Finanza Agevolata Per PMI: Incentivi e Bandi Anche Se Sei In Crisi

Hai una piccola o media impresa in difficoltà e ti stai chiedendo se puoi ancora accedere alla finanza agevolata, ai bandi pubblici e agli incentivi anche se sei in crisi? Temi che la tua situazione economica ti escluda da ogni forma di sostegno?

La buona notizia è che molti strumenti di finanza agevolata sono accessibili anche alle PMI che attraversano un momento critico, a condizione di rispettare determinati requisiti o di aver avviato un percorso di risanamento. In alcuni casi, questi incentivi possono addirittura rappresentare la chiave per ripartire e superare la crisi.

Si può ottenere finanza agevolata se l’azienda è in crisi?
Sì, ma dipende dalla tipologia di crisi e dallo stato della procedura. Alcuni bandi escludono le imprese in stato di insolvenza conclamata o fallite, ma non escludono chi ha difficoltà temporanee o ha attivato strumenti di composizione della crisi.

Quali incentivi sono accessibili anche in caso di crisi?
– Bandi regionali e nazionali per innovazione, digitalizzazione e internazionalizzazione
– Incentivi per l’efficientamento energetico e la transizione green
– Finanziamenti a tasso agevolato per imprese giovanili o femminili
– Crediti d’imposta, contributi a fondo perduto, garanzie pubbliche
– Fondi europei per la resilienza post-crisi e la competitività delle PMI

Quali condizioni devi rispettare per poter accedere?
– Non essere sottoposto a procedura concorsuale liquidatoria
– Essere in possesso dei requisiti di regolarità fiscale e contributiva (o aver avviato la regolarizzazione)
– Dimostrare di avere un piano di rilancio, di investimento o di ristrutturazione credibile
– Essere aggiornato con il DURC o regolarizzabile in tempi brevi

Se sei in composizione negoziata puoi accedere comunque?
Sì. La composizione negoziata non esclude l’accesso alla finanza agevolata, anzi: se affiancata da un piano di rilancio, può rafforzare la credibilità della tua domanda e dimostrare che l’impresa ha una prospettiva concreta di continuità.

Cosa ti serve per presentare una richiesta efficace?
– Un business plan solido, realistico e coerente con l’incentivo richiesto
– Una situazione contabile chiara, anche se con difficoltà
– L’analisi di eventuali ostacoli tecnici o giuridici alla partecipazione
– Il supporto di un consulente legale ed economico che conosca le criticità della tua posizione

Cosa NON devi fare?
– Presentare domande con dati non veritieri o non aggiornati
– Aspettare che la crisi peggiori prima di muoverti
– Pensare che essere “in difficoltà” significhi essere automaticamente esclusi
– Trascurare gli obblighi documentali, soprattutto se hai procedure in corso

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in finanza agevolata e risanamento aziendale – ti spiega quali incentivi e bandi sono accessibili anche alle PMI in crisi, cosa devi fare per presentare domanda e come sfruttare questi strumenti per rilanciare l’impresa legalmente e con successo.

Hai un’attività in difficoltà e vuoi capire se puoi ottenere contributi pubblici, incentivi o finanziamenti agevolati?

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Introduzione

Le piccole e medie imprese italiane attraversano negli ultimi anni una fase complessa: dopo la pandemia da Covid-19, la crisi energetica e le incertezze geopolitiche, molte aziende si trovano in difficoltà economico-finanziaria. In questo contesto, la finanza agevolata – l’insieme di strumenti finanziari offerti da enti pubblici (Stato, Regioni, UE) per sostenere lo sviluppo e la liquidità delle imprese – assume un ruolo cruciale, anche per le PMI in crisi. Finanziamenti a fondo perduto, prestiti garantiti a tasso agevolato, incentivi fiscali (crediti d’imposta, esenzioni) e moratorie sui debiti sono esempi di misure che possono aiutare un’impresa a superare uno stress finanziario senza gravare ulteriormente sul bilancio.

Questa guida, aggiornata a giugno 2025, offre un panorama avanzato e rigoroso di tutti gli strumenti di aiuto disponibili per le PMI in difficoltà. Esamineremo inizialmente i settori economici più coinvolti, evidenziando misure specifiche per industria, commercio/servizi, turismo/cultura e agricoltura. In seguito analizzeremo le misure di sostegno pubblico attive nel 2025 a livello nazionale, regionale e comunitario, includendo contributi a fondo perduto, crediti d’imposta, garanzie pubbliche, strumenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e fondi europei. Verranno poi illustrati i principali strumenti di ristrutturazione del debito e le procedure concorsuali previsti dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII): piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis, transazione fiscale, composizione negoziata della crisi, concordato preventivo (ordinario e “semplificato”) e liquidazione giudiziale.

