Il Finanziamento Bancario All’Impresa In Crisi

Hai un’impresa in difficoltà e ti stai chiedendo se puoi ancora ottenere un finanziamento bancario nonostante la crisi? Oppure sei una banca o un professionista e vuoi capire quando è lecito erogare credito a un’azienda che mostra segnali di squilibrio finanziario?

Il finanziamento bancario all’impresa in crisi è uno dei temi più delicati del Codice della Crisi d’Impresa. Ma attenzione: non è vietato, anzi, in certe condizioni può essere uno strumento lecito, utile e protetto dalla legge – purché sia concesso nel modo corretto, con consapevolezza e tracciabilità.

Si può finanziare un’impresa in crisi?
Sì, ma solo se:
– Il finanziamento è finalizzato al risanamento o alla prosecuzione dell’attività in ottica di recupero
– È concesso in coerenza con un piano di risanamento o una procedura di composizione della crisi
– Non è un “prestito a perdere”, cioè non serve a ritardare artificialmente l’insolvenza

Quando il finanziamento è legittimo e protetto?
– Se avviene durante una composizione negoziata della crisi
– Se è connesso a un piano attestato di risanamento
– Se fa parte di un accordo di ristrutturazione dei debiti
– Se viene erogato in esecuzione di un concordato preventivo

In questi casi, la legge prevede esenzioni da revocatorie fallimentari e tutela i creditori che contribuiscono al salvataggio dell’impresa.

Quali rischi corre la banca che finanzia un’impresa in crisi fuori da queste tutele?
– Il finanziamento può essere revocato in caso di successivo fallimento
– Può emergere una responsabilità solidale con l’imprenditore
– Può essere contestata una concessione abusiva di credito, con obbligo di risarcimento
– L’amministratore dell’azienda può essere accusato di aggravare dolosamente il dissesto

E per l’imprenditore che richiede credito in crisi?
– Deve dimostrare trasparenza sulla reale situazione aziendale
– Deve presentare un piano attendibile di utilizzo dei fondi
– Deve evitare l’utilizzo di nuova liquidità per pagare solo debiti scaduti, senza un disegno complessivo
– Deve ricordare che, in caso di insuccesso, la responsabilità può ricadere anche sul piano penale

Cosa fare prima di chiedere o concedere un finanziamento in questa situazione?
– Valutare oggettivamente la sostenibilità dell’attività aziendale
– Attivare un percorso di composizione negoziata, anche solo per proteggere le operazioni successive
– Coinvolgere un esperto, un OCC o un advisor indipendente
– Redigere una documentazione chiara, trasparente e ben motivata dell’operazione

Cosa NON fare mai?
– Nascondere alla banca lo stato di difficoltà
– Erogare finanziamenti senza base tecnica o giuridica
– Fingere una “ripresa” con dati non veritieri
– Usare i fondi per scopi personali o non aziendali

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario e crisi d’impresa – ti spiega quando è possibile e lecito ottenere o concedere un finanziamento a un’impresa in crisi, quali tutele prevede la legge e quali comportamenti evitare per non incorrere in responsabilità o sanzioni.

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Introduzione

L’accesso a nuova finanza per un’impresa in crisi è spesso decisivo per evitarne il tracollo definitivo e favorirne il risanamento. Tuttavia, ottenere finanziamenti bancari quando l’azienda attraversa difficoltà economico-finanziarie presenta rilevanti complessità giuridiche. In passato le banche erano riluttanti a finanziare imprese decotte per timore di violare la par condicio creditorum (privilegiando di fatto il nuovo creditore) o di incorrere in revocatorie fallimentari e responsabilità per concessione abusiva di credito. Con la riforma organica introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, di seguito CCII), il legislatore ha cercato di rimuovere questi ostacoli, predisponendo una disciplina organica che tutela la “finanza fresca” in vari modi: garantendo ai nuovi finanziatori un rango di prededuzione (cioè il diritto ad essere soddisfatti con precedenza rispetto agli altri creditori), esonero da azioni revocatorie per gli atti compiuti in attuazione dei piani di risanamento, ed anche limitando eventuali profili di responsabilità civile e penale per chi eroga o utilizza tali risorse. Si tratta di misure fondamentali per incentivare le banche (o altri soggetti, come soci e società del gruppo) a concedere credito a imprese in difficoltà, bilanciando la necessità di protezione dei creditori preesistenti con l’obiettivo di salvaguardare la continuità aziendale e i valori d’impresa.

Dal punto di vista del debitore (imprenditore o società in crisi), conoscere gli strumenti giuridici disponibili per ottenere finanziamenti bancari in sicurezza è cruciale. Significa capire: quali procedure attivare (dal piano attestato di risanamento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, fino al concordato preventivo e alla nuova composizione negoziata della crisi); come strutturare tali finanziamenti (condizioni, eventuali garanzie, ruolo dell’attestatore e autorizzazioni del tribunale); quali tutele offrono le norme (priorità di rimborso in prededuzione, esenzione da revocatoria, deroghe alle regole di postergazione dei finanziamenti soci ex art. 2467 c.c., ecc.) e quali rischi permangono (ad esempio, la perdita della prededuzione in caso di dolo o frode).

Struttura della guida. Nei paragrafi che seguono verrà dapprima delineato il quadro normativo e l’evoluzione storica della disciplina, mettendo a confronto la situazione precedente (sotto la Legge Fallimentare del 1942) con le innovazioni introdotte dalla riforma del 2019-2022 e dalla normativa emergenziale. Successivamente, affronteremo in dettaglio le varie tipologie di finanziamento nell’impresa in crisi, distinguendo tra: i finanziamenti in ambito stragiudiziale (piani attestati di risanamento e composizione negoziata) e quelli nelle procedure giudiziali (accordi di ristrutturazione omologati, concordato preventivo in tutte le sue forme). Per ciascun istituto vedremo i requisiti, la procedura da seguire, i benefici in termini di prededuzione e protezioni offerte, supportando l’esposizione con riferimenti normativi puntuali e con i più recenti orientamenti giurisprudenziali (2022-2025) sul tema – incluse pronunce di merito e di legittimità (Corte di Cassazione). Troverete inoltre tabelle riepilogative che sintetizzano le regole chiave (ad esempio, confrontando condizioni e limiti dei finanziamenti nei diversi strumenti di crisi), ed esempi pratici (simulazioni di casi concreti) per comprendere l’impatto reale di un finanziamento prededucibile sul soddisfacimento dei creditori. Una sezione finale presenterà una serie di Domande Frequenti (FAQ) con risposte concise, toccando gli interrogativi più comuni: “Cos’è un finanziamento prededucibile?”, “Quando serve l’autorizzazione del tribunale?”, “Un socio può finanziare la propria società in crisi senza vedersi postergato?”, “Cosa accade se il concordato fallisce?”, etc. Infine, chiude la guida un elenco ragionato di fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate, per permettere ulteriori approfondimenti. Procediamo dunque ad esaminare il quadro normativo di riferimento.

Quadro normativo: dall’era della Legge Fallimentare al Codice della Crisi

Evoluzione storica (1942–2022). Sotto la Legge Fallimentare del 1942 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), mancava inizialmente una disciplina organica dei finanziamenti all’impresa in crisi. Le poche aperture riguardavano la possibilità per il curatore fallimentare, previa autorizzazione del giudice delegato, di contrarre finanziamenti o continuare provvisoriamente l’attività dell’impresa fallita, con spese considerate prededucibili ex art. 111 L.F. (come costi di procedura). Al di fuori del fallimento, però, mancavano norme certe: finanziare un’impresa tecnicamente insolvente poteva esporre la banca a revocatoria fallimentare (qualora i rimborsi o le garanzie ricevute fossero stati considerati atti preferenziali nei periodi sospetti prima del fallimento) e all’accusa di aver aggravato il dissesto (la cosiddetta concessione abusiva di credito, concetto sviluppato in dottrina e giurisprudenza). Ne conseguiva un forte effetto deterrente: le imprese in crisi difficilmente trovavano banche disponibili a erogare “finanza ponte” per traghettarle fuori dalle difficoltà, proprio a causa dell’incertezza sul recupero delle somme erogate e sui possibili profili di responsabilità.

Una prima svolta arrivò con la riforma fallimentare del 2005-2007, che introdusse strumenti negoziali di soluzione della crisi. In particolare, venne previsto il piano attestato di risanamento (art. 67, co. 3, lett. d) L.F.) e gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F.) come alternative al fallimento. Contestualmente, il legislatore riconobbe alcune tutele mirate a chi supportava finanziariamente l’impresa in crisi nell’ambito di tali soluzioni concordate: ad esempio, l’art. 67 L.F. novellato esentò da revocatoria “gli atti, i pagamenti e le garanzie poste in essere in esecuzione di un piano di risanamento” attestato da un professionista indipendente, nonché quelli compiuti in esecuzione di un accordo di ristrutturazione omologato (art. 67, co. 3, lett. e L.F.). Inoltre, sul piano penale, fu introdotto l’art. 217-bis L.F. che escludeva la configurabilità dei reati di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice per i pagamenti e le operazioni effettuate in esecuzione di un piano attestato. Si trattava di primi passi importanti: chi finanziava un’impresa in crisi in attuazione di un piano certificato poteva confidare che le garanzie ricevute o i rimborsi ottenuti non sarebbero stati soggetti a revocatoria in caso di successivo fallimento (salvo il caso di frode), né i pagamenti effettuati dall’imprenditore nell’ambito del piano avrebbero costituito reato. Tuttavia, restavano irrisolti altri problemi, primo fra tutti la mancanza di uno status privilegiato (priority) per il nuovo credito nell’eventualità di una procedura concorsuale: il finanziatore extra-procedura, pur protetto da revocatoria, sarebbe comunque divenuto un creditore chirografario come gli altri in caso di fallimento, concorrendo pro quota e rischiando dunque di non recuperare buona parte del proprio credito.

Nel 2010 il legislatore intervenne nuovamente con il D.L. 78/2010 (conv. L. 122/2010), introducendo l’art. 182-quater L.F., che riconobbe espressamente la prededuzione ex art. 111 L.F. a due categorie di finanziamenti: (a) i finanziamenti (in qualsiasi forma) erogati da banche o intermediari in esecuzione di un concordato preventivo omologato o di un accordo di ristrutturazione omologato, e (b) i finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione (cioè la finanza “ponte” necessaria per arrivare al deposito del piano). Si trattò di una novità di rilievo, perché per la prima volta si prometteva trattamento preferenziale ai nuovi crediti rispetto a quelli anteriori (condizionando tale beneficio alla successiva omologazione del concordato/accordo). In pratica, ad esempio, una banca che avesse finanziato l’impresa per pagare fornitori strategici nel mentre si allestiva un concordato preventivo, avrebbe visto il suo credito soddisfatto con priorità (come costo prededucibile) all’esito positivo della procedura.

Queste innovazioni hanno costituito il preludio al riordino organico operato con il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Il CCII, emanato nel gennaio 2019 in attuazione della legge delega n. 155/2017, e definitivamente entrato in vigore dal 15 luglio 2022 (dopo varie proroghe dovute anche alla pandemia), ha avuto tra i suoi scopi dichiarati quello di favorire l’erogazione di finanziamenti sia in funzione che in esecuzione delle procedure di regolazione della crisi. Nel frattempo, il legislatore europeo con la Direttiva UE 2019/1023 (sui quadri di ristrutturazione preventiva) ha confermato la necessità per gli Stati membri di tutelare la nuova finanza, riconoscendo effetti protettivi (civili e penali) e un rango di priorità almeno sui crediti chirografari in caso di successivo fallimento. Tutti questi principi sono stati recepiti nel nuovo Codice. In sintesi, oggi il sistema normativo italiano offre un ventaglio di strumenti che l’impresa in crisi può utilizzare per ottenere finanza con un certo grado di sicurezza giuridica, a patto di rispettare procedure e condizioni ben precise. Di seguito elenchiamo le principali disposizioni del CCII in materia di finanziamenti all’impresa in crisi:

  • Art. 6 CCII – fornisce la definizione generale di crediti prededucibili, includendovi (oltre ai crediti sorti durante le procedure concorsuali per gestione del patrimonio o continuazione dell’attività) anche alcune fattispecie di crediti sorti prima della procedura ma in connessione con essa (come i finanziamenti in funzione di concordato/accordo). L’art. 6, in particolare, prevede che determinati crediti sorti in sede di concordato o accordo abbiano prelazione generale di prededuzione anche nelle eventuali procedure esecutive o concorsuali successive, a prescindere dalla consecuzione formale fra procedure. In altri termini, viene confermata la natura “processuale” della prededuzione – legata al contesto procedurale in cui il credito sorge – ma se ne ammette l’estensione anche ad un fallimento successivo (purché collegato alla procedura precedente), superando alcuni dubbi interpretativi del passato. Va segnalato che l’art. 6 CCII, nel testo originario, fissava un limite del 75% per il riconoscimento della prededuzione di taluni crediti sorti in sede di accordi di ristrutturazione (in particolare, compensi dei professionisti); tale percentuale – oggetto di critiche – è stata eliminata o attenuata dagli interventi correttivi successivi (da ultimo il D.Lgs. 83/2022 e il D.Lgs. 136/2024), che hanno ampliato la tutela prededucibile a questi crediti professionali al 100% entro certi limiti di valore. In ogni caso, per i finanziamenti bancari veri e propri, come vedremo, il CCII tende a riconoscere integralmente la prededuzione a condizione che siano rispettati i presupposti di legge (attestazione di un esperto, autorizzazione tribunale se prevista, ecc.), salvo decadere in caso di condotte fraudolente.
  • Art. 99 CCII – disciplina i finanziamenti prededucibili autorizzati prima dell’omologazione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti. È la norma che consente al debitore di chiedere al tribunale un’autorizzazione a contrarre finanziamenti (in qualsiasi forma, anche mediante emissione di garanzie) durante la fase che intercorre fra il deposito della domanda di concordato/accordo e la sua omologazione. Questa disposizione ricalca in parte i previgenti artt. 182-quater e 182-quinquies L.F., fornendo però maggior chiarezza procedurale. Vedremo nel dettaglio nel prosieguo i contenuti dell’art. 99 (condizioni per l’autorizzazione, iter, ecc.).
  • Art. 100 CCII – prevede l’autorizzazione al pagamento di crediti pregressi del debitore funzionali alla continuità aziendale (c.d. critical vendors), tema collegato ai finanziamenti in crisi ma non oggetto centrale di questa guida. È norma rilevante soprattutto nel concordato in continuità aziendale: consente di pagare anticipatamente determinati fornitori strategici per evitare l’interruzione di rapporti essenziali, con autorizzazione del tribunale. Anche questi pagamenti autorizzati godranno di prededuzione e non saranno revocabili, se effettuati nei termini di legge.
  • Art. 101 CCII – disciplina i finanziamenti prededucibili in esecuzione di un concordato preventivo omologato o di un accordo di ristrutturazione omologato. Stabilisce che, in caso di continuità aziendale prevista dal piano omologato, i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione di tale piano, espressamente previsti dal medesimo, sono a pieno titolo prededucibili. In pratica, se il piano di concordato (o l’accordo) confermato dal tribunale contempla l’apporto di nuova finanza da parte di una banca per realizzare gli obiettivi di risanamento, il credito della banca sarà soddisfatto con precedenza su tutti gli altri crediti nelle eventuali procedure concorsuali successive. Il comma 2 dell’art. 101 introduce però un importante correttivo anti-abuso: se successivamente l’impresa va in liquidazione giudiziale (fallimento) e si scopre che il piano omologato era basato su dati falsi o omissioni del debitore (o che vi erano atti in frode ai creditori), noti al finanziatore al momento dell’erogazione, allora il finanziamento perde la prededuzione. Questa clausola – analoga a quella prevista per i finanziamenti autorizzati ex art. 99 – mira a evitare che banche colluse con il debitore possano avvantaggiarsi di piani fraudolenti.
  • Art. 102 CCII – rappresenta una novità di grande rilievo: prevede espressamente che il trattamento di favore dei nuovi finanziamenti avviene in deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.. Tali articoli del codice civile dispongono la postergazione (subordinazione) dei crediti di finanziamento soci (art. 2467 per s.r.l. e art. 2497-quinquies per società soggette a direzione altrui) se erogati in una situazione di eccessivo squilibrio o sottocapitalizzazione della società. Nel regime previgente, dunque, i finanziamenti dei soci ad un’impresa decotta venivano relegati all’ultimo posto: in caso di fallimento non venivano rimborsati finché tutti gli altri crediti non fossero soddisfatti integralmente. L’art. 102 CCII deroga questa regola per incentivare gli apporti dei soci nelle ristrutturazioni: se il finanziamento del socio (o della società controllante) viene effettuato nell’ambito o in funzione di uno strumento di risanamento disciplinato dal Codice e soddisfa i requisiti per la prededuzione (es. è autorizzato ex art. 22 o 99, ovvero è previsto da un piano omologato ex art. 101), allora non si applica la postergazione civilistica e tale credito è prededucibile alla pari di quello di una banca finanziatrice. Si tratta di un forte incentivo affinché i soci supportino finanziariamente la propria impresa in crisi senza temere di essere “penalizzati” rispetto agli altri creditori. Su questo aspetto torneremo, confrontando anche l’esperienza pre-riforma (ad es. vedremo un caso in cui un tribunale limitò ex aequo al 80% la prededuzione di un finanziamento soci in mancanza di una base normativa chiara).
  • Art. 22 CCII – disciplina i finanziamenti prededucibili nell’ambito della composizione negoziata della crisi, strumento introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021) e ora parte integrante del Codice. In breve, durante la procedura di composizione negoziata (che è una trattativa assistita da un esperto indipendente, prima di eventuali procedure concorsuali), l’imprenditore in crisi può chiedere al tribunale di essere autorizzato a contrarre nuovi finanziamenti prededucibili, erogati da terzi o dai soci o da società del gruppo. L’art. 22 prevede che il giudice, sentite le parti interessate e assunte informazioni, verifichi la funzionalità del finanziamento alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, valutando comparativamente l’impatto della prededuzione sul ceto creditorio e il beneficio atteso dalla prosecuzione dell’attività. Il decreto di autorizzazione (emesso in camera di consiglio) può inoltre autorizzare la concessione di garanzie reali sui beni del debitore a tutela del finanziatore. La portata protettiva è molto ampia: l’art. 24 CCII stabilisce che “gli effetti degli atti autorizzati dal tribunale si conservano” anche se successivamente interviene una procedura concorsuale (accordo omologato, concordato, liquidazione giudiziale, amministrazione straordinaria o persino un concordato semplificato ex art. 25-sexies). In pratica, se durante la composizione negoziata si ottiene un finanziamento autorizzato dal giudice, questo mantiene la prededuzione e le garanzie anche se, malauguratamente, la negoziazione fallisce e l’azienda viene dichiarata insolvente, oppure se sfocia in un accordo o concordato. Anche qui ritroviamo una clausola anti-abuso: l’art. 24 ultimo comma ricalca l’esimente penale (nessuna responsabilità per i pagamenti autorizzati dall’esperto) a condizione che l’atto avvenga dopo l’accettazione dell’esperto nominato. Di conseguenza, è opinione diffusa che l’esperto debba essersi insediato affinché si possano chiedere finanziamenti ex art. 22. In questa sede basti notare che la composizione negoziata rappresenta un tentativo di anticipare l’intervento finanziario in una fase pre-concorsuale, con simili garanzie di prededucibilità, per evitare che l’impresa collassi prima ancora di accedere ad una procedura strutturata.

