Quando Si Fa L’Opposizione Agli Atti Esecutivi?

Hai ricevuto un atto dell’Agente della Riscossione o un provvedimento del tribunale e ti stai chiedendo se puoi ancora fare opposizione e in quali casi è possibile agire contro l’atto esecutivo? Ti sembra che qualcosa non torni, ma non sai quale tipo di ricorso fare né quando scade il termine?

L’opposizione agli atti esecutivi è lo strumento con cui puoi contestare la regolarità formale e procedurale di un atto nell’ambito dell’esecuzione forzata, anche se non hai contestato il merito del debito. Ma attenzione: ci sono tempi molto stretti e serve una motivazione precisa.

Cos’è l’opposizione agli atti esecutivi?
È un rimedio giudiziario che ti permette di impugnare un atto dell’esecuzione (es. pignoramento, precetto, avviso di vendita, assegnazione di beni) quando ritieni che sia viziato nella forma o nell’iter. Non serve a dire “non devo pagare”, ma a contestare come ti stanno chiedendo di pagare.

Quando si fa?
– Quando l’atto non è stato notificato correttamente
– Quando contiene errori formali o violazioni di legge
– Quando l’esecuzione riguarda beni impignorabili o non tuoi
– Quando viene eseguito senza rispettare le regole previste dal codice
– Quando ci sono incongruenze nei tempi o nei contenuti degli atti notificati

Entro quanto tempo si può presentare l’opposizione?
Generalmente entro 20 giorni dalla notifica dell’atto che vuoi contestare. Se l’atto ti è stato notificato in modo irregolare, il termine può decorre da quando ne hai avuto reale conoscenza. Ma il margine resta sempre molto breve: occorre agire subito.

Quali atti si possono impugnare con questa opposizione?
Precetto
Pignoramento mobiliare, immobiliare o presso terzi
Avviso di vendita
Ordinanza di assegnazione
Atto di esecuzione dell’Agenzia Entrate Riscossione (se contiene vizi formali)
Fermo o ipoteca illegittimi (in alcuni casi)

Cosa NON si può contestare con l’opposizione agli atti esecutivi?
Il merito del debito (cioè se devi o non devi pagare)
La legittimità dell’atto originario (come la cartella, se è diventata definitiva)
Il titolo esecutivo se non è stato contestato nei termini previsti

Cosa succede se il giudice accoglie l’opposizione?
– L’atto impugnato viene annullato o sospeso
– L’esecuzione può essere bloccata o corretta
– Viene ripristinato il corretto iter procedurale
– Se hai subito un danno, puoi chiedere il risarcimento

Cosa NON devi fare se ricevi un atto che ritieni viziato?
– Ignorarlo, pensando che sia sbagliato e quindi inefficace
– Aspettare troppo tempo prima di agire
– Presentare un ricorso generico o fuori termine
– Confondere l’opposizione agli atti con altre forme di ricorso (es. opposizione a precetto, opposizione a esecuzione)

Ogni atto esecutivo ha le sue regole. E ogni errore procedurale può diventare la tua difesa.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in esecuzioni forzate e opposizioni tributarie – ti spiega quando puoi fare opposizione agli atti esecutivi, quali errori vanno cercati, quali tempi rispettare e come bloccare legalmente una procedura irregolare.

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Introduzione

Che cos’è l’opposizione agli atti esecutivi? L’opposizione agli atti esecutivi è un rimedio processuale che la legge italiana mette a disposizione – principalmente al debitore (esecutato) ma anche ad altri soggetti interessati – per contestare la validità formale e la legittimità procedurale degli atti compiuti nel corso di un procedimento di esecuzione forzata. In altri termini, con l’opposizione agli atti esecutivi si denuncia un vizio della forma o del procedimento esecutivo, facendo valere l’interesse del debitore (o di altro soggetto coinvolto) al rispetto delle norme che regolano lo svolgimento dell’esecuzione forzata. L’obiettivo è ottenere l’annullamento o la rimozione dell’atto esecutivo irregolare, così da garantire che l’esecuzione si svolga correttamente e nel rispetto dei diritti delle parti.

In generale, il debitore ricorre a questo tipo di opposizione quando ritiene che un atto dell’ufficiale giudiziario, del giudice dell’esecuzione o della parte creditrice non sia stato compiuto secondo legge. Ad esempio, può opporsi se un precetto o un pignoramento non contengono le indicazioni obbligatorie, se una notifica è stata eseguita in modo invalido, se il giudice dell’esecuzione ha emesso un provvedimento in violazione delle norme processuali, ecc. La finalità è far dichiarare nullo o inefficace l’atto viziato e quindi eliminare i suoi effetti, ponendo rimedio alla violazione procedurale.

Qual è la differenza rispetto alle altre opposizioni esecutive? È importante distinguere l’opposizione agli atti esecutivi dalle altre opposizioni previste nel processo esecutivo italiano. In particolare, il codice di procedura civile disciplina tre tipi principali di opposizione nell’esecuzione forzata:

  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): serve a contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione o i presupposti sostanziali dell’azione esecutiva. Ad esempio, il debitore sostiene di non dovere la somma perché ha già pagato, perché il credito è prescritto, perché manca un valido titolo esecutivo, o perché il bene aggredito è impignorabile. Si tratta di un’opposizione sul se l’esecuzione possa avvenire (contestazione del diritto di procedere). È un giudizio di merito sull’an dell’esecuzione.
  • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): è quella qui trattata in dettaglio. Serve a contestare il “modo” in cui l’esecuzione si svolge, ossia la regolarità formale dei singoli atti del procedimento (dal titolo esecutivo e precetto, fino agli atti successivi come pignoramenti, avvisi di vendita, decreti, ecc.). Non mette in discussione il diritto sostanziale del creditore, ma la legittimità formale degli atti compiuti.
  • Opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.): è lo strumento con cui un terzo estraneo all’esecuzione (ad esempio un soggetto che vanta la proprietà o altri diritti su un bene pignorato) interviene per contestare l’esecuzione su quei beni, affermando che non dovevano essere ricompresi nell’esecuzione perché di sua proprietà o altrimenti non del debitore. È un’opposizione tipica del terzo proprietario o titolare di diritti sui beni pignorati, diversa dalle opposizioni proposte dal debitore.

Di seguito una tabella riepilogativa che confronta sinteticamente queste opposizioni dal punto di vista del debitore:

Tipo di opposizioneCosa contestaLegittimato principaleQuando si proponeTerminiForma
Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)L’an dell’esecuzione: il diritto di procedere (inesistenza del titolo, credito estinto o inesigibile, impignorabilità dei beni, ecc.).Debitore (o terzo proprietario del bene pignorato, se contesta il diritto di esecuzione sul bene).Può essere proposta: – Prima che l’esecuzione inizi (opposizione “preventiva” al precetto o al titolo)- Dopo l’inizio dell’esecuzione (es: dopo atto di pignoramento).Nessun termine fisso se proposta prima; se proposta dopo l’inizio, va fatta tempestivamente e può essere proposta finché la procedura è pendente (idealmente prima che finisca la fase esecutiva). N.B. Se riguarda il precetto come atto iniziale, va proposta entro 20 giorni se contesta vizi formali del precetto stesso (altrimenti se contesta il merito del credito non c’è termine di decadenza immediato).Atto di citazione se proposta prima dell’esecuzione (si instaura un giudizio ordinario di cognizione).- Ricorso al giudice dell’esecuzione se proposta ad esecuzione iniziata (si inserisce nel procedimento esecutivo pendente, con procedimento sommario + eventuale fase di merito).
Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)Il “quomodo” dell’esecuzione: vizi formali e irregolarità dei singoli atti del processo esecutivo (compresi titolo esecutivo e precetto per vizi formali, notifiche, atti del giudice o dell’ufficiale giudiziario, ecc.). Non contesta l’esistenza del diritto di credito, ma solo la regolarità procedurale.Debitore; possono proporla anche creditori (es. un creditore intervenuto che voglia contestare un atto del G.E.) o, in certi casi, terzi interessati (ad es. l’aggiudicatario di un bene, se pregiudicato da un vizio del decreto di trasferimento). Tuttavia, nel punto di vista del debitore è tipicamente il debitore esecutato a far valere tali vizi.Può essere proposta: – Prima dell’inizio dell’esecuzione (se riguarda vizi del titolo esecutivo o del precetto come atti preliminari) – detta anche opposizione “preventiva”.- Dopo l’inizio dell’esecuzione, contro atti del procedimento in corso (es. pignoramento, avvisi, provvedimenti del giudice) – detta opposizione “successiva”.Termine perentorio di 20 giorni dalla conoscenza legale dell’atto viziato. In particolare:- Per vizi del titolo esecutivo o precetto (opposizione preventiva): 20 giorni dalla notificazione del titolo o del precetto, considerati come primi atti dell’esecuzione.- Per vizi di atti successivi (es. pignoramento, avviso di vendita, decreto di trasferimento, ecc.): 20 giorni dal compimento dell’atto stesso, se il debitore era presente o legalmente informato, oppure dal momento in cui il debitore (o l’interessato) ne ha avuto conoscenza legale o di fatto. (Approfondimento sui termini e la decorrenza al § Termini infra)Atto di citazione se proposta prima dell’inizio dell’esecuzione (dinanzi al giudice competente indicato nell’art. 480 c.p.c., di regola lo stesso che sarebbe competente per l’eventuale esecuzione).- Ricorso al giudice dell’esecuzione se proposta dopo che l’esecuzione è iniziata (va depositato ricorso nel fascicolo dell’esecuzione in corso). Nota: l’opposizione successiva ha una struttura bifasica (fase sommaria davanti al G.E. + eventuale fase di merito davanti ad altro giudice), mentre l’opposizione preventiva è monofasica (un unico giudizio di merito).
Opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.)Contestazione da parte di un terzo estraneo all’esecuzione, che rivendica un diritto proprio sui beni pignorati (es: proprietà del bene, usufrutto, ecc.) incompatibile con il pignoramento. È un’azione a tutela del terzo proprietario o titolare di diritto reale sul bene, per escluderlo dall’esecuzione forzata.Terzo che non è parte del processo esecutivo (né debitore né creditore), tipicamente proprietario dei beni pignorati o titolare di altro diritto reale sugli stessi. Esempio: Tizio pignora un bene ritenuto del debitore Caio, ma Sempronio sostiene che il bene è di sua proprietà: Sempronio può fare opposizione di terzo.Solo dopo che il bene è stato pignorato (per definizione, prima del pignoramento il terzo non ha ancora nulla da opporre). Va proposta entro il termine di decadenza di 20 giorni dalla data in cui il terzo ha ricevuto la notifica del pignoramento o comunque è venuto a conoscenza dell’esecuzione sul suo bene (in analogia all’art. 617, anche se per l’opposizione di terzo la decorrenza è normalmente dalla conoscenza del pignoramento).Tecnicamente anche qui il termine è di 20 giorni dalla conoscenza del pignoramento. (Se il terzo non viene notiziato formalmente, il termine decorre dalla conoscenza effettiva, ma è opportuno agire tempestivamente per evitare preclusioni).Ricorso al giudice dell’esecuzione (trattandosi di atto successivo al pignoramento). Il giudizio segue il rito sommario davanti al G.E. con eventuale fase di merito successiva.

Come si evince, l’opposizione agli atti esecutivi è lo strumento mirato esclusivamente a far valere vizi formali e procedurali, e prevede termini stringenti di decadenza (20 giorni) proprio per assicurare che le eccezioni formali siano sollevate prontamente, senza ritardare eccessivamente la procedura esecutiva. Il punto di vista del debitore in questa guida sarà focalizzato quindi su quando e come il debitore possa (o debba) proporre opposizione agli atti esecutivi, quali sono i presupposti di ammissibilità, i termini da rispettare, le modalità procedurali, gli effetti che può ottenere e le implicazioni – anche fiscali o penali – connesse a questo rimedio. Verranno inoltre presentati esempi pratici, domande e risposte frequenti, tabelle riassuntive e riferimenti a norme e pronunce giurisprudenziali aggiornate a giugno 2025 per fornire un quadro completo e aggiornato dell’argomento.

Normativa di riferimento e presupposti

Quali norme disciplinano l’opposizione agli atti esecutivi? La fonte principale è l’art. 617 del Codice di procedura civile, che prevede espressamente questo rimedio e ne definisce i tratti essenziali di forma e termini. Ecco il testo fondamentale (come risultante dalle modifiche vigenti al 2025):

Art. 617 c.p.c. – Forma dell’opposizione (e termine) – Le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia iniziata l’esecuzione, davanti al giudice indicato nell’art. 480, terzo comma, c.p.c., con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto. Le opposizioni relative ad atti dell’esecuzione successivi al precetto si propongono al giudice dell’esecuzione con ricorso da depositarsi entro venti giorni dal giorno in cui il detto atto è stato compiuto, se avvenuto in presenza del destinatario, ovvero dalla sua notificazione ovvero dalla sua conoscenza legale avvenuta in altro modo.

Inoltre, l’art. 618 c.p.c. disciplina i provvedimenti che adotta il giudice dell’esecuzione quando decide su queste opposizioni (soprattutto per quelle proposte a esecuzione iniziata, come vedremo dettagliatamente nella sezione sul procedimento). Altre norme rilevanti includono gli articoli correlati all’esecuzione forzata (artt. 483 e ss. c.p.c.), in particolare:

  • Art. 480 c.p.c. (forma del precetto): è richiamato dall’art. 617 per individuare il giudice competente in caso di opposizione prima dell’esecuzione. L’art. 480 c.p.c. stabilisce il contenuto dell’atto di precetto (tra cui il termine per adempiere non inferiore a 10 giorni e vari avvertimenti, tra cui – dal 2015 – l’avviso sulla possibilità di ricorrere a procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento).
  • Art. 615 c.p.c. e art. 619 c.p.c.: non disciplinano l’opposizione agli atti, ma sono citati perché definiscono rispettivamente l’opposizione all’esecuzione e di terzo, per distinguerle. Spesso il debitore deve capire quale opposizione è appropriata al suo caso concreto (si veda la tabella sopra e le sezioni successive).
  • Art. 624 c.p.c.: riguarda la sospensione della procedura esecutiva per opposizione. Come vedremo (§ Sospensione), se il debitore propone opposizione e chiede la sospensione, il giudice può sospendere l’esecuzione ove ricorrano “gravi motivi”.
  • Art. 618-bis c.p.c.: norma che storicamente riguardava il coordinamento tra opposizioni e processo esecutivo. Va segnalato però che a seguito delle riforme, la disciplina è stata in parte riorganizzata: attualmente l’art. 618-bis c.p.c. si riferisce perlopiù ad alcune particolarità di rito (ad es. conferma che se l’opposizione è proposta prima dell’inizio, va con ricorso e non citazione in certe materie – formula che può trarre in inganno, probabilmente un refuso legislativo, sicché in dottrina si discute ma generalmente si applica quanto indicato dall’art. 617).

Chi può proporre opposizione agli atti esecutivi? Dal punto di vista del debitore, è tipicamente il debitore esecutato a proporre questa opposizione, per tutelare i propri diritti processuali durante l’esecuzione. Tuttavia, la legge non esclude che altri soggetti “interessati” possano opporsi a un atto esecutivo se ne subiscono un pregiudizio e abbiano titolo a farlo. Ad esempio, un creditore intervenuto nell’esecuzione potrebbe opporsi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione (come l’ordinanza che fissa la vendita) che ritiene illegittimo e lesivo del proprio diritto alla migliore realizzazione. Oppure l’aggiudicatario di un bene all’asta potrebbe opporsi al decreto di trasferimento se viziato, per evitare future contestazioni. Anche un terzo estraneo che non sia parte del processo esecutivo, in casi particolari, potrebbe proporre opposizione ex art. 617 se ha un interesse alla rimozione di un atto (ad es. se un atto esecutivo lo pregiudica direttamente senza che possa usare l’opposizione di terzo, come un garante la cui escussione dipende da un atto esecutivo viziato nei confronti del debitore principale). La Cassazione ha affermato che “tutti i soggetti interessati alla rimozione dell’atto” sono legittimati attivi: certamente il debitore (parte passiva dell’esecuzione), i creditori (compreso il creditore procedente o intervenuti) e anche soggetti terzi estranei ma incisi dall’atto.