Ogni sezione includerà riferimenti normativi aggiornati (leggi italiane, regolamenti UE) e richiami a sentenze recenti di rilievo (Corte di Cassazione, TAR, Consiglio di Stato, Corte di Giustizia UE) per evidenziare gli orientamenti giurisprudenziali sulle questioni chiave. Troverete inoltre tabelle riepilogative che sintetizzano le caratteristiche dei vari strumenti, simulazioni pratiche (esempi concreti di utilizzo degli aiuti o di negoziazione con i creditori) e una sezione di Domande Frequenti (FAQ) con le risposte ai quesiti più comuni. In chiusura, un elenco completo delle fonti normative e giurisprudenziali citate vi permetterà di approfondire ulteriormente ogni tema.

Il principio di fondo è che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, avere debiti o trovarsi in crisi non preclude automaticamente l’accesso alla finanza agevolata. Molti incentivi pubblici richiedono che l’impresa non sia in stato di fallimento o liquidazione al momento della domanda, ma non escludono una PMI solo perché indebitata, specie se è in corso un percorso di risanamento. Anzi, diverse misure sono pensate proprio per aziende in crisi: condoni fiscali e contributivi (“pace fiscale”), fondi pubblici per ristrutturare imprese in difficoltà e salvaguardare l’occupazione, garanzie statali per facilitare la rinegoziazione dei debiti bancari, bandi regionali e programmi UE che premiano progetti di rilancio aziendale. La normativa UE sugli aiuti di Stato impone alcune limitazioni (in genere non si possono concedere aiuti a imprese “in difficoltà” in senso stretto, salvo eccezioni), ma negli ultimi anni tali vincoli sono stati temporaneamente allentati durante le crisi sistemiche (pandemia, shock energetico). Pertanto una PMI indebitata, se non è insolvente conclamata, può comunque aspirare a ottenere sostegno pubblico purché rispetti i requisiti specifici del bando e presenti un solido piano di rilancio.

Prima di addentrarci negli strumenti, è utile una breve panoramica dei settori produttivi principali e delle relative esigenze, poiché l’impatto della crisi e le misure di supporto disponibili possono variare a seconda del comparto.

Settori economici coinvolti

Le difficoltà finanziarie possono colpire imprese di ogni settore, ma l’impatto e gli strumenti di sostegno attivati spesso dipendono dal comparto. Di seguito analizziamo i principali settori – industria e artigianato, commercio e servizi, turismo e cultura, agricoltura e agroalimentare – evidenziando le criticità tipiche e gli aiuti specifici attivi per ciascuno di essi nel 2025.

Industria e Artigianato

Il settore industriale e manifatturiero (incluse le imprese artigiane) è il motore economico del Paese, ma negli ultimi anni ha affrontato shock significativi: interruzioni nelle forniture globali, forti aumenti dei costi energetici e delle materie prime, calo della domanda in alcuni mercati. Le imprese industriali in difficoltà possono beneficiare di numerose misure sia per il rilancio produttivo sia per la gestione della crisi. Ad esempio, il Piano Transizione 4.0 (evoluzione di Industria 4.0) offre crediti d’imposta per investimenti in beni strumentali innovativi e in formazione 4.0, con aliquote agevolate anche nel 2025 (sebbene in progressiva riduzione rispetto agli anni precedenti). La Nuova Sabatini – rifinanziata dalla Legge di Bilancio 2025 – supporta l’acquisto di macchinari e tecnologie attraverso un contributo statale in conto interessi e, per le PMI del Mezzogiorno, persino una quota di contributo a fondo perduto. In parallelo, per le aree industriali in crisi (distretti colpiti da deindustrializzazione o grandi crisi aziendali), il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MiMIT) promuove bandi ad hoc – come i Contratti di Sviluppo o i piani di riconversione industriale – finanziati con risorse nazionali ed europee (ad es. Fondo Sviluppo e Coesione, programmi operativi FESR, PNRR). Le imprese industriali possono inoltre accedere al Fondo di Garanzia PMI per ottenere liquidità (anche in presenza di rating bancari non ottimali), e nei casi di crisi più grave valutare strumenti di ristrutturazione del debito o procedure concorsuali per evitare la liquidazione. Va ricordato che l’industria è spesso capital-intensive: durante la pandemia e la successiva crisi energetica, molte aziende manifatturiere hanno usufruito di garanzie pubbliche (es. garanzie SACE) e moratorie sui mutui/leasing per far fronte a cali di fatturato e rincari. Nel 2025, con la parziale normalizzazione dei costi energetici, gli aiuti emergenziali sono diminuiti: l’attenzione si è spostata su misure di rilancio e investimento (innovazione, sostenibilità), pur restando attivi strumenti di prevenzione della crisi (indicatori di allerta, obbligo di adeguati assetti organizzativi) per intercettare i segnali di difficoltà e agire tempestivamente.

