Hai ricevuto una cartella esattoriale e ti stai chiedendo da quando diventa esecutiva e se puoi ancora impugnarla o bloccare eventuali pignoramenti? Vuoi sapere quali sono i tempi da rispettare per non perdere i tuoi diritti?
Capire quando una cartella esattoriale diventa esecutiva è fondamentale per decidere se puoi ancora agire oppure se il Fisco ha già il potere di avviare l’esecuzione forzata. Ogni giorno conta: superata una certa soglia, il Fisco può agire senza bisogno di avvisarti di nuovo.
Cos’è la cartella esattoriale?
È l’atto con cui l’Agenzia Entrate Riscossione ti chiede il pagamento di un debito iscritto a ruolo (tributario, previdenziale o altro). È basata su un “titolo esecutivo” già formato (come un avviso di accertamento definitivo, una sentenza, un controllo automatizzato, ecc.).
Quando diventa esecutiva la cartella?
La cartella diventa esecutiva decorso il termine di 60 giorni dalla notifica, se non hai presentato opposizione o pagato. Trascorsi quei 60 giorni:
– Il Fisco può procedere con pignoramenti, fermi, ipoteche
– Non è più necessario alcun preavviso per iniziare l’esecuzione forzata
– Il debito viene considerato “esigibile” in via coattiva
Ci sono eccezioni?
Sì. In alcuni casi, la cartella è già esecutiva al momento della notifica, ad esempio:
– Per gli avvisi esecutivi dell’Agenzia delle Entrate (che valgono come titolo esecutivo)
– Per le sanzioni amministrative previste dal Codice della Strada
– Per i debiti previdenziali segnalati dall’INPS tramite accertamento definitivo
In questi casi i 60 giorni possono anche non essere necessari, e l’esecuzione può iniziare subito dopo la notifica.
Cosa succede se paghi dopo i 60 giorni?
Puoi ancora pagare, ma:
– Vengono aggiunti interessi di mora e aggio
– Potrebbero essere già partite misure cautelari o esecutive
– Potresti dover pagare anche le spese di esecuzione (es. per atti di pignoramento)
Quando puoi impugnare una cartella?
Entro 60 giorni dalla notifica, se:
– Non hai ricevuto l’atto presupposto (es. accertamento, liquidazione)
– Il debito è prescritto o già pagato
– L’importo richiesto è errato o illegittimo
– Ci sono vizi nella notifica o nella formazione del ruolo
E se sono passati più di 60 giorni?
In genere, non puoi più impugnare la cartella, ma puoi:
– Fare ricorso contro gli atti esecutivi se ci sono vizi successivi
– Chiedere l’annullamento in autotutela, se hai prove valide
– Avviare una procedura di composizione della crisi o sovraindebitamento per bloccare tutto
Cosa NON devi fare mai se ricevi una cartella?
– Aspettare oltre i 60 giorni senza agire
– Pagare senza controllare la legittimità dell’atto
– Ignorare notifiche, solleciti o preavvisi di fermo e ipoteca
– Sottovalutare gli atti esecutivi che possono partire anche dopo molto tempo
La cartella non è solo un avviso: se non reagisci, diventa un ordine esecutivo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa da cartelle esattoriali – ti spiega quando una cartella diventa esecutiva, quali sono i termini da rispettare e cosa puoi fare per bloccare l’esecuzione o contestare il debito prima che sia troppo tardi.
Hai ricevuto una cartella e non sai se puoi ancora impugnarla o bloccarla? Vuoi evitare pignoramenti e azioni forzate?
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Introduzione
Una cartella esattoriale (formalmente cartella di pagamento) è l’atto tramite cui l’Agente della Riscossione (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) richiede al contribuente il pagamento di somme dovute a titolo di imposte, contributi o sanzioni non pagate spontaneamente. Si tratta di uno strumento di natura giuridica-esecutiva, perché costituisce il passaggio formale che precede l’eventuale esecuzione forzata sui beni del debitore. Comprendere quando e come questa cartella diventa esecutiva è fondamentale per i debitori (privati, imprenditori o professionisti) poiché determina il momento a partire dal quale il Fisco può procedere con pignoramenti, ipoteche, fermi amministrativi e altre azioni coattive.
In questa guida di livello avanzato, aggiornata a giugno 2025, esamineremo in dettaglio la disciplina italiana della riscossione coattiva dal punto di vista del debitore. Adotteremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, con un taglio pratico utile sia ai professionisti legali sia ai cittadini interessati. Verranno affrontati i seguenti temi principali:
- Che cos’è una cartella esattoriale e come si forma: definizione, base normativa e funzione della cartella di pagamento nel sistema tributario italiano.
- Quando la cartella diventa esecutiva: il termine di 60 giorni per il pagamento, cosa accade allo spirare di tale termine e quali atti seguono (senza necessità di ulteriori avvisi, salvo eccezioni di legge).
- La procedura esecutiva successiva: le fasi della riscossione coattiva dopo che la cartella è divenuta esecutiva – dagli atti cautelari (come fermi amministrativi e ipoteche) agli atti esecutivi veri e propri (pignoramenti mobiliari, presso terzi e immobiliari) – con particolare attenzione alle tutele per il debitore (limiti sul pignoramento della prima casa, soglie di importo, ecc.).
- Riforme normative e giurisprudenza recente: impatto delle novità degli ultimi anni, come la riforma “Cartabia” del processo civile (2023) sulle opposizioni esecutive, la riforma della Giustizia Tributaria (L. 130/2022) e soprattutto la riforma fiscale 2023-2025 che ha portato al nuovo Testo Unico della Riscossione (D.Lgs. 24 marzo 2025 n.33). Si tratteranno i cambiamenti rilevanti per i debitori (ad esempio: estensione delle rateizzazioni fino a 10 anni, istituto del “discarico automatico” delle cartelle inesigibili, ecc.).
- Strumenti di difesa del contribuente-debitore: le modalità per impugnare una cartella (ricorsi in Commissione/Corte di Giustizia Tributaria o innanzi al giudice ordinario, a seconda dei casi), i termini da rispettare e gli eventuali modelli di ricorso; come richiedere la sospensione dell’esecuzione; come ottenere una rateizzazione del debito o aderire a definizioni agevolate (rottamazione); l’uso degli strumenti di sovraindebitamento per chi è incapiente; e altre strategie per prevenire o bloccare le azioni esecutive.
- Casi particolari e simulazioni pratiche: scenari concreti (ad es. ricezione di una cartella per errore, arrivo di un’intimazione dopo molti anni, tutela della prima casa del debitore, nullatenenza, intervento del fallimento, ecc.) con domande e risposte mirate. Per ciascun scenario vedremo quali soluzioni la legge offre al debitore.
- Domande frequenti e tabelle riepilogative: una sezione FAQ riassumerà i dubbi più comuni (ad es. “Cosa succede se non pago entro 60 giorni?”, “Il Fisco può pignorare la prima casa?”, “Come si contesta una cartella esattoriale scaduta?”) con risposte concise. Inoltre, saranno fornite tabelle riassuntive – ad esempio sui termini chiave (decadenza, prescrizione) e sulle differenze procedurali – per consentire un rapido riferimento.
Al termine della guida, si trova una sezione con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, in modo da permettere ulteriori approfondimenti e verifiche. Tutti i riferimenti sono aggiornati al 2025, includendo le più recenti pronunce della Corte di Cassazione e le novità legislative di rilievo. Procediamo dunque ad analizzare la materia, iniziando dalla natura della cartella esattoriale e dalla fase in cui essa assume efficacia esecutiva.
Che cos’è la cartella esattoriale: natura e funzione
La cartella di pagamento è un atto amministrativo recante l’ordine di pagamento di una somma risultante da uno o più ruoli resi esecutivi dall’ente creditore (Agenzia delle Entrate, INPS, Comuni, etc.). In termini semplici, il ruolo è l’elenco dei debiti individuali formato dall’ente impositore; una volta reso esecutivo, esso viene affidato all’Agente della Riscossione, il quale tramite la cartella notifica formalmente al debitore l’obbligo di pagare. La cartella costituisce quindi il collegamento tra l’accertamento del debito (a cura dell’ente creditore) e la sua riscossione coattiva (a cura dell’Agente della Riscossione).
Dal punto di vista normativo, la disciplina generale delle cartelle di pagamento è contenuta nel D.P.R. 29 settembre 1973 n.602 (soprattutto agli articoli 25 e seguenti, per la notifica e il contenuto, e agli articoli 49-50 per gli effetti esecutivi). Nel 2025 è stato approvato un Testo Unico della Riscossione (D.Lgs. 24 marzo 2025 n.33) che riordina tutta la normativa in materia di versamenti e riscossione, ma le regole di base sulla cartella rimangono sostanzialmente le stesse, salvo alcune innovazioni di cui diremo più avanti.
Ecco le caratteristiche salienti di una cartella esattoriale:
- Titolo esecutivo e intimazione ad adempiere: la cartella contiene una vera e propria intimazione di pagamento entro un termine di legge (60 giorni dalla notifica) e l’avvertimento che, in mancanza, si procederà a esecuzione forzata. Essa riporta anche la data in cui il ruolo è stato reso esecutivo dall’ente creditore. Di fatto, la cartella equivale a un titolo esecutivo (in quanto rappresenta il ruolo, che è il titolo, estratto in forma esecutiva) unito a un precetto (la diffida a pagare entro 60 giorni). Questa duplice natura la rende uno strumento particolarmente incisivo: se il debitore non reagisce entro i termini, la pretesa in essa contenuta si consolida e può essere attuata coattivamente.
- Contenuto e forma: la cartella deve essere redatta sul modello approvato dal Ministero delle Finanze. Indica gli estremi del debito (tipo di imposta o entrata, anno d’imposta o periodo, ente impositore), l’importo dovuto (imposta, sanzioni, interessi di mora, aggi di riscossione, spese di notifica), nonché le istruzioni per il pagamento e i riferimenti per eventualmente chiedere rateizzazione. Deve inoltre riportare le informazioni sul ruolo (numero e data di esecutorietà) e sul responsabile del procedimento. La cartella viene notificata al debitore a mezzo PEC (se disponibile) oppure tramite ufficiale della riscossione o servizio postale con raccomandata AR, secondo le modalità previste dall’art.26 DPR 602/1973. Una notifica irregolare (ad esempio a indirizzo errato, o effettuata senza rispettare le formalità) costituisce un vizio contestabile dal destinatario.
- Ruolo e formazione del titolo: Tecnicamente, il titolo esecutivo è costituito dal ruolo, ovvero dall’elenco dei debiti formato dall’ente impositore e reso esecutivo dal competente dirigente. Il ruolo non viene notificato al contribuente; ciò che si notifica è la cartella di pagamento che ne riproduce il contenuto essenziale. La Corte di Cassazione ha chiarito che “nella procedura di riscossione il titolo esecutivo è costituito dal ruolo e di esso non è prevista una notificazione preventiva rispetto a quella della cartella”. Dunque la cartella è il primo atto con cui il debitore viene a conoscenza formale del debito iscritto a ruolo. Da quel momento decorrono sia il termine per pagare, sia il termine per eventualmente impugnare la cartella.
- Differenza rispetto ad altri atti (avvisi di accertamento esecutivi): va notato che, accanto alle cartelle, esistono atti impositivi che svolgono direttamente funzione esecutiva. Ad esempio, per molte imposte erariali oggi si utilizzano gli “avvisi di accertamento esecutivi”, i quali contengono già l’intimazione a pagare entro 60 giorni e, in difetto, diventano essi stessi equiparabili a una cartella esattoriale. In pratica, trascorsi i termini di impugnazione di certi avvisi fiscali, l’Agenzia delle Entrate li affida all’Agente della Riscossione senza bisogno di emettere una cartella separata. Dal punto di vista del contribuente, l’effetto è analogo: l’atto “diventa esecutivo” dopo 60 giorni, e dopo ulteriori 30 giorni l’Agenzia Entrate-Riscossione può iniziare le procedure di recupero. Approfondiremo oltre questa fattispecie, ma è importante sapere che non tutti i debiti seguono il passaggio cartella; se però c’è una cartella, essa rappresenta il passaggio obbligato prima dell’esecuzione.
In sintesi, la cartella esattoriale è lo strumento attraverso cui il debitore è formalmente messo in mora riguardo a un debito fiscale o patrimoniale verso lo Stato o altro ente pubblico. Ricevuta la notifica, il debitore ha un periodo per regolarizzare la propria posizione spontaneamente. Solo dopo il decorso di tale periodo senza esito, la cartella “diventa esecutiva” in senso proprio, ossia legittima l’avvio della riscossione forzata.
Quando la cartella diventa esecutiva (60 giorni dalla notifica)
Una cartella esattoriale non è immediatamente esecutiva fin dal giorno in cui viene notificata. La legge concede al debitore un termine preciso – 60 giorni dalla notifica – per provvedere al pagamento integrale oppure per attivarsi in altro modo (presentare ricorso, chiedere una rateizzazione, ecc.). Durante questo intervallo temporale, il Fisco non può intraprendere azioni di esecuzione forzata: la cartella rimane in una fase “prenotativa”, fungendo da intimazione al pagamento, ma senza efficacia esecutiva immediata.
Trascorsi però inutilmente i 60 giorni, la cartella diventa titolo esecutivo a tutti gli effetti e l’Agente della Riscossione acquisisce la facoltà di procedere con il recupero coattivo del credito. In termini normativi, l’art. 50 comma 1 del DPR 602/1973 stabilisce che “il concessionario procede ad espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento”. Dunque, il 61° giorno successivo alla notifica (salvo cada in giorno festivo, nel qual caso slitta al primo giorno lavorativo seguente) è quello in cui, in assenza di pagamento, la cartella diviene esecutiva e può essere azionata.