Tuttavia, nella stragrande maggioranza delle situazioni pratiche, è il debitore esecutato a fare opposizione agli atti esecutivi, perché è lui che subisce la procedura e ha interesse a far valere eventuali irregolarità per ritardare, limitare o annullare gli effetti dell’esecuzione. Questa guida, focalizzata sul punto di vista del debitore, tratterà principalmente dei suoi rimedi.

Quali sono i presupposti per poter proporre opposizione agli atti esecutivi? I principali requisiti sono:

  • Deve esistere un procedimento esecutivo in corso o comunque un atto esecutivo compiuto (o in procinto di essere compiuto) contro il debitore. Se ad esempio il debitore non ha ricevuto né un precetto né un pignoramento o altro atto esecutivo, non vi è (ancora) materia per un’opposizione ex art. 617. Diversamente dall’opposizione all’esecuzione, che talvolta si può prefigurare anche in via preventiva rispetto ad atti esecutivi, l’opposizione ex art. 617 è sempre riferita ad uno specifico atto già compiuto o notificato, il cui vizio si denuncia. Fa eccezione il caso di opposizione “preventiva” riferita al precetto o al titolo, dove comunque l’atto (precetto o notificazione del titolo) è stato compiuto: in quel caso l’esecuzione non è ancora iniziata, ma c’è un atto “prodromico” già avvenuto a cui il debitore reagisce.
  • Deve trattarsi di vizi formali o procedurali, ossia violazioni di norme riguardanti la forma dell’atto o lo svolgimento dell’esecuzione. Ad esempio: errori nella forma o nel contenuto obbligatorio del precetto o del pignoramento, irregolarità nelle notifiche (omissioni, notifiche inesistenti o nulle), mancato rispetto dei termini o delle formalità prescritte (es: pignoramento eseguito oltre i termini, vendita fissata senza i necessari avvisi, ecc.), provvedimenti del giudice dell’esecuzione emessi ultra vires (fuori dai poteri o in mancanza di presupposti) o errori procedurali vari. Non è invece ammissibile con art. 617 contestare questioni di merito sul diritto di credito (quelle vanno in 615) né far valere circostanze sopravvenute estintive o simili (sempre 615), né tantomeno chiedere riduzioni di pignoramenti per ragioni di merito (es: eccessiva onerosità, ecc., salvo casi particolari)**. In sintesi: l’opponente deve dedurre un “vizio” dell’atto esecutivo, ossia una sua difformità dalla legge processuale.
  • Deve essere rispettato il termine di legge di 20 giorni per proporre l’opposizione (dettaglio cruciale, si veda il prossimo capitolo sui termini). La tempestività è un presupposto essenziale: scaduto il termine perentorio, l’opposizione diventa inammissibile e il vizio si considera sanato o comunque non più deducibile. In pratica, il debitore deve attivarsi prontamente appena conosce il vizio dell’atto.
  • L’opponente deve essere un soggetto che ha interesse e legittimazione: come detto, di solito il debitore stesso, il quale è direttamente leso dall’atto esecutivo viziato (ad es. perché un atto formalmente invalido potrebbe condurre a un’espropriazione ingiusta o a una compressione dei suoi diritti di difesa). Se l’opponente è un soggetto diverso (creditore, terzo), deve comunque dimostrare il proprio interesse concreto e attuale alla rimozione di quell’atto. Il difetto di interesse rende inammissibile l’opposizione.

Va chiarito che un atto esecutivo viziato può essere di due tipi:

  1. Nullo/annullabile per violazione di norme sulla forma/procedura (es: pignoramento senza inserire l’ingiunzione ex art. 492 c.p.c., oppure precetto privo di elementi essenziali, o ancora notifica in violazione di legge);
  2. addirittura inesistente (casi estremi di mancanza totale dei requisiti, ad esempio notifica mai eseguita e tentativo di procedere ugualmente). Tradizionalmente, i vizi formali nel processo esecutivo sono considerati nullità relative che devono essere eccepite nei termini di legge tramite opposizione, altrimenti rimangono coperte. In passato si dibatteva se l’inesistenza di un atto potesse essere rilevata in ogni tempo, ma la Cassazione oggi tende a ricondurre tutto nell’ambito dell’opposizione ex art. 617 salvo rarissimi casi di atti assolutamente inesistenti (come un atto mai compiuto affatto). Dunque il debitore, anche di fronte a vizi gravi, deve comunque proporre opposizione entro i termini, altrimenti la procedura potrà proseguire.

In quali casi concreti un debitore farà opposizione agli atti esecutivi? Ecco alcuni esempi tipici di vizi formali che possono giustificare l’opposizione ex art. 617 c.p.c.:

  • Esempio 1: Precetto viziato. Il debitore riceve un atto di precetto che non contiene tutti gli elementi obbligatori (ad es. manca la indicazione del codice fiscale del creditore, oppure non è specificata la data di notifica del titolo esecutivo, o manca l’avvertimento richiesto dall’art. 480 c.p.c. circa la possibilità di adire le procedure di sovraindebitamento). Oppure il precetto intima il pagamento di somme non meglio dettagliate o già comprensive di spese future in modo non trasparente. Tali irregolarità formali del precetto rientrano nelle opposizioni “preventive” agli atti esecutivi. Il debitore dovrà proporre opposizione entro 20 giorni dalla notifica del precetto, davanti al giudice competente, per far dichiarare nullo il precetto stesso. – Nota: In particolare, è stato introdotto nel 2015 l’obbligo per il creditore di inserire nel precetto un avviso sulla possibilità per il debitore di ricorrere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (Legge n. 3/2012). La Corte di Cassazione, Sez. III, con sentenza 26 luglio 2022 n. 23343 ha però chiarito che l’omissione di questo avvertimento non comporta nullità: è una “mera irregolarità” che non incide sulla validità del precetto. Dunque il debitore non può ottenere l’annullamento del precetto solo perché privo di tale avviso, in quanto la legge non prevede espressamente questa sanzione e l’avvertimento serve solo a incoraggiare il ricorso a strumenti di composizione della crisi, senza tutelare una posizione processuale del debitore.
  • Esempio 2: Pignoramento con vizi di notifica. Il pignoramento è un atto fondamentale dell’esecuzione. Supponiamo che l’ufficiale giudiziario esegua un pignoramento mobiliare presso la residenza del debitore, ma non trovi il debitore in casa e notifichi l’atto per posta, commettendo però errori nella notifica (ad es. indirizzo errato, omessa affissione, ecc.). Oppure consideriamo un pignoramento presso terzi (es. su un conto bancario) notificato regolarmente alla banca ma mai notificato al debitore entro il termine per legge (art. 543 c.p.c. richiede che il pignoramento presso terzi sia notificato al debitore, di regola, entro 30 giorni o perde efficacia). In entrambi i casi, il debitore può venire a conoscenza del pignoramento tardivamente (magari perché se ne accorge dall’estratto di ruolo o da comunicazioni della banca). Queste situazioni configurano vizi formali (notifica nulla o omessa) dell’atto di pignoramento. Il debitore, dal momento in cui ha conoscenza dell’atto (es. quando viene informato dalla banca o quando verifica i registri), ha 20 giorni per proporre opposizione ex art. 617, chiedendo che il pignoramento venga dichiarato nullo/inefficace per violazione delle norme di notifica. Se l’opposizione è accolta, il pignoramento potrebbe essere cancellato e l’esecuzione caducata. – Nota: la decorrenza dei 20 giorni in caso di mancata notifica al debitore è problematica: la giurisprudenza ammette che decorra dalla “conoscenza di fatto” dell’atto. Ad esempio, Cass. civ. sez. III, 15 febbraio 2023 n. 4797 ha ribadito che il termine decorre dal giorno in cui l’interessato ha acquisito conoscenza (legale o di fatto) dell’atto o di un provvedimento che lo presuppone, e comunque non oltre la definitiva approvazione del progetto di distribuzione. Dunque, anche se il debitore non ha ricevuto notifica, se scopre l’esistenza del pignoramento tramite altri atti (es. un avviso di vendita o un atto successivo che lo presuppone) da quel momento parte il termine. In mancanza di qualsiasi conoscenza, ovviamente non decorre finché il debitore rimane ignaro, ma attenzione: se la procedura arriva a compimento (vendita e distribuzione), non si torna indietro.
  • Esempio 3: Errore del giudice dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione (G.E.) emette un’ordinanza o un decreto nell’ambito della procedura che è viziato. Un caso notevole è l’opposizione al decreto di trasferimento di un immobile venduto all’asta. Normalmente, il decreto di trasferimento è un atto finale dell’espropriazione immobiliare che trasferisce la proprietà al compratore e chiude la fase satisfattiva. Ebbene, la Cassazione ha riconosciuto espressamente che anche il decreto di trasferimento è impugnabile con opposizione ex art. 617 c.p.c. per vizi formali. Ad esempio, se il G.E. ha emanato il decreto senza rispettare una norma (magari senza attendere i termini di legge, o con un contenuto difforme), oppure se il decreto non è stato comunicato e il debitore lo viene a sapere solo in ritardo, questi può opporsi. Importante: per il decreto di trasferimento non è prevista una comunicazione obbligatoria alle parti, quindi spesso il debitore ne viene a conoscenza solo indirettamente. La giurisprudenza ha stabilito che la decorrenza dei 20 giorni può avvenire da atti che lo presuppongono, come l’udienza di distribuzione (che implica che il bene è stato venduto) o la notifica dell’intimazione di rilascio dell’immobile da parte dell’aggiudicatario. In mancanza di tali eventi, vale la conoscenza di fatto (es. se il difensore del debitore va in cancelleria e scopre il decreto depositato). Cass. 10099/2009 ha sancito che fa fede la prima conoscenza, anche di fatto, dell’atto o di un atto successivo che lo presuppone. Quindi il debitore deve vigilare e, appena scopre il decreto, attivarsi. Se oppone con successo il decreto di trasferimento, questo può essere revocato: ciò ovviamente comporta problemi, specie se l’immobile è già stato trasferito a terzi. Di solito infatti l’opposizione al decreto viene affrontata con prudenza perché coinvolge l’affidamento dell’aggiudicatario; ma è ammessa nei casi di vizi procedurali gravi (es. violazione del diritto di difesa). L’art. 591-bis c.p.c., comma 7, prevede espressamente questa opposizione per i decreti di trasferimento emessi dal G.E. in vendite delegate. – Scenario pratico: il debitore Tizio scopre, solo quando riceve un’intimazione di sfratto per liberare l’immobile, che la sua casa è stata venduta all’asta e il G.E. ha emanato decreto di trasferimento due mesi prima. Tizio non ne sapeva nulla perché magari le comunicazioni non gli sono giunte. A questo punto, Tizio entro 20 giorni dall’intimazione di rilascio (che per lui ha svelato l’esistenza del decreto) propone opposizione ex art. 617 c.p.c., lamentando ad esempio che non era stato avvisato dell’udienza di vendita o che il decreto è stato emesso senza attenderne l’esito di un’istanza che aveva presentato, ecc. Se il giudice accoglie, il decreto di trasferimento potrebbe essere annullato, creando la necessità di ripetere la fase finale (con possibile risarcimento all’aggiudicatario per la mancata conclusione). Cass. 4797/2023 ha però puntualizzato che non è possibile proporre opposizione oltre il limite dell’esaurimento della fase satisfattiva, cioè dopo la distribuzione del ricavato. Quindi, se il progetto di distribuzione è già stato approvato definitivamente, ogni opposizione al decreto (e in generale agli atti) diventa tardiva perché la procedura si è conclusa sul piano satisfattivo. Questo spinge il debitore a muoversi prima che i giochi siano fatti del tutto.
  • Esempio 4: Vizi nella procedura di vendita o di incanto. Il debitore può opporsi se ritiene che un avviso di vendita non sia stato pubblicato correttamente, o che nell’incanto vi siano state irregolarità (es: mancato rispetto dei termini tra avviso e incanto, o violazione delle regole di gara, ecc.). Anche questi sono vizi procedurali. In genere, tali questioni possono essere fatte valere subito nell’udienza stessa (davanti al G.E.), ma se ciò non accade e l’atto viene compiuto, resta la via dell’opposizione entro 20 giorni. Ad esempio, se un immobile è venduto senza che l’avviso sia stato affisso all’albo del tribunale come richiesto, il debitore può proporre opposizione all’atto di vendita contestando la regolarità della pubblicità. Oppure se l’ordinanza di vendita emessa dal giudice non è conforme alla legge (p.es. ha fissato cauzioni o condizioni non previste), anche quell’ordinanza è un atto esecutivo impugnabile da subito dal debitore che si ritenga leso. La tempestività è cruciale: se il debitore aspetta l’esito della vendita per lamentarsi, rischia che la doglianza sia tardiva.

Riassumendo, si fa opposizione agli atti esecutivi ogni qualvolta il debitore (o altro soggetto legittimato) riscontri un’irregolarità formale in uno degli atti del procedimento di esecuzione e voglia farla valere per ottenere un annullamento o una correzione. Non si fa opposizione agli atti esecutivi, invece, per questioni di merito (che attengono all’opposizione all’esecuzione) né quando non vi siano atti viziati ma solo lamentazioni generiche sulla durezza dell’esecuzione (in tal caso non c’è un vizio specifico da dedurre). In breve: “quando” fare opposizione ex art. 617 c.p.c.?Quando vi è un atto del processo esecutivo affetto da un vizio formale sostanziale per il quale la legge prevede la nullità, e bisogna agire entro 20 giorni da quando se ne ha conoscenza per far valere tale nullità e rimuovere l’atto. Nei prossimi capitoli analizzeremo i termini in dettaglio, le procedure da seguire e cosa avviene una volta proposta l’opposizione.

Termini e decorrenza: il perentorio 20 giorni

Uno degli aspetti più delicati dell’opposizione agli atti esecutivi è il termine di decadenza entro cui va proposta. L’art. 617 c.p.c. è chiaro: il termine è perentorio e fissato in 20 giorni. Ma da quando decorrono questi 20 giorni? La legge prevede differenti dies a quo a seconda che l’atto da impugnare sia il precetto (o il titolo), oppure un atto successivo dell’esecuzione:

  • Se si tratta di opposizione preventiva riguardante il titolo esecutivo o il precetto, i 20 giorni decorrono dalla notifica del titolo o del precetto stesso. In pratica, il titolo esecutivo (ad esempio un decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo, una sentenza, etc.) di regola dev’essere notificato con la formula esecutiva; il precetto viene poi notificato al debitore. Dal momento in cui uno di questi, che è il primo atto con cui il debitore viene a sapere dell’esecuzione imminente, viene notificato, il debitore ha 20 giorni per fare opposizione formale se intende lamentare vizi di forma di quegli atti. Se il debitore lascia trascorrere 20 giorni dal precetto senza opporsi, non potrà più far valere vizi formali del precetto (salvo forse eccepirli come nullità in altri modi, ma in generale decade). Ad esempio: Precetto notificato il 1º febbraio, opposizione agli atti esecutivi entro il 21 febbraio (20 giorni calcolati ex art. 155 c.p.c., escludendo il dies a quo e includendo il dies ad quem, prorogato al giorno successivo se cade festivo).
  • Se invece si tratta di un atto successivo (dopo il precetto), i 20 giorni decorrono dal “compimento” dell’atto, oppure dalla sua notificazione o conoscenza legale da parte del destinatario. Cosa significa? Significa che bisogna distinguere come il debitore viene a conoscenza dell’atto:
    • Se l’atto viene compiuto “in presenza” del debitore, allora il tempo decorre da quel momento. Ad esempio, se c’è un’udienza davanti al G.E. alla presenza delle parti in cui il giudice emette un’ordinanza (atto esecutivo) viziata, il debitore presente ne ha conoscenza immediata in udienza, quindi i 20 giorni decorrono da quella data. Oppure, se l’ufficiale giudiziario esegue un pignoramento mobiliare alla presenza del debitore, quest’ultimo conosce l’atto sul momento (gliene viene consegnata copia) – la decorrenza parte da lì.
    • Se l’atto deve essere notificato (o comunicato) al debitore, i 20 giorni decorrono dalla notifica (o dalla comunicazione) stessa. Ad esempio, un’ordinanza del giudice depositata fuori udienza, viene comunicata dalla cancelleria: la data di comunicazione è il dies a quo. Un avviso di vendita immobiliare che va notificato al debitore (come da art. 570 c.p.c.), se notificato il 10 marzo, fa decorrere da quel giorno i 20 giorni.
    • Se l’atto non è stato notificato (magari perché la legge non lo impone, come nel caso del decreto di trasferimento immobiliare che non viene notificato d’ufficio), o se non è stato comunicato e il debitore non era presente al compimento, allora la giurisprudenza parla di “conoscenza legale o di fatto”. In pratica, il termine decorre da quando il debitore ha avuto comunque conoscenza dell’atto o di un altro atto successivo che ne presuppone l’esistenza. La “conoscenza legale” normalmente deriva da un atto formale (notifica, comunicazione, o attività che per legge implica conoscenza – es: se il debitore compare volontariamente in esecuzione, dimostra conoscenza). La “conoscenza di fatto” invece è qualsiasi modo in cui, di fatto, il debitore venga a sapere dell’atto, pur senza una formale notifica. Cassazione ha chiarito che anche la conoscenza di fatto è idonea a far scattare il termine, proprio per evitare che il debitore, avendo scoperto l’atto, possa temporeggiare troppo. Ad esempio, Cass. 10099/2009: se risulta che un delegato del debitore ha preso visione del fascicolo dell’esecuzione il tal giorno, da quel giorno decorrono i 20 giorni. Ancora, Cass. 4797/2023 ha ribadito che vale il momento in cui il soggetto ha acquisito conoscenza, legale o di fatto, dell’atto o di un atto che lo presuppone.

