deposito cauzionale o in un pegno a garanzia, il contratto è comunque immediatamente esecutivo in quanto il mutuatario ha firmato per restituire la somma; non serve un ulteriore atto (pubblico o scrittura privata) che attesti l’avvenuto svincolo dei fondi. Questo principio delle Sezioni Unite 2025 rafforza l’efficacia esecutiva degli atti notarili di mutuo anche in presenza di clausole particolari.
  • Titoli di credito a cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva. In primis rientrano:
    • la cambiale tratta o pagherò, regolarmente levata in forma esecutiva (ossia con la levata del protesto o con dichiarazione di riferimento equivalente, se richiesta): secondo il R.D. 1669/1933 (Legge Cambiaria) una cambiale non pagata alla scadenza diventa titolo esecutivo trascorsi 3 giorni dall’ultimo termine per il pagamento, purché sia stato levato il protesto o equivalenti (la cambiale ha poi termini di prescrizione propri, come vedremo);
    • l’assegno bancario o circolare, anch’esso protestato (o con constatazione equivalente) in caso di mancato pagamento: il R.D. 1736/1933 (Legge Assegni) prevede che l’assegno non pagato costituisce titolo esecutivo entro determinati limiti temporali. In particolare l’assegno si prescrive in sei mesi dalla data di emissione ai fini dell’azione esecutiva cartolare (dopo tale termine non è più utilizzabile come titolo esecutivo, ma resta eventualmente azionabile il rapporto sottostante con altri strumenti, ad es. con un decreto ingiuntivo).
    • Altri titoli di credito esecutivi possono essere, ad esempio, i certificati del debito pubblico per i quali è prevista l’esecutorietà (anche se in pratica l’esecuzione forzata in tali casi è rara), o i titoli cambiari assimilati.
  • Altre fattispecie particolari previste dalla legge: ad esempio, le cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione (Agenzia Entrate Riscossione ex Equitalia) per crediti dello Stato e degli enti pubblici sono esse stesse titoli esecutivi. In materia fiscale, dopo la notifica della cartella e decorso il termine di legge (60 giorni), l’agente della riscossione può procedere all’esecuzione forzata in virtù del ruolo esattoriale che costituisce titolo esecutivo (non è necessaria una sentenza). Le ingiunzioni fiscali degli enti locali (ex R.D. 639/1910) e altri provvedimenti amministrativi esecutivi rientrano anch’essi tra i titoli esecutivi atipici. È bene segnalare che per questi titoli “amministrativi” esecutivi valgono termini e regole proprie (ad esempio, la legge prevede termini di decadenza per la notifica e tempi massimi per la riscossione coattiva).

Ricapitolando: un titolo esecutivo può originare da una pronuncia del giudice (es. sentenza, decreto) o da un accordo/formalità tra le parti (es. atto notarile, cambiale) o direttamente dalla legge (es. cartella esattoriale). Il comune denominatore è che il titolo esecutivo cristallizza un diritto certo, liquido ed esigibile in favore del creditore, che può così procedere con l’atto di precetto e le successive procedure esecutive.

Forma esecutiva e ultime novità normative

Tradizionalmente, affinché un titolo (in particolare una sentenza o un atto pubblico) potesse essere utilizzato per l’esecuzione forzata, era necessaria l’apposizione della formula esecutiva da parte della Cancelleria del Tribunale (“Noi Presidente della Repubblica Italiana… in nome della legge ordiniamo… ecc.”). Questa formalità è stata abolita dalla recente riforma. Dal 28 febbraio 2023, con la Riforma Cartabia, non è più necessaria la formula esecutiva: è sufficiente che la sentenza o l’atto pubblico siano rilasciati in copia attestata conforme all’originale. L’art. 475 c.p.c. è stato modificato in tal senso: oggi “le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell’autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo esecutivo […] devono essere rilasciati in copia attestata conforme all’originale, salvo che la legge disponga altrimenti”. In pratica, per agire esecutivamente basta munirsi di una copia conforme del titolo, senza bisogno del timbro di formula esecutiva.

Attenzione: l’abolizione della formula esecutiva snellisce la procedura, ma non elimina la necessità del titolo esecutivo. Occorre comunque avere un documento che rientra tra quelli elencati sopra. Ad esempio, se il creditore ha ottenuto una sentenza di condanna, potrà richiederne una copia conforme (anche digitale) e con quella notificare il precetto; se dispone di un mutuo notarile, userà la copia conforme dell’atto notarile stesso. Non serve più il passaggio in cancelleria per “spedire in forma esecutiva” la sentenza, perché oggi la copia conforme di per sé vale come titolo esecutivo. Questa novità, unita alla spinta verso la digitalizzazione, fa sì che anche per via telematica si possa ottenere titolo e precetto rapidamente.

Da notare che rimane invariato l’obbligo di notifica del titolo esecutivo al debitore se si tratta di titolo giudiziale: prima di procedere con l’esecuzione, occorre notificare al debitore la sentenza o il decreto ingiuntivo (salvo che sia notificato contestualmente al precetto). La notifica del titolo può essere contestuale al precetto oppure anteriore; in alcuni casi speciali la legge consente di evitare un duplice passaggio (es. cartelle esattoriali e ingiunzioni fiscali valgono sia come titolo che come precetto). In generale, però, per le sentenze vale la regola: titolo esecutivo + precetto.


Durata ed efficacia di un titolo esecutivo: prescrizione e decadenza

Affrontiamo il cuore del problema: quanto dura l’efficacia di un titolo esecutivo? Bisogna distinguere due concetti fondamentali, spesso confusi tra loro:

  • La prescrizione del diritto sancito nel titolo esecutivo (ossia il tempo massimo oltre il quale il diritto del creditore si estingue se non viene esercitato).
  • La decadenza o perdita di efficacia di specifici atti esecutivi preliminari, in particolare l’atto di precetto e il pignoramento, se non seguiti dalle azioni previste entro termini brevi.

In altre parole, un titolo esecutivo (es. una sentenza) può “scadere” nel senso che il credito in esso riconosciuto si prescrive dopo un certo numero di anni; inoltre, gli atti con cui si mette in moto l’esecuzione (precetto, pignoramento) hanno efficacia limitata nel tempo e se non si compiono i passi successivi tempestivamente, perdono validità (obbligando il creditore a rinnovarli o ricominciare da capo).

Esaminiamo separatamente queste due dimensioni temporali: prima la prescrizione del titolo esecutivo in senso proprio, poi la efficacia temporale del precetto e degli atti esecutivi.

Prescrizione del titolo esecutivo (prescrizione del diritto)

La prescrizione attiene alla durata nel tempo del diritto sostanziale consacrato nel titolo esecutivo. In base alle regole generali del codice civile, i diritti si estinguono per prescrizione quando il titolare non li esercita per il tempo determinato dalla legge (art. 2934 c.c.). Per i diritti di credito pecuniari la prescrizione ordinaria è in genere decennale (art. 2946 c.c. prevede 10 anni salvo eccezioni).

Nel caso di un titolo esecutivo giudiziale (come una sentenza di condanna passata in giudicato), la legge prevede all’art. 2953 c.c. che “i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione breve, quando sono consacrati in una sentenza passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”. Questo significa che la sentenza definitiva “congela” il diritto in una forma tale che la prescrizione diventa di 10 anni, anche se prima era più breve. Ad esempio, un credito derivante da fatture commerciali si prescriveva in 5 anni; ma una volta ottenuta sentenza di condanna definitiva per quelle fatture, il credito (ora riconosciuto da sentenza) si prescriverà in 10 anni dalla data del passaggio in giudicato. In pratica, la sentenza fa decorrere una nuova prescrizione decennale (“actio iudicati” di dieci anni). Analogamente, un decreto ingiuntivo non opposto, divenuto definitivo, è equiparato a una sentenza e soggiace a prescrizione decennale.

Di regola quindi un titolo esecutivo giudiziale dura 10 anni, salvo che sopravvengano atti interruttivi che fanno decorrere un nuovo periodo (vedremo a breve l’interruzione). Se il creditore non compie alcun atto esecutivo o interruttivo in questi dieci anni, il diritto si estingue per prescrizione e il titolo perde efficacia giuridica. Ad esempio, se ho una sentenza del 2015 e non faccio nulla fino al 2025, il mio diritto si è prescritto e non potrò più avviare l’esecuzione (il debitore potrà opporre la prescrizione).

Occorre tuttavia considerare le varie tipologie di titoli e i relativi termini di prescrizione, perché non tutti i crediti seguono la regola decennale “unica”. Alcuni titoli esecutivi riguardano crediti soggetti per legge a prescrizioni più brevi. Facciamo riferimento a una tabella riepilogativa dei principali termini di prescrizione dei crediti sottostanti ai titoli esecutivi:

Tabella: Termini di prescrizione dei titoli esecutivi comuni

Tipo di Titolo Esecutivo / CreditoTermine di prescrizione
Sentenza di condanna definitiva (diritti civili ordinari)10 anni (prescrizione ordinaria, ex art. 2953 c.c. se derivava da obbligazione con prescrizione breve)
Decreto ingiuntivo definitivo (non opposto)10 anni (equiparato a sentenza definitiva)
Mutuo o prestito bancario (in forma di atto pubblico)10 anni (trattandosi di obbligazione contrattuale)
Cartella esattoriale (ruolo per imposte, contributi)In generale 10 anni. Eccezioni: per alcuni tributi si applica il termine breve di 5 anni: es. contributi previdenziali dopo riforma (L. n.335/1995, poi Cass. SS.UU. 23397/2016) sono 5 anni; alcuni tributi locali 5 anni, sanzioni amministrative 5 anni.
Multe stradali (sanzioni Codice della Strada)5 anni (ex art. 28 L. 689/1981, decorrenti dalla definitività)
Contributi INPS/INAIL (omessi versamenti)5 anni (come da L.335/1995 e succ. mod.)
Bolletta utenze (luce, gas, acqua, telefono)2 anni (prescrizione breve introdotta dalla L. 205/2017, per consumi successivi al 2018)
Canoni di locazione (affitti non pagati)5 anni (credito periodico ex art. 2948 c.c.)
Stipendi/salari non pagati5 anni (credito di lavoro, prescrizione breve ex art. 2948 c.c.)
Cambiale (tratta o pagherò, titolo di credito)3 anni per l’azione cambiaria diretta dal giorno della scadenza (art. 94 R.D. 1669/33). Importante: dopo protesto, l’azione contro giranti e avallanti è 1 anno.
Assegno bancario (non pagato)6 mesi dalla data di emissione per l’azione esecutiva diretta (art. 75 R.D. 1736/33). Dopo, resta solo l’azione causale sottostante.

(Nota: la tabella indica il termine di prescrizione del diritto. È chiaro che se un credito si prescrive, il titolo esecutivo ad esso relativo diventa inutilizzabile: ad es. un precetto intimato sulla base di un assegno emesso più di 6 mesi prima è inefficace perché il titolo è ormai prescritto. In caso di contestazione, il giudice dichiarerà nulla l’esecuzione per intervenuta prescrizione del titolo).

Come si vede, la prescrizione varia a seconda della natura del credito. Per i titoli esecutivi giudiziali (sentenze, decreti ingiuntivi) si applica il termine lungo decennale, mentre per titoli esecutivi stragiudiziali come assegni e cambiali valgono termini molto più brevi. Anche le cartelle esattoriali, pur essendo titoli esecutivi, vedono la prescrizione dei crediti sottostanti spesso in 5 anni (ad es. una cartella per multa stradale: se in 5 anni dalla notifica il concessionario non ne inizia l’esecuzione, la pretesa si prescrive).

Dal punto di vista del debitore, è fondamentale tenere traccia di questi termini. Se il creditore tenta un’esecuzione basata su un titolo prescritto, il debitore può opporsi e far valere la prescrizione per bloccare il pignoramento. La prescrizione, quando maturata, è rilevabile su eccezione di parte nel processo di opposizione all’esecuzione (il giudice non la dichiara d’ufficio in sede esecutiva, trattandosi di eccezione di merito in senso stretto; spetta al debitore eccepirla tempestivamente).

Va ricordato che la prescrizione può essere interrotta: ogni atto con cui il creditore manifesta la volontà di far valere il diritto verso il debitore produce l’interruzione (art. 2943 c.c.). Un atto interruttivo tipico è la notifica di un atto di precetto: si discuteva in passato se il precetto avesse effetti interruttivi “istanti” o “permanenti”; la Cassazione ha chiarito che il precetto interrompe la prescrizione, facendo decorrere un nuovo termine dal giorno della notifica. In particolare, Cass. civ. sez. II n.19498/2024 ha ribadito che l’atto di precetto costituisce atto di costituzione in mora idoneo a interrompere la prescrizione (nel caso specifico trattavasi di un precetto in materia di servitù non usata, dove però la situazione è peculiare). Dunque se un creditore prima della scadenza del termine decennale notifica un nuovo precetto, la prescrizione si interrompe e ricomincia da zero da quella data. Allo stesso modo, anche un pignoramento notificato al debitore interrompe la prescrizione, così come una ricognizione di debito da parte del debitore o un pagamento parziale. L’interruzione può avvenire più volte, prolungando di fatto la possibilità di far valere il titolo esecutivo oltre il termine iniziale.

Esempio pratico: Tizio ottiene sentenza definitiva contro Caio nel 2015. Il credito di Tizio si prescriverebbe nel 2025 se resta inattivo. Ma Tizio nel 2018 notifica un atto di precetto a Caio: questo atto interrompe la prescrizione, che riparte di lì per un nuovo decennio (fino al 2028). Se Caio non paga e Tizio non procede oltre, comunque col precetto ha guadagnato tempo. Se poi nel 2022 Tizio effettua un pignoramento, ulteriore interruzione. In questo modo, un titolo può rimanere potenzialmente efficace “all’infinito” finché il creditore compie atti interruttivi almeno ogni tot anni. Non c’è un limite generale al numero di interruzioni; tuttavia, dopo 20 anni dal passaggio in giudicato vi possono essere complessità probatorie, ma rientriamo in questioni particolari (per i titoli cambiari invece esistono limiti più stringenti).