Riassumendo, il Codice della Crisi del 2019-2022, integrato con le modifiche del 2020, 2022 e 2024, fornisce un quadro organico che incentiva la nuova finanza nell’impresa in crisi. Si assiste in sostanza ad un cambio di paradigma: laddove un tempo prevaleva la tutela rigida del concorso formale dei creditori (scoraggiando qualsiasi deviazione, anche quando funzionale al salvataggio), oggi si attribuisce priorità ai valori della continuità aziendale e del risanamento, riconoscendo dignità e protezione a ogni atto o apporto che sia funzionalmente orientato a tali obiettivi. Come sintetizzato da autorevole dottrina, il CCII consacra un “rilevante cambio di cultura nel diritto della crisi d’impresa”, elevando a regola la prededuzione dei crediti da nuova finanza e l’esclusione del rischio restitutorio/penale per tali atti. Naturalmente, ciò avviene entro limiti e condizioni precise, per evitare abusi a danno dei creditori estranei. Nei paragrafi seguenti passeremo in rassegna i singoli istituti, analizzando come e quando un’impresa in crisi possa avvalersi di finanziamenti bancari (od equiparati) con il beneficio della prededuzione e delle altre tutele previste, distinguendo le varie fasi: prima dell’apertura di una procedura concorsuale (strumenti stragiudiziali), durante la procedura (finanza “ponte” in pendenza di concordato/accordo) e in esecuzione del piano omologato.

Prima di procedere, è opportuno chiarire due nozioni di base utilizzate spesso nel testo: “stato di crisi” e “insolvenza”. Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a) CCII, per crisi si intende lo “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza”, includendo anche l’insolvenza reversibile (temporanea mancanza di liquidità). L’insolvenza, invece, è lo stato di definitivo dissesto in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (art. 2, co.1, lett. b). Il Codice incentiva l’emersione anticipata della crisi prima che si tramuti in insolvenza conclamata: molti strumenti (piani attestati, composizione negoziata, accordi) sono utilizzabili già nella fase di “allerta” o di crisi iniziale. In questa guida useremo il termine “impresa in crisi” in senso ampio, comprensivo anche della situazione di insolvenza conclamata gestita attraverso concordato preventivo o liquidazione giudiziale, salvo diversamente specificato.

Finanziamenti nei piani attestati di risanamento (strumenti stragiudiziali)

Una prima tipologia di intervento finanziario è quella che avviene nel contesto di un piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII (già previsto dall’art. 67, co. 3, lett. d) L.Fall.). Il piano attestato è uno strumento negoziale e privatistico, privo di omologazione giudiziale, basato su un accordo volontario tra il debitore e i suoi creditori, supportato da una relazione di un professionista indipendente che attesta la fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali. Tipicamente, il piano attestato prevede una serie di operazioni per il risanamento dell’impresa (ristrutturazione dei debiti, aumento di capitale, cessione di cespiti non strategici, e spesso nuova finanza apportata da terzi o dai soci) che dovrebbero consentire di superare la crisi e riequilibrare la situazione economico-patrimoniale.

Dal punto di vista del finanziamento bancario, il piano attestato offre principalmente una tutela in termini di esenzione da revocatoria e di esonero da responsabilità per atti legalmente compiuti durante la sua esecuzione. In assenza di omologazione, infatti, non esiste una “prededuzione interna” alla procedura (non essendovi procedura concorsuale); il finanziatore che aderisce al piano rimane un creditore normale dell’azienda e, se il piano fallisce, dovrà insinuarsi nell’eventuale fallimento successivo come chirografario (salvo abbia ottenuto garanzie). Il vantaggio, però, è che gli atti esecutivi del piano – ad esempio la concessione di nuove garanzie alla banca finanziatrice, i pagamenti effettuati e altri negozi posti in essere in adempimento del piano – non potranno essere dichiarati inefficaci né revocati dal futuro curatore, a condizione che il piano presenti i requisiti di legge. L’art. 166, co. 3, lett. d) CCII, ricalcando la previgente norma, sancisce infatti che “gli atti, i pagamenti e le garanzie su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di cui all’art. 56 […] e in esso indicati, non sono soggetti all’azione revocatoria”. Questa esenzione opera sia rispetto alle azioni revocatorie fallimentari (promosse dal curatore nella liquidazione giudiziale) sia, novità della riforma, rispetto alle azioni revocatorie ordinarie ex art. 2901 c.c.. In pratica, la banca può concedere un nuovo finanziamento al debitore in crisi, facendosi rilasciare ad esempio un’ipoteca o un pegno su beni del debitore, ed essere relativamente tranquilla che, se anche entro due anni l’impresa dovesse fallire, il curatore non potrà chiedere la revoca di quella ipoteca (né del rimborso eventualmente ricevuto) in quanto atto esecutivo di un piano di risanamento validamente attestato. Ciò rimuove un importante ostacolo: sotto la vecchia legge, infatti, la giurisprudenza era unanime nel ritenere revocabili i pagamenti fatti e le garanzie concesse a banche finanziatrici durante le trattative di risanamento, in assenza di un ombrello normativo. Oggi, invece, se l’operazione è inserita in un piano attestato serio, la banca ha una protezione ex lege.

Va sottolineato che il CCII ha rafforzato i requisiti per godere di questa esenzione. In primo luogo, il piano deve essere dettagliato: l’art. 166 richiede ora espressamente che gli atti, pagamenti e garanzie agevolati dalla non revocabilità siano “indicati” nel piano, e non solo ad esso funzionalmente collegati. Ciò impone al debitore e all’attestatore una maggiore specificità nel predisporre il piano, elencando con precisione le operazioni previste (ad esempio: “concessione di ipoteca di primo grado sull’immobile X a favore della Banca Y a garanzia di un finanziamento di €…”, etc.). In secondo luogo, l’esenzione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore ovvero del debitore, se il creditore (cioè la controparte dell’atto, tipicamente la banca) ne era a conoscenza al momento dell’atto. Questa clausola, introdotta in risposta ad abusi emersi, implica che se il professionista assevera un piano basato su dati falsi o fuorvianti (colpa grave o dolo) oppure se il debitore occulta informazioni essenziali o simula operazioni, e la banca finanziatrice è consapevole di tali irregolarità, allora in caso di fallimento non potrà invocare la protezione: i pagamenti o le garanzie potrebbero essere revocati, perché la legge esclude l’esenzione quando vi sia collusione consapevole del creditore finanziatore. In altri termini, la buona fede della banca è una condizione implicita della tutela.

Un esempio pratico aiuterà a comprendere: Società Alfa S.p.A. versa in crisi di liquidità ma è ancora economicamente recuperabile. Predispone un piano attestato, certificato da un professionista, che prevede la continuità aziendale e il pagamento integrale dei creditori in 5 anni. Nel piano, dettagliato, si stabilisce che Banca X concederà un finanziamento ponte di 500.000 € garantito da ipoteca sui capannoni della società, fondi che serviranno a pagare fornitori strategici e a finanziare il circolante nei primi 6 mesi. Banca X, ottenuto il piano attestato e valutato positivamente l’attestazione indipendente, eroga il prestito e ottiene l’iscrizione di ipoteca. Grazie a ciò, Alfa evita il default immediato e prosegue l’attività. Se il piano ha successo, Alfa rimborserà progressivamente Banca X alle scadenze concordate, e nessun problema si pone. Se invece dopo un anno il piano fallisce e Alfa viene dichiarata insolvente e ammessa a liquidazione giudiziale (fallimento), cosa succede? Banca X si troverà ad essere creditrice privilegiata ipotecaria e avrà mantenuto la sua garanzia valida: il curatore non potrà chiederne la revoca perché l’ipoteca rientra negli atti esecutivi del piano attestato (regolarmente attestato e depositato con data certa). Inoltre, Banca X potrà insinuarsi al passivo come creditore ipotecario per il capitale residuo. Pur non essendo “prededucibile” in senso tecnico (perché il credito è sorto prima del fallimento e al di fuori di una procedura concorsuale), la banca gode comunque di un forte vantaggio concorsuale: avrà diritto di prelazione sull’immobile ipotecato e potrà soddisfarsi su quel ricavato prima dei creditori chirografari. Se invece Alfa non avesse predisposto un piano attestato e Banca X avesse comunque erogato un prestito prendendo ipoteca, in caso di fallimento quell’ipoteca (se costituita ad esempio nei 6 mesi prima) avrebbe potuto essere revocata dal curatore ex art. 166 CCII (revocatoria fallimentare, corrispondente all’art. 67 L.F. periodo sospetto per le garanzie) e Banca X sarebbe degradata a creditore chirografario con scarsissime prospettive di recupero. Ecco perché la formale adozione di un piano attestato e il rispetto delle relative forme costituiscono un significativo incentivo per le banche a intervenire: riducono il rischio legale dell’operazione.

Un altro aspetto da evidenziare è che il piano attestato non richiede l’assenso di tutti i creditori (può essere unilateralmente predisposto dall’impresa), ma nella prassi la riuscita dipende dalla credibilità del piano e dalla collaborazione dei principali creditori. Spesso un istituto di credito acconsente a finanziare solo se anche altri stakeholders fanno la loro parte (es. i fornitori accettano dilazioni, i soci apportano nuovo capitale, ecc.). La mancanza di un coinvolgimento formale dei creditori nel piano (salvo eventualmente aderirvi individualmente) e l’assenza di un ombrello procedurale spiega perché il piano attestato sia considerato lo strumento più “snello” ma anche più rischioso: non blocca le azioni esecutive dei creditori (non c’è automatic stay), non impone sacrifici coattivi ai dissenzienti, e l’efficacia dipende interamente dall’adesione spontanea e dalla corretta esecuzione. Ciò nondimeno, quando l’impresa ha una crisi ancora gestibile e un numero limitato di creditori chiave, il piano attestato può essere preferibile per evitare la pubblicità negativa di un concordato. In tal caso, ottenere un finanziamento bancario all’interno del piano può risultare decisivo. La banca valuterà attentamente la bontà del piano e l’attestazione indipendente (spesso svolgendo una due diligence autonoma), ma se decide di intervenire, beneficerà – come visto – di robusti scudi protettivi: niente revocatoria (salvo frode) e niente responsabilità per aver continuato a sostenere un’impresa decotta (dato che il piano attestato funge anche da protezione in termini di diligenza: il rispetto di quel percorso di risanamento è indice che la banca non ha agito avventatamente, scongiurando in radice contestazioni di abuso di credito).

Sul piano penale, giova ribadire che atti come pagamenti preferenziali effettuati in esecuzione del piano non sono punibili come bancarotta preferenziale, grazie all’art. 324 CCII (corrispondente all’abrogato art. 217-bis L.F.). Dunque, se ad esempio l’imprenditore paga integralmente un fornitore “strategico” come previsto dal piano attestato, non potrà essergli imputato in seguito di aver dolosamente favorito quel creditore a scapito di altri, purché l’operazione fosse nel piano ed effettivamente funzionale al risanamento. Allo stesso modo, il professionista attestatore risponde penalmente solo in caso di dolo o colpa grave per false attestazioni (art. 324-ter CCII, ex art. 236-bis L.F.). Queste disposizioni completano il quadro di serenità legale per chi partecipa, a vario titolo, all’attuazione del piano di risanamento.

In sintesi, il finanziamento bancario in un piano attestato di risanamento:

  • Quando si usa? Quando l’impresa elabora un piano di risanamento “privato” senza ricorrere a procedure concorsuali, e necessita di liquidità aggiuntiva per attuarlo. È adatto per crisi non ancora irreversibili in cui si confida di evitare il tribunale.
  • Quali vantaggi per la banca? Garanzie e pagamenti ricevuti in esecuzione del piano sono protetti da azioni revocatorie; i nuovi finanziamenti non sono equiparati a capitale di rischio (deroga implicita a 2467 c.c. solo se l’azienda poi non fallisce affatto; se invece fallisce, il finanziamento soci verrebbe postergato perché la deroga art. 102 CCII non copre il piano attestato non omologato). Inoltre, l’attestazione professionale e l’adesione ad un percorso formalizzato riducono il rischio di imputazioni di condotta imprudente.
  • Quali limiti? Non c’è prededuzione in senso tecnico (perché non c’è procedura concorsuale): se poi l’impresa fallisce, la banca finanziatrice concorre come creditore chirografario o privilegiato solo se si era garantita. In assenza di garanzie, il suo nuovo credito non ha prelazione particolare sul patrimonio fallimentare. Dunque il recupero dipende comunque dall’attivo disponibile. Inoltre l’esenzione da revocatoria salta se vi è dolo/frode noti al finanziatore.
  • Condizioni pratiche da rispettare: redazione scrupolosa del piano con indicazione puntuale delle operazioni da compiere; relazione di attestazione seria e fondata; eventuale transazione con i principali creditori (per evitare che agiscano individualmente); monitoraggio del piano.

In caso di esito negativo del piano attestato e successivo fallimento, la banca finanziatrice si troverà comunque in una posizione migliore di altri nuovi creditori extra-piano: avendo magari ottenuto un’ipoteca valida non revocabile, potrà escutere quella garanzia. Un’illustrazione numerica: se Banca X ha erogato 1 milione con ipoteca su un immobile aziendale e il piano fallisce, in liquidazione giudiziale l’immobile viene venduto poniamo a 800.000 €. Banca X, come creditore ipotecario, incasserà quegli 800.000 € (salvo altre ipoteche di grado anteriore) prima che qualunque altro creditore concorsuale riceva qualcosa. I creditori chirografari vedranno invece quelle somme già assorbite dal pagamento del credito della banca (che, se rimasta parzialmente insoddisfatta, per il residuo concorrerà in chirografo). Se invece Banca X avesse finanziato fuori da un piano attestato, l’ipoteca quasi certamente sarebbe stata revocata e la banca avrebbe perso anche il privilegio.

È opportuno precisare, infine, che il piano attestato – come ricordato – non crea di per sé uno stato di “procedura concorsuale”. Ciò comporta che non scatta alcuna tutela automatica tipo stay per il debitore: i creditori non aderenti potrebbero comunque agire per recuperare i loro crediti (pignoramenti, istanze di fallimento). Perciò spesso i piani attestati sono accompagnati da accordi stragiudiziali con i creditori per evitarne l’azione individuale. Qualora la pressione dei creditori sia troppo alta, l’imprenditore potrebbe dover “ripiegare” su strumenti come l’accordo di ristrutturazione o il concordato preventivo, più strutturati e con protezione giudiziale. In tal caso, i finanziamenti ottenuti in esecuzione del piano attestato già fallito potrebbero sperare di ottenere la prededuzione nella nuova procedura solo se ricompresi in essa con uno specifico meccanismo (ad esempio, rifinanziandoli mediante un accordo ex art. 182-bis, altrimenti restano crediti pregressi non privilegiati). Su questo la giurisprudenza ha avuto posizioni alterne, ma la linea generale del Codice è di incentivare la soluzione tempestiva: se il piano attestato fallisce, conviene attivare subito un accordo o un concordato così che eventuali nuovi apporti possano rientrare nel perimetro protetto degli articoli 99 e 101 CCII.

Finanziamenti negli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati

Passiamo ora all’accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII, già art. 182-bis L.F.), uno strumento misto – privatistico ma con omologazione giudiziale – che richiede il consenso di una parte qualificata dei creditori (almeno il 60% dei crediti, salvo le nuove varianti “agevolate” a soglia ridotta) e l’approvazione del tribunale. Gli accordi di ristrutturazione rientrano tra le procedure di regolazione della crisi sebbene non siano vere e proprie procedure concorsuali in senso stretto; ciò nondimeno, la Cassazione già dal 2018 ne ha affermato la natura concorsuale ai fini di taluni effetti, e il CCII li include a pieno titolo tra gli strumenti concorsuali disciplinati.

Per quanto riguarda i finanziamenti bancari, l’accordo di ristrutturazione offre un duplice ambito: la possibilità di ottenere finanza prima dell’omologazione (per arrivare alla conclusione dell’accordo) e la finanza in esecuzione dell’accordo stesso (dopo l’omologazione, per attuarne i contenuti). Entrambi gli ambiti sono coperti dalle norme del CCII.