Domanda: E se il debitore non ha né notizia formale né conoscenza di fatto per molto tempo? Può opporsi anche dopo? – In teoria sì, perché il termine non inizia finché il debitore è ignaro. Tuttavia, bisogna fare attenzione a due aspetti: (a) alcuni atti producono effetti irreversibili col tempo (ad es., dopo la distribuzione finale delle somme l’opposizione perde senso, come detto – la Cassazione ha indicato la “definitiva approvazione del progetto di distribuzione” come limite massimo oltre il quale l’opposizione non può più proporsi); (b) l’onere della prova della tempestività è in capo all’opponente. È il debitore che deve provare di aver proposto opposizione entro 20 giorni da quando ha saputo dell’atto. Se il creditore o la controparte eccepiscono la tardività, il debitore deve dimostrare quando ha avuto conoscenza. Tutte le volte in cui l’opponente dice “l’ho saputo tardi per colpa altrui”, deve provarlo – non basta affermarlo. Ad esempio, se Tizio afferma di essere venuto a conoscenza del pignoramento solo il 1° giugno (perché ha visto il fascicolo quel giorno) e fa opposizione il 15 giugno, dovrà provare che effettivamente prima di giugno non poteva sapere: magari mostrando che la notifica a lui era stata inviata a un indirizzo errato, e producendo l’istanza con cui in cancelleria ha visionato gli atti in data 1° giugno. Se non fornisce questa prova, rischia che la sua opposizione venga dichiarata tardiva, magari perché il giudice ritiene che una certa notifica, ancorché nulla, gli abbia dato conoscenza legale o comunque considera che doveva vigilare prima.

La Corte di Cassazione, Sez. III, ord. 19 luglio 2024 n. 19932 (recentissima) ha proprio evidenziato che l’opponente ha l’onere di indicare e provare il momento in cui ha avuto conoscenza (legale o di fatto) dell’atto esecutivo viziato, altrimenti non è possibile verificare il rispetto del termine perentorio. Nella vicenda, il debitore aveva impugnato un’ordinanza di vendita due anni dopo aver saputo (dalla prima istanza di accesso agli atti) della sua emissione, senza giustificare tale inattività: opposizione dichiarata tardiva. In sintesi, se il debitore scopre tardi un atto, deve agire appena possibile e giustificare l’eventuale ritardo con elementi concreti. Diversamente, “risulterebbe vanificata la prescritta perentorietà del termine” di 20 giorni.

La tardività è rilevabile d’ufficio? Sì. Poiché il termine di 20 giorni è decadenziale di natura processuale, la giurisprudenza ha chiarito che la relativa eccezione non è soggetta alla disponibilità delle parti: può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, persino in sede di legittimità. La Cassazione (Sez. III, sent. 11 maggio 2023 n. 12948) ha affermato che se il giudice di merito non si è pronunciato sulla tardività (ad esempio perché la controparte non l’aveva eccepita) e non c’è quindi giudicato interno su ciò, la Cassazione stessa può e deve dichiarare inammissibile l’opposizione se dagli atti risulta la tardività, anche se la questione non è stata posta nei motivi di ricorso. Ciò perché il mancato rispetto del termine è una decadenza inderogabile e rende l’azione improponibile, dunque rilevabile in ogni stato e grado. Il rimedio, in tal caso, è la cassazione della sentenza senza rinvio, in quanto l’azione non poteva proporsi.

Questa severità significa che il debitore non deve assolutamente far decorrere i termini, altrimenti perde il diritto di far valere quel vizio. Se c’è incertezza sulla decorrenza, è saggio agire nel dubbio il prima possibile (ad esempio, se un atto forse gli è stato notificato regolarmente, ma non ne è sicuro, comunque contare i 20 giorni dalla data di notifica e agire entro quelli, senza speculare su possibili nullità della notifica per avere più tempo). La prudenza impone di stare entro i 20 giorni dalla data in cui l’atto è stato fatto o notificato, salvo i casi in cui oggettivamente si scopre dopo.

Esempio pratico sulla decorrenza: Un decreto di trasferimento viene depositato il 1° marzo senza comunicazione. Il debitore lo scopre perché il 10 aprile riceve dall’aggiudicatario la notifica di un atto di precetto per il rilascio dell’immobile aggiudicato (ovvero l’intimazione a lasciare la casa, basata sul decreto di trasferimento). Lì per lì il debitore apprende de facto che il bene è stato trasferito. I 20 giorni, secondo la Cassazione, possono decorrere proprio da questo atto presupponente (precetto di rilascio). Quindi egli dovrebbe proporre opposizione ex art. 617 entro il 30 aprile. Se attendesse oltre (ad es. perché spera di risolvere diversamente), rischia la decadenza. Inoltre, immaginiamo che nel frattempo il 20 aprile si tenga l’udienza di distribuzione finale e venga approvato il progetto: a quel punto, come detto, ogni opposizione agli atti esecutivi potrebbe essere dichiarata improcedibile perché la fase satisfattiva è conclusa. Insomma: tempestività è la parola d’ordine.

Riassumendo questo capitolo in forma di Q&A:

  • Qual è il termine per fare opposizione agli atti esecutivi?20 giorni, termine perentorio di decadenza.
  • Da quando decorrono questi 20 giorni? – Dalla conoscenza dell’atto viziato: se l’atto è stato notificato o comunicato, da quella notifica/comunicazione; se compiuto alla presenza, da quel momento; se né notificato né presente, da quando il debitore ne ha comunque notizia (legalmente o di fatto).
  • E se il debitore viene a saperlo tardi? – Può agire entro 20 giorni da quando l’ha saputo, ma deve dimostrare quando e come ne ha avuta conoscenza. Se non ci riesce, l’opposizione verrà dichiarata tardiva (anche d’ufficio in Cassazione).
  • Cosa succede se i 20 giorni sono passati? – Il debitore ha perso il diritto di opporsi a quell’atto. L’atto, anche se viziato, diventa ormai non più contestabile nel processo esecutivo. La procedura andrà avanti come se l’atto fosse valido. Il debitore eventualmente potrà solo far valere il vizio in altre sedi se possibile (ma spesso no: ad esempio, se non ha opposto un vizio di precetto, non potrà più contestarlo e l’esecuzione proseguirà; se non ha impugnato una vendita viziata nei termini, non potrà dopo chiedere la nullità di quella vendita). In alcuni casi, potrà configurarsi un “acquiescenza” del debitore all’atto viziato se non lo impugna tempestivamente. L’unico spiraglio potrebbe essere un’azione di responsabilità (ad esempio contro l’ufficiale giudiziario se l’errore è suo, per danni) ma in generale, sul piano esecutivo, il treno è perso.
  • Il termine può essere interrotto o sospeso? – No, è un termine di decadenza processuale perentorio, non soggetto a sospensioni (nemmeno feriali, poiché la Corte Costituzionale ha escluso la sospensione feriale per i termini delle opposizioni esecutive, essendo procedimenti urgenti) e non c’è interruzione. Fa eccezione solo se vi è stata una causa non imputabile che impediva la conoscenza (ma più che sospensione, in tal caso il dies a quo non è mai decorso). Quindi 20 giorni secchi dal momento X.

Conclusione pratica: il debitore deve monitorare attivamente il processo esecutivo e reagire immediatamente a qualsiasi atto potenzialmente viziato, consultando il proprio legale, per evitare di decadere. Nei prossimi paragrafi vedremo come proporre l’opposizione una volta accertato che c’è un vizio e si è nei termini.

Procedura: come e dove proporre l’opposizione (atto di citazione o ricorso)

La procedura per proporre l’opposizione agli atti esecutivi dipende dal momento in cui si interviene rispetto all’inizio dell’esecuzione forzata. Distinguiamo due situazioni, come già anticipato:

  1. Opposizione “preventiva” (prima dell’inizio dell’esecuzione) – È il caso tipico di opposizione contro il precetto o contro il titolo esecutivo stesso (per vizi di forma), proposta quando ancora non c’è un pignoramento in corso. In tal caso l’esecuzione non è formalmente iniziata, e l’art. 617 c.p.c. stabilisce che l’opposizione si propone con atto di citazione davanti al giudice competente indicato nell’art. 480 c.p.c..
    • Giudice competente: l’art. 480 c.p.c. (richiamato) indica che il precetto deve contenere l’indicazione dell’autorità giudiziaria competente per l’esecuzione. In pratica, per i crediti pecuniari, il giudice competente è solitamente il tribunale del luogo dove l’esecuzione dovrà svolgersi (es: per pignoramento immobiliare, tribunale dove si trova l’immobile; per pignoramento mobiliare, tribunale del luogo dove il debitore ha residenza/domicilio; per pignoramento presso terzi, tribunale del luogo del terzo o del debitore secondo i casi). Quindi, se ad esempio Tizio riceve un precetto a Roma per un credito di 50.000€, destinato a sfociare in un pignoramento mobiliare, il giudice competente per l’esecuzione sarebbe il Tribunale di Roma (poiché il debitore risiede lì). Quindi l’opposizione al precetto andrà proposta al Tribunale di Roma, tramite atto di citazione.
    • Forma dell’atto: essendo un atto di citazione, deve rispettare i requisiti dell’art. 163 c.p.c. (indicazione delle parti, del giudice, dell’oggetto, dei fatti e motivi dell’opposizione – cioè i vizi dedotti – e la formulazione delle conclusioni). Deve inoltre contenere l’indicazione dell’udienza di comparizione (fissata a data adeguata ai termini a comparire, che qui sono quelli ordinari ridotti della metà ex art. 163-bis c.p.c., trattandosi di cause di cognizione sommaria in materia esecutiva: di solito almeno 45 giorni liberi tra notifica e udienza, visto che il termine ordinario di comparizione di 90 giorni è ridotto alla metà). L’opponente, con l’atto di citazione, cita in giudizio la controparte, che nel caso di opposizione al precetto è il creditore procedente che ha notificato il precetto. Dovrà essere notificato entro il termine perentorio: attenzione che i 20 giorni di decadenza sono riferiti alla notificazione dell’atto di citazione, non al semplice deposito in cancelleria. Ciò implica che il debitore deve predisporre e notificare l’atto al creditore entro quel limite.
    • Procedimento risultante: si instaura un normale giudizio civile di cognizione (sia pure in materia esecutiva) davanti al tribunale (monocratico) competente. Non c’è una fase sommaria distinta: il giudice davanti a cui si cita deciderà direttamente sul merito dell’opposizione, in un unico grado di merito (sentenza). Questo giudizio viene iscritto a ruolo contenzioso civile. L’opponente può tuttavia chiedere misure urgenti al giudice adito, in particolare la sospensione dell’efficacia del titolo o del precetto (o meglio, la sospensione dell’inizio dell’esecuzione). Ad esempio, se oppone il precetto, può chiedere al giudice di inibire al creditore di procedere al pignoramento nelle more del giudizio. Il giudice, se riconosce gravi motivi, può disporre la sospensione (spesso con ordinanza in via d’urgenza, analogamente a un provvedimento cautelare), impedendo al creditore di proseguire (si veda infra la parte sulla sospensione). Dopodiché, tratterà la causa e deciderà con sentenza.
    • Esempio di atto (fac-simile): Di seguito proponiamo un modello semplificato di atto di citazione in opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (opposizione a precetto):
    TRIBUNALE di _______ Atto di citazione in opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, co.1, c.p.c. Promosso da: XY, nato a ___ il ___, residente in ___, C.F. ___, elettivamente domiciliato in ___ presso lo studio dell’Avv. ___ (C.F. ___, PEC ___), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine/in calce al presente atto, – Opponente – Contro: ZZ, nato a ___ il ___, residente in ___ (ovvero Società ___, con sede in ___, P.IVA ___), in persona di ___, – Opposto – **Oggetto:** Opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso atto di precetto notificato in data ___. **Premesso che:** - con sentenza/decreto ingiuntivo n. __ del Tribunale di ___, notificato in data ___ e munito di formula esecutiva in data ___, XY è stato condannato a pagare a ZZ la somma di € ___ oltre interessi e spese; - in data ___ ZZ ha notificato a XY atto di precetto intimandogli di pagare € ___ in virtù di detto titolo; - tale atto di precetto risulta viziato per i seguenti motivi: ______ (esporre concretamente i vizi di forma: ad es. “manca l’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo”, oppure “non è stato inserito l’avvertimento di cui all’art. 480 co.2 c.p.c.”, ecc.); - di conseguenza l’istante ha interesse a proporre opposizione agli atti esecutivi al fine di far dichiarare la nullità del precetto viziato, ed evitare l’inizio di una procedura esecutiva irregolare; **Tutto ciò premesso**, il sig. XY, come sopra rappresentato e difeso, **cita** il sig. ZZ, residente in ___, a comparire innanzi al Tribunale di ___, in persona del Giudice designando, all’udienza del ___ (giorno, mese, anno, ore __:__ di rito), invitandolo a costituirsi in giudizio nel termine di legge (20 giorni prima dell’udienza ex art. 166 c.p.c.) e con avvertimento che la costituzione oltre i termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. e che in caso di mancata comparizione si procederà in sua contumacia, per ivi sentir accogliere le seguenti **Conclusioni:** Voglia l’On.le Tribunale adito, contrariis reiectis, - **in via preliminare e d’urgenza**, sospendere l’efficacia esecutiva del precetto opposto e ogni atto esecutivo conseguente, ai sensi dell’art. 624 c.p.c., stante la gravità dei vizi dedotti e il periculum in mora (impedire un’irregolare esecuzione nelle more del giudizio); - **nel merito**, accertare e dichiarare la nullità e/o l’inefficacia dell’atto di precetto notificato in data ___ da ZZ ai danni di XY, per i motivi esposti in narrativa, e per l’effetto annullare detto atto e ogni atto esecutivo conseguentemente intrapreso; - con vittoria di spese e compensi del presente giudizio a carico della parte opposta. **Documenti allegati:** 1) Copia titolo esecutivo (sentenza/DI) e relazione di notificazione; 2) Copia atto di precetto notificato in data ___; 3) eventuali altri documenti (…); Luogo, data ___ Avv. ___ (firma) (Fac-simile basato su formula tipo da Studio Cataldi) In questo esempio, l’atto di citazione elenca i vizi formali del precetto (da dettagliare caso per caso) e chiede al Tribunale di dichiararlo nullo. Si noti la richiesta di sospensione in via preliminare: se il debitore teme che il creditore, nonostante l’opposizione pendente, proceda ugualmente al pignoramento (magari prima dell’udienza di merito), può chiedere al giudice un provvedimento urgente di sospensione. Il giudice istruirà la richiesta cautelare (eventualmente in anticipo rispetto al merito). Dal momento della notifica dell’atto di citazione, il creditore opposto ha l’onere di costituirsi in giudizio, depositando comparsa di risposta nei termini (di solito 10 giorni prima dell’udienza ex art. 167 c.p.c. se l’atto è stato notificato con congruo anticipo). Se non si costituisce, può essere dichiarato contumace e il giudizio procede lo stesso. L’opposizione preventiva, come detto, si definirà con sentenza del Tribunale. Contro tale sentenza, però, c’è una particolarità: non è ammesso appello ordinario. Infatti, l’art. 618 c.p.c. ultimo comma prevede che le sentenze pronunciate in queste materie non sono appellabili, ma solo ricorribili per Cassazione. Questo punto lo riprenderemo dopo aver illustrato anche la fase successiva, ma è importante tenerlo a mente: la sentenza del Tribunale in opposizione ex art. 617 (sia preventiva che successiva) è di regola definitiva in primo grado, impugnabile solo con ricorso in Cassazione. Dunque, il debitore ha un solo grado di merito.
  2. Opposizione “successiva” (a esecuzione iniziata) – Se il debitore intende opporsi a un atto dell’esecuzione dopo che l’esecuzione è già partita (cioè dopo il pignoramento), la forma è diversa: si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione (art. 617 co.2 c.p.c.). Questo significa che non c’è un nuovo giudizio esterno, ma l’opposizione si innesta all’interno della procedura esecutiva pendente. Il ricorso andrà presentato al giudice davanti al quale pende l’esecuzione forzata (che di solito è il tribunale e il G.E. assegnato a quella procedura).
    • Come si propone il ricorso? L’opponente (di norma il debitore) redige un ricorso indirizzato al Giudice dell’Esecuzione indicando la procedura esecutiva in corso (es: “procedura esecutiva immobiliare R.G.E. n. XXX/2023”) e l’atto specifico contro cui si oppone. Nel ricorso vanno indicati i fatti (pignoramento effettuato in data…, successivi atti…) e i motivi di opposizione (i vizi dedotti), analogamente a quanto si farebbe in un atto di citazione, ma in forma di ricorso rivolto allo stesso G.E. Il ricorso deve essere depositato in cancelleria dell’esecuzione entro il termine di 20 giorni dalla conoscenza dell’atto, accompagnato dai documenti rilevanti.
    • Fissazione udienza e notifiche: Una volta depositato, l’art. 618 c.p.c. prevede che il G.E., ricevuto il ricorso, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e assegna il termine perentorio entro cui notificare il ricorso e il decreto al controinteressato. Quindi, il giudice, di solito entro breve, emette un decreto sul ricorso in cui indica: la data di udienza (spesso a poche settimane, data la natura sommaria e urgente di queste opposizioni) e ordina all’opponente di notificare copia del ricorso e del decreto alla controparte (di solito il creditore procedente e eventuali altri interessati indicati). Nel medesimo decreto, il G.E. può anche dare ordini relativi alla documentazione: ad esempio, spesso ordina al creditore o al concessionario (se esecuzione esattoriale) di depositare entro tot giorni la documentazione relativa agli atti impugnati. Nell’espropriazione esattoriale (pignoramenti di Agenzia Entrate Riscossione), è previsto espressamente che il giudice ordini al concessionario di produrre estratto di ruolo e copia degli atti.
    • Giudice competente: è lo stesso G.E. della procedura. Ad esempio, se il pignoramento immobiliare di Caio è in corso presso il Tribunale di Napoli, R.G.E. 100/2023 davanti al G.E. Dott. Rossi, l’opposizione a un atto di quella procedura va rivolta al Dott. Rossi come giudice dell’esecuzione. Non c’è scelta su questo: la competenza funzionale è del giudice davanti al quale pende il processo esecutivo impugnato. Ciò garantisce che lo stesso giudice che gestisce l’esecuzione conosca e decida anche sull’eventuale vizio, almeno in prima battuta.
    • Struttura “bifasica”: L’opposizione successiva, come anticipato, segue un percorso bifasico:
      • Una prima fase davanti al G.E., di natura sommaria/cautelare, volta principalmente a decidere se sospendere o meno la procedura esecutiva in attesa della definizione del merito. In questa fase, che si svolge nell’udienza fissata dal decreto, il G.E. ascolta le parti, esamina i motivi di opposizione e valuta prima facie il fumus boni iuris (ossia se l’opposizione sembra fondata) e il periculum in mora (il pregiudizio derivante dal proseguimento dell’esecuzione). Se ricorrono gravi motivi, il G.E. può sospendere l’esecuzione ex art. 624 c.p.c.. Egli provvede con ordinanza all’esito di questa fase. L’ordinanza potrà essere di:
        • Accoglimento dell’opposizione in sede sommaria (il che solitamente implica sospensione dell’esecuzione e magari riconoscimento del vizio dedotto, se il vizio è tale da far cessare l’esecuzione).
        • Rigetto dell’opposizione (quindi l’esecuzione prosegue, nessuna sospensione).
        • Accoglimento parziale o provvedimenti intermedi (es: il G.E. potrebbe rilevare un vizio e disporre direttamente la correzione dell’atto impugnato, oppure sospendere temporaneamente per consentire una sanatoria, ecc., a seconda dei poteri).
        • In ogni caso, ai sensi dell’art. 618 c.p.c., nell’ordinanza il G.E. deve anche fissare un termine perentorio entro cui la parte interessata deve promuovere la fase di merito davanti al giudice competente a cognizione piena. Tale termine è generalmente di 90 giorni (talora 60, talora 120, a discrezione del G.E. entro limiti di ragionevolezza) dalla comunicazione dell’ordinanza. La “parte interessata” a promuovere il giudizio di merito sarà:
          • l’opponente (debitore) se la sua opposizione è stata rigettata o non ha ottenuto piena soddisfazione (perché vorrà far valere in sede di merito le sue ragioni non accolte sommariamente);
          • il creditore (opposto) se l’opposizione è stata accolta dal G.E. (es: se il G.E. ha dichiarato nullo un atto e sospeso la procedura, il creditore per evitare di perdere il suo esecutivo dovrà agire in merito per far dichiarare l’opposizione infondata).
        • Esempio: G.E. respinge l’opposizione di Tizio con ordinanza del 1° luglio 2025, fissando 90 giorni per il giudizio di merito. Tizio (opponente) dovrà entro il 29 settembre 2025 introdurre la causa di merito (tipicamente con atto di citazione) altrimenti la sua opposizione finirà lì e il pignoramento resterà valido. Viceversa, se G.E. avesse accolto e sospeso, sarebbe Caio (creditore) a dover agire entro 90 giorni per evitare l’estinzione definitiva dell’esecuzione.
        Va sottolineato che, solo se la parte interessata avvia il giudizio di merito entro il termine fissato, l’opposizione prosegue in quella sede di merito; se nessuna parte lo avvia, scattano gli effetti di cui all’art. 624 co.3 c.p.c.: se c’era stata sospensione, l’esecuzione si estingue; se non c’era sospensione, l’opposizione si considera rinunciata e la procedura va avanti definitiva. In pratica, l’ordinanza del G.E. diventa “consolidata”.
      • La seconda fase è il giudizio di merito vero e proprio, dinanzi al giudice competente diverso dal G.E. (spesso lo stesso tribunale ma in veste di giudice cognitivo, oppure il tribunale in composizione collegiale in passato; attualmente di solito un giudice monocratico di un’altra sezione). Questa fase si instaura tramite atto di citazione (o in alcuni casi ricorso, ma generalmente atto di citazione come un ordinario giudizio di cognizione) da parte della parte interessata, entro il termine perentorio fissato. Si tratta quindi di un processo a cognizione piena dove si riesaminano i motivi di opposizione, con possibilità di istruttoria (anche se trattandosi di vizi formali spesso le prove sono documentali e immediate) e si arriva a sentenza sul merito dell’opposizione. Questo giudizio di merito può confermare o ribaltare quanto deciso sommariamente dal G.E. Ad esempio: il G.E. aveva sospeso l’esecuzione perché reputava fondato il vizio, ma in sede di merito il tribunale può invece rigettare l’opposizione ritenendo che il vizio non sussisteva o era sanato. Oppure viceversa, il G.E. non aveva sospeso (ritenendo l’opposizione infondata), ma il tribunale in merito può invece accoglierla e dichiarare nullo l’atto. Un dettaglio procedurale: il contributo unificato. Nella fase davanti al G.E. non si paga un nuovo contributo unificato (poiché l’opposizione si inserisce nella procedura esecutiva già soggetta a contributo). Se però si passa alla fase di merito con giudizio ordinario, si dovrà pagare il contributo (attualmente € 168 per le cause di valore indeterminabile in materia esecutiva). Nella pratica, quando la parte deposita l’atto introduttivo della fase di merito, dovrà allegare il pagamento del contributo relativo. Esito finale: il giudizio di merito si conclude con sentenza del tribunale. Come evidenziato sopra, tale sentenza non è appellabile (né se resa in opposizione successiva né – a maggior ragione – se resa in opposizione preventiva). L’art. 618 c.p.c. sancisce che “la causa è decisa con sentenza non impugnabile” e “le sentenze pronunciate a norma dell’articolo precedente [cioè 617] primo comma, sono altresì non impugnabili”. In altre parole, la sentenza sul merito dell’opposizione è di primo e unico grado, ricorribile solo per Cassazione. Questo è un elemento di particolare rilievo: il legislatore ha voluto evitare un doppio grado di merito per le opposizioni esecutive per ragioni di economia processuale e speditezza. (Da notare: diversamente, la sentenza sull’opposizione all’esecuzione ex art. 615 è appellabile in via ordinaria, quindi c’è un regime differenziato). Contro l’ordinanza sommaria del G.E., è previsto un peculiare rimedio: il reclamo al collegio ex art. 669-terdecies c.p.c. entro 15 giorni, in quanto la fase sommaria è assimilata a un procedimento cautelare. La giurisprudenza (Cass. S.U. 19889/2019) ha confermato l’ammissibilità del reclamo cautelare contro l’ordinanza con cui il G.E. concede o nega la sospensione. Tale reclamo si propone con ricorso al collegio del medesimo tribunale (collegio di tre giudici), che decide con ordinanza collegiale. Attenzione: questa ordinanza collegiale non è poi impugnabile ulteriormente, nemmeno con ricorso straordinario in Cassazione (Cass. 28790/2022 ha dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 111 Cost. contro l’ordinanza del collegio sul reclamo), in quanto considerata provvedimento privo di decisorietà definitiva (rimane sempre possibile il giudizio di merito). Quindi la parte insoddisfatta dell’esito cautelare può o alternativamente fare reclamo al collegio o andare direttamente a merito. Spesso, se i tempi lo consentono, la parte può ritenere più efficace andare subito al merito, specie considerando che la sentenza di merito arriva con unico grado. Altre volte, il reclamo può servire se la fase di merito rischia di durare e l’esecuzione necessità un ulteriore riesame immediato.
    • Esempio di ricorso in opposizione (fase sommaria): Si riporta un estratto (semplificato) di un ricorso ex art. 617 c.p.c. presentato dal debitore in una procedura esecutiva immobiliare:
    TRIBUNALE di Sondrio – Procedura esecutiva immobiliare R.G.E. n. 123/2023 Ricorso in opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, co.2 c.p.c. Nella procedura promossa da: Banca XYZ S.p.A., creditore procedente, contro Sig.ra Maria Rossi, debitrice esecutata, + altri creditori intervenuti... La sig.ra Maria Rossi, nata a ___ il ___, residente in ___, C.F. ___, rappresentata e difesa dall’avv. ___ (pec ___), come da delega in atti, **Premesso che:** - a causa di temporanee difficoltà economiche la ricorrente si era resa parzialmente inadempiente verso Banca XYZ, con cui erano in corso trattative per una soluzione stragiudiziale; - nonostante ciò, in data ___ Banca XYZ notificava atto di precetto e successivamente procedeva a pignoramento immobiliare dell’immobile sito in ___, di proprietà della ricorrente, iscritto al NCEU al foglio ___, particella ___; - nell’ambito di detta procedura (R.G.E. 123/2023 Trib. Sondrio) il G.E., con ordinanza del ___, autorizzava la vendita del bene pignorato fissando come esperto stimatore il Geom. Tal dei Tali; - la prima vendita fissata per il ___ andava deserta; il G.E. in data ___ emetteva **ordinanza di rinvio e nuovo esperimento di vendita** al ___; - tuttavia detta ordinanza è affetta da irregolarità, in quanto **non risulta sia stata eseguita la notifica dell’avviso di vendita alla debitrice** (obbligatoria ai sensi dell’art. 570 c.p.c.): la sig.ra Rossi non ha mai ricevuto l’avviso di vendita per l’udienza ___, come risulta dagli atti; - inoltre, la stessa ordinanza di vendita è viziata perché emessa quando ormai il pignoramento era inefficace: infatti il pignoramento era stato eseguito il ___, ma l’istanza di vendita ex art. 497 c.p.c. è stata presentata solo il ___ (oltre il termine di 45 giorni, con conseguente inefficacia del pignoramento e obbligo di declaratoria di estinzione d’ufficio); - nonostante ciò, la procedura è proseguita erroneamente: la debitrice, ignara dell’udienza di vendita a causa del mancato avviso, ha appreso solo in data ___ (quando l’IVG ha contattato il suo avvocato per accesso all’immobile) che era stata effettuata la perizia e fissata la vendita; - pertanto ricorrono gravi motivi per far valere tali irregolarità, che inficiano l’intera procedura esecutiva; **Tanto premesso**, la sig.ra Maria Rossi, come sopra rappresentata e difesa, **ricorre** all’Ill.mo Giudice dell’Esecuzione, affinché, previa sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. **inaudita altera parte**, fissata l’udienza di comparizione delle parti, Voglia, in esito all’opposizione: 1. accertare la tardività dell’istanza di vendita ex art. 497 c.p.c. presentata dal creditore procedente, e per l’effetto dichiarare l’inefficacia del pignoramento e la conseguente estinzione della procedura esecutiva n. 123/2023; 2. in subordine, accertare e dichiarare la nullità della mancata notifica alla debitrice dell’avviso di vendita e quindi la nullità della vendita svoltasi in sua assenza ignara, con conseguente estinzione della procedura esecutiva n. 123/2023; 3. conseguentemente, sospendere immediatamente la presente esecuzione e adottare ogni provvedimento opportuno per arrestarne gli atti (ivi compreso l’ordine di non liberare l’immobile qualora già emesso); 4. vittoria di spese di lite. Si producono: 1) copia precetto e pignoramento; 2) verbali di vendita e ordinanze G.E.; 3) attestazione di residenza (per provare il mancato avviso al giusto indirizzo); ... Luogo, data, Avv. ___ (firma) (Esempio liberamente ispirato a un caso reale, cfr. modello pubblicato su DirittoImmobiliare.org) In questo ricorso la debitrice ha sollevato due motivi di opposizione: inefficacia del pignoramento per tardività dell’istanza di vendita (art. 497 c.p.c., che prevede 45 giorni dal pignoramento per depositare istanza di vendita, pena inefficacia) e nullità della vendita per mancato avviso ex art. 570 c.p.c. Entrambi sono vizi formali del procedimento. La ricorrente chiede in primis la cessazione dell’esecuzione per inefficacia del pignoramento (causa di estinzione), e in subordine la nullità per vizio di notifica. Chiede inoltre la sospensione inaudita altera parte (cioè immediata senza ascoltare l’altra parte, data la gravità) – il G.E. può concederla in via d’urgenza, poi discuterla in udienza. Il ricorso è stato presentato dopo che la vendita si era tenuta, ma prima del decreto di trasferimento e prima della distribuzione. I 20 giorni di decadenza sono contati da quando la debitrice ha saputo di questi atti (nell’esempio, dal contatto dell’IVG che le ha rivelato la vendita, oppure al più tardi dalla conoscenza del verbale di asta deserta). Avendolo fatto entro due settimane, l’opposizione è tempestiva. Immaginiamo ora gli sviluppi:
    • Il G.E. riceve il ricorso il giorno X e sospende subito l’esecuzione inaudita altera parte (ad esempio, emettendo decreto di sospensione per evitare che nel frattempo venga emesso il decreto di trasferimento o l’ordine di liberazione). Quindi fissa l’udienza di comparizione in tempi brevi, poniamo dopo 3 settimane, ordinando la notifica a tutti i creditori.
    • All’udienza, ascolta i difensori: la debitrice insiste nei vizi; il creditore procedente può replicare ad esempio sostenendo che l’istanza di vendita tardiva era stata sanata dalla comparizione spontanea o da una rimessione in termini (eventualità), o che il mancato avviso è un vizio sanabile e la debitrice in realtà sapeva… Il G.E. valuta.
    • Mettiamo che il G.E. ritenga fondata l’opposizione: potrebbe accoglierla subito, dichiarando l’estinzione della procedura per pignoramento inefficace e revocando la vendita. Emana un’ordinanza in tal senso e, se il caso, assegna termine al creditore per promuovere merito (oppure se l’accoglimento è netto e non serve altro, forse no – ma la prassi impone comunque di fissare il termine di merito anche in caso di accoglimento, perché il creditore potrebbe voler appellarsi). Dato che qui l’accoglimento equivale a chiudere la procedura, il creditore avrà interesse a impugnare in merito per ribaltare la decisione e non perdere tutto. Il G.E. fisserà un termine (es: 60 giorni) per il giudizio di merito su istanza del creditore. Se il creditore non agirà, l’estinzione diverrà definitiva dopo i 60 giorni.
    • Oppure, scenario alternativo, il G.E. respinge l’opposizione (magari ritenendo non così gravi i vizi, o interpretando che la tardività dell’istanza di vendita non era eccepibile dopo la vendita, etc.). In tal caso, revoca la sospensione e la procedura riprende. Contestualmente nell’ordinanza assegna a Tizio (debitore), che ha interesse contrario, il termine per il giudizio di merito (es: 90 giorni). Il debitore se vorrà continuare la battaglia dovrà citare il creditore davanti al tribunale (sezione esecuzioni o collegio, a seconda) per far riesaminare la questione in via ordinaria.
    • Nel frattempo, se l’esecuzione è ripresa, magari il decreto di trasferimento verrà emesso: il debitore però può chiedere al giudice del merito come misura cautelare di sospendere di nuovo, oppure fare appello cautelare. È un po’ complesso e porta a possibili sovrapposizioni, ma è il meccanismo.
    Come si vede, l’opposizione successiva è un procedimento abbastanza tecnico, che coinvolge due fasi e potenzialmente due giudici diversi. Per il debitore, ciò significa che è fondamentale farsi assistere da un avvocato esperto sin dal momento di depositare il ricorso, per impostare correttamente i motivi e per rispettare tutte le scansioni (notifica del ricorso, comparizione, eventuale reclamo, eventuale fase di merito). Costi: L’opposizione successiva in sé (ricorso al G.E.) non comporta pagamento di contributo unificato aggiuntivo al momento del deposito. Se però il debitore soccombe in questa fase, dovrà attivare la fase di merito con un atto di citazione nuovo e lì pagherà il contributo di €168 (importo fisso per le opposizioni esecutive). In caso di opposizione preventiva invece il contributo è dovuto subito all’atto dell’iscrizione a ruolo (€168), come evidenziato prima. Ovviamente vanno considerati i costi dell’avvocato (onorari, spese vive, ecc.). Le spese legali seguono la soccombenza: se il debitore vince l’opposizione, il giudice di merito può condannare il creditore a rifondergli le spese; se perde, potrebbe essere condannato lui a pagare le spese al creditore. Occhio anche all’art. 96 c.p.c.: se il giudice ravvisa che l’opposizione era chiaramente pretestuosa o dilatoria, potrebbe condannare l’opponente per lite temeraria al risarcimento del danno. Ad esempio, un debitore che inventi un vizio inesistente solo per perdere tempo rischia una condanna ex art.96 (magari simbolica, ma è un deterrente).