In conclusione, dal punto di vista temporale un titolo esecutivo “dura” fintanto che il diritto non è prescritto. Per molte situazioni comuni ciò significa 10 anni dall’ultima attività utile. Il debitore deve controllare la data dell’ultimo atto ricevuto: se riceve un precetto o un pignoramento dopo molti anni, dovrebbe verificare se nel frattempo è trascorso il termine di prescrizione e in tal caso sollevare immediatamente l’eccezione di prescrizione nel giudizio di opposizione all’esecuzione, per far dichiarare l’inefficacia del titolo e bloccare l’azione esecutiva.

Efficacia temporale dell’atto di precetto (90 giorni)

L’atto di precetto è l’atto formale con cui il creditore intima al debitore di adempiere entro un termine non inferiore a 10 giorni, avvertendolo che in difetto si procederà all’esecuzione forzata (art. 480 c.p.c.). Il precetto non è esso stesso un titolo esecutivo, bensì un atto necessario e preliminare all’esecuzione (salvo casi particolari in cui il titolo contiene anche l’intimazione, come nelle cartelle esattoriali). L’art. 481 c.p.c. disciplina la durata dell’efficacia del precetto: “il precetto diventa inefficace se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione”. Dunque il precetto “scade” dopo 90 giorni se entro tale termine il creditore non dà seguito con un pignoramento (o altro atto esecutivo idoneo).

Questi 90 giorni decorrono dalla data di notifica del precetto al debitore (dies a quo). Il dies ad quem è il compimento dei 90 giorni: entro tale periodo deve iniziare l’esecuzione. Nella pratica, l’esecuzione si considera iniziata con la notifica dell’atto di pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi) oppure, in alcuni casi equiparati, con il deposito in tribunale di un’istanza di ricerca beni ex art. 492-bis c.p.c.. È importante evidenziare che è sufficiente un qualsiasi atto di inizio esecuzione entro i 90 giorni per mantenere “vivo” il precetto. Anche un pignoramento infruttuoso (ad es. il Ufficiale Giudiziario non trova beni da pignorare) notificato entro i 90 giorni è sufficiente a evitare la decadenza.

Trascorsi 90 giorni senza pignoramento, invece, il precetto perde efficacia automaticamente (“perisce”). Si tratta – come chiarito da giurisprudenza costante – di un termine di decadenza sostanziale e non di prescrizione. Ciò comporta alcune conseguenze pratiche rilevanti:

  • Decorso inutilmente il termine, quel precetto non può più essere utilizzato per procedere a pignoramento. L’ufficiale giudiziario deve astenersi dal procedere se si accorge che il precetto è scaduto (ad esempio, se il creditore tenta comunque un pignoramento presentando un precetto notificato oltre 90 giorni prima, l’Ufficiale Giudiziario dovrebbe rifiutare di notificare/esperire l’atto esecutivo perché manca un precetto efficace).
  • La scadenza può essere rilevata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, trattandosi di decadenza (come notato, è diversa dalla prescrizione che richiede eccezione di parte). In pratica, se malgrado tutto si avviasse un pignoramento fuori termine, il giudice potrebbe dichiararlo nullo d’ufficio per precetto inefficace – ma normalmente la questione emerge su eccezione del debitore.
  • Per proseguire nel recupero, il creditore deve notificare un nuovo precetto e ripartire da capo. Ciò comporta perdita di tempo e costi aggiuntivi (nuove spese di notifica, ecc.), che in genere non può addossare al debitore se il precedente precetto è scaduto inutilmente (anzi, alcune pronunce di merito hanno condannato il creditore a farsi carico delle spese del precetto scaduto: es. Trib. Asti 716/2020 ha statuito che le spese del precetto inefficace restano a carico del creditore, non potendo essere ripetute).
  • Se il creditore inizia l’esecuzione entro 90 giorni, quel precetto mantiene efficacia anche oltre il termine, per tutte le eventuali fasi successive di quella procedura esecutiva o di altre collegate. Significativa è Cass. 9966/2006, secondo cui “se entro il termine suddetto viene iniziata l’esecuzione, […] è possibile instaurare anche dopo il decorso dei novanta giorni ed in base all’unico precetto altre procedure espropriative”. In pratica, basta un pignoramento tempestivo e poi il creditore può, senza notificare un altro precetto, portare avanti quella procedura e perfino iniziarne altre in caso di esito infruttuoso, purché si rimanga nell’alveo dello stesso credito. Ad esempio, se il creditore pignora entro 90 giorni i mobili (mobiliare) e non trova beni sufficienti, potrebbe successivamente (anche dopo i 90 gg) avviare un pignoramento immobiliare o presso terzi sulla base di quel medesimo precetto, senza doverne notificare un altro. Il precetto dunque “consolida” la possibilità di agire coattivamente, purché si sia fatto almeno un atto esecutivo tempestivo. Al contrario, se il creditore non muove affatto entro i 90 giorni, dovrà ripetere l’intimazione.

Occorre inoltre considerare due importanti aspetti introdotti dalla Riforma Cartabia riguardo ai 90 giorni di efficacia del precetto:

1. Sospensione del termine di 90 giorni in caso di ricerca telematica dei beni (art. 481 co.2 c.p.c. e 492-bis c.p.c.) – Dal 2023, se il creditore presenta al tribunale un ricorso per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare (la cosiddetta istanza ex art. 492-bis c.p.c., che consente di accedere alle banche dati per individuare conti correnti, stipendi, immobili intestati al debitore), il termine di efficacia del precetto resta sospeso dal deposito del ricorso fino alla conclusione delle operazioni di ricerca da parte dell’ufficiale giudiziario. In altre parole, la legge considera che il creditore – invece di procedere subito al pignoramento al buio – sta svolgendo un’attività preparatoria autorizzata dal giudice per scoprire i beni; durante questo periodo, i 90 giorni non corrono. Quando l’ufficiale giudiziario termina la ricerca telematica (sia che trovi beni, sia che dia esito negativo), il termine riprende a decorrere. Questa novità, introdotta per favorire un’espropriazione mirata e non costringere il creditore a pignoramenti “al buio”, offre più tempo al creditore ma nel contempo informa il debitore che è in corso un’indagine patrimoniale. Dal lato debitore, ciò significa che se riceve notifica di un ricorso ex 492-bis (o viene a sapere che è stato autorizzato), non può confidare nella scadenza dei 90 giorni, perché quel periodo è congelato finché la ricerca non termina. Appena finita la ricerca (in esito positivo o negativo), il creditore – conosciuti i beni – potrà procedere (ed il tempo ricomincia a scorrere). Questa sospensione si aggiunge alle cause già previste (l’opposizione).

2. Sospensione del termine in caso di opposizione a precetto (art. 481 co.1 c.p.c.) – Già prima della riforma era previsto e resta in vigore: se il debitore propone opposizione contro il precetto (ex art. 615 o 617 c.p.c.), il termine di efficacia di 90 giorni rimane sospeso per tutta la durata del giudizio di opposizione. La ratio è chiara: non si può pretendere che il creditore pignori mentre c’è una causa in corso sull’an (o sul quomodo) dell’esecuzione; d’altra parte, non sarebbe neanche giusto far scadere il precetto per il tempo trascorso in tribunale. Pertanto, il conteggio dei 90 giorni si congela dalla data di proposizione dell’opposizione (o, tecnicamente, dalla notifica dell’atto di opposizione se anteriore allo spirare dei 90 gg) fino alla definizione (passaggio in giudicato della sentenza che decide l’opposizione). Ad esempio, se un debitore notifica citazione in opposizione a precetto dopo 30 giorni dalla notifica del precetto, il cronometro dei 90 giorni si ferma. Se l’opposizione viene rigettata dopo 6 mesi, il creditore avrà ancora 60 giorni residui per iniziare l’esecuzione (salvo eventuali appelli con ulteriore sospensione se concessa, ecc.). NB: Se il giudice dell’opposizione, in pendenza di causa, sospende anche l’esecuzione ex art. 624 c.p.c., chiaramente nessun pignoramento può iniziare nel frattempo; ma indipendentemente da ciò, il termine è sospeso per legge. Su questo punto la Cassazione ha anche precisato che l’opposizione a precetto sospende il termine di efficacia, ma non equivale a sospensione dell’esecuzione in sé: se il debitore vuole evitare pignoramenti deve chiedere al giudice anche la sospensione ex art. 615 co.1 c.p.c.; il semplice pendere dell’opposizione non impedirebbe al creditore di procedere, salvo poi vedere eventualmente annullata l’esecuzione se il debitore vince.

In sintesi, l’atto di precetto è valido per 90 giorni dalla notifica, a meno che entro quel termine il creditore compia un atto esecutivo o depositi un’istanza di ricerca beni (o il termine sia sospeso per un’opposizione). Dal lato difensivo del debitore, conoscere questa scadenza è utile per capire se un eventuale pignoramento è legittimo: un pignoramento notificato dopo che il precetto è decaduto è un atto nullo, che potrà essere fatto annullare con opposizione agli atti esecutivi. Ad esempio, se il debitore riceve un pignoramento il 91° giorno successivo al precetto, potrà eccepire l’inefficacia del precetto (e quindi della procedura) avanti al giudice dell’esecuzione. Cassazione ha anche chiarito che l’ufficiale giudiziario stesso dovrebbe rifiutare di notificare un pignoramento oltre i 90 giorni dal precetto, ma in ogni caso il debitore è protetto potendo far valere la decadenza.

Per completezza, illustriamo le differenze tra la scadenza del precetto e la prescrizione del titolo in una tabella comparativa:

Tabella – Scadenza del precetto vs. Prescrizione del titolo

Scadenza (decadenza) del precettoPrescrizione del titolo esecutivo
Avviene entro 90 giorni se il creditore non inizia l’esecuzione (pignoramento).Avviene quando matura il termine di legge (es. 10 anni per sentenza, 5 anni per contributi, ecc.) senza atti interruttivi.
Comporta che il precetto perde efficacia, ma non estingue il diritto sostanziale. Il credito è ancora dovuto, serve solo un nuovo precetto per procedere.Comporta che si estingue il diritto del creditore. Il titolo diviene inutilizzabile e nessun nuovo precetto può rimediare: l’esecuzione non è più ammessa.
È rilevabile d’ufficio e il creditore può subito rinnovare precetto e tentare di nuovo (pagando nuove spese).È rilevabile solo su eccezione del debitore in giudizio (opposizione all’esecuzione). Una volta dichiarata, l’esecuzione si blocca definitivamente.
Non impedisce affatto di riprocedere: il creditore può notificare un altro precetto e ricominciare l’iter.Impedisce ulteriori azioni: se il diritto è prescritto, il creditore non può più pretendere il pagamento né iniziare esecuzioni (salvo abbia altri titoli autonomi, ma il titolo prescritto è “morto”).
Esempio: Precetto notificato il 1º gennaio, scade il 1º aprile se nulla è stato fatto. Il 2 aprile il creditore può spedirne un altro e riprovare.Esempio: Sentenza passata in giudicato il 1º gennaio 2015, prescritta al 1º gennaio 2025 senza atti. Un precetto nel 2025 su tale sentenza sarà nullo perché il titolo non ha più efficacia giuridica; il debitore potrà opporsi per far dichiarare l’estinzione.

In conclusione, la “durata” di un titolo esecutivo va intesa su due livelli temporali:

  1. Breve termine (precetto) – 90 giorni per agire dopo l’intimazione, trascorsi i quali bisogna rinnovare l’atto di precetto.
  2. Lungo termine (prescrizione) – il diritto codificato nel titolo dura sino a prescrizione (di solito 10 anni, salvo casi particolari), dopo di che non è più azionabile.

Un debitore informato deve quindi valutare entrambe le cose: se riceve un precetto, può temporeggiare oltre 90 giorni sperando decada (ma attento: il creditore potrebbe nel frattempo fare pignoramento, o congelare il termine cercando beni); se riceve un pignoramento, deve controllare la data del precetto e anche verificare che il credito non sia prescritto.

Inefficacia del pignoramento (45 giorni) e altri termini nelle procedure esecutive

Oltre al precetto, vi è un altro termine fondamentale introdotto per evitare inerzie: l’inefficacia del pignoramento se non si compiono gli atti successivi entro un certo tempo. Secondo l’art. 497 c.p.c. “Il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi 45 giorni senza che sia stata chiesta l’assegnazione o la vendita”. Questa norma, modificata dalla riforma, impone al creditore che ha notificato un pignoramento di attivarsi entro 45 giorni successivi: nel pignoramento mobiliare o immobiliare occorre depositare in cancelleria l’istanza di vendita o assegnazione; nel pignoramento presso terzi occorre proseguire con l’istanza di assegnazione delle somme o la fissazione dell’udienza. Se il creditore rimane inerte per oltre 45 giorni, il pignoramento diventa inefficace di diritto.

Va sottolineato che fino al 2022 il termine era di 90 giorni; la Riforma Cartabia (D.lgs. 149/2022) lo ha dimezzato a 45 giorni per accelerare i tempi delle esecuzioni. Dunque oggi il creditore deve essere molto più solerte dopo il pignoramento. Ad esempio, nel pignoramento immobiliare, una volta notificato e trascritto il pignoramento, bisogna depositare l’istanza di vendita in tribunale entro 45 giorni dalla consegna del verbale all’UNEP (Ufficiale giudiziario) o dalla notifica al debitore (a seconda delle prassi) per evitare decadenze. Allo stesso modo, nel pignoramento presso terzi notificato, il creditore entro 45 giorni deve iscrivere a ruolo la procedura e chiedere l’udienza per la dichiarazione del terzo.

Se il termine di 45 giorni decorre senza impulso del creditore, le conseguenze sono:

  • Pignoramento inefficace e estinzione della procedura esecutiva: in sostanza il processo esecutivo si chiude anticipatamente, come se nulla fosse. La legge lo chiama anche improcedibilità. La Cassazione ha chiarito che questa forma di chiusura è una “estinzione atipica” dell’esecuzione, che va fatta valere dal debitore con apposita istanza al giudice dell’esecuzione ex art. 630 c.p.c.. Precisamente, la Cass. civ. n. 35365/2023 ha confermato che l’omesso o tardivo deposito dell’istanza di vendita ex art. 497 c.p.c. determina la perdita di efficacia del pignoramento e quindi l’estinzione della procedura, da farsi valere con richiesta di estinzione al giudice. La conseguenza è che tutti gli atti esecutivi compiuti dopo il termine sono nulli.
  • Trattandosi di un’estinzione “atipica” (diversa da quelle tipiche regolate espressamente), la Cass. civ. n. 6873/2024 ha precisato che il provvedimento del giudice dell’esecuzione che dichiara o nega tale estinzione non è reclamabile ex art. 630 c.p.c., ma solo impugnabile con opposizione agli atti esecutivi. In pratica, se il giudice rifiuta di dichiarare l’inefficacia del pignoramento, il debitore deve proporre opposizione agli atti (art. 617) per farla accertare; viceversa, se la dichiara e il creditore non fosse d’accordo, non può reclamare con l’appello previsto per le estinzioni tipiche. Sono dettagli tecnici, ma mostrano l’attenzione della giurisprudenza a regolare queste situazioni.

