Hai ricevuto un atto di pignoramento o un’intimazione al pagamento e stai valutando se presentare un’opposizione all’esecuzione, ma ti chiedi quanto costa, se ne vale la pena e quali spese devi affrontare?
Fare opposizione all’esecuzione è spesso l’unico modo per bloccare una procedura ingiusta o illegittima, ma prima di agire è giusto capire quali sono i costi reali da sostenere, cosa è incluso e quando si può ottenere anche un risarcimento o il rimborso delle spese legali.
Cosa incide sul costo dell’opposizione all’esecuzione?
– Il valore del debito contestato
– La complessità della difesa legale (documentazione da analizzare, urgenza, motivi di opposizione)
– Le spese vive di giustizia (contributo unificato, marche da bollo, notifiche)
– L’onorario dell’avvocato, che può variare in base all’importanza e alla difficoltà del caso
Quali sono le spese da mettere in conto?
– Contributo unificato: obbligatorio, calcolato in base all’importo del debito (es. circa 98 € fino a 1.100 €, oltre 400 € se il valore supera i 26.000 €)
– Parcella dell’avvocato: può partire da 1.000–1.500 € per opposizioni semplici, salire fino a 5.000 € o più per casi complessi, con perizie, istruttoria e sospensioni urgenti
– Spese di notifica, bollo, accesso agli atti: generalmente comprese tra 100 e 300 €
È possibile sapere prima quanto si spenderà?
Sì, un avvocato serio ti fornisce un preventivo chiaro e trasparente, spesso diviso per fasi:
– Analisi preliminare e parere
– Redazione e deposito dell’opposizione
– Udienze e fase istruttoria
– Sospensione urgente dell’esecuzione (se richiesta)
Chi paga le spese in caso di vittoria?
Se l’opposizione viene accolta dal giudice, il creditore può essere condannato a pagare le spese processuali, comprese quelle legali. In questo caso, l’opposizione può non solo bloccare il pignoramento, ma anche consentire il rimborso delle somme spese per difendersi.
E se non puoi permetterti subito l’avvocato?
– Puoi chiedere un piano rateale per il pagamento della parcella
– In alcuni casi, puoi accedere al patrocinio a spese dello Stato, se hai un reddito inferiore ai limiti di legge
– Puoi valutare una trattativa extragiudiziale con il creditore, evitando il processo
Cosa NON devi fare mai?
– Rinunciare a difenderti solo per paura dei costi
– Accettare l’esecuzione senza nemmeno capire se è legittima
– Agire da solo, senza consulenza, rischiando di presentare atti inefficaci
– Aspettare troppo: ogni giorno in più può significare danni maggiori e meno margini per fermare l’esecuzione
Opporsi all’esecuzione ha un costo, ma non opporsi può costarti molto di più.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa da esecuzioni forzate – ti spiega quanto costa fare opposizione all’esecuzione, quali spese devi aspettarti, come pianificarle e quando puoi anche recuperare i costi legali sostenuti.
Vuoi sapere quanto costerebbe difenderti nel tuo caso specifico? Ti serve un’opposizione urgente con sospensione dell’esecuzione?
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Introduzione
L’opposizione all’esecuzione forzata è uno strumento giuridico fondamentale a disposizione del debitore esecutato per contestare la legittimità di una procedura esecutiva avviata dal creditore. In sostanza, è l’azione con cui il debitore (o talvolta un terzo estraneo all’obbligazione) chiede al giudice di verificare se l’esecuzione in corso sia fondata su un valido diritto del creditore oppure se vi siano vizi formali tali da inficiarne la regolarità. Dal punto di vista pratico, l’opposizione può portare alla sospensione o all’annullamento del pignoramento, tutelando così il patrimonio del debitore, ma comporta anche tempi e costi che vanno attentamente valutati prima di intraprendere questa strada.
Nel corso degli anni, la disciplina delle opposizioni all’esecuzione è stata oggetto di varie riforme normative e di importanti interventi giurisprudenziali. Ad esempio, nel 2016 è stato introdotto un termine di preclusione: l’opposizione all’esecuzione (in materia di espropriazione) diventa inammissibile se proposta dopo che sia già stata disposta la vendita o l’assegnazione del bene pignorato, salvo casi eccezionali. Più di recente, nel 2023, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 9479/2023) hanno affrontato il rapporto tra tale limite e i diritti dei debitori in presenza di clausole contrattuali abusive, consentendo in casi particolari un’opposizione “tardiva” per far valere l’illegittimità del titolo esecutivo anche a distanza di anni, purché entro la fase della vendita del bene. Inoltre, la giurisprudenza ha chiarito che le opposizioni agli atti esecutivi soggette a termini perentori (20 giorni) sono strettamente vincolate alla tempestività: la tardività può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado, persino in Cassazione.
Questa guida approfondita – aggiornata a giugno 2025 – esaminerà in dettaglio tutte le forme di opposizione all’esecuzione previste dall’ordinamento italiano (dal punto di vista del debitore), illustrandone i costi (contributo unificato, spese accessorie, onorari legali), gli eventuali costi accessori e i possibili esiti nei vari gradi di giudizio (primo grado, appello, Cassazione). Useremo un linguaggio tecnicamente accurato ma chiaro, adatto sia a professionisti legali (avvocati) sia a privati e imprenditori che vogliano comprendere meglio lo strumento. Troverete tabelle riepilogative, domande e risposte frequenti (FAQ) e simulazioni pratiche con esempi numerici, così da fornire un quadro completo e aggiornato. Tutte le fonti normative (Codice di procedura civile, Testo Unico spese di giustizia) e giurisprudenziali rilevanti saranno citate e raccolte in fondo alla guida nella sezione Fonti, per consentire eventuali approfondimenti.
Tipologie di opposizione all’esecuzione
Nel processo di esecuzione forzata italiano esistono tre principali tipologie di opposizione, disciplinate dal codice di procedura civile (c.p.c.), a tutela del debitore (o di terzi) contro eventuali illegittimità dell’esecuzione:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), proposta dal debitore esecutato per contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione (ad esempio, perché il debito non è dovuto, è già stato pagato, si è prescritto o manca un titolo esecutivo valido). Riguarda il cosiddetto an dell’esecuzione, cioè l’esistenza stessa del diritto a eseguire coattivamente.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), con cui si denunciano vizi di forma e irregolarità procedurali dei singoli atti dell’esecuzione (es. nullità del precetto, errori nella notifica del pignoramento, violazione dei limiti di pignorabilità, difetti formali nel titolo esecutivo). È diretta contro il quomodo dell’esecuzione, ossia le modalità con cui questa viene condotta.
- Opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.), esperita da un terzo estraneo (non il debitore né il creditore) che rivendica un diritto di proprietà o altro diritto reale su beni mobili o immobili sottoposti a pignoramento. In sostanza, il terzo afferma che l’esecuzione è illegittima perché colpisce beni di sua proprietà, chiedendone la liberazione dall’azione esecutiva.
Ognuna di queste opposizioni ha presupposti, forme e tempistiche proprie, che affronteremo a breve nel dettaglio. È importante anzitutto distinguere tra le opposizioni proposte prima dell’inizio dell’esecuzione (tipicamente dopo la notifica di un atto di precetto, quando ancora non vi è stato il pignoramento) e quelle proposte a esecuzione già iniziata (dopo il pignoramento o durante la procedura esecutiva). La distinzione incide sia sulla forma dell’atto introduttivo (citazione vs ricorso), sia sul giudice competente, sia infine su alcuni aspetti di costo (contributo unificato), come vedremo di seguito.
Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)
L’opposizione all’esecuzione in senso stretto è lo strumento con cui il debitore contesta il fondamento stesso dell’azione esecutiva del creditore. I motivi tipici di opposizione ex art. 615 c.p.c. sono, ad esempio:
- Pagamento o estinzione del debito: il debitore dimostra che l’obbligazione portata nel titolo esecutivo si è estinta (per pagamento integrale, compensazione, transazione, prescrizione maturata, ecc.), di modo che il creditore non avrebbe più diritto a procedere. Se provato, il pignoramento sarà revocato e l’esecuzione annullata.
- Inesigibilità o inesistenza del titolo esecutivo: si contesta che il credito non sia certo, liquido ed esigibile, oppure che il titolo esecutivo sia invalido o mancante (ad es. un decreto ingiuntivo non definitivamente esecutivo, o una sentenza non passata in giudicato). Un caso particolare è la presenza di clausole abusive in contratti bancari o di consumo posti a fondamento di decreti ingiuntivi: su questo la Corte di Giustizia UE e la Cassazione sono intervenute per consentire al debitore di far valere tali nullità contrattuali anche in sede di opposizione all’esecuzione, a tutela dei suoi diritti, purché prima che il bene pignorato sia venduto.
- Impignorabilità dei beni: il debitore eccepisce che i beni aggrediti sono per legge impignorabili o solo parzialmente pignorabili, quindi l’esecuzione non poteva legittimamente estendersi ad essi. Ad esempio, il “minimo vitale” della pensione o stipendio su conto corrente non può essere toccato oltre certe soglie, oppure beni indispensabili alla vita o al lavoro del debitore (strumenti di lavoro, letti, cucina di casa, ecc.) sono impignorabili (artt. 514-515 c.p.c.). Se il creditore ha violato queste norme, l’opposizione mira a far dichiarare invalido il pignoramento su tali beni.
- Difetto di legittimazione del creditore procedente: il debitore può contestare che il soggetto che agisce esecutivamente non sia effettivamente titolare del credito (es. in caso di cessione del credito non notificata, mancanza di procura, ecc.), oppure che il titolo esecutivo non sia riferibile a lui.
- Altri motivi sostanziali: qualunque altra circostanza che infici il diritto del creditore a procedere (ad esempio un termine di pagamento non ancora scaduto, una condizione non avverata, l’esistenza di una sospensione concordata, ecc.).
A differenza dell’opposizione agli atti, qui non si discute di vizi formali della procedura, ma del merito del diritto fatto valere dal creditore. In caso di accoglimento dell’opposizione ex art. 615, l’intera esecuzione viene arrestata in tutto o in parte: il giudice accerta che il creditore (in tutto o in parte) non aveva titolo per espropriare i beni, con conseguente cessazione definitiva della procedura esecutiva per quella parte. Se invece l’opposizione è respinta, l’esecuzione prosegue regolarmente; anzi, spesso il debitore opponente dovrà pagare anche le spese legali del giudizio di opposizione (oltre al debito originario), come vedremo oltre.
Forma e tempi: l’art. 615 c.p.c. distingue due situazioni:
- Esecuzione non ancora iniziata (opposizione al precetto): se il debitore intende opporsi appena ricevuto l’atto di precetto (ossia la formale intimazione di pagamento che precede il pignoramento), deve proporre l’opposizione con un atto di citazione davanti al giudice competente per materia, valore e territorio (in genere il tribunale del luogo dell’esecuzione; v. artt. 27 e 480 c.p.c.). La citazione va notificata al creditore prima che inizi l’esecuzione forzata (idealmente entro i 20 giorni di efficacia del precetto, per evitare che il creditore proceda comunque). Non esiste un termine perentorio fisso per proporre opposizione al precetto, salvo il limite pratico che, una volta iniziato il pignoramento, l’opposizione sarà regolata come “tardiva” secondo il comma 2. Dunque, è consigliabile agire tempestivamente, entro il termine di scadenza del precetto (tipicamente 90 giorni dalla notifica) o prima che il creditore attivi il pignoramento. Durante questo giudizio, il debitore può chiedere al giudice un provvedimento urgente di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo impugnato, se ricorrono gravi motivi. In tal caso, il giudice dell’opposizione, con ordinanza motivata, può sospendere l’esecutività del titolo precettato (totalmente o parzialmente, ad esempio limitatamente a parte dell’importo). Ciò impedisce al creditore di procedere al pignoramento fino alla decisione nel merito dell’opposizione. Questa opposizione al precetto introduce un normale processo di cognizione, con rito ordinario (o rito semplificato di cognizione, se applicabile secondo le riforme recenti, a seconda della materia), volto ad accertare l’(in)esistenza del diritto di procedere all’esecuzione. Importante: al momento dell’iscrizione a ruolo di questa causa, è dovuto il contributo unificato calcolato in base al valore del credito controverso (si veda la sezione sui costi).
- Esecuzione già iniziata (opposizione a pignoramento in corso): se l’esecuzione forzata è già stata avviata (ad es. è stato notificato il atto di pignoramento o effettuato il pignoramento dei beni), l’opposizione ex art. 615 deve essere proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione presso il tribunale competente. In tal caso, l’atto introduttivo non è la citazione ma un ricorso depositato nel fascicolo dell’esecuzione, a cui segue un decreto del G.E. (giudice dell’esecuzione) che fissa l’udienza di comparizione delle parti e il termine per notificare ricorso e decreto al creditore. Questa è la cosiddetta fase sommaria o incidentale dell’opposizione, che si svolge davanti allo stesso G.E. già investito dell’esecuzione. Il G.E., in tale fase iniziale, ha innanzitutto il potere di decidere sull’eventuale sospensione dell’esecuzione su richiesta del debitore, se sussistono gravi motivi (analogamente a quanto visto sopra). La sospensione, se concessa, paralizza temporaneamente la procedura esecutiva (pignoramento, vendita, assegnazione) in attesa della definizione del giudizio di merito sull’opposizione. Dopo l’udienza davanti al G.E., possono verificarsi due scenari: (a) Definizione immediata: se l’opposizione riguarda questioni di pronta soluzione (ad esempio, il G.E. ritiene manifestamente fondata o infondata l’eccezione del debitore) e non richiede istruttoria complessa, il G.E. stesso può definire il giudizio in via sommaria. In passato, il G.E. emetteva un’ordinanza risolutiva dell’opposizione, reclamabile al collegio; con la riforma del 2021-2022 il procedimento è stato in parte modificato, ma in linea generale il G.E. può decidere questioni immediate. (b) Introduzione della fase di merito: se l’opposizione necessita di una cognizione piena (es. occorre assumere prove, testimonianze, esaminare documenti complessi), il G.E. avvia la causa di merito davanti al giudice competente. In base all’art. 616 c.p.c. vigente (modificato dalla riforma “Cartabia”), il G.E. con ordinanza assegna all’opponente un termine perentorio (di regola 40 giorni) per introdurre la causa di merito nelle forme ordinarie davanti al tribunale competente (se stesso in funzione di giudice monocratico o altro giudice, a seconda dei casi). Si “scindono” quindi due fasi: la fase incidentale dinanzi al G.E. (cautelare) e la fase di merito dinanzi al giudice della cognizione. Costi: nella fase iniziale davanti al G.E., l’opposizione si “innesta” nel processo esecutivo pendente e non richiede un nuovo contributo unificato da parte del debitore (il processo esecutivo stesso sconta già il contributo pagato dal creditore procedente al momento opportuno, quindi l’incidente di opposizione non ha costo di iscrizione). Tuttavia, quando si apre la fase di merito con iscrizione a ruolo della causa di opposizione (ex art. 616 c.p.c.), il debitore opponente deve versare il contributo unificato secondo il valore del credito in contestazione, come per una normale causa civile. In pratica, ciò equivale al medesimo contributo che sarebbe stato dovuto se l’opposizione fosse stata proposta fin dall’inizio con citazione (come nel caso del precetto). La differenza è che il pagamento è posticipato al momento dell’iscrizione della causa di merito (dopo la fase sommaria).
