La Ristrutturazione Del Debito Aziendale Tramite Autofinanziamento

Hai un’impresa in difficoltà e ti stai chiedendo se puoi ristrutturare il debito aziendale senza ricorrere a nuovi prestiti, ma semplicemente usando le risorse interne? Vuoi capire come funziona l’autofinanziamento nella gestione della crisi e se può essere la soluzione per salvare la tua attività?

La ristrutturazione del debito tramite autofinanziamento è una strategia concreta e sostenibile per uscire dalla crisi senza aumentare l’indebitamento, valorizzando le risorse dell’impresa e riorganizzando i flussi interni. Non sempre servono nuove linee di credito: a volte è questione di visione, metodo e coraggio nelle scelte.

Cos’è l’autofinanziamento nella ristrutturazione aziendale?
È la capacità dell’impresa di generare liquidità interna per:
– Pagare i debiti gradualmente
– Coprire le spese correnti
– Investire nella ripresa
– Dimostrare ai creditori la possibilità di risanamento concreto
Si basa su utili non distribuiti, disinvestimenti mirati, recupero di crediti, riduzione dei costi fissi e razionalizzazione dei processi.

Quando è possibile ristrutturare il debito senza finanziamenti esterni?
– Quando ci sono ancora margini di profitto, anche se ridotti
– Quando l’impresa ha asset vendibili o liquidabili senza compromettere l’operatività
– Quando è possibile ridurre l’indebitamento attraverso accordi diretti con i creditori
– Quando esiste una gestione attiva e consapevole dei flussi di cassa

Quali passaggi devi seguire per riuscirci?
– Analizzare i debiti attivi e passivi, distinguendo quelli urgenti da quelli negoziabili
– Rivedere il business plan in ottica di recupero
– Ridurre i costi inutili o non produttivi
– Gestire il magazzino in modo efficiente
– Ottimizzare la gestione dei crediti commerciali
– Trattare piani di rientro sostenibili con i creditori

L’autofinanziamento è sufficiente da solo?
Dipende dalla situazione. In molti casi è il primo passo per:
– Evitare nuovi indebitamenti
– Mostrare ai creditori che l’impresa sta reagendo concretamente
– Sostenere un percorso di composizione negoziata
– Rafforzare la posizione dell’imprenditore in eventuali trattative o accordi giudiziali

E se servono comunque strumenti legali?
Puoi affiancare l’autofinanziamento a:
– Un accordo di ristrutturazione dei debiti
– Un piano attestato di risanamento
– Una composizione negoziata della crisi, per bloccare le azioni esecutive e prendere tempo
– Strumenti di dilazione fiscale e previdenziale

Cosa NON devi fare?
– Aspettare che finiscano anche le ultime risorse interne
– Usare l’autofinanziamento solo per tamponare le urgenze, senza un piano
– Disfarti di asset chiave senza una strategia
– Fare promesse ai creditori che non puoi mantenere

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in ristrutturazione del debito e crisi d’impresa – ti spiega come funziona l’autofinanziamento nella gestione delle crisi aziendali, quali vantaggi può offrire e come usarlo al meglio per uscire dal sovraindebitamento senza peggiorare la situazione.

La tua azienda è in difficoltà ma genera ancora valore? Vuoi sapere se puoi rientrare dai debiti senza accendere nuovi prestiti?

Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme la tua situazione economica, valuteremo le risorse interne disponibili e costruiremo un piano legale e operativo per ristrutturare il debito aziendale tramite autofinanziamento e rilanciare l’attività.

Introduzione

Nel contesto economico attuale, molte imprese italiane si trovano ad affrontare situazioni di crisi finanziaria o insolvenza. In questi frangenti, è fondamentale conoscere gli strumenti giuridici disponibili per ristrutturare il debito aziendale, specialmente privilegiando soluzioni che consentano all’impresa di risollevarsi facendo affidamento sulle proprie risorse interne (il cosiddetto autofinanziamento). L’idea di fondo è permettere al debitore di superare le difficoltà utilizzando i flussi di cassa generati dall’azienda stessa, evitando per quanto possibile di ricorrere a nuovo indebitamento esterno. Questo approccio è in linea con l’evoluzione normativa italiana, che negli ultimi anni ha spostato il focus dalla liquidazione punitiva dell’impresa insolvente verso il risanamento e la continuità aziendale, ove possibile.

La guida che segue – aggiornata a giugno 2025 – offre un’analisi dettagliata e avanzata degli strumenti previsti dall’ordinamento italiano per la ristrutturazione del debito dal punto di vista del debitore (impresa). Saranno esaminati sia gli strumenti extragiudiziali (accordi privati assistiti da professionisti o negoziazioni con i creditori) sia quelli giudiziali (procedure concorsuali vere e proprie innanzi al tribunale).

La guida includerà riferimenti normativi aggiornati (in particolare al nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019, come modificato fino al 2024), i principali orientamenti giurisprudenziali più recenti, nonché tabelle riepilogative, sezioni di domande e risposte (FAQ) e simulazioni pratiche basate su casi italiani verosimili. In particolare, verranno approfonditi tutti gli strumenti di regolazione della crisi – dagli accordi stragiudiziali come i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione, alle soluzioni giudiziali quali il concordato preventivo (nelle sue varie forme) e il nuovo piano di ristrutturazione omologato (PRO) – evidenziando per ciascuno finalità, presupposti, vantaggi e rischi per il debitore. L’attenzione sarà costantemente rivolta al punto di vista del debitore, ossia a come l’imprenditore può attivarsi per gestire al meglio la situazione debitoria e preservare la propria attività, sfruttando l’autofinanziamento e gli strumenti giuridici disponibili per evitare la liquidazione giudiziale (l’ex fallimento, ora liquidazione giudiziale).

Quadro normativo e aggiornamenti al 2025

Il quadro normativo italiano in materia di crisi d’impresa è stato oggetto di una profonda riforma con l’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (di seguito CCII) emanato con D.Lgs. 14/2019. Il CCII ha sostituito integralmente la vecchia Legge Fallimentare del 1942, segnando il passaggio da un impianto incentrato sulla liquidazione a un sistema moderno che privilegia l’emersione precoce della crisi e il risanamento aziendale ove possibile. L’entrata in vigore del Codice, inizialmente prevista nel 2020, è stata più volte rinviata (complice la pandemia COVID-19) ed è divenuta definitiva il 15 luglio 2022, contestualmente all’implementazione in Italia della Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvency (nota come Direttiva sul ristrutturazione preventiva).

Successivamente, il legislatore ha emanato tre decreti correttivi per perfezionare la disciplina alla luce delle prime esperienze applicative e adeguarla ulteriormente ai principi europei. In particolare:

  • Il D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (cosiddetto Correttivo-bis) ha integrato il Codice recependo pienamente la Direttiva UE 2019/1023. Questo intervento ha introdotto nuovi strumenti (come il Piano di Ristrutturazione Omologato – PRO) e ha rafforzato istituti esistenti, ad esempio prevedendo meccanismi di cram-down per superare il dissenso di alcune classi di creditori nei concordati preventivi.
  • Più di recente, il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (pubblicato in G.U. il 27 settembre 2024), noto come Correttivo-ter, ha apportato ulteriori modifiche sostanziali al CCII. Tra le novità di questa riforma 2024-2025 vi è l’estensione fino a due anni del periodo di moratoria per il pagamento dei crediti privilegiati o garantiti nel concordato preventivo. In base al nuovo art. 86, comma 5, CCII (che modifica l’art. 67 CCII previgente), il debitore può proporre nel piano di concordato in continuità di iniziare a pagare i creditori prelatizi fino a 24 mesi dopo l’omologazione. Ciò offre un “respiro” maggiore all’impresa in crisi, evitando l’obbligo di soddisfare immediatamente questi creditori e consentendo di destinare le risorse disponibili al rilancio dell’attività. La Cassazione aveva già chiarito che, con l’accordo dei creditori, sono ammissibili dilazioni anche più lunghe in casi eccezionali (Cass. civ. sez. I n. 22291/2020). Di recente, la stessa Cassazione (sez. I n. 576/2024) ha ribadito che piani con pagamenti dilazionati oltre i due anni possono essere confermati purché vi sia trasparenza e consenso informato dei creditori sulla convenienza del piano. Il legislatore del 2024, però, ha scelto di codificare un limite generale di due anni, colmando un vuoto normativo e bilanciando le esigenze del debitore con le garanzie per i creditori.
  • Il Correttivo-ter ha introdotto anche altre novità degne di nota: una maggiore flessibilità nella presentazione e modifica dei piani (ad esempio il tribunale può concedere al debitore 15 giorni aggiuntivi per integrare la documentazione o correggere il piano presentato, ai sensi del nuovo art. 48 bis CCII); l’introduzione del diritto di reclamo contro i provvedimenti del giudice nelle procedure di sovraindebitamento (prima non appellabili); e alcune semplificazioni procedurali volte a velocizzare le omologazioni e ridurre formalità e costi, in linea con l’obiettivo di rendere le procedure più accessibili, rapide ed equilibrate.

In sintesi, ad aprile-giugno 2025 il quadro normativo si presenta consolidato nelle sue linee portanti ma anche arricchito da questi interventi correttivi. Il CCII promuove una visione moderna della gestione della crisi d’impresa, orientata a salvaguardare la continuità aziendale e i valori economici, evitando per quanto possibile la liquidazione distruttiva del valore. Ciò va a vantaggio non solo dell’imprenditore (che ha maggiori chance di salvare la propria azienda tramite autofinanziamento e riorganizzazione interna), ma anche dei creditori, i quali in un risanamento possono ottenere soddisfazioni spesso migliori rispetto a un fallimento immediato. Naturalmente, resta ferma la tutela dei diritti dei creditori: l’omologazione giudiziale di piani e accordi richiede sempre la verifica che ai creditori dissenzienti sia assicurato almeno quanto otterrebbero in caso di liquidazione (il c.d. best interest test) e che non vi siano violazioni di legge.

Ricordiamo infine che il CCII ha introdotto obblighi importanti in capo all’imprenditore stesso e agli organi societari per prevenire e gestire tempestivamente la crisi. Ad esempio, l’art. 3 CCII e l’art. 2086 cod. civ. impongono all’organo amministrativo di adottare assetti organizzativi adeguati a rilevare gli indizi di crisi e di attivarsi senza indugio per affrontarli (pena responsabilità per mala gestio e violazione dei doveri di conservazione del patrimonio sociale). Ciò significa che un amministratore accorto deve monitorare indicatori come perdite di esercizio, flussi di cassa prospettici (DSCR), ritardi nei pagamenti di debiti fiscali o ai fornitori, ecc., e se emergono squilibri gravi deve valutare l’utilizzo degli strumenti di allerta o di composizione della crisi offerti dalla legge. In quest’ottica, la tempestività è fondamentale: quanto prima si interviene con un piano di risanamento, maggiori sono le probabilità di successo attraverso l’autofinanziamento e minori i sacrifici richiesti a creditori e stakeholder.

Riassunto del quadro normativo (2025):

  • Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019) in vigore dal 15/07/2022, orientato al risanamento e alla continuità, in attuazione della Direttiva UE 2019/1023.
  • Decreti correttivi 2020-2024: tre interventi (2020, 2022, 2024) hanno introdotto nuovi strumenti (es. composizione negoziata, concordato semplificato, PRO) e chiarito aspetti dubbi (moratorie, transazione fiscale, ecc.), recependo le best practice europee.
  • Giurisprudenza recente: Cassazione e tribunali hanno sostenuto l’interpretazione “pro-concordato” (favorendo piani dilazionati se vantaggiosi per i creditori, autorizzando cram-down su creditori dissenzienti in presenza di convenienza, ecc.), confermando l’impianto del nuovo Codice.
  • Obblighi di prevenzione: gli amministratori devono attivarsi al manifestarsi della crisi, pena responsabilità; gli organi di controllo (sindaci, revisori) e creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS) hanno obblighi di segnalazione nelle situazioni di insolvenza per attivare l’allerta (strumenti di allerta interna/esterna, non approfonditi qui).

Alla luce di questo scenario normativo, passiamo ora a definire alcuni concetti chiave (crisi vs insolvenza, autofinanziamento) e ad esaminare i singoli strumenti di ristrutturazione del debito, con particolare riguardo all’impiego dell’autofinanziamento nei piani di risanamento.

Crisi d’impresa, insolvenza e autofinanziamento: definizioni chiave

Per comprendere le soluzioni di ristrutturazione del debito, è opportuno chiarire la differenza tra stato di crisi e stato di insolvenza, nonché il significato di autofinanziamento aziendale nel contesto del risanamento.

  • Crisi d’impresa: secondo il CCII, per crisi si intende lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza futura se non si interviene. In pratica è una situazione di squilibrio (patrimoniale o di liquidità) che, pur non impedendo ancora all’impresa di adempiere regolarmente ai propri debiti, segnala una tendenza negativa (es. perdite di esercizio significative, cash flow insufficiente a far fronte alle scadenze, capitale netto eroso sotto il minimo legale, ecc.). La crisi è dunque un campanello d’allarme: senza misure correttive, l’azienda potrebbe diventare insolvente a breve.
  • Insolvenza: è invece lo stato più grave in cui l’imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni con i mezzi ordinari. Si manifesta tipicamente con inadempimenti generalizzati, mancati pagamenti diffusi, protesti, pignoramenti subiti ecc. In altre parole, l’insolvenza è una incapacità attuale di far fronte agli impegni finanziari, a differenza della crisi che rappresenta un rischio futuro di insolvenza. La distinzione è cruciale perché molti strumenti predisposti dalla legge (piani di risanamento, accordi, composizione negoziata) mirano a intervenire nella fase di crisi, prima che questa degeneri in insolvenza conclamata. Se invece l’insolvenza è già manifesta e irreversibile, si ricorre alle procedure liquidatorie come la liquidazione giudiziale (ex fallimento).