Per il debitore, è importante sapere che se il creditore non prosegue celermente l’esecuzione dopo avergliela iniziata (pignorando un bene), si apre uno spiraglio: il debitore potrà sollevare l’inefficacia del pignoramento e liberarsi almeno di quella procedura, costringendo il creditore a ricominciare (con ulteriore precetto, ecc., sempre che il titolo sia ancora valido). Ad esempio, Mario subisce un pignoramento immobiliare, ma il creditore non deposita l’istanza di vendita entro 45 giorni: Mario (o anche d’ufficio il giudice, ma meglio attivarsi) potrà chiedere che la procedura venga dichiarata estinta per decadenza. Mario riavrà libera la disponibilità del bene pignorato (vengono meno gli atti di pignoramento in conservatoria) e se il creditore vorrà ancora tentare, dovrà notificare un nuovo precetto, ecc. Naturalmente, se il credito non è prescritto, il creditore può riprovarci; ma intanto il debitore ha guadagnato tempo, e se nel frattempo magari ha trovato soldi o un accordo, può risolverla.

Altri termini nelle procedure esecutive: oltre ai 45 giorni del pignoramento, la legge prevede ulteriori termini per specifiche attività. Ad esempio:

  • Nell’esecuzione immobiliare, dopo l’ordinanza di vendita il creditore deve attivarsi per la pubblicità e le incombenze d’asta nei termini fissati dal giudice, pena l’estinzione (estinzione tipica ex art. 631 c.p.c.).
  • Nell’esecuzione presso terzi, il terzo pignorato deve comunicare la propria dichiarazione entro 10 giorni (ora anche telematicamente) e se non lo fa il giudice fissa l’udienza, ecc.
  • Nell’esecuzione mobiliare, se i beni pignorati non vengono venduti entro un certo tempo, possono essere lasciati in custodia o venduti al migliore offerente (termini più flessibili).
  • La sospensione feriale dei termini non si applica ai termini di efficacia dei precetti e dei pignoramenti, essendo termini di natura sostanziale o di decadenza: quindi agosto conta nei 90 gg e nei 45 gg (salvo per taluni atti processuali interni, ma non entriamo nel dettaglio).
  • Un cenno particolare: nelle esecuzioni per rilascio (sfratti) e negli obblighi di fare, non c’è un termine di decadenza simile a quello del precetto, ma in caso di inerzia prolungata il giudice può dichiarare cessata la materia o inefficacia per fatti sopravvenuti (es. rilascio non eseguito per anni e nel frattempo la situazione è cambiata).

Procedure esecutive: panoramica e durata delle singole azioni

Vediamo ora brevemente le principali procedure esecutive previste dal nostro ordinamento, focalizzando l’attenzione sia sul loro svolgimento temporale sia sulle strategie difensive che il debitore può adottare in ciascuna.

Esecuzione forzata mobiliare (presso il debitore)

L’espropriazione mobiliare presso il debitore consiste nel pignorare i beni mobili di proprietà del debitore che si trovano nella sua disponibilità (in casa, in azienda, etc.). Dopo aver notificato il titolo esecutivo e il precetto, il creditore procede con un atto di pignoramento mobiliare, che l’ufficiale giudiziario esegue presentandosi presso il debitore. I tempi qui dipendono dalla richiesta del creditore all’UNEP e dalle disponibilità: può avvenire in pochi giorni come in settimane.

Svolgimento: l’ufficiale giudiziario redige un verbale pignorando gli oggetti di valore trovati (mobili, apparecchi elettronici, gioielli, denaro contante, ecc., con alcuni limiti di legge di cui diremo). Dal momento del pignoramento, scatta il termine di 45 giorni per depositare istanza di vendita (art. 497 c.p.c., di cui abbiamo parlato). Se il creditore procede tempestivamente, i beni pignorati vengono stimati (spesso dall’UG stesso o un perito per beni di maggior valore) e messi in vendita all’asta. I tempi per la vendita dipendono molto dal Tribunale e dal tipo di beni: in genere qualche mese per organizzare un’asta. Se la vendita ha esito positivo, si paga il creditore; altrimenti si può tentare un secondo incanto o abbandonare. Se il pignoramento risulta negativo (nessun bene pignorabile trovato), l’ufficiale lo attesterà nel verbale e il creditore dovrà cercare altre vie (altri beni, altri tipi di esecuzione). Un pignoramento mobiliare infruttuoso comunque mantiene valido il precetto (se fatto entro 90 giorni) per tentativi successivi.

Difesa del debitore: la mobiliare è spesso poco fruttuosa se il debitore non possiede beni lussuosi. Il debitore può:

  • Non farsi trovare: l’UG può entrare anche in assenza, eventualmente forzando porte con autorizzazione del giudice, ma spesso se non apre nessuno e non si hanno sospetti di beni rilevanti, l’accesso viene rinviato. Questo può guadagnare tempo, ma il creditore può insistere e ottenere eventualmente un ordine di apertura coatta.
  • Indicare egli stesso beni da pignorare meno dannosi: la legge consente al debitore di chiedere che si pignorino certi beni di preferenza rispetto ad altri, se ciò non arreca pregiudizio al creditore (ad esempio può offrire un oggetto di valore equivalente evitando che gli portino via strumenti di lavoro). Non sempre l’UG segue queste indicazioni, ma il codice (art. 492 c.p.c.) prevede la facoltà di scelta in capo all’UG con riguardo a cosa pignorare prima.
  • Beni impignorabili: il debitore ha diritto di opporsi se l’ufficiale giudiziario tenta di pignorare cose che per legge sono impignorabili (artt. 514-515 c.p.c.). Ad esempio, vestiti, biancheria, letti, tavolo da pranzo con sedie, frigorifero, fornelli e in generale gli oggetti indispensabili alla vita quotidiana non si possono pignorare. Impignorabili sono anche gli strumenti di lavoro indispensabili del debitore (ad es. utensili, macchinari se il debitore è un artigiano) entro il limite di 1/5 del loro valore e purché il creditore non abbia altri beni su cui soddisfarsi (art. 515 c.p.c.). Inoltre sono impignorabili animali da affezione (cani, gatti domestici, con legge 2015). Il debitore può far presente all’UG queste norme qualora questi stia per pignorare, ad esempio, l’unico computer col quale il debitore lavora: l’UG potrebbe astenersi o annotare la dichiarazione in verbale per far decidere il giudice. In caso di contestazione, il debitore può proporre opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) per far dichiarare illegittimo un pignoramento di bene impignorabile.
  • Conversione del pignoramento: di questa parleremo più avanti, ma vale anche qui. Consiste nella facoltà del debitore di evitare la vendita depositando una somma (il debito + spese + un piccolo surplus) in sostituzione dei beni entro un certo termine (art. 495 c.p.c.). Se il debitore ha un parente o terzi disposti a prestargli liquidità, può “riscattare” i beni pignorati prima che siano messi all’asta. Vedremo nel dettaglio i requisiti nella sezione dedicata alle strategie generali.
  • Piano di rientro col creditore: anche dopo il pignoramento mobiliare, il debitore può trovare un accordo col creditore (pagamento a rate, saldo e stralcio) e chiedergli di sospendere la procedura. È sempre consigliabile formalizzare per iscritto l’accordo e fare in modo che il creditore comunichi al giudice dell’esecuzione la rinuncia o sospensione (o quantomeno non presenti istanza di vendita).

In termini di durata, la procedura mobiliare è spesso la più rapida (può concludersi in pochi mesi) ma anche la meno efficace. Per il debitore può rappresentare un evento stressante (arrivo dell’ufficiale) ma se non possiede beni di valore, il tutto si risolve magari con un nulla di fatto. È comunque importante ricordare che anche un pignoramento mobiliare negativo interrompe la prescrizione e può preludere ad altre azioni.

Esecuzione forzata presso terzi (pignoramento di crediti)

Il pignoramento presso terzi è la procedura per colpire i crediti che il debitore vanta verso altri soggetti (terzi) o le cose del debitore che sono in possesso di terzi. È utilizzata tipicamente per:

  • Stipendi, salari o pensioni dovuti al debitore dal suo datore di lavoro o ente pensionistico.
  • Conti correnti bancari o postali intestati al debitore (il terzo è la banca/poste).
  • Fitti attivi: canoni di locazione che inquilini devono al debitore proprietario.
  • Altri crediti: ad esempio somme dovute al debitore da suoi debitori.

Procedura: il creditore notifica un atto di pignoramento sia al terzo che al debitore (art. 543 c.p.c.) contenente l’ingiunzione al terzo di non disporre delle somme dovute al debitore (le “congela”). Con la notifica al terzo, l’esecuzione presso terzi si considera iniziata – deve avvenire entro 90 giorni dal precetto, come sempre. Entro 30 giorni da tale notifica, il creditore iscrive a ruolo la procedura e il giudice fissa un’udienza in cui il terzo dovrà rendere la dichiarazione circa cosa detiene per il debitore. Se il terzo dichiara di avere disponibilità (es: “devo pagare stipendi al debitore di 1.500€ al mese” oppure “sul conto del debitore ci sono 5.000€” ecc.), il giudice può emettere un’ordinanza di assegnazione con cui assegna quelle somme (o una parte, ad esempio rate mensili per lo stipendio) al creditore. L’ordinanza di assegnazione ha efficacia di soddisfacimento del credito (il terzo paga direttamente il creditore fino a concorrenza del debito). Se il terzo non compare o non fa dichiarazione, il giudice può ritenere ammesso quanto intimato dal creditore (dichiarazione implicita) oppure nominare un notaro per sentirlo, a seconda dei casi (la riforma ha un po’ modificato questa parte per snellire). Se il terzo nega di avere qualcosa (dichiarazione negativa) e il creditore non contesta, la procedura si chiude infruttuosa.

Tempi: il pignoramento presso terzi è relativamente rapido per bloccare le somme (appena notificato, ad esempio alla banca, il conto è congelato nel limite del credito vantato). L’udienza di solito viene fissata nel giro di 60-90 giorni. Dal precetto, quindi, in pochi mesi si può arrivare all’assegnazione se tutto fila liscio. C’è il termine di 45 giorni da ricordare: se il creditore notifica il pignoramento e poi non deposita l’istanza al giudice entro 45 giorni, il pignoramento perde efficacia. Inoltre il DL 83/2015 prevedeva che se il creditore non notifica al terzo l’ordinanza di assegnazione entro 30 giorni, essa perde effetto (ma il DL 83/2015 è stato modificato più volte, comunque si tratta di rispettare anche quel termine finale).

Difese e limiti a tutela del debitore:

  • Limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni: la legge pone forti limiti per proteggere il debitore-lavoratore. L’art. 545 c.p.c. stabilisce che stipendio e altre indennità dovute da privati sono pignorabili nei limiti di 1/5 dell’importo netto, per ogni singolo pignoramento e comunque con cumulo massimo di circa la metà in caso di concorso di più cause (ad esempio un quinto per debiti ordinari, un ulteriore quinto per debiti alimentari, etc.). Per le pensioni, oltre al limite del quinto, è prevista l’impignorabilità della parte di pensione equivalente all’assegno sociale aumentato della metà (c.d. minimo vitale): in pratica c’è una soglia (circa €690 nel 2025, poiché l’assegno sociale è ~€460) sotto la quale la pensione non si tocca affatto. La parte eccedente questa soglia è pignorabile al massimo per 1/5. Ad esempio, se il Sig. Rossi prende €800 di pensione, solo €800-690=€110 è la parte pignorabile, e su essa si applica il quinto => circa €22 al mese al massimo, una cifra irrisoria. Questo per legge. Per gli stipendi invece non vige un minimo vitale fisso, ma di fatto prelevare un quinto garantisce che restino 4/5 al lavoratore per vivere. Il debitore deve sapere che se anche subisce un pignoramento sullo stipendio, non gli potranno sottrarre più del 20% del netto, quindi può organizzare la propria economia tenendo conto di quella trattenuta. In sede di udienza, se mai il giudice per errore assegnasse più del dovuto, il debitore può opporsi. Da notare: la riforma 2020/2021 (Decreto Aiuti) ha previsto che per le pensioni fino a 1000€ si può pignorare meno di un quinto, ma entriamo nel dettaglio: in realtà è variata solo la soglia del minimo vitale.
  • Conti correnti: se sul conto del debitore affluisce lo stipendio o la pensione, la legge distingue: la soma giacente sul conto al momento del pignoramento, se proviene da accrediti da lavoro/pensione, è impignorabile per il triplo dell’assegno sociale (circa €1.380) e pignorabile per l’eventuale eccedenza; i versamenti successivi (quindi lo stipendio del mese dopo il pignoramento) sono pignorabili nei soliti limiti del quinto. Quindi un debitore che subisca pignoramento del conto in banca deve sapere che non gli possono sottrarre tutto lo stipendio ricevuto: si salva almeno la parte minima. Se questo non fosse rispettato dalla banca, può fare opposizione.
  • Contestazione della legittimità: se il debitore ritiene che il pignoramento presso terzi sia viziato (ad esempio, il precetto era scaduto, il titolo nullo, o altri vizi formali), può proporre opposizione all’esecuzione o agli atti a seconda dei casi, come vedremo nella sezione difese generali. Questo può portare alla sospensione dell’assegnazione e poi all’annullamento dell’atto esecutivo.
  • Cessione del quinto già esistente: se il debitore aveva già ceduto volontariamente un quinto dello stipendio (cessione del quinto in banca) o aveva già in corso un altro pignoramento, il giudice dovrà tenerne conto. Ad esempio, se il Sig. Bianchi ha già un quinto pignorato per mantenimento, un secondo creditore ordinario può ottenere al massimo un altro quinto, portando la trattenuta totale a 2/5 (40%). Se c’è già una cessione volontaria, questa di solito conta nel cumulo (ma la giurisprudenza è oscillante): ad ogni modo, il datore di lavoro non può trattenere oltre metà stipendio sommando cessioni e pignoramenti.