Commercio e Servizi

Il comparto del commercio (commercio al dettaglio, ingrosso, e-commerce) e quello dei servizi (dai servizi professionali al trasporto, dalla ristorazione non turistica ai servizi alle persone) comprende un numero elevatissimo di piccole e medie imprese. Queste attività hanno sofferto in modo particolare prima le restrizioni della pandemia (si pensi ai negozi e ristoranti durante i lockdown) e poi, in tempi recenti, la contrazione dei consumi dovuta all’inflazione e all’incertezza economica. Per il commercio, tra il 2020 e il 2021 il Governo ha erogato contributi a fondo perduto emergenziali a compensazione delle perdite di fatturato (i cosiddetti “ristori Covid”). Tali contributi straordinari oggi (2025) non sono più attivi in via generalizzata, sebbene il Governo abbia previsto indennizzi mirati per alcuni settori ancora in sofferenza prolungata (ad es. un fondo ad hoc per le discoteche e i locali da ballo, che sono rimasti chiusi più a lungo, o contributi per fiere e congressi fortemente colpiti). In compenso, permangono misure di sostegno strutturale. Ad esempio, sono stati introdotti bonus fiscali per le botteghe e i negozi storici (detrazioni per le spese di ammodernamento), incentivi per la digitalizzazione dei punti vendita tradizionali (voucher per e-commerce, crediti d’imposta per registratori di cassa telematici), nonché finanziamenti agevolati per l’innovazione nel retail fisico. Importanti associazioni di categoria (Confcommercio, Confesercenti) segnalano che nel 2025 alcune misure introdotte in periodo Covid sono state prorogate in forma selettiva: ad esempio, crediti d’imposta sui canoni di locazione commerciale per imprese del settore turistico-ricettivo e della ristorazione, oppure esenzioni temporanee dal pagamento del suolo pubblico per i dehors dei locali (misure adottate dai Comuni). Per il commercio al dettaglio in generale, l’attenzione è rivolta a ridurre i costi fissi: la Legge di Bilancio 2025 ha previsto, tra l’altro, il rifinanziamento di fondi per la riqualificazione delle aree urbane commerciali e incentivi per l’efficientamento energetico di negozi e supermercati (in risposta ai rincari energetici). Molte PMI del terziario, inoltre, beneficiano trasversalmente delle stesse misure valide per l’industria: Fondo di Garanzia per accedere al credito bancario, decontribuzione Sud se operano nel Mezzogiorno (sgravio del 30% sui contributi per i dipendenti, prorogato fino al 2029), voucher digitali promossi dalle Camere di Commercio per servizi ICT, ecc. In caso di crisi di liquidità, anche le imprese commerciali/servizi possono ricorrere a piani attestati di risanamento o ad accordi di ristrutturazione, ma in genere – trattandosi di aziende di minori dimensioni – rientrano più spesso nelle procedure di sovraindebitamento (oggi “composizione della crisi da sovraindebitamento” per microimprese e ditte individuali). Quelle più strutturate, invece, possono valutare un concordato preventivo in continuità per rinegoziare i debiti e proseguire l’attività.

Turismo e Cultura

Il settore turistico (strutture ricettive, tour operator, agenzie di viaggio, ristorazione turistica) è stato tra i più colpiti dalla crisi pandemica, ma anche tra quelli che hanno visto i maggiori aiuti dedicati. Durante l’emergenza Covid, sono stati erogati contributi a fondo perduto massicci ai soggetti del turismo, spesso con fondi stanziati ad hoc per compensare le chiusure forzate e il crollo dei flussi turistici. Oggi, nel 2025, il turismo è in fase di ripresa (grazie al ritorno dei viaggiatori internazionali e ai grandi eventi), ma resta oggetto di attenzione: esistono incentivi specifici per sostenere la riqualificazione e l’innovazione delle strutture turistiche e culturali. Ad esempio, il Fondo Rotativo imprese per il Turismo (FRI-Tur), finanziato dal PNRR, offre finanziamenti agevolati con una quota di fondo perduto per la modernizzazione di alberghi, agriturismi e stabilimenti balneari, con particolare focus sulla sostenibilità energetica e l’accessibilità. È attivo anche un credito d’imposta per la riqualificazione delle strutture ricettive (Bonus Alberghi), rifinanziato a fasi alterne, che permette di recuperare fino all’80% delle spese di ristrutturazione e digitalizzazione degli hotel. Nel settore cultura, vi sono tax credit mirati come il Tax Credit Cinema (credito d’imposta del 30% sui costi di produzione cinematografica sostenuti in Italia, per attrarre investimenti esteri e sostenere le imprese cinematografiche nazionali) e il Tax Credit Musica per l’industria discografica. Questi strumenti, pur rivolti a specifiche attività, contribuiscono a migliorare la solidità finanziaria delle imprese culturali riducendo i costi di investimento. In chiave emergenziale, a seguito della pandemia alcune città d’arte hanno introdotto riduzioni o esenzioni temporanee dell’imposta di soggiorno per stimolare la ripresa del turismo, mentre il governo ha istituito fondi per indennizzare guide turistiche e lavoratori stagionali del turismo rimasti senza reddito nel 2020-21. Al 2025 tali misure emergenziali sono cessate, ma le imprese turistiche possono ancora contare su sostegni quali: garanzie SACE “Italia” per finanziamenti a medio-grandi operatori (ad esempio grandi catene alberghiere hanno ottenuto prestiti garantiti dallo Stato durante il Covid), contributi a fondo perduto per fiere e congressi (per incentivare la partecipazione a eventi internazionali, spesso rifinanziati di anno in anno), oltre alle già menzionate misure del PNRR. Infine, molte Regioni a vocazione turistica (es. Veneto, Emilia-Romagna, Sicilia) hanno bandi dedicati per piccole imprese turistiche: contributi per stabilimenti balneari, rifugi montani, percorsi enogastronomici, e perfino fondi per la patrimonializzazione delle PMI del turismo.