Dal punto di vista del debitore, cogliere tempestivamente i segnali di crisi e agire in quella fase può fare la differenza tra il salvataggio e la perdita dell’impresa. Gli strumenti di ristrutturazione del debito che analizzeremo sono disponibili sia in fase di crisi, sia – alcuni – anche in caso di insolvenza conclamata (ad esempio il concordato preventivo può essere richiesto anche dall’imprenditore insolvente). Tuttavia, tutti questi istituti incoraggiano l’imprenditore ad attivarsi prima possibile: la legge premia chi non aspetta di esaurire la cassa e non aggrava il dissesto procrastinando gli interventi (atteggiamenti omissivi che potrebbero integrare tra l’altro profili di responsabilità, come la wrongful trading all’italiana prevista dall’art. 378 CCII).

  • Autofinanziamento: in economia aziendale, il termine indica la capacità di un’azienda di finanziare il proprio fabbisogno utilizzando le risorse finanziarie interne generate dalla gestione, anziché ricorrere a capitali esterni (debiti bancari, apporti di terzi). L’autofinanziamento consiste principalmente nell’utilizzo degli utili non distribuiti (o di altre poste di patrimonio netto come riserve) e dei flussi di cassa operativi per coprire investimenti, spese e debiti. In pratica, un’azienda che si autofinanzia reinveste i propri profitti nell’attività (anziché distribuirli) o mobilizza risorse interne (ad esempio vendita di cespiti non strategici, riduzione del magazzino, miglior gestione del circolante) per ottenere liquidità da destinare al rimborso dei debiti.

Nel contesto della ristrutturazione del debito aziendale, “tramite autofinanziamento” significa dunque attuare un piano di risanamento facendo leva sui mezzi propri dell’impresa: i flussi di cassa prospettici generati dall’operatività futura, i sacrifici interni (es. rinuncia dei soci a dividendi o apporto di capitale da parte loro), l’eventuale realizzo di beni non essenziali, il tutto finalizzato a reperire risorse per pagare (in tutto o in parte) i creditori e riequilibrare la struttura finanziaria, senza incrementare l’indebitamento esterno. Un piano basato sull’autofinanziamento tipicamente prevede che l’impresa continui l’attività (con eventuali riorganizzazioni per tornare redditizia) e utilizzi i profitti futuri per soddisfare gradualmente i creditori. Questo approccio ha il vantaggio di non gravare l’azienda di nuovi debiti (che comporterebbero interessi e ulteriori oneri finanziari). Inoltre, rende il risanamento più sostenibile nel medio termine: se l’azienda riesce a “stare in piedi da sola”, potrà ridurre il capitale di debito nel tempo e uscire dalla crisi in modo stabile, invece di rinviarla contraendo nuovi finanziamenti.

Va detto che non sempre l’autofinanziamento è sufficiente: in taluni casi di crisi più acuta, può essere necessario affiancare risorse esterne (ad es. un nuovo finanziamento ponte, o l’ingresso di un investitore) per poter attuare la ristrutturazione. La normativa incoraggia anche questi apporti esterni fornendo loro tutele (ad esempio la prededuzione per i finanziamenti autorizzati durante un concordato o accordo omologato, ex art. 99 CCII). Tuttavia, l’obiettivo primario dal punto di vista del debitore è spesso evitare di “aggiungere debiti ai debiti”: quindi i piani di risanamento ben congegnati mirano a ridurre l’indebitamento complessivo utilizzando quanto più possibile le risorse generate internamente (in termini di utili futuri, efficienze operative, cessione di asset non strategici, contributi dei soci). Ciò è in linea con il principio sancito dall’art. 87 CCII, secondo cui nei concordati liquidatori deve esservi un apporto di risorse esterne almeno pari al 10% dell’attivo liquidabile: il legislatore vuole assicurare che i creditori ottengano nel concordato qualcosa in più di quanto ricaverebbero da una liquidazione, spesso ottenibile proprio tramite nuovi apporti o autofinanziamento del debitore.

Per riassumere:

  • Crisi = difficoltà attuali che preludono a insolvenza futura (se non si interviene). È il momento in cui attivare gli strumenti di risanamento.
  • Insolvenza = incapacità attuale di pagare i debiti. Se irreversibile, porta a liquidazione; se reversibile, si gestisce con procedure concorsuali di ristrutturazione (es. concordato).
  • Autofinanziamento = uso delle risorse interne (utili non distribuiti, liquidità generata dall’attività) per finanziare l’impresa. Nei piani di ristrutturazione, significa pagare i creditori con i flussi di cassa che l’azienda genera attraverso la continuità aziendale, invece di ricorrere a nuovi debiti.

Nelle sezioni seguenti vedremo come i vari strumenti giuridici consentono di realizzare la ristrutturazione del debito, spesso prevedendo piani pluriennali in cui l’impresa paga parzialmente i creditori con la cassa che produrrà in futuro (tipicamente in un concordato in continuità o in un accordo di ristrutturazione). Dal punto di vista del debitore, si tratta di guadagnare tempo e alleggerire il peso del debito per tornare a produrre utili e ripagare gradualmente i propri obblighi.

Passiamo ora in rassegna i principali strumenti di ristrutturazione del debito previsti dalla normativa italiana, distinguendo tra soluzioni extragiudiziali (fuori dal tribunale, basate su accordi volontari) e soluzioni giudiziali (procedure concorsuali davanti al giudice). Nella trattazione seguente, per ciascun strumento verranno evidenziati: la natura giuridica, i presupposti di utilizzo, come avviene il coinvolgimento dei creditori e quale livello di consenso è richiesto, il grado di intervento dell’autorità giudiziaria, nonché i vantaggi/svantaggi principali e le implicazioni sul piano pratico per l’imprenditore. Al termine dell’analisi, alcune tabelle riepilogative forniranno un confronto sintetico tra gli strumenti, e saranno proposti esempi concreti e una sezione FAQ con le domande più frequenti.

Strumenti extragiudiziali di ristrutturazione del debito

Le soluzioni extragiudiziali sono quelle che si svolgono fuori dalle procedure concorsuali formali, principalmente tramite accordi volontari tra il debitore e i creditori, eventualmente assistiti da professionisti e con benefici legali limitati (ad es. esenzioni da revocatoria). Questi strumenti puntano a risanare l’impresa senza l’intervento invasivo del tribunale, preservando spesso una maggiore riservatezza e con costi minori. Il rovescio della medaglia è che richiedono un elevato consenso: non essendoci l’imposizione coattiva tipica delle procedure concorsuali, il debitore deve convincere spontaneamente una parte significativa (spesso la totalità) dei creditori ad aderire al piano di ristrutturazione.

In questa categoria rientrano:

  • I piani attestati di risanamento (accordi privati supportati da una perizia di un esperto indipendente).
  • Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, nelle varie declinazioni previste (standard, “agevolati”, ad efficacia estesa, ecc.), che pur prevedendo l’omologazione in tribunale mantengono una natura negoziale.
  • La composizione negoziata della crisi, uno strumento introdotto di recente che, pur avendo alcuni innesti giudiziari (come la possibilità di ottenere misure protettive dal tribunale), è essenzialmente una procedura volontaria di trattativa assistita con i creditori.

Vediamoli in dettaglio.

Piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento è lo strumento più snello e “privato” per ristrutturare il debito. È disciplinato dall’art. 56 CCII (che ricalca il previgente art. 67, co. 3, lett. d) L.Fall.). Si tratta, in sostanza, di un piano di risanamento aziendale redatto dall’imprenditore (di concerto con i suoi consulenti finanziari e legali) che appare idoneo a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa, attestato nella sua veridicità e fattibilità da un professionista indipendente.

Caratteristiche chiave del piano attestato di risanamento:

  • È un accordo privato tra debitore e creditori, senza intervento del tribunale (non richiede omologazione né apertura di procedura concorsuale).
  • Non esiste una soglia legale minima di creditori aderenti: in teoria il piano può coinvolgere anche uno solo o alcuni creditori, purché l’operazione complessiva miri al risanamento. In pratica, però, per riuscire deve includere tutti (o quasi) i creditori principali, perché i creditori esclusi o non consenzienti non sono vincolati e possono agire individualmente.
  • Deve esserci la relazione di un attestatore indipendente (un professionista, tipicamente un commercialista o revisore, con i requisiti di legge) che certifichi: (a) la veridicità dei dati aziendali esposti nel piano; (b) la fattibilità del piano stesso, ossia che l’impresa, seguendo le azioni previste, può ragionevolmente risanarsi e pagare i debiti secondo le nuove scadenze proposte.
  • Il piano può contenere vari tipi di manovre finanziarie: ad esempio dilazioni di pagamento, riduzioni parziali del debito (se i creditori le accettano), conferimenti dei soci (nuovi apporti di capitale o finanziamenti postergati), cessioni di asset non strategici per fare cassa, rinegoziazione di condizioni di mutuo, ecc. L’importante è che, a fine piano, l’azienda risulti sostenibile (patrimonialmente e finanziariamente).
  • Autofinanziamento nel piano: tipicamente, l’attestatore valuta i flussi di cassa prospettici dell’impresa e attesta che, grazie alle misure previste (taglio costi, dismissioni, nuovi prodotti, ecc.), l’azienda riuscirà a generare liquidità sufficiente a pagare i creditori secondo il piano. È proprio questo l’elemento dell’autofinanziamento: la copertura del debito avviene grazie alle performance future dell’impresa. Ad esempio, un piano potrebbe prevedere che l’azienda, in 5 anni, destini ai creditori una quota degli utili annuali stimati, fino a soddisfare il 100% (o una certa percentuale) del debito pregresso.
  • Protezione legale: pur mancando l’omologazione, il piano attestato offre un beneficio importante al debitore diligente. Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale). In altre parole, se l’imprenditore segue un piano attestato e poi, malgrado ciò, fallisce, le operazioni compiute secondo il piano (ad es. pagamenti fatti ai creditori, vendite di beni) non potranno essere invalidate dal curatore, a meno che ovviamente il piano fosse fraudolento. Questo scudo – previsto dall’art. 56 CCII – mira a incoraggiare i tentativi di risanamento in buona fede, mettendo al riparo chi ha fatto accordi sul debito da successivi “ripensamenti” forzosi.

Dal punto di vista del debitore, i vantaggi del piano attestato sono:

  • Rapidità e riservatezza: non essendoci procedure pubbliche, il piano resta un accordo privato; viene di solito depositato (facoltativamente) presso il registro delle imprese per dare data certa, ma non comporta pubblicità della crisi paragonabile a un concordato. Ciò evita danni reputazionali con clienti e fornitori.
  • Continuità gestionale: l’imprenditore resta pienamente al comando, non c’è interferenza di commissari o giudici. Può portare avanti il business normalmente durante l’esecuzione del piano.
  • Costi contenuti: si sostengono i costi per l’attestatore e i consulenti, ma si evitano i costi ben maggiori di una procedura concorsuale (spese di procedura, compensi del commissario/curatore, ecc.).
  • Flessibilità: essendo un contratto, può essere modulato sulle esigenze specifiche dell’impresa e dei creditori coinvolti, senza dover rispettare rigidi requisiti di legge sul contenuto (oltre, ovviamente, all’obbligo che non sia in frode ai creditori e sia fattibile).

Gli svantaggi e limiti sono però significativi:

  • Consenso integrale necessario: i creditori non aderenti non sono vincolati dal piano e mantengono intatti i loro diritti. Ciò significa che basta un importante creditore che rifiuti l’accordo per far fallire l’intera operazione (o comunque per costringere il debitore a includerlo, magari pagando integralmente quel credito). In pratica, il piano attestato funziona bene quando c’è disponibilità al dialogo da parte di tutti i principali creditori e le posizioni non sono troppo conflittuali.
  • Nessuna moratoria legale: diversamente dalle procedure omologate, qui non c’è la possibilità di ottenere dal tribunale un congelamento delle azioni esecutive. Se un creditore volesse aggredire i beni del debitore (pignoramenti) lo potrebbe fare, salvo accordi di moratoria presi volontariamente. Spesso, infatti, nelle trattative parallele al piano, il debitore chiede ai creditori una standstill (moratoria) concordata: ad esempio le banche si impegnano a non revocare fidi né intraprendere azioni esecutive per la durata delle negoziazioni e dell’implementazione iniziale del piano. Ma è un impegno contrattuale, non imposto erga omnes da un giudice.
  • Rischio di insuccesso e scoperto: se il piano non riesce a risanare l’impresa o se qualche creditore “rompe le righe”, si potrebbe precipitare comunque verso l’insolvenza e una successiva procedura concorsuale formale. Il piano attestato non dà la certezza di liberazione dai debiti (non c’è un effetto di esdebitazione se non pagando integralmente i creditori o se questi hanno rinunciato contrattualmente a parte del credito).