Da un punto di vista temporale, il pignoramento presso terzi ha una durata variabile: se tutto va liscio, in 3-6 mesi il creditore inizia a ricevere i soldi (mensilmente dallo stipendio o in un’unica soluzione dalla banca). Però può durare anche anni se ad esempio il debito è grosso e si va di quinto in quinto ogni mese. Il debitore, se ha più creditori, potrebbe trovarsi con più pignoramenti in coda: in tal caso, di volta in volta quando un quinto finisce (perché il primo creditore è soddisfatto), subentra il successivo. In situazioni con molti debiti, la trappola del quinto può durare moltissimo. In questi casi è opportuno valutare soluzioni come un accordo globale o un piano del consumatore (v. oltre).

Esecuzione forzata immobiliare (espropriazione di beni immobili)

È la procedura esecutiva più complessa e gravosa: consiste nel pignoramento e vendita forzata di beni immobili di proprietà del debitore (case, terreni) o dei suoi diritti reali immobiliari (usufrutto, etc.). Il creditore, ottenuto titolo e precetto, notifica un atto di pignoramento immobiliare al debitore e lo trascrive nei registri immobiliari. L’atto identifica l’immobile pignorato con estremi catastali e invita il debitore a comparire avanti al giudice competente.

Tempi e fasi: dopo la notifica, il creditore deve depositare il pignoramento in tribunale entro 15 giorni con la nota di trascrizione ed eventualmente richiedere la vendita (termini introdotti dal DL 83/2015). Ora con la Riforma Cartabia, l’istanza di vendita deve comunque essere depositata entro 45 giorni, come detto. Il giudice dell’esecuzione nomina un professionista delegato (notai o avvocati) che seguirà le operazioni di vendita. Segue la fase di stima, affidata a un perito che valuta l’immobile e predispone la perizia. Poi si procede alla vendita all’asta (generalmente senza incanto, poi eventuale gara competitiva). I tempi di una esecuzione immobiliare tradizionalmente erano lunghi (anche 1-3 anni o più), ma con le riforme si cerca di velocizzare: oggi, ad esempio, il giudice deve fissare l’udienza di comparizione entro 90 giorni dal pignoramento (ora ridotti a 45 giorni con il correttivo 2024), le vendite telematiche hanno snellito un po’ il processo. Tuttavia resta una procedura articolata.

Difese e particolarità per il debitore:

  • Abitazione principale: se l’immobile pignorato è la casa in cui il debitore abita, la situazione è delicata. Se il creditore è un privato (es. banca), purtroppo non c’è un divieto a procedere: anche la prima casa può essere espropriata da creditori ordinari (banche, finanziarie, privati). L’unica tutela è eventualmente la sospensione della procedura per trovare soluzioni (vedi rito “anti-sfratto” o la conversione). Se il creditore è l’Agente della Riscossione (fisco), invece la legge impedisce il pignoramento della prima casa del debitore, a certe condizioni: l’immobile deve essere l’unico di proprietà, adibito ad uso abitativo e non di lusso (categoria catastale non A/8 o A/9), e il debito fiscale sotto una certa soglia (attualmente sotto €120.000 non si può iscrivere ipoteca e sotto €20.000 non si può pignorare; sopra €120.000 si può iscrivere ipoteca ma pignorare solo se possiede altri immobili). Questa norma (art. 76 DPR 602/73 come modif. dal DL 69/2013) tutela molti piccoli proprietari da espropriazioni fiscali. Quindi, un debitore che riceva un pignoramento immobiliare da Agenzia Entrate Riscossione deve subito verificare se rientra nei casi vietati e al limite fare opposizione per far dichiarare inammissibile il pignoramento (oppure eccepirlo al GE). Attenzione: per crediti ipotecari (es. mutuo casa), se la banca procede, la prima casa non è protetta da questo divieto (vale solo verso il fisco).
  • Opposizione all’esecuzione (c.d. rito “anti-svendita”): se il debitore ha motivi per contestare il diritto del creditore di agire (es. il debito non esiste, importo errato, titolo inefficace, ecc.), può proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. in qualunque momento, anche dopo l’inizio, purché prima della pronuncia di aggiudicazione. Questo giudizio si svolge davanti al tribunale. Spesso, nelle esecuzioni immobiliari, le opposizioni vengono usate anche per prendere tempo o cercare soluzioni alternative: il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione della vendita in attesa dell’esito dell’opposizione (art. 624 c.p.c.), se ci sono gravi motivi (ad es. ha impugnato il titolo in appello, o sta per ottenere un saldo e stralcio col creditore). La riforma 2021 ha reso il rito delle opposizioni molto più celere: se l’opposizione è iniziata come causa ordinaria, i termini di comparizione e trattazione sono dimezzati, quindi niente lungaggini volutamente dilatorie. Ad esempio tra citazione e prima udienza non più 90 giorni minimi ma 45, ecc. Questo è pensato per evitare che i debitori usino l’opposizione solo per guadagnare anni.
  • Istanza di vendita e perizie: il debitore può partecipare al procedimento di determinazione del valore. Dopo la perizia, può segnalare errori di valutazione, proporre istanze (ad es. chiedere una vendita frazionata se l’immobile è divisibile, per preservarne una parte). Può anche presentare acquirenti interessati prima dell’asta. Da qualche anno, la legge incoraggia la possibilità che il debitore stesso trovi un acquirente e proponga un’offerta privata di acquisto, se superiore a certe percentuali, per evitare aste deserte e svendere l’immobile. Questo rientra nelle strategie: se un parente o investitore vuole comprare la casa di debitorio, può farlo in accordo col debitore e presentare offerta al GE, spesso ottenendo una sospensione temporanea per formalizzare.
  • Conversione del pignoramento immobiliare: il debitore può richiedere la conversione ex art. 495 c.p.c. anche per immobili. Consiste nel chiedere al giudice di sostituire l’immobile pignorato con una somma di denaro. Deve depositare una somma almeno pari a 1/6 del totale del debito (prima della riforma era 1/5, la riforma Cartabia correttivo 2024 ha ridotto a 1/6) entro il termine perentorio fissato dal giudice (spesso 30 giorni). Se deposita questo acconto, la vendita viene sospesa e il giudice fissa un piano per pagare la differenza, solitamente a rate mensili fino a massimo 48 mesi (4 anni) a seconda della somma e delle circostanze. Se il debitore rispetta il piano, il bene viene liberato e la procedura chiusa; se manca un pagamento, la conversione decade e si riprende con la vendita (perdendo però l’acconto che verrà usato a favore dei creditori). La conversione è un ottimo strumento: consente al debitore di non perdere la casa se riesce a racimolare una parte significativa del debito e ha redditi per dilazionare il resto. La novità del 2024 (riduzione acconto da 1/5 a 1/6) la rende un pochino più accessibile.
  • Sospensione concordata e trattative: il debitore può sempre cercare di negoziare col creditore (o con eventuali creditori intervenuti) una soluzione a saldo (magari vendendo egli stesso l’immobile a prezzo di mercato, più alto di quello d’asta, per pagare i creditori). Se c’è dialogo, i creditori possono chiedere al GE una sospensione della procedura per consentire la vendita privata. Questo spesso è nell’interesse di tutti perché l’asta porta prezzi bassi (danni per debitore e anche creditori se non vengono integralmente soddisfatti). La Riforma Cartabia spinge verso soluzioni concordate, ad esempio inserendo nel precetto l’invito al debitore a prendere contatto per accordi rateali. Nell’ambito dell’esecuzione immobiliare, se debitore e creditori trovano un accordo di saldo, il giudice può chiudere la procedura per rinuncia.

Durata tipica: un’esecuzione immobiliare può durare da pochi mesi (se il debitore collabora e magari vende privatamente) a qualche anno (se ci sono aste deserte, ribassi, opposizioni). Dal punto di vista del debitore, rimandare l’asta di qualche mese può permettere di trovare alternative (es. rifinanziamento, ristrutturazione del debito, vendita privata). Tuttavia, con le nuove norme, le tempistiche sono più serrate: ad esempio, l’istanza di sospensione dell’esecuzione per accordo rateale con il creditore ora è formalizzata nel meccanismo di conversione riformato.

Accenno alle esecuzioni per consegna, rilascio e obblighi di fare

Oltre alle esecuzioni per espropriazione (denaro), esistono le esecuzioni in forma specifica:

  • Esecuzione per consegna o rilascio: esempio tipico lo sfratto (rilascio di un immobile dato in locazione). Il titolo esecutivo è in questo caso la sentenza di convalida di sfratto o un provvedimento esecutivo di rilascio. La durata del titolo: la legge specifica che per consegna o rilascio valgono solo titoli di cui ai nn.1 e 3 dell’art.474 cpc (quindi sentenze e atti pubblici, non scritture private autenticate). Non c’è un termine di prescrizione breve specifico per uno sfratto: è comunque un diritto di credito (restituzione dell’immobile) e la giurisprudenza ritiene applicabile la prescrizione ordinaria decennale (quindi un provvedimento di rilascio andrebbe eseguito entro 10 anni). Se il locatore dorme troppo a lungo, rischia di dover ricominciare la causa perché in 10 anni l’inquilino potrebbe aver acquisito diritti (o quantomeno eccepire la prescrizione del diritto di ottenere il rilascio). L’atto di precetto per rilascio ha anch’esso efficacia 90 giorni come gli altri (ma di solito lo sfratto si esegue entro quel tempo). Il debitore in questi casi può ottenere al massimo proroghe legali (es. termini di grazia o proroghe previste da norme speciali per finita locazione).
  • Esecuzione di obblighi di fare o non fare: se un titolo (sentenza) obbliga il debitore a fare qualcosa (es. demolire un manufatto abusivo, eseguire un lavoro) e questi non lo fa, il creditore può chiedere l’esecuzione forzata in forma specifica (artt. 612-614 c.p.c.). Il giudice può autorizzare il creditore a far eseguire da altri a spese del debitore, oppure applicare misure come penali di mora (astreinte, art. 614-bis c.p.c.) per ogni giorno di ritardo. La “durata” del titolo è sempre legata alla prescrizione decennale del diritto accertato. I tempi esecutivi variano: spesso serve un intervento del giudice per adattare le modalità. Dal lato difesa, se l’obbligo è impossibile o molto oneroso, il debitore può opporsi sostenendo l’impossibilità sopravvenuta o chiedendo conversione in risarcimento (se l’obbligo di fare non è più attuabile).
  • Esecuzione per obblighi di pagare somme periodiche (es. alimenti): tecnicamente è un’esecuzione per espropriazione, ma segnaliamo che ad es. gli assegni di mantenimento si prescrivono ciascuna rata in 5 anni. Un titolo (es. sentenza di separazione) che stabilisce una rendita periodica produce crediti via via; il precetto può includere più mensilità arretrate (entro i 5 anni) e poi va fatto magari di nuovo per le successive. Non c’è scadenza del titolo finché dura l’obbligo, ma c’è prescrizione per le singole rate.

Strategie difensive del debitore contro l’esecuzione forzata

Passiamo ora a illustrare in modo organico quali strumenti ha il debitore per difendersi da un’esecuzione forzata. La legge offre varie possibilità, che possiamo dividere in:

  • Opposizioni all’esecuzione o agli atti esecutivi (rimedi giudiziari per contestare la legittimità dell’azione esecutiva).
  • Istanza di sospensione dell’esecuzione (temporanea).
  • Accordi e conversione (rimedi “transattivi” o per pagare ratealmente).
  • Strumenti concorsuali o di sovraindebitamento (per debitori in grave difficoltà).
  • Benefici e limiti di legge (beni impignorabili, limiti su stipendi, ecc., in parte già detti).
  • Casi particolari (es. intervento di terzi, concorso di cause, etc.).

Elaboreremo ciascuno dal punto di vista pratico.

Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)

L’opposizione all’esecuzione è il mezzo con cui il debitore contesta il diritto del creditore di procedere a esecuzione forzata. In altre parole, serve a far valere che il titolo esecutivo non è valido o efficace, oppure che il debito non esiste (o si è estinto), o ancora che manca un presupposto essenziale per procedere. Esempi classici:

  • Il titolo esecutivo è nullo o è venuto meno (es: un decreto ingiuntivo opposto e provvisoriamente sospeso, oppure un titolo prescritto).
  • Il debitore ha già pagato il debito (adempimento sopravvenuto).
  • Il creditore chiede più del dovuto (es. interessi non spettanti, somme eccedenti il titolo).
  • Il creditore non ha diritto perché il titolo è stato annullato in appello (oppure non è più efficace per una causa di revocazione, ecc.).
  • Ci si oppone perché non si è mai stati parti di quel titolo: ad esempio, pignorano Tizio per una sentenza tra Caio e Sempronio – errore di persona.

Quando proporla: l’opposizione all’esecuzione si distingue in preventiva e successiva:

  • Se il debitore la propone prima che l’esecuzione inizi (cioè prima del pignoramento), tipicamente dopo aver ricevuto il precetto, viene detta opposizione a precetto. Si introduce con atto di citazione davanti al tribunale competente (solitamente il tribunale del luogo dell’esecuzione; se ancora non iniziata, luogo di residenza del debitore), entro i termini di legge. Non c’è un termine perentorio fisso (può essere anche oltre i 20 gg dal precetto, a patto di proporla prima che inizino atti esecutivi), ma conviene farla entro il termine del precetto per chiedere eventualmente la sospensione.
  • Se la propone dopo l’inizio dell’esecuzione (cioè dopo che è già avvenuto un pignoramento), viene incardinata davanti al giudice dell’esecuzione del processo in corso, con ricorso (se in corso di procedura) o citazione a seconda dei casi (la riforma qui ha unificato: oggi anche in corso va a citazione ma con termini dimezzati). Deve essere proposta tempestivamente, meglio prima che la procedura vada troppo avanti (entro l’assegnazione o aggiudicazione, altrimenti alcune eccezioni si consumano). Ad esempio, se il pignoramento è già avvenuto, il debitore può comunque opporsi per far dichiarare che l’esecuzione non doveva proseguire.