1. Finanza “ponte” durante le trattative di accordo (art. 99 CCII). Il debitore che intende omologare un accordo di ristrutturazione può trovarsi, analogamente al concordato, nella necessità di reperire liquidità immediata per reggere fino all’omologazione (che richiede qualche mese). Ad esempio, potrebbe dover pagare dipendenti o fornitori essenziali per evitare il collasso operativo durante le negoziazioni. Ebbene, l’art. 99 CCII – già illustrato a proposito del concordato – è formulato in modo tale da applicarsi anche agli accordi di ristrutturazione. Esso consente, contestualmente al deposito della domanda di accesso alla procedura (ricorso ex art. 44 CCII) o anche prima del deposito della proposta e documentazione completa, di chiedere al tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili funzionali all’esercizio dell’attività d’impresa fino all’omologazione dell’accordo. Le condizioni e il procedimento sono gli stessi già visti: continuità aziendale prevista (anche solo per finalità liquidatorie), indicazione puntuale della destinazione dei fondi, attestazione dell’esperto indipendente circa la necessità e la funzionalità del finanziamento alla migliore soddisfazione dei creditori, e dimostrazione che senza di esso l’impresa subirebbe un grave pregiudizio. Il tribunale decide entro 10 giorni, sentiti eventualmente i creditori principali, e può autorizzare anche la concessione di pegno/ipoteca a garanzia. Questa previsione è rilevante perché, nella vecchia legge, l’accordo di ristrutturazione non prevedeva espressamente la possibilità di ottenere provvedimenti di finanziamento interinale: era necessario “ingegnarsi” utilizzando strumenti come il concordato in bianco o accordi di standstill privati. Ora invece il debitore in composizione negoziata o in trattativa avanzata di accordo ex art. 57 CCII può formalmente accedere a questo DIP financing ante-omologazione. La giurisprudenza recente lo conferma: ad esempio, il Tribunale di Brescia (25 luglio 2024) ha accolto un’istanza di autorizzazione a finanziamenti prededucibili presentata nell’ambito di un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (nuova figura introdotta dal correttivo 2022, assimilabile all’accordo), ribadendo che i presupposti richiesti sono la continuità aziendale e l’urgenza del finanziamento. Inoltre, il Tribunale di Udine (28 ottobre 2024) ha osservato che non serve un’ulteriore specifica autorizzazione per riconoscere la prededuzione ai finanziamenti erogati in esecuzione di un accordo omologato, nel senso che – diversamente dal concordato preventivo che ha un commissario e un controllo più stretto – nell’accordo basta la previsione nel piano e l’omologazione per dare al finanziamento rango prededucibile (come dettaglieremo fra poco parlando dell’art. 101). Questa pronuncia chiarisce che l’art. 99, pur essendo attivabile anche negli accordi, non è condizione di prededucibilità esclusiva: il finanziatore può attendere l’omologazione confidando nell’art. 101, ma in tal caso si assume il rischio se l’accordo non viene omologato (in mancanza di autorizzazione ex art. 99, il finanziamento concesso “spontaneamente” durante le trattative non sarebbe prededucibile qualora l’accordo saltasse).

2. Finanziamenti in esecuzione dell’accordo omologato (art. 101 CCII). Una volta omologato, l’accordo di ristrutturazione vincola solo i creditori aderenti (salvo estensioni particolari previste dalla legge per omologazione cram-down di dissenzienti, introdotte con il recepimento della direttiva). Se il piano sottostante prevede l’apporto di nuova finanza – ad esempio un nuovo mutuo bancario per rimborsare in parte i creditori o per fornire capitale circolante all’azienda risanata – quel finanziamento, se erogato in conformità al piano e dopo l’omologazione, ricade nella previsione dell’art. 101, comma 1 CCII. Quest’ultimo stabilisce che, se il piano prevede la continuità aziendale, i crediti derivanti dai finanziamenti effettuati in esecuzione dell’accordo omologato e espressamente menzionati nel piano sono prededucibili. Ad esempio, se l’accordo omologato con i creditori prevede che la Banca Y concederà un nuovo finanziamento chirografario di 2 milioni per pagare i creditori stralciati al 80% (come da accordo) e per supportare la ripresa, allora Banca Y avrà un credito prededucibile: se successivamente la società dovesse essere liquidata giudizialmente, Banca Y verrebbe soddisfatta con precedenza su tutti gli altri creditori concorsuali (eccetto gli eventuali altri prededucibili, come spese di giustizia). Non è richiesta alcuna autorizzazione ulteriore da parte del tribunale, poiché il giudice ha già valutato il piano nel decreto di omologa. La ratio è evidente: favorire l’apporto di risorse fresche necessarie a dare efficacia all’accordo, mettendo il finanziatore al riparo dal rischio concorsuale. Questo meccanismo era stato introdotto già dall’art. 182-quater L.F. nel 2010, ma ora è integrato sistematicamente nel nuovo Codice.

Naturalmente, anche qui c’è il rovescio della medaglia: se l’accordo, una volta omologato, non viene poi adempiuto e l’impresa finisce in default, il finanziatore rischia di doversi soddisfare nel successivo fallimento insieme agli altri prededucibili, trovando magari un attivo insufficiente. Tuttavia, ciò fa parte del rischio d’impresa del finanziatore; il diritto concorsuale si limita a dargli il rango più elevato possibile (prededuzione), ma non garantisce la solvibilità del debitore. Un’importante eccezione (già menzionata) è prevista dall’art. 101, co. 2: se l’accordo omologato risultava viziato da frode o falsità e ciò era noto al finanziatore, la prededuzione è esclusa. Ad esempio, se Banca Y sapeva che i bilanci dell’impresa erano truccati e che l’accordo non aveva basi reali, ma ha prestato ugualmente confidando di speculare sulla prededuzione, in caso di fallimento successivo il curatore potrà opporsi al riconoscimento della prededuzione a quel credito, provando la malafede della banca (conoscenza dei dati falsi). Questa previsione, sebbene di non facile prova pratica, serve da monito: la prededuzione non copre le operazioni collusive o negligenti. Se la banca agisce con diligenza – basandosi su un piano attestato serio e su dati veritieri – può confidare nella tutela; se chiude un occhio su possibili irregolarità, accetta il rischio di perdere la prelazione.

Anche per gli accordi di ristrutturazione, analogamente ai piani attestati, valgono le tutele sul fronte revocatorio e penale. Gli atti e pagamenti in esecuzione dell’accordo omologato, come visto, non sono revocabili (art. 166, co. 3, lett. e CCII). Ciò significa, per esempio, che se una banca – secondo l’accordo – viene pagata parzialmente e rilascia nuova finanza, quei pagamenti ricevuti non potranno essere revocati in un fallimento successivo. Sul fronte penale, l’art. 324 CCII estende anche agli accordi di ristrutturazione la non punibilità per atti esecutivi dell’accordo, equiparandoli a pagamenti autorizzati.

In sintesi per gli accordi di ristrutturazione:

  • Finanza prima dell’omologa: il debitore può chiedere al tribunale autorizzazione ex art. 99 CCII per finanziamenti urgenti, ottenendo prededuzione immediata. È consigliabile farlo per mitigare il rischio in caso di mancata omologa, altrimenti un finanziamento volontario anticipato resterebbe scoperto. Questa fase richiede la relazione di un esperto attestatore e dimostrare che la continuità d’impresa è in gioco. Nella prassi però l’uso è meno frequente rispetto al concordato, perché l’accordo spesso viene negoziato rapidamente con banche e creditori in modo confidenziale (senza clamore pubblicitario di un ricorso).
  • Finanza post-omologa: qualunque finanziamento previsto dal piano omologato per la fase di esecuzione è prededucibile ex lege. Conviene quindi inserire nel piano dell’accordo la specifica indicazione di eventuali linee di credito aggiuntive necessarie e del loro utilizzo. Si noti che l’art. 101 CCII richiede la continuità aziendale per attivare la prededuzione: se l’accordo è meramente liquidatorio (ad esempio prevede la liquidazione del patrimonio con stralcio debiti, senza proseguire attività), la norma letteralmente non si applicherebbe. In tali casi, nuovi finanziamenti sarebbero improbabili comunque; se necessari, bisognerebbe valutare il ricorso al concordato preventivo in continuità anziché all’accordo.
  • Garanzie: la banca finanziatrice in accordo può essere garantita da pegni o ipoteche costituite a sostegno dell’accordo; tali garanzie godono di esenzione da revocatoria e sono opponibili nel rispetto delle regole generali (va evitato che garanzie su crediti anteriori siano costituite senza copertura di esenzione: se non c’è piano attestato o accordo, un’ipoteca data per debiti pregressi resta revocabile; ma un’ipoteca data per garantire nuova finanza dell’accordo è invece protetta).
  • Postergazione soci: se i nuovi finanziamenti sono apportati da soci o società controllanti, e rientrano nell’accordo, la deroga dell’art. 102 CCII li salva dalla postergazione 2467 c.c. Essi saranno quindi parificati a finanziamenti di terzi, godendo della prededuzione secondo le regole sopra descritte. Questo elimina una distorsione: in passato, se i soci finanziavano nell’accordo, formalmente quei crediti sarebbero stati postergati in un fallimento successivo, scoraggiando l’apporto diretto di equity disguised as debt. Ora i soci possono partecipare all’accordo in veste di finanziatori quasi alla pari di una banca, purché tutto avvenga alla luce del sole e con attestazione.

Possiamo immaginare un caso esemplificativo: Beta S.r.l. negozia un accordo 182-bis con le banche: queste accettano uno sconto (70%) sui vecchi crediti e concordano di erogare un nuovo finanziamento di €1 milione per consentire all’azienda di pagare i creditori estranei e ripartire. Il piano d’accordo prevede che Beta venda alcuni asset non strategici e che i soci immettano anche €200.000 freschi. Il tribunale omologa l’accordo. La nuova finanza (1 milione dalle banche + 200k dai soci) viene erogata e impiegata come da piano. Se due anni dopo Beta dovesse purtroppo fallire, cosa succede? I crediti derivanti da quel milione erogato dalle banche saranno trattati in prededuzione: le banche potranno insinuarsi in prededuzione per quanto non rimborsato, venendo soddisfatte prima di ogni credito sorto prima del fallimento. Analogamente, il credito di €200k dei soci finanziatori godrà di prededuzione (deroga a 2467 c.c.), sempre che Beta sia stata in continuità e che il finanziamento dei soci fosse espressamente previsto dall’accordo (in genere conviene formalizzarlo come vero finanziamento soci prededucibile autorizzato). Il curatore potrà contestare la prededuzione solo provando che l’accordo era fraudolento e che banche/soci ne erano consapevoli – ipotesi remota se tutti gli atti erano omologati dal tribunale. In sintesi, le nuove risorse immesse non rimarranno intrappolate in coda, ma avranno la massima prelazione disponibile (prima ancora dei creditori privilegiati pregressi, secondo l’ordine di distribuzione ex art. 221 CCII). Questo dà alle banche la fiducia per investire nel turnaround di Beta. Certo, se l’attivo fallimentare di Beta risulterà insufficiente persino per rimborsare integralmente i prededucibili, le banche potrebbero subire una decurtazione; ma sarebbero comunque in posizione preferenziale rispetto ai vecchi creditori chirografari che con ogni probabilità non vedrebbero nulla.

Prima di passare al concordato preventivo, segnaliamo che la riforma 2022 ha introdotto alcune varianti degli accordi di ristrutturazione, tra cui gli “accordi agevolati” (con soglia ridotta al 30% se certi creditori vengono soddisfatti integralmente) e gli “accordi ad efficacia estesa” (che permettono in taluni casi di vincolare anche creditori dissenzienti financial se omologati con percentuali qualificate per classi). Queste varianti sono però inerenti al processo di votazione/omologazione e non modificano la sostanza qui rilevante: qualsiasi accordo omologato, anche agevolato o esteso, consente di sfruttare le norme sui finanziamenti prededucibili ex art. 99 e 101 CCII. Inoltre, sempre nel recepire la direttiva UE, è stato previsto il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64-bis CCII) che, pur non essendo qui approfondito, funziona in modo analogo all’accordo: è un piano proposto dal debitore con suddivisione per classi e omologato dal tribunale (anche in caso di dissenso di alcune classi, cram down), e la legge espressamente richiama per tali piani la possibilità di autorizzare nuova finanza prededucibile prima dell’omologa (art. 64-bis, c.9, rinvia all’art. 99) e di riconoscere prededuzione ai finanziamenti in esecuzione del piano omologato (sempre art. 64-bis, c.9, rinvia all’art. 101). Quindi, a maggior ragione in questi nuovi strumenti “ibridi” introdotti dal 2022, la tutela della nuova finanza è parallela a quella del concordato/accordo tradizionale.

Finanziamenti nel concordato preventivo (in continuità aziendale o liquidatorio)

Veniamo ora al concordato preventivo, la procedura concorsuale per eccellenza per le imprese in crisi (ora disciplinata dagli artt. 84-120 CCII). Storicamente, il concordato preventivo era caratterizzato dal principio dell’autonomia negoziale del debitore (che propone un piano ai creditori) sotto controllo del tribunale. La riforma ha distinto il concordato in continuità aziendale (dove l’attività prosegue, direttamente o indirettamente) dal concordato liquidatorio (cessione del patrimonio con soddisfacimento dei creditori mediante realizzo). La nuova finanza può avere un ruolo in entrambi i tipi, ma in particolare nel concordato in continuità, dove occorre mantenere in vita l’impresa durante la procedura e attuare investimenti del piano. Vediamo separatamente: (a) i finanziamenti pendenti la procedura di concordato (prima dell’omologazione, inclusa la fase di concordato “in bianco” o con riserva), e (b) i finanziamenti in esecuzione del concordato omologato.

a) Finanziamenti durante la procedura di concordato – la “finanza ponte” (art. 99 CCII). Quando un’impresa deposita domanda di concordato preventivo (sia essa “con riserva” ex art. 44 CCII, cioè domanda di concordato in bianco, sia direttamente con piano e proposta), spesso necessita di finanziamenti urgenti per giungere fino all’omologazione. Ciò è tipico nel concordato in continuità aziendale: l’impresa deve continuare a pagare fornitori, stipendi, utenze, garantire la produzione, altrimenti la continuità si interrompe e il piano fallisce. Anche nel concordato liquidatorio a volte può servire finanza ponte per preservare il valore di asset in vendita (es. fondi per completare delle commesse che aumentano il valore di realizzo dell’azienda). Tradizionalmente, in assenza di autorizzazioni, tutti i nuovi debiti contratti dal debitore dopo il deposito della domanda di concordato ricadevano nella massa come debiti prededucibili solo se strettamente funzionali e autorizzati; quelli non autorizzati rischiavano di non essere pagati affatto se pregiudizievoli per i creditori. Per questo motivo, già la L.Fall. (art. 182-quinquies, introdotto nel 2012) consentiva di chiedere al tribunale autorizzazioni a finanziamenti interinali nel concordato. Il CCII ha ripreso e chiarito questa possibilità con l’art. 99.

In sede di presentazione della domanda di concordato (o successivamente, durante la procedura prima dell’omologa), il debitore può presentare un’istanza specifica al tribunale chiedendo l’autorizzazione a contrarre un finanziamento prededucibile, indicando l’importo, i termini e la destinazione. I requisiti fondamentali, come già elencato: l’impresa deve prevedere la continuazione dell’attività, quantomeno finalizzata a mantenere il valore aziendale in vista della liquidazione (è ammesso anche nel concordato liquidatorio, dove la continuità può essere temporanea e strumentale alla cessione dell’azienda come going concern); il debitore deve dimostrare di non poter reperire quei fondi altrimenti e che senza di essi subirebbe un grave danno; un professionista indipendente deve attestare la sussistenza di queste circostanze e che il finanziamento richiesto è funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori. Il tribunale, entro 10 giorni, decide con decreto motivato, assunte sommarie informazioni e sentito il commissario giudiziale (se già nominato, ad es. nelle domande di concordato con riserva il commissario viene nominato subito). Il tribunale può anche, come visto, autorizzare il debitore a concedere garanzie reali (pegno, ipoteca) o a cedere crediti a favore del finanziatore. In caso di urgenza per evitare un danno grave e irreparabile, l’attestazione dell’esperto può essere omessa (il tribunale decide inaudita altera parte subito, e l’attestazione potrà essere prodotta successivamente). Questa urgenza va però motivata.

La prededuzione di tali finanziamenti è garantita de iure, salvo se il concordato preventivo dovesse poi sfociare in un fallimento e si accerti che la richiesta o l’attestazione erano fraudolente e il finanziatore lo sapeva. Questa eccezione per dolo/frode l’abbiamo ripetuta: qui l’art. 99, ult. co., letteralmente dice che nella successiva liquidazione giudiziale i finanziamenti autorizzati non sono prededucibili se “il ricorso o l’attestazione contengono dati falsi o omettono informazioni rilevanti o comunque il debitore ha commesso atti in frode per ottenere l’autorizzazione” e “il curatore dimostra che i finanziatori conoscevano tali circostanze al momento dell’erogazione”. Dunque, in ipotesi normali, se un concordato non va a buon fine e viene convertito in fallimento, la banca che aveva erogato un finanziamento ponte autorizzato e attestato mantiene la prededuzione nel fallimento (c.d. consecuzione delle procedure): il suo credito sarà soddisfatto con priorità sul ricavato. Questo principio è stato affermato anche dalla giurisprudenza anteriore ed ora codificato. Ad esempio, Cassazione 15724/2019 aveva chiarito che la prededuzione è legata alla specifica procedura e non si estende automaticamente ad altri soggetti, ma in caso di consecuzione concordato-fallimento sullo stesso debitore, i crediti sorti col concordato (come i finanziamenti ponte) mantengono il loro rango nel fallimento, salvo che la legge lo escluda (come in caso di frode). Più di recente, Cass. 22772/2024 ha ribadito che la prededuzione del finanziamento ex art. 182-quinquies L.F. (analogo dell’art. 99 CCII) è circoscritta al soggetto debitore originario e non “transita né circola in dipendenza del trasferimento del credito” ad altro soggetto. In quel caso, una società in concordato aveva ottenuto un finanziamento prededucibile, poi aveva ceduto l’azienda ad altra società del gruppo che falliva; la banca pretendeva la prededuzione nel fallimento della cessionaria, ma la Cassazione gliel’ha negata: la prededuzione vale nella procedura del soggetto a cui fu riconosciuta, non “segue” il credito se muta il debitore obbligato. Questo è un dettaglio tecnico, ma significativo: indica che la prededuzione è un attributo concorsuale e non un privilegio sostanziale cedibile.

Per l’imprenditore, comunque, la sostanza è: se il tribunale autorizza il finanziamento ponte, la banca può erogare sapendo che – in caso di successo del concordato – sarà pagata integralmente come credito prededucibile all’interno del piano, e – in caso di fallimento consecutivo – sarà comunque in testa nella graduatoria dei crediti da soddisfare. Ovviamente, se l’attivo non basterà a coprire tutti i prededucibili, la banca concorrerà con le altre spese prededucibili secondo le regole del fallimento (generalmente in proporzione se di pari rango, salvo alcune prededuzioni godano di super-priorità, come le spese di procedura indispensabili). Ma la probabilità di recupero è comunque molto più alta che essere un semplice chirografario.