Limite temporale: Come anticipato, l’opposizione ex art. 615 proposta dopo l’inizio dell’esecuzione è soggetta, nel caso di espropriazione forzata, a un’importante preclusione introdotta dal D.L. 59/2016 (conv. L. 119/2016). Il terzo comma dell’art. 615 c.p.c. oggi recita: “Nell’esecuzione per espropriazione l’opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione […] salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile.”. Ciò significa che, per le esecuzioni mobiliari e immobiliari, il debitore non può più attendere le ultime fasi (dopo l’ordinanza di vendita o di assegnazione del bene pignorato) per sollevare contestazioni che avrebbe potuto proporre prima. Trascorso quel momento cruciale (es.: dopo l’ordinanza di vendita dell’immobile ex art. 569 c.p.c.), ogni nuova opposizione all’esecuzione “tardiva” sarà dichiarata inammissibile dal giudice, a meno che il debitore provi che si basa su circostanze sopravvenute (fatti nuovi emersi solo dopo) oppure che per ragioni non imputabili a lui non poteva opporsi prima. Questo limite serve ad evitare opposizioni dilatorie nelle fasi finali che ritarderebbero la vendita del bene, rispondendo all’esigenza di celerità e certezza nelle procedure esecutive. Ad esempio, se il debitore scopre dopo la vendita un vizio già esistente prima, ormai non può più far valere quell’eccezione (salvo casi eccezionali); viceversa, se emerge un fatto totalmente nuovo (es. una sentenza che annulla il titolo esecutivo, ma intervenuta dopo la vendita disposta), egli potrà ancora opporsi anche tardivamente. Le Sezioni Unite 2023 citate hanno confermato la compatibilità di questo regime con la tutela dei diritti del debitore, sottolineando che anche in caso di clausole nulle in un contratto bancario sottostante, il limite ultimo per opporsi resta l’ordinanza di vendita, salvo il caso di forza maggiore o nuove scoperte.
In sintesi, l’opposizione all’esecuzione è la via da seguire quando contestiamo l’obbligo stesso di pagare o la possibilità per il creditore di eseguire: va proposta tempestivamente (prima o subito dopo l’inizio del pignoramento) e tenendo presente che, nelle esecuzioni immobiliari, dopo l’ordinanza di vendita non c’è più spazio per sollevare vecchie contestazioni. Nei prossimi paragrafi esamineremo i costi di questa opposizione (che variano in base al valore del debito) e cosa accade se si prosegue con appello o ricorso per Cassazione.
Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)
L’opposizione agli atti esecutivi è il rimedio concesso al debitore (o all’altra parte del processo esecutivo) per denunciare vizi di forma, irregolarità o illegittimità specifiche dei singoli atti esecutivi o delle relative notifiche. A differenza dell’opposizione all’esecuzione, qui non si contesta il diritto del creditore a procedere in sé, bensì si mira a far dichiarare nullo o inefficace un determinato atto del procedimento esecutivo compiuto senza il rispetto delle forme previste dalla legge. In altre parole, l’opponente lamenta il “quomodo” dell’esecuzione, sostenendo che essa, pur legittima nel merito, non sta seguendo il corretto iter procedurale.
Esempi comuni di motivi di opposizione agli atti esecutivi:
- Vizi del titolo esecutivo o del precetto (formali): es. il precetto manca di alcuni requisiti formali obbligatori (come l’indicazione del tribunale competente o della data di notifica del titolo, richiesta dall’art. 480 c.p.c.); oppure il titolo esecutivo notificato non è in forma esecutiva regolare, o presenta difetti di forma (intestazione errata, mancanza di firma, errori materiali gravi). Tali irregolarità formali di titolo o precetto vanno opposte entro 20 giorni dalla notifica di tali atti.
- Vizi nelle notifiche: ad esempio, nullità o irregolarità della notifica del pignoramento o di altri avvisi al debitore. Può capitare che l’atto di pignoramento sia notificato a persona o indirizzo sbagliati, o senza rispettare i termini (p.es. il precetto notificato senza attendere i 10 giorni minimi prima di iniziare l’esecuzione). Un’altra ipotesi: mancata o viziata notifica dell’atto di pignoramento al terzo proprietario (se diverso dal debitore) prevista dall’art. 604 c.p.c. In tutti questi casi, il debitore può eccepire la nullità dell’atto esecutivo per vizio di notifica. Attenzione: la giurisprudenza ha stabilito che se il debitore comunque viene a conoscenza dell’atto e propone opposizione, spesso il vizio può considerarsi sanato per raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.), a meno che il debitore, nell’opposizione, alleghi uno specifico pregiudizio derivatogli dalla notificazione irregolare. In altre parole, non basta lamentare l’errore formale, ma occorre dimostrare come esso abbia compromesso il diritto di difesa, pena l’inammissibilità dell’opposizione pur in presenza del vizio.
- Violazione dei limiti di pignorabilità o atti eseguiti ultra vires: se il creditore compie atti esecutivi oltre quanto consentito dal titolo o dalla legge. Ad esempio, il pignoramento su stipendi/pensioni ha limiti precisi (solitamente 1/5 salvo eccezioni); se un ufficiale giudiziario pignora somme eccedenti tali limiti, l’atto può essere opposto in quanto illegittimo. Analogamente, se il precetto intimava solo una somma di denaro ma il creditore pignora beni mobili o immobili non contemplati, si può contestare la difformità dell’atto esecutivo rispetto al titolo.
- Pignoramento di beni altrui o inesatti: qui siamo al confine con l’opposizione di terzo, ma anche il debitore può opporsi se ritiene che il bene pignorato non doveva essere toccato perché magari estraneo all’esecuzione o già venduto in precedenza ecc. (In genere, però, se il bene non è suo, sarà il terzo a doversi attivare con art. 619).
- Vizi nelle vendite o nelle assegnazioni: ad esempio, errori grossolani nella pubblicità della vendita, mancato rispetto dei termini tra avviso di vendita e incanto, omissione di avvisi a qualche parte interessata, ecc. Un caso particolare: opposizione contro il decreto di trasferimento di un immobile venduto all’asta, per eccepire nullità formali del decreto stesso o del procedimento di vendita (pur senza contestare il diritto del creditore a espropriare in sé). La Cassazione ha stabilito che l’opposizione al decreto di trasferimento va proposta entro 20 giorni dalla conoscenza legale o di fatto di tale decreto, e comunque non oltre la chiusura della fase di distribuzione del ricavato.
- Opposizione ai provvedimenti del G.E.: se il giudice dell’esecuzione emette un’ordinanza o un provvedimento endoesecutivo viziato da errori formali (es. un’ordinanza di aggiudicazione contenente errori), le parti possono usare l’art. 617. In generale, qualunque provvedimento non decisorio del G.E. durante l’esecuzione, se ritenuto viziato nella forma, può essere oggetto di opposizione agli atti.
Termini e modalità: L’art. 617 c.p.c. prevede termini perentori brevissimi per queste opposizioni, allo scopo di non rallentare eccessivamente l’esecuzione. In sintesi:
- Se l’irregolarità riguarda il titolo esecutivo o il precetto (es. eccepiamo un vizio formale del precetto o della formula esecutiva) prima che l’esecuzione sia iniziata, l’opposizione agli atti deve essere proposta con atto di citazione al giudice competente, entro 20 giorni dalla notificazione del titolo o del precetto stesso. Il giudice competente, in base all’art. 480 co.3 c.p.c., è lo stesso che sarebbe competente per l’esecuzione (di solito il tribunale del luogo in cui si procederà). Dunque, ad esempio, se il precetto contiene un vizio formale (manca la firma dell’avvocato, o indica un importo sbagliato senza contestare il merito del credito), il debitore deve agire entro 20 giorni dalla notifica del precetto, altrimenti decadrà dal poter far valere quel vizio (una volta iniziato il pignoramento, se non ha opposto nel termine, tale vizio non potrà più essere eccepito perché sarà considerato sanato). Nota: c’è dibattito su quando usare art. 617 vs art. 615 per vizi del precetto: generalmente, se l’errore nel precetto incide sul merito (es. precetto intimante più del dovuto), si preferisce l’opposizione ex 615; se è un vizio solo formale (precetto incompleto, errata intestazione, omissione di avvertimenti), si ricorre al 617 entro 20 giorni. In dubbio, è prudente opporsi entro 20 giorni per evitare decadenze, eventualmente formulando entrambe le opposizioni in via subordinata.
- Se l’opposizione agli atti non è stata possibile prima (ad es. il vizio si è manifestato solo con il pignoramento) o se riguarda atti dell’esecuzione (pignoramento, avvisi, atti del delegato, decreto di trasferimento ecc.) già in corso, allora va proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione entro 20 giorni dal compimento dell’atto contestato (o dalla data in cui il debitore ne ha avuto conoscenza, se anteriore). Esempio: il pignoramento mobiliare è stato eseguito il 1° luglio senza rispettare una formalità; il debitore può proporre ricorso in opposizione agli atti al G.E. entro il 21 luglio. Oppure, un avviso di vendita immobiliare viene pubblicato senza rispettare il termine di 45 giorni prima dell’asta: il debitore (o l’eventuale partecipante leso) dovrà opporsi entro 20 giorni dall’asta o dalla conoscenza dell’irregolarità. Il termine di 20 giorni decorre “dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti” oppure dalla conoscenza di fatto che l’interessato ne abbia avuto. Ad esempio, se il decreto di trasferimento non viene comunicato, ma il debitore lo scopre solo più tardi, i 20 giorni decorrono dalla scoperta, con l’onere però di provare quando ha saputo dell’atto. In ogni caso, esiste un limite finale: l’opposizione agli atti non può mai superare la chiusura della procedura (nel caso immobiliare, la definitiva approvazione del progetto di distribuzione del ricavato). Dopo che i soldi sono distribuiti, l’esecuzione è esaurita e ogni vizio non dedotto entro quel momento non può più essere fatto valere.
La forma dell’opposizione agli atti ricalca quella vista per l’opposizione ex 615: prima dell’esecuzione si usa la citazione (rito ordinario di cognizione); a esecuzione iniziata si usa il ricorso al G.E., con un procedimento incidentale analogo a quello ex art. 615 secondo comma. Infatti, anche qui si hanno di norma due fasi:
- Fase incidentale davanti al G.E.: il debitore deposita ricorso in esecuzione entro 20 giorni dall’atto, il G.E. fissa udienza entro breve e può adottare provvedimenti urgenti (in particolare può sospendere l’atto impugnato o l’intera vendita se ricorrono gravi motivi, evitando che l’esecuzione prosegua su presupposti viziati). Ad esempio, se è opposto un avviso di vendita, il G.E. potrebbe sospendere la vendita in attesa della decisione. Il G.E. decide poi con ordinanza sulla fase incidentale. Secondo l’art. 618 c.p.c., l’ordinanza che definisce la fase sommaria deve fissare i termini per introdurre la fase di merito (analoghi a quelli dell’art. 616). In alternativa, in alcuni casi la decisione del G.E. su un’opposizione agli atti potrebbe essere immediatamente definitoria (specie se l’atto impugnato è palesemente regolare o irregolare). Va segnalato che un recente intervento della Cassazione (sent. n. 9451/2024) ha statuito che se, per errore dell’ufficio giudiziario, la fase sommaria dinanzi al G.E. viene saltata e la causa è stata trattata direttamente nel merito, ciò non comporta l’inammissibilità dell’opposizione ma la nullità del giudizio di merito, da rinnovare previa corretta instaurazione della fase sommaria omessa. Ciò sottolinea quanto la legge consideri fondamentale questo passaggio dinanzi al G.E.
- Fase di merito: simile a quanto visto per l’opposizione ex 615, se l’opposizione agli atti non si esaurisce davanti al G.E., viene introdotta una causa di merito davanti al giudice competente (tribunale) per accertare la nullità o meno dell’atto esecutivo contestato. In tale giudizio, che è a cognizione piena, il giudice deciderà con sentenza se l’atto è affetto da nullità/irregolarità e con quali effetti. Ad esempio, potrà dichiarare la nullità del pignoramento (con conseguente estinzione della procedura) oppure annullare la sola vendita viziata disponendone la rinnovazione, ecc., a seconda del vizio rilevato e della sua incidenza.
Costi: l’opposizione agli atti esecutivi ha un trattamento peculiare quanto a contributo unificato. Se è proposta prima dell’inizio dell’esecuzione (cioè con citazione ex art. 617 co.1 c.p.c.), essa sconta un contributo unificato fisso di €168,00, indipendentemente dal valore della causa. Questo importo fisso è stabilito dall’art. 13, comma 2, del DPR 115/2002 (Testo Unico spese di giustizia). Ai €168 si aggiungono i diritti forfettari di cancelleria (€27). Se l’opposizione agli atti è invece proposta a esecuzione iniziata con ricorso al G.E., vale lo stesso principio visto prima: nella fase incidentale in esecuzione non si paga contributo (perché la procedura esecutiva è già in corso e contributata); successivamente, per avviare la fase di merito (ex art. 618 c.p.c.), sarà dovuto il contributo fisso di €168,00 al momento dell’iscrizione a ruolo della causa (oltre alla marca da €27). In pratica, il costo è sempre €168 per le opposizioni ex 617, a prescindere dal valore economico dell’esecuzione – ciò in quanto si tratta di rimedi formalistici per i quali il legislatore ha previsto un importo forfettario. Troverete un riepilogo di questi costi nella tabella contributi più avanti.
Effetti: Se l’opposizione agli atti viene accolta, l’atto impugnato è dichiarato nullo o irregolare e viene eliminato o rinnovato. Ad esempio, una notifica nulla dovrà essere ripetuta correttamente, un pignoramento viziato può essere dichiarato nullo (spesso portando all’estinzione dell’esecuzione, a meno che il creditore non possa ripetere l’atto entro certi termini), un decreto di trasferimento annullato comporterà la restituzione del bene al debitore (salvo diritti dei terzi in buona fede) e la necessità di ripetere la vendita. Se invece l’opposizione è respinta, l’atto impugnato resta valido e la procedura prosegue; il debitore opponente potrebbe dover rifondere le spese di causa al creditore, salvo casi di soccombenza reciproca o compensazione. Si noti che la proposizione dell’opposizione agli atti non sospende automaticamente l’esecuzione o l’atto impugnato: occorre sempre un provvedimento ad hoc del G.E. per sospendere, in presenza di gravi motivi. Ciò significa, ad esempio, che se si oppone un avviso di vendita senza ottenere la sospensione, la vendita potrebbe avere luogo ugualmente; se poi l’opposizione verrà accolta, quell’atto potrà essere annullato ex post. Per questo è importante, ove possibile, chiedere e motivare la sospensione contestualmente all’opposizione.
Opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.)
Oltre alle opposizioni proposte dal debitore, l’ordinamento prevede anche la tutela di eventuali terzi estranei all’obbligazione che subiscano gli effetti dell’esecuzione. L’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) è l’azione con cui un terzo – tipicamente, un proprietario di beni pignorati che non è il debitore – chiede di accertare l’illegittimità dell’esecuzione con riferimento a quei beni, rivendicando il proprio diritto sui medesimi. In pratica, il terzo afferma: “quel bene pignorato è mio (o è gravato da un mio diritto reale), quindi il creditore non può toccarlo per un debito altrui”. Ad esempio, si pensi al caso di un immobile in comunione o cointestato con un soggetto estraneo al debito, oppure a beni mobili prestati o di proprietà di un familiare ma pignorati in casa del debitore.