Quando utilizzare il piano attestato? È indicato nelle crisi iniziali o di moderata gravità, in cui:

  • L’impresa ha ancora credibilità e margini di recupero evidenti (cosicché un professionista possa attestare la fattibilità del risanamento).
  • C’è un numero limitato di creditori rilevanti, o comunque creditori relativamente omogenei e con cui sia possibile trovare un’intesa (ad es. un pool di banche, alcuni fornitori principali disposti a dilazionare).
  • Si vuole evitare la pubblicità e l’impatto di una procedura concorsuale, per non allarmare clienti/fornitori e poter proseguire l’attività in tranquillità.
  • È possibile mettere in campo misure di autofinanziamento e interventi rapidi: ad esempio i soci possono rinunciare temporaneamente a parte dei crediti verso la società o fornire liquidità, l’azienda può vendere velocemente un immobile non strategico e usare il ricavato per abbattere parte dei debiti, ecc. In pratica, il piano attestato spesso funge da “primo tentativo di aggiustare la rotta”; se funziona, evita di dover passare a soluzioni più drastiche.

Esempio pratico 1 (piano attestato con autofinanziamento): Delta S.r.l. ha debiti per 3 milioni (2 milioni verso banche e 1 verso fornitori). L’azienda ha un core business sano e ordini in crescita, ma le rate dei mutui e gli arretrati verso fornitori stanno creando tensione di liquidità. Delta elabora con un advisor un piano a 5 anni: i soci si impegnano a non prelevare utili e a versare 100.000 € di nuova finanza, le banche accettano di allungare la durata dei mutui da 3 a 6 anni e di ridurre il tasso d’interesse, i fornitori principali accettano di essere pagati con 90 giorni aggiuntivi rispetto alle scadenze originali. Un professionista indipendente attesta che, con queste misure, i flussi di cassa futuri di Delta saranno sufficienti a pagare tutti i creditori alle nuove scadenze e che l’EBITDA aziendale tornerà positivo e in crescita. Tutti i creditori coinvolti aderiscono volontariamente al piano. Delta deposita il piano attestato presso il Registro Imprese per conferire data certa agli atti. Nei successivi 5 anni, grazie alla disciplina finanziaria interna (utili reinvestiti anziché distribuiti) e alle nuove scadenze più lunghe, Delta riesce a onorare il piano e a uscire dalla crisi senza mai passare dal tribunale. I creditori sono stati soddisfatti integralmente, sebbene con ritardo; l’azienda ha evitato il fallimento e ha proseguito l’attività, con i soci che hanno accettato il sacrificio di ricapitalizzare e non prelevare dividendi per tutta la durata del risanamento.

Accordo di ristrutturazione dei debiti

L’accordo di ristrutturazione dei debiti (disciplinato dagli artt. 57-64 CCII, ex art. 182-bis L.Fall.) è uno strumento negoziale ibrido, a metà strada tra il piano attestato privato e il concordato preventivo. Si tratta di un accordo sottoscritto tra il debitore e una parte qualificata dei suoi creditori, che viene poi sottoposto all’omologazione del tribunale per acquistare efficacia vincolante anche verso terzi (in certi limiti) e per ottenere alcune protezioni legali. In sintesi, l’accordo di ristrutturazione consente al debitore di ridurre e/o ristrutturare il proprio debito con il consenso di una maggioranza qualificata di creditori, evitando la procedura collettiva classica (niente voto di tutti i creditori, nessun commissario, ecc.), ma sfruttando l’intervento giudiziale per “blindare” l’accordo raggiunto.

Caratteristiche principali:

  • Soglia di adesione: occorre l’adesione di almeno il 60% dei crediti (in valore). Dunque i creditori che rappresentano almeno il 60% del totale dei crediti verso l’impresa devono sottoscrivere l’accordo. È importante notare che si parla di percentuale sul valore totale dei debiti: ciò implica che se si convince quella maggioranza, il restante 40% (per valore) dei creditori potrebbe anche non aderire.
  • Trattamento dei creditori non aderenti: i creditori estranei all’accordo non sono automaticamente vincolati alla ristrutturazione (non subiscono riduzioni o dilazioni imposte); essi mantengono il diritto di essere pagati alle scadenze originarie. Di regola, quindi, il debitore deve pagare integralmente i “dissenzienti” alle loro naturali scadenze. Tuttavia, l’accordo omologato offre un duplice vantaggio: (a) i creditori estranei beneficiano comunque dell’esenzione da revocatoria per i pagamenti ricevuti secondo l’accordo; (b) in certi casi particolari, è possibile estendere gli effetti dell’accordo anche ai non aderenti (lo vedremo a proposito degli accordi ad efficacia estesa). Inoltre, le novità normative prevedono ora la possibilità di un cram-down fiscale per vincolare anche il Fisco dissenziente, su cui torneremo tra breve.
  • Attestazione e contenuto: è richiesto che un attestatore indipendente avvalori il piano sottostante all’accordo, certificando che esso è idoneo ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei nei termini di legge (solitamente 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologazione) e la sostenibilità dell’accordo. Il piano di ristrutturazione allegato all’accordo può essere in continuità (se l’impresa prosegue la sua attività generando utili per pagare i creditori) oppure può anche prevedere la cessione di beni (liquidazione parziale) purché finalizzata a soddisfare i creditori secondo l’accordo. È ammesso anche un accordo che sia sostanzialmente liquidatorio, ma in tal caso se coinvolge creditori estranei, questi devono essere pagati per intero come detto. Frequentemente, gli accordi riguardano ristrutturazioni finanziarie: ad esempio banche che accettano di rinegoziare i propri crediti (ridurre tassi, trasformare parte del credito in strumenti partecipativi o quote di capitale, allungare le scadenze) in cambio di un piano di rimborso più realistico e magari di garanzie aggiuntive.
  • Procedimento: il debitore presenta ricorso al tribunale allegando l’accordo firmato dai creditori aderenti, il piano e la relazione dell’attestatore. Può contestualmente chiedere la sospensione delle azioni esecutive (misure protettive) durante l’omologazione. Il tribunale, verificati i requisiti, omologa l’accordo rendendolo efficace. Da quel momento, i creditori aderenti sono vincolati nei termini pattuiti (non possono più pretendere l’adempimento originario) e i creditori estranei devono essere soddisfatti almeno secondo le tutele di legge (come detto, integralmente salvo diversa disciplina per categorie particolari).
  • Vantaggi per il debitore: a differenza di un piano puramente privato, qui il debitore ottiene:
    • Una sorta di “sigillo giudiziario” sull’accordo: l’omologazione lo rende inattaccabile, garantendo che eventuali contestazioni siano superate salvo casi eccezionali.
    • La possibilità di accedere a misure protettive (stay) durante la procedura: tipicamente il tribunale, su richiesta, può bloccare o sospendere temporaneamente i procedimenti esecutivi e cautelari dei creditori mentre è pendente l’omologazione (in genere per un periodo iniziale fino a 60 giorni, prorogabile, in analogia all’art. 54 CCII). Questo consente al debitore di negoziare senza la pressione di pignoramenti in corso.
    • Benefici fiscali: i debiti fiscali ridotti in sede di accordo rientrano nell’istituto della transazione fiscale, con effetti esdebitatori una volta omologato l’accordo (per esempio, un accordo omologato che preveda stralcio di sanzioni tributarie è opponibile all’Erario).
    • Esonero da revocatoria: come per i piani attestati, gli atti e pagamenti eseguiti in coerenza con l’accordo omologato non sono soggetti a revocatoria in caso di successivo fallimento (art. 59 CCII).
  • Varianti e sviluppi recenti: il CCII e i correttivi hanno arricchito l’istituto con alcune varianti:
    • Accordo di ristrutturazione “agevolato”: l’art. 60 CCII permette al debitore che abbia già raccolto il 30% di adesioni di ottenere dal tribunale misure protettive prima di raggiungere il quorum del 60%. Questo consente di proteggersi da azioni esecutive mentre si negozia con i creditori rimanenti, facilitando il raggiungimento della soglia. È come un pre-accordo: se hai almeno un terzo di creditori che ti appoggiano, il tribunale può darti tempo per convincerne altri, sospendendo intanto le pretese, così da “agevolare” il completamento dell’accordo.
    • Accordo ad efficacia estesa: disciplinato dall’art. 61 CCII (riprende l’ex art. 182-septies L.Fall.), consente di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti a determinate categorie omogenee, se una larga maggioranza di essi ha aderito. In particolare, ciò è pensato per le banche e gli intermediari finanziari: se, ad esempio, l’85% dei crediti bancari ha sottoscritto l’accordo, il debitore può chiedere al tribunale di imporre l’accordo anche alle banche dissenzienti che rappresentano il restante 15%, assicurando loro però lo stesso trattamento delle altre (stesse dilazioni, stesso eventuale percentuale di rimborso). Questa è una forma di cram-down settoriale che evita che poche banche dissenzienti facciano saltare un accordo condiviso dalla maggior parte del ceto bancario. Importante: per attivare l’efficacia estesa, i creditori da “trascinare” devono appartenere alla stessa categoria giuridico-economica dei consenzienti (ad es. tutti chirografari finanziari). Inoltre, per i creditori non aderenti così inclusi, l’accordo può modificarne l’importo e le condizioni (falcidia, dilazione) ma non può modificare la scadenza originaria dei loro crediti oltre la soglia di legge, a meno che quei crediti scadano dopo l’omologazione. In pratica, l’efficacia estesa è sensata soprattutto per crediti non già scaduti: se il credito del dissenziente fosse già scaduto o scadesse prima dell’omologazione, va pagato altrimenti quello si potrebbe attivare subito. Nel caso classico di finanziamenti bancari a medio termine, invece, l’accordo può riscadenzare l’intero pool di banche per esempio.
    • Accordi con intermediario “esperto”: possibilità introdotta di nominare un facilitatore (sul modello dell’esperto della composizione negoziata) anche nelle trattative degli accordi di ristrutturazione. Tuttavia, questa figura nella pratica non si è diffusa perché la composizione negoziata copre già questa esigenza a monte (infatti molte trattative sfociate in accordi sono condotte nell’ambito di una precedente composizione negoziata).
    • Transazione fiscale: il debitore può includere nell’accordo una proposta di trattamento dei debiti fiscali e contributivi, analogamente a quanto avviene nel concordato preventivo. Se gli enti (Agenzia Entrate, INPS, etc.) aderiscono, bene; se non aderiscono ma la proposta era conveniente rispetto alla liquidazione e la maggioranza degli altri creditori ha accettato l’accordo, il tribunale può omologare comunque l’accordo applicando un cram-down fiscale limitato. In tal caso, l’accordo viene omologato pur col diniego del Fisco, ma la liberazione del debitore verso il Fisco si produce solo a fine piano, dopo l’esecuzione (gli enti dissenzienti restano insoddisfatti ma la loro pretesa viene azzerata solo a completamento dell’accordo omologato). Questo meccanismo, introdotto dal 2022 e confermato nel 2024, evita che l’inerzia o il veto dell’erario possa bloccare accordi vantaggiosi per tutti (purché si dimostri che al Fisco viene offerto almeno quanto otterrebbe da un fallimento).

Dal punto di vista pratico e del debitore:

  • Un accordo di ristrutturazione conviene quando l’impresa ha troppi debiti per un semplice piano privato, ma riesce a ottenere il supporto convinto di un nucleo consistente di creditori (ad es. le banche principali) e vuole evitare la lunghezza e la pubblicità di un concordato.
  • È particolarmente indicato per crisi che sono prevalentemente di natura finanziaria (over-indebitamento bancario): in tali casi, spesso i fornitori e altri creditori minori possono essere pagati regolarmente (mantenendoli fuori dall’accordo), concentrando la ristrutturazione sulle banche. Questo consente di limitare la platea di chi deve aderire e tenere “fuori” dalla procedura clienti e fornitori per non allarmarli.
  • Dal lato negativo, l’accordo richiede pur sempre elevato consenso: se la compagine dei creditori è molto frastagliata o ci sono conflitti di interesse forti, può essere difficile ottenere il 60% di adesioni. Inoltre, un creditore strategico (come una grande banca o il Fisco) se rimane ostile può complicare l’operazione (anche se, come abbiamo visto, oggi ci sono strumenti per aggirare l’ostilità di minoranze qualificate, tipo efficacia estesa e cram-down fiscale).
  • Per l’imprenditore, l’accordo è meno invasivo di un concordato: non c’è spossessamento, l’impresa non viene amministrata da terzi (viene nominato semmai un ausiliario o un commissario giudiziale limitatamente per assistere il tribunale nella valutazione durante l’omologa, ma la gestione resta all’imprenditore). In molti casi, i creditori finanziari però pongono condizioni: ad es., durante il piano l’azienda deve rispettare certi indici finanziari, fare reporting periodico alle banche, talvolta possono chiedere un osservatore esterno. Queste sono condizioni contrattuali, non legali, ma frequenti nei cosiddetti accordi di ristrutturazione in pool.