La prassi delle autorizzazioni ex art. 99 nel concordato è ormai consolidata. Vi sono numerosi decreti dei tribunali che delineano i criteri di ammissione: in particolare, viene richiesto un rigoroso vaglio sulla funzionalità e indispensabilità della finanza ponte. Il Tribunale di Milano, ad esempio, ha affermato che l’esame del giudice dev’essere di “estrema rigorosità”, specie se si autorizzano garanzie reali su beni del debitore a fronte del finanziamento. Ciò perché concedere ipoteche o pegni per debiti prededucibili incide sui diritti dei creditori chirografari (i beni vengono sottratti alla massa generale). Quindi il tribunale deve verificare attentamente che senza quella finanza l’impresa crollerebbe e i creditori riceverebbero meno, mentre con la finanza ponte si massimizza il valore e il soddisfacimento. Ad esempio, se si chiede di poter accendere un mutuo garantito da ipoteca su un immobile aziendale, bisogna convincere il giudice che grazie a quel mutuo l’impresa potrà evitare la cessazione e vendere poi l’immobile in continuità ottenendo un prezzo maggiore a beneficio di tutti, oppure generare cash flow per pagare i creditori. Qualche tribunale ha anche posto limiti quantitativi: il già citato Tribunale di Ravenna (decr. 6 febbraio 2020) autorizzò un finanziamento ponte da parte del socio ma “nel limite dell’80%” dell’importo richiesto, probabilmente per mantenere un margine di sicurezza per la massa dei creditori (era un caso ante CCII, in base al vecchio art. 182-quinquies, e i giudici preferirono non dare totale copertura prededucibile al credito del socio, de facto applicando una sorta di haircut precauzionale in caso di fallimento). Con l’art. 102 CCII oggi quella circostanza dovrebbe superarsi (il socio è trattato come gli altri finanziatori, quindi non ci sarebbe ragione di limitare l’ammontare prededucibile se è giustificato dall’attestatore). È interessante però come indice dell’approccio giudiziale: cautela massima nel valutare la finanza d’urgenza.

Per il debitore in concordato, ottenere l’autorizzazione ex art. 99 può essere vitale. Spesso, subito dopo il deposito del “concordato in bianco”, l’impresa si affretta a depositare un’istanza per poter continuare a utilizzare le linee di fido bancario o anticipazione già esistenti (linee autoliquidanti come castelletti, ecc.), che altrimenti la banca congelerebbe per non incrementare la propria esposizione. L’art. 99 specifica infatti che la richiesta può avere ad oggetto anche il mantenimento delle linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda. Ciò significa che, ad esempio, l’impresa può chiedere di continuare a emettere ricevute bancarie o a utilizzare il fido di cassa entro i limiti accordati, senza che i relativi utilizzi (che tecnicamente fanno sorgere nuovi crediti della banca dopo la domanda di concordato) perdano la prededuzione. I tribunali in genere autorizzano queste continuazioni per non paralizzare l’operatività, subordinandole alla solita attestazione che sono nell’interesse dei creditori (di solito lo sono, perché mantengono il capitale circolante dell’azienda).

Va da sé che tutti i costi della procedura (compensi di commissari, esperto, legali, ecc.) e i debiti dell’esercizio provvisorio autorizzato (ad esempio, forniture continuate) sono essi stessi prededucibili ex lege (art. 6 CCII) anche se non coperti da specifico decreto ex art. 99. Ma quelli non necessari alla gestione ordinaria o straordinaria vanno comunque evitati, perché qualunque credito prededucibile aggiuntivo crea oneri che il piano di concordato dovrà poi assolutamente coprire per intero. È fondamentale ricordare: un concordato preventivo, per legge, può essere omologato solo se prevede il pagamento integrale di tutti i crediti prededucibili (salvo diverso accordo con i singoli creditori prededucibili). Questa regola – già sancita dall’art. 111 L.F. e ora dagli artt. 84 e 109 CCII – implica che la fattibilità del piano dipende dal fatto che la nuova finanza prededucibile stessa venga rimborsata. La giurisprudenza ha sottolineato questo punto: “il piano di concordato deve assicurare la copertura integrale di tutti i crediti prededucibili, attuali e futuri”, altrimenti non è ammissibile. Ciò non significa che il piano debba pagare subito in cash i finanziamenti ponte – potrebbe anche prevedere di rimborsarli a scadenze successive – ma deve dimostrare che quelle linee saranno soddisfatte. Se il piano ad esempio prevedesse che il finanziatore prededucibile venga soddisfatto solo parzialmente, i giudici non potrebbero omologarlo senza il consenso di quel creditore, perché equivarrebbe ad una violazione della par condicio ex lege. Pertanto, il debitore deve essere cauto nel chiedere finanza ponte: deve valutarne l’ammontare sostenibile. Sovente, soprattutto nel concordato liquidatorio, i tribunali richiedono al debitore di accantonare un fondo spese per coprire i costi iniziali (anche questo può essere ottenuto tramite un finanziamento, autorizzato ex art. 99, e depositato come cauzione). Ad esempio, il Tribunale di Milano in un caso di concordato in bianco ha disposto il deposito di una somma adeguata alle spese iniziali di procedura.

b) Finanziamenti in esecuzione del concordato omologato – il “DIP ex post” (art. 101 CCII). Una volta che il concordato preventivo è omologato dal tribunale e, se previsto, approvato dai creditori, esso diventa vincolante e si apre la fase di esecuzione del piano. In un concordato con continuità aziendale, non di rado il piano prevede che l’impresa, per attuare le previsioni concordatarie, debba ricorrere a ulteriore finanza. Ad esempio, se il concordato di Alfa S.p.A. prevede di pagare i creditori chirografari al 40% in 2 anni, può darsi che Alfa necessiti di un finanziamento bancario alla fine della procedura per reperire liquidità con cui effettuare i pagamenti iniziali (magari garantito dai nuovi flussi). Oppure, il piano può prevedere che una banca fornisca linee di credito post-omologa per sostenere il capitale circolante, condizione affinché l’azienda possa generare utili e pagare le rate ai creditori. Tutti questi finanziamenti post-omologazione, se espressamente previsti nel piano di concordato in continuità, rientrano nell’art. 101, co.1 CCII e sono dunque prededucibili. In effetti, il concordato in continuità normalmente contiene una sezione dedicata alla cosiddetta “finanza esterna” o “nuova finanza”, dove si indica quanta liquidità aggiuntiva verrà immessa dall’esterno (banche, soci, investitori) per far fronte agli impegni del piano. Tale finanza esterna gode di un duplice vantaggio: non solo è prededucibile in caso di successivo fallimento (quindi i finanziatori hanno priorità), ma non viene nemmeno diluita nel soddisfacimento concordatario – essendo risorse che entrano dall’esterno. Questo anzi migliora le percentuali di soddisfazione offerte ai creditori. Si noti che se il concordato è invece di tipo liquidatorio puro, l’apporto di nuova finanza non è comune (di solito c’è un asset da liquidare e si paga coi ricavi). Se però un finanziamento fosse previsto anche in un concordato liquidatorio per massimizzare l’attivo (es. un finanziatore anticipa i fondi per pagare taluni creditori strategici così da vendere l’azienda funzionante), si potrebbe sostenere l’applicabilità analogica della prededuzione. Ma formalmente l’art. 101 parla di “quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale”. Quindi, di regola, la prededuzione ex art. 101 è limitata ai piani con continuità.

L’adempimento del concordato è comunque soggetto alla vigilanza del commissario e del tribunale: se l’impresa omologata non rispetta gli impegni (es. non paga le prime rate ai creditori come promesso), scatta la risoluzione del concordato ex art. 121 CCII e la possibile riapertura del fallimento. Se ciò accade, i finanziamenti concessi in esecuzione, come detto, verranno riconosciuti in prededuzione salvo i casi di frode. Un esempio ipotetico: Gamma S.r.l. esce da un concordato in continuità omologato, con un nuovo prestito di €500.000 concesso da Banca Z per pagare i creditori iniziali. Purtroppo, due anni dopo Gamma torna in dissesto e fallisce. Banca Z parteciperà al riparto fallimentare come creditore prededucibile di €500.000 (oltre eventuali interessi maturati post-concordato, anch’essi prededucibili in quanto accessori contrattuali sorti durante l’esecuzione). Il curatore potrebbe però contestare la prededuzione se emergesse che il piano di concordato omologato era basato su bilanci falsificati – cosa che potrebbe configurare atti in frode – e che Banca Z lo sapeva ma ha finanziato ugualmente confidando di essere “protetta”: in tale scenario estremo, il giudice potrebbe escludere la prededuzione a tutela degli altri creditori, punendo la collusione. Questa è una situazione limite e difficile da provare, ma esiste come clausola di salvaguardia normativa.

Riepilogando per il concordato preventivo:

  • Durante la procedura (prima dell’omologa), i finanziamenti necessitano di autorizzazione ex art. 99 CCII. Ottenutala, sono prededucibili e non revocabili, con eventuali garanzie autorizzate. L’imprenditore deve fornire attestazione e motivi stringenti. La responsabilità gestionale è attenuata: se l’imprenditore usa i fondi secondo l’autorizzazione, non commette distrazione; se paga fornitori autorizzati, non è bancarotta preferenziale. Viceversa, contrarre debiti non autorizzati fuori dall’ordinaria amministrazione in pendenza di concordato può costituire motivo di revoca della procedura (art. 94 CCII) e poi quei debiti sarebbero postergati. Dunque l’impresa in concordato deve astenersi dal fare debiti non autorizzati, se non vuole rischiare gravi conseguenze.
  • Dopo l’omologa, i finanziamenti eseguiti secondo il piano in continuità sono automaticamente prededucibili ex art. 101, senza bisogno di ulteriori interventi del tribunale. Occorre però che siano previsti dal piano stesso; se non lo fossero e dopo l’omologa l’impresa avesse bisogno di un ulteriore prestito non contemplato, dovrebbe probabilmente richiedere al tribunale un’integrazione al piano o valutare altre soluzioni (non c’è una norma espressa per finanziare dopo l’omologa ma fuori piano – se accadesse, quel credito extra non godrebbe di prededuzione garantita e sarebbe subordinato al completo soddisfacimento dei creditori concordatari).
  • Il concordato, a differenza dell’accordo, cristallizza la posizione di tutti i creditori anteriori (sono tutti vincolati dall’omologa, consenzienti o meno). Questo significa che il finanziatore post-petition in concordato non deve preoccuparsi di creditori dissenzienti estranei che confluiscono poi in un fallimento: la consecuzione procedure è piena sullo stesso soggetto. Ciò rende la prededuzione del concordato particolarmente solida. Un creditore estraneo all’accordo di ristrutturazione, invece, se non viene pagato, potrebbe far dichiarare il fallimento e contestare il fatto che la banca si prenda il 100% prededotto e lui nulla: da qui la vecchia idea del 75% di cui si diceva (limitare l’impatto). Nel concordato tale problema non si pone, perché tutti i creditori sono all’interno.
  • Importante: la prededuzione nel concordato vale anche all’interno del concordato stesso. Cioè, nel piano di concordato, i crediti prededucibili devono essere pagati al di fuori e prima del soddisfacimento percentuale degli altri creditori. Ad esempio, se Tizio è un fornitore chirografario che ha un credito di 100 e il piano offre 40%, ma Caio è una banca che ha finanziato in prededuzione 50 durante il concordato, Caio dovrà essere pagato 50 integralmente, e Tizio riceverà 40% di 100 solo dopo che Caio sia stato saldato. Se le risorse del piano non bastassero a pagare sia Caio per intero che il 40% a Tizio, il piano sarebbe in default. Quindi l’impresa deve attentamente dimensionare la nuova finanza in rapporto all’attivo disponibile.

Un cenno sui costi finanziari: gli interessi maturati sul finanziamento prededucibile seguono il destino del capitale, quindi anch’essi sono prededucibili (entro i limiti del tasso contrattuale autorizzato). Tuttavia, durante la procedura concordataria, spesso si prevede che gli interessi vengano maturati ma non pagati (rolled-up nel saldo finale), poiché i pagamenti di interessi non autorizzati sarebbero atti in frode. Alcuni tribunali possono richiedere che il tasso d’interesse non sia eccessivo, per non drenare troppe risorse a scapito del ceto creditorio. Si lascia comunque alla contrattazione: data la rischiosità, il tasso può essere maggiore di un finanziamento ordinario, ma la presenza della prededuzione riduce il rischio per la banca e quindi di norma consente tassi ragionevoli.

Prima di chiudere questa sezione, ricordiamo l’impatto della regola sulla postergazione soci qui: se un socio o una società controllante fornisce un finanziamento durante il concordato, e ottiene l’autorizzazione ex art. 99, esso sarà prededucibile e non postergato. Ciò evita situazioni paradossali del passato: i soci spesso erano disincentivati a mettere denaro perché se poi la società falliva, vedevano i loro crediti subordinati per legge. Ora invece, grazie all’art. 102 CCII, se il socio finanzia seguendo la procedura autorizzativa, il suo credito ha la stessa dignità degli altri prededucibili. Questo è un incentivo potente a “mettere la mano al portafoglio” per salvare l’azienda di famiglia, ad esempio. Naturalmente, i soci possono anche decidere di fare un apporto in capitale (rinunciando al rimborso); ma a volte preferiscono il prestito prededucibile, perché se il concordato riesce verranno rimborsati come creditori e se fallisce, almeno concorrono in prededuzione (invece un aumento di capitale verrebbe azzerato). La legge, bilanciando gli interessi, consente questa flessibilità.

La composizione negoziata della crisi e i finanziamenti d’urgenza (art. 22 CCII)

Oltre ai piani attestati e alle procedure concorsuali vere e proprie, merita un approfondimento l’istituto della composizione negoziata della crisi, introdotto in via transitoria nel 2021 e ora stabilizzato nel CCII (artt. 12-25). Si tratta di un percorso volontario in cui l’imprenditore in crisi, con l’ausilio di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione, conduce trattative con i creditori per trovare una soluzione concordata (accordo stragiudiziale, piano attestato, accordo ex art. 57 o anche concordato semplificato). Durante questa fase, l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda (non c’è spossessamento), ma può richiedere alcune misure protettive (sospensione delle azioni esecutive) e, quel che più rileva qui, può chiedere al tribunale di autorizzarlo a contrarre finanziamenti prededucibili per le esigenze urgenti dell’impresa.

La logica è simile all’art. 99 ma applicata prima dell’accesso ad una procedura concorsuale. L’art. 22 CCII prevede che, dopo l’accettazione dell’esperto, il tribunale (in composizione monocratica) possa autorizzare l’imprenditore a ottenere nuova finanza, eventualmente anche da soci o parti correlate, con privilegio di prededuzione. Devono sussistere i requisiti di funzionalità alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori (analoghi all’art. 99). Il giudice valuta gli interessi in gioco: da un lato l’impatto della prededuzione sui creditori, dall’altro il vantaggio derivante dal proseguire l’attività grazie a quel finanziamento. Può eventualmente nominare un ausiliario per perizie (ad esempio per stimare beni da dare in garanzia). Anche qui l’eventuale decreto può autorizzare garanzie reali a favore del finanziatore. Contro il provvedimento c’è reclamo al collegio, ma il giudice del reclamo sarà diverso (regola di incompatibilità).

La particolarità è che gli effetti degli atti autorizzati si conservano anche se dopo la composizione negoziata l’impresa finisce in una procedura concorsuale o in amministrazione straordinaria. Questo è ribadito dall’art. 24 CCII. Ciò vuol dire che, ad esempio, se durante la composizione negoziata Alfa S.p.A. ottiene 300.000 € di finanziamento autorizzato e garantito da pegno su macchinari, e poi la negoziazione non porta ad un accordo e Alfa va in fallimento, quel pegno resta valido e il credito di 300.000 € è prededucibile nel fallimento. In mancanza di tale norma, il finanziatore sarebbe stato esposto a revocatoria (il pegno concesso in prossimità del fallimento) e il suo credito postergato rispetto ai pregressi; invece, con l’autorizzazione, fatto salvo il caso di frode, è protetto. Diciamo “fatto salvo il caso di frode” perché, pur non essendo esplicitata nell’art. 22, la condizione di buona fede è intrinseca: l’art. 24 ultimo comma richiama la non punibilità penale per atti successivi all’accettazione dell’esperto, implicando che se l’imprenditore avesse fatto carte false prima dell’arrivo dell’esperto, quell’esimente non opererebbe. Anche civilisticamente, se l’imprenditore e l’esperto agiscono in dolo, il finanziatore colluso potrebbe poi vedersi contestare la collusione. Ma a differenza delle procedure formali, qui non c’è un curatore “futuro” che faccia accertamenti dettagliati su quell’atto, perché se poi si va in fallimento si guarda all’art. 24: in assenza di contestazioni, vale la protezione generale.

Un aspetto interessante è la flessibilità della composizione negoziata: l’art. 22 non specifica un limite all’importo o al numero di finanziamenti autorizzabili. In dottrina ci si è chiesti se si possa chiedere più volte finanziamenti man mano che avanzano le trattative. La risposta prevalente è , purché ogni richiesta soddisfi i criteri di necessità e utilità, e sia corredata di una relazione aggiornata dell’esperto. Ad esempio, l’impresa potrebbe inizialmente chiedere 100k€ per coprire stipendi di 2 mesi, poi se le trattative si protraggono, tornare in tribunale a chiederne altri 100k per ulteriori 2 mesi, ecc., dimostrando ogni volta che serve. Questo consente di modulare gli interventi ed evita di dover stimare tutto il fabbisogno dall’inizio (anche se è buona prassi avere un budget di tesoreria per la durata stimata della negoziazione).

Un quesito pratico sorto è: posso chiedere finanza ponte prima ancora che l’esperto sia nominato? Ad esempio, l’imprenditore attiva la piattaforma di composizione e sa che ci vorranno alcuni giorni per la nomina dell’esperto; può nel frattempo chiedere misure protettive e finanziamento? Per le misure protettive (sospensione azioni esecutive), l’art. 19 CCII dice chiaramente che la domanda di misure dev’essere pubblicata entro il giorno successivo all’accettazione dell’esperto. Quindi non prima. L’art. 22 invece non menziona esplicitamente questo timing. Alcuni interpreti inizialmente hanno ritenuto si potesse richiedere anche subito; ma altri – e la prassi prevalente – ritengono che serve l’accettazione dell’esperto prima di poter ottenere finanziamenti autorizzati. Ciò perché l’esperto deve esprimersi sull’utilità del finanziamento e vigilare. In sostanza, prima che l’esperto entri in carica, l’imprenditore è libero di contrarre debiti (non c’è procedura aperta), ma quei debiti non avrebbero la prededuzione garantita dall’art. 22. Se poi viene nominato l’esperto, potrebbe consigliare di farsi autorizzare a contrarne altri. Insomma, la sequenza logica è: incarico all’esperto, poi misure protettive (se occorrono) e finanza autorizzata.