L’opposizione di terzo ha natura sostanzialmente simile a un’azione di accertamento della proprietà. Può essere proposta solo dopo l’inizio dell’esecuzione, quando cioè un bene è stato già pignorato, poiché prima ovviamente il terzo non ha motivo di agire (non esiste ancora alcuna lesione dei suoi diritti). Non c’è un termine perentorio di 20 giorni come per gli atti esecutivi, ma deve essere proposta prima che l’esecuzione sia conclusa con la distribuzione finale: oltre quel momento, l’ordinamento preferisce che il terzo faccia valere i suoi diritti con azioni ordinarie (ad esempio chiedendo la restituzione delle somme già assegnate, etc.). In particolare, la giurisprudenza ha affermato che l’opposizione di terzo ex art. 619 può essere esercitata anche contro un decreto di trasferimento già emesso, purché il terzo agisca entro la fine della procedura di distribuzione, e sempre dimostrando di aver avuto conoscenza del provvedimento in tempo utile. Dopo la chiusura dell’esecuzione, infatti, il rimedio tipico (se del caso) diventa una causa di risarcimento danni o di arricchimento contro il creditore procedente ingiustamente, più che l’opposizione tardiva.
Forma: L’art. 619 c.p.c. dispone che l’opposizione di terzo si propone con atto di citazione (così è tradizionalmente inteso) davanti al giudice competente per valore del bene e per territorio (coincidente col giudice dell’esecuzione). In alcune prassi, viene accettato anche il ricorso al G.E. se si tratta di esecuzione in corso, analogamente a quanto avviene per l’opposizione ex art. 615 co.2. Di fatto, molti terzi propongono ricorso al G.E. per ottenere subito la sospensione della vendita del loro bene pignorato, e il G.E. assegna poi un termine per la citazione di merito. Quindi spesso anche l’opposizione di terzo si articola in una fase sommaria (davanti al G.E., per la sospensione) e una fase di merito (dinanzi al tribunale in composizione collegiale, poiché sovente queste cause rientrano nella competenza collegiale se si discute di proprietà immobiliare, ma dipende dal valore). Il G.E., in presenza di un’opposizione di terzo, valuterà se sospendere l’esecuzione limitatamente a quei beni controversi: se reputa che il terzo abbia ragionevoli probabilità (gravi motivi), bloccherà la vendita o assegnazione del bene pignorato in attesa dell’esito del giudizio di merito.
Onere della prova: spetta ovviamente al terzo opponente provare il proprio diritto sul bene. Ad esempio, se Tizio pignora un’auto ritenendola del debitore Caio, e Sempronio afferma che l’auto è sua, quest’ultimo dovrà esibire documenti di proprietà (es. passaggio di proprietà precedente, fatture, ecc.) nel giudizio di merito. Il giudice potrà anche disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) se necessario per valutare elementi (ad es. autenticità di documenti, stima di beni, ecc.). I tempi di questo giudizio possono essere analoghi a quelli di un ordinario processo di cognizione.
Costi: L’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619) dal punto di vista dei costi segue lo stesso regime dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615. Infatti la Circolare Ministero Giustizia 3 marzo 2015 ha chiarito che sia le opposizioni ex art. 615 co.2 sia quelle ex art. 619 c.p.c. “sono assoggettate al versamento del contributo unificato al momento dell’iscrizione a ruolo, secondo il valore della domanda, trattandosi di azioni che introducono normali ed ordinari processi di cognizione”. In altre parole, quando il terzo avvia la causa di opposizione (o quando viene iscritto il giudizio di merito dopo la fase davanti al G.E.), dovrà pagare un contributo unificato calcolato in base al valore dei beni controversi o al valore del credito azionato su quei beni. Generalmente, si prende come riferimento il valore del bene pignorato che il terzo rivendica. Se, ad esempio, il terzo oppone il pignoramento di un immobile stimato €100.000, il contributo sarà commisurato a €100.000 (salvo casi di valore indeterminabile). I dettagli sugli scaglioni e importi sono forniti nella sezione successiva sui costi, ma anticipiamo che per €100.000 il contributo in primo grado sarebbe di €518 (essendo superiore a 52.000 e fino a 260.000). Come per le altre opposizioni a esecuzione iniziata, la fase incidente (ricorso al G.E. per sospensione) non richiede contributo iniziale, mentre la fase di merito sì. Inoltre, il terzo dovrà pagare i soliti €27 di diritti forfettari.
Esiti: Se il terzo vince l’opposizione, il giudice dichiarerà che i beni pignorati appartenevano al terzo (o erano gravati da suo diritto) e quindi escluderà tali beni dall’esecuzione. Il pignoramento verrà in sostanza liberato limitatamente a quei beni: ad esempio, se un immobile in comproprietà era stato interamente pignorato per un debito di uno solo dei cointestatari, il giudice potrebbe dichiarare inefficace il pignoramento sulla quota di proprietà del terzo opponente. Oppure, se l’intero bene era del terzo, l’esecuzione verrà dichiarata improcedibile su di esso e il bene restituito al terzo. Se invece il terzo perde, l’esecuzione continuerà senza intralci su quei beni, e il terzo potrebbe essere condannato a rifondere le spese (ad es. al creditore, che ha dovuto difendersi). Va considerato che, a tutela dei terzi aggiudicatari in buona fede, la legge (art. 623 c.p.c. e altre disposizioni) cerca di rendere definitive le vendite già avvenute: quindi, un terzo proprietario che si muova in ritardo potrebbe dover accettare un risarcimento del danno in denaro anziché la restituzione del bene venduto a un estraneo. Perciò è essenziale per il terzo attivarsi subito appena saputo del pignoramento, chiedendo magari anche al giudice di essere autorizzato a custodia del bene nel frattempo.
Nota sul prospettiva del debitore: l’opposizione di terzo riguarda i diritti di altri soggetti, ma si inserisce comunque nel processo esecutivo del debitore. Dal punto di vista del debitore, se un terzo rivendica un bene pignorato, per il debitore può essere positivo (ad esempio un familiare recupera un bene che non verrà venduto per il suo debito), ma non libera il debitore dall’obbligo verso il creditore. Significa solo che il creditore dovrà cercare altri beni su cui soddisfarsi. In alcuni casi, il debitore e il terzo possono agire in modo coordinato: il debitore oppone per motivi suoi e il terzo per i suoi, al fine di bloccare efficacemente l’esecuzione su diversi fronti.
Riassumendo le differenze principali tra le forme di opposizione:
- Opposizione all’esecuzione (615): contestazione sostanziale del diritto di esecuzione; nessun termine fisso iniziale (salvo limite introdotto post-vendita); contributo a valore; sospensione efficacia titolo possibile; se accolta, blocca definitivamente l’esecuzione (debito non esigibile).
- Opposizione agli atti (617): contestazione formale di singoli atti; termine 20 giorni perentorio dall’atto; contributo fisso €168; sospensione atto possibile; se accolta, annulla l’atto viziato (esecuzione può riprendere rifacendo l’atto correttamente).
- Opposizione di terzo (619): rivendica diritti di terzo su beni pignorati; nessun termine breve fisso, ma va proposta durante l’esecuzione; contributo a valore; sospensione esecuzione su quei beni possibile; se accolta, esclude i beni del terzo dall’esecuzione.
Di seguito, dopo aver chiarito il “cosa” e il “come” delle opposizioni, affrontiamo il tema centrale: quanto costa intraprendere queste opposizioni, considerando tutte le voci di spesa (tributarie e legali) e come variano nei vari gradi di giudizio.
Costi di un’opposizione all’esecuzione
Affrontare un’opposizione all’esecuzione comporta diverse voci di costo. Alcune sono costi fissi processuali, come il contributo unificato da versare allo Stato e i bolli, altre sono costi variabili, in primis gli onorari dell’avvocato che assiste il debitore (e dell’eventuale consulente tecnico), nonché il possibile obbligo di rifondere le spese legali alla controparte in caso di esito sfavorevole. È fondamentale avere un’idea chiara di questi costi per valutare la convenienza di procedere con l’opposizione. In media – come rilevato da analisi pratiche – una opposizione può costare da poche migliaia di euro fino a oltre 10.000€, a seconda della complessità del caso e del numero di gradi di giudizio coinvolti. Nei paragrafi seguenti esamineremo ciascuna componente di spesa, con tabelle riassuntive e riferimenti normativi aggiornati al 2025.
Contributo unificato e spese di iscrizione a ruolo
Il contributo unificato è la tassa giudiziaria dovuta per iscrivere a ruolo una causa civile (DPR 115/2002, art. 9 e segg.). Nelle opposizioni all’esecuzione, l’importo del contributo dipende dal tipo di opposizione e dal valore della controversia. Riassumiamo i casi principali:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615) e opposizione di terzo (art. 619): il contributo unificato è commisurato al valore della causa, cioè in genere al valore del credito per cui si procede o dei beni pignorati oggetto di contestazione. In pratica, queste opposizioni “valgono” economicamente quanto l’importo che il creditore intende riscuotere (oppure quanto la parte di esso contestata). L’art. 17 c.p.c. infatti stabilisce che “il valore delle cause di opposizione all’esecuzione forzata si determina dal credito per cui si procede”. La tabella sottostante mostra gli scaglioni di valore e i corrispondenti contributi unificati in primo grado, aggiornati alla normativa vigente (importi in euro): Valore della causa (debito opposto) Contributo unificato (1º grado) Fino a €1.100 €43 Oltre €1.100 e fino a €5.200 €98 Oltre €5.200 e fino a €26.000 €237 Oltre €26.000 e fino a €52.000 €518 Oltre €52.000 e fino a €260.000 €759 Oltre €260.000 e fino a €520.000 €1.214 Oltre €520.000 €1.686 (Sono esenti o ridotti al minimo i valori sotto €1.033 davanti al Giudice di Pace, ma raramente le opposizioni all’esecuzione rientrano nella competenza del Giudice di Pace, salvo crediti di modestissimo importo. In generale, le opposizioni qui discusse si radicano presso il Tribunale). Oltre a questi importi, se la causa viene iscritta al ruolo presso il Tribunale, è dovuto il pagamento dei diritti forfettari di cancelleria (spesso chiamati marca da bollo) pari a €27,00 (elevati a €43,00 per alcune iscrizioni in Cassazione, come vedremo). Tali diritti sono dovuti quando il contributo unificato supera una certa soglia (es. cause sopra €1.100); di norma, per un’opposizione all’esecuzione in Tribunale si applica sempre la marca da €27. Come esempio: per un’opposizione a un precetto di €10.000, il valore rientra nello scaglione oltre €5.200 fino a €26.000, quindi contributo €237,00 + €27,00 diritti = €264,00 da versare al momento dell’iscrizione della causa. Se invece il debitore oppone un’esecuzione da €300.000, il contributo sale a €759,00 + €27 = €786,00.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617): il contributo unificato dovuto è fisso, indipendente dal valore, ed è pari a €168,00 (come da art. 13, comma 2, DPR 115/2002). Questa somma vale sia per il caso in cui l’opposizione agli atti sia introdotta con citazione prima dell’esecuzione, sia per la fase di merito di un’opposizione presentata a esecuzione iniziata. Anche qui si aggiungono €27 di diritti forfettari, portando il totale a €195,00 circa. (Da notare che €168 era il risultato di un aumento da €146 a €168 avvenuto nel 2014, importo confermato nelle tabelle 2025). Dunque, se il debitore impugna un vizio formale, ad esempio notifica nulla del precetto, pagherà €168 + €27 = €195 di contributo al momento dell’iscrizione a ruolo della causa di opposizione.
- Processo di esecuzione: per completezza, ricordiamo che il creditore, quando avvia un processo esecutivo, paga a sua volta un contributo unificato (es. €278 per pignoramento immobiliare, €139 per pignoramento mobiliare sopra €2.500, ecc.). Questo è indipendente dalle eventuali opposizioni. Ma è rilevante perché, come visto, se l’opposizione si svolge nella procedura esecutiva, inizialmente non si paga doppio: il Min. della Giustizia ha chiarito che nelle opposizioni proposte a esecuzione pendente, l’atto di opposizione incidentale non richiede contributo poiché l’esecuzione “sconta già” quello versato dal creditore. Il pagamento avverrà solo quando si instaura la cognizione separata. Questo evita un eccesso di esborso immediato da parte del debitore che presenta ricorso al G.E. durante l’esecuzione.
- Valore indeterminato: se il valore dell’opposizione non è determinabile in base al credito (casi rari nelle esecuzioni, ma possibili, ad es. se si oppone un atto senza immediata quantificazione), in Tribunale si applica il contributo per cause di valore indeterminabile €518,00 (importo previsto dall’art. 13 co.1 lett. d DPR 115/2002). Tuttavia, la maggior parte delle opposizioni ha come riferimento un importo pecuniario, quindi si evita il forfait da €518 se il valore concreto è minore.
- Riduzioni ed esenzioni: L’opposizione all’esecuzione non beneficia di riduzioni particolari (non rientra nei procedimenti sommari tipici); al contrario, l’opposizione a decreto ingiuntivo ha contributo ridotto della metà, ma questa è un’altra procedura (fase di cognizione) da non confondere con le opposizioni esecutive. Le controversie di lavoro sono esenti o ridotte, ma le esecuzioni in materia di lavoro hanno regole proprie (ad esempio pignoramenti per crediti di lavoro esenti da CU) – raramente c’è opposizione in quei casi perché il titolo di solito è chiaro (busta paga, ecc.). Dunque, per il debitore medio, nessuna esenzione: va pagato il contributo intero. Fanno eccezione eventuali esenzioni di legge: p.es. se l’esecuzione riguarda assegni di mantenimento per i figli, le opposizioni relative sono esenti da contributo. Questo perché la legge esenta tutto ciò che attiene ai minori in ambito familiare. Altro caso: se il debitore è ammesso al patrocinio a spese dello Stato (gratuito patrocinio), è esente dal contributo (ne parleremo nella sezione dedicata).
Contributo in Appello e in Cassazione: qualora l’opposizione prosegua nei gradi superiori (vedi oltre la parte sulla procedura), i contributi aumentano secondo la legge. L’art. 13 comma 1-bis DPR 115/2002 stabilisce infatti che il contributo è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione (appello) ed è raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di Cassazione. In pratica, ciò significa:
- Appello: il contributo unificato dovuto per l’impugnazione in Corte d’Appello è pari al 150% di quello del primo grado. Ad esempio, se in primo grado per l’opposizione si era pagato €237 (valore causa €10k-26k), in appello si pagherà €355,50 (cioè 237 + metà di 237). Se l’opposizione agli atti aveva contributo €168 fisso, in appello sarà €168 + 50% = €252 (questo 50% di aumento su importi fissi è applicabile come interpretazione, anche se di solito viene direttamente indicato di pagare 1,5 volte €168).