Agricoltura e Agroalimentare

Il settore agricolo e agroalimentare presenta peculiarità proprie in tema di aiuti: da un lato beneficia di politiche e fondi europei dedicati (la PAC – Politica Agricola Comune), dall’altro è soggetto a crisi specifiche (andamenti climatici sfavorevoli, malattie delle colture, volatilità dei prezzi delle materie prime agricole) che richiedono interventi mirati. Molte imprese agricole operano in forma di PMI, spesso a conduzione familiare, e in caso di difficoltà possono accedere a strumenti di finanza agevolata sia generali sia settoriali. Sul versante europeo, il principale canale sono i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) regionali, cofinanziati dal Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR): ogni Regione pubblica bandi rivolti alle aziende agricole per investimenti in innovazione, giovani agricoltori, filiere corte, agro-industria, con contributi a fondo perduto che arrivano anche al 40-50% dell’investimento (percentuali più alte per i giovani o per le zone svantaggiate). Ad esempio, nel 2025 sono aperti bandi PSR per l’acquisto di macchinari agricoli a basso impatto ambientale, per l’installazione di impianti fotovoltaici nelle fattorie (misura “Parco Agrisolare” finanziata dal PNRR), per l’ammodernamento dei frantoi oleari, ecc. Sul piano nazionale, l’ente di riferimento è ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), che gestisce fondi e garanzie per il settore: ad esempio, ISMEA offre garanzie pubbliche sui mutui agrari analoghe al Fondo PMI, nonché mutui agevolati per il primo insediamento dei giovani in agricoltura e per lo sviluppo di progetti in ambito agroalimentare. Nel 2022, in risposta alla crisi energetica, è stato previsto per le imprese agricole e della pesca di poter rinegoziare i mutui allungandoli fino a 25 anni con garanzia ISMEA all’80% sul debito residuo, così da abbassare le rate. Questo strumento è stato attivato per aiutare gli agricoltori a far fronte all’aumento dei costi di produzione (carburanti, fertilizzanti) e potrebbe essere esteso ad altri settori in caso di necessità. In situazioni di calamità naturali (siccità, alluvioni che colpiscono raccolti), intervengono sia fondi assicurativi (il Fondo di Solidarietà Nazionale che indennizza le imprese agricole danneggiate) sia sospensioni dei debiti: ad esempio, dopo la grave siccità del 2022, è stata concessa la sospensione delle rate dei mutui agrari nelle zone colpite e stanziati contributi per il ripristino delle colture. In caso di crisi strutturale di imprese agroalimentari di rilevanza strategica (es. industrie di trasformazione in crisi), possono applicarsi i medesimi strumenti visti per l’industria: Fondo Salvaguardia Imprese gestito da Invitalia (che può entrare nel capitale dell’azienda agroalimentare in crisi e finanziare il rilancio, come avvenuto per alcuni pastifici e aziende conserviere), contratti di sviluppo per trovare nuovi investitori, Cassa Integrazione in deroga per i lavoratori in attesa di soluzioni. Da segnalare infine che le imprese agricole, per loro natura, possono accedere a una forma di composizione negoziata speciale (la “concordata preventiva agricola”) e a procedure di crisi semplificate, essendo escluse dal fallimento: il Codice della Crisi prevede per l’imprenditore agricolo strumenti ad hoc come il piano di risanamento attestato agricolo e la possibilità di esdebitazione. Ciò però esula dalla finanza agevolata in senso stretto ed è più inerente al diritto agrario fallimentare.