Vale la pena sottolineare alcuni aspetti correlati a questo termine dei 60 giorni:
- Nessun ulteriore avviso è necessario (salvo eccezioni): se il debitore non paga né contesta la cartella entro i 60 giorni, l’Agente della Riscossione può avviare le procedure esecutive senza bisogno di un nuovo sollecito o precetto. La cartella stessa contiene già l’avvertimento e vale come atto di precetto. Fanno eccezione alcune ipotesi previste dalla legge, come vedremo (ad esempio, l’obbligo di una intimazione di pagamento ulteriore se passa molto tempo, o l’invio di un sollecito per debiti sotto 1.000 € – vedi oltre). Ma in generale, decorso il termine la cartella è azionabile immediatamente. Ciò significa che un pignoramento potrebbe iniziare già dal giorno dopo la scadenza, teoricamente. In pratica, l’Agente può valutare discrezionalmente i tempi dell’azione esecutiva anche in base alla convenienza e al carico di lavoro: spesso non agisce esattamente al 61° giorno, ma il contribuente non può farvi affidamento, perché giuridicamente non esiste più un obbligo di preavviso da parte del Fisco.
- Sospensione in caso di ricorso: il debitore che intenda contestare la cartella deve proporre ricorso entro i 60 giorni (davanti all’autorità competente, come spiegato più avanti). Tuttavia, il ricorso non sospende automaticamente la riscossione. In ambito tributario, l’impugnazione della cartella va proposta alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) e il contribuente può contestualmente chiedere al giudice una sospensione giudiziale dell’atto, motivando il pericolo di un danno grave dall’esecuzione. In mancanza di un provvedimento di sospensione (o di una sospensione in autotutela concessa dall’ente creditore/Agenzia Riscossione), l’Agente può legittimamente procedere dopo i 60 giorni, anche se è pendente un ricorso. Questa è una ragione ulteriore per cui, dal punto di vista del debitore, agire tempestivamente è cruciale: se si avvia un ricorso, occorre valutare subito la richiesta di sospensione e/o pagare una parte del dovuto (in certi casi di ricorso tributario è obbligatorio versare un terzo per ottenere la sospensiva amministrativa). In caso contrario, la cartella sarà esecutiva e il Fisco potrà non attendere l’esito del giudizio.
- Dilazione o provvedimenti di autotutela entro i 60 giorni: se il debitore, anziché pagare in un’unica soluzione, chiede una rateizzazione entro il termine di legge, la procedura esecutiva viene sospesa. La normativa vigente consente di ottenere piani di rate fino a 72 rate mensili ordinariamente, estensibili a 120 rate (10 anni) in casi di comprovata difficoltà economica dal 2025. La presentazione di una domanda di rateizzazione entro i 60 giorni blocca l’attivazione di misure esecutive, poiché la legge considera tale istanza come causa di sospensione. Attenzione però: il mancato pagamento anche di una sola rata (dopo le soglie di tolleranza previste, ad esempio 5 rate non pagate anche non consecutive, regola poi aggiornata) può far decadere la dilazione e riattivare l’esecutività della cartella. – Parimenti, se il contribuente presenta un’istanza di autotutela (es. chiedendo all’ente creditore l’annullamento della cartella per errore palese, doppio pagamento già effettuato, ecc.), oppure una richiesta di sospensione legale della riscossione ai sensi della L.228/2012, l’Agente della Riscossione di norma sospende le azioni in attesa dell’esito. Tali procedure tuttavia non congelano in automatico i 60 giorni a meno che l’ente non accolga o disponga formalmente la sospensione: il debitore deve comunque tutelarsi (ad esempio, se decide di non impugnare confidando in una soluzione in autotutela, ma questa non arriva in tempo, trascorsi i 60 giorni l’Agente potrebbe tecnicamente procedere). Conviene quindi utilizzare l’istanza di sospensione legale prevista dalla legge, che prevede esplicitamente la sospensione immediata della riscossione non appena l’Agente la riceve e per tutto il tempo (fino a 220 giorni) in cui l’ente competente verifica la richiesta.
- Differimento per feriale o emergenze: il termine di 60 giorni è “a giorni” e non “a mesi”, dunque comprende i fine settimana e le festività. Esso tuttavia non subisce sospensioni feriali (la sospensione feriale di agosto, che opera per i termini processuali, non si applica ai termini per pagare cartelle). Può però essere oggetto di sospensioni legislative straordinarie: ad esempio durante l’emergenza Covid-19, il Governo ha disposto la sospensione dei termini di pagamento delle cartelle per alcuni mesi, congelando temporaneamente le scadenze. Al di fuori di circostanze eccezionali stabilite per legge, i 60 giorni decorrono normalmente.
Trascorso il termine, se il contribuente non ha pagato l’importo né ha ottenuto una sospensione, la cartella è esecutiva. In quel momento l’Agente della Riscossione può legittimamente iscrivere misure cautelari (fermo, ipoteca) o iniziare l’espropriazione forzata (pignoramenti) secondo le procedure previste. La Cassazione ha di recente ribadito che la cartella di pagamento, pur avendo natura di atto presupposto e non di atto esecutivo in sé, non segna l’inizio della procedura esecutiva: l’esecuzione in senso tecnico inizia con il pignoramento, non con la cartella. In altre parole, la cartella è il titolo e precetto su cui si fonderà l’eventuale esecuzione, ma non è essa stessa un atto del processo esecutivo (tant’è che non è soggetta a opposizione ex art.615 c.p.c., bensì agli strumenti di tutela propri – ricorso tributario o altro a seconda della natura del debito). Solo dopo i 60 giorni, con un pignoramento notificato al debitore, si apre la fase esecutiva vera e propria. Questa precisazione teorica ha conseguenze pratiche sulle forme di opposizione esperibili, come vedremo nella sezione dedicata ai rimedi del debitore.
Tabella riepilogativa – Termini di pagamento ed esecutività
Atto | Termine per il pagamento | Decorso del termine |
---|---|---|
Cartella di pagamento | 60 giorni dalla notifica | Diventa esecutiva: l’Agente può avviare l’esecuzione forzata (pignoramenti, ipoteche, fermi) senza bisogno di ulteriore avviso. |
Avviso di accertamento esecutivo (Agenzia Entrate) | 60 giorni dalla notifica (per ricorso) + 30 giorni ulteriori prima della riscossione coattiva | Trascorsi 60 giorni, l’atto diviene definitivo ed esecutivo; dopo ulteriori 30 giorni l’ente può affidare il debito all’Agente Riscossione per l’esecuzione forzata (90 giorni totali). |
Avviso di addebito (INPS) | 60 giorni dalla notifica | Trascorsi 60 giorni senza pagamento né opposizione, diventa titolo esecutivo per contributi; il recupero coattivo prosegue come per una cartella (senza ulteriore avviso). |
Ingiunzione fiscale (enti locali, se utilizzata in alternativa alla cartella) | 60 giorni dalla notifica (salvo diversa indicazione) | Diventa titolo esecutivo; l’ente locale può procedere ad esecuzione forzata tramite proprio concessionario. |
(Nota: la cartella esattoriale e gli avvisi esecutivi contengono già l’intimazione ad adempiere. Altri atti come il precetto civile – non applicabile alla riscossione esattoriale – prevedono 10 giorni. Nel sistema tributario, il “precetto” è incorporato nella cartella/avviso.)
La procedura di riscossione coattiva dopo la cartella: fasi e atti successivi
Allo scadere dei 60 giorni, la cartella è dunque esecutiva e l’Agente della Riscossione (AdER) può mettere in moto le azioni finalizzate a riscuotere coattivamente le somme. È importante comprendere le varie fasi e gli atti che possono intervenire, perché il debitore ha opportunità diverse di intervento o tutela in ciascuna di esse. Di seguito analizziamo in ordine logico: le eventuali comunicazioni di sollecito, l’intimazione di pagamento (atto spesso cruciale se l’esecuzione non è iniziata tempestivamente), le misure cautelari che precedono l’esecuzione (fermo amministrativo e ipoteca) e infine le misure esecutive vere e proprie (pignoramenti mobiliari, presso terzi e immobiliari, con i relativi limiti).
Solleciti di pagamento e preavvisi (comunicazioni preventive)
Benché la legge, come detto, non imponga alcun ulteriore avviso allo scadere dei 60 giorni, nella prassi l’Agenzia Entrate-Riscossione spesso invia delle comunicazioni di sollecito o preavviso prima di attivare determinate azioni, sia per stimolare il contribuente a regolarizzare, sia perché talora obbligata dalla normativa in specifici casi.
- Sollecito di pagamento (per debiti fino a 1.000 €): per le cartelle di importo modesto, la legge prevede un passaggio in più a tutela del debitore. In base all’art. 1, c.544 L.228/2012, per debiti fino a 1.000 € l’Agente della Riscossione non può procedere ad azioni esecutive o cautelari prima di 120 giorni dall’invio di una comunicazione di sollecito tramite posta ordinaria. In altri termini, se la cartella contiene solo debiti di piccola entità, AdER deve: (a) inviare un sollecito (promemoria di mancato pagamento) al contribuente; (b) attendere 120 giorni dalla spedizione senza che il contribuente paghi o chieda rateazione, prima di poter iscrivere un fermo, un’ipoteca o pignorare. Il sollecito indica gli importi dovuti e invita a pagare o regolarizzare a breve. Questa regola introdotta nel 2013 (detta anche “mini-cartelle”) offre una tutela aggiuntiva per i micro-debiti. Va detto che la soglia di 1.000 euro si calcola per singola cartella/partita, e che durante quei 120 giorni il debito non è congelato (continuano a maturare interessi di mora), ma l’esecuzione è bloccata. Se entro 120 giorni il debitore paga o rateizza, non seguiranno atti coattivi; in caso contrario, allo spirare dei quattro mesi l’Agente potrà procedere senza ulteriori indugi.
- Preavviso di fermo amministrativo: prima di iscrivere un fermo amministrativo su un veicolo del debitore, AdER deve notificare un preavviso di fermo (art. 86 DPR 602/1973). Si tratta di una comunicazione formale (notificata via PEC o atto diretto) che elenca i debiti in essere e avverte il contribuente che, se entro 30 giorni non paga o non si attiva (pagamento, rateizzazione, richiesta di sospensione/annullamento), verrà iscritto il fermo sul veicolo indicato. Nel preavviso è specificato che trascorsi i 30 giorni senza adempimento, si procederà senza ulteriore avviso all’iscrizione del fermo al Pubblico Registro Automobilistico. È anche indicato l’organo giurisdizionale cui fare ricorso e il termine (di solito 30 giorni al Giudice di Pace per contestare il preavviso, spesso per motivi formali). Durante quei 30 giorni, il debitore può evitare il fermo pagando o dimostrando che l’auto è strumentale alla sua attività d’impresa o utilizzata per un disabile a carico (in tali casi, se prova entro il termine, il fermo non sarà eseguito). Il preavviso di fermo è dunque un ultimatum specifico per i veicoli, obbligatorio per legge, e rappresenta un’ultima opportunità per evitare la sanzione del fermo amministrativo.
- Preavviso di ipoteca: similmente, per l’iscrizione di una ipoteca su un immobile il concessionario deve notificare un preavviso di iscrizione ipotecaria (art. 77 DPR 602/1973). Anche qui si concede 30 giorni al debitore per pagare prima di procedere. Decorso inutilmente tale termine, se non vi sono stati pagamenti, rateizzazioni o sospensioni, si iscrive l’ipoteca sull’immobile. Il preavviso indica gli immobili interessati e i dettagli del debito. Importante: la legge consente di ipotecare solo se il debito complessivo del contribuente supera 20.000 €. Inoltre l’importo dell’ipoteca può essere fino al doppio del credito per cui si procede (es: debito €30.000, ipoteca fino a €60.000). Dunque, sotto 20.000 € AdER non può iscrivere ipoteca; tra 20.000 e 120.000 € (come vedremo) può ipotecare ma non pignorare la casa. Il preavviso di ipoteca è un atto impugnabile (dinanzi alla Commissione Tributaria se riguarda tributi, o al giudice ordinario se riguarda ad es. sanzioni amministrative), solitamente entro 30 giorni. Se non impugnato e non si paga, l’ipoteca viene iscritta e comunicata al contribuente a cose fatte (con una successiva comunicazione di conferma dell’iscrizione).
In aggiunta a questi atti dovuti, AdER in molti casi invia comunicazioni di cortesia o solleciti bonari anche oltre il caso dei mini debiti. Ad esempio, non è raro che, trascorsi i 60 giorni, prima di procedere al pignoramento l’Agente invii un “sollecito di pagamento” (anche via PEC o lettera semplice) per somme ben superiori a 1.000 €, al fine di stimolare il debitore a pagare evitando l’esecuzione. Questi solleciti non sono obbligatori per legge (salvo il caso < €1000) e la loro assenza non invalida gli atti successivi. Sono semplicemente ulteriori possibilità che il debitore ha di accorgersi del pericolo imminente e correre ai ripari. Dal punto di vista del contribuente, è buona norma non attendere eventuali solleciti: se la cartella non viene pagata nei 60 giorni, bisogna presumere che l’esecuzione possa arrivare senza preavviso (eccetto i casi previsti) e attivarsi di conseguenza.
Riassumendo: dopo la cartella, il primo contatto successivo potrebbe essere un sollecito (per piccoli importi) o direttamente un atto propedeutico (preavviso di fermo/ipoteca) o un’intimazione ad adempiere (vedi prossimo paragrafo) se è passato molto tempo. In mancanza, l’Agente potrebbe procedere direttamente con il pignoramento. Vediamo ora proprio l’atto denominato “Intimazione di pagamento”, fondamentale soprattutto quando tra la cartella e l’esecuzione trascorre un periodo lungo.
L’intimazione di pagamento ex art.50 DPR 602/1973
L’intimazione di pagamento (anche detta “avviso di intimazione”) è un atto formale che l’Agente della Riscossione deve notificare al debitore prima di iniziare il pignoramento nei casi in cui sia passato un certo tempo dall’emissione della cartella. La sua funzione è simile a quella di un atto di precetto nel sistema civile, ossia un ultimo avvertimento a pagare entro pochi giorni, pena l’esecuzione immediata. Vediamone i dettagli:
- Quando è obbligatoria: ai sensi dell’art.50 co.2 DPR 602/73, “se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, questa deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente l’intimazione ad adempiere […] entro cinque giorni”. Dunque, se AdER non avvia alcun pignoramento entro 12 mesi dalla notifica della cartella, perde il “diritto” di procedere direttamente e deve prima notificare un’intimazione. In assenza di tale intimazione, qualsiasi pignoramento eseguito tardivamente (oltre un anno dopo la cartella) sarebbe illegittimo e annullabile per violazione di legge. In pratica, l’intimazione di pagamento è un atto propedeutico obbligatorio che “riattiva” la possibilità di procedere esecutivamente dopo un periodo di inerzia.