- Cassazione: il contributo in Cassazione è doppio rispetto al primo grado. Dalla tabella normativa: per valore fino 52k, es. €518 base → €1.036 in Cassazione; per €10k (base 237) → €474; per opposizione atti (base 168) → €336. Inoltre, per i ricorsi per Cassazione si deve versare anche un ulteriore importo fisso di €200,00 circa, corrispondente all’imposta fissa di registrazione dei provvedimenti giudiziari. Questa è una tassa aggiuntiva prevista dall’art. 13, comma 2-bis del DPR 115/2002 per i giudizi in Cassazione. Quindi, ad esempio, un ricorso per Cassazione in opposizione a esecuzione da €50.000 comporterà €1.036 (contributo) + €200 (registro) ≈ €1.236 di esborso fiscale.
Va evidenziato anche il meccanismo del c.d. “doppio contributo” in caso di rigetto dell’impugnazione: secondo l’art. 13 comma 1-quater DPR 115/2002, se l’impugnazione (sia appello che Cassazione) è respinta integralmente o dichiarata inammissibile/improcedibile, la parte impugnante è tenuta a versare un ulteriore importo pari al contributo già dovuto per l’impugnazione. Il giudice ne dà atto in sentenza e l’obbligo sorge al deposito della decisione. In pratica, è una sanzione economica per scoraggiare impugnazioni infondate o dilatorie: chi perde in appello o Cassazione paga due volte il contributo. Ad esempio, se un debitore ricorre in Cassazione pagando €336 e la Corte dichiara il ricorso inammissibile, egli dovrà versare ulteriori €336 allo Stato (il recupero avviene tramite ruolo esattoriale). Questa norma – introdotta nel 2013 – è importante da conoscere perché incide sui costi finali: se si fanno appello o ricorso pretestuosi si rischia di raddoppiare le spese di contributo.
Riepilogo contributi: in una tabella riepiloghiamo i contributi unificati tipici nelle opposizioni, nei vari gradi (esclusi i diritti fissi e altre tasse):
- Opposizione all’esecuzione / di terzo: contributo in primo grado in base al valore (cfr. tabella scaglioni sopra); in appello +50%; in Cassazione +100% (+ €200).
- Opposizione agli atti esecutivi: contributo fisso €168 (1º grado); in appello ~€252; in Cassazione ~€336 (+ €200).
Oltre al contributo, altri costi fissi iniziali includono:
- la marca da bollo da €27,00 (in Cassazione sale a €38-43 a seconda dei casi, ma spesso si continua a usare €27 per l’atto in sé e un bollo aggiuntivo di €3.84 per diritti di notifica);
- le spese di notifica dell’atto di citazione o ricorso all’altra parte (se non eseguite via PEC). Ogni notifica tramite ufficiale giudiziario costa mediamente tra €20 e €30 (dipende dalla distanza, urgenza, numero di pagine). Se vanno notificati sia l’atto che il provvedimento del giudice (nel caso di ricorso al G.E.), i costi raddoppiano. Stimiamo circa €50-100 totali di spese di notifica nel corso di un’opposizione.
Infine, va ricordato che se il debitore è in condizioni economiche disagiate può chiedere l’esonero dal contributo tramite il patrocinio a spese dello Stato: ne parliamo più avanti.
Compensi legali dell’avvocato
La voce di costo probabilmente più significativa per il debitore opponente sono gli onorari dell’avvocato che lo rappresenta. Poiché nelle opposizioni all’esecuzione il ministero di un difensore è di regola obbligatorio (tranne forse nei rarissimi casi di opposizione di valore infimo davanti al Giudice di Pace, ma quasi tutte le opposizioni su esecuzioni immobiliari o mobiliari superano tale soglia), il debitore dovrà rivolgersi a un avvocato esperto in esecuzioni forzate. I costi dell’assistenza legale possono variare enormemente in base a:
- la complessità del caso (un’opposizione basata su un vizio chiaro e documentale sarà meno onerosa di una che richiede una lunga istruttoria con testimoni, CTU, ecc.);
- il valore della causa (gli avvocati hanno parametri tariffari crescenti al crescere del valore della controversia, secondo i parametri forensi DM 55/2014 e successive modifiche);
- il numero di gradi di giudizio da affrontare (solo primo grado? oppure anche appello, Cassazione?);
- la piazza forense e la notorietà dello studio legale incaricato (studi specializzati di alto livello potrebbero avere onorari più elevati della media locale);
- eventuali accordi forfettari o a percentuale col cliente (in alcuni casi si concorda un compenso fisso indipendente dall’esito, o un compenso success fee in caso di vittoria).
Per dare un’idea, si riportano range di costo indicativi elaborati su base empirica per le opposizioni esecutive:
- Opposizione semplice (caso poco complesso, es. vizio evidente nel precetto o pignoramento): onorario totale per il primo grado tra €1.500 e €3.000. In questa categoria rientrerebbero opposizioni dove non vi è bisogno di lunga istruttoria, magari risolvibili in pochi atti e udienze (ad es., contestazione di un pagamento già avvenuto con ricevuta alla mano, o nullità palese di un precetto).
- Opposizione complessa (questioni articolate, più parti coinvolte, istruttoria corposa): onorario di primo grado tra €4.000 e €8.000. Ciò può comprendere, per esempio, opposizioni all’esecuzione in cui si discute di contratti bancari con clausole da esaminare, calcoli di interessi usurari, necessità di perizie econometriche, oppure opposizioni in cui il debitore solleva molteplici eccezioni su un’esecuzione immobiliare, ecc.
- Ricorso in appello: ulteriori €5.000 – €10.000 per il grado di appello. Gli appelli comportano studiare la sentenza impugnata, redigere l’atto di appello e partecipare all’udienza collegiale, con un impegno notevole. Naturalmente, se la causa di primo grado era semplice, l’appello potrebbe costare meno; se era complessa, saliamo nella forbice.
- Ricorso per Cassazione: tipicamente €8.000 – €15.000. Il ricorso per Cassazione richiede competenze specialistiche (serve un avvocato cassazionista) e comporta la redazione di motivi di ricorso molto tecnici; inoltre, l’avvocato deve considerare che la probabilità di successo in Cassazione non è alta, dunque spesso chiede compensi elevati per intraprendere tale ultimo grado.
Queste cifre sono orientative. I parametri forensi ufficiali (aggiornati da DM 147/2022) per una causa di valore medio, in Tribunale, prevedono compensi fase per fase: per esempio, per cause di valore €26k-€52k, il compenso da parametro può aggirarsi su €4.000–€6.000 per l’intero giudizio di primo grado (sommando studio, introduttiva, istruttoria e decisione). Va però considerato che le esecuzioni possono avere valore elevato (una opposizione su un pignoramento da €300k è in fascia molto alta, con parametri sui €10k solo per il primo grado). Inoltre gli avvocati possono discostarsi dai parametri entro determinati limiti o fare patti col cliente.
Dilazione e gratuito patrocinio: Alcuni studi legali comprendono le difficoltà dei debitori e consentono pagamenti rateali o concordano una tariffa forfettaria agevolata. Se il reddito familiare del debitore è sotto una certa soglia (aggiornata a €12.838,01 annui per il 2024-2025), egli può accedere al patrocinio a spese dello Stato. In tal caso, le parcelle dell’avvocato (e del consulente tecnico eventualmente) vengono liquidate dallo Stato, e il debitore non deve pagarle. Affinché ciò avvenga, il debitore deve presentare apposita istanza tramite un avvocato abilitato, dichiarando il proprio reddito e ottenendo l’ammissione al beneficio dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente. Il limite di reddito di €12.838,01 è riferito al reddito imponibile familiare risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi (viene aggiornato periodicamente: era €11.734,93 fino al 2022, poi alzato a 12.838,01 con decreto fine 2022). Se il debitore convive con coniuge o altri familiari, il reddito di questi si cumula, salvo cause di conflitto di interessi. In caso di ammissione, il debitore non paga né contributo unificato né compensi legali (né anticipazioni forfettarie). Attenzione però: il gratuito patrocinio copre le spese del proprio avvocato, ma non dispensa dal rischio di pagare le spese alla controparte in caso di soccombenza! Infatti, se il debitore perde l’opposizione, il giudice normalmente lo condanna a rifondere le spese all’avvocato del creditore. Questo importo resta a carico del debitore (lo Stato paga solo il suo difensore). È quindi fondamentale non equivocare: anche col patrocinio gratuito, si può dover pagare il legale del creditore vittorioso.
Spese legali in caso di vittoria o sconfitta: secondo il principio generale di soccombenza (art. 91 c.p.c.), chi perde la causa paga le spese di giudizio. Nel contesto delle opposizioni all’esecuzione, questo significa che:
- Se il debitore opponente vince, normalmente otterrà una condanna del creditore (o controparte) a rimborsargli le spese legali. In tal caso il giudice liquida un importo per compensi e spese, di solito applicando i parametri forensi in base al valore della causa. Ad esempio, se il debitore ha speso €3.000 di avvocato, il giudice potrebbe condannare il creditore a pagargli €3.000 (o una cifra simile). Ciò è importante specie se l’opposizione era giustificata da errori del creditore: il debitore non deve rimetterci ulteriormente. Talvolta, se il creditore è una banca o ente, preferirà evitare di arrivare a questo punto e potrà arrendersi prima.
- Se invece il debitore perde l’opposizione, sarà con alta probabilità condannato a pagare le spese processuali al creditore. Questa condanna si aggiunge al debito principale. Quindi, il costo effettivo per il debitore aumenta. Esempio: debito €10.000, spese legali del creditore per resistere all’opposizione €2.500 – il debitore, avendo perso, dovrà pagare ora €12.500 (più interessi) invece di €10.000. Ciò scoraggia opposizioni pretestuose. In alcuni casi il giudice può compensare le spese (cioè decidere che ognuno paga il proprio) se la causa verteva su questioni controverse o se entrambe le parti hanno ragione in parte. Ma la compensazione è discrezionale e, dal 2014, limitata a ipotesi particolari (soccombenza reciproca, novità della questione, mutamento giurisprudenziale, ecc., art. 92 c.p.c.). Ad esempio, se il debitore opponeva €5.000 di interessi e vince solo per €2.000 e perde per il resto, il giudice potrebbe dichiarare “vittoria parziale” e compensare le spese in toto o in parte.
Riassunto costi avvocato (primo grado): minimo circa €1.500-2.000 (caso semplicissimo e avvocato economico); massimo anche €8.000-10.000 (cause complesse di alto valore). Costi cumulati con impugnazioni: aggiungere ~€5-10k per appello, ~€8-15k per Cassazione, come range. Nella tabella seguente (dati medi 2025) forniamo un colpo d’occhio degli onorari legali stimati per parte (difensore del debitore) e grado:
Fase / Grado | Onorario stimato |
---|---|
Assistenza legale in primo grado (Tribunale) – causa semplice | €1.500 – €3.000 |
Assistenza legale in primo grado – causa complessa | €4.000 – €8.000 |
Assistenza legale in Appello (impugnazione) | €5.000 – €10.000 |
Assistenza legale in Cassazione (ricorso) | €8.000 – €15.000 |
Questi importi possono spaventare un debitore. È vero che rappresentano spesso la parte più onerosa del procedimento. Proprio per questo, prima di decidere se opporsi, conviene ottenere un parere legale preliminare: l’avvocato può valutare le chance di successo e fornire un preventivo dei costi. Se il caso è complesso, talvolta l’avvocato potrebbe suggerire di non impugnare oltre il primo grado per non gravare di spese aggiuntive il cliente, specie se le prospettive di vittoria in appello o Cassazione sono scarse. D’altro canto, un avvocato può proporre un accordo economico favorevole al cliente, come ad esempio pagare una parte all’inizio e una parte solo in caso di esito positivo (patti successori parziali, entro i limiti deontologici). Il debitore non deve aver timore di discutere dei costi apertamente col proprio difensore sin dal primo incontro.
Spese per perizie e consulenze tecniche
In alcune opposizioni – specialmente quelle relative a esecuzioni immobiliari o a contestazioni su dati tecnici (interessi, calcoli, confini di beni, ecc.) – può emergere la necessità di una Consulenza Tecnica. Ci sono due tipi:
- Perizia di parte: il debitore può volontariamente incaricare un tecnico (ad esempio un geometra, un perito immobiliare, un commercialista) per esaminare aspetti del caso e produrre una relazione a proprio favore. Ad esempio, in un’opposizione a esecuzione immobiliare basata sulla nullità di una fideiussione bancaria, il debitore potrebbe far redigere a un consulente finanziario una perizia sulle clausole contrattuali. Oppure, se contesta la valutazione dell’immobile fatta dal perito del tribunale, può far stimare il bene da un proprio esperto per dimostrare eventuali errori. Queste perizie stragiudiziali sono un costo extra, di norma tra €500 e €3.000 a seconda del tipo di analisi. Dall’esperienza: una perizia semplice su documenti (es. controllo tassi di interesse) può costare sui €500-1.500; una perizia approfondita con sopralluogo e stime (es. valutazione integrale di un immobile) può salire a €2.000-3.000. Queste spese rimangono a carico del debitore e non sono rimborsabili a meno che il giudice, in caso di vittoria, le consideri nel liquidare le spese (possibile, ma non garantito: spesso il giudice liquida solo le spese vive “necessarie”, e le perizie di parte non sempre lo sono, a suo giudizio).
- Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU): il giudice del merito (Tribunale) potrebbe disporre una perizia tecnica ufficiale, nominando un proprio consulente, se la questione lo richiede. Ad esempio, in un’opposizione all’esecuzione riguardante un immobile, può essere chiesto a un CTU di determinare il valore del bene o verificare la presenza di abusi edilizi, oppure di ricostruire un saldo contabile complicato. Il costo della CTU viene anticipato dalla parte che ha interesse (spesso il debitore opponente, se è lui ad aver chiesto la perizia, altrimenti può essere chiesto a entrambe le parti di anticipare). I compensi dei CTU seguono tariffe giudiziarie (DM 30/2022) e dipendono dalle ore impiegate e dal valore in questione. Indicativamente, una CTU in materia immobiliare potrebbe costare da €1.000 fino a €5.000 nei casi più complessi. Esempio: per stimare un immobile del valore di centinaia di migliaia di euro con perizie comparative, il CTU potrebbe avere un’onorario di €3.000-4.000. Se la CTU serve a ricalcolare un estratto conto bancario, la tariffa dipenderà dal numero di operazioni, ecc. Queste spese di CTU fanno parte delle spese processuali: chi le anticipa potrà poi vedersele attribuire a carico dell’altra parte in sentenza, a seconda di chi risulterà soccombente sulla questione. Se il debitore perde, rischia di dover sopportare definitivamente anche il costo del CTU (oltre ad averlo anticipato).
In molte opposizioni semplici non è necessaria alcuna perizia: ad esempio, se il motivo è prettamente giuridico (mancanza di titolo, prescrizione), decide il giudice senza CTU. Ma in altre, specie se il valore in gioco è alto e i dettagli fattuali controversi, le perizie possono diventare uno dei costi maggiori. Nella tabella riassuntiva dei costi più avanti vedremo le stime insieme agli altri elementi.