Segue una tabella riepilogativa dei principali aiuti per settore (industria, commercio, turismo, agricoltura) attivi nel 2025:

SettoreCriticità tipichePrincipali agevolazioni attive (2025)
Industria & Artigianato– Calo domanda in alcuni mercati– Aumenti costi energia & materie prime– Necessità investimenti in tecnologie 4.0 e greenTransizione 4.0: crediti imposta beni strumentali 20%, R&S 10%• Nuova Sabatini rifinanziata: contributo conto interessi ~2.75% (10% valore bene, 20% Sud)• Contratti di Sviluppo MiMIT (progetti >€20 mln con mix fondo perduto + finanziamento)• Fondo Garanzia PMI: garanzia statale 80% sui prestiti (fino 90% su innovazione)• Garanzie SACE (Garanzia Italia) per medio-grandi• Fondo Salvaguardia Imprese Invitalia: ingresso capitale minoranza + contributi per aziende in crisi rilevanti• Moratorie mutui/leasing (scadute generali, ma possibili accordi bancari individuali)
Commercio & Servizi– Crollo fatturato durante pandemia– Contrazione consumi per inflazione– Elevati costi fissi (affitti, utenze)Ristori COVID (non più attivi nel 2025, salvo settori residuali)• Bonus affitti commerciali (tax credit 60% canone, prorogato per turismo/ristorazione)• Voucher digitalizzazione (Camere Commercio) per e-commerce/marketing digitale• Contributi per imprese storiche (es. Bando negozi storici con fondo perduto 50% spese) – regioni/comuni• Decontribuzione Sud 30% sui dipendenti fino 2029 (per imprese Sud)• Energia: credito imposta gasolio autotrasporto (trasporti); bonus elettricità decorsi Q1 2023 conclusi; nuovi bandi efficienza energetica PMI (regionali)
Turismo & Cultura– Chiusure forzate pandemia– Riduzione flussi internazionali– Obsolescenza strutture ricettiveFRI-Tur (PNRR): finanziamenti+fondo perduto 35% per hotel, agriturismi, stabilimenti balneari• Tax credit riqualificazione alberghi 80% (fino €200k) – rifinanziato 2022, attesa per 2025• “Bonus Sud” turismo: contributi per nuove imprese turistiche al Sud (via Resto al Sud: 50% contributo + 50% prestito)• Contributi settore fiere/congressi (es. fondo perduto 50% spese partecipazione fiere internazionali, se rifinanziato)• Tax credit Cinema/Musica: 30% costi produzione film in Italia, 30% costi produzioni discografiche (imprese musica)
Agricoltura & Agroalimentare– Eventi climatici avversi (siccità, alluvioni)– Oscillazioni prezzi (latte, grano…)– Ricambio generazionaleContributi PSR (FEASR): fondo perduto 30-50% per investimenti aziende agricole (bandi regionali)• Ismea Più Impresa: mutui a tasso zero giovani agricoltori (max €1,5 mln, 20 anni) + 35% fondo perduto• Parco Agrisolare (PNRR): contributo 40-50% per impianti fotovoltaici in aziende agricole• Garanzia Ismea 80% su mutui agrari rinegoziati (per allungare durata)• Fondo Filiere in crisi: es. interventi Invitalia su filiere latte, zucchero con prestiti agevolati• Indennizzi calamità naturali: contributi 100% danni per aziende zone terremoti 2016, alluvione Emilia 2023

(Legenda: MiMIT = Ministero Imprese e Made in Italy; PNRR = Piano Nazionale Ripresa e Resilienza; FEASR = Fondo europeo agricolo sviluppo rurale; PSR = Programma Sviluppo Rurale regionale; Ismea = ente pubblico settore agricolo; FRI-Tur = Fondo Rotativo Turismo)

Strumenti nazionali di sostegno finanziario alle PMI in crisi

Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio le misure predisposte a livello statale (nazionale) per alleviare il peso dei debiti sulle imprese e sostenere la loro continuità. Si va dalle definizioni agevolate di debiti fiscali e contributivi (la cosiddetta “pace fiscale”), ai fondi pubblici per aiutare imprese in crisi (gestiti ad esempio da Invitalia per conto del MiMIT), ai contributi a fondo perduto e bonus per investimenti che indirettamente migliorano la solidità finanziaria dell’impresa, fino alle moratorie creditizie e garanzie statali per facilitare la rinegoziazione dei debiti bancari. Tutte le misure qui descritte sono attive nel 2025 (alcune strutturali, altre straordinarie prorogate recentemente) e sono state adottate nel rispetto delle normative UE sugli aiuti di Stato (molte rientrano nel Regolamento generale di esenzione – GBER – o nel regime de minimis, altre sono state notificate e autorizzate specificamente da Bruxelles).