Esempio pratico 2 (accordo di ristrutturazione con efficacia estesa): Gamma S.p.A. ha 50 milioni di debiti, di cui 35 verso 5 banche e 15 verso fornitori. La crisi di Gamma è dovuta principalmente a oneri finanziari eccessivi. Dopo intense negoziazioni, Gamma ottiene che 4 banche su 5 (che detengono 30 milioni su 35 di crediti bancari, pari all’85% dell’esposizione verso banche e al 60% del debito totale) sottoscrivano un accordo così strutturato: conversione di 10 milioni di crediti in uno strumento finanziario partecipativo (una sorta di quasi-equity che verrà rimborsato solo se l’azienda torna in utile), allungamento a 7 anni della scadenza per i restanti 25 milioni con interessi ridotti, e concessione di 5 milioni di nuove linee di credito per supportare il circolante. La quinta banca (credito di 5 milioni garantito da ipoteca) non aderisce. I fornitori resteranno estranei all’accordo ma Gamma prevede di pagarli regolarmente, perché non vuole perdere la loro fiducia (sono critici per il business). Si firma l’accordo con le 4 banche e Gamma deposita ricorso per omologazione, chiedendo anche misure protettive. Il tribunale concede la sospensione temporanea delle azioni: la banca dissenziente non può iniziare o proseguire pignoramenti durante questo periodo. L’attestatore nella sua relazione certifica che: (a) grazie alla riduzione del servizio del debito e alla nuova finanza, Gamma sarà in grado di pagare puntualmente la banca non aderente alle scadenze originarie (quindi tutela del 100% per il dissenziente); (b) le banche aderenti, confrontando col possibile scenario di fallimento (dove recupererebbero forse il 50%), risultano più soddisfatte dall’accordo. Il tribunale dunque omologa l’accordo. Inoltre, in virtù dell’art. 61 CCII, viene estesa l’efficacia dell’accordo anche alla banca non aderente: poiché l’85% della categoria “banche finanziatrici” ha accettato, la quinta banca viene trascinata nella dilazione settennale alle stesse condizioni delle altre. In pratica la banca dissenziente non può pretendere subito i suoi 5 milioni, ma dovrà accettare pagamento in 7 anni, evitando però di dover subire un eventuale esito peggiore (se ci fosse stato fallimento, avrebbe preso meno). Una volta omologato, Gamma esegue l’accordo: un investitore terzo apporta 5 milioni di liquidità fresca (parte di questi fondi serve anche a pagare i fornitori estranei nei termini originali, così nessuno di loro subisce perdite né viene a sapere formalmente dell’accordo). Le banche adeguano i contratti di mutuo alle nuove scadenze e scambiano i vecchi crediti per i nuovi strumenti finanziari. Gamma continua l’attività risanata, avendo ridotto il debito effettivo, ottenuto nuovo credito e mantenuto buoni rapporti coi fornitori.

In questo esempio si vede il vantaggio per il debitore: evitare il concordato (che avrebbe richiesto il coinvolgimento di tutti i creditori, incluso far votare i fornitori e dare pubblicità alla crisi). Con l’accordo mirato alle banche, la questione è rimasta circoscritta e la reputazione sul mercato è stata protetta (fornitori pagati regolarmente, nessuna “nomea” di procedura concorsuale). La piccola banca dissenziente non ha potuto bloccare tutto perché la stragrande maggioranza del ceto bancario era favorevole, e la legge ha consentito di superare il dissenso imponendo la ristrutturazione anche a quella banca (principio di majority rule intra-categoria). In definitiva, Gamma ha sfruttato con successo l’accordo di ristrutturazione per ridurre il proprio indebitamento (anche grazie a nuovi capitali apportati, che rappresentano anch’essi una forma di autofinanziamento lato soci/investitori) e per dilazionare il debito residuo su un orizzonte compatibile con la generazione di cassa futura.

Composizione negoziata per la crisi d’impresa

La composizione negoziata della crisi è un istituto introdotto dall’ordinamento italiano nel 2021 (D.L. 118/2021, confluito poi negli artt. 12-25 quinquies CCII) come strumento pre-concorsuale di natura volontaria. Si tratta di una procedura stragiudiziale assistita, nella quale l’imprenditore in crisi può richiedere l’affiancamento di un esperto indipendente con il compito di facilitare le trattative tra il debitore e i creditori, al fine di individuare una soluzione consensuale per superare la crisi.

Elementi essenziali:

  • Volontarietà e riservatezza: la composizione negoziata si attiva su istanza dell’imprenditore, tramite una piattaforma telematica istituita presso le Camere di Commercio. La procedura è riservata: l’accesso non comporta automatica pubblicità, sebbene se vengono richieste misure protettive o altre autorizzazioni vi sarà poi un minimo di pubblicità legale. L’esperto è nominato da una commissione apposita (presso le CCIAA) e ha un profilo di indipendenza e competenza in materia di risanamenti.
  • Ruolo dell’esperto: non ha poteri sostitutivi, ma funge da facilitatore. Convoca il debitore e i creditori chiave, analizza la situazione aziendale e cerca di far emergere proposte per il risanamento. L’esperto formula “ipotesi di soluzione” e cerca di mettere d’accordo le parti. Il tutto avviene in modo non vincolante: il debitore non è obbligato ad accettare le proposte dell’esperto, né i creditori a concludere accordi. L’obiettivo però è di creare un ambiente di dialogo strutturato e competente.
  • Misure protettive: durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee, ossia un blocco delle azioni esecutive e cautelari dei creditori per la durata delle trattative (inizialmente fino a 4 mesi). Se concesse, queste misure vengono pubblicate nel registro imprese per conoscenza dei terzi. Durante tale periodo, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti sul patrimonio del debitore.
  • Operatività durante le trattative: il debitore conserva la gestione ordinaria. Per gli atti di straordinaria amministrazione, se necessita di compierne (es. vendere un immobile, ottenere un finanziamento prededucibile), deve ottenere l’autorizzazione del tribunale, sentito l’esperto. Ad esempio, l’art. 22 CCII consente al giudice di autorizzare finanziamenti urgenti durante la composizione, che saranno poi prededucibili.
  • Esito: la composizione negoziata può concludersi in vari modi:
    • Accordo stragiudiziale: se le parti trovano un’intesa, può rimanere un accordo privato (ad esempio una moratoria con le banche, o una rinegoziazione bilaterale con alcuni creditori) senza bisogno di omologazione. Questo magari accompagnato da un piano attestato.
    • Accordo di ristrutturazione: se si raggiunge la percentuale, l’imprenditore può formalizzare l’intesa come accordo ex art. 57 CCII e chiedere l’omologa in tribunale (spesso la composizione negoziata è propedeutica a ciò, e in tal caso l’accordo di ristrutturazione risultante è detto “con intermediario esperto”).
    • Concordato preventivo: il debitore può anche optare di uscire dalla composizione presentando direttamente domanda di concordato (spesso “in bianco”, riservandosi di presentare il piano entro 60-120 giorni). La composizione negoziata può servire per preparare il terreno al concordato.
    • Concordato semplificato: se non si trova alcuna soluzione atta a risanare l’impresa ma c’è l’interesse a evitare la frammentazione liquidatoria, il legislatore ha previsto la possibilità, per il solo debitore, di proporre un “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio” (art. 25-sexies CCII). Ne parleremo nella sezione sul concordato semplificato, ma in breve è una procedura liquidatoria senza voto dei creditori, utilizzabile solo se la composizione negoziata si è conclusa senza risanamento ma l’imprenditore ha una proposta da avanzare per liquidare i beni sotto controllo del tribunale evitando il fallimento.
    • Accesso alla liquidazione giudiziale: se tutto fallisce e l’impresa è insolvente, vi sarà eventualmente apertura della liquidazione giudiziale (spontanea o su istanza creditori).
  • Vantaggi per il debitore: la composizione negoziata è un tentativo anticipato e confidenziale di risolvere la crisi. Dal punto di vista dell’imprenditore, offre:
    • Assistenza professionale indipendente a costi limitati (i compensi dell’esperto sono parametrati e in parte a carico dello Stato in caso di PMI).
    • L’opportunità di esplorare soluzioni varie (non solo ristrutturazione del debito, ma magari anche ricerca di investitori, cessione dell’azienda, affitto d’azienda temporaneo) in un quadro protetto e ordinato.
    • La possibilità di ottenere subito una moratoria legale sulle azioni dei creditori, per evitare che, mentre cerca una soluzione, qualcuno pignori i conti o i beni aziendali.
    • Nessuno stigma immediato: non è un fallimento né un concordato, quindi in questa fase l’impresa non è soggetta alle incapacità o restrizioni tipiche del fallimento. Può continuare a operare (seppur con l’attenzione a non aggravare il dissesto).
  • Limiti: naturalmente, la composizione negoziata non garantisce il risultato. Se i creditori (o il debitore stesso) non collaborano o non vedono convenienza, l’esperto può solo prenderne atto e concludere negativamente. Inoltre, l’efficacia delle misure protettive è temporanea e può essere revocata se ad esempio il debitore tiene condotte pregiudizievoli o se emerge che non vi sono concrete prospettive di risanamento.

Dal punto di vista pratico del debitore, la composizione negoziata è spesso consigliabile come primo step quando la crisi non è ancora precipitata del tutto. È uno strumento introdotto di recente, ma i primi casi applicativi hanno mostrato che può portare a:

  • Moratorie congiunte con banche e principali creditori, che concedono tempo al debitore (magari dietro presentazione di un piano di risanamento abbozzato).
  • Rinegoziazioni di condizioni debitorie con l’intervento super partes dell’esperto che certifica la sostenibilità delle nuove condizioni.
  • In alcuni casi, individuazione di investitori interessati all’azienda: l’esperto può aiutare a stimare l’azienda e sondare possibili acquirenti o partner.

Esempio pratico 3: Delta Srl, impresa metalmeccanica, avvia la composizione negoziata. L’esperto nominato convoca subito i tre istituti bancari finanziatori e il fornitore principale (acciaieria) – i creditori cruciali – per proporre una moratoria di 6 mesi sul pagamento delle rate dei mutui e del debito fornitore. Durante gli incontri, l’esperto esamina i numeri di Delta e capisce che, con un alleggerimento temporaneo e qualche commessa in arrivo, l’azienda può riprendersi. Propone quindi una bozza di accordo: le banche sospendono i pagamenti fino a fine anno (congelando capitale e interessi per 6 mesi) e il fornitore principale continua a fornire materia prima ma accetta di riscuotere gli arretrati in 12 mesi a partire dall’anno prossimo; in cambio Delta si impegna a mettere in vendita un capannone inutilizzato per fare cassa e destinare il ricavato interamente ai creditori finanziari. Grazie all’opera mediatrice dell’esperto, i creditori accettano (erano consapevoli che se Delta fosse fallita avrebbero recuperato molto meno). Non occorre neppure ricorrere all’accordo di ristrutturazione omologato: le parti formalizzano questa intesa in un accordo stragiudiziale sottoscritto privatamente. Delta esce dalla composizione negoziata e, nei mesi seguenti, effettua la vendita dell’immobile, incassa le somme e comincia a pagare secondo i termini concordati. La crisi rientra e l’azienda evita procedure concorsuali.

Esempio pratico 4: EcoBuild Srl, impresa edile, si rivolge alla composizione negoziata dopo aver accumulato debiti insostenibili a causa di ritardi nei cantieri e aumento dei costi materie prime. L’esperto, dopo 3 mesi di riunioni, constata che nessun accordo di risanamento è possibile: le banche e i maggiori creditori non credono nella continuità di EcoBuild, c’è troppo debito e l’impresa non ha prospettive di tornare competitiva. Tuttavia, c’è un costruttore interessato ad acquisire il cantiere principale di EcoBuild (ancora incompiuto) per 1 milione di euro. Di fronte all’alternativa di un fallimento disordinato, l’imprenditore propone allora un concordato semplificato: invece di liquidazione giudiziale, chiede di poter vendere quel cantiere a quel prezzo sotto controllo del tribunale e distribuire il ricavato ai creditori, offrendo un ritorno del 30% sui crediti chirografari (meglio di quanto stimato in caso di fallimento). L’esperto nella sua relazione finale certifica che non vi era soluzione di continuità ma questa proposta liquidatoria è la migliore possibile per i creditori. EcoBuild dunque, conclusa la composizione senza accordo, deposita una proposta di concordato semplificato per la liquidazione. Il tribunale, verificato che la composizione si è svolta regolarmente ma senza esito, ammette il concordato semplificato. Non c’è voto dei creditori, viene direttamente fissata l’udienza di omologazione. Alcuni creditori fanno opposizione (non sono contenti di prendere solo 30%), ma il giudice – visto che la proposta è comunque più conveniente del fallimento e non ci sono alternative – omologa il concordato. Viene nominato un liquidatore giudiziale che in pochi mesi finalizza la vendita del cantiere e distribuisce il 30% a tutti i chirografari (i creditori privilegiati, come i dipendenti e l’erario, vengono pagati per intero col ricavato). EcoBuild al termine viene cancellata. In questo modo si è evitato il fallimento classico, realizzando una liquidazione più rapida e meno costosa (senza commissario, senza voto) a beneficio sia del debitore (che chiude la vicenda in tempi brevi e senza procedure penali per bancarotta fraudolenta, salvo reati pregressi) sia dei creditori (che ottengono subito il 30% invece di attendere anni in fallimento).

Questo esempio mostra come la composizione negoziata, pur non salvando l’azienda, abbia offerto un percorso ordinato verso la liquidazione, evitando il collasso incontrollato. Il concordato semplificato (strumento di cui parleremo a breve) è pensato proprio come ultima spiaggia per il debitore che, pur non potendo più salvare l’impresa, vuole gestire la chiusura in maniera concordata e meno traumatica rispetto al fallimento, a vantaggio di tutte le parti.