Effetti: se il debitore solleva motivi seri (ad esempio produce quietanze di pagamento, o prova la prescrizione del titolo), può chiedere al giudice una sospensione immediata dell’esecuzione (art. 624 c.p.c. per opposizioni successive; art. 615 co.1 per opposizioni prima dell’esecuzione). Il giudice, valutati i gravi motivi, può emanare un’ordinanza di sospensione che ferma temporaneamente la procedura in attesa della decisione finale.

L’opposizione all’esecuzione è una causa a tutti gli effetti. La riforma ha previsto che se introdotta con citazione in tribunale, i termini di comparizione sono dimezzati (quindi il debitore che cita il creditore in opposizione a precetto lo può chiamare a udienza in 45 giorni invece di 90, per velocizzare). La causa poi prosegue con istruttoria e sentenza. Se il debitore vince, l’esecuzione viene dichiarata improcedibile o estinta; se perde, l’esecuzione riprende (se sospesa) o prosegue.

Competenza: di solito del Tribunale. Solo per esecuzioni mobiliare sotto 5.000 € potrebbe essere il Giudice di Pace, ma in tema di opposizioni ciò è raro perché GP competenze limitate (es. spese condominiali modeste). Per esecuzioni immobiliari il tribunale è esclusivo.

Esempio pratico: Caio notifica precetto a Mevio per €50.000 su una vecchia sentenza. Mevio ritiene che il credito sia prescritto. Prima che Caio pignori, Mevio propone opposizione a precetto (art.615 co.1) al tribunale, chiedendo accertarsi la prescrizione. Chiede anche la sospensione dei termini del precetto. Il giudice fissa l’udienza entro qualche settimana (termini dimezzati) e, valutate le carte, può sospendere l’efficacia esecutiva (congelando i 90 gg) finché non decide. Se la sentenza di opposizione confermerà la prescrizione, Caio non potrà più eseguire (precetto annullato). Se invece Mevio aveva torto, la sentenza rigetta l’opposizione e il precetto riprende efficacia per il periodo residuo.

Costi e rischi: l’opposizione è un giudizio civile, quindi comporta spese legali, e se il debitore soccombe potrebbe essere condannato a rifondere le spese al creditore. Inoltre, se fatta solo per tattica dilatoria e manifestamente infondata, c’è il rischio di sanzioni per lite temeraria. Tuttavia, è lo strumento principe per far valere ragioni sostanziali. Ad esempio, i casi di pignoramento per debito già pagato sono più comuni di quanto si pensi (magari il pagamento non era noto all’avvocato del creditore); qui l’opposizione è risolutiva portando la quietanza al giudice.

Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)

L’opposizione agli atti esecutivi è rivolta a contestare i vizi formali o procedurali degli atti dell’esecuzione, inclusi vizi di notifica, errori di contenuto del precetto o del pignoramento, violazioni di norme sullo svolgimento. Non mette in discussione l’esistenza del diritto in sé, ma la regolarità formale degli atti. Alcuni esempi:

  • Il precetto è viziato (manca l’indicazione prescritta della trascrizione integrale della scrittura privata autenticata, art.480 cpc, o manca l’indicazione del tribunale competente, obbligatoria ora per legge, ecc.). La Riforma Cartabia ha introdotto nuovi contenuti obbligatori nel precetto: ad esempio l’avvertimento delle conseguenze (pignoramento) e delle facoltà del debitore (opposizione, accordi rateali). Se mancano, il precetto potrebbe essere nullo.
  • Il precetto è stato notificato in modo irregolare (es. notifica inesistente, relata viziata).
  • Il pignoramento contiene errori (es. descrizione errata, notifica viziata, mancato rispetto di formalità).
  • Un atto del procedimento (es. avviso di vendita) non è stato comunicato al debitore come doveva, ledendogli diritti.
  • L’ufficiale giudiziario ha pignorato beni impignorabili (già fatto cenno).
  • Nel caso di più debitori o creditori: omissione di avvisi dovuti.
  • Oppure il termine di efficacia del precetto era scaduto e ciò rende nullo il pignoramento notificato dopo 90 giorni.

Quando e come proporla: l’opposizione agli atti esecutivi ha termini di decadenza brevissimi: va proposta entro 20 giorni dal momento in cui si ha conoscenza dell’atto viziato (art. 617 c.p.c.). Se il vizio è in un atto iniziale notificato (precetto, pignoramento), il termine decorre dalla notifica. Se è in un atto successivo non notificato, dalla conoscenza effettiva (ad esempio, il debitore viene a sapere di un’ordinanza di vendita solo quando magari riceve l’avviso, ecc.). L’opposizione si propone:

  • Prima che l’esecuzione inizi (ossia contro il precetto): è un’opposizione agli atti ma ante esecuzione, va proposta con atto di citazione al tribunale competente, entro 20 giorni dalla notifica del precetto, lamentando vizi formali del precetto. Ad esempio: precetto notificato senza la firma in originale dell’avvocato (nullità insanabile? Cass. ha qualche pronuncia in merito).
  • A esecuzione iniziata: va proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione (tribunale) entro 20 giorni dalla notifica o conoscenza dell’atto. La riforma Cartabia qui potrebbe aver semplificato il rito, ma in sostanza il GE la tratta come incidente nel processo esecutivo, con eventuale sospensione se serve e poi pronuncia ordinanza su quell’atto.

Effetti: L’opposizione agli atti non sospende automaticamente l’esecuzione, ma si può chiedere al giudice dell’esecuzione di sospendere l’atto impugnato se il vizio appare grave (art. 618 c.p.c.). Ad esempio, se contesto che il precetto è nullo, posso chiedere sospendere il pignoramento imminente. Il giudice decide velocemente sull’istanza di sospensione. Poi, decide sul merito dell’opposizione con ordinanza (impugnabile in appello).

Se l’opposizione viene accolta, l’atto impugnato viene annullato. Ciò può far regredire la procedura: es. precetto annullato significa che anche il successivo pignoramento (se avvenuto) è nullo, quindi esecuzione da rifare daccapo; un pignoramento annullato fa cadere la procedura, dovendo il creditore ripetere quell’atto. Sono però vizi sanabili: il creditore potrà correggere e riprocedere, salvo prescrizione intervenuta intanto. Se invece l’opposizione è respinta, l’atto è valido e si prosegue.

Esempio: Debitore Tizio riceve un precetto ma nota che non è stata allegata la copia conforme del titolo esecutivo o non è indicato il giudice competente (cosa obbligatoria dal 2023). Propone opposizione formale entro 20 giorni. Il giudice gli dà ragione e annulla il precetto. Il creditore dovrà allora notificare nuovo precetto correggendo i vizi (nel frattempo però il termine di prescrizione potrebbe essere avanzato…). Attenzione: non sempre conviene sollevare questioni formali se poi il creditore può rimediare facilmente – ma in alcuni casi serve a guadagnare tempo.

Differenza tra opposizione all’esecuzione e agli atti: spesso si cumulano. Ad esempio, un debitore può eccepire sia che il precetto è nullo (vizio formale) sia che il credito è prescritto (ragione sostanziale). In teoria andrebbero fatti valere con due opposizioni distinte (615 e 617). In pratica le norme permettono di proporle con unico atto (cumulando, se competenza e rito coincidono). La riforma Cartabia ha cercato di evitare abusi in tal senso: le opposizioni miste seguono regole particolari su termini dimezzati ecc. È materia tecnica per legali. Da debitori, importa sapere che ogni illegittimità, anche formale, può e deve essere sollevata tempestivamente, altrimenti si “convalida” l’atto viziato (se non si fa opposizione entro 20 giorni, un vizio del precetto non potrà più essere opposto dopo, salvo casi eccezionali di nullità insanabile).

Opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.)

Un breve cenno merita l’opposizione di terzo: è lo strumento con cui un soggetto estraneo all’esecuzione (un terzo) che vede lesi i propri diritti da un pignoramento interviene per tutelarsi. Caso tipico: Tizio pignora un bene mobile o un immobile ritenendo sia del debitore Caio, ma in realtà appartiene a Sempronio (terzo). Oppure pignora un conto cointestato tra debitore e terzo, e il terzo rivendica la sua quota non deve essere toccata. Il terzo allora propone opposizione ex art.619 c.p.c. davanti al GE, chiedendo l’esclusione del bene dall’esecuzione. Questo avviene spesso, ad esempio, per i beni in casa del debitore ma di proprietà di familiari (il classico: pignorano la TV ma il figlio dimostra che l’ha comprata lui).

Per il debitore in senso stretto l’opposizione di terzo non è un suo strumento, ma indirettamente lo aiuta se ad esempio la moglie del debitore riesce a far liberare l’immobile che era solo suo ecc. È bene sapere che anche i terzi hanno tutele: pignorare beni altrui espone il creditore a risarcimenti se fatto dolosamente.

Sospensione dell’esecuzione

Abbiamo accennato sopra: il giudice dell’esecuzione può disporre la sospensione della procedura esecutiva in diverse circostanze:

  • Sospensione su istanza del debitore (opponente): quando c’è un’opposizione fondata e gravi motivi. Ad esempio il debitore ha presentato appello avverso la sentenza che è titolo, e la Corte d’Appello ha sospeso l’efficacia ex art. 283 cpc; oppure il debitore ha quasi concluso un accordo di saldo col creditore. Il GE può sospendere ex art. 624 cpc su richiesta, emanando ordinanza non impugnabile immediatamente. Anche in opposizione agli atti c’è analoga facoltà (art. 618).
  • Sospensione di diritto: alcuni casi particolari, es. conciliativa: se le parti richiedono di tentare mediazione o negoziazione assistita, il GE può sospendere fino a 3 mesi su istanza congiunta. Oppure, se il debitore deposita richiesta di ristrutturazione debiti ex legge sovraindebitamento, vi sono previsioni di sospensione (vedi oltre).
  • Sospensione amministrativa: nel caso di esecuzioni fiscali, l’ente creditore può disporre la sospensione (moratorie, rateizzazioni concesse da Agenzia Entrate Riscossione).
  • Sospensione per convertire pignoramento: quando viene ammessa la conversione ex art.495, la vendita viene sospesa per dare tempo di pagare.

Per il debitore, ottenere la sospensione è spesso l’obiettivo immediato: ferma l’emorragia (evita che i beni vengano venduti) e guadagna tempo per la soluzione di merito (cause) o extragiudiziale (accordi). Non è però scontata: servono motivi seri e documentati.

Ad esempio, se il debitore oppone la prescrizione del titolo producendo i documenti, molti GE sono inclini a sospendere, perché un’eventuale vendita basata su un titolo poi dichiarato inefficace sarebbe gravemente pregiudizievole (si dovrebbe restituire il bene venduto, cosa difficile se finito a terzi). Se invece l’opposizione appare pretestuosa, la sospensione viene negata e l’esecuzione continua.

Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.) e accordi rateali

Già anticipato: la conversione del pignoramento è la procedura mediante la quale il debitore chiede di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro, al fine di evitare la vendita forzata e pagare il debito in modo rateale.

Come funziona: entro il termine perentorio di 20 giorni dal pignoramento (termine che il GE può prorogare fino all’udienza di vendita), il debitore può presentare istanza di conversione offrendo una somma a garanzia. Deve depositare in tribunale una somma non inferiore ad 1/6 dell’importo dovuto (capitale, interessi e spese). Prima della riforma era 1/5, ora 1/6: ad esempio su €60.000 di debito totale, deve depositare almeno €10.000.

Il giudice, verificato il deposito, sospende l’esecuzione e fissa un termine (massimo 90 giorni rinnovabili una volta) perché il debitore versi il residuo importo eventualmente in rate mensili (di solito il GE concede da 12 a 36 rate mensili a seconda dell’entità del debito e delle disponibilità). La norma aggiornata consente fino a 48 mesi in taluni casi, ma usualmente 36 mesi (3 anni) è lo standard per importi rilevanti. Il debitore dovrà pagare ogni rata in cancelleria. Se paga tutte le rate, la somma viene distribuita ai creditori e i beni pignorati vengono liberati (il pignoramento si estingue). Se salta una rata o ritarda oltre il consentito, la conversione è revocata, il pignoramento riprende come prima (e il debitore ci rimette l’acconto depositato, che verrà comunque usato per pagare parzialmente i creditori).

La conversione è un’ottima via se il debitore ha accesso a liquidità parziale o a un finanziamento. Ad esempio, una famiglia rischia di perdere la casa all’asta per un debito di €50.000: se riesce a mettere insieme €8-10.000 (tramite parenti, amici, magari vendendo l’auto) e li deposita, può ottenere fino a 2-3 anni di tempo per pagare il resto a rate, evitando la vendita dell’immobile. Spesso il creditore principale è ben contento di accettare, perché così riceverà comunque il pagamento (sia pure differito) senza i rischi dell’asta.

Novità: la Riforma Cartabia (correttivo D.lgs. 162/2024) ha abbassato l’anticipo al 1/6 e anche previsto espressamente che se il debitore raggiunge un accordo rateale col creditore dopo il precetto, ciò può essere formalizzato e portare a evitare l’esecuzione. In pratica, l’art. 495 modificato incoraggia accordi: se il debitore propone un pagamento a rate e il creditore lo accetta, l’esecuzione non parte o viene sospesa. È consigliato inserire fin dal precetto l’apertura a piani di rientro, e in effetti la legge ora impone di avvisare il debitore anche di questa possibilità nel precetto (dove si parla di “facoltà del debitore di evitare l’esecuzione concordando un pagamento rateale”). Molti creditori preferiscono un accordo piuttosto che lunghe esecuzioni: ad esempio, invece di pignorare stipendio per 5 anni, accettano un piano di saldo e stralcio magari ridotto ma certo.

Differenze accordo vs conversione: Un accordo privato non passa dal giudice: ad esempio, creditore e debitore firmano un piano di rientro, il creditore non procede col pignoramento finché il debitore paga. Se però il debitore smette, il creditore potrà riprendere l’esecuzione (magari dovrà notificare nuovo precetto se quello è scaduto, a meno che abbia riservato efficacia). Invece la conversione è un provvedimento giudiziario con cauzione depositata: garantisce di più il creditore (ha già un gruzzolo in mano) e “sana” i beni del debitore. Un accordo è più informale ma dà flessibilità (si possono prevedere sconti sul dovuto, cosa che in conversione non succede: in conversione devi pagare tutto il dovuto, niente stralci, mentre con un accordo il creditore può rinunciare a parte di interessi o capitale).