- Contenuto e termine: l’intimazione ingiunge al debitore di pagare le somme dovute entro 5 giorni dalla ricezione. È in sostanza un “5 giorni” ultimativo. Nell’atto sono elencati dettagliatamente i debiti ancora pendenti, con gli estremi delle cartelle o avvisi originari, gli importi aggiornati (interessi maturati, compensi, ecc.), e si richiama espressamente l’art.50 DPR 602/73. Viene avvertito che, decorso inutilmente il termine di 5 giorni, si procederà ad esecuzione forzata senza ulteriore preavviso. Spesso l’intimazione contiene anche indicazioni sulla possibilità di chiedere una rateizzazione last-minute o presentare istanza di sospensione, ma ciò non sospende quei 5 giorni salvo provvedimento espresso.
- Validità temporale dell’intimazione: storicamente, l’intimazione perdeva efficacia se il pignoramento non veniva iniziato entro 180 giorni dalla sua notifica. Questa era la previsione originale dell’art.50 co.3 DPR 602/73. Dal 2020, però, il legislatore ha allungato tale termine: il D.L. 76/2020 (Decreto Semplificazioni, convertito con L.120/2020) ha modificato l’art.50 portando la validità dell’intimazione a 12 mesi. Quindi oggi, una volta notificata un’intimazione, AdER ha un anno di tempo per avviare la procedura esecutiva; se lascia passare più di un anno senza pignorare, dovrà notificare una nuova intimazione prima di procedere. Questa modifica ha reso meno frequente la necessità di intimazioni ripetute: prima si “scadevano” in 6 mesi, ora durano il doppio. Comunque, in caso di prolungata inerzia (anni) possono susseguirsi più intimazioni: prassi comune è inviare intimazioni “cumulative” su vecchi ruoli dormienti, elencando tutte le cartelle pendenti e intimando il pagamento complessivo.
- Effetti e impugnabilità: l’intimazione di pagamento non è un nuovo atto impositivo nel merito – non introduce nuove somme né nuove ragioni di credito – ma serve solo a “rammentare” al debitore l’obbligo già cristallizzato nelle cartelle o avvisi esecutivi precedenti. Proprio per questo, la giurisprudenza ritiene che non siano necessarie particolari motivazioni nell’atto (oltre all’elenco dei debiti e all’ingiunzione a pagare) perché la “causa” del debito è già spiegata negli atti originari. Tuttavia, l’intimazione è impugnabile dal contribuente ai sensi dell’art.19 co.1 lett. e) D.Lgs.546/92 (come atto successivo alla cartella), ma solo per vizi propri o per far valere fatti sopravvenuti. In altre parole, con il ricorso contro un’intimazione non si può più mettere in discussione il merito del tributo già definitivo nella cartella (se la cartella non fu impugnata in tempo utile, la pretesa è “cristallizzata” e non più contestabile nel merito). Si possono però eccepire ad esempio: la prescrizione del debito intervenuta nel frattempo, il fatto che la cartella originaria non fosse mai stata notificata (e quindi l’intimazione sarebbe il primo atto ricevuto), oppure vizi propri dell’intimazione (ad es. notifica nulla, intimazione emessa nonostante non fosse trascorso un anno, ecc.). La Cassazione, Sezioni Unite, n.26817/2024 ha chiarito che l’intimazione ex art.50 DPR 602/73 è equiparabile al vecchio “avviso di mora” ed è necessario impugnarla se si vuole far valere ad esempio la prescrizione maturata dopo la notifica della cartella, pena la decadenza dal poterlo eccepire successivamente. In particolare, le Sez.Unite hanno sancito che la mancata impugnazione dell’intimazione “cristallizza” l’obbligazione, precludendo al contribuente di opporsi al pignoramento successivo facendo valere ragioni che avrebbe dovuto sollevare contro l’intimazione stessa. Pertanto, per il debitore che riceve un’intimazione, è essenziale valutare immediatamente se sussistono motivi di opposizione (prescrizione, pagamento già avvenuto, nullità della cartella originaria, ecc.) e, in caso affermativo, impugnare l’intimazione entro 60 giorni davanti all’organo competente (giudice tributario per debiti fiscali). In caso contrario, quell’intimazione renderà definitiva la posizione, e quando arriverà il pignoramento sarà troppo tardi per opporsi su tali basi.
In sintesi, l’intimazione di pagamento è un passaggio chiave se c’è stasi tra cartella ed esecuzione: serve al Fisco per “rilanciare” la riscossione dopo un anno, e serve al contribuente come ultimo campanello d’allarme prima del pignoramento, nonché come ultima chance di difesa (limitata però ai profili formali/prescrizionali). Se il debitore riceve un’intimazione, ha solo 5 giorni per pagare. Se non paga e non reagisce legalmente, dopo quei 5 giorni l’esecuzione può partire in qualsiasi momento.
Esempio pratico: Mario riceve una cartella nel 2019 e, in difficoltà economiche, non paga né fa ricorso. Passano diversi anni senza che succeda nulla. Nel 2025, Mario si vede notificare un’Intimazione di pagamento con cui AdER gli ingiunge di pagare entro 5 giorni €10.000 per quella vecchia cartella, avvertendo che altrimenti procederà al pignoramento. Mario, verificando, si accorge che il debito originario era del 2010 e forse prescritto. A questo punto Mario deve impugnare l’intimazione dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria, eccependo la prescrizione (intervenuta, poniamo, in 5 anni dalla notifica della cartella). Se non lo fa entro 60 giorni, e AdER avvia il pignoramento, Mario non potrà più far valere la prescrizione in sede di opposizione al pignoramento, perché andava fatta valere contro l’intimazione. Questo esempio mostra quanto sia importante non ignorare un’intimazione tardiva: a volte i contribuenti, vedendo trascorrere anni, pensano che “la cartella sia caduta nel nulla”, ma poi l’intimazione improvvisa riattiva tutto. Dal 2022-2023, tra l’altro, AdER ha intensificato l’invio di intimazioni cumulative su vecchi ruoli (complice anche la necessità di ripulire i crediti inesigibili, tema di riforma di cui diremo). Quindi chi ha cartelle datate non pagate deve aspettarsi prima o poi un’intimazione e prepararsi ad agire (pagare se può, transare, oppure opporsi nei limiti consentiti).
Misure cautelari: fermo amministrativo e ipoteca
Le misure cautelari sono provvedimenti che l’Agente della Riscossione adotta per garantire la futura riscossione, incidendo su beni del debitore, prima ancora di procedere all’esecuzione forzata vera e propria. Le principali nel contesto esattoriale sono: il fermo amministrativo di beni mobili registrati (in primis autoveicoli) e l’ipoteca su beni immobili. Tali misure non realizzano ancora il credito, ma lo “congelano” su determinati beni, limitando la disponibilità del debitore, in vista di un eventuale successivo esproprio. Vediamo le caratteristiche e – importantissimo – i limiti di legge posti a tutela del contribuente.
Fermo amministrativo dei veicoli: Consiste nell’iscrizione, presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA), di un vincolo che impedisce al proprietario di utilizzare e vendere il veicolo. Un automezzo sottoposto a fermo amministrativo non può circolare legalmente (farlo comporta sanzioni) e non può essere radiato o trasferito a terzi finché il fermo non è cancellato, previa estinzione del debito. Il fermo è disciplinato dall’art.86 DPR 602/73. I punti chiave:
- Condizioni per il fermo: Il fermo può essere disposto su beni mobili registrati del debitore (auto, moto, imbarcazioni, ecc.). Non c’è un limite minimo di importo del debito per iscrivere fermo (salvo la prassi di non procedere per somme irrisorie e l’obbligo del sollecito per < €1000 di cui sopra). In passato Equitalia evitava fermi per debiti sotto €500; oggi la norma formale non pone soglia, ma il sollecito obbligatorio per <1000€ implica di fatto che su importi minuscoli deve passare quel periodo. Sopra €1000, AdER può valutare il fermo. È prassi che prima del fermo sia notificato il preavviso di fermo con 30 giorni di tempo, come visto. Ciò è un obbligo normativo, pena nullità del fermo stesso in caso contrario.
- Effetti del fermo: Il debitore conserva la proprietà del veicolo, ma non può utilizzarlo (il mezzo non può circolare su strada finché c’è fermo, neppure assicurato) né disporne validamente (eventuale vendita non libera l’acquirente dal vincolo, che resta iscritto). Il fermo non comporta l’asportazione fisica del bene, ma di fatto è un serio pregiudizio. Se l’auto serve per lavoro, il fermo può paralizzare l’attività. Esiste tuttavia una tutela introdotta dal DL 69/2013: il debitore, entro i 30 giorni del preavviso, può provare che il veicolo è strumentale alla propria attività d’impresa o professionale (es. un furgone per l’artigiano) oppure che è utilizzato per il trasporto di una persona disabile a suo carico; in tali casi il fermo non verrà eseguito. Questa esenzione serve a evitare danni eccessivi all’attività lavorativa o a soggetti deboli. Attenzione: se il debitore è un privato non titolare di impresa, non può invocare l’uso “strumentale” se non in relazione a professione (non basta dire “mi serve per andare al lavoro”, purtroppo, deve essere bene strumentale diretto di un’attività). Fuori da queste ipotesi, il fermo colpisce anche l’unica auto posseduta.
- Cancellazione del fermo: Per ottenere la cancellazione bisogna pagare integralmente il debito (o chiedere e ottenere una rateizzazione: in tal caso il fermo viene sospeso e poi cancellato a saldo completato). In alcuni casi, se il valore del veicolo è modesto e il debitore versa una parte rilevante del debito, AdER può acconsentire alla cancellazione per trasformare il bene in denaro (ma non è un diritto esigibile, è più nell’ottica delle rottamazioni di veicoli a fine vita). Una volta pagato il debito, AdER rilascia entro 20 giorni il provvedimento di revoca del fermo da presentare al PRA per la cancellazione.
Ipoteca sugli immobili: L’ipoteca esattoriale è disciplinata dall’art.77 DPR 602/73. Si tratta di un’ipoteca legale iscritta dall’Agente su uno o più immobili del debitore, a garanzia del credito. Caratteristiche e limiti:
- Condizioni per l’ipoteca: Come accennato, la legge prevede che l’ipoteca possa essere iscritta solo se il debito iscritto a ruolo è almeno €20.000. Questo limite è stato fissato negli ultimi anni (in passato era 5.000, poi 8.000, ora 20.000) per evitare ipoteche per importi minimi. Inoltre, va notificato il preavviso di ipoteca con 30 giorni per regolarizzare, analogamente al fermo. L’ipoteca può riguardare qualunque immobile di proprietà del debitore, salvo restrizioni sulla prima casa che vedremo a parte (l’ipoteca in sé è ammessa anche sulla prima casa, pur se poi il pignoramento potrebbe essere vietato, come vedremo).
- Effetti dell’ipoteca: L’iscrizione ipotecaria rende l’immobile gravato a garanzia del credito fiscale. Ciò significa che se l’immobile viene venduto, l’ipoteca lo segue (il compratore se ne fa carico, a meno che tolga l’ipoteca pagando il debito o chiedendo cancellazione con qualche procedura). In caso di vendita forzata dell’immobile, il Fisco – avendo ipoteca – è creditore privilegiato sul ricavato. L’ipoteca esattoriale dura 20 anni (salvo rinnovo). Non impedisce al proprietario di continuare a usare l’immobile, né di percepire affitti, ma ne riduce il valore di mercato e soprattutto prepara il terreno per un eventuale pignoramento.
- Importo dell’ipoteca: Può essere iscritta per un importo pari al doppio del credito. Questa sovra-garanzia serve a coprire interessi futuri e spese. Ad esempio per un debito di €50.000, l’ipoteca potrebbe essere iscritta per €100.000. Questo non significa che il debitore deve €100k, è solo l’importo garantito. La Cassazione ha chiarito che se AdER iscrive ipoteca per un importo eccessivo e sproporzionato, l’ipoteca è valida solo fino a concorrenza del limite legale (doppio del dovuto) e va ridotta, ma non totalmente annullata. Quindi contestare l’ipoteca è possibile se ad esempio iscrivono €300k per un debito da €50k (andrebbe ridotta a €100k), ma non porta a toglierla del tutto.
- Tutela “prima casa” e limiti al pignoramento immobiliare: L’ipoteca può colpire anche la prima casa del debitore (se ha un solo immobile di residenza), purché debito > €20k. Invece, il pignoramento della prima casa è vietato in molte situazioni (approfondito più avanti). Quindi è possibile la situazione in cui il contribuente ha l’ipoteca sulla sua casa ma il Fisco non può espropriarla: l’ipoteca resta come garanzia (ad esempio, se poi la casa viene venduta volontariamente dal contribuente, il Fisco recupera al rogito), pur non potendo procedere d’ufficio a vendita forzata. L’ipoteca viene cancellata quando il debito viene saldato (oppure se viene annullato il ruolo per qualsiasi motivo). Se un debitore ritiene ingiusta l’ipoteca, deve impugnarne il preavviso o la comunicazione di iscrizione entro i termini (dinanzi a Commissione Tributaria per tributi, al tribunale per contributi o sanzioni amministrative).
Focus: Tutela dell’abitazione principale (prima casa). – Uno dei temi più sensibili è proprio quello della prima casa del debitore. La legge italiana, a partire dal 2013, ha introdotto importanti garanzie per evitare che il Fisco pignori l’unico immobile adibito a abitazione principale del debitore. In particolare, il D.L. 69/2013 (“Decreto del Fare”), modificando l’art.76 DPR 602/73, stabilisce che l’Agente della Riscossione non può procedere all’espropriazione immobiliare (pignoramento e vendita) se l’immobile possiede tutte queste caratteristiche:
- Unico immobile di proprietà del debitore – (cioè il contribuente non deve possedere altri immobili oltre a quello).
- Uso abitativo – (l’immobile deve essere destinato ad uso abitativo e non ad esempio un terreno o capannone).
- Residenza anagrafica del debitore – (il debitore vi risiede anagraficamente, dunque è la sua abitazione principale).
- Non di lusso – (non deve rientrare nelle categorie catastali A/8 o A/9, cioè ville di lusso o castelli/palazzi storici).