Sintesi strumenti extragiudiziali:

StrumentoNaturaFinalitàConsenso dei creditori richiesto
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Accordo privato con attestazione di esperto indipendenteRisanamento extragiudiziale con protezione da revocatorieConsenso integrale dei creditori coinvolti (accordo puramente contrattuale, i non aderenti non sono vincolati).
Accordo di ristrutturazione (artt. 57-60 CCII)Accordo omologato dal tribunale (procedura negoziale assistita da giudice)Ristrutturazione del debito con efficacia legale e protezione (stay, esdebitazione parziale)Consenso di almeno 60% dei crediti. Vincola solo i consenzienti e (eventualmente) alcune categorie di dissenzienti se si attiva efficacia estesa (≥75% in categoria).
Accordo di ristrutturazione agevolato (art. 60 CCII)Variante dell’accordo di ristrutturazioneFacilitare il raggiungimento del 60% di adesioni30% di adesioni iniziali per richiedere misure protettive e termine per arrivare al 60%.
Accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII)Variante con estensione coattivaCoinvolgere creditori dissenzienti di una categoria omogeneaAdesione di ≥75% dei crediti in una categoria (o 60% se risultato di composizione negoziata) consente estensione al restante. Di fatto applicato a banche/intermediari finanziari dissenzienti.
Composizione negoziata (artt. 12-25 CCII)Procedura stragiudiziale assistita da esperto indipendenteNegoziare soluzioni volontarie per evitare l’insolvenza (risanamento o, se impossibile, liquidazione concordata)Consenso volontario dei creditori alle proposte. Non c’è voto formale, l’esperto facilita accordi. Nessun quorum predeterminato (dipende dalla soluzione perseguita).

(N.B.: la tabella sopra riassume gli strumenti non concorsuali in senso stretto. Di seguito tratteremo quelli giudiziali.)

Strumenti giudiziali di ristrutturazione del debito

Quando la situazione di crisi o insolvenza richiede l’intervento dell’autorità giudiziaria – sia per tutelare la par condicio fra molti creditori, sia per imporre sacrifici anche ai dissenzienti – si fa ricorso alle procedure concorsuali disciplinate dal CCII. Queste sono procedure più complesse, con maggior grado di formalità e controllo, ma anche con efficacia più incisiva (vincolano tutti i creditori, danno esdebitazione a fine procedura, ecc.). Dal punto di vista del debitore, entrare in una procedura concorsuale significa accettare un certo sacrificio in termini di reputazione, costi e autonomia gestionale; tuttavia può essere l’unica via per salvare l’azienda se gli accordi stragiudiziali non sono praticabili.

Gli strumenti giudiziali di ristrutturazione (escludiamo qui la liquidazione giudiziale pura) sono:

  • Il concordato preventivo, nelle sue varianti:
    • concordato in continuità aziendale (quando l’impresa prosegue l’attività in tutto o in parte),
    • concordato liquidatorio (quando l’impresa cessa l’attività e liquida i beni, pur nell’ambito del concordato),
    • forme miste o particolari (es. concordato con assunzione, etc.).
  • Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, procedura speciale post-composizione negoziata.
  • Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), nuovo strumento introdotto nel 2022.
  • (Per completezza, il CCII prevede anche il “concordato minore” per soggetti non fallibili e gli strumenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento per consumatori e piccoli imprenditori, ma su questi non ci soffermiamo poiché la guida riguarda imprese soggette a fallibilità).

Vediamo i principali in dettaglio.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la tradizionale procedura concorsuale di risanamento prevista dall’ordinamento italiano (ora artt. 84 e ss. CCII). Consente all’imprenditore in crisi o insolvente di proporre ai creditori un piano per regolamentare la propria posizione debitoria, al fine di evitare la liquidazione fallimentare. Il concordato è detto “preventivo” proprio perché si svolge prima (e in luogo) del fallimento; se omologato, vincola tutti i creditori anteriori.

Principali caratteristiche:

  • Proposta e piano: il debitore presenta al tribunale una proposta concordataria corredata da un piano dettagliato e dalla relazione di un attestatore indipendente. Nel piano indica come intende soddisfare i creditori (in che percentuale e tempi) e con quali risorse (continuità aziendale, apporto di nuovi capitali, cessione beni, ecc.).
  • Apertura della procedura: il tribunale, valutati i requisiti formali e la fattibilità giuridica (assenza di clausole contra legem), ammette il debitore al concordato e nomina un commissario giudiziale (figura di controllo). Da quel momento, scatta il blocco delle azioni individuali dei creditori (stay automatico) e il debitore è sotto vigilanza del commissario.
  • Voto dei creditori: i creditori vengono suddivisi in classi se vi sono posizioni differenziate (ad es. chirografari vs privilegiati degradati, fornitori strategici vs non strategici, ecc.), altrimenti votano in un’unica classe. Per l’approvazione serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (calcolata in percentuale di valore). Se i creditori sono divisi in classi, serve anche che la maggioranza delle classi approvi (o comunque meccanismi di cram-down interclasse possono intervenire, v. oltre). I creditori privilegiati di solito non votano se sono soddisfatti integralmente, altrimenti votano per la parte non soddisfatta.
  • Omologazione: se il concordato viene approvato dai creditori, il tribunale procede all’omologazione, verificando legalità e convenienza per le classi dissenzienti (il “best interest test”: ogni classe dissenziente non deve ricevere meno di quanto otterrebbe in liquidazione). In caso di contestazioni, il tribunale può omologare il concordato anche nonostante il voto contrario di una o più classi, a condizione che almeno un’altra classe abbia votato a favore e che il piano non pregiudichi i dissenzienti rispetto alle alternative (è il cosiddetto cram-down interclasse). Questa facoltà di cram-down, introdotta con il recepimento della Direttiva UE, consente di superare l’opposizione di classi minoritarie.
  • Esecuzione e effetti: una volta omologato, il concordato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Il debitore deve eseguire il piano sotto la sorveglianza di un commissario (che spesso diventa liquidatore per la fase esecutiva, specie se vendite di beni sono previste). Ad esecuzione completata, l’imprenditore viene liberato dai debiti residui (esdebitazione concorsuale).

Due grandi categorie:
Concordato in continuità aziendale vs Concordato liquidatorio:

  • Si parla di concordato in continuità (art. 84 co. 2 CCII) quando il piano prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa – direttamente dalla stessa società oppure indirettamente tramite la cessione o affitto dell’azienda a un terzo che ne preservi la continuità operativa. La continuità può essere “diretta” (la società rimane attiva) o “indiretta” (l’azienda viene trasferita ma il business continua in mano al compratore). Questo tipo di concordato è volto a generare valore nel tempo, con l’impresa going concern i cui utili futuri andranno (in parte) ai creditori. Tipicamente, nel concordato in continuità il soddisfacimento dei creditori chirografari deriva dai flussi di cassa futuri dell’impresa risanata. Si punta a massimizzare il valore dell’azienda come entità funzionante, nell’interesse sia dei creditori (che ottengono più di quanto ricaverebbero dallo smembramento) sia di altri stakeholder (lavoratori, fornitori, comunità locale).
  • Nel concordato liquidatorio invece il piano prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio (art. 84 co. 3 CCII). I beni aziendali saranno venduti e il ricavato distribuito ai creditori. Il fine è chiudere ordinatamente l’impresa, ma la legge – per evitare abusi – richiede che la proposta offra ai creditori non garantiti un quid pluris rispetto alla liquidazione fallimentare: in particolare, il CCII prevede che nel concordato liquidatorio i creditori chirografari ricevano almeno il 20% del loro credito e che ci sia un apporto di risorse esterne (nuova finanza o asset dei soci) pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidabile. Questi requisiti (20% e 10%) servono a garantire che il concordato liquidatorio non sia un mero escamotage per ottenere esdebitazione senza alcun beneficio per i creditori rispetto al fallimento.

Regole particolari:

  • Nel concordato in continuità, la legge consente maggiore flessibilità sul pagamento dei creditori privilegiati: ad esempio, i creditori privilegiati (p.e. banche ipotecarie) possono essere pagati nel tempo purché sia garantito il valore del loro bene in garanzia. Oppure possono essere parzialmente soddisfatti e parzialmente falcidiati se il valore di realizzo del bene sottostante è inferiore al credito (la parte eccedente viene trattata come chirografa). Anche i creditori prededucibili e privilegiati possono essere pagati dilazionati purché entro determinati termini (di regola entro 2 anni dall’omologazione per i privilegiati, salvo consenso oltre).
  • Nel concordato in continuità non vige il requisito del 20% minimo ai chirografari: essi potrebbero anche ricevere meno (in teoria anche zero) se si dimostra che ottengono comunque più di quanto avrebbero in caso di liquidazione e se almeno una classe accetta il piano. Ciò incoraggia i piani di risanamento anche molto incisivi, lasciando il giudizio di convenienza ai creditori in sede di voto.
  • Il CCII consente ora anche di includere nel piano classi di soci o titolari di diritti partecipativi, per coinvolgerli nel sacrificio (ad esempio riduzione o diluizione delle partecipazioni). Ciò avvicina il concordato ai modelli di restructuring internazionali dove si possono forzare aumenti di capitale con esclusione di soci o conversione debiti in equity. Nel concordato tradizionale italiano i soci non erano parti del procedimento, ma col nuovo codice se si vogliono alterare i loro diritti (es. azzerare le quote) occorre prevedere una classe ad hoc per i soci e ottenere il loro assenso o comunque rispettare certe condizioni. Questa innovazione è comunque più tipica del PRO (dove espressamente si possono inserire classi di soci), mentre nel concordato standard resta di uso limitato.

Punto di vista del debitore:
Il concordato preventivo è spesso l’ultima risorsa per evitare il fallimento quando gli accordi stragiudiziali sono impraticabili. I benefici includono:

  • Protezione immediata del patrimonio (blocco dei pignoramenti).
  • Possibilità di imporre la ristrutturazione anche ai creditori dissenzienti (a maggioranza, con eventuale cram-down).
  • Al termine, ottenimento dell’esdebitazione residua: l’imprenditore esce dalla procedura con i debiti pregressi stralciati secondo il piano omologato.
  • Continuità aziendale protetta: se in concordato in continuità, l’impresa può continuare l’attività con nuovi contratti, finanziamenti prededucibili e sotto tutela della legge, senza il peso delle azioni dei creditori pregressi.

I costi/difficoltà:

  • Procedura relativamente lunga e costosa (anche 1-2 anni per completarla), con intervento di professionisti vari (commissario, legale del concordato, attestatore).
  • Perdita di reputazione e fiducia sul mercato: clienti e fornitori vengono a conoscenza della procedura (è pubblica). Ciò può creare difficoltà commerciali durante l’esecuzione del piano.
  • Perdita, seppur non totale, di autonomia: il debitore rimane “in possesso” (DIP) ma sotto vigilanza; alcune operazioni richiedono autorizzazione del giudice; se il debitore non collabora le conseguenze sono pesanti (revoca del concordato e fallimento).

Vediamo due brevi esempi:

Esempio pratico 5 – Concordato in continuità: Alfa S.p.A. (100 dipendenti, settore manifatturiero) ha debiti per 10 milioni: 8 verso banche (coperti da ipoteche su capannoni) e 2 verso fornitori chirografari. L’azienda è ancora sul mercato con ordini, ma il debito accumulato rende impossibile finanziare il circolante. Alfa presenta un concordato in continuità con gestione diretta: propone di mantenere l’attività produttiva e di pagare i creditori con i proventi futuri. In dettaglio, il piano prevede che le banche ipotecarie ricevano 5 milioni entro 4 anni (dai flussi di cassa operativi, integrati dalla vendita di un immobile non essenziale) a saldo dei loro 8 milioni (quindi un pagamento pari al 62% con rinuncia al residuo, ma l’attestatore mostra che il valore delle garanzie era 5 milioni, quindi non subiscono un danno); i fornitori chirografari riceveranno inizialmente niente ma poi il 20% dei loro crediti (400.000 €) in 5 anni, in rate annuali, utilizzando parte degli utili generati dalla continuità. I soci si impegnano inoltre a versare nuova finanza per 200.000 € per sostenere il piano (questo importo va interamente a beneficio dei creditori chirografari, costituendo quell’apporto esterno ≥10% attivo richiesto se fosse liquidatorio, ma qui è continuità). I creditori votano: le banche (classe privilegiata) accettano perché ottengono più del valore di realizzo immediato dei capannoni; i fornitori, nonostante recuperino solo 20%, votano a favore (classe chirografi) poiché preferiscono 20% in tempi certi piuttosto che un fallimento dove forse avrebbero preso meno e in molto più tempo. Il tribunale omologa il concordato. Alfa prosegue l’attività, sotto controllo del commissario. Con i flussi di cassa degli anni successivi e i sacrifici (nessun dividendo ai soci finché il concordato non termina), Alfa riesce a pagare come promesso e si risolleva dalla crisi. I dipendenti mantengono il posto di lavoro, l’azienda resta sul territorio e i creditori – pur con sacrifici – ottengono soddisfazione migliore rispetto allo scenario liquidatorio. Il punto centrale è stato che Alfa, grazie all’autofinanziamento (utili futuri) e a una parziale dismissione non vitale, ha potuto ripagare il debito in misura sufficiente a convincere i creditori ad accettare la ristrutturazione.