Consiglio per i debitori: valutare seriamente la conversione se si tiene a un bene pignorato (specialmente la casa) e se c’è qualche possibilità di reperire fondi. Attenti però a non impegnarsi in un piano impossibile: se poi non pagate, avrete perso anche l’acconto. A volte meglio negoziare un saldo e stralcio anche vendendo spontaneamente il bene.

Strumenti concorsuali e da sovraindebitamento

Se il debitore è in grave difficoltà economica e ha più creditori, esistono procedure speciali di composizione della crisi:

  • Per imprenditori e società insolventi: il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e il concordato preventivo. Con l’apertura di una procedura concorsuale, scatta la sospensione o il divieto delle azioni esecutive individuali (art. 51 L.F. e analoghe disposizioni nel Codice della Crisi d’Impresa). Ciò significa che se un imprenditore viene dichiarato fallito, i singoli pignoramenti in corso si interrompono e confluiscono nella procedura collettiva (dove tutti i creditori concorrono). Dal punto di vista del debitore, non è un “beneficio” immediato perché comporta altre conseguenze, ma è un aspetto: quando la situazione è disperata con decine di esecuzioni, a volte la liquidazione fallimentare mette ordine e dopo potrà portare anche all’esdebitazione.
  • Per privati non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori): c’è il procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento (Legge 3/2012, ora confluita nel D.Lgs. 14/2019 Codice della Crisi). Consente al debitore civile sovraindebitato di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti o di accedere a una liquidazione controllata dei suoi beni, con possibile esdebitazione finale (cancellazione dei debiti residui). Durante la pendenza di una procedura di sovraindebitamento, il tribunale può disporre la sospensione delle esecuzioni individuali. In particolare, con l’apertura della liquidazione o con l’omologazione del piano, i pignoramenti sono vietati (si blocca tutto e i creditori devono stare nella procedura). Inoltre, il Codice della Crisi ha introdotto una misura di “esdebitazione del debitore incapiente” – se un privato non ha beni né redditi e risulta impossibilitato a pagare, può ottenere dal tribunale la cancellazione dei debiti residui a certe condizioni (una tantum, con buona fede, e se non ha soluzioni).
  • Esempio: Un privato sommerso dai debiti (carte di credito, finanziarie, fisco) potrebbe presentare un Piano del Consumatore offrendo ai creditori di pagare il 20% in 5 anni sulla base del suo stipendio disponibile. Se il piano viene omologato dal giudice, tutte le esecuzioni sono bloccate e i creditori dovranno accontentarsi di quanto previsto dal piano. Al termine, se ha rispettato tutto, i debiti extra vengono cancellati. Questo è uno strumento potente di “fresh start”. La Cass. 48/2022 di StudioCataldi (fictional) evidenziava come nel piano del consumatore i creditori non votano, decide il giudice – ciò a indicare che il debitore onesto ma sfortunato ha un’opportunità di liberarsi dai debiti. Naturalmente, serve l’assistenza di un OCC (Organismo Composizione Crisi) e il procedimento in tribunale.

Dal punto di vista pratico, un debitore dovrebbe considerare queste vie se:

  • Ha debiti complessivi insostenibili rispetto al suo patrimonio/reddito.
  • Le esecuzioni in corso sono multiple e non riuscirà comunque a pagarle interamente.
  • Vuole provare a chiudere con un accordo parziale e ripartire (specie per i consumatori).
  • Ad esempio, se ha una sola casa e tanto debito, invece di farsela vendere all’asta e restare debitore per eventuali scoperte, può proporre di liquidare l’immobile con più calma vendendolo magari a un valore migliore e distribuire il ricavato secondo un piano, ottenendo poi la cancellazione di ciò che manca.

Queste procedure concorsuali sospendono la prescrizione dei crediti durante la pendenza, quindi il decorso del tempo si interrompe in altro modo.

Altre tutele: benefici prima casa, impignorabilità relative, ecc.

Abbiamo trattato quasi tutti:

  • Beneficio prima casa (fisco): ribadiamo, se in regola, far valere l’impignorabilità ex lege se Equitalia tenta su unica casa.
  • Assegni familiari, pensioni di invalidità, ecc.: crediti di natura assistenziale (es. pensione invalidità civile) sono assolutamente impignorabili. Anche i sussidi pubblici, reddito di cittadinanza (finché c’era), ecc. Quindi se il debitore riceve un trattamento del genere e glielo pignorano erroneamente, può opporsi.
  • Veicoli strumentali: il Codice non li esenta, ma la prassi vede raramente il pignoramento di auto se sono indispensabili (il debitore può opporre che quell’auto gli serve per lavorare come agente di commercio, ma non c’è protezione specifica, salvo leasing intestato a terzo).
  • Conto cointestato: se pignorano un conto cointestato col coniuge non debitore, quest’ultimo può fare opposizione di terzo per svincolare almeno la metà saldo.
  • Usucapione vs titolo vecchio: ipotesi particolare: se c’è un ordine di rilascio ma il debitore (occupante) resiste per 20 anni e matura usucapione dell’immobile, potrebbe far valere questa situazione nuova (andrebbe valutato in sede di opposizione all’esecuzione per fatto sopravvenuto). Non si dovrebbe arrivare a tanto, ma è curiosità giuridica.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Che cosa significa che un credito è certo, liquido ed esigibile per costituire titolo esecutivo?
R: Significa che il diritto del creditore deve essere determinato nel suo an (certo: non controverso nell’esistenza), quantificato nell’importo o comunque determinabile (liquido: ad es. una somma specifica o determinabile con un calcolo) e scaduto (esigibile: non soggetto a termine o condizione sospensiva ulteriore). Un titolo esecutivo contiene già questi elementi. Ad esempio, una sentenza di condanna esprime un credito certo (riconosciuto dal giudice), liquido (importo X o formule per calcolarlo) ed esigibile (di solito immediatamente, salvo rateizzazioni in sentenza). Senza questi requisiti l’esecuzione forzata non può iniziare.

D: Quali sono i principali titoli esecutivi in Italia?
R: In sintesi: sentenze ed altri provvedimenti giudiziari di condanna (definitivi o provvisoriamente esecutivi), decreti ingiuntivi non opposti, lodi arbitrali resi esecutivi; atti notarili e scritture private autenticate contenenti obblighi di pagamento; titoli di credito come cambiali e assegni protestati; cartelle esattoriali e ingiunzioni fiscali per crediti erariali. Tutti questi, se rispettano le forme di legge, permettono di procedere con precetto e pignoramento.

D: Una sentenza non definitiva (es. una sentenza di primo grado appellata) è titolo esecutivo?
R: Sì, spesso lo è. Dopo la riforma del 2022, tutte le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive salvo casi eccezionali. Già dal 2006 molte lo erano (es. sentenze di condanna al pagamento di somme lo erano per legge). Oggi, salvo che il giudice d’appello sospenda l’efficacia, il creditore munito di sentenza di primo grado può agire immediatamente, anche se la controparte ha impugnato. Ci sono eccezioni per alcune materie (es. separazione, affidamenti? ma in denaro di solito esecutiva). Quindi sì, una sentenza di primo grado è un titolo esecutivo giudiziale. Naturalmente, se poi viene riformata in appello, il debitore avrà diritto alla restituzione di quanto pagato indebitamente.

D: Quanto dura l’efficacia di una sentenza di condanna?
R: Dal punto di vista della prescrizione, una sentenza di condanna (passata in giudicato) si prescrive in 10 anni. Il termine di 10 anni decorre di solito dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva (o, se provvisoriamente esecutiva e non impugnata entro termini, dalla scadenza per impugnare). Ogni atto esecutivo che il creditore compie entro quel periodo interrompe la prescrizione e fa ripartire un nuovo decennio. Quindi, se il creditore non si attiva mai, dopo 10 anni il debitore può eccepire prescrizione. Dal punto di vista del precetto, la sentenza una volta che viene messa in precetto, quel precetto vale 90 giorni per iniziare l’esecuzione. Se il creditore non agisce entro 90 giorni, dovrà fare un nuovo precetto, ma la sentenza in sé resta valida finché il diritto non è prescritto (10 anni). In sintesi: 10 anni salvo interruzioni.

D: Devo temere che un precetto diventi inefficace dopo 90 giorni?
R: Se sei creditore, sì: devi pignorare entro 90 giorni dalla notifica, altrimenti il precetto scade e devi rifarlo (perdendo tempo e denaro). Se sei debitore, puoi sperare che il creditore resti inerte 90 giorni: in tal caso quel precetto “cade” e, se vorrà ancora esigere, dovrà notificartene un altro (col beneficio per te di più tempo e magari la prescrizione che avanza). Tieni presente che se hai fatto opposizione al precetto, i 90 giorni si sospendono, e soprattutto che oggi se il creditore sta cercando i tuoi beni via tribunale (ricerca telematica), il termine è sospeso finché la ricerca non finisce. Quindi non dare per scontato lo scadere: informati se il creditore ha fatto mosse. In ogni caso, un precetto scaduto non legittima più pignoramenti: un pignoramento notificato oltre i 90 gg è nullo.

D: Un atto di precetto si prescrive?
R: L’atto di precetto in sé non ha una “prescrizione” autonoma, ma segue la sorte del titolo. Giuridicamente si dice che i 90 giorni sono un termine di decadenza, non di prescrizione. Il precetto “scade” dopo 90 giorni se non usato, ma ciò non estingue il diritto del creditore (che appunto prescrive eventualmente in anni). Quindi il precetto si rende inefficace dopo 90 giorni, e poi se il titolo esecutivo soggiace a prescrizione, quando quest’ultima matura anche un nuovo precetto non servirà. Possiamo dire che “si prescrive” un precetto solo quando il titolo esecutivo su cui si basa è prescritto. Esempio: un precetto intimato il 1° gennaio 2010 su un decreto ingiuntivo: se il creditore non fa nulla, il 2 aprile 2010 quel precetto è inefficace; il decreto ingiuntivo però resterà utilizzabile fino al 2020 (10 anni). Se nemmeno entro il 2020 il creditore si muove, dal 2021 il titolo è prescritto e qualsiasi precetto successivo sarebbe nullo. Dunque dire “precetto prescritto” è improprio: o è scaduto (90 gg) o il credito è prescritto. Vedi la tabella su differenze sopra.

D: Ho ricevuto un precetto oggi, cosa posso fare per evitarne gli effetti?
R: Se riconosci il debito ed hai i soldi, la cosa migliore è pagare entro i 10 giorni per evitare il pignoramento. Se non sei in grado di pagare subito:

  • Puoi provare a contattare il creditore (o il suo avvocato) per proporre un accordo: ad esempio, chiedere una dilazione di pagamento volontaria, magari offrendo subito una parte. Molti creditori accettano una rateazione ragionevole: se ciò accade, formalizzate l’accordo e il creditore potrà rinunciare a procedere (magari chiedi che sospenda per iscritto l’efficacia del precetto finché paghi le rate).
  • Se pensi che il debito non sia dovuto o sia errato, puoi presentare opposizione al precetto in tribunale (entro 20 giorni meglio, o comunque prima che parta il pignoramento) per contestare il diritto del creditore. Se ci sono validi motivi (es. prescrizione, pagamento già avvenuto, errore di persona, importo calcolato male) il giudice potrà sospendere e successivamente annullare il precetto.
  • Verifica intanto i 90 giorni: se credi che il creditore possa tardare, sappi che dal 91° giorno il precetto non è più valido. Alcuni debitori confidano in questo e adottano tattiche dilatorie per far passare il tempo (ad esempio, aprono trattative, chiedono piccoli rinvii, sperando che il creditore “si scordi” o tardi troppo). Attento però che il creditore può sempre notificare nuovo precetto. Inoltre oggi può sospendere il termine chiedendo al giudice la ricerca telematica dei tuoi beni, come detto.
  • Preparati eventualmente a tutelare i tuoi beni: se hai stipendio/pensione, vedi i limiti pignorabili (non oltre 1/5). Se hai conto corrente, valuta se tenere solo strettamente necessario su di esso. Se hai immobili, considera se ipotecati o se puoi venderli tu prima. Non trasferire però i beni in modo fraudolento per sottrarli ai creditori (sarebbe revocabile e anche potenzialmente reato di sottrazione fraudolenta).
  • Se il debito è molto alto e tu proprio non puoi pagare, considera l’opzione di una procedura di sovraindebitamento per trovare una soluzione più strutturata: rivolgiti a un OCC in zona.

D: Ho subito un pignoramento: come posso reagire?
R: Dipende dal tipo di pignoramento:

  • Pignoramento mobiliare: verifica se i beni pignorati sono realmente di tua proprietà e se non sono beni impignorabili (artt. 514-515 cpc). Se l’ufficiale giudiziario ha pignorato cose non pignorabili (es. elettrodomestici essenziali) o di terzi, puoi fare opposizione agli atti o il terzo può fare opposizione di terzo. Se i beni sono di scarso valore, a volte conviene aspettare: se non valgono abbastanza per spese/crediti, il creditore magari rinuncerà.
  • Pignoramento presso terzi (stipendio, conto): verifica che l’importo assegnato rispetti il limite del quinto. Se hai già altri pignoramenti o cessioni, segnala al giudice per non eccedere metà. Se sul conto c’erano somme esenti (es. pensione minima, ecc.) fai istanza di liberazione di quelle somme. Puoi sempre tentare accordo col creditore per fargli cessare il pignoramento (es. trovi un saldo e stralcio: se il creditore acconsente, potete chiedere al giudice di estinguere la procedura).
  • Pignoramento immobiliare: questo è serio. Puoi presentare opposizione se ci sono motivi validi (es. mutuo usurario? qualche nullità? debito contestabile). In parallelo, valuta conversione: se puoi raccogliere almeno il 15-20% del debito, chiedi conversione (acconto 1/6, rate per il resto). Oppure cerca di vendere privatamente l’immobile prima dell’asta a un prezzo congruo: col ricavato soddisfi il creditore e residuo (ottenendo magari una liberatoria per la differenza). Spesso giudici concedono tempo se c’è compratore serio. Se hai base d’asta molto più bassa del valore e rischi un saldo debito anche dopo l’asta, vendere tu stesso è preferibile.
  • In ogni caso, parla con un avvocato specializzato. Le esecuzioni hanno tecnicismi e scadenze strette: 20 giorni per opposizioni formali, ecc. Non aspettare passivamente.
  • Chiedi la sospensione se hai un motivo (ad esempio hai avviato una pratica di saldo e stralcio col creditore o un ricorso in appello che potrebbe annullare il titolo). Spiega al giudice perché è meglio attendere.
  • Riduzione o liberazione pignoramento: se hanno pignorato più del necessario (capita con più creditori sullo stesso bene), puoi chiedere riduzione. Se hai pagato fuori procedura, chiedi al GE di revocare il pignoramento presentando prova del pagamento.