Se tutte queste condizioni sono soddisfatte, la prima casa è impignorabile dall’Agente della Riscossione. Questa è una norma di forte tutela del diritto all’abitazione: impedisce che per debiti fiscali una persona perda l’unico tetto sotto cui vive (a meno che sia un immobile di lusso, ritenuto in tal caso sacrificabile).
Tuttavia, attenzione: questa protezione vale solo finché l’immobile è l’unico. Se il contribuente possiede altri immobili, anche se quello in cui risiede è la sua prima casa, il divieto non si applica. Ad esempio, se Tizio ha due immobili – uno ci abita e l’altro è una piccola quota di terreno o un garage – il Fisco potrebbe pignorare anche la casa di residenza (di solito preferisce aggredire gli altri beni, ma legalmente la protezione “prima casa” cade perché non è più “unico immobile”). Inoltre, la norma non protegge immobili diversi: seconde case, immobili dati in affitto, terreni, ecc., sono pignorabili senza quelle restrizioni (salvo eventualmente la soglia di €120.000, di cui ora diremo).
Soglia di €120.000: La legge prevede altresì che in nessun caso (tranne il caso delle prime case protette) si possa procedere a espropriazione immobiliare per debiti di importo inferiore a 120.000 €. In altri termini, debiti sotto 120 mila euro non possono portare il Fisco a pignorare case. Si può iscrivere ipoteca se >20k come detto, ma l’eventuale esecuzione è avviabile solo se il debito supera 120k e il contribuente ha almeno un altro immobile oltre quello eventualmente abitativo. Questo limite evita procedure costose e drastiche per importi modesti.
Attesa di 6 mesi dall’ipoteca: Un’ulteriore garanzia: prima di iniziare un pignoramento immobiliare, l’Agente deve aver già iscritto ipoteca sull’immobile da almeno 6 mesi, e solo trascorso questo periodo può procedere con l’esecuzione. Ciò consente al debitore un tempo aggiuntivo dopo l’ipoteca per cercare soluzioni (pagare, vendere l’immobile per evitare l’asta, ecc.) senza il fiato immediato dell’ufficiale giudiziario. Se AdER non rispetta questo intervallo (ad esempio ipoteca a gennaio e pignoramento a marzo), l’esecuzione è irregolare per violazione dell’art.76 DPR 602.
Cassazione 2024 sulla prima casa: La Corte di Cassazione con ordinanza n.32759 del 16/12/2024 ha confermato ed ampliato queste tutele. Nel caso esaminato, il Fisco aveva pignorato un immobile sostenendo che il contribuente avesse altri beni. La Cassazione ha ribadito che se l’immobile è l’unico di proprietà, residenza principale e non di lusso, l’esecuzione non può procedere, e ha chiarito che la protezione si applica anche retroattivamente ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del Decreto del Fare (21 agosto 2013). Ciò significa che anche se un pignoramento fu iniziato prima della legge, deve essere fermato se riguarda la prima casa protetta, confermando l’indirizzo favorevole al contribuente. In sintesi, oggi i limiti al pignoramento immobiliare da parte di AdER sono chiari: debito > €120.000 e almeno un secondo immobile di proprietà del debitore; in caso contrario, niente espropriazione della casa di abitazione. Resta possibile l’ipoteca (anche sull’unica casa) oltre 20k di debito, come detto, ma non il passo successivo.
È importante notare che queste protezioni riguardano solo il Fisco (Agenzia Riscossione). I creditori privati (banche, finanziarie) non hanno il divieto sulla prima casa – se hanno un titolo esecutivo possono teoricamente pignorare anche l’unico immobile (salvo alcuni casi di impignorabilità relative, es. pensioni sociali investite in casa, ma sono eccezioni complesse). Tuttavia, essi devono passare dal giudice e seguire le regole ordinarie. Il Fisco, pur con procedure semplificate, ha però più vincoli per legge su cosa può aggredire, nell’ottica di bilanciare il suo “potere”.
Misure esecutive: i pignoramenti
Quando si parla di esecuzione forzata vera e propria, ci si riferisce in primis ai pignoramenti, ossia agli atti con cui si vincolano e poi liquidano i beni del debitore per soddisfare il credito. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha la facoltà di effettuare diverse forme di pignoramento, con alcune particolarità rispetto ai creditori privati (ad esempio, può procedere senza passare dal tribunale per notificare il pignoramento e in certi casi senza ufficiale giudiziario). Esaminiamo le principali tipologie di pignoramento cui il debitore può andare incontro, e i relativi limiti:
1. Pignoramento mobiliare (beni mobili): L’Agente può pignorare i beni mobili presenti nella residenza o sede del debitore. In pratica, un ufficiale della riscossione (figura assimilata all’ufficiale giudiziario) potrebbe recarsi presso l’abitazione o l’ufficio del debitore e redigere un verbale di pignoramento su beni come arredamento, macchinari, gioielli, ecc. Questa forma, un tempo comune, oggi è raramente utilizzata dal Fisco perché poco efficiente (i beni mobili usati hanno scarso valore di realizzo e l’operazione è costosa). Inoltre, la legge prevede varie cose impignorabili (le cose indispensabili alla vita quotidiana, abiti, letti, cucina, ecc., art. 514 c.p.c.). AdER nei fatti preferisce altre forme di pignoramento, e il mobiliare domiciliare è residuale, magari per ditte con magazzino di merci di valore. In ogni caso, il pignoramento mobiliare in senso stretto inizia con la redazione del verbale (di solito preceduto da un tentativo di trovare un accordo, a volte). Non c’è un preavviso specifico (la cartella e l’eventuale intimazione sono già considerati il preavviso). Difficile che arrivi senza alcun segnale precedente, ma può accadere.
2. Pignoramento presso terzi (es. stipendi, conti correnti): È il più usato in ambito esattoriale, perché rapido e efficace. Consiste nel pignorare crediti che il debitore vanta verso terzi, tipicamente:
- Stipendio/salario presso il datore di lavoro, oppure pensione presso l’ente previdenziale.
- Conto corrente bancario o postale intestato al debitore (somme depositate).
- Fitti/pigioni presso eventuali inquilini, o crediti verso clienti (per imprenditori).
La procedura esattoriale qui sfrutta un vantaggio: l’art.72-bis DPR 602/73 consente all’Agente Riscossione di notificare direttamente un ordine di pagamento al terzo debitor (datore di lavoro, banca, ecc.), senza passare dal giudice. In pratica, AdER invia un atto di pignoramento in cui ingiunge al terzo: “non pagare al debitore le somme a lui dovute, ma trattienile (o versale ad AdER nei limiti di legge)”. Non serve l’udienza in tribunale per l’assegnazione, come invece avviene per i creditori privati. Il terzo è tenuto a eseguire e comunicare ad AdER l’entità delle somme trattenute. Se il terzo non collabora, AdER potrà rivolgersi al giudice per dichiararlo responsabile.
Limiti sul pignoramento di stipendi e pensioni: la legge tutela il necessario al sostentamento. Pertanto:
- Per redditi da lavoro dipendente, solo una parte dello stipendio è pignorabile: precisamente un massimo di 1/5 dello stipendio netto, se questo è oltre una certa soglia. In dettaglio, fino a 2.500 € netti mensili si può pignorare al massimo 1/10; tra 2.500 e 5.000 € 1/7; oltre 5.000 €, fino a 1/5. Tuttavia, per il Fisco generalmente si applica direttamente il limite di 1/5 (regola generale per tributi). Dunque al lavoratore dipendente verrà decurtata la quota pignorata in busta paga e versata al Fisco sino a estinzione del debito.
- Per le pensioni, c’è un minimo vitale impignorabile corrispondente a 1,5 volte l’assegno sociale (circa €690 x1.5 ≈ €1.035 nel 2025) come soglia impignorabile. La parte eccedente tale minimo può essere pignorata nei limiti del quinto. Ad esempio, pensione di €1.200: quota eccedente €1.035 è €165, di cui al massimo 1/5 = €33 al mese pignorabili; pensione di €2.000: eccedenza €965, pignorabile fino a €193/mese (sempre rispettando massimo 1/5 dell’intera pensione). Questo garantisce che al pensionato resti sempre almeno il minimo vitale.
Limiti sul pignoramento di conti correnti: se il conto è intestato esclusivamente al debitore, AdER può pignorarlo per intero fino a concorrenza del credito. Tuttavia, grazie a una modifica introdotta nel 2015, se sul conto viene accreditato lo stipendio o la pensione, bisogna distinguere:
- Somme accreditate prima del pignoramento: sono pignorabili senza limitazioni (il saldo pregresso può essere bloccato interamente fino a coprire il dovuto).
- Somme accreditate dopo la notifica del pignoramento: se sul conto affluisce lo stipendio/pensione, valgono i limiti di cui sopra (impignorabilità 1,5 volte assegno e limite 1/5), quindi la banca dovrà lasciare intoccata la parte impignorabile e bloccare solo il resto.
In concreto, quando AdER esegue un pignoramento del conto corrente, normalmente l’effetto per il debitore è di vedersi il conto congelato fino all’importo del debito. La banca appena riceve l’atto blocca le somme e poi le trasferisce (dopo 60 giorni) ad AdER, salvo accordi o errori. Il conto rimane funzionante per eventuali eccedenze.
Procedura rapida: Questo pignoramento presso terzi in ambito fiscale non prevede, come detto, l’udienza di assegnazione. Dunque il debitore potrebbe scoprire del pignoramento direttamente dal fatto compiuto (es. conto bloccato). In realtà, la norma prevede che il pignoramento sia comunque notificato anche al debitore (oltre che al terzo) contestualmente o immediatamente dopo. Quindi l’atto di pignoramento viene inviato all’indirizzo PEC del contribuente o via ufficiale giudiziario. Talvolta, però, il contribuente se ne accorge prima dalla banca che gli comunica il blocco (non ideale, ma accade). Il debitore, una volta notificato il pignoramento, può eventualmente proporre opposizione davanti al giudice dell’esecuzione (Tribunale) per vizi formali dell’atto entro 20 giorni (opposizione agli atti ex art.617 c.p.c.) o per questioni di merito non deducibili altrove ex art.615 c.p.c., ma su queste opposizioni torneremo.
Durata e sviluppo: Nel pignoramento dello stipendio, una volta notificato al datore, le trattenute continuano sui cedolini fino a completa estinzione del debito (possono volerci anche anni). Il debitore può in qualunque momento estinguere il debito residuo per liberarsi. Nel pignoramento del conto, la banca trascorsi 60 giorni dal pignoramento deve versare ad AdER le somme fino a concorrenza del dovuto; se il conto non aveva liquidità sufficiente, il pignoramento rimane infruttuoso per la parte mancante e AdER potrà eventualmente reiterarlo più avanti se rifluisce denaro.
3. Pignoramento immobiliare (espropriazione di immobili): Questo è l’atto più invasivo: consiste nel pignorare un immobile di proprietà del debitore per poi venderlo all’asta e soddisfarsi sul ricavato. Come abbiamo visto, negli ultimi anni il legislatore ha posto forti limiti a questa possibilità per la riscossione esattoriale, specie per la prima casa. Ricapitolando i vincoli:
- Debito complessivo > €120.000 (sotto tale soglia niente espropriazione).
- Escluso unico immobile di residenza (se è l’unico e vi risiede, non pignorabile).
- Precedente iscrizione di ipoteca sullo stesso immobile da almeno 6 mesi. Questo implica che il debitore avrà quasi sempre avuto un preavviso di ipoteca e poi 6 mesi con ipoteca iscritta.
- Occorre autorizzazione interna e verosimilmente valutazione costi/benefici (anche se questo non è per legge, ma AdER non intraprende esecuzioni immobiliari se prevede esito negativo – fa parte di linee guida interne).
Se questi presupposti ci sono (es: contribuente con due case, debito €150.000, ipoteca da 1 anno), AdER può procedere al pignoramento immobiliare. La procedura di espropriazione immobiliare, pur essendo promossa dal Fisco, deve seguire in gran parte le regole del codice di procedura civile (artt.555 e segg. c.p.c.) per quanto non derogate. Quindi:
- Si notifica al debitore un atto di pignoramento immobiliare (mediante ufficiale giudiziario), che contiene l’ingiunzione a astenersi da atti dispositivi sull’immobile e l’intimazione ai creditori eventualmente intervenuti. L’atto viene trascritto nei registri immobiliari (così l’immobile risulta pignorato).
- AdER deve poi, entro 30 giorni, depositare in tribunale l’atto perché venga iscritto a ruolo l’esecuzione (la riforma Cartabia ha reso perentorio questo termine anche per la riscossione, pena l’inefficacia del pignoramento).
- Segue tutta la procedura davanti al Giudice dell’Esecuzione: nomina di un perito stimatore, eventuale custodia dell’immobile (di norma, se è abitato dal debitore, spesso viene lasciato a lui come custode sino all’avvicinarsi dell’asta), fissazione dell’asta.
- All’asta l’immobile viene venduto; il ricavato paga in primis i creditori con ipoteca e privilegi (tra cui il Fisco stesso) e poi eventuale residuo al debitore. Se l’asta va deserta, si possono ribassare i prezzi, ecc., come nelle esecuzioni ordinarie.
Prima casa pignorata per errore? Può capitare che AdER iscriva pignoramento anche su immobile che il contribuente ritiene protetto dalla norma (magari perché negli archivi risulta che ha un altro immobile, ma quell’altro è cointestato col coniuge etc. – questioni tecniche). In tal caso il debitore deve fare opposizione all’esecuzione davanti al tribunale, eccependo il divieto di legge. I tribunali e la Cassazione sono attenti a far rispettare il limite: come visto Cass.32759/2024 ha dato ragione al contribuente in un caso simile.
Altre forme di espropriazione: AdER potrebbe anche espropriare beni indivisi (quote di immobili), o aziende (se il debitore è imprenditore individuale si può pignorare un intero ramo d’azienda, ma è raro), o autoveicoli (il fermo già li blocca; il pignoramento di un’auto prevede dopo il fermo di solito la vendita del mezzo se di valore). Ma i casi standard sono quelli trattati.
Riassunto delle misure esecutive e limiti:
- Pignoramento stipendio/pensione: immediatamente attivabile dopo i 60 gg; limite massimo pignorabile 1/5 (con soglie minime non intaccabili per pensioni). Procedura continua mensilmente.