Dal punto di vista della banca finanziatrice, la composizione negoziata è un po’ più “incerta” del concordato, perché non c’è ancora una procedura concorsuale definita e non c’è un commissario o votazione creditori. Ma c’è comunque un controllo del tribunale sul singolo atto e una attestazione dell’esperto (il quale deve fornire un parere sull’utilità del finanziamento richiesto, secondo le linee guida ministeriali). Dunque la banca ha elementi per valutare. Inoltre, come ulteriore incentivo pubblico, il legislatore ha previsto che le imprese in composizione negoziata possano accedere al Fondo centrale di garanzia PMI con una corsia preferenziale e una copertura fino al 80-90% del finanziamento. Questa misura (introdotta nel 2021) facilita la concessione di credito bancario minimizzando il rischio per la banca, e si cumula con la prededuzione: in eventuale fallimento, la banca avrebbe titolo prededucibile per il 100% e se non venisse soddisfatta integralmente potrebbe escutere la garanzia statale per la differenza. Ciò trasforma il finanziamento in un quasi risk-free loan per la banca, incoraggiandola fortemente. È un punto da evidenziare al debitore: sfruttare i meccanismi pubblici a supporto (garanzie, incentivi fiscali come il credito d’imposta per investitori in aumento di capitale, ecc.) per rendere più appetibile la trattativa con la banca.

In sintesi per la composizione negoziata:

  • Consente di anticipare l’accesso a finanza urgente prima di una procedura concorsuale formale, mantenendo l’azienda operativa mentre si cerca un accordo.
  • Necessita del coinvolgimento di un esperto e del controllo del tribunale per ogni finanziamento richiesto. Questo implica costi (l’esperto va remunerato, anche se il suo compenso può essere prededucibile a sua volta) e trasparenza (il caso viene pubblicizzato nel registro imprese se si chiedono misure protettive, quindi i terzi sanno che l’azienda è in composizione negoziata). La banca potrebbe comunque venirlo a sapere e comunque valuterà i rischi.
  • Le condizioni di merito sono analoghe: continuità aziendale, utilità per i creditori, proporzionalità dell’importo.
  • Forte protezione giuridica: prededuzione garantita e conservazione delle garanzie in caso di successiva procedura. L’atto autorizzato è anche esente da revocatoria (perché autorizzato ex lege, e comunque art. 166 CCII letteralmente non copre questo, ma dottrina ritiene che il decreto autorizzativo di per sé implicita legittimità dell’atto e buona fede, escludendo la revocabilità ai sensi generali).
  • Esonero penale: l’art. 324 CCII estende la non punibilità ai pagamenti autorizzati dall’esperto durante la composizione (nessuna bancarotta preferenziale se l’esperto ha autorizzato quel pagamento, ad esempio per fornitore). Questo protegge l’imprenditore che, su indicazione dell’esperto, paga determinati creditori per evitare pregiudizi (es. pagando fornitori critici o imposte per non incorrere in sanzioni, ecc.).

In conclusione, la composizione negoziata è un “salvagente” prima di affondare: se sfruttata bene, può portare a un accordo stragiudiziale di risanamento o a un concordato con una base informativa migliore e l’azienda ancora in piedi. I finanziamenti concessi in questa fase sono un ponte sul precipizio: senza di essi, molte imprese non arriverebbero neppure a proporre un piano. La legge cerca di convincere le banche che quello è il momento di dare fiducia, grazie a protezioni di livello quasi concorsuale anticipato.

Garanzie, revocatorie e responsabilità: ulteriori tutele per i finanziatori

Dopo aver analizzato i singoli istituti, è utile riepilogare alcuni aspetti trasversali che interessano chi finanzia un’impresa in crisi dal punto di vista delle garanzie contrattuali, delle azioni revocatorie e delle eventuali responsabilità per concessione del credito.

Garanzie contrattuali. È naturale che una banca, nel concedere credito a un debitore in difficoltà, voglia tutelarsi acquisendo garanzie (reali o personali). Il Codice della Crisi ha predisposto la possibilità che il tribunale autorizzi la concessione di garanzie reali sui beni del debitore a supporto dei nuovi finanziamenti. Ciò vale sia per i finanziamenti ex art. 22 (composizione negoziata) sia ex art. 99 (concordato/accordo pendenti). L’autorizzazione è fondamentale perché, in mancanza, la costituzione di un’ipoteca o pegno nell’imminenza dell’insolvenza potrebbe essere considerata un atto a titolo gratuito o comunque soggetto a revocatoria fallimentare (si pensi a una ipoteca concessa per garantire un nuovo prestito: se il prestito non è autorizzato, quell’ipoteca costituita dopo il deposito di concordato o nei suoi pressi potrebbe esser revocata ex art. 166, co.1, n. 3, analogamente all’art. 67, co.1 L.F. per le ipoteche contestuali). Invece, quando l’ipoteca o il pegno sono autorizzati dal giudice, diventano parte integrante dell’atto di finanziamento protetto e non sono soggetti a revoca. È un po’ come se il tribunale dicesse: “questa ipoteca è funzionale al concordato/accordo, quindi la legittimiamo pur essendo costituita in periodo di sospetto”. L’art. 99 CCII lo esplicita, l’art. 22 anche. Anche in esecuzione di un piano omologato, se è previsto che si concederanno nuove garanzie al finanziatore, ciò rientra negli atti esecutivi dell’accordo/piano e pertanto non è revocabile (art. 166 CCII). Attenzione: se per caso il debitore concedesse garanzie senza autorizzazione (ad esempio, negoziasse sottobanco un pegno a favore della banca prima di depositare il concordato), quell’atto sarebbe fuori dallo schema legale e potrebbe essere attaccato dal curatore se la procedura fallisse. Quindi, dal lato debitore, conviene sempre inserire alla luce del sole le garanzie che intende dare a fronte della finanza nuova, nelle istanze di autorizzazione.

È interessante notare che la legge consente anche di cedere crediti a garanzia (ad esempio i crediti verso clienti o crediti fiscali). Ciò offre ulteriore flessibilità: la banca potrebbe chiedere un mandato all’incasso su crediti futuri o la cessione di crediti commerciali dell’impresa (un meccanismo simile al DIP factoring). Anche queste cessioni, se autorizzate, non saranno sindacabili successivamente.

Per quanto riguarda le garanzie personali (fideiussioni dei soci o di terzi), il Codice non ne parla esplicitamente perché esse non coinvolgono il patrimonio del debitore in crisi. Sono contratti tra la banca e un terzo (ad esempio l’imprenditore che garantisce personalmente il credito della sua società). Tali garanzie restano valide a prescindere dal concordato o accordo, e non sono toccate dalle esenzioni da revocatoria (non avendo nulla da revocare: un atto di garanzia personale prestata dal socio non è soggetto a revocatoria fallimentare, semmai potrebbe esserlo un pagamento effettuato dal garante, ma è fattispecie diversa). Per la banca avere anche la garanzia del socio è un ulteriore comfort, perché se poi l’impresa non paga neppure in prededuzione (perché magari il fallimento non copre tutto), la banca potrebbe rivalersi sul garante. Tuttavia, spesso nei concordati i creditori chirografari chiedono che i soci rinuncino a far valere eventuali crediti di regresso derivanti da pagamenti in qualità di garanti, per non creare competizione con loro. Per la nuova finanza, essendo prededotta, questo problema non si pone: se il socio paga come fideiussore la banca, subentrerebbe nel credito prededucibile in fallimento (con diritto di rivalsa prededucibile per surroga). Ma qui siamo al limite della casistica.

Azioni revocatorie. Abbiamo già evidenziato come il CCII cerchi di neutralizzare le revocatorie per tutti gli atti coerenti con i percorsi di risanamento: piani attestati (art. 166, esenzione totale se atti indicati), accordi (esenzione analoga) e atti autorizzati dal giudice (autorizzazioni in concordato/composizione fungono da esenzione implicita, benché non vi sia una norma ad hoc, è implicito che un atto autorizzato non sia contestabile). In più, il CCII ha ridotto i tempi e ambiti delle revocatorie rispetto al passato e introdotto l’art. 170 CCII che regola la consecuzione (stabilendo che per calcolare il periodo sospetto nel fallimento, se c’è stata consecuzione di procedure, si risale alla domanda di concordato/accordo). Questo significa, ad esempio, che se un debitore presenta un concordato preventivo e poi fallisce, gli atti compiuti nei 6 mesi prima del concordato restano revocabili in fallimento (e non 6 mesi prima del fallimento). Tuttavia l’art. 170 suggerisce di contare dal primo ricorso di procedura concorsuale, proprio per evitare buchi fra procedure succedutesi. In pratica, un finanziatore deve considerare che tutti gli atti fatti prima di imboccare le strade “protette” possono essere rivisti. Una banca che anticipi un finanziamento senza attendere il formale deposito di una domanda concordataria o senza un piano attestato firmato, lo fa a suo rischio: se il fallimento arriva, quell’atto non è giustificato da nessuna esenzione e potrà subire contestazioni.

Concessione abusiva di credito. Una nota importante: sebbene fuori dal CCII, la giurisprudenza ha elaborato la figura della concessione abusiva di credito, configurando la responsabilità della banca verso i creditori quando essa proroga artificiosamente la vita di un’impresa decotta concedendo credito ingiustificato, aggravando così il passivo. In passato, l’assenza di regole chiare faceva sì che una banca potesse essere citata in giudizio dal curatore fallimentare con l’accusa di aver finanziato l’impresa pur sapendola insolvente, aumentando il dissesto e danneggiando i creditori (ad esempio, fornendo liquidità per pagare alcuni in tempo e lasciando altri insoluti, aumentandone le perdite). Questa responsabilità, di natura extracontrattuale, è stata riconosciuta in alcuni casi estremi dai tribunali (specie se la banca aveva commistioni con la gestione). Ora, con il nuovo quadro, una banca che segue i canali previsti (piano attestato, concordato, ecc.) può difendersi efficacemente: potrà dire di aver agito in base ad un piano attestato indipendente, nell’interesse dei creditori (infatti la legge richiede l’attestazione di ciò), e dunque difficilmente la si potrà accusare di comportamento scorretto. Anzi, in teoria sta contribuendo al risanamento. Quindi il rischio di abuso del credito si riduce enormemente quando si opera entro i confini normativi. Ciò non toglie che la banca debba comunque fare una due diligence: se finanziasse un’azienda senza alcun serio prospetto di risanamento, solo per ritardarne il fallimento (criterio della meritevolezza del credito), potrebbe ancora esporsi. Ma se c’è l’avallo di un professionista e di un giudice, la sua diligenza è provata. Come osservato, i vecchi ostacoli civili e penali che rendevano incerta la posizione del finanziatore sono stati appunto rimossi dal legislatore in modo da incoraggiare la linfa vitale alle imprese in crisi.

Responsabilità penale. Sul fronte penale, abbiamo già menzionato l’art. 324 CCII che riprende l’art. 217-bis L.F. estendendolo a tutte le procedure di regolazione. In concreto: non costituiscono reato di bancarotta preferenziale i pagamenti e le garanzie concessi in conformità ad un piano attestato o ad un accordo omologato; non è bancarotta semplice la continuazione dell’attività d’impresa nelle more di un piano di risanamento (mentre prima chi tardava a fallire poteva essere accusato di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto). E l’art. 324 precisa che benefici penali analoghi valgono per gli atti compiuti durante la composizione negoziata su autorizzazione dell’esperto, nonché per le operazioni di finanziamento autorizzate dal giudice ex art. 22, 99, ecc. In sintesi, né l’imprenditore né il finanziatore (che potrebbe teorizzarsi complice) incorreranno in sanzioni penali se rispettano le regole. Diversamente, se un finanziamento viene erogato e utilizzato per scopi in frode – ad esempio distrarre somme all’estero sotto la copertura di “nuova finanza” – allora la protezione penale ovviamente cade e potrebbero configurarsi reati (bancarotta fraudolenta, ecc.). Ma questi sono casi di palese abuso.

Schema riepilogativo: La seguente tabella sintetizza i principali strumenti e procedure per finanziare un’impresa in crisi, indicando base normativa, necessità di autorizzazione, destinatari (chi può erogare) e tutele offerte:

StrumentoNorma di riferimentoAutorizzazione necessariaChi può finanziareTutele per il finanziatore
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Art. 166, co.3, lett. d) CCII (esenzione revocatoria)No autorizzazione giudice (strumento stragiudiziale) – Necessaria attestazione professionista indipendenteBanche, soci, terzi (accordo privato)– Atti/pagamenti non revocabili se indicati nel piano– Esenzione penale per pagamenti preferenziali (art. 324 CCII)– Nessuna prededuzione (credito chirografo salvo garanzie)
Accordo di ristrutturazione (art. 57 CCII e ss.) – Finanza prima dell’omologazioneArt. 99 CCII (finanziamenti prededucibili ante omologa) – Istanza al tribunale contestuale al ricorso ex art. 44 CCIIBanche, soci, terzi (tipicamente banche/intermediari)– Credito prededucibile se autorizzato– Possibilità di pegno/ipoteca autorizzati (non revocabili)– Esenzione penale (art. 324) per atti autorizzati
Accordo di ristrutturazione – Finanza in esecuzione piano omologatoArt. 101 CCII (finanziamenti prededucibili esecuzione accordo)No ulteriore autorizzazione (basta previsione nel piano omologato)Banche, soci, terzi (secondo piano)– Credito prededucibile (in continuità)– Atti esecutivi accordo non revocabili (art. 166) – Deroga a postergazione soci (art. 102 CCII)
Concordato preventivo – Finanza prima dell’omologa (incl. “in bianco”)Art. 99 CCII (finanziamenti prededucibili ante omologa) – Istanza al tribunale (entro fase di ammissione o durante procedura)Banche, soci, terzi (spesso banche; soci con att.ne a condizioni)– Credito prededucibile (anche in eventuale fallimento)– Possibili garanzie reali autorizzate (non revocabili)– Pagamenti autorizzati esenti da bancarotta pref. (art. 324)
Concordato preventivo – Finanza in esecuzione piano omologatoArt. 101 CCII (finanziamenti prededucibili esecuzione concordato)No (previsto nel piano omologato)Banche, soci, terzi (banche o nuovi investitori post-concordato)– Credito prededucibile (in continuità)– Atti previsti dal piano non revocabili (art. 166, co.3, lett. f) CCII)– Deroga a postergazione soci (art. 102) se applicabile
Composizione negoziata – Finanza durante negoziazioneArt. 22 CCII (finanziamenti nella composizione negoziata) – Decreto del tribunale su istanza debitore, sentito espertoBanche, soci, terzi (anche finanziatori pubblici)– Credito prededucibile se poi si accede a concorsuale– Garanzie reali autorizzate (non revocabili)– Atti autorizzati conservano effetti se fallimento– Esenzione penale per atti successivi nomina esperto

(Legenda: continuità = prevista continuazione attività aziendale; prededuzione = diritto di essere pagato con precedenza su altri crediti concorsuali; deroga 2467 = il finanziamento soci non è postergato.)

Come si evince dalla tabella, vi è una progressione: dagli strumenti meno invasivi (piano attestato, nessun intervento giudice) con tutele limitate, a quelli più strutturati (concordato), dove la presenza del giudice e di un quadro normativo consente la massima protezione al finanziatore. Il punto di equilibrio dipenderà dalla situazione dell’impresa: se la crisi è iniziale, magari basta un piano attestato; se è più grave, occorre passare da accordi o concordato per rassicurare i finanziatori.

Casi pratici e simulazioni dal punto di vista del debitore

Per comprendere meglio l’impatto concreto delle norme esaminate, proponiamo alcune simulazioni pratiche dal punto di vista dell’imprenditore debitore, evidenziando le diverse conseguenze a seconda che i finanziamenti siano ottenuti (o meno) seguendo le procedure del Codice della Crisi.