D: Possono pignorarmi la casa in cui vivo?
R: Sì, se il creditore è un privato (banca, finanziaria, persona, condominio). Purtroppo la legge italiana non protegge la prima casa dai creditori chirografari o privilegiati diversi dal fisco. Se invece il creditore è l’Agenzia Entrate Riscossione (ex Equitalia), c’è il noto divieto di pignorare l’unica casa di abitazione del debitore (purché non di lusso e lui vi risieda). Quindi il fisco non può, le banche sì. Tuttavia, anche se la casa è pignorabile, non è detto che venga venduta facilmente: se il debitore nel frattempo paga o trova un accordo, la procedura si ferma. Inoltre, se la casa ha già un’ipoteca iscritta prima (es. mutuo ipotecario), quel creditore ipotecario ha priorità e spesso è colui che agisce. Altri creditori, se il valore è basso o c’è un’ipoteca capiente, a volte non procedono perché non ricaverebbero nulla. Insomma, in concreto la prima casa viene pignorata soprattutto da banche per mutui non pagati o da creditori con importi rilevanti. Per piccole somme, è raro (possono piuttosto mettere ipoteca giudiziale e attendere). Se succede, vedi sopra per le difese possibili (conversione, sovraindebitamento, ecc.).

D: Posso evitare il pignoramento spostando i beni a nome di terzi (moglie, parenti, ecc.)?
R: Questa è una strategia spesso pensata, ma attenzione: gli atti dispositivi fatti dopo che il debito è sorto (soprattutto dopo che c’è una causa o un titolo) possono essere impugnati dal creditore con l’azione revocatoria (art. 2901 c.c.) se diminuiscono la garanzia patrimoniale. Ad esempio, se dopo aver accumulato debiti intestate la casa al figlio con una donazione, il creditore può ottenere dal tribunale la revoca della donazione e pignorare lo stesso la casa (entro 5 anni con presunzioni facili, dopo 5 anni un po’ più difficile ma possibile provando collusione). Inoltre, trasferire beni per sottrarli ai creditori, se fatto in frode, può integrare reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (per debiti erariali) o comunque essere considerato frode. Quindi è altamente rischioso e spesso inefficace. Ciò detto, vendere beni a prezzo di mercato per fare cassa e pagare i creditori non è frode, anzi è consigliabile se serve liquidità: va fatto però in modo trasparente e preferibilmente destinando il ricavato ai creditori principali (altrimenti il creditore insoddisfatto attacca il ricavato in mano all’acquirente per revocatoria). In sintesi: passare la Ferrari a un amico per non farsela pignorare è facilmente revocabile; molto meglio venderla seriamente e usare i soldi per transare col creditore, o quantomeno per presentarsi al giudice con una proposta seria.

D: Ho più debiti e pignoramenti, non ce la faccio più: che posso fare?
R: Se sei sommerso dai debiti, valuta la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (se sei un privato o piccolo imprenditore) o altre procedure concorsuali se hai impresa. Il Codice della Crisi offre:

  • Il Piano del consumatore (solo per debitori persone fisiche non imprenditori): puoi proporre ai creditori un piano sostenibile, anche senza il loro consenso se il giudice lo ritiene fattibile ed equo. Ad es. dilazioni, stralci parziali. Durante l’omologazione, il giudice può sospendere le esecuzioni. Dopo, tutti dovranno rispettare il piano.
  • L’Accordo di ristrutturazione debiti (per imprenditori non fallibili o soggetti ex L.3/2012): serve il 60% di consensi dei creditori in certi casi, ma consente di ristrutturare e sospendere esecuzioni.
  • La Liquidazione controllata: vendi tutto il vendibile sotto controllo di un liquidatore nominato dal tribunale, e alla fine (durata max 4 anni) ottieni l’esdebitazione, ossia cancellazione dei debiti residui. Durante questa liquidazione, nessuno può pignorare nulla perché ci pensa il liquidatore a gestire i beni (sostanzialmente è come un fallimento del privato).
  • L’Esdebitazione del debitore incapiente: se proprio non hai nulla da liquidare, puoi chiedere al giudice di essere esdebitato subito, una volta nella vita, a condizione di essere meritevole (non aver truffato i creditori, ecc.). Il giudice cancella i tuoi debiti subito, ma per 4 anni se trovi soldi devi pagarli ai creditori riemersi al 50% sennò decade il beneficio.

Queste soluzioni sono complesse ma potentissime. Vero, comportano impegni e anche un po’ di stigma (pubblicità su registri, ecc.), però se hai decine di migliaia di euro di debiti che mai potrai saldare con i tuoi stipendi, può valere la pena. In più, sospendono le procedure esecutive: si ferma l’assedio. Ovviamente vanno affrontate con l’ausilio di professionisti specializzati (ci sono gli OCC pubblici che aiutano, presso Ordini professionali o Comuni).

D: In concreto, quando scade l’efficacia di un titolo esecutivo?
R: Riassumendo, un titolo esecutivo “scade”:

  • Nel breve termine, quando scade il precetto (90 giorni): in quel momento il titolo rimane efficace, ma quell’atto esecutivo non serve più. Il creditore deve rifare precetto.
  • Nel lungo termine, quando si prescrive il diritto sottostante: allora sì che il titolo perde efficacia definitivamente e non potrà più essere utilizzato. Ad esempio, la cambiale dopo 3 anni dalla scadenza non può più essere fatta valere come titolo esecutivo; la sentenza dopo 10 anni senza atti cade in prescrizione.
  • Ci sono poi casi particolari:
    • un titolo esecutivo condizionato (tipo un decreto ingiuntivo non esecutivo): se la condizione non si verifica (es. non viene apposta la formula o non passa il termine per opposizione), non è mai efficace. Ma supponiamo che nel frattempo la possibilità decada, allora quell’atto non avrà efficacia esecutiva.
    • Un titolo esecutivo giudiziale impugnato e annullato: in quel caso la sua efficacia viene meno perché il titolo è eliminato (es. sentenza di primo grado esecutiva viene riformata in appello – se nel frattempo c’era esecuzione, va cessata e il titolo originario non vale più).
    • Sospensione ultradecennale: rarissima ipotesi ma, ad esempio, se per 10 anni l’esecuzione è stata sospesa per legge (guerre, moratorie), i termini di prescrizione potrebbero essere prorogati.

In pratica, per non far scadere il titolo, il creditore deve “tenerlo in vita” con atti interruttivi; per far scadere, il debitore deve stare attento a non riconoscere mai il debito e sperare nell’inerzia prolungata del creditore.

D: Se il titolo esecutivo si prescrive, cosa succede alle esecuzioni in corso?
R: Se un credito si prescrive, il debitore deve sollevare la questione nell’esecuzione (il giudice non blocca d’ufficio). Se ad esempio il creditore ha dormito oltre 10 anni e improvvisamente inizia un’esecuzione, il debitore può fare opposizione all’esecuzione per far dichiarare la prescrizione e quindi l’inefficacia del titolo. Se invece un’esecuzione è già in corso da prima, e durante lo svolgimento trascorre il termine di prescrizione senza atti interruttivi ulteriori, è materia dibattuta: l’atto di pignoramento in sé è riconosciuto da Cassazione come atto a effetto interruttivo permanente fino alla chiusura della procedura. Cioè, finché la procedura pende, la prescrizione è congelata. Dunque non può prescriversi mentre l’esecuzione è pendente e attiva. Invece, se l’esecuzione rimane ferma per inerzia (ad es. sospesa per anni), qualche questione può sorgere, ma in genere l’inerzia nel processo esecutivo produce estinzione piuttosto che prescrizione. In conclusione, quando il titolo è prescritto il giudice dichiarerà improcedibile l’esecuzione e la chiuderà; i beni eventualmente pignorati saranno liberati. Il creditore resta senza più titolo, salvo poterne ottenere un altro (ma se è prescrizione sostanziale del diritto, non potrà).

D: Possono arrestarmi o mettermi in prigione per non aver pagato un debito (esclusi alimenti e casi penali)?
R: No, nel nostro ordinamento la detenzione per debiti civili non esiste (principio dell’art. 2740 cc e 13 Cost: responsabilità patrimoniale, non personale). Nessuno può essere incarcerato per non aver saldato un debito di natura civile o commerciale. Fanno eccezione i casi penali: se il debito deriva da un reato (es. multa penale non pagata, pena pecuniaria) oppure l’assegno alimentare ai figli non pagato può portare a reato di violazione obblighi di assistenza, ma si tratta di aspetti penali. Il carcere per debiti come tale non c’è. Quindi, il massimo che un creditore può legalmente farti è pignorarti i beni. Attenzione però a non nascondere beni in modo fraudolento: quello potrebbe costituire reato (sottrazione fraudolenta). Ma la mera insolvenza no, non è reato.


Conclusione

Dal punto di vista del debitore, la durata e la scadenza dei titoli esecutivi rappresentano sia un pericolo che un’opportunità. Sono un pericolo perché il creditore ha a disposizione periodi anche molto lunghi (dieci anni rinnovabili) per agire, e quindi il semplice passare del tempo raramente risolve un debito da solo. Ma sono anche un’opportunità difensiva perché ogni istituto ha i suoi termini di decadenza: il precetto scade in 90 giorni, il pignoramento in 45 giorni se non coltivato, il creditore distratto può lasciar prescrivere il suo credito in 10 anni. Il debitore informato può monitorare questi termini, e – con l’assistenza di un legale – usarli a proprio vantaggio: ad esempio, eccependo una prescrizione maturata, facendo valere la decadenza di un precetto tardivo, chiedendo l’estinzione di un pignoramento inefficace.

Inoltre, conoscere i meccanismi temporali consente al debitore di negoziare da una posizione più consapevole. Se sa che il creditore deve fare un passo entro una certa data, può valersi di quella leva in trattativa. Viceversa, se sa che il creditore ha ancora molto tempo, può decidere di trovare soluzioni proattive invece di aspettare inutilmente la prescrizione.

La guida ha anche evidenziato le numerose riforme recenti che hanno modificato la materia esecutiva: l’eliminazione della formula esecutiva per snellire il titolo, i nuovi obblighi di trasparenza nel precetto (che ora deve informare il debitore delle sue facoltà), la sospensione del termine per le ricerche telematiche, la riduzione dei tempi morti (45 giorni per azioni successive) e l’accelerazione delle cause di opposizione. Queste innovazioni mirano a un processo esecutivo più efficiente ed equilibrato: il debitore oggi riceve più informazioni all’inizio (sa del rischio pignoramento e della possibilità di accordi rateali già dal precetto), ed ha strumenti aggiornati per difendersi (termini chiari, possibilità di concordare piani di rientro anche a esecuzione avviata). D’altro canto, i creditori virtuosi vengono agevolati (non devono ripetere formalità inutili come la formula esecutiva, e vedono ridotti i tempi morti degli inadempimenti).

In definitiva, un titolo esecutivo dura fintanto che il diritto del creditore rimane vivo e non esaurito dalle azioni intraprese. Il debitore ha interesse a fare in modo che quel diritto si esaurisca al più presto – pagando il dovuto ove possibile (magari attraverso una dilazione) oppure ottenendo una pronuncia che lo affermi (come la prescrizione) – e comunque a sfruttare ogni irregolarità o inerzia del creditore a sua tutela. In un quadro legale così articolato, il supporto di professionisti qualificati (avvocati, OCC per la crisi, notai per eventuali atti) è spesso decisivo per orientarsi e scegliere la strategia migliore.

La speranza, per il debitore, è di poter voltare pagina: le norme moderne sull’esdebitazione lo consentono in casi estremi, ma anche situazioni meno drastiche trovano soluzione con accordi o piani di rientro. Dal canto suo, il creditore ha comunque a disposizione strumenti efficaci per recuperare il credito entro tempi ragionevoli e con garanzie, nell’equilibrio tra diritti contrapposti che l’ordinamento cerca di assicurare.

In sintesi: un titolo esecutivo non è eterno, ma la sua efficacia può prolungarsi per molti anni; conoscere “quanto dura” e “quando scade” – in termini sia giuridici che pratici – permette al debitore di evitare sorprese e di giocare d’anticipo nella difesa del proprio patrimonio. L’attenzione ai termini, l’uso tempestivo delle opposizioni e la valutazione di soluzioni alternative (come la conversione del pignoramento o le procedure di sovraindebitamento) rappresentano il miglior arsenale di cui dispone chi, trovandosi dalla parte del debitore, voglia affrontare consapevolmente la difficile esperienza dell’esecuzione forzata.