- Pignoramento conto corrente: attivabile subito dopo 60 gg; blocco fino a concorrenza debito; se contiene stipendi/pensioni valgono le protezioni sul futuro; importi già sul conto pignorati integralmente.
- Pignoramento mobiliare: attivabile ma poco usato; ufficiale si reca e vincola beni mobili (esclusi beni indispensabili ex art.514 c.p.c.).
- Pignoramento immobiliare: attivabile solo se debito > €120k e non unica casa di residenza; necessario aver iscritto ipoteca 6 mesi prima. Segue procedura giudiziaria con aste. Prima casa unica non di lusso: non pignorabile.
Rimedi e tutele per il debitore: come difendersi
Dal punto di vista del debitore, esistono diversi strumenti per tutelarsi nei confronti di una cartella esattoriale divenuta esecutiva o delle successive azioni di riscossione. Tali strumenti spaziano dal pagamento agevolato o dilazionato del debito, alle impugnazioni giudiziali per far valere vizi dell’atto o del credito, fino a procedure concorsuali o di sovraindebitamento per trovare una soluzione complessiva. In questa sezione elenchiamo le principali opzioni a disposizione del contribuente-debitore, distinguendo tra:
- Azione diretta sul debito: pagamento, rateizzazione, definizione agevolata (rottamazione), istanza di annullamento in autotutela o sospensione.
- Impugnazioni giudiziarie: ricorso alle Commissioni/Corti Tributarie o al Giudice Ordinario (a seconda della materia) e opposizioni nell’ambito dell’esecuzione.
- Strumenti straordinari: procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, fallimento/liquidazione, ecc., che possono bloccare o risolvere il problema debitorio in casi estremi.
Esamineremo anche quale giudice è competente per le varie controversie e forniremo esempi di motivi validi di ricorso tratti dalla giurisprudenza.
Pagamento, rateizzazione e definizioni agevolate
La prima “linea di difesa” del debitore è ovviamente estinguere il debito alle condizioni migliori possibili o nei tempi sostenibili per evitare l’aggravarsi della situazione.
- Pagamento integrale entro 60 giorni: se il contribuente paga la cartella entro il termine di legge, evita qualsiasi addebito ulteriore. Anzi, se paga entro 60 giorni, evita anche l’aggravio degli interessi di mora (che iniziano a decorrere dal 61° giorno) e dell’aggiunta di riscossione al 3% (oggi remunerazione di AdER). Pagare nei 60 giorni quindi significa pagare esattamente quanto indicato in cartella. Dopo i 60 gg, scattano interessi di mora (attualmente intorno al 2-3% annuo, determinati con provvedimento annuale). Se possibile, dunque, saldare subito è la soluzione meno costosa.
- Rateizzazione ordinaria: molti debitori non possono pagare in un’unica soluzione importi elevati. La legge (art.19 DPR 602/73) consente di rateizzare le cartelle. Fino al 2023 la dilazione standard era fino a 72 rate mensili (6 anni) e, sotto certi importi (fino 60 mila euro), concessa di diritto senza necessità di dimostrare lo stato di difficoltà. Dal 2023-2024 è in corso l’estensione a piani più lunghi: il D.Lgs. 150/2022 prima e il D.Lgs. 110/2024 poi (attuativi della riforma fiscale) hanno previsto la possibilità di arrivare fino a 120 rate mensili (10 anni). Per accedere al piano decennale, il debitore deve però documentare lo stato di difficoltà economica anche per debiti non altissimi (non c’è più la soglia dei 120k che esentava da prova, ora la prova serve sempre per >72 rate). Ad esempio, persone fisiche dovranno presentare un ISEE basso; società, indici di liquidità. Dal 1° gennaio 2025 tutte le nuove istanze potranno arrivare a 120 rate se approvate. La rateizzazione ha vari effetti positivi: blocca le procedure esecutive (non possono iniziarne di nuove e quelle in corso – se non già arrivate a certo punto – sono sospese), evita ipoteche e fermi futuri, consente al contribuente di ottenere il DURC regolare (nel caso di contributi) e certificati fiscali regolari. Importante: se si decade dal piano per morosità, non si può ottenere una nuova dilazione se non pagando tutto o rientrando nei limiti se la legge lo consente (le norme sulla decadenza sono cambiate: attualmente si decade se non si pagano 8 rate anche non consecutive di un piano, per le richieste dal 2022 in poi; per piani più vecchi la soglia era 5). La decadenza fa perdere il beneficio e il debito torna esigibile in un’unica soluzione, con ripresa delle azioni esecutive.
- Definizioni agevolate (“rottamazioni”): Negli ultimi anni sono stati varati diversi provvedimenti di pace fiscale permettendo ai contribuenti di estinguere le cartelle a condizioni di favore (stralcio totale di sanzioni e interessi). Esempi: “Rottamazione-ter” (2018), “Rottamazione-quater” (2023), ecc. Ad oggi, giugno 2025, è in corso la Definizione agevolata 2023 (rottamazione-quater) per le cartelle fino al 30/06/2022, i cui pagamenti rateali si estenderanno fino al 2027. Inoltre, la legge di Bilancio 2023 ha disposto lo stralcio automatico delle cartelle fino a €1.000 affidate dal 2000 al 2015 (anche se con alcune esclusioni e differenze tra enti). Queste misure sono straordinarie e a scadenza: attualmente non ci sono finestra aperte di nuova definizione (dopo quella 2023). È però in discussione una “pace fiscale 2025” ulteriore. Sta di fatto che il debitore farebbe bene, se rientra in queste situazioni, a verificare se alcune sue cartelle sono state cancellate d’ufficio (lo può fare dall’estratto conto sul sito AdER) o se ha diritto a riduzioni. La partecipazione a una rottamazione in corso sospende le azioni esecutive: AdER non può procedere su carichi per cui è stata accettata la domanda di definizione, a patto che il contribuente sia in regola coi pagamenti delle rate dovute.
- Discarico automatico delle cartelle inesigibili (dal 2026): Una novità importantissima per i debitori nullatenenti o inesigibili è l’introduzione, nel Testo Unico 2025, del cosiddetto discarico automatico anticipato. In base al D.Lgs.33/2025, dal 1° gennaio 2026 l’Agenzia Riscossione procederà a cancellare dai propri archivi (e considerare inesigibili) tutte le cartelle per cui sia decorso oltre 5 anni dall’affidamento e relative a debitori risultati assolutamente inattaccabili (cioè privi di beni, redditi o somme aggredibili). Questo non significa un condono generalizzato (non riguarda chiunque e qualunque cartella), ma si applicherà a posizioni dove il Fisco ha già tentato invano e il debitore risulta stabilmente nullatenente o irreperibile. Lo scopo è liberare sia il contribuente da un peso ormai non riscuotibile, sia l’Agente da pratiche destinate al fallimento. Ad esempio, un disoccupato che da 10 anni ha cartelle per €5.000 mai riscosse, e senza beni intestati, potrà vedersi annullare d’ufficio quelle pendenze nel 2026. Questa norma ha criteri tecnici (saranno individuati i parametri di “inesigibilità” e “incapienza” anche con incroci di banche dati). Il nostro lettore debitore deve sapere che, se è realmente nulla tenente, potrebbe beneficare di questo discarico, ma non prima del 2026 e solo se rientra nei casi previsti. Fino ad allora, quelle cartelle possono generare ancora intimazioni e solleciti, sebbene l’Agente sappia trattarsi di tentativi inutili. Attenzione: questo discarico non coprirà debitori che magari hanno beni ma non liquidi; è rivolto a situazioni di totale incapienza.
- Istanza di sospensione/annullamento in autotutela: Se il contribuente ritiene che la cartella sia illegittima (perché, ad esempio, l’ente creditore ha già annullato quel debito, oppure c’è un provvedimento favorevole o un pagamento non recepito), può presentare all’Agente Riscossione un’istanza di sospensione legale (ex L.228/2012). Come visto, questo va fatto entro 60 giorni dalla notifica della cartella o altro atto esecutivo, indicando il motivo: es. “ho già pagato in data antecedente al ruolo”, “c’è una sentenza che annulla il tributo”, “il debito è prescritto prima del ruolo”. AdER sospende subito la riscossione e inoltra all’ente creditore la richiesta. Se entro 220 giorni l’ente creditore non risponde, la legge prevede che il debito sia annullato di diritto. Se l’ente risponde respingendo l’istanza, il contribuente dovrà eventualmente impugnare (se ne ha titolo). Questa procedura è molto utile quando ci sono errori palesi o documentabili: ad esempio la cartella di una multa già pagata, o di una tassa sgravata, ecc. È più rapida di un ricorso e gratuita. Ovviamente va usata con responsabilità: se uno dichiara il falso nell’istanza, incorre in sanzioni. In parallelo, c’è anche l’autotutela pura: il contribuente può rivolgersi direttamente all’ente impositore (Agenzia Entrate, Comune, etc.) chiedendo l’annullamento del debito se reputa ci siano errori. L’ente può annullare (sgravare) in ogni momento, anche oltre i termini di ricorso, se riconosce un errore. L’autotutela però non sospende i termini di ricorso né blocca di per sé la riscossione (a meno che l’ente o AdER concedano una sospensione espressa). È quindi un tentativo extra-giudiziale che può avere successo, ma da non usare in sostituzione del ricorso quando i termini stringono.
Impugnare una cartella esattoriale: giudici competenti e procedure
Se la cartella presenta profili di illegittimità o infondatezza nel merito, il debitore può contestare formalmente l’atto mediante ricorso alle autorità competenti. Impugnare una cartella significa avviare un procedimento per farne dichiarare l’annullamento (totale o parziale) o sospenderne gli effetti. Questa è la via da percorrere quando, ad esempio, si ritiene che il tributo non sia dovuto, o che la cartella sia stata notificata fuori termine di decadenza, o presenti vizi formali sostanziali (mancanza di motivazione, ecc.), o ancora quando il debito è già stato pagato ma l’ente non ne ha tenuto conto.
Giurisdizione competente: uno dei primi aspetti da chiarire è quale giudice sia competente a decidere sul ricorso contro una cartella, poiché dipende dalla natura del debito iscritto a ruolo:
- Se la cartella riguarda tributi (imposte erariali come IRPEF, IVA; tributi locali come IMU, TARI; o sanzioni amministrative accessorie a tributi), la competenza è della Giustizia Tributaria, ossia le Corti di Giustizia Tributaria (CGT) di primo grado, ex Commissioni Tributarie Provinciali. Questo vale anche per gli interessi e sanzioni relativi a tributi. Ad esempio: cartella per IRPEF omessa –> ricorso alla CGT; cartella per tassa rifiuti comunale –> CGT; cartella per sanzione fiscale (es. omessa fatturazione IVA) –> CGT. Fanno eccezione eventuali entrate residue che la legge esclude dalla giurisdizione tributaria (poche, tipo diritti camerali forse rientrano anch’essi ora). Contributi previdenziali (INPS) non sono tributi, vedi oltre.
- Se la cartella concerne contributi previdenziali (INPS, ex INPDAP) o premi assicurativi INAIL, si esula dal tributario: la competenza è del Giudice Ordinario – sezione lavoro. Infatti, i contributi sono materia di lavoro/previdenza. Ad esempio, cartella per mancati contributi artigiani: ricorso al Tribunale del Lavoro entro 40 giorni. Bisogna fare attenzione: oggi l’INPS notifica di solito avvisi di addebito al posto delle cartelle, ma per i ruoli affidati prima del 2011 può esserci cartella INPS. La Cassazione SS.UU. 30752/2018 ha confermato che le controversie su contributi previdenziali iscritti a ruolo sono del giudice ordinario, non del giudice tributario. Quindi il debitore seguirà il rito del lavoro (termine 40 giorni per opposizione).
- Se la cartella riguarda sanzioni amministrative (ad es. multe stradali, sanzioni del Codice della Strada, sanzioni della Prefettura, sanzioni amministrative di altri enti), la giurisdizione è del Giudice Ordinario. In particolare: per multe stradali si ricorre al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla notifica della cartella (eccependo ad esempio vizi di notifica del verbale originario, mancata notifica del verbale -> cartella nulla, ecc.). Per altre sanzioni di importo elevato può essere competente il Tribunale. Una cartella per sanzione amministrativa non va in Commissione Tributaria perché non è tributo, come chiarito anche dalle Sez.Unite Cass. 20930/2021. Quindi il contribuente deve indirizzare bene il ricorso: errore di giurisdizione può costare inammissibilità.
- Altre entrate esattoriali: ci sono cartelle per somme diverse, es. recupero di spese di giustizia, ammende, etc. In generale:
- Spese di giustizia (es. contributo unificato non pagato, spese processuali a carico) -> sono di competenza del Giudice Ordinario (trattandosi di somme non tributarie dovute allo Stato).
- Sanzioni per violazioni di norme extra-codice strada (es. sanzioni antitrust, ANAC, etc. se riscosse via ruolo) -> Giudice Ordinario.
- Cartelle per somme dovute allo Stato non tributarie (es. indebito stipendio pubblico): dipende dalla natura, spesso G.O.
In caso di dubbio sulla giurisdizione, conviene consultare un legale o verificare giurisprudenza: ma le macro-distinzioni sono tributi -> GT, contributi -> Tribunale lavoro, multe -> GdP/Tribunale ord., il resto caso per caso.
Termini di impugnazione: i termini sono decadenziali, molto stringenti. In genere:
- 60 giorni dalla notifica per ricorrere in Commissione Tributaria/CGT (tributi).
- 40 giorni dalla notifica per opposizione a cartella di contributi (Tribunale lavoro) o per opposizione a ruolo INPS (equiparata a decreto ingiuntivo, art.24 D.Lgs.46/99).
- 30 giorni (o 60 in casi con notifica fuori regione) per ricorso al Giudice di Pace sulle multe.
- 20 giorni per impugnare vizi di notifica della cartella con opposizione tardiva Codice Strada (ricorso GdP ex art.22 legge 689/81, ecc.).
Insomma, i termini variano, ma in nessun caso superano i 60 giorni circa. Pertanto, appena ricevuta la cartella, il debitore deve attivarsi: se intende fare ricorso, non può attendere troppo né confidare in eventuali ritardi del Fisco, perché dopo quei termini la cartella diviene definitiva e non contestabile.