  • Caso 1: Finanziamento ponte autorizzato e concordato omologato con successo. Azienda Delta S.p.A. presenta nel 2025 domanda di concordato preventivo in continuità. Ha urgente bisogno di 1 milione di euro per pagamento fornitori indispensabili e spese operative durante i 6 mesi di procedura. Delta ottiene dal Tribunale, su istanza ex art. 99 CCII, l’autorizzazione a un finanziamento di 1M€ da parte della Banca Alfa, con garanzia ipotecaria sugli immobili aziendali. Il commissario giudiziale e l’esperto attestatore supportano la richiesta, evidenziando che senza la liquidità l’azienda si fermerebbe e i creditori riceverebbero meno. Banca Alfa eroga il milione a Delta nel corso della procedura. Delta impiega i fondi come previsto (pagando i fornitori chiave) e riesce a mantenere la produzione. Il concordato viene approvato dai creditori e omologato. Il piano di concordato prevedeva che, con le risorse generate dalla continuità (vendite future e risparmi di costi) e con la cessione di un ramo d’azienda non strategico, Delta avrebbe rimborsato interamente Banca Alfa entro 1 anno dall’omologa, e pagato gli altri creditori chirografari al 40%. A omologa avvenuta, Delta inizia ad eseguire il piano: priorità viene data a rimborsare Banca Alfa (credito prededucibile). Poniamo che dopo 8 mesi Delta venda il ramo d’azienda incassando 1,2M€, di cui utilizza 1M€ per restituire il finanziamento ponte e interessi a Banca Alfa, come da piano. Banca Alfa esce quindi completamente soddisfatta e libera l’ipoteca sugli immobili. I creditori chirografari ricevono poi le loro rate del 40%. Esito: Banca Alfa ha recuperato il suo credito al 100% in tempi brevi, grazie al rango prededucibile che le garantiva integrale soddisfacimento nel piano. Se il piano avesse subito ritardi, Banca Alfa avrebbe comunque potuto confidare nel privilegio ipotecario autorizzato e nella prelazione prededucibile per ottenere il pagamento anche in sede forzata. Delta ha beneficiato della fiducia della banca per portare a termine il concordato e salvare l’impresa. I creditori concorsuali hanno comunque ricevuto il 40% promesso; senza il finanziamento di Alfa, forse il concordato non sarebbe decollato e in un fallimento avrebbero avuto, ad esempio, solo il 20%. Tutti hanno tratto giovamento dalla finanza-ponte autorizzata, che ha funzionato da volano per la ristrutturazione.
  • Caso 2: Finanziamento ponte autorizzato ma concordato non omologato e fallimento. Riprendiamo Delta S.p.A., ma ipotizziamo che il concordato non venga omologato – magari perché emergono debiti imprevisti e i creditori votano contro, portando Delta al fallimento (liquidazione giudiziale). In tale scenario, Banca Alfa ha comunque il credito prededucibile di 1M€. Nel riparto fallimentare, supponiamo che il ricavato dalla liquidazione dell’attivo di Delta sia 1,5M€; i crediti prededucibili totali (inclusi compensi procedura, ecc.) siano 1,2M€ – tra questi il milione di Alfa – e i crediti privilegiati e chirografari ammontino a 5M€. In distribuzione, i prededucibili (Banca Alfa inclusa) verranno soddisfatti per intero prima di passare a qualunque altro creditore. Dunque Banca Alfa incasserà il suo 1M€ integralmente dal fallimento. Rimarranno 0,3M€ per iniziare a pagare (parzialmente) qualche creditore privilegiato, e nulla per i chirografari. Esito: ancora una volta Banca Alfa recupera il 100%, questa volta grazie al privilegio prededucibile in fallimento. I creditori chirografari purtroppo non prendono nulla, ma ciò sarebbe avvenuto comunque data l’insufficienza dell’attivo; tuttavia, grazie al finanziamento ponte, Delta ha potuto funzionare qualche mese in più, e quel milione è servito a generare (si spera) maggior valore di realizzo di 1,5M invece che, ipotizziamo, 1,2M€ che si sarebbero ricavati con un fallimento immediato. Se Delta e la banca avessero agito in frode – poniamo che il loro piano fosse artatamente gonfiato, con Alfa consapevole – il curatore avrebbe potuto contestare la prededuzione di Alfa. Ma in assenza di ciò, la banca è protetta. In questo scenario, la scelta di Alfa di finanziare in concordato nonostante il rischio ha pagato, perché la prelazione concorsuale le ha consentito di battere cassa prima di altri.
  • Caso 3: Finanziamento non autorizzato e “incolto” in fallimento. Consideriamo ora Impresa Omega S.r.l., in gravissima difficoltà finanziaria, che tuttavia non attiva né piani né concordati. Per mesi Omega sopravvive grazie a scoperti di conto e nuovi prestiti concessi “in extremis” dalla Banca Beta fuori da ogni quadro autorizzativo. Banca Beta accetta di aumentare gli affidamenti confidando in un miglioramento e facendosi rilasciare alcune garanzie: ad esempio, Omega concede ipoteca su un magazzino a Beta per assicurare l’apertura di credito. Purtroppo Omega arriva al fallimento senza aver avviato procedure di risanamento. Nel fallimento, Beta scopre un’amara verità: l’ipoteca ricevuta è stata iscritta meno di 6 mesi prima del fallimento, a garanzia di un credito contestualmente erogato (ipoteca per debito contestuale). Il curatore avvia un’azione revocatoria fallimentare sostenendo che quell’ipoteca costituisce una “prefazione anomala” ex art. 166, co.1, n. 3 CCII (come lo era ex art. 67 L.F.), e il tribunale la dichiara inefficace: Beta perde la garanzia e diventa creditore chirografario per l’esposizione su Omega. Non solo: Beta si insinua in chirografo e viene soddisfatta magari al 10% insieme agli altri creditori. Se Beta avesse invece preteso subito il fallimento di Omega (anziché mantenerla artificialmente in vita col credito), avrebbe recuperato forse lo stesso 10% ma senza esporsi di più. Inoltre, il curatore valuta se trascinare Beta in giudizio per aver continuato a pompare credito nella società quando era ormai decotta, aggravando il passivo (azione di responsabilità extracontrattuale): la perizia del curatore evidenzia che Beta sapeva dai bilanci che Omega era insolvente, e i giudici potrebbero vedere un abuso (ipotesi difficile ma non impossibile). Esito: Banca Beta paga caro l’aver finanziato “fuori dal coro”: nessuna prededuzione (perché non c’era procedura né autorizzazione), garanzia revocata, recupero minimo e addirittura rischio di dover risarcire i creditori concorrenti. Questo scenario è quello che il nuovo Codice ha voluto evitare, offrendo un percorso sicuro a banche e debitori. Se Omega avesse richiesto un concordato o accordo, Beta avrebbe potuto ottenere autorizzazione e prededuzione, e salvare forse una parte maggiore del proprio credito.
  • Caso 4: Finanziamento dei soci prima e dopo la riforma. Impresa Sigma S.r.l. (capitale sociale €50k) si trova sottocapitalizzata e indebitata per €500k con fornitori. I soci decidono nel 2019 di immettere risorse: invece di fare un aumento di capitale (temono di perderlo), optano per un prestito soci di €200k. Nel 2020 Sigma fallisce. In sede fallimentare, il curatore posterga il credito dei soci ai sensi dell’art. 2467 c.c.: i soci non vedono un euro perché, anche dopo pagati tutti gli altri creditori, non resta nulla (i creditori chirografari hanno ottenuto il 20% e i soci zero). I soci si pentono: se avessero capitalizzato forse avrebbero perso uguale, ma almeno l’azienda avrebbe avuto i mezzi propri giusti (però poi avrebbero perso ogni diritto essendo capitale di rischio, quindi comunque pari esito). Nel 2023, la stessa Sigma (ipotizziamo come scenario) entra in crisi di nuovo (dopo un salvataggio temporaneo) e questa volta i soci conoscono il CCII. Attivano subito la composizione negoziata e, con autorizzazione ex art. 22, erogano essi stessi un finanziamento prededucibile di €100k alla società per tamponare l’emergenza. Contestualmente viene trovato un accordo con i creditori per stralciare parte dei debiti con un accordo di ristrutturazione omologato. I €100k dei soci vengono inclusi nel piano come nuova finanza necessaria e saranno rimborsati nell’arco di 2 anni. Purtroppo però Sigma non rispetta l’accordo e nel 2025 fallisce di nuovo. Questa volta i soci (finanziatori) si insinuano per €100k come creditori prededucibili, eccependo la deroga dell’art. 102 CCII alla postergazione. Il curatore non può che prenderne atto: quel prestito soci, autorizzato e funzionale alla continuità, ha rango prededucibile parificato a un credito bancario. Se l’attivo consente, i soci verranno pagati (magari proporzionalmente agli altri prededucibili). Esito: prima della riforma i soci erano puniti (postergati) per aver cercato di salvare l’azienda con un prestito; ora, se seguono i canali di legge, possono essere rimborsati in prededuzione come qualsiasi banca, evitando la tagliola di 2467 c.c. Naturalmente, se i soci avessero prestato €100k senza formalità (come nel 2019), quei €100k sarebbero stati di nuovo postergati in fallimento. Il cambio di approccio è netto: la legge incoraggia i soci a “mettere mano ai soldi” ma li spinge a farlo in modo trasparente e in coordinamento col piano di risanamento.

Questi esempi evidenziano quanto sia importante, per un imprenditore debitore, percorrere le vie offerte dal Codice quando cerca finanza in situazione di crisi. Evitare di improvvisare soluzioni private e confidare invece nelle procedure di allerta e composizione permette di minimizzare i rischi: i finanziamenti ottenuti non verranno travolti dal fallimento, le garanzie costituite saranno al sicuro, il rapporto con la banca sarà supportato da una due diligence e dall’ombrello dell’autorità giudiziaria. D’altra parte, dal punto di vista delle altre parti coinvolte (creditori preesistenti), questo può voler dire che una porzione dell’attivo sarà destinata prioritariamente a chi ha finanziato la continuazione, riducendo ciò che rimane per loro. Tuttavia, la filosofia della riforma è che senza quell’apporto esterno probabilmente l’attivo sarebbe molto minore – no new money, no party, si potrebbe dire. In ogni caso, i creditori anteriori conservano strumenti di controllo: nel concordato devono approvare la proposta (e potranno valutare criticamente quanta nuova finanza venga riconosciuta, pretendendo che non sia eccessiva rispetto all’effettivo fabbisogno), e nel fallimento il giudice può sindacare ex post la correttezza delle autorizzazioni date.

Un punto di attenzione per il debitore è assicurarsi che i professionisti attestatori facciano un lavoro accurato e indipendente. Il loro giudizio è la chiave di volta su cui il tribunale e la banca fanno affidamento. Una relazione superficiale o ottimistica può portare a concessioni di credito che poi non si ripagano, con potenziali contestazioni legali. Le recenti pronunce della Cassazione (es. Cass. 42093/2021) hanno sottolineato l’importanza dell’inerenza necessaria e della funzionalità ex ante dei costi e debiti assunti nella crisi. Ciò implica che tutti – debitore, attestatore, giudice – devono potersi convincere che il finanziamento richiesto servirà effettivamente a migliorare la soddisfazione dei creditori o a mantenere in vita l’azienda, e non solo a procrastinare il fallimento. Ad esempio, pagare fornitori strategici che altrimenti interromperebbero le forniture può aumentare le chance di risanamento (bene), mentre chiedere soldi per pagare debiti bancari garantiti (subordinando di fatto i chirografari) potrebbe non essere funzionale al migliore interesse di questi ultimi e quindi non essere autorizzato.

Da notare che, sul fronte fiscale, la finanza prededucibile (o i pagamenti autorizzati) possono generare effetti come la non deducibilità di eventuali perdite per il finanziatore se classificate come crediti privilegiati (questo è un dettaglio per la banca: i crediti verso imprese in procedura spesso hanno trattamento fiscale particolare). Inoltre, l’art. 88 TUIR agevola il debitore: eventuali riduzioni del debito concordatarie non sono tassate come sopravvenienze attive se avvengono in procedure concorsuali omologate. Questo però esula un po’ dal nostro focus. Sul versante dell’IVA e ritenute sui finanziamenti, non ci sono norme speciali: gli interessi pagati alla banca saranno soggetti a ritenuta come al solito, l’IVA sui beni/servizi acquistati con la nuova finanza sarà detraibile normalmente se l’attività continua.

Domande Frequenti (FAQ) sul finanziamento all’impresa in crisi

D: Che cos’è esattamente un finanziamento prededucibile?
R: È un finanziamento (di solito un prestito in denaro, ma può essere anche un’altra forma di credito) concesso a un’impresa dopo l’avvio di una procedura di gestione della crisi o dell’insolvenza, al quale la legge riconosce lo status di prededuzione, cioè il diritto di essere soddisfatto con priorità rispetto ai crediti sorti anteriormente. In pratica, se l’impresa poi viene liquidata, i creditori prededucibili vengono pagati prima degli altri (anche prima dei creditori privilegiati). Questo status viene attribuito soltanto in situazioni specifiche previste dalla legge (es. finanziamenti autorizzati dal tribunale durante un concordato o accordo, finanziamenti previsti in un piano di risanamento omologato, crediti sorti per gestione dell’impresa in concordato, ecc.). Fuori da questi casi, un finanziamento a un’impresa in crisi non gode di alcuna prelazione e rischia anzi di essere postergato se fatto da soci o revocato se assistito da garanzie in periodo sospetto.

D: Un’azienda in crisi può ottenere un nuovo prestito bancario senza avviare nessuna procedura formale?
R: Sì, è possibile ma è molto rischioso, sia per l’azienda che per la banca. Se l’azienda non avvia alcuna procedura (né piano attestato, né composizione negoziata, né concordato) e la banca le concede spontaneamente credito, quel finanziamento non avrà le tutele di legge: in caso di fallimento della società, la banca sarà un semplice creditore chirografario; inoltre eventuali garanzie ricevute potranno essere soggette a revocatoria. A meno che il finanziamento sia parte di un piano attestato di risanamento (che, pur senza omologa, almeno offre esenzione da revocatoria se ben fatto), finanziarla “sottobanco” espone la banca anche al rischio di accushe di concessione abusiva di credito. In pratica, è fortemente consigliabile utilizzare uno degli strumenti previsti dal Codice della Crisi: se non si vuole ricorrere subito al tribunale, almeno predisporre un piano attestato di risanamento con un professionista indipendente. Meglio ancora, attivare la composizione negoziata (che non è pubblica finché non si chiedono misure protettive) e lì far autorizzare il finanziamento. In questo modo la banca avrà la prededuzione garantita e l’azienda si muoverà in un alveo di legalità.

D: Quali autorizzazioni servono per ottenere un finanziamento durante un concordato preventivo?
R: Occorre presentare un’istanza al tribunale ai sensi dell’art. 99 CCII. L’azienda deve allegare un’accurata relazione che spiega perché servono i fondi, come verranno impiegati e perché non può trovarli altrimenti. Serve anche la relazione di un professionista indipendente (l’attestatore o altro esperto) che confermi che i dati sono veritieri e che il finanziamento è necessario per la continuità aziendale e nell’interesse dei creditori (migliore soddisfazione). Se la domanda di concordato è “in bianco” (con riserva), l’istanza di solito va presentata subito o comunque prima del deposito del piano definitivo; se il concordato è già con piano, si può presentare in qualsiasi momento prima dell’omologa, se emergono necessità di cassa. Il tribunale, sentito il commissario giudiziale e eventualmente i creditori principali, decide entro 10 giorni. Se c’è urgenza estrema, il tribunale può autorizzare in 1-2 giorni senza attendere l’attestazione, ma questa dovrà poi essere depositata: è l’ipotesi in cui l’azienda rischia un danno irreparabile se non riceve subito liquidità (es. deve pagare fornitori critici entro pochi giorni). Una volta ottenuto il decreto di autorizzazione, l’azienda può contrarre il mutuo o la linea di credito con la banca secondo i termini approvati (importo massimo, eventuali garanzie concesse – pegno/ipoteca devono essere specificati nel decreto). È importante rispettare fedelmente i limiti e la destinazione indicati: ad esempio, se si è autorizzati a usare €500k per pagare salari e fornitori X e Y, l’azienda non deve impiegare quei fondi per altro scopo senza ulteriore autorizzazione, altrimenti la prededuzione potrebbe essere messa in dubbio o la procedura revocata (pagamenti non autorizzati potrebbero costituire atti in frode ex art. 94 CCII). In sintesi: istanza motivata + attestazione + ok commissario + decreto giudice = via libera al finanziamento prededucibile.

D: E se l’azienda è in trattative per un accordo di ristrutturazione dei debiti? Può comunque chiedere al tribunale di farsi finanziare nel frattempo?
R: Sì. Dal 15 luglio 2022, con l’entrata in vigore del CCII, l’art. 99 CCII si applica anche agli accordi di ristrutturazione in corso di omologazione. In pratica, quando si deposita un ricorso per omologare un accordo (o un piano di ristrutturazione soggetto a omologazione), si può contestualmente chiedere al tribunale di autorizzare finanziamenti prededucibili per gestire l’attività fino all’omologa. Quindi, anche se nell’accordo non c’è un commissario giudiziale (figura che esiste solo nel concordato), il debitore può rivolgersi al giudice affinché approvi un prestito temporaneo. Nella sostanza la procedura è identica al concordato: serve un professionista che attesti la necessità del finanziamento e l’assenza di alternative, e il giudice emette un decreto sentiti i creditori più importanti se crede. Una differenza è che negli accordi di ristrutturazione già di per sé i crediti sorti “in funzione” dell’accordo possono essere prededucibili fino al 75% anche senza autorizzazione, purché l’accordo venga omologato. Ma questa è una situazione intricata e, per sicurezza, conviene sempre farsi autorizzare. Inoltre, una volta omologato l’accordo, i finanziamenti concessi per la sua esecuzione sono prededucibili per intero se c’è continuità aziendale. Quindi la risposta breve: sì, anche durante le trattative di un accordo 182-bis si può ottenere finanza protetta, e anzi una pronuncia recente ha chiarito che non serve un’autorizzazione specifica ulteriore per la prededuzione dei finanziamenti previsti dall’accordo stesso (Trib. Udine 28/10/2024).

D: Quali differenze pratiche ci sono tra un finanziamento prededucibile e un credito privilegiato (es. ipotecario) ai fini del concordato/fallimento?
R: Un credito prededucibile è soddisfatto con precedenza assoluta su tutti gli altri crediti, inclusi quelli privilegiati. In sede di fallimento (liquidazione giudiziale) si pagano prima i prededucibili (in proporzione tra loro se l’attivo non basta per tutti), poi con l’eventuale residuo si pagano i crediti con privilegio (ipoteche, pegni, privilegio generale, ecc.) nell’ordine dei privilegi, infine gli eventuali chirografari. Quindi la prededuzione è un rango superiore ai privilegi. Inoltre, il prededucibile va soddisfatto integralmente per condizione di fattibilità del concordato: in un concordato preventivo il piano deve pagare al 100% i prededucibili, mentre i privilegiati possono eventualmente essere soddisfatti parzialmente se rinunciano al privilegio sulla parte scoperta (salvo il minimo 20% per privilegio degradato, etc. – dettagli oltre lo scopo). Un credito privilegiato ipotecario gode di prelazione su uno o più beni specifici: ad esempio ipoteca su immobile; in fallimento quell’immobile viene liquidato e il ricavato va prioritariamente ai creditori ipotecari di grado anteriore. Se però prima vanno pagati i prededucibili legati a quel bene (ad esempio le spese di custodia, o un mutuo prededucibile autorizzato concedendo ipoteca su quel bene?), qui c’è un’intersezione: l’art. 221 CCII equipara ai crediti prededucibili anche quelli che la legge considera tali, e li colloca prima. Quindi un credito prededucibile garantito da ipoteca di fatto unisce due vantaggi: la priorità temporale (prededuzione) e la destinazione preferenziale su un cespite (ipoteca). Ma a rigore, in concorso con altri prededucibili, l’ipoteca non sposta l’ordine di pagamento, sposta solo la possibilità di attingere a quell’attivo vincolato. Caso pratico: immobile con ipoteca di un prededucibile e ipoteca di un vecchio mutuo; sul ricavato si soddisfa prima il prededucibile (pur se ipoteca iscritta dopo, perché prededuzione > privilegio precedente). In sintesi, il privilegio attiene ai beni, la prededuzione attiene alla procedura nel suo complesso. Per l’azienda debitrice, un prededucibile incide sulla fattibilità del piano (va coperto), un privilegiato incide sul quante risorse libere restano per gli altri creditori (ma se il privilegio è su un bene, talvolta vendendo il bene e pagando il creditore privilegiato non si tocca l’attivo al netto per gli altri). C’è da dire anche che un credito prededucibile, a differenza di uno privilegiato, può essere pagato durante la procedura concorsuale senza attendere il riparto finale, se è essenziale: l’art. 111 L.Fall. (ora art. 221 CCII) consente ad esempio di pagare in corso di fallimento i crediti prededucibili via via che maturano. Anche il CCII prevede che “i crediti prededucibili sono soddisfatti durante la procedura alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto”, quindi, ad esempio, un mutuo autorizzato con rate mensili potrebbe essere pagato mensilmente anche prima della chiusura del concordato/fallimento – cosa che non avviene per un creditore ipotecario pregresso (quest’ultimo aspetta la liquidazione finale). Infine, ricordiamo che prededucibile non vuol dire esente da verifica del passivo: in un fallimento il creditore prededucibile deve comunque insinuarsi e dimostrare il suo titolo (es. produrre il decreto di autorizzazione), ma chiederà l’ammissione in prededuzione.