Riepilogo dei punti chiave procedurali (Q&A):

  • Dove si deposita l’opposizione agli atti esecutivi? – Se prima del pignoramento, si deposita un atto di citazione presso la cancelleria civile del tribunale competente (poi va notificato al creditore); se dopo il pignoramento, si deposita un ricorso nella cancelleria dell’esecuzione in corso, davanti al G.E. di quella causa.
  • Chi sono le parti in causa? – Il debitore opponente e come parte convenuta/opposta il creditore procedente (eventualmente anche altri creditori interessati, se il vizio li coinvolge: es. se c’è un creditore intervenuto, può essere messo in causa; oppure se l’atto impugnato è stato compiuto dall’ufficiale giudiziario, ma formalmente l’opposizione si fa comunque contro la parte esecutante). Nei pignoramenti esattoriali, parte opposta è il Concessionario della riscossione (es. Agenzia Entrate Riscossione) che procede, oltre all’ente creditore sostanziale se c’è contestazione di merito.
  • Serve l’avvocato? – Sì, l’assistenza di un avvocato è in genere necessaria in tribunale. Non ci sono norme di dispensa particolari (se non per cause di modico valore avanti al giudice di pace, ma le esecuzioni mobiliari/minori di norma sono comunque tribunale se sopra €5000 o se beni immobili). Comunque visto il tecnicismo, è altamente raccomandato il legale.
  • Quali sono i documenti fondamentali? – Bisogna allegare copia degli atti che si impugnano (precetto, pignoramento, ecc.) e ogni prova del vizio (es: relate di notifica, certificati che provano cambio di residenza non considerato, ecc.). Se l’opposizione riguarda atti già nel fascicolo dell’esecuzione, il G.E. li potrà vedere, ma è buona pratica allegarli anche al ricorso di opposizione per completezza.
  • Cosa fa il giudice con l’opposizione? – Se è un’opposizione preventiva, la tratta come una causa ordinaria (può concedere sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ex art. 615 co.1 c.p.c. analogicamente, se opportuno). Se è successiva, il G.E. la tratta in via sommaria (può sospendere l’esecuzione se ci sono gravi motivi) e poi indirizza al merito.
  • Si può appellare la decisione del giudice? – Come detto: no appello ordinario sulle sentenze ex art. 617. Solo Cassazione per motivi di legittimità. Invece l’ordinanza sommaria del G.E. può essere oggetto di reclamo cautelare al collegio entro 15 giorni, ma quell’ordinanza del collegio poi non è ricorribile ulteriormente. Quindi, in pratica, il debitore ha: o reclamo immediato, o giudizio di merito, e poi eventualmente Cassazione sulla sentenza finale. Non c’è grado intermedio di appello.

Esiti e effetti dell’opposizione agli atti esecutivi

Vediamo ora cosa può succedere a seguito di un’opposizione agli atti esecutivi, ovvero quali sono gli esiti possibili e i relativi effetti pratici sulla procedura esecutiva. In particolare:

  • Opposizione accolta (debitore vittorioso): Se l’opposizione viene accolta (in via definitiva, ossia con sentenza nel caso di opposizione preventiva, o con ordinanza del G.E. non seguita da merito, o con sentenza nella fase di merito dell’opposizione successiva), significa che il giudice ha riconosciuto la fondatezza del vizio lamentato. In tal caso il giudice dichiara la nullità o l’inefficacia dell’atto esecutivo impugnato. L’atto viene dunque eliminato dal processo esecutivo.
    • Se si trattava di un atto iniziale (precetto): la nullità del precetto comporta che l’esecuzione non poteva essere iniziata validamente sulla base di quel precetto. In pratica, se nel frattempo il creditore ha comunque notificato un pignoramento, esso è viziato per mancanza di precetto valido, e andrà travolto anch’esso. Di solito però, se l’opposizione al precetto viene accolta prima che inizi l’esecuzione, il creditore dovrà ripetere la notifica di un nuovo precetto corretto (sanando i vizi) e attendere nuovamente i termini prima di procedere. Se avesse già iniziato l’esecuzione, potenzialmente il debitore avrebbe potuto chiedere anche l’annullamento di quegli atti consequenziali.
    • Se si trattava di un pignoramento dichiarato nullo/inefficace: questo è un punto cruciale. Il pignoramento è l’atto che vincola i beni. Se viene meno per nullità, la procedura esecutiva non ha più base e deve essere chiusa. In genere, la dichiarazione di nullità del pignoramento implica la estinzione della procedura esecutiva in corso. Ad esempio, se il pignoramento è dichiarato nullo perché l’atto era privo di ingiunzione o notificato male, tutto ciò che è venuto dopo (per es. eventuali vendite, aggiudicazioni) cade, perché manca l’atto presupposto. In pratica il giudice dell’opposizione, quando accoglie, provvede anche a dichiarare l’eventuale estinzione. Va detto che c’è dibattito tecnico se la nullità del pignoramento comporti “estinzione” in senso tecnico o solo l’annullamento degli atti: la differenza è sottile, ma l’effetto per il debitore è che l’esecuzione finisce lì. Ad esempio, nell’esempio precedente, l’ordinanza del G.E. chiedeva di dichiarare inefficace il pignoramento per tardività dell’istanza di vendita e quindi l’estinzione della procedura.
    • Se l’atto annullato era un atto del G.E. (es: un’ordinanza di vendita, un decreto di trasferimento): l’effetto è che quell’atto viene revocato. Bisogna capire se è rinnovabile:
      • Nel caso di un’ordinanza di vendita nulla, di solito il G.E. potrà emetterne una nuova regolare e ripetere la fase di vendita. Dunque l’esecuzione può proseguire, ma rifacendo correttamente il passo invalidato. Per esempio, se l’avviso di vendita era stato omesso e l’ordinanza di vendita viene annullata per questo, il giudice rifarà la fissazione della vendita notificandola regolarmente.
      • Nel caso di un decreto di trasferimento annullato, la situazione è più complessa perché coinvolge un terzo acquirente. In teoria, annullato il decreto, l’immobile resta in capo al debitore. Se però l’aggiudicatario aveva già pagato, si dovrà restituire il prezzo e annullare la vendita. Questo scenario può portare anche a richieste di risarcimento da parte dell’aggiudicatario se la colpa del vizio non era sua. Fortunatamente, casi simili sono rari e la giurisprudenza cerca di evitare di toccare i decreti di trasferimento se non per vizi davvero macroscopici. Ad ogni modo, il risultato pratico è che l’immobile torna nella procedura e può dover essere rivenduto.
      • Se l’atto annullato è un provvedimento di assegnazione o di distribuzione delle somme (per es. il riparto finale): qui entriamo nel campo delle opposizioni “Distribuzione” (art. 512 c.p.c.), che sono affini ma leggermente diverse dalle opposizioni ex art. 617 (invero alcuni le considerano sottocaso di 617). In tali ipotesi, annullare un piano di distribuzione significherebbe rifarlo, quindi procedura ancora aperta.
    • Effetto sui tempi: un’accoglimento dell’opposizione di solito provoca un significativo rallentamento o una conclusione anticipata dell’esecuzione. Se la procedura deve ricominciare daccapo (nuovo precetto, nuovo pignoramento) il creditore perderà mesi se non anni. Se addirittura è estinta, il creditore dovrà ripartire ex novo con spese aggiuntive. Questo ovviamente è vantaggioso per il debitore, che guadagna tempo e talvolta può nel frattempo trovare soluzioni alternative (pagare, accordarsi, ecc.). Ottenere la sospensione poi dà respiro immediato.
    • Costi e conseguenze per le parti: se il debitore vince, in genere il giudice condanna il creditore a pagare le spese legali dell’opposizione. Inoltre, il creditore subisce i costi di dover rifare atti e può essere chiamato a risarcire eventuali terzi pregiudicati (ad esempio, se l’aggiudicatario aveva speso per partecipare all’asta poi annullata). In casi estremi, se il creditore ha agito con dolo o colpa grave causando un’esecuzione illegittima, potrebbe esserci spazio per una sua responsabilità risarcitoria verso il debitore (ad es. se ha iscritto un’ipoteca illegittima o ha pignorato sapendo il vizio). Ma usualmente l’aspetto risarcitorio è coperto dalla condanna alle spese e, se del caso, dall’art. 96 c.p.c. (difficilmente applicato a carico del creditore, più frequente verso il debitore se la sua opposizione è temeraria).
    • Esecuzione esattoriale: se l’opposizione del debitore in ambito fiscale è accolta, per esempio perché il pignoramento esattoriale era viziato, il concessionario dovrà eventualmente ripetere l’atto sanando il vizio (compatibilmente con i termini di decadenza del ruolo). Se l’accoglimento è sul punto che il tributo era prescritto, allora l’esecuzione non potrà più essere iniziata per quell’importo.
  • Opposizione rigettata (debitore soccombente): In questo caso il giudice stabilisce che l’atto esecutivo impugnato è valido o comunque che i motivi sollevati dal debitore non lo invalidano. Le conseguenze:
    • L’atto esecutivo resta pienamente efficace e la procedura esecutiva può proseguire senza più ostacoli su quel fronte. Se l’esecuzione era stata sospesa in via cautelare durante l’opposizione, la sospensione viene revocata e il procedimento riprende dal punto in cui era stato fermato.
    • Il debitore opponente viene di solito condannato a pagare le spese di giudizio al creditore (salvo rarissimi casi di compensazione delle spese per novità della questione, ecc.). Ciò significa che dovrà pagare l’onorario dell’avvocato del creditore per la parte di opposizione, importo che può aggirarsi su qualche migliaio di euro a seconda del valore e complessità.
    • Se il giudice ritiene che l’opposizione fosse palesemente infondata e magari fatta solo per prendere tempo, potrebbe condannare il debitore anche a una somma ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria (anche se deve esserci malafede o colpa grave: ad esempio, se il debitore ha sollevato motivi assurdi e strumentali). Non è frequente, ma succede in caso di opposizioni ostruzionistiche in serie.
    • Il debitore comunque ha (aveva) una strada: se l’opposizione è stata decisa dal G.E. con ordinanza (in fase sommaria) sfavorevole, poteva fare reclamo al collegio o proseguire a merito. Se è stata decisa a merito con sentenza, può valutare se vi siano estremi per il ricorso in Cassazione. In Cassazione potrà far valere solo vizi di legittimità (violazioni di legge o gravi vizi logici della sentenza). Non potrà ridiscutere i fatti. Questo è un limite importante: spesso in materia esecutiva, la Cassazione verifica solo se il giudice di merito ha applicato bene le norme sulla nullità ecc. Se il rigetto in merito appare corretto in diritto, difficilmente Cassazione ribalterà. Inoltre, i tempi della Cassazione possono essere lunghi (2-3 anni), ma va considerato che se l’esecuzione nel frattempo va a termine (es: il bene viene venduto e distribuito) e poi il debitore vincesse in Cassazione, ormai la sua vittoria sarebbe “di Pirro” perché la procedura si è conclusa: c’è un principio secondo cui, se l’opposizione non è stata coltivata per tempo e la procedura si è esaurita, il giudice di merito può dichiarare cessata la materia del contendere, o la Cassazione potrebbe trovarsi di fronte a fatti compiuti difficili da rimediare. Per questo conviene far valere tutto entro la fase di merito, cercando di ottenere sospensioni efficaci.
    • Esempio conclusivo: Tizio oppone precetto, perde in tribunale: la sentenza dichiara valido il precetto, condanna Tizio a €2000 di spese. A questo punto il creditore può immediatamente proseguire con il pignoramento se non aveva già sospeso. Tizio potrebbe tentare Cassazione ma intanto il pignoramento verrà eseguito. Se Tizio poi in Cassazione per un qualche motivo vincesse, ma il bene fosse ormai espropriato, la sua vittoria servirebbe a far condannare il creditore a risarcirlo del danno, forse. Ma il bene sarebbe perso (salvo casi di revocazione del decreto di trasferimento improbabili).
  • Opposizione dichiarata inammissibile/tardiva: Questo è un esito particolare del rigetto, da menzionare a parte. Se il giudice accerta che l’opposizione è stata proposta oltre i termini o che verte su questioni non proponibili con quel mezzo, la dichiara inammissibile. Ad esempio, se un debitore propone opposizione ex art. 617 ma in realtà sta contestando la sostanza del credito (avrebbe dovuto farlo con art.615) oppure se la propone oltre 20 giorni. In tal caso, l’opposizione neppure entra nel merito: viene chiusa subito. L’effetto per il debitore è lo stesso del rigetto – forse peggio, perché non si discute nemmeno la questione. Quindi atto valido, procedura avanti, spese a carico suo.
    • In Cassazione, come visto, può avvenire che venga dichiarata tardiva addirittura lì se sfuggita prima. In tal caso la sentenza di merito verrebbe cassata e la causa chiusa per inammissibilità originaria.
    • Un’opposizione tardiva non offre alcuna tutela. L’atto viziato rimane tale ma non più opponibile. Il debitore potrebbe subire l’atto e i suoi effetti. Unico rifugio potrebbe essere, in casi estremi, far valere la nullità in un diverso contesto (es: se l’atto viziato è un provvedimento giurisdizionale, ipotizzare un’impugnazione tardiva ex art. 111 Cost. se decisorio; oppure se è un titolo esecutivo nullo, contestarlo quando il creditore agisce su di esso… ma se non è opposto nei termini, quel vizio si consuma).
  • Cessazione della materia del contendere: Può capitare che, pendente l’opposizione, le parti trovino un accordo o la procedura finisca per altre ragioni (es: il debitore paga, il creditore rinuncia all’esecuzione). In tal caso l’opposizione può non avere più motivo di proseguire. Ad esempio, se il creditore revoca il precetto o rinuncia agli atti esecutivi, l’opposizione al precetto diviene priva di oggetto – il debitore in genere dichiara la cessazione della materia del contendere e chiede le spese se c’era colpa del creditore nel vizio. Oppure se durante l’opposizione il debitore paga tutto e l’esecuzione si chiude, l’opposizione perde scopo. Il giudice allora dichiarerà cessata la materia del contendere (nessuna vittoria né soccombenza piena, spese di solito a carico di chi ha causato la lite, a discrezione). Questo è un esito “intermedio”.
    • Un caso peculiare: l’art. 624, co.3 c.p.c. che citavamo, se la fase di merito non viene introdotta dopo una sospensione, prevede che la procedura si estingua e l’opposizione perde efficacia (come cessata materia). Ad esempio, G.E. sospende esecuzione, creditore non promuove il merito: dopo il termine, l’esecuzione è finita, e l’opposizione in sé viene meno perché ha ottenuto il risultato (il legislatore parla di “cessazione della materia del contendere” in giurisprudenza, con liquidazione spese di norma all’opponente perché aveva ragione in base al provvedimento ottenuto).