Fonti normative e giurisprudenziali

  • Codice Civile: artt. 2740 (responsabilità patrimoniale), 2934-2943 (prescrizione e interruzione), 2946 (prescrizione ordinaria decennale), 2953 (conversione delle prescrizioni brevi in decennali a seguito di giudicato), 2901 (azione revocatoria).
  • Codice di Procedura Civile:
    • Titoli esecutivi: art. 474 c.p.c. (definizione di titolo esecutivo e elenco: sentenze, altri provvedimenti esecutivi; cambiali, titoli di credito; atti pubblici e scritture autenticate). Art. 475 c.p.c. (forma del titolo esecutivo giudiziale e notarile: prima della riforma prevedeva la formula esecutiva, dopo la riforma 2023 richiede solo copia conforme). Art. 480 c.p.c. (contenuto e forma del precetto, inclusi requisiti introdotti dalla riforma: indicazione giudice competente, invito a rivolgersi al creditore per accordi, ecc.). Art. 481 c.p.c. (efficacia del precetto: 90 giorni dalla notifica, sospesi in caso di opposizione; Novità 2023: sospensione collegata all’art. 492-bis per ricerca beni). Art. 479 c.p.c. (soggetti legittimati a procedere: titolare originario o aventi causa con titolo a loro favore).
    • Pignoramento ed esecuzione: art. 492 c.p.c. (atto di pignoramento, ingiunzione al debitore); art. 492-bis c.p.c. (ricerca telematica dei beni, introdotto nel 2014, modificato nel 2021-2023: deposito ricorso sospende termine precetto); art. 495 c.p.c. (conversione del pignoramento: deposito di una somma pari al debito + un quinto ora un sesto – v. D.lgs 162/2024 – e rateazione); art. 497 c.p.c. (cessazione efficacia del pignoramento: 45 giorni senza istanza vendita/assegnazione – D.lgs. 149/2022, prima erano 90 giorni). Art. 514 c.p.c. (beni mobili assolutamente impignorabili: abbigliamento, arredi essenziali, etc.); art. 515 c.p.c. (beni relativamente impignorabili: strumenti di lavoro in parte); art. 543 c.p.c. (pignoramento presso terzi: forma e contenuti). Art. 545 c.p.c. (limiti di pignorabilità dei crediti: 1/5 stipendi, minimo vitale pensioni, impignorabilità assegni di sostentamento, etc.).
    • Opposizioni e rimedi: art. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione: prima o dopo inizio, sospensione per gravi motivi); art. 616 c.p.c. (rito dell’opposizione, come modificato: termini dimezzati – v. D.lgs 149/22 e D.lgs 162/24); art. 617 c.p.c. (opposizione agli atti esecutivi: 20 giorni dal compimento/conoscenza);art. 618 c.p.c. (procedimento opposizione atti, sospensione, decisione);art. 619 c.p.c. (opposizione di terzo); art. 624 c.p.c. (sospensione dell’esecuzione da parte del G.E. su istanza di parte);art. 624-bis c.p.c. (sospensione concordata – transazione, non applicabile in alcuni casi dopo riforma); art. 627 c.p.c. (ripresa dell’esecuzione dopo sospensione: termini sospesi); art. 630 c.p.c. (estinzione del processo esecutivo per rinuncia o inattività – inattività atipiche come tardivo deposito 497 cpc vanno fatte valere ex art. 630).
    • Procedura espropriazione: artt. 555 ss. c.p.c. (pignoramento immobiliare, obbligo trascrizione, 45 gg per deposito); art. 569 c.p.c. (istanza di vendita, delega); art. 586 c.p.c. (trasferimento immobile aggiudicato); art. 588 c.p.c. e seguenti (offerte d’acquisto); art. 590 c.p.c. (aggiudicazione definitiva).
    • Esecuzione specifica: artt. 605 ss. c.p.c. (esecuzione per consegna e rilascio); artt. 612 ss. c.p.c. (esecuzione di obblighi di fare o non fare); art. 614-bis c.p.c. (astreinte, coercizione indiretta).
  • Legislazione speciale:
    • Titoli di credito: R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669, art. 94 (Legge Cambiaria: prescrizione azione cambiaria diretta in 3 anni dalla scadenza, azione contro giranti in 1 anno dal protesto); R.D. 21 dicembre 1933 n. 1736, art. 75 (Legge Assegni: assegno bancario si prescrive in 6 mesi per azione cartolare).
    • Crediti tributari: D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 art. 49 e segg. (ruolo e cartella esattoriale come titolo esecutivo); art. 76 DPR 602/73 (limiti pignorabilità prima casa da parte agente riscossione). L. 228/2012 (stabiliva prescrizione 5 anni per cartelle non altrimenti specificato, tema dibattuto poi da Cass. SS.UU. 23397/2016). L. 69/2013 art.52 (modifiche su Equitalia prima casa).
    • Sovraindebitamento: L. 3/2012 (piani del consumatore, accordi, liquidazione; abrogata e confluita nel D.Lgs. 14/2019); D.Lgs. 14/2019 Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in vigore dal 15/07/2022, artt. 268-277 (piano del consumatore), 278-284 (accordo di composizione), 268 (sospensione esecuzioni su domanda misura protettiva), 14 (esdebitazione del debitore incapiente introdotta dal D.L. 137/2020 conv.L.176/20).
    • Riforma Cartabia: D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (riforma del processo civile ed esecuzione, attuativa L. 206/2021: ha modificato art. 475 cpc abolendo formula, art. 480 precetto, art. 481 precetto 90 gg con sosp. 492-bis, art. 497 45 gg, art. 495 conversione depositi 1/5, art. 567, 569 cpc vendite, art. 615-618 opposizioni dimezzando termini, etc. Entrata in vigore 1/1/2023 e 30/6/2023 alcune parti); D.Lgs. 149/22 art. 35, comma 1 (disciplina transitoria: nuove norme esecuzione si applicano da 30/6/2023 ai procedimenti iniziati dopo). D.Lgs. 13 giugno 2023 n. 85 (ulteriori correttivi? principalmente processo di esecuzione delegata); D.Lgs. 27 settembre 2024 n. 162 (primo correttivo Cartabia: riduzione acconto conversione da 1/5 a 1/6, dimezzamento termini costituzione in opposizioni, altre limature).
    • Sospensione feriale: L. 742/1969 (esclusione termini sostanziali come decadenza precetto dalla sospensione feriale: confermato da giurisprudenza).
    • Procedure concorsuali: R.D. 267/1942 art. 51 (divieto azioni esecutive individuali dopo dichiarazione fallimento); D.Lgs. 14/2019 art. 150 (stesso principio nella liquidazione giudiziale).
  • Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):
    • Su efficacia del titolo esecutivo e forma: Cass., Sez. Un., 6 marzo 2025 n. 5968 (principio di diritto: contratto di mutuo notarile costituisce titolo esecutivo per il mutuante anche se contestualmente si pattuisce deposito cauzionale/pegno della somma mutuata; basta che la somma sia stata messa a disposizione “anche solo contabilmente” e l’obbligo di restituzione assunto in modo incondizionato). Riconosce efficacia esecutiva al mutuo cosiddetto “condizionato”, superando orientamenti restrittivi.
    • Su precetto e suoi effetti: Cass. civ. Sez. III 3 giugno 1994 n. 5377 (classica: natura del termine precetto come decadenza, rilevabile d’ufficio). Cass. civ. Sez. III 3 maggio 2006 n. 9966 (se l’esecuzione inizia entro 90 gg il precetto conserva efficacia anche per procedure iniziate dopo i 90 gg, basandosi sullo stesso precetto). Cass. civ. Sez. III 7 settembre 2011 n. 18676/2011 (opposizione a precetto non sospende l’esecuzione se non chiesta sospensione, ma sospende solo il termine di efficacia precetto; conferma niente sospensione feriale su 90 gg). Cass. civ. Sez. II 16 luglio 2024 n. 19498 (precetto non interrompe la prescrizione di servitù non usata – contesto: servitù si prescrive con non uso 20 anni ex art. 1073 c.c., atto di precetto intimato di esercitare la servitù non vale come uso e non interrompe termine). Tuttavia, per crediti pecuniari di norma il precetto è atto di costituzione in mora e interrompe prescrizione.
    • Su pignoramento inefficace: Cass. civ. Sez. III 18 dicembre 2023 n. 35365 (omesso o tardivo deposito istanza di vendita ex art. 497 cpc provoca perdita efficacia pignoramento ed estinzione procedura; va fatta valere ex art. 630 cpc; non si può far valere con opposizione a esecuzione a titolo di inefficacia automatica se non dichiarata – anzi qui dice opposizione atti esecutivi il mezzo corretto se GE non dichiara). Cass. civ. Sez. III 14 marzo 2024 n. 6873 (mancata trascrizione o deposito documentazione pignoramento immobiliare nei termini = improcedibilità atipica; provvedimento GE che dichiara o nega non è soggetto a reclamo ex 630 cpc – riservato estinzioni tipiche – ma solo opposizione atti). Cass. civ. Sez. VI 26 giugno 2020 n. 22324 (termine 90 gg precetto natura sostanziale, non si sospende per ferie, conferma orientamento). Trib. Vicenza 22 marzo 2012 (ritenuta erroneamente applicabile sospensione feriale a precetto – isolato; menzionato per discussione).
    • Su limiti pignoramenti presso terzi: Cass. civ. Sez. III 1 febbraio 2019 n. 2730 (il pignoramento di conto cointestato limita a quota del debitore salvo prova diversa, e terzo cointestatario può opporsi per la sua quota). Cass. civ. Sez. III 22 maggio 2014 n. 11524 (somme su conto da pensione: interpreta art. 545 cpc comma 8 introdotto nel 2013, impignorabilità parziale). Cass. civ. Sez. lavoro 20 aprile 2016 n. 7701 (stipendio pubblico, limite 1/5 vale anche per risarcimenti erariali). Cass. civ. Sez. VI-III 19 febbraio 2019 n. 4881 (cessione del quinto e pignoramento: nel concorso la somma già ceduta va detratta dalla base per calcolo quinto).
    • Su opposizioni e procedure: Cass. civ. Sez. Unite 15 novembre 2007 n. 23726 (opposizione a precetto e a esecuzione cumulabili; qualificazione in base a motivo prevalente). Cass. civ. Sez. III 13 ottobre 2021 n. 27946 (termini dimidiati opposizioni esecutive in riforma 2021, questione transitoria). Cass. civ. Sez. Unite 25 novembre 2020 n. 19596 (natura impugnatoria o meno dei provvedimenti su estinzione atipica, preludio decisioni 2023). Cass. civ. Sez. III 4 agosto 2011 n. 16990 (atto di pignoramento come atto interruttivo della prescrizione permanente – c.d. effetto interruttivo permanente: il corso della prescrizione rimane sospeso per tutta la durata del processo esecutivo a favore dei creditori partecipanti, specie intervenuti – v. principio confermato da Cass. 20614/2024 in caso di mancato rinnovo trascrizione su alcuni immobili non incide su effetto interruttivo permanente per intervenuti). Cass. civ. Sez. Unite 13 novembre 2013 n. 23675 (scrittura privata ricognitiva di debito se autenticata è titolo esecutivo; ampia su art.474 n.2 cpc).
    • Su riforma Cartabia: Cass. civ. Sez. II Ord. 20 gennaio 2023 n. 1978 (precisa che le modifiche introdotte dal d.lgs.149/22 art. 3 – esecutorietà immediata delle sentenze di primo grado – si applicano dai giudizi instaurati dal 28.2.2023, transitorio). Cass. civ. Sez. VI 21 giugno 2022 n. 20293 (onere di indicare giudice competente in precetto introdotto dal DL 132/2014, oggi art.480 co.2, e sanzione in caso di omissione – conseguenza che opposizioni potranno proporsi al giudice del luogo di notifica). Cass. civ. Sez. III 11 aprile 2018 n. 8984 (validità notifica via PEC degli atti esecutivi).
    • Procedure concorsuali: Cass. civ. Sez. Unite 15 novembre 2016 n. 23397 (prescrizione contributi previdenziali: dopo L.335/95 è quinquennale e non si converte in decennale nemmeno dopo sentenza passata in giudicato se la sentenza accerta debito INPS – questione poi normativamente stabilizzata a 5 anni). Cass. civ. Sez. I 31 gennaio 2022 n. 3033 (omologazione piano del consumatore e opposizione dei creditori, requisiti meritevolezza). Cass. civ. Sez. I 8 maggio 2020 n. 8477 (nella liquidazione ex L.3/2012 l’esdebitazione a fine procedura è diritto se condizioni rispettate). Cass. pen. Sez. III 14 aprile 2021 n. 14034 (sottrazione fraudolenta ex art. 11 DLgs 74/2000: vendite simulate di beni per non farli pignorare dal fisco costituiscono reato).

Hai ricevuto un atto di precetto o un pignoramento? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Il creditore può agire contro di te solo se ha un titolo esecutivo in corso di validità.
Ma attenzione: nessun titolo dura per sempre.
Se è decorso un certo periodo senza che sia stato fatto valere, il titolo perde efficacia e ogni azione esecutiva può essere bloccata.


Cos’è un titolo esecutivo?

Il titolo esecutivo è un documento che legittima il creditore a pretendere forzatamente il pagamento di un debito.
I più comuni sono:

  • Sentenze e decreti ingiuntivi passati in giudicato
  • Cartelle esattoriali
  • Atti pubblici notarili con obbligo di pagamento
  • Accordi omologati dal giudice
  • Lodi arbitrali esecutivi

Senza un titolo esecutivo valido, non può esserci pignoramento, precetto o iscrizione ipotecaria.


Quanto dura un titolo esecutivo?

La durata dell’efficacia esecutiva è di 10 anni, ai sensi dell’art. 2953 c.c., salvo casi specifici.
Trascorsi 10 anni dall’emissione (o dal passaggio in giudicato), il titolo si prescrive se non è stato rinnovato o interrotto.

Attenzione:

  • Per le cartelle esattoriali, i termini possono variare (generalmente da 5 a 10 anni) in base al tipo di credito (fiscale, contributivo, sanzionatorio)
  • Un atto interruttivo, come un precetto o un pignoramento, può far ripartire il termine decennale

Cosa accade quando il titolo è scaduto?

Se il titolo esecutivo ha perso efficacia:

  • Il creditore non può più procedere con azioni forzate
  • Ogni atto esecutivo intrapreso è annullabile per prescrizione
  • È possibile presentare opposizione all’esecuzione o all’atto già notificato
  • Il debitore può chiedere l’archiviazione della procedura esecutiva in corso

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Verifica la validità e la prescrizione del titolo esecutivo utilizzato contro di te
📑 Presenta opposizione se il termine è scaduto
⚖️ Chiede la sospensione o l’annullamento del pignoramento avviato
✍️ Ti assiste nella gestione e cancellazione di iscrizioni pregiudizievoli (ipoteche, fermi, segnalazioni)
🔁 Ti difende anche in caso di atti esecutivi emessi su cartelle o sentenze prescritte


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in esecuzioni forzate e opposizioni a titoli esecutivi scaduti
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente in materia di tutela del patrimonio personale e aziendale


Conclusione

Non tutti i titoli esecutivi sono eterni. Se sono scaduti, non possono più essere usati per colpirti.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi bloccare pignoramenti, opporsi agli atti esecutivi e far valere la prescrizione in tuo favore.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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