Motivi di impugnazione della cartella: Eccone alcuni che possono essere fatti valere:
- Vizi propri dell’atto: errori nella cartella stessa, ad esempio: mancata indicazione del responsabile, omissione della data di esecutorietà del ruolo, grave carenza di motivazione/riferimenti al debito, notifica nulla (errato destinatario, vizi della relata, notificata via PEC ma a indirizzo sbagliato, ecc.). Questi vizi, se concreti, possono portare all’annullamento della cartella per difetto di forma sostanziale. La giurisprudenza però è oscillante su cosa costituisca vizio invalidante: ad es., l’omessa indicazione del responsabile del procedimento è stata a volte ritenuta non più motivo di nullità dopo modifiche normative. Bisogna valutare caso per caso.
- Vizi del procedimento di formazione del ruolo: ad esempio, decadenza. Le cartelle fiscali spesso sono soggette a termini di decadenza (l’ente doveva emetterle entro una certa data). Se viene notificata una cartella oltre il termine previsto dalla legge per quel tributo, il contribuente può eccepire la decadenza e far annullare la cartella. Esempio: imposta su redditi 2017, l’Agenzia doveva notificare accertamento entro fine 2022 e cartella (se dovuta) entro fine 2024; se la cartella arriva nel 2025 è tardiva. Le regole di decadenza variano per tributo e anno (es. per accertamenti esecutivi ora non c’è più cartella, ma per ruoli derivanti da controlli automatici c’è un termine annuale dall’anno successivo, etc.). In sede di ricorso, la prova della data di consegna del ruolo (riportata in cartella) e delle norme di decadenza è fondamentale. Ad esempio, la cartella deve riportare la data in cui il ruolo è divenuto esecutivo proprio per permettere questo controllo.
- Prescrizione del credito: se tra l’ultimo atto interruttivo valido e la notifica della cartella è trascorso un periodo superiore al termine di prescrizione del credito, il contribuente può eccepire che il diritto di riscuotere è prescritto. Ad esempio: cartella per sanzione CDS notificata 5 anni dopo il verbale mai notificato prima = credito prescritto (perché le multe stradali si prescrivono in 5 anni). Oppure cartella INPS notificata oltre 5 anni dall’ultimo avviso di addebito. Attenzione: i termini di prescrizione differiscono (tributi erariali spesso 10 anni dopo titolo definitivo, tributi locali 5 anni salvo atti interruttivi, contributi 5 anni dopo 2018, ecc.). La prescrizione può e deve essere eccepita dal contribuente: il giudice non la rileva d’ufficio in ambito tributario, ma se eccepita comporta l’annullamento della pretesa per intervenuta prescrizione. Se il contribuente si è accorto della prescrizione dopo i 60 giorni, può farlo valere contro l’intimazione o in sede di opposizione al pignoramento solo su aspetti sopravvenuti, ma conviene sempre farlo appena possibile.
- Erroneità del merito: contestazione del fatto che il tributo non era dovuto, o era dovuto in misura inferiore. Questo tipo di difesa implica entrare nel merito della pretesa originaria (es: “la cartella si basa su un accertamento infondato”). Si può fare solo se la cartella è il primo atto che rende nota la pretesa, oppure se comunque non c’è stata una fase contenziosa precedente. Ad esempio: cartella da controllo automatizzato (36-bis) dove magari vi è un errore dell’Agenzia: il contribuente può ricorrere e far valere che in realtà aveva versato quell’imposta, ecc. Oppure cartella per multa stradale mai notificata prima: si può contestare la multa originaria (perché l’opposizione alla cartella in tal caso riapre il merito della sanzione, non notificata nei termini). Se invece la cartella segue a un accertamento già notificato e definitivo (perché non impugnato), non si può ridiscutere il merito del tributo: in tal caso la cartella è impugnabile solo per vizi propri o di notifica.
- Difetto di notificazione degli atti presupposti: frequente motivo. Ad esempio: il contribuente riceve una cartella che riferisce di un “avviso di accertamento 2020” mai ricevuto. Può impugnare la cartella sostenendo di non aver mai ricevuto l’avviso presupposto: se prova l’inesistenza/invalidità della notifica di quello, la cartella sarà nulla perché primo atto ricevuto oltre termini. Similmente per multe: non ho mai ricevuto il verbale, dunque la cartella è nulla. Questo è un motivo tipico e spesso vincente, ma va provato (di solito con richiesta di relata al Comune/prefettura: se risulta notifica irregolare, il giudice annulla). Cassazione SS.UU. 19704/2015 e altre hanno delineato che la cartella può essere impugnata per far valere la nullità della notifica dell’atto precedente, col ricorso va chiamato in giudizio anche l’ente impositore che emanò quell’atto.
Forma del ricorso: Nel processo tributario, il ricorso si propone con atto da depositare presso la CGT competente, notificandolo prima all’ente impositore e ad AdER. Nel processo civile (multe, contributi) l’opposizione si propone con atto di citazione (multe GdP) o ricorso (INPS lavoro) a seconda dei casi, da depositare in tribunale/GdP. È consigliabile farsi assistere da un professionista (avvocato, o commercialista per tributario sotto 3k se ammesso) viste le complessità.
Sospensione giudiziale: Come accennato, contestualmente al ricorso il contribuente può chiedere al giudice adito una sospensione dell’esecutorietà della cartella. Deve provare il fumus (motivi fondati) e il periculum (danno grave e irreparabile senza sospensione). Se concessa, blocca la riscossione fino alla decisione finale. Nel tributario, la sospensione va chiesta alla CGT e questa decide in 30 giorni circa con decreto collegiale. Nel civile (multe) il GdP può dare sospensione, nei contributi il tribunale pure ex art. 618 c.p.c. La sospensione è essenziale per evitare pignoramenti pendente lite. Se negata, AdER potrà procedere comunque (e in caso si vinca poi si avrà diritto alla restituzione di quanto eventualmente espropriato, ma con fatica).
Opposizioni nella fase esecutiva: Se il contribuente non ha impugnato la cartella in tempo e questa è definitiva, oppure per vizi che emergono solo nella fase di pignoramento, restano gli strumenti delle opposizioni all’esecuzione nel processo civile:
- Opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c.: contestazione del diritto di procedere ad esecuzione. Ad esempio: il debitore sostiene di aver già pagato dopo la cartella, oppure che il debito è per qualche motivo estinto o non pignorabile. Oppure, come visto, che la prima casa è impignorabile per legge: questa è un’opposizione all’esecuzione da proporre al giudice dell’esecuzione (Tribunale) prima che la vendita sia disposta. In ambito fiscale, molti motivi di opposizione all’esecuzione (come il merito del tributo) non sono ammissibili se non sono stati fatti valere prima; però motivi sopravvenuti (prescrizione maturata dopo, pagamento sopravvenuto, difetto di titolo perché la cartella non notificata e si impugna direttamente il pignoramento se addirittura non si sapeva nulla – ma su questo Cassazione è restrittiva, doveva impugnare cartella a tempo debito). Insomma, l’opposizione ex 615 è residuale ma può servire per bloccare esecuzioni se qualcosa rende illegittimo il procedere (es: pignoramento iniziato oltre un anno senza intimazione – si può far valere, anche se in teoria andava eccepito su intimazione; oppure cartella mai notificata e si viene a sapere solo col pignoramento – allora si può chiedere invalidità atti). Queste opposizioni vanno fatte entro il termine di 20 giorni dalla prima azione utile (es: notifica del pignoramento) se contestano atti esecutivi già avvenuti, oppure anche oltre se contestano il titolo (615 preventiva, prima che esecuzione inizi, ma nel nostro caso l’esecuzione coincide col pignoramento, quindi 615 preventiva non c’è perché prima c’è cartella che aveva altro giudice). La materia è complessa, e Cartabia ha introdotto ad esempio l’obbligo di iscrivere a ruolo l’opposizione 615 immediatamente. Il debitore farebbe bene, comunque, a non ridursi a questa fase se può agire prima.
- Opposizione agli atti esecutivi ex art.617 c.p.c.: qui si contestano vizi formali del pignoramento o altri atti dell’esecuzione (es. un pignoramento notificato senza intimazione dove prescritta, un difetto nella notifica del pignoramento, errori nell’atto di pignoramento, ecc.). Termine molto breve: 20 giorni dalla notifica o conoscenza dell’atto impugnato. Si propone al Giudice dell’Esecuzione. Ad esempio, se AdER notifica un pignoramento immobiliare senza attendere 30 gg dal preavviso d’ipoteca, il debitore potrebbe sollevare opposizione agli atti chiedendo l’estinzione della procedura per violazione di legge.
Va segnalato che Cartabia (D.Lgs.149/2022) ha apportato alcune modifiche procedurali: ad esempio, oggi l’opposizione agli atti va depositata in forma di ricorso (non più citazione) entro 20 gg e si procede molto più speditamente. Inoltre, il creditore (anche AdER) deve depositare iscrizione a ruolo del pignoramento entro 30 gg come detto. Anche la ricerca dei beni del debitore è stata potenziata (ma AdER aveva già accesso, quindi qui poco cambia per loro).
In conclusione, impugnare tempestivamente la cartella quando vi sono motivi è l’arma principale del debitore per evitare l’esecuzione. Se si lascia decorrere il termine, le possibilità di difesa si restringono man mano: dall’opposizione all’intimazione (se arriva), poi all’opposizione al pignoramento (con esiti incerti e solo per profili limitati).
Suggerimento pratico per il debitore: all’arrivo di una cartella:
- Verificare subito la natura del debito e la scadenza per ricorrere.
- Se ritiene dovuto e ha liquidità, pagare entro 60 gg per evitare aggravi.
- Se non può pagare intero, valutare di rateizzare entro 60 gg (per congelare l’esecuzione).
- Se la ritiene indebita/errata, valutare un ricorso (consultare un esperto) e contestualmente chiedere sospensione.
- In parallelo può presentare l’istanza di sospensione in autotutela a AdER come ulteriore tutela se ha motivi validi.
- Non ignorare la cartella pensando che “poi arriverà qualcosa”: dopo 60 gg potrebbe non arrivare nulla fino al pignoramento. Quindi il silenzio non è segno di archiviazione, ma solo attesa. Sempre meglio chiarire la posizione.
Procedure concorsuali e “sovraindebitamento”
Per completezza, menzioniamo i rimedi concorsuali disponibili:
- Se il debitore è un imprenditore soggetto a fallimento e versa in insolvenza, può essere dichiarato fallito (oggi liquidazione giudiziale nel Codice della Crisi). In tal caso i debiti fiscali passano in mano al curatore e la riscossione individuale si blocca (vige la parità tra creditori). L’Agente della Riscossione si insinua al passivo. Dopo la chiusura della procedura, se il fallimento è incapiente, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione residua (anche dei debiti fiscali chirografari, salvo alcuni come IVA e ritenute, ma ora ci sono aperture maggiori anche su quelli). Dunque, il fallimento è un modo per chiudere col passato per l’imprenditore onesto ma sfortunato, benché pesante come procedimento.
- Per i privati non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori), esiste la legge sul sovraindebitamento (Legge 3/2012, ora confluita nel D.Lgs.14/2019 Codice della Crisi, artt.65 e segg.). Queste procedure – piano del consumatore, concordato minore, liquidazione del patrimonio – permettono di ristrutturare o cancellare i debiti insostenibili, inclusi quelli fiscali, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e l’approvazione del tribunale. Ad esempio, un consumatore sommerso da cartelle potrebbe proporre un piano di rientro parziale e far omologare dal giudice una riduzione del carico. Se adempiuto, ottiene l’esdebitazione. Oppure, se non ha proprio nulla da offrire, può chiedere la “esdebitazione del nullatenente” a certe condizioni dopo una liquidazione formale. La legge sul sovraindebitamento è un’ancora di salvezza per chi non può realisticamente pagare i debiti con il Fisco e gli altri creditori. Ovviamente, richiede l’intervento di professionisti (OCC, avvocato) e l’approvazione del giudice, ma offre sbocchi (es. stralcio di interessi e sanzioni, pagamento parziale del capitale in molti anni, etc., concordando col Fisco il trattamento).
- Infine, ricordiamo che se il contribuente muore, i debiti fiscali passano agli eredi (che rispondono nei limiti dell’eredità, ma se accettano puramente rispondono interamente col loro patrimonio, salvo fare accettazione con beneficio di inventario). Non c’è liberazione automatica se non c’è eredità accettata o non ci sono eredi.
Esempi pratici e casi particolari (simulazioni)
Di seguito presentiamo alcuni scenari tipici, con le possibili conseguenze e soluzioni dal lato del debitore:
Caso 1: Cartella pagata in ritardo di pochi giorni. Mario riceve una cartella di €5.000. Per difficoltà, riesce a pagarla solo al 70° giorno (10 giorni oltre il termine). Cosa succede? – Formalmente, dal 61° giorno l’Agente avrebbe potuto iniziare l’esecuzione. Se Mario ha tardato solo 10 giorni, è possibile che nessuna azione sia partita in quel frangente (spesso AdER aspetta qualche settimana). Tuttavia, Mario dovrà pagare anche gli interessi di mora maturati per quei 10 giorni di ritardo (che AdER gli richiederà con una comunicazione successiva) e l’aggi di riscossione del 3% perché ha pagato oltre i 60 gg. Se per ipotesi AdER avesse in quei giorni notificato un pignoramento (evento raro in tempi così brevi), Mario avrebbe dovuto comunque pagare e magari chiedere la cessazione della procedura per intervenuto pagamento, ma con spese esecutive aggiuntive. Morale: meglio non sforare i 60 gg; se succede per pochi giorni, saldare al più presto e aspettarsi piccole maggiorazioni.
Caso 2: Cartella non pagata – fermo amministrativo. Anna ignora una cartella da €2.000 per imposte locali. Dopo 8 mesi, non vede pignoramenti, ma riceve un Preavviso di fermo per la sua autovettura. Che fare? – Entro 30 giorni Anna può: o pagare (magari chiedendo rateazione, se nei termini), oppure dimostrare che l’auto è strumentale alla sua attività (es. è una rappresentante porta a porta che usa l’auto per lavoro). Se riesce a provarlo (documenti reddito, iscrizione camera commercio, ecc.), AdER dovrà astenersi dal fermo. Altrimenti, se non paga né reagisce, scaduti i 30 giorni il fermo verrà iscritto e Anna si troverà impossibilitata a usare l’auto legalmente. Soluzione possibile: anche dopo il fermo, Anna può chiedere una rateizzazione: con l’accoglimento del piano, AdER sospende il fermo (anche se già iscritto) finché paga regolarmente. Alla fine dei pagamenti, il fermo sarà cancellato definitivamente.