Esempio pratico 6 – Concordato liquidatorio: Beta S.r.l. (commercio all’ingrosso) ha cessato l’attività dopo perdite gravi. Debiti: 5 milioni chirografari (fornitori e banche senza garanzia). Attivo residuo: un capannone stimato 2 milioni, magazzino 0,5 milioni. I soci di Beta propongono un concordato liquidatorio: offrendo di contribuire con 200.000 € di risorse proprie extra, impegnandosi a vendere capannone e magazzino entro un anno. Il ricavato previsto totale (2,7 milioni) andrà ai creditori chirografari, che così incasserebbero circa il 54% dei loro crediti. Questa percentuale supera ampiamente il minimo di legge del 20%, e l’apporto soci (200k) è esattamente il 10% dell’attivo liquidabile (capannone+magazzino = 2,5M, il 10% è 250k, i soci offrono un po’ meno ma diciamo che con perizia favorevole viene accettato come sufficiente). I creditori votano sì: preferiscono incassare in tempi ragionevoli il 54% piuttosto che rischiare un fallimento dal recupero incerto. Omologato il concordato, un liquidatore nominato dal tribunale vende gli asset, distribuisce 2,7 milioni ai creditori (54%) e Beta viene cancellata, con soci liberati dai debiti residui. In questo concordato liquidatorio l’autofinanziamento si è manifestato sotto forma di apporto dei soci (capitale fresco di 200k) per aumentare la percentuale ai creditori e soddisfare il requisito di legge, nonché nella scelta di usare procedure concordatarie invece di fallimento così da risparmiare costi e tempo (che indirettamente si traducono in maggior attivo da distribuire ai creditori).

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Il concordato semplificato è, come visto in precedenza, una procedura speciale prevista dall’art. 25-sexies CCII, utilizzabile esclusivamente come esito della composizione negoziata fallita. Si differenzia dal concordato preventivo ordinario per alcune peculiarità:

  • È solo liquidatorio: non è ammesso presentare un concordato semplificato in continuità aziendale. Deve trattarsi di un piano di liquidazione dei beni.
  • Niente voto dei creditori: questa è la caratteristica più rilevante. Nel concordato semplificato i creditori non votano la proposta. La decisione sull’omologazione spetta esclusivamente al tribunale, su proposta del debitore e sentito il parere dell’esperto indipendente che ha seguito la composizione negoziata.
  • Accesso limitato: può accedervi solo un debitore che ha svolto la composizione negoziata e che dall’esperto è stato dichiarato incapace di trovare una soluzione in continuità (la relazione finale deve attestare l’assenza di soluzioni alternative). Di conseguenza, il concordato semplificato non è un’alternativa liberamente scelta: è riservato ai casi in cui la composizione non salva l’azienda, ma c’è comunque un accordo di massima o una opportunità di liquidazione vantaggiosa che si vuole cogliere.
  • Procedura snella: non c’è commissario giudiziale né adunanza dei creditori. Il debitore deposita la domanda con il piano di liquidazione, allegando la relazione finale dell’esperto. Il tribunale fissa direttamente un’udienza per l’omologazione. I creditori possono proporre opposizioni/soddisfazioni in quella sede, ma formalmente non votano.
  • Se omologato, viene nominato un liquidatore giudiziale (figura analoga a un curatore fallimentare) che gestisce la vendita dei beni secondo il piano e la distribuzione del ricavato. Il commissario non era previsto perché non c’è fase di voto.
  • Anche qui, come nel concordato ordinario, a fine procedura il debitore ottiene l’esdebitazione residua (liberazione dai debiti non soddisfatti).

Perché i creditori dovrebbero subire un concordato senza voto? Il legislatore ha inserito forti limiti: proprio per evitare abusi, ha ristretto l’utilizzo a casi provenienti da composizione negoziata (quindi dove comunque c’è stato un confronto con i creditori). Inoltre, il tribunale in sede di omologa valuta con particolare rigore la convenienza della proposta per i creditori: deve essere la migliore possibile nelle circostanze date (il debitore allega tipicamente i motivi per cui quella soluzione dà più ai creditori rispetto al fallimento, e l’esperto supporta questa tesi nella sua relazione). Ad esempio, se c’è un compratore pronto a pagare X per l’azienda, producendo un dividendo del 30% ai chirografari immediato, e in un fallimento il realizzo incerto darebbe forse meno del 30%, allora c’è convenienza.

Per il debitore, il vantaggio del concordato semplificato è poter chiudere la situazione in tempi rapidi e ordinati. Per i creditori, la consolazione è ottenere presumibilmente un risultato non peggiore (anzi, in teoria migliore) di quello fallimentare, ma con minori costi e maggiore celerità.

Abbiamo già visto con EcoBuild Srl un esempio tipico: azienda non salvabile ma con un asset vendibile. In quel caso, il concordato semplificato ha permesso di monetizzare subito quell’asset e distribuire il provento senza aspettare un lungo fallimento, con percentuale del 30% ai chirografari. I creditori hanno dovuto accettare la soluzione “imposta”, ma data l’assenza di alternative e la perizia dell’esperto che dimostrava la bontà dell’offerta, il tribunale ha ritenuto giusto omologare. Se invece i creditori avessero trovato essi stessi un compratore migliore o avessero dimostrato che il debitore stava dissipando attivo, il tribunale avrebbe potuto negare l’omologa e aprire la liquidazione giudiziale.

In sintesi, il concordato semplificato:

  • Per il debitore: è uno strumento di emergenza per evitare il fallimento e concludere la storia dell’impresa in maniera più dignitosa e controllata. Non salva l’azienda (che viene liquidata) ma può salvare il debitore da conseguenze peggiori (ad esempio possibile esdebitazione più rapida, minore stigmatizzazione personale).
  • Per i creditori: è accettabile solo se davvero vedono che così ottengono il massimo possibile senza subire i tempi lunghi di un fallimento. La fiducia sta nel filtro dell’esperto e del giudice: se c’è malafede del debitore, difficilmente la proposta passerebbe.

Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)

Il Piano di Ristrutturazione Omologato – abbreviato comunemente in PRO – è un nuovo strumento introdotto nel 2022 col recepimento della direttiva UE 2019/1023. È disciplinato dagli artt. 64-bis – 64-quater CCII. Possiamo definirlo come una sorta di “concordato preventivo su misura”, o un scheme of arrangement all’italiana, in quanto consente di omologare un piano di risanamento molto flessibile a patto di ottenere il consenso richiesto dei creditori divisi in classi.

Caratteristiche distintive del PRO:

  • Flessibilità nel contenuto: a differenza del concordato classico, nel PRO il debitore può derogare alle regole legali di graduazione dei crediti. Ciò significa che può proporre trattamenti non proporzionali alle cause di prelazione: ad esempio, può prevedere che un creditore ipotecario non sia soddisfatto integralmente del valore di garanzia, oppure che alcuni creditori chirografari “strategici” vengano pagati in misura maggiore di altri di pari grado, magari a scapito di qualche privilegiato. Nel concordato ordinario questo sarebbe vietato (salvo consenso individuale di chi viene leso), nel PRO è ammesso purché si rispettino le regole di formazione delle classi e i consensi richiesti.
  • Classi e consenso unanime: i creditori devono essere suddivisi in classi omogenee e il piano deve essere approvato da tutte le classi costituite. “Approvato” significa che all’interno di ciascuna classe occorre il voto favorevole della maggioranza in valore dei crediti di quella classe (non serve l’unanimità individuale, ma serve che ogni classe abbia la maggioranza). Questo è un punto cruciale: mentre nel concordato preventivo basta la maggioranza complessiva e, se una classe dice no, si può talvolta imporre il cram-down, nel PRO non è previsto il cram-down interclassi. Se anche una sola classe vota contro, il PRO non può essere omologato e il debitore dovrà eventualmente ripiegare su un concordato tradizionale. In pratica, il PRO richiede consenso universale delle classi (seppur non di ogni singolo creditore, bastano le maggioranze di classe).
  • Procedura concorsuale: il PRO si svolge comunque davanti al tribunale. Il debitore deposita il piano, la proposta e tutta la documentazione, con relazione di attestazione di un professionista. Il tribunale ammette la procedura e nomina un commissario giudiziale (analogamente al concordato). I creditori votano nelle classi; se tutte le classi approvano a maggioranza, si passa all’omologazione da parte del giudice. Durante la procedura, il debitore resta in possesso, possono essere concesse misure protettive, ecc., in modo simile al concordato preventivo.
  • Nessun requisito di % minima ai chirografari o apporto esterno: proprio perché il PRO è “consensuale”, la legge non applica i limiti del 20% e del 10% che gravano sul concordato liquidatorio. Quindi si potrebbe proporre un PRO che paga i chirografari magari solo il 5% e senza apporti nuovi, cosa che in un concordato ordinario sarebbe inammissibile. Ovviamente, un tale piano passerebbe solo se i creditori in quelle classi accettano di buon grado (evidentemente perché ritengono comunque la proposta migliore delle alternative).
  • Aspetti penali e responsabilità: per il PRO, a differenza del concordato, non sono previste specifiche fattispecie di reato come la bancarotta concordataria. Questo denota la natura spiccatamente volontaria dello strumento: è come se il legislatore dicesse che il PRO è un accordo tra parti consenzienti, con omologa del giudice, e non vi è l’ingerenza pubblicistica che giustifica reati ad hoc (restano ovviamente punibili truffe o atti distrattivi generici).
  • Coinvolgimento dei soci: nel PRO esiste la facoltà di includere anche i detentori di partecipazioni in classi separate e prevedere per loro sacrifici (es. riduzione di capitale, annullamento di quote, emissione di equity nuova che li diluisce). Ciò consente ristrutturazioni integrali dell’impresa, toccando sia il debito che la struttura proprietaria, in un’unica sede.

Quando ha senso il PRO dal punto di vista del debitore? Quando questi ritiene di poter convincere praticamente tutti i creditori (almeno per classi) di un piano un po’ “creativo” che altrimenti non passerebbe al vaglio delle regole rigide del concordato. Il PRO è utile ad esempio se:

  • Si vuole fare una forte ricapitalizzazione interna convertendo parte del debito in partecipazioni o in strumenti ibridi e ciò comporta trattare i creditori in modo differenziato.
  • Si ha un numero limitato di creditori e si raggiunge un accordo globale con tutti i principali, ma magari in quell’accordo ci sono clausole che violerebbero la par condicio (es. alcuni creditori privileggiati accettano un taglio in cambio di far proseguire l’azienda, mentre alcuni chirografari strategici vengono pagati integralmente per non perdere forniture essenziali). Con un PRO lo si può fare.
  • Si vuole coinvolgere anche i soci imponendo loro di diluirsi o perdere l’azienda (cosa che nel concordato ordinario può avvenire indirettamente tramite aumenti di capitale con esclusione del diritto opzione se coperti da legge fallimentare, ma è complicato).
  • In generale, il PRO è indicato in ristrutturazioni finanziarie molto complesse in cui tutti i grandi creditori sono d’accordo su un certo schema e vogliono una rapida esecuzione con la stabilità offerta dall’omologazione giudiziale. Se già c’è accordo tra tutti, perché passare da un concordato con votazioni potenzialmente insidiose? Meglio un PRO che li lega tutti secondo quell’accordo stesso.

Limiti: se c’è anche una sola categoria di creditori ostile o anche troppo frammentata, il PRO rischia di fallire. In tal senso, non sostituisce il concordato tradizionale ma lo affianca come opzione in più. Un imprenditore deve valutare attentamente: se pensa di non poter ottenere l’adesione di tutte le classi, è meglio scegliere il concordato (dove almeno c’è la possibilità di cram-down). Se invece ha già una sorta di intesa con tutti i stakeholder principali, il PRO consente di cucire un vestito su misura per la ristrutturazione, senza dover rispettare i paletti rigidi di percentuali e priorità (che possono ostacolare soluzioni altrimenti vantaggiose per tutti).

Esempio pratico 7 – Uso del PRO: Sigma S.p.A. è una società immobiliare con 3 banche ipotecarie creditrici (A, B, C) e alcuni fornitori chirografari; ha anche un debito IVA considerevole. Il suo unico asset rilevante è un grande immobile. Sigma ha trovato un investitore disposto a comprare l’immobile per 70 (ma i debiti ipotecari ammontano a 100). Sigma propone un PRO liquidatorio così strutturato: l’immobile viene venduto e l’intero ricavato 70 va alle banche ipotecarie, che quindi recuperano il 70% del proprio credito e accettano di rinunciare al restante 30%; i fornitori chirografari purtroppo non ricevono nulla (poiché non rimane attivo per loro); il debito IVA (privilegiato) viene postergato: Sigma offre di pagarlo entro 2 anni utilizzando futuri crediti fiscali (un’eventualità incerta, ma almeno dà una prospettiva). In un concordato preventivo standard, un piano che paga le banche ipotecarie solo al 70% violerebbe la regola per cui i privilegiati vanno soddisfatti fino a concorrenza del valore del bene (qui mancherebbero 30 rispetto al credito; non pagandoli integralmente, di norma il piano sarebbe bocciato a meno di consenso individuale di quelle banche). Inoltre, dare zero ai chirografari sarebbe sotto la soglia del 20% e quindi inammissibile. Con un PRO invece Sigma può farlo, ma a condizione che le classi accettino: infatti Sigma crea una classe unica con le 3 banche ipotecarie (che accettano, preferendo 70 subito piuttosto che rischiare di ricavare forse 60 da un fallimento) e una classe separata per l’Erario (che, vedendo almeno la prospettiva di incassare IVA in 2 anni magari tramite compensazione, accetta la dilazione). Non viene creata alcuna classe per i chirografari, perché tanto non ricevono nulla e non sono “economicamente interessati” (il loro voto non sarebbe comunque rilevante se l’attivo è incapiente per loro, secondo la regola dell’art. 109 CCII): vengono considerati fuori piano, in pratica subiscono la cancellazione del debito senza diritto di voto in quanto “out of the money”. Tutte le classi costituite (banche e Erario) votano sì. Il tribunale omologa il PRO. Sigma vende l’immobile, paga 70 alle banche, le quali rinunciano al restante 30 (avendo approvato il piano). I fornitori chirografari rimangono insoddisfatti al 100%, ma sarebbero rimasti tali comunque in un fallimento (non c’era attivo per loro) e poiché non formavano una classe avente diritto economico non hanno potuto opporsi. Sigma così evita il fallimento lungo: ha realizzato l’unico asset e chiude la vicenda rapidamente.