Effetti penali e fiscali collaterali: Nella sezione successiva approfondiremo specificamente i profili penali e fiscali, ma anticipiamo qui che l’esito dell’opposizione può avere qualche ricaduta:

  • Sul piano fiscale, se l’opposizione riguarda un’esecuzione esattoriale e il giudice ordinario l’accoglie, in pratica sta sancendo che l’atto di riscossione era irregolare. Questo non incide sull’obbligo fiscale in sé (che è materia da Commissione Tributaria), ma può ritardare o impedire la riscossione coattiva di quella cartella. Il debitore potrebbe nel frattempo regolarizzare col fisco o fare rottamazioni.
  • Sul piano penale, se l’opposizione viene rigettata e l’esecuzione prosegue, il debitore deve stare attento a non commettere reati per frustrazione. Esempio: se sa che oramai il pignoramento è valido, e prova a nascondere i beni, incorrerà in reati (sottrazione di beni pignorati ex art. 388 c.p.). Se invece l’opposizione viene accolta e il pignoramento è annullato, il vincolo viene meno; il debitore potrà disporre dei beni senza incorrere nel reato di sottrazione (perché non c’è più un vincolo giudiziario). In pratica, durante la pendenza dell’opposizione, il bene pignorato rimane sotto vincolo salvo sospensione. Se c’è sospensione dell’esecuzione, il debitore comunque non deve distruggere o alienare i beni pignorati, perché la sospensione non rimuove il vincolo, lo tiene solo fermo. Se lo facesse, sarebbe comunque reato ex art. 388 c.p. (sottrazione di beni pignorati). Quindi è bene che il debitore sappia che anche se ha chiesto opposizione, finché non ottiene un provvedimento di annullamento, i beni restano vincolati e non può toccarli.

Considerazioni particolari: esecuzioni esattoriali (fiscali) e implicazioni

Abbiamo finora illustrato l’opposizione agli atti esecutivi nell’ambito dell’esecuzione civile ordinaria. Quando il creditore è un ente pubblico che riscuote tributi (Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia, o altro concessionario), si parla di esecuzione esattoriale disciplinata dal D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602. In tale contesto, esistono regole speciali che limitano le opposizioni del debitore. È importante trattarle, perché rientrano nelle “implicazioni fiscali” del nostro tema e condizionano il punto di vista del debitore.

Limitazioni ex art. 57 DPR 602/73 e intervento della Corte Costituzionale

L’art. 57 del DPR 602/1973, nella sua formulazione originale (post riforma del 1999), prevedeva forti limitazioni alle opposizioni esperibili dal debitore nell’esecuzione fiscale. In particolare stabiliva che non sono ammesse:

  • a) le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c., salvo quelle concernenti la pignorabilità dei beni;
  • b) le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c. relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo (ossia della cartella di pagamento).

Inoltre, lo stesso articolo descrive il rito semplificato: opposizioni eventualmente ammesse si fanno con ricorso al G.E., il quale fissa udienza e ordina all’esattore di depositare il ruolo e gli atti.

Cosa significava tutto ciò? In sostanza:

  • Il debitore non poteva opporsi all’esecuzione esattoriale (615) contestando il diritto di procedere se non per eccepire l’impignorabilità di beni specifici. Non poteva quindi far valere pagamento già avvenuto, prescrizione del credito tributario, difetti del titolo: tutte queste questioni erano riservate alle Commissioni Tributarie (con i ricorsi tributari).
  • Il debitore non poteva opporsi agli atti (617) per questioni di forma del titolo esecutivo o per vizi di notifica del titolo stesso (cartella). Cioè, se la cartella di pagamento era formalmente irregolare o non notificata correttamente, non poteva usare l’art. 617 davanti al giudice ordinario per farlo valere. Avrebbe dovuto impugnare la cartella davanti alla Commissione Tributaria nei termini previsti dal diritto tributario (di solito 60 giorni dalla notifica).

Queste restrizioni creavano situazioni penalizzanti per il debitore, perché se perdeva i termini del ricorso tributario, si trovava senza difese: non poteva più contestare né il merito del tributo (per decadenza in Commissione) né la forma della cartella (vietato dall’art. 57 in sede civile), e intanto l’esecuzione andava avanti. In pratica rimaneva solo la possibilità di pagare e poi chiedere eventualmente rimborso, o di agire per danni a posteriori. Questo è apparso a molti incostituzionale per violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

La Corte Costituzionale è intervenuta nel 2018: con la sentenza Corte Cost. 31 maggio 2018 n. 114 ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 57, comma 1, lett. a). Precisamente, ha stabilito che è incostituzionale “nella parte in cui non prevede che, nelle controversie riguardanti atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell’avviso di cui all’art. 50 DPR 602/73, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c.”. In altre parole, la Corte ha aperto la porta alle opposizioni all’esecuzione (615) in ambito esattoriale anche per motivi diversi dall’impignorabilità, una volta che siamo nella fase esecutiva successiva alla cartella.

La logica è: dopo che la cartella (o l’intimazione di pagamento ex art.50 DPR 602) è stata notificata, se il contribuente non ha fatto ricorso tributario in tempo, l’esecuzione parte. Ma il debitore deve poter far valere eventuali fatti estintivi sopravvenuti o vizi radicali, altrimenti subirebbe un’esecuzione ingiusta senza rimedi. Ad esempio, se il tributo è prescritto al momento dell’esecuzione (magari perché sono trascorsi anni dopo la notifica della cartella senza atti interruttivi), oppure se il debito è stato pagato nel frattempo, era assurdo che non potesse opporsi. La Consulta ha quindi “letto” l’art. 57 includendo la possibilità di 615 c.p.c. per questi casi.

Situazione post-sentenza 114/2018:

  • Opposizione all’esecuzione (615) nell’esecuzione fiscale: ora è ammessa non solo per impignorabilità, ma anche per far valere ad esempio la prescrizione del credito, il pagamento avvenuto, la non debenza sopravvenuta del tributo, a condizione che si sia oltre la cartella (cioè in fase esecutiva). Resta ferma la competenza del giudice tributario per questioni relative alla legittimità della pretesa tributaria prima della fase esecutiva. In pratica, se il debitore ha saltato il ricorso tributario o vi sono motivi sorti dopo, può usare il 615. La Cassazione (Sez. Unite n. 7822/2020 e successive) ha recepito ciò: il giudice ordinario ora può conoscere delle opposizioni ex art. 615 su crediti tributari quando si discute di fatti estintivi sopravvenuti o di inesigibilità per cause non più deducibili in sede tributaria (es: prescrizione maturata dopo cartella).
  • Opposizione agli atti esecutivi (617) nell’esecuzione fiscale: l’art. 57 lettera b) non è stato toccato dalla Corte Costituzionale del 2018. Questo significa che rimane formalmente non ammessa l’opposizione 617 per vizi di forma o notifica del titolo esecutivo (cartella). Dunque, se il debitore vuole lamentare che la cartella di pagamento non gli è stata notificata correttamente o che contiene errori formali, in teoria non può farlo col 617 ordinario. Deve farlo (se nei termini) con un ricorso alla Commissione Tributaria impugnando la cartella stessa per vizio di notifica. Se i termini sono scaduti, la situazione è intricata: la giurisprudenza ha affermato che una cartella mai notificata in realtà non è titolo esecutivo efficace, e pertanto un eventuale pignoramento basato su una cartella non notificata è affetto da difetto del titolo, il che può essere fatto valere come opposizione all’esecuzione (non agli atti) per nullità radicale della procedura. Infatti Cass. S.U. n. 19704/2015 e altre hanno detto: la notifica della cartella è condizione necessaria per legittimare l’esecuzione, se manca il debitore può opporsi all’esecuzione perché il credito non è esigibile. In sintesi:
    • se la cartella non è stata mai notificata, il debitore – anche in fase esecutiva – può opporsi ex art. 615 c.p.c., eccependo che l’esecuzione è illegittima perché non gli è mai stato notificato l’atto presupposto (quindi manca titolo esecutivo perfezionato). Questo alla luce della pronuncia costituzionale e dell’orientamento di Cassazione che privilegia il diritto di difesa.
    • se la cartella fu notificata ma con vizio formale (es. errori nell’atto): di regola andava impugnata in Commissione entro 60 gg. Se non è avvenuto, quel vizio è “consolidato” e non può più essere fatto valere né in Commissione (perché tardivo) né in sede civile (vietato da art.57, e comunque tardivo pure qui). Il debitore in questi casi è scoperto, salvo la via straordinaria di dimostrare che il vizio equivalga a inesistenza della notifica, facendolo rientrare nel caso di mancata notifica (e quindi 615). Esempio: se la notifica era nulla e lui non ne ha avuta conoscenza, può sostenere che è come non notificata => opposizione all’esecuzione.
  • Opposizione avverso atti diversi dal titolo nell’esecuzione esattoriale: L’art. 57 vieta la 617 solo relativamente al titolo esecutivo e sua notifica. Ciò implica che per vizi di atti successivi (pignoramento, avvisi) la lettera b) non pone un espresso divieto. Dunque, se l’Agente della Riscossione compie un pignoramento con irregolarità procedurali, il debitore dovrebbe poter fare opposizione ex art. 617. Ad esempio:
    • mancato rispetto dell’art. 50 DPR 602/73: questa norma impone che, se sono trascorsi più di 1 anno dalla notifica della cartella senza pagamento, il concessionario prima di pignorare debba notificare un avviso (intimazione) di pagamento e attendere 30 giorni. Se l’agente esattoriale pignora senza aver inviato questa intimazione, l’atto è viziato. Cass. sent. n. 458/2017 ha ritenuto tale pignoramento inesistente o comunque illegittimo. Il debitore può proporre opposizione: alcuni dicono 615 (perché è condizione di procedibilità, quindi vizio di sostanza?), altri dicono 617 (vizio formale del procedimento). Probabilmente, stante la nuova apertura, questa rientra in opposizione all’esecuzione (mancato avviso = carenza di presupposto, quindi 615), però è discutibile. In ogni caso, ormai i giudici ordinari ammettono ricorsi su questo.
    • Violazione delle norme sul pignoramento esattoriale: ad esempio il pignoramento immobiliare esattoriale deve essere preceduto da iscrizione di ipoteca per crediti oltre 20mila euro e da trascorrere 30 gg, ecc. Se tali condizioni non ci sono, il pignoramento è viziato. Il debitore può opporsi (il dubbio è sempre 615 o 617 a seconda se considerato vizio di sostanza o forma).
    • Notifiche degli atti esecutivi esattoriali: se il pignoramento presso terzi non viene notificato al debitore nei 5 giorni come da art. 72-bis DPR 602, quell’atto è inefficace. Il debitore può farlo valere (già alcuni tribunali l’hanno fatto d’ufficio magari).

In pratica, dopo il 2018 il confine tra opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti nell’esecuzione tributaria si è rimodulato. Resta comunque:

  • Non si può usare 617 per attaccare la cartella in sé (bisogna andare dal giudice tributario se in tempo).
  • Si può usare 615 per contestare la cartella se mai notificata o il credito se non dovuto (prescrizione/pagamento) in fase esecutiva.
  • Si può usare 617 per vizi procedurali durante l’esecuzione (es. pignoramento errato).
  • Esempio concreto: Mario riceve una cartella esattoriale per €10.000, ma la riceve con indirizzo sbagliato e di fatto non ne sa nulla. Dopo 2 anni, gli bloccano il conto (pignoramento presso terzi). Mario scopre così la cartella mai vista. A questo punto può:
    • Opporsi con 615 sostenendo che l’esecuzione è illegittima perché nessun titolo è stato notificato, chiedendo l’annullamento del pignoramento per mancanza di titolo.
    • In subordine, opporsi con 617 per i vizi formali del pignoramento (es: l’atto di pignoramento magari non gli è stato notificato neanche, come spesso capita, aggravando la cosa).
    • Il giudice ordinario dovrebbe accogliergli il 615 e bloccare l’esecuzione. Intanto Mario farebbe bene parallelamente a ricorrere in Commissione Tributaria sostenendo la nullità della cartella per mancata notifica (anche se fuori termini, magari deducendo che è impugnabile quando ne è venuto a conoscenza).
    • Intrecciarsi tra giudice ordinario e tributario è complicato (c’è il problema della sospensione ex art. 2 D.Lgs 546/92: la giurisdizione tributaria è esclusiva su “esistenza del credito tributario”; il giudice ordinario non potrebbe dichiarare inesistente il tributo, ma può dichiarare non procedibile l’esecuzione per difetto di titolo notificato).
    • Difatti Cass. SU 3670/2022 ha chiarito che il giudice ordinario in opposizione può conoscere incidentalmente della prescrizione del tributo maturata post-cartella, ma non può annullare la cartella; può solo bloccare l’esecuzione.

Art. 29 D.Lgs. 46/1999: Va segnalato che alcune entrate non tributarie pur riscosse con ruolo non soggiacciono all’art. 57. L’art. 29 esclude l’applicazione del comma 1 art.57 alle entrate non tributarie (es: contributi previdenziali, sanzioni amministrative). Quindi, se il pignoramento è fatto da Agenzia Entrate Riscossione per contributi INPS o multe del Codice della Strada, le opposizioni 615 e 617 sono ammesse normalmente. Cass. S.U. 10849/2009 conferma: per crediti non tributari riscuotibili a ruolo, il debitore può opporsi agli atti esecutivi come nel regime normale.