Caso 3: Cartella contestata in Commissione Tributaria – esecuzione nel frattempo. Luigi riceve una cartella per IRPEF €50.000, che reputa infondata. Presenta ricorso alla CGT entro 60 gg. Tuttavia, non chiede la sospensione o la CGT la rigetta. Trascorrono altri 4 mesi; Luigi pensa che essendoci ricorso in corso, il Fisco aspetti. Invece AdER, passati i 60 giorni, notifica un pignoramento del conto corrente di Luigi, bloccando €15.000 sul conto. – Questo scenario evidenzia che la presentazione del ricorso non blocca la riscossione. Luigi avrebbe dovuto chiedere la sospensione al giudice o pagare 1/3 per ottenere sospensione amministrativa (se tributo da controllo automatico). Ora Luigi può chiedere d’urgenza una sospensione in appello (se il primo grado tarda) o, se nel frattempo la CGT decide annullando la cartella, usare la sentenza per far sbloccare il conto e farsi restituire i soldi pignorati. In ogni caso, l’aver sottovalutato il pericolo gli è costato un blocco di liquidità. Morale: quando si fa ricorso su somme elevate, è prudente accompagnarlo sempre con una istanza di sospensione, perché AdER può procedere dopo i 60 gg.
Caso 4: Intimazione dopo 5 anni. Nel 2018 Paolo riceve una cartella €10.000 per IVA. Non paga, non fa ricorso. Nessuna notizia fino al 2024, quando gli arriva una Intimazione di pagamento di quella somma (più interessi) da pagare in 5 giorni. – Paolo qui deve considerare: sono passati 6 anni dalla cartella; l’IVA ha prescrizione decennale, quindi non ancora scaduta; però dal 2018 nessun atto: dunque l’intimazione è obbligatoria e infatti gliel’hanno mandata. Paolo ha due strade: 1) paga entro 5 giorni o chiede rateazione immediata (l’intimazione non preclude la rateazione se i requisiti ci sono, e pagando la prima rata entro 5 giorni dovrebbe bloccare il pignoramento); 2) oppure, valuta se c’è prescrizione maturata. Nel suo caso, 6 anni non bastano per l’IVA (10 anni), dunque non c’è prescrizione, né altri motivi (la cartella fu regolare). Quindi impugnare l’intimazione non avrebbe esito utile – anzi perderebbe tempo. Gli conviene contattare AdER e magari trovare un accordo di rate. Se invece fossero passati, poniamo, 12 anni, e fosse intervenuta prescrizione, Paolo dovrebbe fare ricorso contro l’intimazione eccependo prescrizione. Se lo vince, niente esecuzione; se non lo fa, arriverà il pignoramento e non potrà più far valere la prescrizione chiaramente maturata. Lezione: l’intimazione è l’ultima chiamata: ignorarla è pericoloso.
Caso 5: Pignoramento della “prima casa”. Davide ha due immobili: un appartamento dove risiede e un piccolo terreno agricolo ereditato. Debito con AdER: €130.000 per varie cartelle. AdER ha ipotecato la casa e il terreno un anno fa. Ora notifica atto di pignoramento immobiliare sulla casa di abitazione. – Qui, essendoci due immobili e debito >120k, la legge non vieta il pignoramento, anche se è la sua abitazione. Davide però può cercare vie: per esempio, vendere volontariamente il terreno o altri beni per ridurre il debito sotto 120k (ma ormai pignoramento è notificato). Oppure può provare un accordo saldo e stralcio con AdER (non facile, se non c’è una rottamazione in corso). In giudizio, non può eccepire il divieto “prima casa” perché ha altro immobile (il terreno). Potrebbe però eccepire che la norma tutela la prima casa se l’altro immobile fosse di valore trascurabile? No, la legge è rigida: “unico immobile”. Cass. ha detto prima casa impignorabile solo se unica. Quindi Davide deve puntare su altre difese: esaminare se gli atti sono tutti regolari (ipoteca preavviso c’era? sì; ipoteca >6 mesi? sì), magari cercare un vizio di notifica di qualche cartella (ma se tutte notificate e mai impugnate, ormai sono definitive). In mancanza di appigli, la casa rischia di finire all’asta. Davide potrebbe chiedere una rateizzazione in extremis: se prima che la vendita sia disposta lui ottiene un piano (su €130k rate decennali se concesso), l’esecuzione dovrebbe sospendersi per legge. Infatti col nuovo art.19 DPR 602, la concessione della dilazione dopo il pignoramento immobiliare è possibile purché il decreto di trasferimento non sia ancora emesso, e sospende la procedura. Quindi Davide correrebbe a chiedere la rateazione (ma deve dimostrare difficoltà e in 120 rate: rata ~1083€/mese, fattibile?). Se gliela danno e paga puntuale, mantiene la casa e AdER sospende l’asta. In alternativa, Davide può proporre un concordato minore nel sovraindebitamento: ad es. offre di pagare €80k su 130k vendendo il terreno e con un mutuo per la differenza, il tutto con omologazione in tribunale – se approvato, blocca l’esecuzione e salva la casa. Questo è più complesso e richiede tempo e accordo dei creditori.
Caso 6: Cartella per multa stradale mai ricevuta. Sara si vede recapitare nel 2025 una cartella da €300 per una multa del 2019 a lei sconosciuta (e maggiorata). Sara ha 30 giorni per fare ricorso al Giudice di Pace sostenendo che non ha mai ricevuto il verbale originale di contravvenzione. Chiederà l’annullamento della cartella e del verbale per mancata notifica nei termini. Se il GdP accoglie (controllando gli atti di notifica che di solito in questi casi mostrano qualche vizio, o anche solo perché l’ente non prova la notifica), la cartella viene annullata e nulla è dovuto. Se Sara non facesse nulla, dopo 60 giorni la cartella esecutiva porterebbe a fermo dell’auto o pignoramento conto. Questo scenario è molto comune: le cartelle per multe non notificate regolarmente sono annullabili. Ma serve azione attiva e in tempi brevi. E se Sara si accorge oltre i 30 giorni? Potrebbe fare un’opposizione tardiva (cd. opposizione ex art.615 per far valere nullità notifica oltre termine, si discute molto su ammissibilità – attualmente sembra possibile se dimostra non aver avuto effettiva conoscenza prima, ma complicato). Meglio agire nei termini.
Caso 7: Nullatenente con molti debiti fiscali. Marco, disoccupato, ha €50.000 di cartelle. Nessun reddito fisso, vive in casa di parenti, zero beni. AdER gli ha notificato fermi auto (lui non ha auto), ipoteche (non ha case), pignoramenti conti (non ha conto). Ogni tanto gli manda solleciti. Cosa rischia? – Finché rimane nullatenente, formalmente non subisce esecuzioni. Tuttavia il debito rimane e genera interessi. Se un domani trova lavoro e percepisce stipendio, AdER potrà subito pignorare 1/5 in busta paga. Oppure se ereditasse un bene, ipso facto potrebbero colpirlo. Marco in questa condizione può valutare di avviare una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (ad esempio una liquidazione del patrimonio – ma non ha patrimonio, o un’esdebitazione del nullatenente se la norma lo consente: il Codice Crisi art.283 prevede esdebitazione per meritevoli anche senza dare niente, ma serve dimostrare di non aver colpa grave nei debiti e di non poter offrire nulla). In alternativa, potrebbe attendere il discarico automatico 2026: se AdER lo classificherà “inesigibile” e sono passati più di 5 anni, le sue cartelle verranno annullate. Ad esempio, se i ruoli sono tutti prima del 2020, nel 2026 potrebbero sparire dal suo estratto. Non è garantito, ma probabile se è proprio senza redditi. Nel frattempo, nessun bene gli può essere sottratto – la tranquillità apparente del nullatenente però potrebbe svanire qualora la sua situazione migliorasse: i debiti ritornerebbero a farsi vivi se lui “riemerge” economicamente, a meno appunto del discarico in arrivo.
Caso 8: Cartella già rateizzata, ma riprende l’esecuzione per decadenza. Un’azienda aveva rateizzato €100.000 in 72 rate. Dopo aver pagato 20 rate, va in crisi e salta 8 rate. Nel 2024 AdER la dichiara decaduta dal piano. Cosa succede? – Succede che tutto il debito residuo (€100k meno 20k pagati = 80k + interessi) torna riscuotibile in un colpo. AdER riattiva le procedure: essendo passato oltre 1 anno dall’ultimo atto (la cartella originaria), notifica prima una intimazione di pagamento entro 5 giorni per quei €80k. Se l’azienda non paga, procede a pignoramenti (es. conto aziendale, crediti verso clienti). L’azienda può solo chiedere una nuova dilazione se la legge lo consente (di solito dopo decadenza si può ottenere un nuovo piano solo pagando subito le rate scadute, ma le norme cambiano spesso; con riforma 2022, c’è la possibilità di una “rimessione in termini” con rottamazione o con saldi interinali). In mancanza, si subisce l’esecuzione. Questo insegna che la rateizzazione è ottima, ma va rispettata; se si decade, il beneficio viene meno e anzi spesso AdER è più celere a quel punto nell’esecuzione, perché interpreta la decadenza come segnale di insolvenza conclamata.
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa significa esattamente che la cartella “diventa esecutiva” dopo 60 giorni?
R: Significa che, trascorsi 60 giorni dalla notifica senza che il debitore abbia pagato o ottenuto una sospensione, l’Agente della Riscossione può iniziare la procedura di espropriazione forzata dei beni del debitore, sulla base di quella cartella. In pratica la cartella diventa utilizzabile come titolo esecutivo e precetto per pignorare stipendio, conto, beni immobili, ecc., senza bisogno di ulteriori atti di messa in mora. Prima dei 60 giorni, invece, l’Agente non può agire coattivamente.
D: Ricevo la cartella oggi: cosa posso fare per evitare il pignoramento?
R: Hai 60 giorni di tempo. Entro quel termine puoi: pagare integralmente il dovuto (e la vicenda si chiude); oppure, se non puoi pagare tutto, presentare domanda di rateizzazione (ottenendo così la sospensione delle azioni esecutive una volta accolta); oppure, se ritieni la cartella errata/ingiusta, proporre ricorso all’autorità competente chiedendo eventualmente una sospensiva. Ignorare la cartella è la scelta peggiore: dopo 60 giorni potresti subire provvedimenti come fermi auto, ipoteche o pignoramenti, spesso senza ulteriori avvisi formali. Quindi agisci entro i 60 giorni scegliendo una delle strade sopra.
D: Ho presentato ricorso contro la cartella: durante il ricorso il Fisco può procedere con il pignoramento?
R: Sì, può. Il ricorso non blocca automaticamente la riscossione. Per bloccarla, occorre ottenere una sospensione (dal giudice tributario, se hai fatto ricorso tributario; dal giudice ordinario, se pertinente; oppure una sospensione amministrativa da AdER mostrando ad es. che hai già pagato una parte). Se non ottieni la sospensione, trascorsi 60 giorni il Fisco può ugualmente iniziare le azioni esecutive, anche se il giudizio è pendente. In tal caso, se poi vincerai il ricorso, avrai diritto a rimborsi, ma intanto potresti subire i pregiudizi. Perciò, in caso di ricorso, chiedi sempre la sospensione al giudice e valuta misure per coprire il debito provvisoriamente (cauzioni, ecc.) se necessario per convincere il giudice a sospendere.
D: La “prima casa” è sempre impignorabile?
R: Sì, se è l’unico immobile di proprietà del debitore, adibito a sua abitazione principale e non di lusso. In tal caso l’Agente della Riscossione non può espropriare quell’immobile. Tuttavia, attenzione: se il debitore possiede altri immobili, anche la casa di residenza perde la protezione (il Fisco di solito colpirà altri immobili, ma potrebbe anche la casa). Inoltre, il Fisco può comunque iscrivere ipoteca sulla prima casa (se debito > €20k), pur senza poterla mandare all’asta. Infine, la prima casa impignorabile riguarda solo il Fisco: altri creditori (banche, privati) non hanno questo divieto e potrebbero pignorarla (salvo rari casi di impignorabilità specifica).
D: Il Fisco può pignorare integralmente lo stipendio o il conto in banca?
R: No. Ci sono limiti precisi. Sullo stipendio, al netto delle ritenute, l’Agente può prendere al massimo un quinto (20%), e se lo stipendio è basso la percentuale è minore (es. circa un decimo per stipendi fino 2.500 €). Sulle pensioni, c’è una soglia impignorabile pari a circa €1.000 (1,5 volte l’assegno sociale) sotto cui nulla può essere toccato; oltre tale soglia, pignorabile sempre max il quinto. Sul conto corrente, l’Agente può bloccare le somme presenti fino a concorrenza del debito; tuttavia, se sul conto affluiscono stipendi/pensioni, le somme accreditate dopo il pignoramento godono anch’esse dei limiti di impignorabilità (devono lasciarti il minimo vitale e possono prelevare solo la quota pignorabile dei nuovi stipendi). In pratica, non possono mai toglierti tutto: una parte dello stipendio/pensione deve restare per vivere. Per i conti non da lavoro, invece, tutto il saldo sino al debito può esser bloccato, quindi occhio a tenere grandi importi liquidi se hai debiti esattoriali pendenti.
D: Ho saputo di nuove norme che cancellano le vecchie cartelle automaticamente: è vero?
R: Sì, è stato introdotto il discarico automatico delle cartelle inesigibili con il D.Lgs. 33/2025 (riforma fiscale). In base a questa norma, dal 1° gennaio 2026 l’Agenzia delle Entrate-Riscossione inizierà a cancellare d’ufficio le cartelle che: (a) hanno più di 5 anni e (b) riguardano debitori risultati nullatenenti/inattaccabili (senza beni o redditi aggredibili). Non è un condono per tutti, ma una misura mirata: se rientri in quella categoria (ad esempio cartelle datate e tu senza reddito né patrimonio), allora nel 2026 potresti vederti annullare quelle pendenze. Se invece hai beni o redditi, o cartelle recenti, la misura non si applica a te. Ricorda che comunque fino al 2025 incluso queste cartelle restano valide (possono però essere già sospese se incluse in precedenti stralci per importo sotto €1.000 relativi a 2000-2015, ad esempio).