Altri costi accessori (notifiche, cauzioni, mediazione)
Oltre alle categorie principali già discusse, ci sono alcune spese accessorie e potenziali costi extra da tenere presenti:
- Spese di notifica e bolli: come accennato, ogni atto che l’avvocato del debitore deve notificare (citazioni, ricorsi, comparse, sentenze) comporta costi. Se le notifiche avvengono a mezzo PEC (Posta Elettronica Certificata), non ci sono costi vivi significativi (se non un piccolo contributo forfettario di €27 se si fanno notifiche in proprio per via telematica in alcuni casi); tuttavia, spesso nel processo esecutivo alcune notifiche devono essere fatte dall’Ufficiale Giudiziario (ad es. il ricorso in opposizione agli atti spesso richiede notifica formale). Poniamo dunque circa €100-200 come budget totale per coprire marche da bollo, diritti di notifica, eventuali copie autentiche richieste in corso di causa. Ad esempio, richiedere copia conforme di un’ordinanza per notificarla costa qualche marca da bollo (circa €11 ogni 4 pagine + €16 di diritti). Queste piccole spese spesso passano inosservate ma sommandosi possono raggiungere qualche decina di euro. Nel nostro computo, includiamo tali voci in “spese accessorie”.
- Cauzione per la sospensione dell’esecuzione: in rari casi, il giudice che concede la sospensione dell’esecuzione (soprattutto nelle esecuzioni immobiliari) può subordinare la sospensione a una “cauzione” o garanzia da parte del debitore opponente. Questo accade per bilanciare i rischi: il debitore ottiene di bloccare l’asta, ma deve ad esempio depositare una somma a garanzia del credito in caso poi perda la causa. Ad esempio, il G.E. potrebbe dire: “Sospendo la vendita dell’immobile purché l’opponente depositi in cancelleria €50.000 come cauzione”. Oppure potrebbe richiedere una fideiussione bancaria di importo adeguato. Questa facoltà del giudice è prevista dall’art. 624 c.p.c. e dall’art. 119 disp. att. c.p.c. (che consente di imporre una garanzia) quando la sospensione potrebbe arrecare grave pregiudizio al creditore. Nella pratica non è molto frequente, ma può succedere, specialmente se il motivo di opposizione non riguarda l’intero debito ma solo una parte. Se viene disposta, è un costo potenziale elevato: o il debitore immobilizza dei soldi come cauzione, o paga un premio a una banca per ottenere una fideiussione (premio che può essere del 1-2% annuo dell’importo garantito). Fortunatamente, nella maggioranza delle sospensioni concesse, il giudice non richiede cauzione se ritiene l’opposizione fondata su prova scritta convincente. Ma il debitore deve essere pronto a questa eventualità. Nel computo dei costi, la cauzione non è una spesa “persa” (viene restituita se il debitore vince, o incamerata al creditore se perde), perciò non la includiamo come costo, ma va menzionata come possibile esborso temporaneo.
- Mediazione o conciliazione: le controversie in materia di esecuzione forzata non rientrano tra quelle soggette a mediazione obbligatoria. Dunque, il debitore opponente non deve attivare una procedura di mediazione civile prima di agire, a differenza di quanto avviene per altre materie (es. contratti bancari, che però riguardano la fase di cognizione). Tuttavia, nulla impedisce che, durante il giudizio di opposizione, le parti tentino un accordo transattivo. In tal caso, potrebbero sostenersi costi se si ricorre ad un organismo di mediazione o ad un conciliatore professionale. Ad esempio, le parti potrebbero decidere di definire la lite e andare in mediazione per stilare un accordo con efficacia di titolo esecutivo. Le spese di mediazione dipendono dal valore: per €50.000 di lite, le indennità al mediatore possono essere qualche centinaio di euro per parte. Oppure, le parti potrebbero risolvere con una semplice transazione in sede di udienza (in tal caso costi minimi, solo marche da bollo se vogliono registrarla). La guida pratica da noi consultata stima un range di €500 – €2.000 per eventuali costi di mediazione/conciliazione, ma ciò è molto variabile. Lo includiamo per completezza, pur ribadendo che non è un passaggio obbligato. A volte i debitori preferiscono tentare un accordo stragiudiziale per ridurre il debito invece di pagare spese legali: ciò può comportare il pagamento di un mediatore o consulente negoziale.
- Altre tasse: se l’opposizione genera un provvedimento finale che dev’essere registrato (ad esempio una sentenza che dichiara inesistente un diritto di ipoteca, ecc.), potrebbe esserci l’imposta di registro da pagare. In genere le cause di opposizione a esecuzione, essendo di valore patrimoniale, comportano un’imposta di registro del 3% sul valore se la sentenza non è di condanna al pagamento di somme (art. 8 Tariffa DPR 131/86). Questo è un aspetto fiscale eventualmente rilevante: ad esempio, se la sentenza accerta che nulla è dovuto, alcuni uffici pretendono 3% sul valore come atto dichiarativo. Tuttavia, spesso in queste cause l’imposta di registro è dovuta solo in caso d’uso perché c’è condanna alle spese che viene registrata in caso di recupero. È un tecnicismo fiscale di nicchia, ma se l’importo era grande, il debitore vittorioso potrebbe trovarsi a pagare imposta di registro (che però poi cercherà di farsi rimborsare dal soccombente). Non entriamo oltre in dettaglio, ma solo per menzionare che esistono questi possibili costi finali.
Abbiamo così coperto le principali tipologie di costi. Per ricapitolare in modo chiaro tutte le voci di spesa di una opposizione all’esecuzione, presentiamo la seguente tabella riepilogativa, con gli intervalli tipici:
Voce di spesa | Importo stimato |
---|---|
Contributo Unificato (primo grado) | €43 – €1.686 (in base al valore) |
Diritti di cancelleria (marche) | €27 – €50 |
Onorari Avvocato (Primo grado) | €1.500 – €8.000 |
Onorari Avvocato (Appello) | €5.000 – €10.000 |
Onorari Avvocato (Cassazione) | €8.000 – €15.000 |
Perizia tecnica di parte (se necessaria) | €500 – €3.000 |
Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) | €1.000 – €5.000 |
Spese di notifica e bolli | €50 – €200 |
Altre spese accessorie (mediazione ecc.) | €500 – €2.000 |
(Fonte: elaborazione dati pratici aggiornati al 2025)
Naturalmente, non tutte queste voci si presentano in ogni caso. Ad esempio, molte opposizioni non arrivano in Cassazione, né richiedono CTU o mediazione – quindi il caso medio sarà su livelli inferiori della forbice. Ma è prudente conoscerle per evitare sorprese.
Gratuito patrocinio (patrocinio a spese dello Stato)
Abbiamo accennato sopra alla possibilità, per i non abbienti, di usufruire del gratuito patrocinio. Dedichiamo qualche riga in più a questo istituto, poiché può azzerare una buona parte dei costi (quelli legali e fiscali) per il debitore.
Il patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti civili è regolato dagli artt. 74 e segg. del DPR 115/2002. Consente ai cittadini con basso reddito di farsi rappresentare in giudizio da un avvocato senza doverne pagare il compenso, che sarà invece liquidato dallo Stato. I requisiti principali sono:
- Limite di reddito: come detto, il richiedente deve avere un reddito annuo imponibile (somma di tutti i redditi del nucleo familiare) non superiore a €12.838,01 (valore attuale aggiornato al 2023). Questo importo viene periodicamente rivisto (in passato era ~€11.370, poi ~€11.743, oggi 12.838). Se convivono più familiari, i redditi si sommano, tranne che nel caso in cui l’opposizione coinvolga interessi confliggenti con gli altri conviventi. Ad esempio, se il debitore vive con il coniuge che ha reddito, purtroppo quest’ultimo si conteggia, spesso escludendo la possibilità del gratuito patrocinio.
- Non futilità dell’azione: la domanda di ammissione viene valutata da un’apposita commissione presso l’Ordine Avvocati, che verifica che non sia manifestamente infondata o inammissibile. Un’opposizione pretestuosa potrebbe teoricamente vedersi negato il beneficio, anche se nella pratica è raro: di solito si ammette salvo cause palesemente elusive.
- Scelta dell’avvocato: il richiedente deve indicare un avvocato tra quelli iscritti in appositi elenchi del gratuito patrocinio. Molti avvocati esperti in esecuzioni lo sono. Le parcelle saranno poi liquidate dal magistrato al termine, in base ai parametri ridotti del DM 55.
Per presentare domanda, il debitore può rivolgersi all’Ordine degli Avvocati del luogo ove pende la causa (o dove si radicherà) – in pratica tramite il suo avvocato stesso, che compila istanza con dichiarazione sostitutiva sul reddito. L’ammissione, se concessa, comporta:
- Esenzione dal pagamento del contributo unificato e da ogni altra tassa processuale (bolli, spese di notifica, ecc. vengono prenotate a debito dallo Stato). Quindi il debitore non anticipa contributi.
- Gratuito apporto del difensore: l’avvocato non chiederà compensi al cliente (sarà pagato dallo Stato, con importi spesso ridotti del 30% rispetto al normale).
- Copertura di eventuali spese periti/CTU: se il debitore ha diritto a gratuito patrocinio, anche l’eventuale perito d’ufficio nominato viene pagato dallo Stato (nei limiti delle norme; se è perito di parte scelto privatamente, quello no, lo paga il cliente).
- Importante eccezione: se il debitore perde, come già detto resta obbligato a pagare le spese di controparte. Lo Stato non se ne fa carico. Quindi un debitore con gratuito patrocinio potrebbe trovarsi condannato a pagare, ad esempio, €3.000 al creditore per le sue spese legali. Questo debito non rientra nel patrocinio e potrà essere oggetto di esecuzione come qualsiasi debito.
In generale, per soglie di reddito così basse, molti debitori non rientrano (basta avere uno stipendio decente o un piccolo patrimonio). Tuttavia, in casi di disoccupazione o pensioni minime, il gratuito patrocinio è uno strumento essenziale per garantire l’accesso alla giustizia.
Rischio di condanna alle spese e sanzioni (soccombenza e art. 96 c.p.c.)
Chiudiamo la disamina dei costi parlando dei costi in caso di abuso del processo. Abbiamo già toccato la condanna alle spese in caso di perdita del giudizio: quello rientra nell’ordinario. Ma c’è un ulteriore rischio per il debitore se l’opposizione è considerata temeraria o pretestuosa: la condanna per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. Tale norma prevede due livelli:
- Se una parte ha agito o resistito con mala fede o colpa grave (cioè sapendo di aver torto o non usando la normale prudenza), il giudice, su istanza dell’altra parte, può condannarla a risarcire i danni causati all’avversario (art. 96 co.1). Ad esempio, se il debitore oppone sapendo di aver pagato con un assegno scoperto (quindi in malafede) solo per prendere tempo e il creditore subisce danni (spese ulteriori, ecc.), potrebbe essergli chiesto risarcimento extra. Questo è comunque raro in misura significativa nelle esecuzioni.
- Inoltre, a prescindere dall’istanza di parte, il giudice può condannare la parte soccombente, anche d’ufficio, a pagare una somma equitativa in favore della controparte (art. 96 co.3) fino al 50% del valore della causa. Questa disposizione serve da deterrente contro l’abuso del processo. Nel contesto esecutivo, la Cassazione ha affermato che tale condanna può applicarsi se il debitore propone opposizioni dilatorie manifestamente infondate, soprattutto per guadagnare tempo. Ad esempio, un debitore che solleva tre opposizioni una dopo l’altra, tutte pretestuose, potrebbe vedersi affibbiare, oltre al rigetto, un’ammenda pecuniaria a favore del creditore (ad es. pari al 10% del debito, discrezionale). Nella pratica dei tribunali, la condanna ex art. 96 co.3 in sede di opposizioni esecutive viene minacciata ma non spessissimo irrogata; tuttavia il rischio c’è e cresce se l’atteggiamento del debitore appare chiaramente abusivo.
In sintesi: se l’opposizione viene giudicata un abuso del diritto di difesa (cioè fatta al solo scopo di ritardare l’esecuzione senza un reale fondamento), il debitore potrebbe dover pagare non solo le spese legali del creditore, ma anche un’ulteriore somma punitiva o risarcitoria. Questo può far lievitare moltissimo i costi. Fortunatamente, in situazioni normali – ad esempio, il debitore aveva argomenti deboli ma non assurdi – la condanna ex art. 96 non viene applicata. L’abuso conclamato sarebbe, poniamo, opporsi sapendo di aver già perso una identica causa o falsificando prove, ecc.
Caso pratico di costi complessivi
Esempio: Debitore oppone un precetto di €50.000, sostenendo di aver già pagato metà del debito, e chiede sospensione. L’opposizione va in causa in Tribunale. Il giudice sospende parzialmente l’esecuzione (per €25.000 contestati, imponendo però al debitore cauzione di €10.000 per sicurezza). Dopo un anno, la sentenza respinge l’opposizione (il debitore non ha provato il pagamento asserito).
- Costi debitore: contributo €518 + €27; suo avvocato €5.000; perizia contabile di parte €1.000; spese notifica €100. Totale suo esborso ≈ €6.645. Inoltre perde la cauzione di €10.000 depositata, che viene rilasciata al creditore (andando a scalare il debito). Il giudice lo condanna a rifondere €4.000 di spese al creditore. Dunque il debitore alla fine: ha pagato €6.645 (suo) + €4.000 (creditore) = €10.645 in più, e per giunta ha ancora il debito di €50.000 intero da pagare (di cui 10k erano cauzione già data, gliene restano 40k più interessi). Questo scenario mostra il pericolo: l’opposizione fallita è costata oltre €10k extra al debitore.
- Se invece avesse vinto (supponiamo che avesse ragione sul pagamento parziale): il creditore sarebbe stato condannato lui a pagare (diciamo €5.000 di spese al debitore), la cauzione restituita, e il debito ridotto del 50%. In tal caso il debitore avrebbe anzi recuperato gran parte dei costi.
Questo esempio evidenzia perché occorre ponderare bene la decisione di opporsi: se le probabilità di vincere sono scarse, il debitore rischia di aggravare la sua situazione economica. Se però ha serie ragioni, l’opposizione può fargli risparmiare l’importo ingiusto e farsi rimborsare i costi dal creditore.
Passiamo ora a illustrare sinteticamente come si svolge il giudizio di opposizione in termini di fasi e tempi, e successivamente proporremo alcune simulazioni pratiche con numeri reali per fissare le idee sui costi.
Procedura: fasi del giudizio di opposizione e durata
Dopo aver presentato l’opposizione e aver pagato i dovuti contributi, il debitore entra nel vivo di un procedimento giudiziario che, a seconda dei casi, può essere più o meno articolato. Riassumiamo le fasi tipiche del giudizio di opposizione all’esecuzione (o agli atti) e forniamo indicazioni sui tempi medi.
Fase cautelare (sospensione dell’esecuzione)
Subito dopo la proposizione dell’opposizione, specialmente se l’esecuzione è in corso, l’attenzione si concentra sull’eventuale istanza di sospensione. Come detto, il debitore può chiedere al giudice di bloccare temporaneamente l’azione esecutiva (o uno specifico atto) invocando gravi motivi (art. 615 co.1 per titolo, art. 623 c.p.c., art. 624 c.p.c. per esecuzione in corso, art. 617 co.2 per atti, etc.). Questa è una sorta di fase cautelare accelerata. In termini procedurali:
- Se l’opposizione è stata proposta con citazione (precetto o atti ante esecuzione), il debitore deposita un’istanza di sospensione al giudice, il quale può fissare un’udienza in tempi brevi per discuterla o decidere in camera di consiglio.