Questo esempio mostra la potenza e il rischio del PRO. Potenza perché consente soluzioni non consentite altrove (falcidiare privilegiati in modo dispari, escludere dal voto creditori out of the money e non dare nulla ai chirografi, ecc.). Rischio perché richiede che tutti quelli con voce in capitolo accettino: qui banche ed Erario hanno accettato di buon grado perché il piano era comunque meglio del fallimento. Se anche una delle banche fosse stata contraria, l’intera operazione sarebbe saltata, poiché non c’è cram-down nel PRO. In quel caso Sigma avrebbe dovuto magari ripiegare su un concordato preventivo in continuità o liquidatorio cercando di convincere i creditori con le regole ordinarie (forse impossibile).

Come sottolineato dalla giurisprudenza (es. Tribunale di Udine 9 marzo 2023), il PRO è adatto anche a gestire debiti fiscali in modo più flessibile: in un caso si è omologato un PRO che prevedeva il pagamento parziale e dilazionato di IVA e contributi, ritenendo che nel PRO nulla vieta di trattare gli enti pubblici al pari di creditori qualsiasi, se essi sono collocati in classi e acconsentono. Questo è un altro elemento chiave: nel concordato ordinario il trattamento del Fisco è incasellato nella transazione fiscale (ad es. IVA non stralciabile, massimo stralcio sanzioni e interessi); nel PRO, in teoria, se il Fisco sta in una classe e approva, si può anche stralciare il tributo (o se non approva, semplicemente il PRO non passa, perché serve unanimità di classi).

In conclusione, il PRO arricchisce la “cassetta degli attrezzi” del debitore in crisi. È uno strumento innovativo e potente, ma di nicchia: richiede casi dove c’è coesione tra creditori e volontà comune di concordare una soluzione su misura. Per un imprenditore, scegliere il PRO significa essere in grado di negoziare con successo con tutti i gruppi di creditori e voler beneficiare della massima flessibilità normativa. Se invece vi è alta conflittualità, meglio il concordato preventivo (che consente di forzare la mano a minoranze dissenzienti attraverso il voto a maggioranza e il cram-down).

Domande Frequenti (FAQ)

Di seguito rispondiamo ad alcune domande frequenti in materia di ristrutturazione del debito aziendale dal punto di vista del debitore:

D: Quando dovrebbe attivarsi un imprenditore indebitato?
R: Il prima possibile, appena emergono segnali di crisi. L’errore più comune è attendere troppo a lungo, erodendo la liquidità e aggravando il dissesto. La legge impone all’amministratore di attivarsi tempestivamente; strumenti come il piano attestato o la composizione negoziata possono essere avviati già in fase di “crisi incipiente”. Prima si agisce, più leve (autofinanziamento, accordi consensuali) si hanno e maggiori sono le chance di evitare l’insolvenza conclamata.

D: Che differenza c’è tra crisi e insolvenza ai fini pratici?
R: La crisi è una difficoltà reversibile, in cui l’impresa può ancora operare regolarmente ma ha squilibri che preannunciano problemi futuri. L’insolvenza è l’incapacità attuale di pagare i debiti. Ai fini pratici, certi strumenti (allerta, composizione negoziata, piano attestato) sono concepiti per intervenire durante la crisi. Se si arriva all’insolvenza conclamata, restano percorribili il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale. Tuttavia, anche da insolvente un’impresa può chiedere il concordato e tentare un salvataggio in extremis.

D: L’autofinanziamento da solo basta a salvare un’azienda indebitata?
R: Dipende dalla gravità del debito e dalla capacità di generare cassa. Se l’azienda ha un modello di business ancora valido e i problemi sono transitori (es. crisi di liquidità), riorganizzarsi e reinvestire gli utili può bastare, magari con qualche dilazione concessa dai creditori. Nei casi più seri, l’autofinanziamento va combinato con accordi formali (ad esempio un concordato in continuità dove i flussi futuri vengono messi a servizio del debito) e talvolta con nuove risorse esterne (nuovi finanziamenti o equity da soci/investitori) per colmare il gap iniziale. La legge incoraggia l’autofinanziamento, ma prevede anche incentivi per chi apporta finanza nuova (es. prededuzione, garanzie statali sui nuovi finanziamenti nel concordato in continuità, ecc.).

D: Quali creditori hanno interesse a sostenere un piano di ristrutturazione e quali invece preferiranno l’azione individuale?
R: I creditori garantiti (es. banca ipotecaria) potrebbero essere riluttanti a rinunciare ai propri diritti, a meno che dal piano ottengano comunque il valore di garanzia o più. Creditori chirografari spesso sono più propensi a negoziare, perché in caso di fallimento rischiano di perdere quasi tutto. Fornitori strategici possono accettare piani (falcidie o dilazioni) pur di non far fallire un cliente importante. Il Fisco e gli enti pubblici in passato erano rigidi (specie su IVA e ritenute, difficili da falcidiare), ma ora con la transazione fiscale e il cram-down fiscale hanno strumenti per partecipare agli accordi. In generale, un creditore aderisce se convinto che il piano gli dà almeno quanto (o più di) ciò che otterrebbe in un fallimento e in tempi migliori. Se un creditore ha garanzie reali molto solide, potrebbe invece preferire l’escussione immediata (pignoramento) anziché aspettare un piano.

D: Cosa succede ai debiti verso l’erario (IVA, tasse) in questi piani?
R: Negli accordi e concordati, i debiti fiscali possono essere trattati tramite la transazione fiscale: in concordato si possono stralciare interessi e sanzioni e dilazionare l’IVA ma non ridurne il capitale, salvo eccezioni. Con la riforma, però, sia nei concordati sia negli accordi di ristrutturazione omologati, se la maggioranza degli altri creditori è d’accordo e al Fisco è offerto almeno il valore di liquidazione, il tribunale può omologare anche senza il voto favorevole dell’Erario (cram-down fiscale). Nel PRO addirittura il Fisco è trattabile come gli altri: se accetta nella sua classe, bene; altrimenti il PRO non passa (non essendoci cram-down), ma nulla vieta in linea di principio di proporre falcidie di imposta in un PRO. Dunque oggi c’è maggiore flessibilità nel gestire i debiti tributari nelle ristrutturazioni, anche se resta politicamente e tecnicamente delicato proporre forti sconti su IVA/contributi (si cerca spesso di far sì che almeno una parte significativa venga pagata, magari dilazionata).

D: I soci dell’azienda devono pagare anch’essi? Possono perdere la proprietà?
R: Nelle società di capitali i soci per legge hanno responsabilità limitata: non sono tenuti a pagare coi propri beni i debiti sociali. Tuttavia, nei piani di risanamento è prassi ed è spesso necessario che i soci diano il loro contributo: ad esempio rinunciando ai crediti verso la società (molte PMI hanno soci finanziatori), apportando nuovo capitale o offrendo garanzie. La legge anzi lo richiede nel concordato liquidatorio (apporto esterno ≥10%): questo spesso si traduce in un contributo dai soci. Quanto alla perdita di proprietà, è possibile: in un concordato o accordo, i soci rischiano la diluizione se c’è un aumento di capitale riservato a nuovi investitori o la conversione dei crediti in equity. Nel PRO e indirettamente in certi concordati, si possono anche inserire clausole di azzeramento/riduzione capitale (specie se l’alternativa era fallimento, i soci in pratica azzerano le quote). In sintesi, i soci non vengono obbligati dalla legge a pagare di tasca propria, ma se vogliono salvare l’azienda è spesso nel loro interesse mettere risorse (per convincere i creditori a aderire) e accettare eventuali sacrifici sulle proprie quote per far entrare investitori o soddisfare creditori in equity. Dal punto di vista del debitore-società, il contributo dei soci è una forma di autofinanziamento cruciale.

D: Come viene nominato l’attestatore o l’esperto? Possiamo sceglierlo noi (debitore)?
R: Nel piano attestato e nelle proposte di concordato/accordo, l’attestatore è scelto dal debitore, ma deve essere un professionista indipendente iscritto in appositi elenchi (requisiti di legge). Tipicamente si individua un commercialista esperto di crisi d’impresa. È importante sceglierne uno di fiducia e competente, perché la sua relazione pesa molto per convincere i creditori e ottenere l’omologa.
Nel caso della composizione negoziata, invece, l’esperto indipendente viene nominato da un organismo terzo (Commissione presso Camera di Commercio) su base di elenchi, quindi non lo sceglie il debitore. Ci si può trovare un esperto più o meno abile nel facilitare gli accordi, è un fattore esterno. In ogni caso, l’esperto deve mantenere terzietà e agire nell’interesse della riuscita del risanamento in modo equo.

D: Se ho fornitori essenziali per la mia produzione, come li tratto nel piano?
R: È fondamentale coinvolgerli attentamente. Se un fornitore è essenziale (cioè se smette di fornire la mia produzione si ferma), conviene pagarlo regolarmente o ridurre al minimo il sacrificio. La legge consente, ad esempio nel concordato, di creare una classe separata per fornitori strategici e prevedere per loro un trattamento migliore (purché giustificato dalla necessità di continuità). Anche nei piani extragiudiziali, spesso si paga per intero i fornitori chiave lasciandoli fuori dall’accordo (come nell’esempio di Gamma, i fornitori estranei e pagati normalm.). Attenzione però: se si discrimina tra creditori di pari grado, nel concordato serve fare classi diverse per giustificare la differenza, e nel accordo serve che i discriminati aderiscano o siano pochi (altrimenti rischi contestazioni per violazione par condicio). In un PRO, finché ciascuna classe è d’accordo, si può dare di più a fornitori strategici rispetto ad altri chirografari. Dunque, dal punto di vista pratico del debitore: mai penalizzare troppo i fornitori vitali, meglio tenerli indenni e scaricare i sacrifici su creditori finanziari o su fornitori meno cruciali, spiegando la ragione nei documenti del piano.

D: Cosa comporta per gli amministratori aver portato la società in concordato o accordo? Ci sono responsabilità personali?
R: La presentazione tempestiva di un concordato o la conclusione di un accordo in genere è considerata una condotta diligente, non dà di per sé luogo a responsabilità personale. Se però gli amministratori hanno aggravato il dissesto procrastinando il ricorso a tali strumenti e continuando ad accumulare debiti quando l’insolvenza era conclamata, possono incorrere in responsabilità verso i creditori (azione di responsabilità ex art. 378 CCII per aver tardivamente richiesto la procedura). Inoltre, comportamenti scorretti durante la procedura – es. occultamento di attivo, false attestazioni al perito – possono integrare reati (ricordiamo il reato di bancarotta concordataria se il debitore sottrae attivo o dolosamente lede i creditori durante il concordato). In un accordo stragiudiziale, invece, non ci sono “reati concordatari”, ma ovviamente eventuali falsità nei bilanci o frodi contrattuali restano punibili. Quindi, chi guida l’impresa deve agire in buona fede, con trasparenza verso l’attestatore/esperto e rispettando le regole: così facendo, l’uso di questi strumenti è anche un ombrello che protegge da accuse di mala gestio (dimostrando che si è fatto il possibile per il risanamento).

D: Durante il piano (accordo o concordato) posso continuare a contrarre nuovi debiti e operare normalmente?
R: In linea di massima per l’operatività corrente, ma con cautela: i nuovi debiti contratti durante una procedura in continuità saranno in prededuzione (cioè vanno pagati prima di quelli concorsuali, per incoraggiare terzi a lavorare con un’azienda in concordato). Tuttavia, è fondamentale non aggravare la posizione. Ad esempio, in composizione negoziata o concordato in continuità, si può acquistare merci a credito se servono per proseguire l’attività, e quei fornitori post-apertura saranno pagati regolarmente in prededuzione. Ma se l’azienda abusa del concordato per accumulare ulteriori debiti ingenti che poi non paga, rischia la revoca della procedura e guai legali. Quindi, durante il piano ci si deve attenere a quanto previsto e alle autorizzazioni: atti straordinari (vendite importanti, nuovi finanziamenti) richiedono il via libera del giudice. In sintesi, l’azienda può e deve continuare a operare (specie nei concordati in continuità), ma con una gestione controllata e trasparente.