D: Se un’impresa ha più finanziamenti prededucibili (es. più banche o soci che finanziano), chi viene pagato per primo?
R: I crediti prededucibili, tra loro, non hanno un ordine di priorità legale (non sono come i privilegi che hanno un grado fissato dai codici). Fanno tutti parte di un’unica “classe” privilegiata generale. Quindi se l’attivo non basta a soddisfarli integralmente, verranno soddisfatti proporzionalmente (salvo qualche specifica eccezione). Il CCII all’art. 221, co.1, stabilisce che si pagano prima tutti i crediti prededucibili “salvo che la legge non disponga altrimenti”. Per esempio, le spese di giustizia del fallimento sono prededucibili e spesso si pagano subito; i finanziamenti prededucibili pure. Se al termine della procedura ci sono 10 di attivo e 15 di prededucibili totali, tutti i prededucibili prendono 10/15 = ~66,7% del loro credito, e nessun altro creditore prende nulla. Dunque per una banca prededucibile c’è comunque il rischio concorsuale che il patrimonio non basti a coprire neppure i prededucibili al 100% (magari ce ne sono molti, pensiamo a tanti fornitori che hanno continuato a lavorare dopo la domanda su autorizzazione, ecc.). In un concordato preventivo, però, scenario diverso: lì il piano per legge deve prevedere il pagamento integrale dei prededucibili, altrimenti non viene omologato. Quindi nella logica del concordato ex ante il problema non si pone (al limite se si pone, quel concordato non è fattibile). Ma in un fallimento sì: capita che non tutti i prededucibili vengano soddisfatti se l’attivo è stato sovrastimato. Da notare: alcuni prededucibili godono di un diritto di prelazione ulteriore su beni specifici – ad esempio, se un bene era ipotecato per garantire anche un nuovo finanziamento, quel creditore prededucibile con ipoteca potrebbe soddisfarsi su quel bene, togliendolo dal mucchio, e potenzialmente riducendo ciò che resta per gli altri prededucibili che magari non hanno ipoteche. Questa è una questione complessa: se c’è concorso tra prededucibili su beni diversi e generali, in linea teorica si dovrebbe fare un riparto unificato (le ipoteche operano sui residui). Ma realisticamente, un prededucibile chirografario e uno garantito da ipoteca non concorrono sugli stessi beni: il garantito ha priorità su un bene, il chirografario su tutto ma in coda a quell’ipoteca su quel bene. Tuttavia, poiché la prededuzione viene prima dell’ipoteca stessa, in effetti un creditore prededucibile ipotecario usa l’ipoteca più come “corsia” sul bene, che come prelazione concorsuale (questo dettaglio oltre la domanda). Per semplificare: se più soggetti finanziano in prededuzione, in sede di riparto concorsuale condividono pro-quota l’eventuale capienza insufficiente. Questo spinge i finanziatori a valutare attentamente quanti prededucibili “concorrenziali” ci sono: ad esempio, una banca valuterà se l’azienda ha già un sacco di debiti prededucibili (compensi legali, arretrati tributari sorti dopo la procedura, ecc.) perché ciò può erodere la sua garanzia di recupero.

D: I fornitori o i dipendenti che forniscono beni/servizi durante un concordato ottengono prededuzione come le banche?
R: Sì, ma in base a una diversa previsione generale: l’art. 6 CCII include tra i prededucibili i crediti sorti durante le procedure per la gestione del patrimonio o l’esercizio dell’impresa. Ciò comprende i fornitori che continuano a consegnare merce dopo l’apertura di un concordato con continuità autorizzata, o i lavoratori che maturano stipendi durante il concordato. Quindi costoro sono prededucibili al pari di una banca che presta denaro in quel periodo, purché la spesa sia funzionale al concordato. Una differenza è che i fornitori “post-petition” spesso non hanno un’autorizzazione specifica (tranne il fatto che, se erano contratti in corso, il tribunale ne autorizza la continuazione). In un concordato in continuità, per definizione i debiti dell’ordinaria amministrazione successivi alla domanda sono prededucibili. In un concordato liquidatorio, invece, di solito l’azienda cessa l’attività e non fa nuovi debiti (salvo quelli autorizzati dal giudice per le spese di procedura). Quindi, in pratica, i fornitori che lavorano durante la procedura andranno pagati integralmente come prededuzione (o vengono pagati in corso di procedura con fondi autorizzati, oppure il commissario li inserirà nello stato passivo come crediti prededucibili da soddisfare a inizio riparto). Stesso per i dipendenti: i salari maturati dopo la domanda concordataria sono prededucibili e, se la procedura finisse in fallimento, avrebbero anch’essi la precedenza. In tal senso, i finanziamenti bancari prededucibili e i crediti prededucibili dei fornitori/dipendenti sono sullo stesso piano. Quindi sì, l’ordinamento non fa un favoritismo solo per le banche; prededuce tutti i crediti “di nuova utilità” che servono a portare avanti l’impresa in procedura. Ciò detto, le banche di solito chiedono un’apposita autorizzazione perché i loro crediti non nascono “automaticamente” durante la procedura, ma da un nuovo contratto di finanziamento, che se non autorizzato sarebbe fuori dall’ordinario e potenzialmente inefficace.

D: I soci che finanziano la propria società in crisi sono sempre postergati (vengono dopo tutti gli altri) in caso di fallimento?
R: No, non sempre. Storicamente, la regola era sì: l’art. 2467 c.c. dice che i rimborsi di finanziamenti fatti dai soci di s.r.l. (o di soci di s.p.a. consigli di amministrazione via 2497-quinquies per gruppi) in un momento di crisi dell’azienda sono postergati rispetto agli altri crediti. Questo per evitare abusi (soci che si comportano da finti creditori quando dovrebbero mettere capitale). Però la riforma ha creato un’importante eccezione: se il finanziamento dei soci avviene nell’ambito di una procedura di risanamento qualificata, come un concordato, un accordo omologato o una composizione negoziata autorizzata, e soddisfa i requisiti per la prededuzione, allora i soci non sono postergati e anzi ottengono prededuzione come un finanziatore esterno. È l’art. 102 CCII che deroga espressamente agli art. 2467 e 2497-quinquies c.c. Quindi, se un socio finanzia tout court la società fuori da piani/procedure, rimane un credito postergato (in caso di fallimento, prende l’eventuale residuo dopo tutti). Ma se il socio finanzia dentro un concordato preventivo (magari chiedendo l’autorizzazione ex art. 99 CCII) o dentro una composizione negoziata (autorizzazione ex art. 22 CCII) o come parte essenziale di un accordo omologato, allora quel credito è prededucibile e non postergato. Un esempio: nel concordato di Alfa S.r.l. i soci apportano €100.000 dei loro per consentire la continuità – se lo fanno come finanziamento autorizzato, quei 100.000 sono prededucibili e li potranno riavere come crediti, se invece li mettessero come capitale proprio (aumento capitale) li perderebbero in caso di fallimento, e se li mettessero come prestito senza passare dal giudice sarebbero postergati e probabilmente li perderebbero lo stesso. Quindi la via migliore è: soci finanziano attraverso la procedura, così condividono il rischio coi creditori ma con un “paracadute”. Attenzione però: se il socio detiene la stragrande maggioranza delle quote, qualche tribunale in passato ha guardato con sospetto questi crediti (perché poteva essere un modo di prededursi a scapito degli altri). Ma con la norma attuale, se i requisiti formali sono rispettati (attestazione, utilità ecc.), il socio deve essere trattato come un normale finanziatore. L’idea è: meglio che i soci investano (anche sotto forma di prestito) per salvare la baracca, piuttosto che stiano fermi per paura di perdere tutto. La norma li invoglia dicendo “vi rimborso prima degli altri se provate che i soldi aiutano il risanamento”.

D: Se l’azienda poi fallisce e l’attestatore del piano di concordato aveva sbagliato le previsioni, il suo compenso è prededucibile?
R: Domanda che riguarda la prededuzione dei crediti dei professionisti (avvocati, consulenti, attestatori) che assistono il debitore in una procedura poi sfociata in fallimento. Questo era tema di contrasto, risolto dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 42093/2021: il credito del professionista è prededucibile nel successivo fallimento se la sua opera era funzionale alla procedura concorsuale precedente (cioè se non era palesemente inutile) e se quella procedura è effettivamente partita (ad es. se il concordato è stato ammesso). Ora il CCII all’art. 6 assorbe questa giurisprudenza, indicando che i crediti sorti in funzione di una procedura concorsuale (es. compenso dell’attestatore di un concordato) sono prededucibili entro certi limiti (nel caso dell’accordo di ristrutturazione, il 75%, poi elevato dal correttivo). In concreto: se l’attestatore ha lavorato per un concordato che poi è stato depositato ma non omologato e l’azienda fallisce, quell’attestatore di solito gode di prededuzione nel fallimento (lo ammette il giudice delegato) perché il suo lavoro era finalizzato a tentare il risanamento. Salvo casi estremi di pianificazione fraudolenta o lavoro inutile ab origine – ma allora subentrerebbero profili di colpa grave e possibile esclusione. Quindi sì, di regola è prededucibile. C’è però un caveat: se il concordato era in realtà un abuso (fatto tanto per ritardare il fallimento senza chance), il giudice fallimentare può negare la prededuzione al professionista, dicendo che la sua prestazione non aveva “inerenza causale” con gli scopi della procedura perché il piano era incapace di soddisfare i creditori. In sostanza, se l’attestatore ha avallato un piano campato in aria giusto per prendere tempo, rischia di non vedere il suo compenso prededotto. Questa dinamica però riguarda i professionisti, non i finanziatori: la banca che ha prestato soldi è protetta a prescindere, perché la legge la tutela con la prededuzione salvo frode palese (ed è giusto, la banca mette risorse liquide). Il professionista mette solo il suo cervello e viene pagato per quello: se quell’opera non portava nessun beneficio ai creditori (es. un piano irrealistico, con effetti dilatori e basta), allora è equo che non abbia prelazione sui creditori chirografari che non hanno avuto alcun vantaggio dal suo operato. Questa è la logica di quell’esclusione. Dunque il debitore deve anche stare attento a scegliere bene i consulenti e valutare realisticamente le chance: perché se spende soldi per un attestatore “di facciata” e poi fallisce, quell’attestatore costituirà un debito prededucibile in più da pagare (sebbene oggi come oggi, come detto, probabilmente lo pagherà in prededuzione comunque, a meno di frodi).

D: Cosa succede se un concordato preventivo omologato prevede un nuovo finanziamento bancario e poi, durante l’esecuzione, la società viene ceduta ad un’altra società che fallisce? La banca conserva la prededuzione?
R: Questa domanda ricalca il caso esaminato dalla Cassazione n. 22772/2024. In quel caso, la risposta è stata no: la prededuzione è legata alla procedura e al soggetto originario, non “segue” il credito se cambia il debitore. Quindi, se la società A in concordato ottiene un finanziamento prededucibile e poi trasferisce l’azienda (e il debito) alla società B che fallisce, la banca non può pretendere la prededuzione nel fallimento di B, perché la prededuzione valeva per A nella procedura di A. La Cassazione ha spiegato che la prededuzione non è un privilegio intrinseco del credito trasferibile a piacere, ma un effetto processuale legato a quell’insolvenza specifica. Nel caso concreto, se la banca aveva voluto mantenere la tutela, sarebbe servito forse far riconoscere la prededuzione anche nella procedura di B tramite una nuova autorizzazione o un nuovo piano. In generale, quindi, un finanziatore deve stare attento a queste operazioni straordinarie: se il debitore esce dalla procedura vendendo l’attività, la prededuzione del suo credito non “magicamente” si trasferisce sul cessionario fallito. Per l’imprenditore che cede l’azienda ciò può essere rilevante nelle trattative: la banca finanziatrice vorrà magari che il suo credito resti con la vecchia società (che se non fallisce pagherà come da concordato) o comunque ottenere nuove garanzie dal cessionario. Insomma, la prededuzione non è “portatile” fuori dal contesto per cui è stata concessa.

D: Conviene di più (per l’azienda debitrice) cercare un finanziamento prededucibile oppure provare a ottenere dilazioni dai propri fornitori?
R: Idealmente servono entrambe le cose. Chiedere ai fornitori di dilazionare i pagamenti o accettare un taglio (transazione) è utile perché riduce il fabbisogno finanziario e alleggerisce il debito. Ma i fornitori spesso concedono dilazioni solo se vedono un piano credibile e magari nuovo capitale circolante. Dall’altra parte, ottenere un nuovo finanziamento prededucibile immette liquidità immediata, però poi genera un debito prededucibile che va onorato integralmente. Quindi, dal punto di vista del risultato finale, una dilazione o stralcio dei debiti è “conveniente” per l’azienda perché significa dover pagare meno in totale; il nuovo finanziamento invece aumenta il monte debiti (anche se forse salva l’azienda e consente di pagarli). In un concordato, ad esempio, se si potesse fare a meno di finanza esterna sarebbe ottimo (tutto l’attivo va ai creditori vecchi). Ma spesso non è possibile risanare senza nuova finanza. Quindi il punto è bilanciare: l’azienda deve presentare un piano in cui magari i fornitori accettano uno sconto sul credito (perché sanno che entra nuova finanza che li pagherà in parte subito) e la banca dà nuova finanza perché vede che i fornitori e altri stakeholder collaborano. La legge, comunque, impone di pagare i nuovi finanziatori per intero (prededuzione) e consente di non pagare per intero i vecchi creditori (che possono subire un concordato ad es. al 40%). Questo è deliberato: si vuole privilegiare i nuovi apporti. Dal punto di vista del debitore, c’è da stare attenti a non indebitarsi ulteriormente oltre il sostenibile: se un concordato era fattibile con il 30% ai chirografari ma l’azienda prende troppa finanza ponte e i costi prededucibili vanno alle stelle, magari poi il piano per i chirografari scende al 5% e non glielo votano. Quindi serve misura. L’ideale è chiedere la minor finanza possibile necessaria a superare la crisi, e contestualmente contrattare con i creditori vecchi migliori condizioni (dilazioni, riduzioni). Un vantaggio della nuova finanza è che può servire anche a dare un contentino ai creditori: ad es. uso i soldi freschi per pagare in cash il 20% ai chirografari subito a omologa – questo spesso li induce a votare sì, perché vedono soldi subito garantiti. In definitiva: non c’è un “o questo o quello”, servono entrambi gli strumenti, e la convenienza dipende dal contesto. Di sicuro, però, la nuova finanza prededucibile è una risorsa fondamentale per evitare che l’impresa crolli prima di realizzare il piano – senza di essa molte procedure si tramuterebbero in mere liquidazioni per mancanza di correntezza (come era in passato: tante aziende chiedevano concordato ma morivano perché nessuno le finanziava nel frattempo).

D: Come reagiscono le banche a queste nuove norme? Sono più disposte a finanziare imprese decotte ora?
R: In linea di principio, le banche hanno accolto positivamente le maggiori tutele (prededuzione, garanzie non revocabili, garanzie statali nella composizione negoziata), perché riducono il rischio giuridico di tali operazioni. Tuttavia, la valutazione del merito di credito rimane cruciale: la banca finanzierà solo se crede che l’impresa possa risanarsi o che comunque il piano garantisca il recupero. La prededuzione da sola non basta se l’attivo atteso è insufficiente. Ad esempio, se un’azienda chiede 1M€ prededucibile ma dal piano si stima che la liquidazione finale darà solo 0,5M€, la banca anche se prededucibile rischierebbe un forte haircut. Quindi vorrà capire bene i numeri. La predisposizione di un’attestazione indipendente aiuta, perché c’è un professionista che valuta i flussi e dice “sì, il finanziamento si ripagherà e migliora il ceto creditorio”. Spesso però le banche fanno anche analisi interne e richiedono magari ulteriori garanzie (es. pegno su azioni, garanzie personali dei soci, impegni sul controllo). Nella prassi attuale (2023-2025), le banche tendono a finanziare situazioni di crisi principalmente se c’è un prospettiva industriale solida (concordato in continuità con ordini/mercato) oppure se c’è di mezzo un acquirente/investitore affidabile (es. concedono un bridge loan sapendo che un soggetto terzo subentrerà e rifinanzierà). Le nuove norme, comunque, fanno sì che le strutture di credito specializzate (fondi distressed, banche d’affari) possano intervenire in operazioni di ristrutturazione con una cornice giuridica chiara – sta emergendo anche in Italia un piccolo mercato di DIP Financing, mentre prima era quasi inesistente. Ad esempio, è notizia del 2023 che alcune procedure di concordato hanno visto banche concedere “linee di cassa” proprio sfruttando l’art. 99 CCII. Le banche tradizionali (territoriali) sono un po’ più prudenti, ma se vedono che l’imprenditore ha coinvolto l’esperto e segue la legge, sono più incentivate a offrire continuazione delle linee autoliquidanti e prestiti a breve termine con prededuzione, anche per non perdere il cliente quando sarà risanato.

D: In un concordato con riserva (“concordato in bianco”), l’azienda può subito ottenere finanza per pagare stipendi e fornitori?
R: Sì, può chiederlo immediatamente con il ricorso ex art. 44 CCII. Anzi, l’art. 99 CCII prevede espressamente che l’istanza di finanziamento possa essere presentata anche prima del deposito del piano e della documentazione completa. Tipicamente, quando si deposita un “concordato in bianco”, l’azienda contestualmente chiede al tribunale certe misure urgenti: (i) la sospensione delle azioni esecutive dei creditori (le “misure protettive”), e (ii) l’autorizzazione a contrarre un certo finanziamento o a continuare ad utilizzare fidi (ad es. mantenere castelletto di anticipi bancari). Il tribunale di solito, se i requisiti ci sono, emette un decreto provvisorio velocemente perché capisce che senza liquidità l’impresa collasserebbe nei 60-120 giorni che ha per presentare il piano. Quindi sì, anche prima di presentare il piano dettagliato, il debitore in concordato può ottenere liquidità. Naturalmente, dovrà comunque presentare entro il termine concessogli il piano vero e proprio e lì confermare come sono stati o saranno utilizzati i fondi. Se non depositasse il piano o la proposta fosse inammissibile, il finanziamento ottenuto resterebbe prededucibile ma si andrebbe a fallimento. E come visto, se la domanda in bianco era fraudolenta o basata su false comunicazioni, la prededuzione può essere revocata in fallimento. Di solito, però, nei concordati in bianco genuini l’autorizzazione viene data per pagare le spese essenziali (es. il personale – infatti gli stipendi maturati dopo la domanda sarebbero comunque prededucibili, quindi tanto vale autorizzare a pagarli subito per evitare tensioni; e i fornitori critici per non interrompere la produzione). In conclusione, il “concordato con riserva” non è affatto un periodo morto: l’azienda può e deve continuare, e grazie all’art. 99 può essere sostenuta finanziariamente in quella fase delicata in cui ancora non c’è un piano definitivo ma c’è la volontà di risanamento.