- Se l’opposizione è con ricorso al G.E., il giudice dell’esecuzione fissa già l’udienza per trattare l’istanza di sospensione (lo fa nel decreto di fissazione udienza sul ricorso). I tempi sono di solito stretti: l’udienza viene fissata tipicamente entro qualche settimana dal ricorso, e la notifica del ricorso al creditore può avere termini abbreviati.
Alla prima udienza di comparizione delle parti, si discute la sospensione. Il debitore esporrà i motivi per cui l’esecuzione deve essere congelata (ad es. rischio di un danno grave e irreparabile: la casa venduta all’asta, ecc., in presenza di ragioni serie sul merito). Il creditore controbatterà. Il giudice può decidere allo stesso momento con ordinanza: concedere la sospensione (totale o parziale) oppure rigettarla. Talvolta il giudice può rinviare di qualche giorno per decidere, ma in genere la decisione è rapida perché l’esecuzione potrebbe progredire (specialmente se un’asta è imminente).
Se è concessa la sospensione, l’effetto immediato è che la procedura esecutiva viene messa in stand-by. Ad esempio, se era fissata una vendita immobiliare, verrà rinviata a data da destinarsi; se c’erano somme pignorate su conto, rimangono bloccate ma non versate al creditore; se era un pignoramento presso terzi, il terzo non paga finché c’è la sospensione; se era un pignoramento mobiliare, i beni restano custoditi ma non venduti. Insomma, si “congela” lo status quo fino all’esito finale. Come già detto, il giudice può subordinare la sospensione a una cauzione, ma lo fa solo in casi dove intravede un fumus non fortissimo e vuole tutelare il creditore.
Se la sospensione è negata, l’esecuzione proseguirà. Ciò però non pregiudica la decisione finale sull’opposizione: vuol dire solo che il giudice non ha ravvisato un pericolo tale da fermare subito tutto. Il debitore può anche, in certi casi, impugnare il diniego di sospensione in appello (reclamo cautelare ex art. 624 c.p.c. per es., entro 15 giorni). Ma questo è un sotto-procedimento non sempre utile (perché i tempi del reclamo a volte superano quelli dell’esecuzione stessa).
Tempistiche: la fase cautelare è piuttosto veloce. In media, tra il deposito dell’opposizione e la decisione sulla sospensione passano da 2 a 3 mesi. Questo comprende i tempi di fissazione udienza, notifica, comparizione e deliberazione. Se il calendario del tribunale lo consente, a volte anche 1 mese può bastare (specie in procedure mobiliari, il G.E. fissa udienza anche a 15-20 giorni). La Cassazione ha definito questa fase come “sommaria”.
Durante il periodo di attesa, il debitore deve cercare di evitare che atti irreversibili accadano: ad esempio, se l’udienza di sospensione è fissata dopo la data d’asta, si può chiedere un anticipazione dell’udienza o un decreto d’urgenza per spostare l’asta, altrimenti la sospensione arriverebbe tardi. In pratica i tribunali modulano le date per non far perdere di significato l’istanza di sospensione.
Fase di merito in primo grado
Dopo la decisione sulla sospensione (o contestualmente ad essa), l’opposizione prosegue verso la decisione di merito. Se l’opposizione è introdotta con citazione, il procedimento è di cognizione ordinaria (o rito semplificato ex art. 281-decies c.p.c. per cause instaurate dal 2023 in poi, a seconda del tribunale). Se è da ricorso, avremo la scissione: il G.E. normalmente, se non definisce subito, emette un’ordinanza di istruzione ex art. 616/618 c.p.c. che:
- fissa il termine perentorio (es. 30 o 40 giorni) entro cui il debitore opponente deve iscrivere a ruolo la causa di merito davanti al giudice competente (che in molti casi coincide con lo stesso tribunale, se l’esecuzione era davanti al tribunale, ma in composizione diversa, monocratica; se per assurdo l’esecuzione era davanti al Giudice di Pace, cosa remota, lì andrebbe al Giudice di Pace, ma nelle esecuzioni tipiche è tribunale).
- indica i termini per le memorie difensive successive (ad es. 40 giorni per atto di citazione o deposito ricorso di merito, poi 20 giorni per costituirsi la controparte con comparsa di risposta, ecc., spesso con termini dimezzati rispetto a quelli ordinari ex art. 616).
- dichiara gli effetti della sospensione eventuale concessa.
La causa di merito sull’opposizione all’esecuzione o agli atti, a questo punto, procede come una normale causa civile. Ci sarà uno scambio di memorie (la comparsa di risposta del creditore, con eventuale domanda riconvenzionale – es: il creditore potrebbe chiedere la condanna del debitore a qualche risarcimento per ritardo), poi un’udienza di trattazione. Il giudice può tentare una conciliazione (spesso improbabile in queste materie, ma possibile: ad es. il debitore propone un piano di rientro, il creditore accetta, si transige). Se non c’è accordo, la causa viene istruita.
Istruttoria: a seconda dei motivi di opposizione, il giudice di merito può ammettere prove:
- Documentali: generalmente già allegate dalle parti.
- Testimoniali: se c’è da provare un fatto (es. “ho pagato in contanti alla presenza di Tizio” – sarà ammessa testimonianza di Tizio? Spesso no, perché i pagamenti vanno provati per iscritto se sopra soglie, ma a volte qualche testimonianza su fatti vari (es. la presenza di un vizio apparente) può essere ammessa).
- CTU: come discusso, se c’è da accertare conti, valori, scritture di calcolo, ecc.
In molte opposizioni, l’istruttoria è limitata: spesso la decisione verte su documenti e questioni giuridiche (es: il decreto ingiuntivo era definitivo o no? Il precetto conteneva gli interessi corretti? Il bene è pignorabile secondo la legge?). In questi casi, dopo le memorie e magari una breve udienza di discussione, si può arrivare al dibattimento finale abbastanza celermente.
In opposizioni più complesse, l’istruttoria può richiedere diverse udienze per sentire testimoni, esaminare CTU, ecc., dilatando i tempi.
Durata media in primo grado: può variare dal poco meno di un anno per opposizioni semplici (specialmente se la sospensione è stata decisa e poi la causa si risolve con documenti) fino a 2-3 anni per opposizioni complicate e di alto valore (dove il ruolo di tribunale è intasato e ci sono perizie). Alcune statistiche indicano circa 12-18 mesi come durata tipica delle opposizioni in tribunale, ma c’è molta variabilità geografica. Ad esempio, tribunali piccoli possono essere più rapidi, grandi città più lente.
Esito – Sentenza di primo grado: alla fine il giudice pronuncia una sentenza che accoglie o rigetta (totalmente o parzialmente) l’opposizione. Se accolta, stabilirà cosa consegue (es: “dichiara che l’esecuzione non può avere luogo per inesistenza del diritto di credito” oppure “annulla il precetto impugnato”); se rigettata, confermerà la legittimità dell’azione esecutiva. La sentenza provvede anche sulle spese di lite (come visto: condanna il soccombente a pagarle, salvo compensazioni). Dopo la sentenza:
- Se l’opposizione del debitore era vinta, l’esecuzione si estingue o retrocede. Il debitore può chiedere immediatamente al G.E. di dichiarare estinta la procedura esecutiva per il venir meno del titolo o per nullità insanabile (ex art. 624-ter c.p.c. solitamente). I beni pignorati vengono liberati.
- Se era persa, l’esecuzione riprende vigore. La sospensione eventualmente concessa viene automaticamente a cadere (art. 627 c.p.c.). Il creditore potrà riprendere la vendita o pignorare altri beni. Inoltre, potrebbe aggiungere al suo credito le spese di lite liquidate (es. aumentare il precetto per includere i € X di spese legali).
Appello e giudizio di Cassazione
Se una delle parti è insoddisfatta della sentenza di primo grado, può impugnarla. Ecco come si sviluppano i possibili ulteriori gradi:
- Appello: Le sentenze emesse in opposizioni all’esecuzione (essendo di regola cause contenziose ordinarie) sono appellabili in Corte d’Appello entro il termine di legge (30 giorni dalla notifica della sentenza oppure 6 mesi dalla pubblicazione se non notificata). L’appello si propone con citazione (un atto di citazione in appello). La Corte d’Appello riesaminerà il caso, ma su eventuali motivi di gravame specifici (non è una ripetizione completa del primo grado: vanno indicati gli errori in diritto o in fatto del primo giudice). Procedura d’appello: Non c’è fase cautelare automatica, ma se pendeva esecuzione sospesa, il creditore può chiedere in appello la revoca della sospensione. Viceversa, il debitore appellante, se la sua esecuzione era ferma per sospensione che cessa con la sentenza, può chiedere alla Corte d’Appello una nuova sospensione dell’esecuzione in pendenza di appello (art. 283 c.p.c.), ma deve provare gravi motivi e la Corte la concede raramente, salvo casi di evidente errore in primo grado. L’appello in queste materie, dati i valori spesso elevati, potrebbe svolgersi in collegio e durare anch’esso 1-2 anni. In appello, non è ammessa nuova istruttoria se non in casi limitatissimi; quindi di solito la decisione si basa su atti già acquisiti e su discussioni orali. L’esito può confermare la sentenza o riformarla (in tutto o in parte). Se riformata a favore del debitore, vale quanto detto sopra: l’esecuzione si ferma (anche se può essere già conclusa, aprendo il tema di restituire eventuali somme o beni al debitore – scenario complicato, ma possibile: se la casa è già stata venduta, il debitore vittorioso in appello potrebbe chiedere risarcimento dal creditore per incauta esecuzione, ma non può riavere la casa dall’aggiudicatario, di solito). Se confermata a sfavore, il debitore può solo proseguire in Cassazione o subire definitivamente l’esecuzione. Le spese del grado di appello seguono anche qui la soccombenza: la Corte condanna ulteriormente la parte perdente a pagare le spese d’appello (che come visto sono ancora più alte come contributo e onorari).
- Ricorso per Cassazione: L’ultima possibilità è il ricorso alla Corte di Cassazione, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di appello (o 6 mesi se non notificata). La Cassazione può essere adita solo per motivi di diritto (violazione di legge o nullità processuali gravi) e non rivede i fatti. Nel contesto delle opposizioni esecutive, la Cassazione in questi anni ha prodotto varie sentenze di principio (come quelle citate su termini, fideiussioni, ecc.). Il ricorso è un atto tecnico: deve essere redatto da avvocato abilitato e contenere motivi stringenti. Procedura in Cassazione: non c’è mai sospensione automatica dell’esecuzione per il solo ricorso. Anzi, la regola generale è che la sentenza d’appello è provvisoriamente esecutiva (art. 282 c.p.c.), quindi il creditore può procedere a incassare e vendere anche se il debitore ricorre. Il debitore può al più chiedere alla Cassazione stessa, con ricorso separato, la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata (art. 373 c.p.c.), ma la Cassazione la concede solo in casi estremi di gravissimo e irreparabile danno e quando il ricorso appare a prima vista fondato (requisiti difficilissimi). Di solito, dunque, se si arriva al terzo grado, l’esecuzione è andata avanti (a meno che i beni non fossero ancora da vendere e il creditore abbia aspettato l’esito finale per cautela). La Cassazione dopo qualche anno (mediamente 1-2 anni se va in camera di consiglio, oppure più se va in pubblica udienza) deciderà con sentenza o ordinanza: potrà rigettare il ricorso, oppure accoglierlo (in tutto o in parte) e cassare la sentenza impugnata. Se accoglie su punti tali da poter decidere nel merito, potrebbe decidere essa stessa la causa (evento raro); più spesso, rinvia ad altra corte d’appello per un nuovo esame. Per esempio: Cassazione trova che il giudice di appello ha sbagliato a dichiarare tardiva l’opposizione perché ha mal calcolato la decorrenza, allora cassa e rinvia. Il giudizio prosegue fino a una nuova sentenza di rinvio. Tutto ciò può allungare di molto i tempi: esistono opposizioni esecutive durate anche 5-8 anni attraverso i gradi. Questo, è vero, può “guadagnare tempo” al debitore, ma a caro prezzo (per costi e accumulo di interessi).
Costi in appello e Cassazione: Già illustrati, basti qui ricordare: contributi maggiorati + spese legali aumentate + rischio del raddoppio contributo se perde. Quindi l’impugnazione è giustificata solo se c’è una questione importante di principio o un errore evidente da correggere.
Durata complessiva possibile: se uno volesse il quadro peggiore: primo grado 2 anni + appello 2 anni + Cassazione 2 anni + rinvio 1 anno = ~7 anni. Nel frattempo, però, la casa del debitore poteva esser venduta al 2° anno perché la sospensione magari non ha retto. Quindi si può avere la beffa di vincere tardi quando i beni non ci sono più. Va detto però che se un debitore ottiene in ultimo grado ragione e dimostra che il creditore agì illegittimamente, potrebbe citare poi il creditore in responsabilità per esecuzione illegittima per ottenere i danni. Ci sono sentenze su danno da incauta esecuzione, e la condanna ex art. 96 c.p.c. potrebbe essere utilizzata per colpire il creditore che ha agito senza titolo (Cass. 1590/2013). Dunque alla fine la giustizia può arrivare, ma ciò non cancella i patemi e i costi subiti nel frattempo.
Considerazione sul punto di vista del debitore: Il debitore spesso utilizza l’opposizione anche come strumento per guadagnare tempo (lo dicono realisticamente molti operatori). Dal punto di vista giuridico, l’abuso non è consentito, ma pragmaticamente molti debitori con difficoltà di liquidità preferiscono avere qualche mese o anno per tentare di trovare soldi, vendere volontariamente beni, o sperare in un condono. È comprensibile umanamente, ma deve essere chiaro che il prezzo del tempo guadagnato è l’aumento del debito (interessi e spese) e l’incertezza sull’esito. Inoltre se il giudice percepisce l’opposizione solo come tattica dilatoria, potrebbe diventare meno incline ad attenderli (per esempio negando la sospensione). Quindi il consiglio al debitore è di usare l’opposizione solo se c’è una base concreta su cui sperare di ottenere un risultato (una riduzione del dovuto, un annullamento del titolo, ecc.), e non farlo “tanto per fare”, altrimenti rischia di peggiorare la situazione.
Esempi pratici di costi dell’opposizione (Simulazioni)
Di seguito presentiamo alcune simulazioni pratiche di situazioni tipiche, per comprendere in numeri reali quanto costa un’opposizione all’esecuzione al debitore, in diversi scenari. Naturalmente ogni caso è a sé, ma questi esempi aiuteranno a fissare ordini di grandezza e combinazione di voci di spesa.
Esempio 1: Opposizione a un precetto di €5.000 (debito modesto)
Scenario: Mario riceve un precetto di €5.000 da una finanziaria, su un vecchio prestito. Mario ritiene di aver già pagato quel debito anni fa (ha alcune ricevute) e quindi vuole opporsi prima che parta l’esecuzione.
- Tipo di opposizione: opposizione all’esecuzione ex art. 615 co.1 (prima dell’esecuzione, contro il precetto).
- Giudice competente: se €5.000 è entro la competenza per valore del Giudice di Pace (che è €5.000 per cause da contratto), potrebbe essere il Giudice di Pace competente per territorio. Tuttavia, va considerato che le opposizioni all’esecuzione forzata di norma competono al tribunale del luogo dell’esecuzione, salvo che la causa riguardi contestazione su un credito entro i limiti di valore del GdP e non coinvolga materia riservata. In pratica, per semplicità, supponiamo che sia competente il Tribunale (spesso è così, perché l’esecuzione verrebbe avviata in Tribunale).