D: Se un creditore garantito da fideiussione (es. una banca con garanzia del socio) aderisce al concordato e subisce una falcidia, il garante (socio) deve ancora pagare il resto?
R: Sì, la liberazione del debitore principale in concordato non estingue le garanzie personali di terzi, salvo patto contrario. Quindi, nell’esempio: la banca ha 100 di credito, in concordato ne incassa 70, il debitore esce pulito per quell’obbligazione, ma il fideiussore rimane obbligato per l’importo residuo (30). Questo ovviamente a meno che la banca nel concordato non abbia rinunciato espressamente anche verso il garante (cosa rara, di solito le rinunce riguardano solo il debitore). Il garante può solo opporre che la banca non può più pretendere interessi o accessori oltre quanto stabilito nel concordato. Dunque per un socio garante, il concordato del suo società non è una panacea: rischia di dover pagare lui ciò che la società non paga. Questo è un incentivo per i soci a partecipare attivamente al piano: spesso i creditori dicono “ok falcidio del 30% in concordato, ma il garante mi firma un accordo a parte per pagare una parte del resto” oppure chiedono un contributo upfront dai soci per liberare la garanzia. È materia di negoziazione. In ogni caso, attenzione: la legge (art. 88 CCII) ora prevede che se un creditore privilegiato viene soddisfatto solo parzialmente in concordato, la garanzia reale si estingue una volta pagato quel parziale e il credito residuo (insoddisfatto) degrada chirografo. Ma ciò vale per garanzie reali su beni del debitore, non per garanzie personali di terzi. Il terzo garante rimane obbligato per intero, salvo patto. Va segnalato che nei nuovi piani (PRO) si può includere anche il trattamento di queste garanzie.

D: La ristrutturazione del debito incide sul rating creditizio futuro dell’azienda?
R: Purtroppo . Un’azienda che ha fatto un concordato o anche solo un accordo omologato apparirà nelle banche dati (Cerved, Centrale Rischi, registro imprese) con quell’evento negativo, il che per un certo periodo rende difficile ottenere nuovi finanziamenti. In particolare, dopo un concordato, le banche sono molto caute e spesso richiedono garanzie aggiuntive o applicano rating bassi. Nel tempo, se l’azienda torna a produrre utili e mostra bilanci solidi, la reputazione finanziaria può risalire. Discorso simile per gli accordi: se omologati, lasciano traccia (es. nei bilanci c’è menzione). Un piano attestato invece, essendo riservato, se viene eseguito senza clamore può non danneggiare l’immagine creditizia – magari i soli fornitori coinvolti ne sono a conoscenza. Dunque, dal punto di vista del debitore la ristrutturazione è un “male necessario”: meglio subire un impatto sul rating che fallire. Per mitigarlo, conviene dopo la ristrutturazione mantenere un comportamento virtuoso (pagare puntualmente i nuovi debiti, comunicare al mercato il rilancio, ecc.). Con l’introduzione del Codice della crisi c’è anche meno stigma sociale di un concordato rispetto al passato: lo scopo è considerarlo un percorso di risanamento normale. Infine, va detto che le banche segnalano in Centrale Rischi Banca d’Italia sia gli accordi ex art. 182-bis che i concordati, come stato “in sofferenza” finché non è completato: quindi per nuovi affidamenti occorre presentare il piano e le evidenze di miglioramento.

Conclusioni e consigli operativi per il debitore

La ristrutturazione del debito aziendale tramite autofinanziamento non è solo un tema tecnico-giuridico, ma un vero e proprio percorso strategico che l’imprenditore deve intraprendere con determinazione e trasparenza. Dall’analisi svolta emergono alcuni principi cardine e consigli pratici per il debitore in difficoltà:

  • Agire per tempo: Un debitore che riconosce tempestivamente lo stato di crisi (perdite, carenza di liquidità, indici allerta fuori parametro) e si attiva subito ha molte più opzioni. Può spesso evitare l’insolvenza irreversibile con un piano basato sull’autofinanziamento graduale. Al contrario, chi ritarda rischia di dover poi ricorrere a soluzioni drastiche o di non avere più risorse da mettere in campo. Come si suol dire, “il tempo è denaro” – nella crisi d’impresa, il tempo è attivo patrimoniale.
  • Valutare la sostenibilità del risanamento: Non tutte le imprese possono essere salvate solo con i propri mezzi. È essenziale fare una diagnosi onesta: se l’azienda ha un modello di business valido e soffre solo di eccessivo debito, allora una ristrutturazione centrata sull’autofinanziamento e su accordi con i creditori può funzionare. Se invece l’impresa non è competitiva o il mercato è sparito, insistere nella continuità può solo aggravare i debiti: meglio optare per una liquidazione ordinata (concordato liquidatorio o semplificato) prima che il dissesto peggiori. Farsi assistere da un professionista esperto in crisi già nella fase iniziale è fondamentale per capire se puntare su continuità/risanamento o su soluzioni liquidatorie.
  • Coinvolgere i creditori in modo trasparente: Dal punto di vista del debitore, i creditori non vanno visti come “nemici” ma come partner nel risanamento. Molti strumenti (piani attestati, accordi, composizione negoziata) si basano su negoziazioni win-win: il debitore condivide un piano e offre ai creditori uno scenario migliore di quello che avrebbero in caso di fallimento. La credibilità del debitore è il fattore chiave: fornire informazioni veritiere, dati chiari e un attestato indipendente sulla fattibilità del piano aumenta la fiducia dei creditori e la probabilità di adesione. Bisogna prepararsi bene prima di sedersi al tavolo con le banche e gli altri creditori, magari pre-validando il piano con l’attestatore e pensando a possibili obiezioni.
  • Salvaguardare la continuità aziendale quando crea valore: L’esperienza dimostra (ed è incorporato nello spirito del CCII) che salvare l’azienda come going concern spesso produce maggiore soddisfazione dei creditori e preserva valore economico-sociale. Quindi, se c’è uno scenario realistico di turnaround, conviene tentare un concordato in continuità o un accordo, dove l’autofinanziamento gioca un ruolo centrale (pagare i debiti con i profitti futuri). Solo, occorre essere realistici nei piani industriali: le previsioni vanno fatte prudenti, meglio promettere ai creditori il 50% e poi magari distribuire extra utili se le cose vanno meglio, piuttosto che promettere il 100% sapendo che è quasi impossibile (perché se poi in corso di concordato non si rispettano gli impegni, si rischia la risoluzione e il fallimento). Un motto interno dovrebbe essere: “sottopromettere e sovra-consegnare”.
  • Considerare l’apporto di risorse esterne come investimento nel risanamento: L’autofinanziamento puro (solo utili futuri) talvolta non basta a colmare il gap iniziale. I soci dovrebbero vedere eventuali nuovi apporti o la ricerca di un investitore non come una sconfitta, ma come parte del salvataggio della loro impresa. La legge, come visto, incoraggia e a volte richiede questi apporti (10% nel concordato liquidatorio, etc.). Un aumento di capitale sottoscritto da un fondo, o la cessione di una quota, può dare liquidità immediata per pagare creditori e rilanciare il business. Dal lato debitori, meglio avere una fetta minore di qualcosa che vale (azienda risanata) che il 100% di niente.
  • Usare lo strumento giusto per il caso specifico: La panoramica degli strumenti mostra che non esiste una soluzione unica per tutte le situazioni. Un’impresa con pochi creditori coesi può preferire un piano attestato (più riservato). Un’azienda con molte banche e debito finanziario opterà per un accordo di ristrutturazione o un concordato con classi. Se c’è litigo tra classi (es. banche vs fornitori) il concordato tradizionale con cram-down potrà risolvere l’impasse. Se invece tutti i creditori principali sono d’accordo su misure “creative”, il PRO è un vestito su misura. Infine, se non c’è nulla da fare, il concordato semplificato o la liquidazione giudiziale chiuderanno la vicenda. Consiglio: l’imprenditore, con i consulenti, valuti pro e contro di ogni opzione (anche con l’aiuto di schemi riepilogativi come la tabella sopra o check-list normative) e scelga quella che massimizza la riuscita e minimizza i rischi residui.
  • Gestione diligente durante l’esecuzione: Una volta avviato il piano o la procedura, il debitore deve attenersi scrupolosamente agli obblighi assunti. Questo significa ad esempio: effettuare puntualmente i pagamenti promessi secondo le scadenze del piano; evitare spese non autorizzate o investimenti avventati; tenere informati i creditori e gli organi (commissario/esperto) sull’andamento; monitorare costantemente i flussi di cassa reali vs quelli previsti e, in caso di scostamenti negativi, attivarsi subito (magari riconvocare i creditori e rimodulare l’accordo, prima che salti del tutto). La fiducia che si costruisce in fase di accordo va poi consolidata con i fatti.

In definitiva, ristrutturare il debito aziendale tramite autofinanziamento significa scommettere sulla capacità della propria impresa di rigenerare valore. È un percorso impegnativo, che richiede disciplina finanziaria, capacità negoziale e supporto di consulenti competenti, ma che può consentire a imprese anche pesantemente indebitate di evitare il tracollo e tornare in bonis. L’ordinamento italiano, soprattutto dopo le riforme recenti, offre una gamma di strumenti ben calibrati: il debitore, col giusto consiglio legale e finanziario, può utilizzarli a proprio vantaggio per costruire una seconda chance per la propria azienda, in equilibrio con i diritti dei creditori.

Fonti e riferimenti

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (recepimento direttiva UE 2019/1023) e dal D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (cd. Correttivo-ter). In particolare, artt. 56 (Piani attestati), 57-64 (Accordi di ristrutturazione e varianti), 84-120 (Concordato preventivo), 25-sexies (Concordato semplificato), 64-bis – 64-quater (PRO).
  • Cassazione Civile, Sez. I, 18 ottobre 2020 n. 22291 – In tema di concordato in continuità, afferma la legittimità di dilazioni di pagamento ai creditori privilegiati anche eccedenti i termini di legge, purché la convenienza del piano sia valutata e accettata dai creditori.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 21 febbraio 2024 n. 576 – Conferma la possibilità di omologare concordati con moratorie ultra-biennali verso creditori privilegiati, in presenza di trasparenza informativa e consenso dei creditori sulla convenienza della proposta.
  • Tribunale di Udine, 9 marzo 2023 – Decreto di omologazione di un Piano di Ristrutturazione Omologato con falcidia dei debiti IVA e INPS all’interno di classi consenzienti, ritenuta ammissibile in assenza di divieti espressi nel CCII.
  • Cassazione SS.UU. 23 gennaio 2013 n. 1521 – (Principio di diritto) Distinzione tra fattibilità giuridica ed economica del piano di concordato; il tribunale verifica solo la prima, mentre la convenienza economica spetta ai creditori. Anche se risalente, rimane un caposaldo: confermato che il giudice non può spingersi in valutazioni di merito del piano se non per evidenti irrealizzabilità.
  • Direttiva (UE) 2019/1023 – Direttiva europea sui quadri di ristrutturazione preventiva. Recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022, ha ispirato l’introduzione di composizione negoziata, PRO e meccanismi di cram-down interclassi, nonché la protezione per nuova finanza. Un riferimento sovranazionale che pone le basi di molte innovazioni del CCII.
  • Relazione Illustrativa al D.Lgs. 83/2022 (Ministero della Giustizia) – Fornisce chiarimenti sugli intenti del legislatore nelle modifiche introdotte: ad es. sul perché del PRO e perché nel PRO non sia stato previsto il cram-down (scelta italiana di usarlo nel concordato), sull’importanza dell’allerta precoce, ecc. Questo documento aiuta a interpretare le norme in modo aderente allo spirito originario.
  • Giurisprudenza: Varie pronunce di merito citabili a sostegno:
    • Tribunale di Milano, 14 ottobre 2022 – Omologa accordo di ristrutturazione con cram-down fiscale applicando art. 63 CCII novellato.
    • Tribunale di Roma, 15 febbraio 2023 – In tema di concordato in continuità, ribadisce che il piano deve assicurare che i lavoratori vengano pagati integralmente entro 30 giorni dall’omologa (art. 84 co. 4 CCII) pena inammissibilità.
    • Cassazione, Sez. Un., 7 novembre 2019 n. 30539 – (In ambito sovraindebitamento, ma principio generale) conferma che l’esdebitazione libera il debitore solo, non i coobbligati/garanti.
    • Cassazione, 5 maggio 2021 n. 11484 – Sulla prededuzione dei finanziamenti autorizzati in concordato, chiarisce requisiti e ambito temporale.

Troppi debiti in azienda? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Quando un’impresa è soffocata dai debiti, non sempre è necessario ricorrere a nuovi finanziamenti esterni.
In molti casi, la soluzione più sostenibile e strategica è l’autofinanziamento, ovvero la capacità dell’azienda di generare risorse interne per far fronte agli impegni e ristrutturare il debito esistente.

Questo approccio permette di:

  • Evitare ulteriore esposizione bancaria o finanziaria
  • Dimostrare affidabilità ai creditori, migliorando la propria posizione negoziale
  • Ridurre gradualmente i debiti con piani di pagamento sostenibili
  • Conservare il controllo dell’impresa senza ricorrere a terzi
  • Integrare l’autofinanziamento in piani di ristrutturazione legalmente riconosciuti

È una strategia che richiede metodo, analisi e supporto legale e finanziario adeguato.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la struttura del debito e la capacità reale di autofinanziamento dell’impresa
📑 Elabora un piano di ristrutturazione del debito basato su risorse interne
⚖️ Ti assiste nella trattativa con banche, fornitori e creditori istituzionali
✍️ Redige gli atti necessari per rendere il piano opponibile ai creditori e al fisco
🔁 Ti guida nell’integrazione del piano con le procedure previste dal Codice della Crisi, se necessarie


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in ristrutturazione del debito e diritto d’impresa
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per PMI, aziende familiari e attività produttive in difficoltà
✔️ Difensore nei rapporti con banche, fisco e soggetti istituzionali


Conclusione

L’autofinanziamento è spesso il modo più intelligente per uscire dal debito aziendale, evitando nuovi oneri e risolvendo la crisi con le proprie forze.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi strutturare un piano di ristrutturazione credibile, legalmente efficace e sostenibile nel tempo, valorizzando le risorse che già possiedi.

📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo:

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!