Conclusioni

Il finanziamento bancario all’impresa in crisi si è trasformato, da tabù quale era in passato, in un elemento cardine delle moderne strategie di risanamento aziendale. Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza ha creato un sistema in cui l’afflusso di “finanza fresca” è incoraggiato e protetto, riconoscendo che molte imprese possono evitare la fine solo se supportate da nuove risorse nel momento più difficile. Siamo passati da un’ottica punitiva (in cui chi finanziava un’impresa decotta rischiava di vedere vanificato il proprio credito e magari di essere coinvolto in responsabilità) ad un’ottica premiale: oggi chi apporta liquidità nel quadro di una procedura concorsuale o di un piano concordato viene soddisfatto prima degli altri creditori, a condizione di agire con trasparenza e buona fede.

Dal punto di vista del debitore, questo significa avere a disposizione strumenti concreti per attrarre finanziamenti: egli può offrire al finanziatore una priorità legale di rimborso (prededuzione) che in precedenza non era disponibile, nonché garanzie non suscettibili di revoca. Può inoltre contare su un quadro giuridico che mette al riparo sia sé stesso sia la controparte da future contestazioni, se le regole sono rispettate. Tutto ciò aumenta le chance di ottenere credito in momenti critici – anche se, va ribadito, le banche faranno comunque le loro valutazioni economiche. Il debitore deve dunque presentarsi con un piano credibile e solido, preferibilmente con l’avallo di un professionista stimato e (nel caso) di un esperto nominato. La fiducia è l’asset principale da conquistare: le norme fungono da “collateral” giuridico, ma la fattibilità aziendale resta determinante.

Abbiamo visto come la disciplina attuale copra tutte le fasi possibili della crisi: dagli interventi nella fase precoce (composizione negoziata) fino alla fase esecutiva di un piano di concordato già omologato. In ogni step ci sono possibilità di finanziamento, con relative condizioni. Il debitore accorto saprà scegliere la strada giusta: se la crisi è gestibile privatamente, opterà per un piano attestato coinvolgendo magari i propri soci e qualche banca locale; se occorre una protezione più forte, non esiterà a presentare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione, assicurandosi la liquidità necessaria per traghettare l’impresa attraverso la procedura (pagando l’indispensabile: lavoratori, fornitori strategici, ecc.); se la crisi è appena agli inizi ma già serve ossigeno, sfrutterà la composizione negoziata per guadagnare tempo e risorse in modo ordinato. Dall’altro lato, le banche e i creditori qualificati dispongono ora di un quadro normativo chiaro per intervenire senza timore di essere penalizzati ingiustamente: i loro comitati creditizi possono deliberare affidamenti a imprese in crisi sapendo che, se ben strutturati, essi godranno di prelazione assoluta (e per di più, spesso, di garanzie statali o collaterali reali). Non va dimenticato il ruolo che possono giocare i soci e le società del gruppo: la riforma li ha chiamati in causa, rimuovendo l’ostacolo della postergazione, affinché anche loro facciano la propria parte (sono spesso i primi ad avere interesse a salvare l’azienda, e ora possono farlo con la prospettiva di non perdere automaticamente i fondi immessi).

In conclusione, “il finanziamento bancario all’impresa in crisi” non è più un ossimoro o una missione disperata, bensì uno strumento pragamatico di gestione della crisi, integrato nei percorsi di soluzione. Naturalmente, non tutte le crisi sono risolvibili con nuovo denaro: se un’azienda è strutturalmente insolvente senza prospettive, aggiungere debito (per quanto prededucibile) può solo rinviare l’inevitabile. Ecco perché le procedure e le autorizzazioni passano al vaglio esperto di professionisti e giudici, per cercare di filtrare i tentativi realmente meritevoli (dove la finanza di emergenza aiuterà a creare valore per i creditori) rispetto a quelli meramente dilatori. Il bilanciamento di interessi è delicato: da un lato incentivare la continuità e il “fresh money”, dall’altro tutelare la par condicio e non permettere abusi (finanziamenti opachi per drenare risorse a favore di insider). Il sistema delineato dal CCII pare aver trovato un equilibrio, come testimoniato dalle prime applicazioni giurisprudenziali.

Per il debitore (sia esso imprenditore individuale o società), il messaggio è chiaro: se ti trovi in crisi e hai bisogno di finanza, non agire nell’ombra o all’ultimo minuto, ma sfrutta i percorsi di legge – sono lì per aiutarti a ottenere credito senza aggravare la tua posizione. Prepara piani seri, affidati a professionisti credibili, e sii trasparente con banche e tribunale. Così facendo, aumenterai sensibilmente le probabilità di successo del risanamento e allo stesso tempo preserverai te stesso da possibili conseguenze negative. Dal canto suo, la banca finanziatrice che si muove entro questo framework potrà contribuire a salvare imprese e posti di lavoro svolgendo al contempo il proprio ruolo istituzionale (allocare capitale dove intravede sostenibilità), con adeguate garanzie normative che limitano il proprio rischio di credito e reputazionale. In definitiva, il finanziamento all’impresa in crisi, se ben congegnato, può trasformarsi da pericolo a opportunità per tutte le parti: per l’impresa, un’ancora di salvezza; per la banca, un investimento relativamente protetto e con ritorni (anche in termini di relazione); per i creditori pregressi, una chance di recupero migliore di quella che avrebbero in un fallimento immediato; e per il sistema economico, la possibilità di conservare valore e continuità aziendale invece di assistere a distruzioni di ricchezza evitabili.

Tabella riepilogativa finale:

Strumento di risanamentoNuova finanza possibile?Status e tutele del finanziamentoRiferimenti normativi
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Sì, da banche/soci/terzi nell’ambito del pianoNo prededuzione. Atti a garanzia e pagamenti esenti da revocatoria fallimentare se indicati nel piano; esenzione da bancarotta preferenziale. Rischio postergazione soci (se piano non omologato).Art. 166, co.3, lett. d) CCII; art. 324 CCII (penale); art. 2467 c.c. (posterg. soci, deroga non applicabile qui)
Composizione negoziata (artt. 12-25 CCII)Sì, finanziamento autorizzato dal tribunale durante le trattativePrededuzione garantita in caso di successiva procedura; atti autorizzati non revocabili; possibile garanzia statale (Fondo PMI). Deroga postergazione soci se autorizzati (art. 102).Art. 22 CCII (finanz. preded.); Art. 24 CCII (conservazione effetti); D.L. 118/2021 (garanzie pubbliche)
Accordo di ristrutturazione dei debiti (omologato)– Finanza durante iter omologa: Sì, con autorizz. tribunale (art. 99)- Finanza post-omologa: Sì, se prevista dal pianoAnte omologa: prededuzione se autorizzato; garanzie autorizzate non revocabili.Post omologa: Prededuzione per finanziamenti esecuzione piano con continuità; atti esecutivi non revocabili; deroga posterg. soci (art. 102).Art. 99 CCII; Art. 101 CCII (comma 1: preded. esecuzione accordo; comma 2: esclusione per frode) ; Art. 166, co.3, lett. e) CCII (no revocatoria)
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)– Finanza in pendenza procedura: Sì, con autorizz. (art. 99)- Finanza post-omologa: Sì, in piani in continuitàDurante procedura: Prededuzione (anche in eventuale fallimento consecutivo); garanzie reali autorizzate non revocabili; pagamento debiti pregressi possibile ex art. 100 (non trattato a fondo) ; no posterg. soci (art. 102).Post omologa: Prededuzione per finanziamenti in esecuzione piano (se continuità); atti post omologa non revocabili; no posterg. soci.Art. 99 CCII; Art. 100 CCII (pagam. crediti pregressi autorizzati); Art. 101 CCII (comma 1: preded. finanziam. esecuzione concordato; comma 2: frode); Art. 166, co.3, lett. f) CCII (no revocatoria atti esecuzione concordato); Art. 102 CCII (deroga 2467 c.c.)

In definitiva, l’ordinamento italiano ha confezionato una “cassetta degli attrezzi” completa per gestire l’apporto di risorse finanziarie nelle crisi d’impresa. Sta ora agli operatori – imprenditori, professionisti, banche e magistrati – utilizzarla al meglio, con professionalità e correttezza, affinché sempre più spesso si possa raccontare di imprese risanate grazie a nuovi finanziamenti ben impiegati, anziché di aziende condotte al fallimento per asfissia finanziaria. La sfida è aperta: la finanza del risanamento è un terreno in evoluzione, e ogni caso di successo costituirà un precedente prezioso su cui costruire prassi virtuose, mentre ogni abuso dovrà essere stroncato per mantenere la fiducia reciproca nel sistema. Questa guida spera di aver fornito un quadro chiaro e aggiornato (a giugno 2025) delle regole del gioco, dal punto di vista del debitore: conoscere i propri diritti e doveri in materia di finanziamenti in prededuzione è il primo passo per giocare bene la partita più difficile, quella contro la crisi.


Fonti normative, giurisprudenziali e bibliografiche

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), entrato in vigore il 15 luglio 2022, come modificato dal D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 (attuazione Direttiva UE 2019/1023) e D.Lgs. 136/2024. In particolare, artt. 6 (Prededuzione), 22 (Finanziamenti nella composizione negoziata), 99 (Finanziamenti prededucibili ante omologa), 100 (Autorizzazione pagamento di crediti pregressi), 101 (Finanziamenti prededucibili in esecuzione di concordato/accordo), 102 (Deroghe alla postergazione dei finanziamenti dei soci), 166 (Esenzioni da revocatoria nelle soluzioni stragiudiziali), 170 (Consecuzione procedure e computo periodi sospetti), 221 (Ordine di distribuzione nelle liquidazioni, già art. 111 L.F.), 324 (Esenzione da bancarotta per pagamenti/operazioni autorizzate).
  • Codice Civile, art. 2467 (postergazione dei finanziamenti dei soci nelle S.r.l.) e art. 2497-quinquies (postergazione finanziamenti nell’ambito di gruppi), rilevanti per il tema della postergazione, la cui applicazione è derogata dall’art. 102 CCII in caso di finanziamenti prededucibili concessi durante strumenti di regolazione della crisi.
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, sui quadri di ristrutturazione preventiva e sull’insolvency, recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022: sottolinea l’esigenza di proteggere i finanziamenti urgenti e i nuovi finanziamenti nelle ristrutturazioni (artt. 17-19 Dir.), prevedendo l’esenzione da responsabilità e la priority almeno rispetto ai chirografari. Ha influenzato direttamente la formulazione degli artt. 99-101 CCII e introdotto nuovi strumenti come i piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (art. 64-bis CCII).
  • Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), ante 2022, per riferimento storico: art. 67, co.3, lett. d) ed e) (esenzione revocatoria piani attestati e accordi); art. 111 L.F. (ordine pagamenti, prededuzioni); art. 182-quater e 182-quinquies L.F. (finanziamenti in esecuzione del concordato/accordo, e finanziamenti intermedi – norme introdotte nel 2010-2012); art. 217-bis L.F. (esenzione penale pagamenti autorizzati); art. 236-bis L.F. (reato attestazioni false del professionista). Normativa abrogata ma citata per comprendere l’evoluzione e utilizzata dalla giurisprudenza fino al 2022.
  • Decreto Legge 118/2021 (conv. L. 147/2021) istitutivo della Composizione Negoziata, per gli aspetti sulle misure protettive e sul regime transitorio poi confluiti nel CCII: in particolare, art. 10 DL 118/21 (anticipava l’art. 22 CCII sui finanziamenti durante la composizione negoziata) e norme sulle garanzie pubbliche (possibilità di accesso al Fondo di Garanzia PMI per le imprese in composizione negoziata, con garanzia elevata all’80-90%). Tali disposizioni, sebbene normative secondarie, sono state fondamentali nel biennio 2021-2023 per favorire i finanziamenti bancari in quella sede.
  • Giurisprudenza di legittimità recente:
    • Cass., Sez. Unite civili, 31 dicembre 2021 n. 42093: ha statuito la prededucibilità nel fallimento del credito del professionista che ha assistito il debitore nel concordato preventivo, se la prestazione era funzionale ex ante alle finalità della procedura e il concordato è almeno iniziato. Sentenza fondamentale in tema di “prededuzione funzionale” dei crediti sorti in funzione di procedure concorsuali poi sfociate in fallimento.
    • Cass., Sez. I civ., 6 settembre 2022 n. 26178: in linea con le SU 2021, conferma la prededuzione del compenso dell’attestatore del concordato preventivo non omologato, se la procedura presentava chance reali (ribadisce il criterio dell’inerente necessarietà).
    • Cass., Sez. I civ., 13 agosto 2024 n. 22772: ha affermato che la prededuzione ex art. 182-quinquies L.F. (finanziamento interinale in concordato) non si estende oltre il soggetto e la procedura in cui è nata: non “transita” in caso di trasferimento del credito a terzi né persiste se cambia il debitore obbligato. Caso di consecuzione tra procedure su soggetti diversi: qui fallimento della cessionaria dell’azienda non riconosce prededuzione al finanziatore del concordato della cedente.
    • Cass., Sez. I civ., 11 giugno 2019 n. 15724: (precedente ante CCII) chiariva già che la prededuzione ha natura processuale e in caso di consecuzione concordato-fallimento sul medesimo soggetto, i crediti sorti in concordato (prededucibili) conservano tale qualità nel fallimento. Citata come riferimento nella Cass. 22772/2024 e recepita dal CCII.
    • Cass., Sez. I civ., 5 luglio 2016 n. 13719: in tema di piano attestato ante 2012, stabilì che il giudice, per negare la revocatoria su atti esecutivi del piano ex art. 67, co.3, lett. d) L.F., deve verificare ex ante la “manifesta attitudine” del piano a risanare. Sentenza che evidenzia come una protezione (esenzione revocatoria) non operi se il piano era chiaramente inidoneo sin dall’inizio (anticipazione del concetto di abuso). Ha portato poi alla specifica attuale che il piano deve indicare atti e che dolo/colpa grave att. e debitore noti al creditore eliminano l’esenzione.
  • Giurisprudenza di merito significativa:
    • Tribunale di Milano, Sez. II civ., decreto 24 luglio 2023 – ha sottolineato la rigorosità del vaglio che il tribunale deve svolgere sull’istanza di finanziamento prededucibile ex art. 99 CCII, specie se vengono concesse garanzie reali, e l’ammissibilità dell’istanza anche in assenza dell’attestazione in caso di urgenza (da depositare poi).
    • Tribunale di Brescia, Sez. IV civ., 25 luglio 2024 – in tema di “piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” (nuova figura), ha ribadito i presupposti necessari per accogliere la richiesta di finanziamento prededucibile: continuazione aziendale prevista e necessità del finanziamento, con attestazione professionista.
    • Tribunale di Udine, 28 ottobre 2024 – caso di accordo di ristrutturazione: ha affermato che non occorre un’autorizzazione ad hoc per riconoscere la prededuzione ai finanziamenti esecutivi dell’accordo omologato (cioè se previsti nel piano, sono prededucibili ex lege, contrariamente ai finanziamenti interinali che vanno autorizzati).
    • Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 25 giugno 2024 – ha trattato di concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, richiamando l’attenzione sulla necessità dell’autorizzazione per l’erogazione di finanziamenti prededucibili e ribadendo il perimetro di applicazione degli artt. 99-101 CCII (presumibilmente evidenziando che senza autorizzazione non vi è prededuzione).
    • Tribunale di Ravenna, 6 febbraio 2020 – (ante CCII) in un concordato con riserva ha autorizzato un finanziamento interinale da parte del socio, ma limitando la prededuzione all’80% dell’importo erogato. Caso ante litteram di cautela verso finanziamento soci, poi superato dalla normativa (oggi sarebbe integralmente prededucibile ex art. 102).
    • Tribunale di Pordenone, 26 gennaio 2018 – ha delineato i presupposti dell’autorizzazione ex art. 182-quinquies L.F. in un concordato in continuità: tra cui l’urgenza, il pregiudizio grave in assenza di finanza, ecc., anticipando molti concetti ora in art. 99 CCII.
    • Tribunale di Milano, 5 ottobre 2017 – caso in cui un proponente concordatario chiedeva di dichiarare prededucibili finanziamenti promessi per pagare spese di procedura: il Tribunale escluse prededuzione per finanziamenti “solo promessi” e non erogati, ammettendola solo per quelli effettivamente concessi. Sottolinea che serve concretezza nell’erogazione per avere prededuzione.

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Il finanziamento, infatti, può essere:

  • Finanziamento ponte per far fronte a esigenze di cassa immediate
  • Finanziamento prededucibile, se concesso nell’ambito di una procedura di composizione della crisi
  • Rimodulazione del debito bancario esistente, con allungamento dei termini o riduzione delle rate
  • Supporto alla continuità aziendale in presenza di un piano di risanamento serio e documentato

Il punto chiave è la credibilità del progetto di rilancio e la trasparenza nella gestione della crisi.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Valuta la situazione finanziaria dell’impresa e l’accesso ai finanziamenti in crisi
📑 Collabora con consulenti aziendali per predisporre un piano credibile di risanamento
⚖️ Assiste nella negoziazione con le banche e nella richiesta di finanziamento prededucibile
✍️ Redige gli atti legali necessari per tutelare l’azienda e gli amministratori
🔁 Integra il finanziamento nel contesto della composizione negoziata o dell’accordo con i creditori


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto della crisi d’impresa e rapporti con gli istituti di credito
✔️ Consulente per PMI, imprenditori e startup in fase di ristrutturazione
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia


Conclusione

Un’impresa in crisi non è automaticamente esclusa dal credito.
Con una strategia seria e il supporto legale giusto, è possibile ottenere finanziamenti bancari mirati al rilancio e alla continuità dell’attività.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi predisporre una documentazione corretta, dialogare con la banca in modo protetto e trovare risorse per ripartire.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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