- Contributo unificato: Valore €5.000 → contributo primo grado = €98,00 (scaglione 1.100–5.200). Diritti fissi €27. Totale da pagare per iscrizione: €125.
- Spese legali: caso abbastanza semplice (basta provare avvenuti pagamenti). L’avvocato di Mario chiede, poniamo, €2.000 per assisterlo in questa causa in Tribunale. Mario decide di pagare in due tranche di €1.000.
- Altro: Non sono previste perizie tecniche (le prove sono le ricevute di pagamento che Mario ha). Potrebbero esserci circa €50 di spese di notifica e bolli vari.
- Sospensione: Mario chiede la sospensione del titolo esecutivo (essendo prima dell’esecuzione, chiede ex art. 615 co.1 la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo). Il giudice, vedendo le ricevute, la concede subito, sospendendo il precetto.
- Esito: Dopo 8 mesi, la causa va a sentenza: il giudice accoglie l’opposizione parzialmente, ad esempio accerta che Mario aveva pagato €4.000 su 5.000, residuando solo €1.000. Dichiara nullo il precetto da €5.000 e dà atto che la finanziaria può semmai notificare un nuovo precetto per €1.000 (ma intanto quell’esecuzione è bloccata). Spese: il giudice, visto che ognuno ha parzialmente ragione (Mario doveva comunque €1.000), compensa integralmente le spese. Cioè decide che ciascuno paga le proprie.
- Costo finale per Mario: ha pagato €125 di contributo, ~€50 di notifiche, €2.000 al suo avvocato. Totale €2.175. Non deve pagare spese al contrario perché compensate. Ha risparmiato €4.000 di importo indebitamente preteso, quindi ne è valsa la pena in termini finanziari, benché i €2.175 spesi riducano il beneficio netto (ma sempre meglio che pagare €5.000 interi).
- Nota: se Mario avesse perso del tutto, ipotizziamo, avrebbe speso quei €2.175 e in più magari €1.500 di spese dell’avvocato della finanziaria, totale oltre €3.600, e in più dovrebbe comunque pagare i €5.000. Quindi sarebbe stato disastroso. In questo esempio, Mario era abbastanza sicuro di aver pagato e infatti ha quasi vinto, quindi la scelta era sensata.
Esempio 2: Opposizione a pignoramento immobiliare di €200.000 (primo grado e appello)
Scenario: La società Alpha s.r.l. subisce un pignoramento immobiliare sul capannone di sua proprietà per un debito bancario di €200.000. Alpha ritiene che il contratto di mutuo sottostante contenga clausole usurarie e che la banca abbia agito senza tenere conto di rinegoziazioni in corso. Decide di opporsi durante la procedura esecutiva immobiliare già iniziata (un’espropriazione immobiliare).
- Tipo di opposizione: opposizione all’esecuzione ex art. 615 co.2 (esecuzione iniziata). Presentano ricorso al G.E. chiedendo sospensione della vendita.
- Contributo unificato: in fase di ricorso nessuno immediato (fase incidentale). Il creditore aveva pagato €278 di contributo per iniziare l’esecuzione. Quando però il G.E. assegna la causa di merito, Alpha dovrà iscriverla a ruolo con contributo in base a €200.000. Lo scaglione per €200k è oltre 52k fino a 260k → contributo €759,00. + €27 diritti = €786 totali.
- Spese legali: essendo questione complessa (clausole contrattuali, questione di diritto bancario, ed alto valore), Alpha incarica un avvocato specializzato. Concordano un forfait di €6.000 per il primo grado. Inoltre, si prevede da subito che probabilmente qualunque esito ci sarà appello, e l’avvocato chiede un altro €4.000 per l’eventuale appello (diciamo importo scontato essendo stessa materia). Quindi potenzialmente €10k.
- Perizie: l’opposizione si fonda sull’allegazione di tassi usurari. Viene depositata una perizia econometrica di parte che calcola il TEG (Tasso Effettivo Globale) del mutuo e conclude che c’è usura. Costo della perizia di parte: €2.000. Il giudice in primo grado dispone anche una CTU contabile per verificare questi calcoli. Il CTU lavora e chiede un compenso di €3.000; il giudice pone le spese a carico di Alpha in anticipo. Quindi Alpha anticipa €3.000 in corso di causa.
- Sospensione: il G.E., valutata la presenza di possibili clausole nulle e su ricorso di Alpha, decide di sospendere la vendita del capannone (che era programmata) fino a decisione sull’opposizione. Non chiede cauzioni perché ritiene la questione “seria” (tra l’altro c’è di mezzo normativa antiusura, ecc.).
- Esito primo grado: Dopo 1 anno e mezzo, il Tribunale emette sentenza: accoglie parzialmente l’opposizione. Supponiamo che stabilisca che effettivamente gli interessi erano usurari, quindi li annulla e ridetermina il credito: invece di €200.000, la banca aveva diritto solo a €150.000. Quindi l’esecuzione può proseguire ma per €150k (deve rifarsi il precetto/importo). In pratica, l’opposizione ha “tagliato” €50k di debito. Spese: il tribunale, vista la soccombenza reciproca (la banca perde per 50k, Alpha comunque deve pagare 150k), compensa per metà le spese. Così ordina: la banca rifonderà ad Alpha il 50% delle spese totali. Alpha aveva speso: €786 contributo + €2.000 perizia + €3.000 CTU + €6.000 avvocato = €11.786. Il 50% fa €5.893. Dunque la banca è condannata a pagare circa €5.900 ad Alpha. Quell’importo coprirà presumibilmente la metà degli onorari legali e una parte delle perizie. L’altra metà rimane a carico di Alpha.
- Appello: la banca, scontenta di perdere 50k e di dover pagare spese, fa appello. Anche Alpha però appella in via incidentale perché avrebbe voluto annullare l’intero debito. In appello, contributo per la banca: valore €50k (la parte persa) → contributo €355, ma come impugnazione 50% in più → ~€533. L’avvocato di Alpha, avendo già un accordo forfettario, richiede quei €4.000 pattuiti per difendersi in appello. L’appello dopo 1 altro anno conferma il primo grado (nessun ulteriore taglio). La Corte condanna la banca a ulteriori spese di appello verso Alpha, poniamo €3.000.
- Costo finale per Alpha: Pagato nel primo grado: €786 + €2.000 + €3.000 + €6.000 = €11.786. Ricevuto dalla banca: €5.900 (rimborso spese 1º grado) + €3.000 (rimborso appello) = €8.900. Pagato in appello: contributo non pagato da Alpha perché era appellata incidentale (diciamo se ne stette? Oppure se consideriamo, appello incidentale non comporta contributo addizionale se la principale ha pagato, comunque trascurabile). Avvocato appello €4.000. Quindi spese extra appello €4.000 – €3.000 recuperati = €1.000. In sintesi:
- Esborso netto primo grado = €11.786 – €5.900 = €5.886.
- Esborso netto appello = €4.000 – €3.000 = €1.000.
- Totale esborso Alpha = circa €6.886.
Alpha però ha ridotto il debito di €50.000. Dal suo punto di vista economico, l’operazione è stata utile, benché costosa. Ha speso ~€6.9k per risparmiarne €50k, quindi un saldo positivo netto di oltre €43k. Inoltre, ha guadagnato tempo: l’esecuzione fu sospesa per circa 2.5-3 anni (primo grado + appello). Questo le ha permesso magari di reperire €150k e pagare, chiudendo poi la posizione con la banca.
Se l’opposizione fosse andata male e la banca avesse vinto completamente, Alpha avrebbe speso i circa €12k iniziali + magari dover pagare spese alla banca (diciamo 8-10k), quindi €20k extra, e senza riduzione di debito, ed in più quell’esecuzione sarebbe ripartita subito. Sarebbe stata una catastrofe. Dunque Alpha ha giocato una carta rischiosa ma, avendo un argomento robusto (usura), ha avuto successo.
Esempio 3: Opposizione di terzo su bene pignorato (valore €20.000)
Scenario: Tizio deve €30.000 al creditore Caio. Caio avvia pignoramento mobiliare in un magazzino dove Tizio custodisce alcune macchine utensili. Un macchinario però appartiene in realtà a Sempronio, un collega che glielo aveva solo prestato. Caio lo pignora comunque. Sempronio, il terzo proprietario, fa opposizione di terzo per riavere il macchinario (valore stimato €20.000).
- Tipo di opposizione: opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c. (esecuzione iniziata). Sempronio presenta ricorso al G.E. entro 20 giorni dal pignoramento per tempestività.
- Contributo unificato: Al momento del ricorso niente (incidente). Per la causa di merito: valore €20.000 → contributo primo grado = €237 + €27 = €264.
- Spese legali: Sempronio incarica un avvocato discreto, spesa prevista €2.500 (il caso è abbastanza semplice, trattasi di accertare proprietà).
- Prove: Sempronio ha la fattura d’acquisto del macchinario a suo nome e testimonianze che confermano che l’ha solo dato in comodato a Tizio. Non servono perizie. Forse un testimone, ma irrilevante come costo.
- Sospensione: Il G.E. sospende la vendita di quel macchinario pignorato, rimuovendolo dall’asta, in attesa dell’esito (gravi motivi: se venisse venduto a terzi, Sempronio sarebbe danneggiato irreversibilmente). Quindi il bene resta sotto pignoramento ma non sarà venduto finché causa pendente.
- Esito: Dopo 1 anno, il Tribunale accerta che Sempronio è il proprietario e che il pignoramento sul macchinario è illegittimo nei suoi confronti. Pertanto accoglie l’opposizione di terzo e esclude il macchinario dall’esecuzione. Caio (creditore) dovrà rivolgersi ad altri beni di Tizio. Spese: essendo Sempronio totalmente vincitore, il tribunale condanna Caio a rifondergli tutte le spese di lite (poniamo €2.500 avvocato + €264 contributo + €100 notifiche = circa €2.864).
- Costo finale per Sempronio: lui anticipa €264 + €100 + €2.500 = €2.864. Ma poi (se Caio è solvibile) ottiene dal creditore il rimborso di €2.864. Quindi costo netto €0 (a parte forse qualche piccola differenza se il giudice liquidasse qualcosina in meno del richiesto, ma in principio dovrebbe coprire). Sempronio ha riottenuto il suo macchinario salvo e non venduto, e non ha perso soldi in spese legali. Tutt’al più ha dovuto attendere un anno con il macchinario sotto sequestro e ferme le attività su di esso, ma poi l’ha recuperato.
- Nota: se per ipotesi Sempronio avesse perso (cioè se il giudice avesse ritenuto che il macchinario era in realtà di Tizio – poco probabile con fatture chiare), allora Sempronio avrebbe buttato circa €2.864 e in più forse condannato a pagare al creditore altre €2.500 di spese. Totale perdita ~€5.364, e avrebbe perso il macchinario (venduto per pagare Caio). Un rischio alto. Ma Sempronio aveva ragione in fatto, quindi giustamente ha vinto.
Questi esempi mostrano come i costi assoluti varino molto (da poche migliaia a decine di migliaia di euro) in base al valore della causa e alla durata. In ogni caso, un’opposizione comporta sempre qualche migliaio di euro di impegno iniziale, anche nei casi più piccoli (difficile scendere sotto €1.500-2.000 sommando contributi e avvocato). Mentre nei casi grandi si può arrivare a decine di migliaia (ma in proporzione al vantaggio perseguito).
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito rispondiamo ad alcune domande comuni dal punto di vista del debitore che sta valutando un’opposizione all’esecuzione:
D: L’opposizione all’esecuzione sospende automaticamente il pignoramento?
R: No. La semplice proposizione dell’opposizione non sospende di diritto la procedura esecutiva. Per ottenere la sospensione, il debitore deve richiederla espressamente con un’istanza motivata e il giudice la concede solo se ricorrono gravi motivi (ossia se le ragioni dell’opposizione appaiono fondate e c’è rischio di danno grave continuando l’esecuzione). In mancanza di provvedimento di sospensione, l’esecuzione prosegue parallelamente al giudizio di opposizione. Ad esempio, se il debitore oppone un pignoramento senza ottenere la sospensione, il bene potrebbe essere venduto all’asta prima che l’opposizione venga decisa. Ecco perché, di norma, il debitore dovrebbe chiedere subito la sospensione al giudice. Se questa viene negata, il debitore può tentare un reclamo al collegio (per gli atti esecutivi) o un’istanza in appello (per sospendere la sentenza impugnata), ma spesso l’esecuzione va avanti. In sintesi, nulla si ferma se non c’è un ordine esplicito del giudice.
D: Posso oppormi senza un avvocato (da solo)?
R: In generale no, soprattutto se la causa è di competenza del Tribunale. Davanti al Tribunale, la rappresentanza tecnica è obbligatoria (art. 82 c.p.c.), quindi il debitore non può stare in giudizio da sé, a meno che non sia egli stesso avvocato iscritto. L’unico caso in cui sarebbe teoricamente possibile è se l’opposizione rientra nella competenza del Giudice di Pace e il valore non supera €1.100, nel qual caso è ammessa l’autodifesa. Ma casi del genere sono estremamente rari nelle esecuzioni forzate (es. un precetto da €800 per cui si oppone per vizio formale – ipotesi scolastica). Nella pratica, anche se di modesto valore, l’opposizione tocca aspetti tecnici per cui è fortemente raccomandata l’assistenza di un avvocato esperto in esecuzioni. Inoltre, per presentare ricorso al G.E. o atti in tribunale, bisogna conoscere procedure particolari. Quindi, di fatto, serve un avvocato. Se il debitore ha difficoltà economiche, come visto può tentare l’accesso al gratuito patrocinio per avere un avvocato pagato dallo Stato.
D: Cosa succede alle cose pignorate durante l’attesa dell’esito dell’opposizione?
R: Se il giudice ha concesso la sospensione, i beni rimangono pignorati ma non vengono venduti o assegnati finché dura la sospensione. Ad esempio, un immobile pignorato non andrà all’asta; un conto corrente pignorato rimane bloccato presso la banca ma i soldi non vengono trasferiti al creditore; se erano beni mobili custoditi, restano in custodia. Se invece non c’è sospensione, la procedura può concludersi: i beni potrebbero essere venduti e il ricavato distribuito al creditore. C’è però un principio: se poi il debitore vince l’opposizione dopo che i beni sono stati venduti, egli ha diritto a riottenere ciò che ha perso. Ad esempio, può ottenere la restituzione delle somme ricavate o, se un bene immobile è stato aggiudicato a terzi e non può riaverlo, può chiedere il risarcimento del danno al creditore che ha proceduto illegittimamente. Tuttavia, queste situazioni sono complesse e da evitare; per questo la sospensione è cruciale. In caso di opposizione di terzo, se sospesa, il bene del terzo non viene venduto; se per assurdo venisse venduto e poi il terzo vincesse la causa, l’ordinamento tutela in parte l’acquirente, quindi il terzo dovrebbe accontentarsi di un risarcimento in denaro.
D: Quanto tempo ho per fare opposizione?