1. Pace Fiscale e definizioni agevolate dei debiti tributari e contributivi

Uno dei più rilevanti interventi degli ultimi anni per le imprese indebitate verso l’Erario e gli enti previdenziali è la cosiddetta “Pace Fiscale”, ossia un insieme di provvedimenti straordinari tra il 2023 e il 2025 volti a regolarizzare i debiti fiscali e contributivi in modo agevolato. Tali misure – chiamate anche “tregua fiscale” – consentono ai contribuenti di estinguere i carichi pendenti a condizioni più favorevoli rispetto alla disciplina ordinaria, spesso tramite l’abbattimento totale o parziale di sanzioni e interessi, piani di pagamento dilazionati nel tempo e in alcuni casi persino l’annullamento automatico di piccoli debiti. Le principali iniziative di pace fiscale attive o concluse entro maggio 2025 includono:

  • Stralcio dei mini-debiti fino a €1.000: previsto dalla Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022, art. 1 commi 227-228) per i carichi affidati all’Agente della Riscossione dal 2000 al 2015. Ha disposto l’annullamento automatico al 31 marzo 2023 delle cartelle esattoriali di importo residuo fino a 1.000 euro, comprensivo di tributi locali e statali. In pratica, micro-debiti (come vecchie multe o piccoli tributi non pagati) sono stati cancellati d’ufficio senza bisogno di domanda, alleggerendo le imprese da posizioni spesso non più recuperabili (fatta salva la facoltà per l’ente creditore – es. un Comune – di opporsi entro il 31/1/2023). Simulazione pratica: un’azienda che aveva una cartella da €900 per una tassa automobilistica del 2005 non ha dovuto pagare nulla; dal 31/3/2023 quel debito è stato estinto d’ufficio.
  • Definizione agevolata delle cartelle (Rottamazione-Quater): introdotta anch’essa dalla L. 197/2022 (commi 231-252) per i carichi affidati alla riscossione tra il 1º gennaio 2000 e il 30 giugno 2022. Consente di estinguere i debiti iscritti a ruolo pagando solo l’imposta e le somme dovute a titolo di capitale e aggio, con azzeramento di sanzioni e interessi di mora. Il pagamento può avvenire in un’unica soluzione (scadenza originaria 31 ottobre 2023, poi prorogata) oppure in massimo 18 rate su 5 anni (dal 2023 al 2027). Per aderire era necessario presentare domanda entro una certa data (originariamente 30 aprile 2023, prorogata al 30 giugno 2023, e ulteriormente al 30 settembre 2023 per i contribuenti delle zone alluvionate). La Legge 15/2025 (conversione del “Decreto Milleproroghe” di inizio 2025) ha introdotto una riapertura limitata: i debitori decaduti dalla rottamazione-quater per mancato pagamento delle rate 2023 sono stati riammessi, potendo presentare istanza entro il 30 aprile 2025 e versare le somme dovute entro il 31 luglio 2025. Non si tratta di una nuova rottamazione per ulteriori debiti, ma di una seconda chance per chi aveva aderito ma non era riuscito a rispettare le scadenze.
  • “Saldo e Stralcio” per contribuenti in difficoltà: misura mirata (già sperimentata nel 2019 con L. 145/2018) riproposta nel 2023 per persone fisiche e ditte individuali con ISEE fino a €20.000. Consente il pagamento dei debiti fiscali pregressi con una percentuale ridotta sul dovuto (es. 16% o 20%) in base all’ISEE, annullando il resto. Nel contesto della nuova tregua fiscale 2023, il saldo e stralcio è stato integrato con la rottamazione-quater: in pratica, per le categorie ammesse, oltre all’azzeramento di interessi e sanzioni si applica un abbattimento parziale del tributo. Esempio: un lavoratore autonomo con ISEE di €15.000 e cartelle per €10.000 di imposte e €4.000 di sanzioni/interessi può chiudere il tutto pagando circa €1.600 (il 16% di €10.000), invece di €14.000 originari.
  • Regolarizzazione delle irregolarità formali: un condono delle violazioni fiscali formali commesse fino al 2022, mediante il versamento di €200 per periodo d’imposta. Previsto dalla L. 197/2022 (commi 166-173) – il cosiddetto “ravvedimento operoso speciale” – ha permesso di sanare errori formali (ad es. comunicazioni tardive) senza incorrere nelle sanzioni ordinarie, pagando una somma forfettaria. Ciò è stato rilevante per imprese che avevano ricevuto avvisi di irregolarità formale che, se non sanati, avrebbero potuto evolvere in contestazioni più gravi.
  • Definizione agevolata delle liti tributarie pendenti: sempre la Manovra 2023 (L. 197/2022) ha offerto la possibilità di definire in via agevolata i contenziosi tributari pendenti al 1° gennaio 2023 in ogni grado di giudizio. In sintesi, le imprese potevano chiudere le liti fiscali versando solo una parte del valore della controversia, con percentuali variabili a seconda dell’esito nei precedenti gradi (es. 10% se l’Agenzia Entrate aveva perso nei primi due gradi). Questo ha aiutato a eliminare incertezze e potenziali futuri debiti, liberando risorse e alleggerendo il contenzioso fiscale.
  • Ravvedimento speciale e adesione agevolata avvisi: la Manovra 2023 ha introdotto strumenti per facilitare la regolarizzazione di posizioni in corso di accertamento. Per gli avvisi di accertamento non impugnati e ancora “pendenti” al 1º gennaio 2023, si è prevista la possibilità di definire il dovuto con sanzioni ridotte al 3% (anziché le ordinarie ben più alte) e pagamento rateale in 2 anni. Analogamente, per gli avvisi bonari derivanti da controlli automatizzati su dichiarazioni fino all’anno d’imposta 2021, era possibile ottenere lo sgravio delle sanzioni (ridotte dal 10% al 3%) pagando il dovuto entro il 30/9/2023. Pur non essendo “contributi” in senso stretto, queste misure hanno l’effetto di alleggerire il carico sanzionatorio sulle imprese che decidono di mettersi in regola spontaneamente.