Riassumendo per il debitore nell’esecuzione fiscale (Q&A):

  • Posso fare opposizione agli atti esecutivi contro la cartella esattoriale? – No, se intendi vizi formali della cartella (titolo), l’opposizione ex art. 617 c.p.c. è espressamente esclusa. Devi impugnare la cartella davanti al giudice tributario entro 60 gg. Solo se la notifica della cartella è completamente mancante (mai saputo), potrai far valere questa circostanza come opposizione all’esecuzione per mancanza di titolo notificato.
  • Posso oppormi se mi pignorano senza avvisarmi con intimazione (art.50)? – Sì, questo è un vizio procedurale dell’atto di pignoramento. La giurisprudenza ti consente di fare opposizione: alcuni lo configurano come opposizione all’esecuzione (perché l’intimazione ex art.50 è vista come condizione di procedibilità: la sua mancanza rende illegittimo l’intero diritto di esecuzione), in ogni caso puoi rivolgerti al giudice ordinario. La Corte Cost. 114/2018 ora ti tutela su questi aspetti.
  • Se la cartella è prescritta al momento del pignoramento? – Puoi fare opposizione all’esecuzione ex art. 615, deducendo che il credito è estinto per prescrizione (sopravvenuta post-cartella). Cass. S.U. 34447/2019 e altre hanno sancito la possibilità di farlo valere davanti al giudice ordinario (che applicherà la prescrizione tributaria eventualmente). Prima era dubbio, ora è ammesso dopo la pronuncia costituzionale.
  • Che succede se il giudice ordinario accoglie la mia opposizione nell’esecuzione fiscale? – Dipende: se era opposizione a esecuzione (615), sospende o cessa l’esecuzione (es: annulla il pignoramento, estingue procedura). Non annullerà la cartella (quella resta formalmente valida ma non eseguibile). Tu debitore magari dovrai ancora far valere il tuo diritto in Commissione se vuoi annullarla. Se era opposizione agli atti (617, ipotizziamo per vizi di atti come avvisi, formalità), il giudice annulla quell’atto (es: annulla il pignoramento per vizio procedurale), con effetto comunque di arresto della procedura. In ogni caso l’esecuzione coattiva si blocca e il carico ritorna in mano al concessionario che potrà eventualmente riprocedere sanando il vizio.
  • Se invece perdo l’opposizione? – L’esecuzione andrà avanti. Nel fisco, ciò può voler dire vedersi vendere l’immobile o prelevare somme. Potrai tentare la carta tributaria (se non l’avevi fatta) ma di solito se si è arrivati a esecuzione la finestra tributaria è chiusa, salvo far valere la cartella mai notificata (le commissioni ultimamente sono più indulgenti sui ricorsi tardivi per notifica nulla). In caso di soccombenza, occhio ai costi: come altrove, paghi spese e magari anche qualche compenso all’Avvocatura dello Stato se era contro Agenzia Entrate.

Implicazioni penali per il debitore nell’esecuzione forzata

Infine, dal punto di vista del debitore, è doveroso accennare ai possibili riflessi penali connessi a comportamenti durante l’esecuzione. L’opposizione agli atti esecutivi di per sé è un rimedio legale e non ha risvolti penali; tuttavia, le azioni che il debitore potrebbe compiere invece di o durante l’opposizione per sottrarsi all’esecuzione possono integrare reati.

Quali comportamenti del debitore esecutato possono costituire reato?

  • Sottrazione o dispersione di beni pignorati (art. 388 c.p.). L’art. 388 del codice penale punisce la “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”. In particolare, il comma 5 dell’art. 388 c.p. prevede il delitto di sottrazione di cose sottoposte a pignoramento: “Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa di sua proprietà sottoposta a pignoramento […] è punito con la reclusione…”. In parole semplici, se il debitore, dopo che un suo bene è stato pignorato (ad esempio l’ufficiale giudiziario ha steso il verbale e ingiunto di non alienarlo, o nel caso di pignoramento immobiliare gli è stata notificata l’ingiunzione ex art. 492 c.p.c.), dolosamente compie atti per far sparire quel bene o privarlo di valore, commette reato. Esempio: l’ufficiale giudiziario pignora un macchinario; il debitore la notte stessa lo smonta e lo porta via nascondendolo – reato di sottrazione di bene pignorato. Oppure, il debitore, dopo il pignoramento immobiliare (notifica dell’atto di pignoramento con l’ingiunzione a non alienare), vende comunque l’immobile a un terzo – anche questo è punito dal 388 c.p. Il momento in cui scatta il reato, per i beni immobili, è dibattuto: la Cassazione penale più recente ha chiarito che già dopo la notifica del pignoramento immobiliare (prima ancora della trascrizione) il bene è considerato “sottoposto a pignoramento” agli effetti penali. Ciò perché l’essenza del pignoramento è l’ingiunzione al debitore di non disporre. Dunque vendere l’immobile dopo aver ricevuto l’atto di pignoramento è reato, anche se la trascrizione non era avvenuta ancora. Allo stesso modo, per i beni mobili, è sufficiente che l’ufficiale giudiziario li abbia individuati e pignorati (magari lasciandoli in custodia al debitore stesso) perché il debitore che poi li faccia sparire risponda penalmente.
    • Pena: reclusione fino a 3 anni o multa, trattandosi di reato contro l’amministrazione della giustizia. Non è cosa da poco: il debitore, magari esasperato, potrebbe pensare “vendo il bene prima che me lo portino via” – oltre a essere inutile (l’atto sarebbe revocabile e l’acquirente non protetto se in mala fede), rischia pure il penale.
    • Caso pratico: Tizio ha un’auto pignorata dal l’ufficiale giudiziario, che gliela lascia in custodia con l’avvertimento di non usarla e non alienarla. Se Tizio la nasconde in un luogo ignoto o la smembra, commette reato. Se invece Tizio, prima che l’ufficiale giudiziario notificasse il pignoramento, avesse venduto l’auto, non integrerebbe questo reato specifico (perché non era “sottoposta a pignoramento” ancora). Potrebbe semmai configurarsi la fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 388 c.p., ovvero “chiunque, per sottrarsi all’adempimento di obblighi civili nascenti da decisioni giudiziarie, compie atti fraudolenti sui propri beni” – una sorta di sottrazione fraudolenta generica. Ad esempio simulare la vendita di tutti i propri beni per non farseli pignorare è punito dal comma 1 con pena fino a 3 anni. Quindi anche anticipare il pignoramento con atti dispositivi fraudolenti è reato (è un reato distinto dal 388 co.5, ma sempre nello stesso articolo).
    • Obiezione: “Ma se l’opposizione agli atti esecutivi è accolta e quel pignoramento era nullo, allora il bene non era legittimamente pignorato: ho rischiato un reato per un atto nullo?” – Occasione rara, ma poniamo: un pignoramento è dichiarato nullo in opposizione. Se il debitore nel frattempo aveva sottratto il bene, la sua condotta rimane punibile perché al momento in cui ha agito c’era un provvedimento del giudice (pignoramento) vigente. La nullità dichiarata ex post in sede civile non credo cancelli la rilevanza penale (a meno che la nullità fosse per “inesistenza” atipica dell’atto, ma è sottile). Comunque, la cautela vuole che il debitore non si faccia mai giustizia da sé distruggendo o sottraendo beni in pendenza dell’esecuzione, anche se pensa che l’atto sia nullo.
  • Violazione degli obblighi di custodia (art. 388 comma 6 c.p. e 388-bis c.p.). Collegato al precedente, c’è il caso del custode di beni pignorati che li lascia deteriorare per colpa. Ad esempio, il debitore nominato custode dei mobili pignorati in casa sua, che li trascura e li fa rovinare volontariamente o per negligenza grave, può incorrere nell’art. 388-bis c.p. (violazione colposa dei doveri di custodia). È meno grave (punito a livello contravvenzionale) ma comunque da evitare.
  • Resistenza o minaccia a pubblico ufficiale: Durante le operazioni di esecuzione (pignoramento mobiliare, accesso dell’ufficiale giudiziario) se il debitore si oppone con la forza o minaccia gli ufficiali, può commettere reati come resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) o violenza/minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.). Questi comportamenti sono purtroppo occasionali in contesti di sfratti o pignoramenti. Anche solo insultare gravemente l’ufficiale potrebbe configurare oltraggio (art. 341-bis c.p.) se fatto in pubblico. Dunque, il debitore deve mantenere la calma e far valere i suoi diritti nelle sedi legali (opposizioni), non con la forza. Altrimenti, oltre a perdere i beni, rischia sanzioni penali.
  • False dichiarazioni o attestazioni: Meno immediato, ma va menzionato: se il debitore, in sede di processo esecutivo, rende qualche dichiarazione formale falsa, potrebbe incorrere in reati di falso. Ad esempio, se durante un’udienza il G.E. chiede al debitore di giurare su qualcosa (rarissimo) e questi spergiura, sarebbe reato di falsa testimonianza o spergiuro. Oppure se il debitore produce documenti contraffatti per bloccare l’esecuzione (ad es. un falso attestato di pagamento), commette reato di falso materiale. In un caso estremo, presentare in opposizione agli atti un documento falsificato (es: una falsa relata che prova una nullità inesistente) oltre a far perdere la causa, porterebbe a una denuncia per uso di atto falso. Quindi, ovviamente, da evitare.
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000): Questo è un reato tributario specifico. Si verifica quando un debitore di imposte (per un ammontare rilevante, oltre €50.000 di imposta) compie atti fraudolenti sul suo patrimonio per rendere inefficace la riscossione. Ad esempio, aliena simulatamente beni, li intesta a terzi, crea “scatole vuote” per non farsi trovare nulla aggredibile. È una fattispecie inserita per punire chi svuota il patrimonio per non pagare il Fisco. Ha similitudini con l’art. 388 c.p. comma 1, ma è specifica fiscale e punisce più severamente (reclusione 6 mesi-4 anni). Un imprenditore che trasferisce in modo fittizio i propri macchinari a un’altra società quando sa di avere un grosso debito IVA potrebbe incappare in questo reato, se l’intento era frodare il Fisco. Per il nostro debitore, è bene sapere che aggirare l’esecuzione tributaria con stratagemmi può portare a conseguenze penali serie. Meglio allora usare gli strumenti legali (opposizioni, rateizzazioni, concordati).

In generale, la miglior condotta per il debitore è esercitare i rimedi giudiziari (opposizioni) e cercare eventualmente accordi col creditore, senza intraprendere azioni “fai da te” illegali. Spesso la disperazione può indurre a gesti avventati (nascondere la macchina, spostare soldi su conti terzi): oltre a non garantire successo – perché i creditori possono scoprire e attivare revocatorie o pignoramenti presso terzi aggiuntivi – espongono a rischi penali concreti.

Un caso giurisprudenziale recente interessante: Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 4615 del 9 febbraio 2024 – la Cassazione ha ribadito che per integrare il reato di sottrazione di beni pignorati serve il dolo specifico e la conoscenza effettiva del vincolo. Nel caso, un custode di un bene pignorato non era stato informato direttamente (notifica a vuoto con compiuta giacenza) e il bene era andato disperso; la Cassazione ha annullato la condanna perché non era provato che l’imputato avesse avuto effettiva contezza di essere custode e del vincolo. Questo conferma un principio: se il debitore non ha saputo del pignoramento per irregolarità di notifica, potrebbe sfuggire al penale per mancanza di dolo. Ma attenzione: sul piano civile comunque quell’atto – se non opposto – produce effetti. Meglio evitare di trovarsi in tali situazioni.

Conclusione su penalità: L’opposizione agli atti esecutivi può essere vista come una valvola di sfogo legale per il debitore: gli consente di contestare formalmente l’esecuzione e guadagnare tempo o giustizia, invece di ricorrere a mezzi illegali. Il consiglio è di usare gli strumenti giuridici e non trasgredire la legge durante l’esecuzione. In caso di dubbi, rivolgersi sempre all’avvocato: ad esempio, se il debitore vuole vendere un bene pignorato perché pensa di ricavare di più dell’asta, l’avvocato potrà spiegargli che può chiedere al giudice di autorizzare una vendita privata, non di farlo di nascosto. Ogni azione clandestina rischia di aggravare la posizione del debitore.

Domande frequenti (FAQ) riepilogative

Di seguito raccogliamo alcune delle principali domande e risposte in materia di opposizione agli atti esecutivi, per fissare i concetti chiave dal punto di vista pratico del debitore:

  • D: Quando posso fare opposizione agli atti esecutivi?
    R: Quando ritieni che un atto del processo esecutivo a tuo carico sia irregolare dal punto di vista formale o procedurale. Esempi: precetto che non rispetta i requisiti di legge, pignoramento eseguito o notificato in modo viziato, provvedimento del giudice dell’esecuzione emesso senza base legale, mancato rispetto di termini o avvisi obbligatori, ecc. In generale, se c’è un vizio di forma, fai opposizione agli atti (art. 617). Se c’è un vizio di sostanza (diritto di procedere), sarebbe opposizione all’esecuzione (art. 615). Spesso il confine non è netto e valuta l’avvocato. Ma la regola: vizio nel come si procede = 617.
  • D: Entro quanto tempo devo agire?
    R: 20 giorni da quando hai avuto notizia dell’atto viziato. Non aspettare! Se l’atto ti è stato notificato, calcola 20 giorni dalla data di notifica (non escludere i festivi, termine processuale perentorio). Se l’hai saputo in ritardo, devi provare quando l’hai saputo e comunque agire immediatamente entro 20 giorni da quel momento. Meglio muoversi prima possibile per non rischiare eccezioni di tardività.
  • D: Davanti a chi e in che modo presento l’opposizione?
    R: Se l’esecuzione non è ancora iniziata (hai ricevuto solo precetto o l’atto di notifica del titolo), devi fare un atto di citazione in opposizione davanti al tribunale competente (di solito quello dell’esecuzione). Se invece l’esecuzione è già in corso (c’è stato un pignoramento), devi presentare un ricorso al giudice dell’esecuzione del tribunale dove pende la procedura. In entrambi i casi è altamente consigliato (di fatto necessario) farti assistere da un avvocato, che saprà redigere l’atto e seguire la procedura corretta. Abbiamo fornito esempi di atti nelle sezioni precedenti.
  • D: L’opposizione sospende automaticamente il pignoramento o la vendita?
    R: No. La presentazione dell’opposizione di per sé non blocca l’esecuzione, a meno che il giudice disponga la sospensione. Quindi, se depositi l’opposizione ma non chiedi o non ottieni la sospensione, il processo esecutivo può andare avanti parallellamente (il che può creare situazioni spiacevoli, come beni venduti mentre l’opposizione non è ancora decisa). Dunque, contestualmente all’opposizione, chiedi sempre la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., motivandola con i “gravi motivi” (es: se non si sospende si venderà un bene quando c’è un vizio palese, causando danno irreparabile). Il giudice dell’esecuzione valuterà in tempi rapidi: se trova fumus e periculum, emanerà un’ordinanza di sospensione. Può farlo anche inaudita altera parte nei casi urgenti. Se invece nega la sospensione, l’esecuzione prosegue: in tal caso, tu (o il tuo avvocato) valuta se fare reclamo al collegio contro il diniego (entro 15 giorni). Ma soprattutto preparati ad eventualmente partecipare all’asta (o trovare accordi) perché la procedura va avanti. È un equilibrio difficile: alcune volte, se il giudice non sospende, può voler dire che vede l’opposizione debole; oppure è prassi restrittiva. In mancanza di sospensione, cerca col tuo avvocato di accelerare la fase di merito dell’opposizione o di trovare altre soluzioni (pagare il dovuto per evitare la vendita, ecc.).
  • D: Che differenza c’è tra opposizione ex art. 615 e 617?
    R: Lo ripetiamo in breve: art. 615 c.p.c. = opposizione all’esecuzione, contesti il diritto del creditore di agire (es: “non dovevo nulla”, “non più tenuto a pagare”, “bene impignorabile”). Nessun termine fisso prima dell’esecuzione, ma se la fai dopo l’inizio vali comunque il prima possibile. Art. 617 c.p.c. = opposizione agli atti esecutivi, contesti vizi formali degli atti (es: notifica nulla, atto mancante di elementi, errori procedurali). Termine perentorio 20 giorni dalla conoscenza atto. Procedura: prima dell’esecuzione entrambe si fanno con atto di citazione; dopo l’inizio, la 615 con ricorso G.E. (più o meno come 617) e poi eventuale merito. La 615, se decisa in merito con sentenza, è appellabile (perché è causa di merito su diritti) a differenza della 617 che non lo è. Dal lato pratico del debitore: spesso i due tipi si affiancano. Esempio: precetto intimato per importo sbagliato (sostanzialmente chiede troppo = motivo di merito, e formalmente è irregolare per indeterminatezza = motivo formale). Farai opposizione cumulando motivi di entrambi i tipi. Sarà compito del giudice qualificare il tipo. L’importante per te è sollevare tutte le ragioni nei termini più stretti (20 gg).
  • D: Cosa succede se vinco l’opposizione?
    R: L’atto esecutivo impugnato viene dichiarato nullo o inefficace e rimosso. Ad esempio: se hai vinto su un precetto nullo, quel precetto è annullato – il creditore dovrà eventualmente notificartene uno nuovo e ricominciare. Se hai vinto su un pignoramento viziato, l’esecuzione viene tipicamente estinta e si ferma. Se hai vinto su un provvedimento del giudice (es: vendita), quel provvedimento è revocato e occorre rifare quel passo. In generale, l’esecuzione subisce uno stop significativo. Inoltre, di solito il giudice condanna il creditore a pagare le spese legali che hai sostenuto (salvo casi di compensazione). Quindi il tuo avvocato dovrebbe esserti pagato (in tutto o in buona parte) dalla controparte. Attenzione però: se poi il creditore inizia da capo e trova vie per sanare, l’incubo può ripresentarsi. Ma intanto hai guadagnato tempo e magari opportunità (es: in quell’intervallo puoi vendere tu volontariamente il bene a prezzo migliore per pagare il creditore, oppure puoi concordare una rateazione).
  • D: Cosa succede se perdo l’opposizione?
    R: L’esecuzione prosegue normalmente, l’atto impugnato viene considerato valido ed efficace. Dovrai anche pagare le spese di giudizio al creditore (il che aggiunge debito al debito). Potresti valutare di impugnare ulteriormente (Cassazione se errori di diritto, ecc.), ma nel frattempo il treno dell’esecuzione andrà fino in fondo, a meno che tu riesca a saldare o transigere. Quindi, la sconfitta nell’opposizione spesso significa dover prepararsi a subire l’espropriazione (vendita del bene, pignoramento del conto, etc.). Cerca di non arrivare a questo punto se possibile: mentre l’opposizione è pendente, tieni sempre aperto un canale di dialogo col creditore per accordarti (magari proponendo una soluzione di pagamento dilazionato – perché se vede che stai per perdere, il creditore potrebbe preferire chiudere bonariamente piuttosto che attendere la vendita all’asta con i suoi incerti). Se vedi che il giudice ti è sfavorevole, considera alternative come procedure da sovraindebitamento (piani del consumatore, ecc.) per bloccare l’esecuzione su altri fronti.
  • D: L’opposizione agli atti esecutivi blocca anche altri eventuali esecuzioni?
    R: No, riguarda quella specifica procedura o atto. Se hai più creditori che eseguono, l’opposizione a uno non sospende gli altri. Ad esempio, se stai opponendo un pignoramento immobiliare di Banca X, e intanto un altro creditore Banca Y notifica un diverso pignoramento sullo stesso immobile, quell’altra procedura va avanti indipendentemente (a meno tu ottenga un provvedimento estensivo, ma di solito no, devi fare altro ricorso). Oppure, se opponi un precetto di Caio, e un altro creditore Sempronio ti notifica un diverso precetto, l’opposizione al precetto di Caio non tocca il precetto di Sempronio. Bisogna agire caso per caso. Quindi, l’opposizione non crea uno “scudo generale” sul patrimonio – è specifica per atto e creditore.
  • D: Quanto costa in soldi e tempo un’opposizione agli atti?
    R: In termini di costi, devi considerare: contributo unificato (168 € se lotti in tribunale, più marca da 27 €) – però se è ricorso in esecuzione pendente la fase sommaria non paga, solo l’eventuale fase di merito paga; onorario dell’avvocato (variabile, può essere a forfait o a scaglioni, dipende dal valore e complessità – per dare un’idea, per un’opposizione su pignoramento di media complessità i minimi potrebbero stare sui 2-3.000€, ma molti fattori incidono); eventuali spese vive (pochi euro per copie, notifiche – la notifica dell’atto di citazione può costare ~€20-30). Se vinci, come detto, queste spese te le rifarai sul creditore di norma. Se perdi, oltre a perdere le tue spese, dovrai pagarne altrettante al creditore (quindi il doppio danno). In termini di tempo, difficile prevedere:
    • la fase davanti al G.E. (se opposizione successiva) è abbastanza rapida: udienza spesso in 1-2 mesi dal ricorso. La decisione cautelare arriva a quella udienza o poco dopo.
    • la fase di merito (tribunale cognizione) invece è come una causa civile standard, quindi può durare diversi mesi o anni (spesso 1-2 anni se istruttoria minima). Con le riforme recenti (Riforma Cartabia 2022/2023) l’auspicio è che queste cause siano più snelle, ma dipende dal tribunale. Molte opposizioni però vengono decise rapidamente se la questione è giuridica e documentale, con tempi contenuti (6 mesi – 1 anno). Se c’è reclamo al collegio, quello avviene in pochi mesi.
    • Quindi, nel frattempo, come già detto, è fondamentale la sospensione per evitare che l’esecuzione finisca prima che tu abbia la sentenza.
    • Se vai pure in Cassazione, aggiungi altri 2-3 anni facilmente.
    Dunque, l’opposizione è un investimento di risorse: va intrapresa quando hai effettivamente ragioni solide, o comunque come mossa tattica se serve tempo e c’è almeno un minimo di fondatezza (non fare opposizioni totalmente infondate, perché butti soldi e poi paghi anche l’avversario).
  • D: Se il bene viene venduto all’asta e solo dopo scopro un vizio, posso ancora oppormi?
    R: In linea di massima no, dopo la vendita e soprattutto dopo la distribuzione del ricavato, i giochi sono fatti. La Cassazione dice che l’opposizione non può proporsi oltre la definitiva approvazione del piano di distribuzione. Se addirittura ti accorgi di un vizio quando il bene è già trasferito all’aggiudicatario e i soldi ripartiti, l’unica strada sono eventuali azioni di risarcimento, ma l’opposizione esecutiva in sé non è più ammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Quindi devi vigilare prima: ad asta avvenuta ma prima che i soldi vengano distribuiti, potresti ancora opporre (es. il decreto di trasferimento come visto, entro quei limiti). Ma il confine è pericolosamente stretto. Consiglio: frequenta il fascicolo dell’esecuzione, interessati, non aspettare che vendano per lamentarti, perché poi è tardi.
  • D: Ho fatto opposizione a un atto esecutivo fiscale (Agenzia Entrate Riscossione). Cambia qualcosa?
    R: Sì, come spiegato c’è una disciplina particolare: non puoi usare l’opposizione agli atti per contestare la cartella di pagamento in sé (questo dovevi farlo con ricorso tributario). Puoi però contestare irregolarità del pignoramento e similari. Inoltre, l’opposizione all’esecuzione ti è ora consentita per far valere cause di inesigibilità (pagamento, prescrizione). Il giudice ordinario però non tocca la cartella in sé (non la annulla formalmente), sospende l’esecuzione. Tieni presente che spesso in questi casi il giudice ordinario e quello tributario hanno competenze che si sfiorano: potresti dover agire in entrambi i fori (es: fai opposizione all’esecuzione per sospendere il pignoramento e parallelo chiedi alla Commissione Tributaria di annullare la cartella). È una complicazione, ma necessaria a volte. Devi coordinare il tuo avvocato civilista col eventualmente un tributarista. In termini di tempo, le opposizioni esattoriali seguono lo stesso rito. E i costi: se l’Ente pubblico vince, di solito chiede spese (onorari avvocatura dello Stato).
  • D: Il creditore può rifare gli atti dopo che ho vinto l’opposizione?
    R: Sì, a meno che la tua vittoria non concerna proprio l’esistenza del diritto di procedere (nel qual caso il creditore dovrebbe appellare in Cassazione o rassegnarsi, o aspettare nuovi fatti). Ad esempio, se hai annullato un precetto, il creditore può notificartene un altro correggendo gli errori (magari stavolta stai attento se c’è altro da eccepire). Se hai annullato un pignoramento per vizi formali ma il precetto è ancora valido e non scaduto, il creditore può tentare un nuovo pignoramento correggendo il tiro. Se la procedura è estinta, dovrà rifare precetto se il precedente è decaduto (precetto vale 90 gg). In sintesi, a meno che la pretesa del creditore non sia stata spenta sul merito, egli può tornare alla carica. La tua opposizione vittoriosa gli crea però un bel ritardo e spese: a volte ciò mette il creditore nella disposizione di trattare. Infatti, se tu come debitore hai mostrato capacità di difenderti efficacemente, il creditore potrebbe preferire accordarsi su un piano di rientro piuttosto che ricominciare la procedura. Quindi usala anche come leva di negoziazione per, magari, ottenere una dilazione pagamenti senza ulteriori atti.

Conclusione

Dal punto di vista del debitore, l’opposizione agli atti esecutivi è uno strumento prezioso ma da maneggiare con cautela. Può offrire tutela contro gli abusi o errori procedurali del creditore e del sistema esecutivo, garantendo il rispetto delle regole formali che, per quanto possano sembrare tecnicismi, esistono proprio a tutela dei diritti (ad esempio la corretta notifica serve a far sapere al debitore e dargli modo di reagire, l’osservanza dei termini evita esecuzioni precipitose, etc.).

Abbiamo visto che:

  • Occorre vigilare attentamente su ogni atto esecutivo che ci riguarda, e agire tempestivamente entro i termini strettissimi di decadenza.
  • È importante essere consapevoli delle differenze tra i vari tipi di opposizione e seguire la procedura corretta (citazione vs ricorso) per non incorrere in inammissibilità.
  • Bisogna valutare bene, con supporto legale, la fondatezza delle proprie doglianze: opporsi pretestuosamente può ritorcersi contro con condanne alle spese e aggravamento del debito.
  • Quando ci sono basi solide (e a volte anche quando ci sono dubbi ma la posta è alta), l’opposizione può fermare o ritardare l’esecuzione, dando respiro al debitore. Molte esecuzioni si risolvono in accordi transattivi proprio durante le opposizioni, perché il creditore, di fronte a un iter lungo, può preferire incassare meno ma prima.
  • Non bisogna confondere l’opposizione con un “liberi tutti”: se pendono più azioni esecutive, serve reagire in ognuna; se l’esecuzione è fiscale, bisogna muoversi anche in sede tributaria; se uno strumento non è efficace, valutarne altri (es: sovraindebitamento, negoziazione con i creditori).
  • In ogni caso, comportamenti contrari alla legge per ostacolare l’esecuzione non sono la via: oltre a essere eticamente discutibili, espongono a conseguenze penali severe. La strada maestra è far valere i propri diritti nelle aule di giustizia.

Con una conoscenza approfondita della procedura esecutiva e delle proprie garanzie (arricchita anche dalla giurisprudenza recente che abbiamo citato), il debitore può affrontare l’esecuzione in modo più consapevole e attivo, evitando di subire passivamente e magari riuscendo a conservare il proprio patrimonio, o parte di esso, quando gli atti non sono regolari. In fondo, come affermato in dottrina, “l’osservanza delle forme costituisce garanzia del miglior risultato dell’esecuzione”: ciò vale per i creditori ma anche per il debitore, perché un’esecuzione condotta nel rispetto rigoroso della legge è l’unica che possa dirsi giusta. L’opposizione agli atti esecutivi è lo strumento attraverso cui il debitore assicura proprio questo: che la procedura sia giusta, regolare e trasparente.

Fonti e riferimenti normativi (aggiornati a giugno 2025):

  • Codice di procedura civile, in particolare artt. 615, 617, 618, 618-bis, 624 e 669-terdecies c.p.c.
  • DPR 29 settembre 1973 n. 602, art. 50 (intimazione ad adempiere prima dell’esecuzione) e art. 57 (opposizioni nell’esecuzione esattoriale).
  • D.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, art. 29 (opposizioni su entrate non tributarie a ruolo).
  • Codice penale, art. 388 (mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice) e art. 388-bis c.p..

Giurisprudenza (massime e sentenze citate):

  1. Cass., Sez. III civ., 15 febbraio 2023 n. 4797: termine per opposizione a decreto di trasferimento decorre dalla conoscenza legale o di fatto e comunque non oltre l’esaurimento della fase satisfattiva (approvazione del piano di distribuzione).
  2. Cass., Sez. III civ., 11 maggio 2023 n. 12948: la tardività dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. (per mancata indicazione del momento di conoscenza dell’atto) è rilevabile d’ufficio anche in Cassazione in assenza di giudicato interno.
  3. Cass., Sez. III civ., 19 luglio 2024 n. 19932 (ord.): l’opponente ex art. 617 c.p.c. ha l’onere di provare il momento in cui ha avuto conoscenza dell’atto viziato, pena l’inammissibilità per tardività (caso di opposizione a vendita proposta 2 anni dopo senza giustificativi).
  4. Cass., Sez. III civ., 26 luglio 2022 n. 23343: l’omissione dell’avviso ex art. 480 co.2 c.p.c. (procedure sovraindebitamento) nel precetto è mera irregolarità e non causa di nullità del precetto.
  5. Cass., Sez. Unite civ., 12 maggio 2009 n. 10849: art. 57 DPR 602/73 non si applica a entrate non tributarie: opposizioni ex artt. 615 e 617 ammissibili per esecuzioni su sanzioni amministrative (latte).
  6. Corte Costituzionale 31 maggio 2018 n. 114: dichiara illegittimo art. 57 co.1 lett. a) DPR 602/73 nella parte in cui non consente opposizioni ex art. 615 c.p.c. nelle esecuzioni tributarie successivamente alla notifica della cartella o dell’intimazione.
  7. Cass., Sez. VI pen., 22 novembre 2021 (dep. 16 febbraio 2022), n. 5538: integra il reato di sottrazione di bene pignorato (art. 388 co.5 c.p.) l’atto di disposizione di un immobile compiuto dopo la notifica del pignoramento ma prima della trascrizione.
  8. Cass., Sez. VI pen., 9 gennaio 2024 n. 4615: per il reato di cui all’art. 388 c.p. è necessario che l’agente abbia avuto effettiva conoscenza del vincolo sul bene; la conoscibilità astratta tramite notifica a vuoto non basta (annullata condanna perché la notifica era in compiuta giacenza e non prova che il custode sapesse del pignoramento).

Hai ricevuto un pignoramento o un atto di precetto irregolare? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Non tutti gli atti con cui un creditore agisce in via forzata sono legittimi. Se hai ricevuto un pignoramento, un atto di precetto, un’ingiunzione o un avviso di vendita con errori, violazioni di legge o notifiche irregolari, puoi presentare opposizione agli atti esecutivi.
Si tratta di un rimedio processuale previsto dall’art. 617 c.p.c., pensato per tutelare il debitore contro irregolarità formali e vizi procedurali.


In quali casi si presenta l’opposizione agli atti esecutivi?

Puoi fare opposizione quando:

  • L’atto di precetto contiene errori formali o è stato notificato senza rispettare i termini
  • Il pignoramento è stato eseguito in violazione delle regole (ad esempio su beni impignorabili)
  • Non ti è stata notificata regolarmente una cartella o un’ingiunzione alla base dell’azione
  • Manca la corretta indicazione del titolo esecutivo
  • Ci sono irregolarità nella vendita forzata o nella notifica degli atti dell’esecuzione

Attenzione: l’opposizione va presentata entro 20 giorni dalla conoscenza dell’atto viziato. Agire subito è fondamentale per evitare danni irreparabili.


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Conclusione

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