D: Qual è la differenza tra una cartella esattoriale e un avviso di accertamento esecutivo?
R: La cartella esattoriale è emessa dall’Agente Riscossione sulla base di un ruolo dell’ente creditore; l’avviso di accertamento esecutivo è emesso direttamente dall’ente impositore (Agenzia Entrate, Comune) e vale anche come titolo esecutivo dopo 60 giorni dalla notifica. In pratica, se ricevi una cartella, di solito prima c’è stato un accertamento o liquidazione; se ricevi un avviso esecutivo, quello è già la “cartella” (contiene l’intimazione a pagare in 60gg). Dopo 60 giorni senza pagamento, l’avviso diventa definitivo ed esecutivo, e trascorso un ulteriore breve termine (30 giorni, di solito) il debito viene passato all’Agente della Riscossione per l’esecuzione forzata. Quindi la differenza principale è nel procedimento: l’avviso esecutivo accorcia i tempi eliminando la fase della cartella. Dal lato del contribuente, cambia poco: anche l’avviso va impugnato in 60 giorni come una cartella e contiene l’avvertimento che dopo sarà esecutivo.
D: Ho perso il termine per fare ricorso contro la cartella. Posso fare qualcosa per contestarla lo stesso?
R: Se il termine è scaduto, la cartella diventa definitiva e non più impugnabile nel merito. Potrai contestarla solo per motivi molto limitati e con altri strumenti: ad esempio, se non ti è stata notificata affatto e lo scopri solo da un estratto di ruolo, puoi fare una cosiddetta opposizione “agli atti” per far dichiarare nulla la cartella non notificata (c’è dibattito sulla via giusta, spesso si ricorre al giudice competente sul merito del debito anche oltre i 60gg invocando difetto di notifica). Oppure, se emergono vizi in fase di pignoramento, potrai fare opposizione all’esecuzione/agli atti (ma su aspetti procedurali). In generale, però, dopo la scadenza dei termini perdi la facoltà di difesa sul contenuto della cartella. Esempio: se non hai eccepito in tempo la prescrizione, non potrai farlo dopo (se non attraverso l’impugnazione dell’intimazione successiva, come abbiamo spiegato). Pertanto, è fondamentale non far trascorrere inutilmente i termini. Se li hai fatti trascorrere, concentrati almeno sulle prossime mosse del Fisco (es. un’intimazione) per vedere se c’è lì spazio di opposizione, oppure valuta soluzioni come la rateizzazione o procedure di saldo stragiudiziale.
D: Posso rateizzare un debito dopo che mi hanno già pignorato il conto o lo stipendio?
R: Sì, è possibile richiedere la rateizzazione anche se è iniziata l’esecuzione (fermo, ipoteca, pignoramento), purché il bene non sia stato ancora venduto/assegnato. Se il pignoramento è in corso (ad es. trattenute sullo stipendio), la concessione di una rateizzazione sospende le procedure esecutive future, ma per sospendere quelle già in essere serve l’accordo di AdER o un provvedimento (in genere AdER sospende nuovi atti, ma le trattenute già iniziate potrebbero proseguire fino a concorrenza delle rate?). In pratica, AdER su concessione di rate spesso sospende anche i pignoramenti in atto (soprattutto su stipendi) per la parte eccedente la rata. Formalmente, la legge dice che la rateizzazione ottenuta prima del pignoramento lo previene; se ottenuta dopo, AdER può decidere di sospendere l’azione esecutiva in corso (lo fa in molti casi). Ad esempio, se hai un pignoramento sul conto e ottieni la rateizzazione, AdER di solito sblocca il conto a fronte del piano di rientro. Dunque, conviene provare: presentando domanda di dilazione, l’Agente in genere sospende le nuove azioni e può liberare quelle in atto, salvo casi eccezionali. Tieni però presente: se sei già stato pignorato, la rateizzazione non cancella il pregiudizio subito (ad es. il fermo auto rimane finché non paghi la prima rata, poi viene sospeso). Quindi meglio agire prima. Ma sì, rateizzare è un diritto esercitabile anche tardivamente, finché il debito non è stato riscosso integralmente coattivamente.
D: Dopo quanti anni si prescrive una cartella esattoriale?
R: Non c’è un termine unico per tutte le cartelle. Dipende dalla natura del tributo o credito. In generale, vale la prescrizione ordinaria decennale se la legge non prevede un termine più breve. Però per molti tributi la giurisprudenza ha affermato prescrizioni quinquennali: ad es. tributi locali (IMU, TARI) 5 anni dopo notifica cartella se nessun atto interruttivo; sanzioni amministrative (multe) 5 anni; contributi previdenziali 5 anni (dopo 2018, prima era controverso); IVA, IRPEF alcuni dicono 10 anni, altri 5 – attualmente si tende a 10 anni dal divenire definitivo (Cass. SS.UU. 23397/2016 per contributi, e indirizzi analogici per tributi erariali), ma su questo c’è stata confusione e serve esame caso per caso. Comunque: ogni volta che ricevi un atto (cartella, intimazione, sollecito formale) la prescrizione si interrompe e ricomincia da capo dal giorno dopo (secondo il termine proprio di quel tributo). Quindi, una cartella non “scade” semplicemente a 5 o 10 anni dalla notifica se in mezzo intervengono atti interruttivi. Devi monitorare il tempo dall’ultimo atto notificato valido. Se sono trascorsi oltre (es.) 5 anni per un tributo locale senza alcun atto, puoi eccepire prescrizione. Per un tributo erariale di solito aspetti 10 anni. AdER tende a notificare una intimazione entro 5 anni proprio per evitare che scada nulla. Infine, attenzione: la prescrizione non è automatica, va fatta valere dal contribuente con un’opposizione (vedi Cass. 2019 SU su dovere di impugnare l’intimazione).
Conclusione
Dal punto di vista del debitore, la riscossione esattoriale è un terreno complesso ma non privo di tutele. Abbiamo visto che la cartella di pagamento diventa esecutiva solo dopo un certo iter e con precisi termini, e che il legislatore – specie negli ultimi anni – ha introdotto vari limiti alle azioni più invasive (dalla protezione della prima casa, alle soglie di importo, ai preavvisi obbligatori) per bilanciare le esigenze erariali con i diritti del contribuente. Al contempo, le recenti riforme fiscali e della giustizia mirano a semplificare e velocizzare il recupero dei crediti pubblici, come dimostra l’accelerazione data dagli avvisi esecutivi e dal Testo Unico della Riscossione in arrivo. Ciò rende ancora più importante, per i debitori, essere consapevoli dei propri diritti e doveri: conoscere le scadenze per reagire, i margini per chiedere aiuto (rate, sospensioni, ecc.), le eventuali possibilità di alleggerimento del debito (rottamazioni, discarichi automatici) e i paletti che il Fisco deve rispettare quando procede.
In caso di difficoltà economica, ignorare le cartelle esattoriali raramente è la soluzione – anzi, può aggravare la situazione con ulteriori sanzioni e interessi, oltre al rischio di subire misure coercitive improvvise. Meglio invece affrontare proattivamente il problema: se il debito è dovuto, negoziare un pagamento dilazionato sostenibile; se il debito è contestabile, attivare subito i rimedi legali appropriati; se la situazione è disperata, valutare strumenti straordinari di esdebitazione. Dal punto di vista pratico, un cittadino informato può evitare errori comuni – come perdere i termini di ricorso, o non approfittare di una definizione agevolata disponibile – e può dialogare più efficacemente con l’Agente della Riscossione (oggi peraltro dotato di canali online per istanze e richieste di aiuto).
In definitiva, “quando una cartella esattoriale diventa esecutiva” dipende da un complesso di fattori temporali e normativi che abbiamo esaminato: i 60 giorni canonici rappresentano il confine tra la fase volontaria e quella coattiva, ma attorno ad essi ruotano molte altre scadenze (intimazioni annuali, preavvisi, prescrizioni) e opportunità di intervento per il debitore. L’auspicio è che questa guida – con fonti aggiornate al 2025, riferimenti giurisprudenziali e pratici – possa servire da mappa per orientarsi in questo terreno e aiutare sia professionisti che cittadini a gestire al meglio l’interazione con il sistema della riscossione, evitando passi falsi e tutelando i propri diritti.
Fonti e riferimenti normativa e giurisprudenziale (agg. 2025)
- D.P.R. 29 settembre 1973, n.602: artt.25-26 (formazione e notifica cartella), artt.49-54 (titolo esecutivo e procedure espropriazione), art.50 (termine per iniziare esecuzione, intimazione ad adempiere); art.77 (ipoteca); art.86 (fermo amministrativo).
- Cass. Corte di Cassazione ord. n.5637/2024: ha stabilito che la cartella di pagamento è priva di efficacia esecutiva in sé e che l’esecuzione inizia col pignoramento.
- Cass. SS.UU. n.26817/2024: ha chiarito la natura dell’intimazione di pagamento ex art.50 DPR 602/73, assimilabile all’avviso di mora impugnabile, e la necessità di impugnarla tempestivamente per eccepire la prescrizione maturata.
- Cass. SS.UU. n.6436/2025: (principio di diritto citato) ha statuito che l’intimazione ex art.50 è atto impugnabile ex art.19 D.Lgs.546/92 e la sua mancata impugnazione preclude eccezioni di prescrizione successivamente.
- Cass. ord. n.32759/2024: ha confermato il divieto di pignoramento della “prima casa” (unico immobile non di lusso di residenza) anche per esecuzioni in corso all’entrata in vigore del DL 69/2013.
- Cass. SS.UU. n.23397/2016 e n.23318/2016: (confermate da Cass. SS.UU. 31088/2017) sulla prescrizione dei contributi previdenziali e tributi, distinguono tra tributi (talora 10 anni salvo specifiche) e contributi (5 anni in genere).
- Cass. SS.UU. n.19704/2015: sulla possibilità di impugnare la cartella per vizi di notifica dell’atto presupposto, chiamando in causa l’ente impositore (principio del “giudizio sul rapporto”).
- Decreto-Legge 21 giugno 2013, n.69 (conv. L.98/2013), art.52: ha introdotto i limiti a pignoramento prima casa e soglia 120.000 € (modifica art.76 DPR 602/73); ha previsto esenzione da fermo per veicoli strumentali e per disabili (art.86 DPR 602).
- Decreto-Legge 16 luglio 2020, n.76 (conv. L.120/2020), art.26: ha modificato l’art.50 DPR 602/73 estendendo la validità dell’intimazione da 180 giorni a 12 mesi.
- Decreto Legislativo 26 ottobre 2020, n.147: ha introdotto gli “accertamenti esecutivi” generalizzati (in attuazione L.136/2018): gli avvisi di accertamento dal 1/1/2020 per tributi erariali contengono intimazione e diventano esecutivi dopo 60 gg. (Richiamato da L.160/2019 commi da 792).
- Decreto Legislativo 29 dicembre 2022, n.149 (“Riforma Cartabia”): riforma del processo civile e di esecuzione: nuove norme su opposizioni (615 e 617 CPC) e obbligo iscrizione a ruolo pignoramenti entro 30 gg (art.543 CPC modif.).
- Legge 31 agosto 2022, n.130: riforma giustizia tributaria: istituzione Corti Giustizia Tributarie, giudice monocratico < €3.000, nuovi strumenti (non incide direttamente su riscossione, ma aggiornamento organi).
- Decreto Legislativo 8 giugno 2021, n.83: (correttivo Codice della Crisi) – ha inserito l’esdebitazione del debitore incapiente (art.283 CCII) che include debiti tributari.
- Legge 24 dicembre 2012, n.228 (Stabilità 2013): art.1 commi 537-544: istituto della “sospensione legale” delle cartelle su istanza del debitore in 60gg in caso di pagamento, prescrizione, sgravio, sentenza favorevole, ecc.; obbligo di sollecito 120gg per debiti < €1000.
- Decreto Legislativo 13 aprile 1999, n.112: art.19: aggi di riscossione 3% e 6% (ora modificati). Art.24: opposizione a ruolo contributi 40 gg.
- Cass. SS.UU. n.30752/2018: giurisdizione giudice ordinario su cartelle di contributi previdenziali, non giudice tributario.
- Testo Unico della Riscossione – D.Lgs. 24 marzo 2025, n.33: (in G.U. 26/3/2025, applicazione dal 1/1/2026) – contiene consolidamento di DPR 602/73 e altre norme. Prevede il discarico automatico anticipato delle cartelle inesigibili dal 2026 e recepisce novità su rateazione 120 rate.
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La cartella esattoriale è lo strumento con cui l’Agenzia delle Entrate Riscossione richiede il pagamento di un debito.
Ma attenzione: non diventa immediatamente esecutiva al momento della notifica. Esiste un termine preciso oltre il quale l’agente della riscossione può procedere con azioni forzate, come pignoramenti, ipoteche e fermi amministrativi.
Quando diventa esecutiva la cartella esattoriale?
La cartella esattoriale diventa esecutiva dopo 60 giorni dalla notifica, se il debitore non paga né presenta ricorso.
Trascorso questo termine:
- L’Agenzia delle Entrate Riscossione può avviare l’esecuzione forzata (pignoramento conto, stipendio, pensione, ecc.)
- Può iscrivere ipoteca su immobili o bloccare veicoli con fermo amministrativo
- Può avvalersi di strumenti automatizzati di riscossione anche senza preavviso
⚠️ Se ci sono vizi nella notifica, o se il debito è prescritto o già pagato, è possibile contestare la cartella prima che diventi esecutiva.
Cosa puoi fare prima che diventi esecutiva?
Hai 60 giorni di tempo per:
- Pagare l’importo richiesto (anche a rate, se ammesso)
- Presentare ricorso alla Commissione Tributaria, se ritieni il debito infondato
- Chiedere la sospensione in caso di vizi o errori evidenti
- Valutare la definizione agevolata o il saldo e stralcio, se previsti
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✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
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Conclusione
La cartella esattoriale non è subito esecutiva, ma ignorarla può costarti caro.
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