Norme di riferimento: il quadro normativo della Pace Fiscale 2023-2025 è delineato principalmente nella Legge 29 dicembre 2022 n.197 (Legge di Bilancio 2023), commi 153-252, integrata dai decreti correttivi del 2023. In particolare, il D.L. 14 gennaio 2023 n.11 (conv. L. 23/2023) ha fornito chiarimenti tecnici e proroghe sui termini di adesione. Ulteriori proroghe per i pagamenti sono giunte col D.L. 146/2023 (conv. L. 15/2025). La definizione liti è disciplinata dai commi 186-205 della L.197/2022. Il saldo e stralcio 2023 è previsto dai commi 222-230 della medesima legge. Queste norme, autorizzate dalla Commissione UE nell’ambito delle flessibilità sugli aiuti di Stato (la cancellazione di interessi e sanzioni su debiti fiscali generalizzata non è considerata aiuto di Stato in quanto misura di carattere generale), hanno avuto un impatto significativo: decine di migliaia di imprese hanno aderito, ottenendo sconti sul pregresso e un DURC regolare (Documento Unico di Regolarità Contributiva) essenziale per accedere a nuovi appalti o incentivi.

Tabella – Definizioni agevolate “Pace Fiscale” principali (2023-25):

MisuraPeriodo debitiBeneficioScadenze
Stralcio mini-debiti ≤ €1.000Carichi 2000-2015Annullamento totale debito (quota residua)Automatico al 31/3/2023 (salvo opposizione enti entro 31/1/23)
Rottamazione-QuaterCarichi 2000-06/2022Stralcio sanzioni/interessi; paghi solo imposta + aggioDomanda entro 30/6/2023 (proroga); Rate: 18 rate 2023-27. Prime rate rinviate al 2024; Riammissione decaduti 2023 con dom. entro 30/4/2025, pagamento entro 31/7/2025.
Saldo e Stralcio (ISEE ≤ 20k)Carichi 2000-2017 (PF e ditte indiv.)Paghi % ridotta imposta (16%, 20%, 35%) + zero sanzioni/interessiDomanda congiunta a rottamazione-quater entro 30/6/2023 (con autocertificazione ISEE). Rate come rottamazione.
Stralcio automatico ≤ €5.000 (2021)Carichi 2000-2010 (d.l.41/2021)Annullamento automatico carichi ≤ €5.000 di ruoli ante 2010 per contribuenti ISEE ≤ 30k (Covid)Eseguito entro 31/10/2021 (misura chiusa)
Definizione liti pendentiLiti fiscali in corso al 01/01/2023Paghi % del valore in base esito (es. 10% se vittoria contribuente nei primi gradi)Domanda entro 30/6/2023; pagamento entro 30/9/2023 (o rate max 20 mesi se >€1,000)
Ravvedimento specialeViolazioni formali fino 2021Sanzioni forfettarie €200 per anno per sanare violazioni formaliPrima rata entro 31/3/2023, seconda entro 31/3/2024
Adesione agevolata avvisiAvvisi accertamento non impugnati al 1/1/23Sanzioni ridotte 1/18 del minimo (3%); rate 2 anniAdesione entro 31/3/2023 (o 30 giorni notifica avviso se più tardi), pagamento entro 31/3/2023 (o prima rata entro tale data)
Definizione avvisi bonariControlli auto. anni imp. fino 2019Sanzioni ridotte dal 10% al 3% su somme dovutePagamento entro 30/9/2023 (o rate trimestrali fino a 20 rate)

(Fonte: L. 197/2022 commi 153-252; D.L. 11/2023 conv. L.23/2023; D.L. 146/2023 conv. L.15/2025)