R: Dipende dal tipo:
- Per opposizione all’esecuzione prima che l’esecuzione inizi (es. dopo precetto), non c’è un termine rigido di pochi giorni: va fatta prima che inizi il pignoramento, idealmente entro la scadenza del precetto (10 giorni + 90 di efficacia). Una volta iniziata l’esecuzione, se non hai opposto prima, comunque puoi ancora opporre (diventa opposizione a esecuzione iniziata) entro il limite dell’ordinanza di vendita come spiegato. Quindi diciamo: meglio opporsi subito, ma certamente non oltre la vendita/assegnazione del bene (salvo cause non imputabili a te).
- Per opposizione agli atti esecutivi, c’è il termine perentorio di 20 giorni dal compimento dell’atto o dalla sua notifica/conoscenza. Questo è tassativo: se fai passare 20 giorni, perdi il diritto di contestare quell’atto. Ad esempio, se il pignoramento è stato eseguito il 1 marzo e tu ne eri presente, hai fino al 21 marzo per opporlo per vizi formali. Se ne vieni a conoscenza più tardi (es. scopri un vizio di un atto già fatto), hai 20 giorni dalla data in cui l’hai saputo (ma devi provare quando l’hai saputo e comunque c’è il limite massimo della fine esecuzione).
- Per opposizione di terzo, la legge non dà un termine breve specifico, ma va presentata prima che l’esecuzione sia terminata (preferibilmente prima che il bene del terzo sia venduto). La Cassazione dice: entro la distribuzione finale delle somme. Il consiglio pratico: agire immediatamente appena saputo del pignoramento, così da bloccare la vendita.
D: Se perdo l’opposizione, dovrò pagare ancora di più?
R: Potenzialmente sì. Il rischio principale è la condanna a pagare le spese legali della controparte (creditore). Quindi oltre al debito originario, dovrai pagare l’avvocato del creditore per aver resistito. Ciò può essere qualche migliaio di euro aggiuntivo. Inoltre, come spiegato, se la tua impugnazione era davvero infondata o fatta in mala fede, il giudice potrebbe condannarti anche a una somma ulteriore per responsabilità aggravata (art. 96 c.p.c.), fino a arrivare a sanzionarti per un importo pari magari alla metà del debito. Questo però è per casi estremi di abuso. Nella normalità, la “pena” per aver perso è dover pagare le spese di giudizio all’altro. Per esempio, su un’opposizione persa su €10.000, potresti dover pagare circa €2.000 di spese del creditore, oltre al tuo debito che rimane e alle tue spese del tuo legale. Dunque, è un effetto boomerang da considerare. Il debito inoltre, restando insoluto più a lungo, accumula interessi legali o moratori per tutto il tempo trascorso durante la causa. Quindi più dura la causa persa, più il debito lievita di interessi. Se c’è ipoteca, maturano interessi convenzionali finché non paghi. Quindi sì: una sconfitta peggiora la tua posizione economica.
D: E se vinco l’opposizione? Mi rimborsano tutto?
R: In caso di piena vittoria, normalmente sì, almeno sulla carta. Il giudice di regola condanna il creditore soccombente a rifonderti le spese di giudizio. Ciò include il contributo unificato che hai pagato, le marche, e un importo per l’avvocato secondo i parametri. Attenzione però: spesso l’importo liquidato dal giudice per l’avvocato è un po’ inferiore a quanto tu hai effettivamente pattuito (dipende: se avevi un accordo alto, il giudice paga parametri standard). Ma in generale, sì: se vinci, esci quasi indenne sui costi legali, e ovviamente l’esecuzione viene fermata o limitata secondo quanto deciso. Se però il creditore è insolvente o fallisce, potresti avere difficoltà a ottenere da lui il rimborso spese, ma questo è un altro discorso (capita raramente che il creditore sia nullatenente; più spesso è una banca o ente solvibile). Quindi la vittoria ti salva non solo dai pagamenti indebiti ma anche dal costo del processo.
D: L’opposizione all’esecuzione può risolvere tutto il mio problema di debito?
R: Dipende. Se la tua opposizione dimostra che nulla era dovuto, allora vinci completamente e non devi più nulla al creditore (es: titolo nullo, debito già pagato, prescrizione maturata). In tal caso hai eliminato il problema. Se invece la tua opposizione riguarda solo una parte del debito o un vizio formale, il giudice potrebbe accogliere in parte: riduce il dovuto ma conferma che qualcosa devi; oppure annulla quell’atto ma il creditore può correggerlo e riprocedere. Quindi l’opposizione può rimandare o ridurre ma non sempre azzera. Esempio: se contesti solo interessi e vinci, comunque dovrai pagare il capitale. Oppure annulli un pignoramento per vizio e l’esecuzione va rifatta regolarmente (perdi solo tempo). Pertanto, valuta con l’avvocato l’obiettivo realistico: è fermare del tutto il creditore, o prendere tempo, o diminuire l’importo? L’opposizione è efficace per correggere ingiustizie o errori specifici; non è uno strumento per cancellare i debiti legittimi. Per quelli esistono altre vie, come la trattativa col creditore o procedure come il sovraindebitamento (piano del consumatore, ecc.), che però esulano da questa guida.
D: Posso evitare l’opposizione e risolvere altrimenti?
R: Sì, l’opposizione è solo una delle possibili reazioni a un’esecuzione. Alternative:
- Ricomporre bonariamente la situazione: contattare il creditore, magari tramite l’avvocato, e proporre un accordo di pagamento rateale o transazione. Spesso i creditori accettano soluzioni (soprattutto se l’alternativa è aspettare anni in tribunale). Ciò può portare a una rinuncia del creditore alla procedura esecutiva se trova un accordo. Attenzione però: dal pignoramento in poi, spesso il creditore pretende comunque di recuperare tutti i costi che ha anticipato (bolli, delegato, ecc.). Ma potresti risparmiare su spese future.
- Sovraindebitamento o procedure concorsuali: se sei in grave crisi e hai i requisiti, potresti accedere a una procedura ex L.3/2012 (come rivista dal Codice della Crisi 2019) per sospendere le esecuzioni e proporre un piano di ristrutturazione del debito. In questo caso l’esecuzione individuale verrebbe bloccata per legge.
- Aspettare e opporsi solo agli atti finali: strategia rischiosa, ma qualcuno la usa: non fare nulla finché la casa non è venduta e poi opporsi magari al decreto di trasferimento sostenendo qualche vizio. È molto pericolosa perché i termini sono stringenti e potresti perdere proprietà senza rimedio. Sconsigliabile a meno di colpi di scena giuridici.
- Verificare nullità di titolo altrove: se il titolo è, ad esempio, una cambiale o un contratto nullo, potresti anche agire con causa separata di accertamento, ma in genere conviene far valere tutto nell’opposizione all’esecuzione stessa per completezza.
Insomma, l’opposizione non è sempre la panacea: va scelta quando c’è un motivo concreto di illegittimità nell’esecuzione. Se il tuo problema è che non hai soldi ma il creditore ha ragione, l’opposizione non risolverà la mancanza di soldi – al più ti darà tempo. In questi casi, pianifica diversamente: vendi tu un bene prima dell’asta (conversione del pignoramento, art. 495 c.p.c., o accordo col creditore) per pagarlo ed evitare maggiori danni.
D: Dopo l’opposizione, posso fare qualcosa contro il creditore se ha agito scorrettamente?
R: Se hai vinto l’opposizione perché il creditore ha agito senza avere diritto (ad es. ha pignorato pur con debito già pagato), puoi valutare un’azione per danni contro di lui. Ad esempio, se a causa del pignoramento ti è stata bloccata l’attività e hai perso guadagni, o se la pubblicità di un’asta ti ha leso l’immagine, ecc. In giudizio d’opposizione stesso potevi chiedere condanna ex art. 96 c.p.c.. Se non l’hai fatto, puoi comunque citare il creditore successivamente per responsabilità da esecuzione illegittima. Ci sono pronunce a supporto: l’esecuzione senza titolo può integrare il reato di estorsione o di abuso, e civilmente un risarcimento danni. Tuttavia, spesso, ottenuta la vittoria, i debitori preferiscono chiuderla lì (anche perché se il creditore è una banca, difficile dimostrare un suo dolo). Comunque la legge prevede tutele in tal senso. Se invece hai perso e ritieni che l’ufficiale giudiziario abbia sbagliato o il giudice abbia errato, le tue possibilità si limitano all’appello/Cassazione. Non esistono “contro-opposizioni” per lamentare come è stata condotta l’esecuzione se non le stesse opposizioni viste.
Conclusioni
Dal punto di vista del debitore, l’opposizione all’esecuzione è un percorso giuridico impegnativo ma talvolta necessario per tutelare i propri diritti. Come abbiamo analizzato, comporta un livello di approfondimento avanzato e costi non trascurabili: è quindi uno strumento da utilizzare con cognizione di causa, preferibilmente dopo aver consultato un legale esperto in materia.
Riassumendo i punti chiave emersi nella guida:
- Esistono varie forme di opposizione (all’esecuzione, agli atti, di terzo), ciascuna adatta a determinati motivi di doglianza: contestare il diritto del creditore, contestare vizi procedurali, rivendicare proprietà di terzi. È fondamentale individuare correttamente quale opposizione proporre, perché termini e procedura differiscono.
- I costi di un’opposizione comprendono il contributo unificato (variabile col valore o fisso a €168 per gli atti), le spese vive di atti, e soprattutto gli onorari legali. Questi ultimi possono andare da poche migliaia di euro a cifre elevate nei casi più complessi. È importante preventivare tali costi e ponderarli rispetto al beneficio economico sperato (ad esempio, opporsi a un debito di €2.000 spendendone €3.000 non è conveniente, salvo principi).
- In caso di esito favorevole, il debitore può aspettarsi l’annullamento (totale o parziale) dell’esecuzione e il rimborso delle spese da parte del creditore. In caso di esito sfavorevole, dovrà pagare anche le spese del creditore e avrà solo ritardato l’inevitabile, con possibili aggravamenti (interessi, sanzioni). Pertanto l’opposizione va intrapresa quando vi sono effettive chance di successo o quantomeno margini per ottenere un risultato utile (ad es. riduzione del debito).
- I tempi possono essere lunghi (anche anni se si arriva in Cassazione), e la procedura esecutiva nel frattempo può essere sospesa se il giudice accorda l’inibitoria. Ciò significa che l’opposizione può dare respiro temporale al debitore, ma non bisogna abusarne solo per dilatare i tempi, poiché i giudici e le controparti hanno strumenti per contrastare le dilazioni pretestuose (come l’art. 96 c.p.c. e i termini perentori).
- Dal punto di vista strategico, prima di fare opposizione, il debitore (specialmente se imprenditore) dovrebbe valutare anche possibili soluzioni alternative (trattative, conversione del pignoramento pagando una parte, procedure concorsuali minori) a seconda del caso concreto, magari parallele all’opposizione stessa. L’opposizione può essere vista anche come leva negoziale: spesso creditori e debitori trovano un accordo durante il giudizio di opposizione, transigendo per evitare ulteriori spese e rischi.
- La normativa italiana sulle opposizioni è stata aggiornata più volte, e la giurisprudenza recente (anche del 2022-2024) ha chiarito aspetti importanti – come il limite temporale introdotto dal 2016, la compatibilità con la tutela del consumatore, i criteri di tempestività delle opposizioni agli atti, ecc. – quindi è cruciale affidarsi a fonti e professionisti aggiornati. Abbiamo citato durante la trattazione le principali sentenze e fonti normative per offrire un orientamento solido e verificabile.
In conclusione, la domanda “Quanto costa un’opposizione all’esecuzione?” non ha una risposta unica in euro, ma dipende da molte variabili: il costo economico può andare da poche centinaia di euro (in rarissimi casi) a decine di migliaia, il costo in tempo da pochi mesi a diversi anni, e vi è anche un costo di rischio (di peggiorare la propria posizione se l’opposizione non era fondata). Questa guida ha fornito gli strumenti per stimare tali costi e prendere una decisione informata. Dal punto di vista del debitore, l’opposizione è spesso un percorso a ostacoli, ma a volte è l’unica via per far valere le proprie ragioni contro una pretesa ingiusta o una procedura esecutiva viziata. Valutare attentamente costi e benefici con l’aiuto di un legale rimane la miglior prassi per decidere se intraprendere questo percorso.
Fonti
- Codice di procedura civile, artt. 615-619 c.p.c. – Disposizioni sulle opposizioni all’esecuzione forzata e agli atti esecutivi. (Normattiva, testo vigente 2025)
- D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (Testo Unico spese di giustizia), artt. 13 e 14 – Importi del contributo unificato e relative maggiorazioni per impugnazioni; art. 76 – Limite di reddito per gratuito patrocinio.
- Circolare Ministero Giustizia 3 marzo 2015 – Chiarimenti sul contributo unificato nelle opposizioni all’esecuzione ex artt. 615, 617, 619 c.p.c. (Prot. 3472/15). Conferma: contributo a valore per 615 e 619; contributo fisso €168 per 617; nessun contributo per fase incidentale in esecuzione.
- Sito web Tribunale di Foggia – Tabella contributo unificato (agg. 2014): indica €168 per opposizioni atti esecutivi, “contributo in base al valore” per opposizioni all’esecuzione e di terzo.
- Cassazione SS.UU. 6 aprile 2023 n. 9479 – (massima commentata da Borselli). Principio: opposizione ex 615 dopo ordinanza di vendita inammissibile, salvo fatti sopravvenuti o causa non imputabile (conforme al 615 co.3); in materia di fideiussioni nulle e clausole abusive, il G.E. deve controllare fino alla vendita e può ammettere opposizione tardiva, ma comunque non oltre ordinanza di vendita.
- Cass. civ. Sez. III, 15/02/2023 n. 4797 – (citata in Borselli guida 617). Stabilisce termini opposizione atti vs decreto di trasferimento: decorre da conoscenza di fatto e comunque entro approvazione progetto distribuzione; opponente deve provare di non aver avuto conoscenza legale prima.
- Cass. civ. Sez. III, 09/04/2024 n. 9451 – (Foro Europeo). Principio: l’omessa fase sommaria dinanzi al G.E. per errore dell’ufficio non rende inammissibile l’opposizione, ma determina nullità del giudizio di merito e necessità di rinnovare la fase sommaria. Evidenzia importanza fase ante causam.
- Circolare DAG 8/7/2015 – sul “raddoppio del contributo unificato ex art. 13 comma 1-quater DPR 115/2002”. Spiega obbligo di pagamento contributo aggiuntivo in caso di impugnazione respinta/inammissibile, evidenziando natura di debito tributario e procedura di recupero.
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Da cosa dipende il costo di un’opposizione all’esecuzione?
Il costo varia in base a:
- Valore del debito contestato
- Complessità del caso (creditore privato, banca, Agenzia Entrate Riscossione)
- Necessità di chiedere sospensione urgente del pignoramento
- Durata del procedimento e presenza di più atti da impugnare
- Eventuali spese per CTU, accesso atti, notifiche, contributo unificato
💼 In media, i costi possono andare:
- Dai € 800 ai € 2.500 per opposizioni semplici
- Oltre i € 3.000 per cause complesse con più atti esecutivi o sospensioni cautelari
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✔️ Avvocato esperto in opposizioni all’esecuzione e diritto dell’insolvenza
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per privati, lavoratori, pensionati e imprenditori in difficoltà
Conclusione
Difendersi da un’esecuzione ingiusta ha un costo, ma non farlo può costarti molto di più.
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