Simulazione pratica – Regolarizzazione fiscale di un’impresa indebitata: La società Alfa S.r.l. ha accumulato nel periodo 2017-2019 debiti tributari significativi: €50.000 di IVA non versata e €20.000 di ritenute non pagate, iscritti a ruolo tra il 2020 e il 2021 (oltre a sanzioni e interessi). Questi debiti impediscono ad Alfa di ottenere un DURC regolare e di partecipare a bandi pubblici. Con la tregua fiscale 2023, Alfa presenta domanda di rottamazione-quater entro il giugno 2023 includendo tutti i ruoli: ciò le consente di congelare immediatamente le azioni esecutive. L’importo da pagare, eliminando sanzioni e interessi, scende a circa €70.000 (solo imposte e aggio). Alfa opta per il pagamento rateale in 18 rate (5 anni). Nel frattempo, avendo un ISEE inferiore a €20.000, l’amministratore unico di Alfa (ditta individuale) ha potuto aderire anche al saldo e stralcio: pertanto, sui debiti fiscali di competenza 2017 (quelli più datati) pagherà solo il 20%. Complessivamente, Alfa paga la prima rata a marzo 2024 e ottiene la regolarità fiscale, potendo così partecipare nel 2024 a un bando regionale per innovazione. Grazie alla rottamazione, inoltre, evita sanzioni penali: il debito IVA di €50.000 (che supera la soglia di punibilità penale) viene inserito in un piano di pagamento omologato, quindi l’amministratore di Alfa può beneficiare della causa di non punibilità prevista se viene soddisfatto almeno il 10% del debito IVA nel concordato/accordo (come vedremo nella sezione transazione fiscale). Alfa così, sfruttando la pace fiscale, può concentrarsi sul rilancio aziendale invece di essere schiacciata dal fardello fiscale.

Nota: Molte agevolazioni pubbliche (anche extra-fiscali) richiedono regolarità contributiva e fiscale (DURC positivo) al momento dell’erogazione. Le misure di tregua fiscale aiutano proprio a ottenere tale regolarità per accedere ad altri incentivi. Durante la pandemia, in via eccezionale, il Governo aveva sospeso l’obbligo di DURC regolare per erogare i ristori emergenziali, ma in condizioni normali un’impresa con debiti INPS non sanati non può incassare fondi pubblici. È quindi strategico, per un imprenditore indebitato, aderire a rottamazioni o chiedere dilazioni: con un piano di rateizzazione attivo, infatti, l’INPS rilascia un DURC provvisorio regolare, consentendo all’azienda di partecipare a gare e bandi mentre sta sanando il debito.

2. Incentivi e fondi pubblici per la ristrutturazione aziendale e la continuità (imprese in crisi)

Oltre alle sanatorie fiscali e contributive sul pregresso, lo Stato italiano ha messo in campo fondi e contributi specifici per sostenere le imprese in crisi nella fase di risanamento e rilancio, mirando a preservare la continuità aziendale e i posti di lavoro. Si tratta di strumenti straordinari attivati soprattutto a seguito di crisi di rilevanza nazionale o settoriale. I principali fondi pubblici “salva-imprese” attivi includono:

  • Fondo per la Salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione d’attività d’impresa (c.d. Fondo Salvaguardia Imprese): istituito con D.L. 34/2020 art. 43 (conv. L. 77/2020) e operativo dal 2021, è gestito da Invitalia per conto del MiMIT. Interviene in imprese in crisi di interesse strategico (ad es. marchi storici, aziende con >250 dipendenti, o piccole imprese con filiere territoriali rilevanti). Il Fondo può entrare nel capitale dell’azienda in crisi (con partecipazione di minoranza temporanea) e contestualmente concedere un contributo a fondo perduto fino a €5.000 per ciascun dipendente salvaguardato. L’intervento richiede un serio piano di ristrutturazione e viene attivato caso per caso con decreto ministeriale. Esempio applicativo: a fine 2022 il Fondo è intervenuto per salvare lo stabilimento Ferrosud di Matera, acquisito dal gruppo Mermec con un’operazione da €28 milioni supportata dal Fondo; tutti i lavoratori sono stati riassorbiti e la produzione è ripartita. Questo Fondo, rifinanziato nelle Leggi di Bilancio 2021 e 2022, è uno strumento “mirato ma potente”, che combina supporto finanziario e competenze manageriali (grazie all’affiancamento di Invitalia). Dal punto di vista giuridico, la misura è stata notificata e autorizzata dalla Commissione UE come aiuto di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione, con precise condizioni (es. co-investimento privato, piano di ristrutturazione approvato). Giurisprudenza amministrativa: il Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 1760/2023, pur riferita a un caso di bando regionale, ha ribadito un principio generale: le misure pubbliche di aiuto devono basarsi su criteri oggettivi legati allo stato di bisogno dell’impresa, senza discriminazioni arbitrarie. Nella vicenda in esame, una delibera Friuli 2020 limitava un contributo Covid solo alle imprese con sede unica in regione: tale paletto è stato giudicato illegittimo, perché non giustificato da ragioni oggettive (escludeva imprese multi-sede anche se bisognose). Il principio si applica anche ai fondi nazionali: la P.A. deve valutare le imprese in crisi secondo parametri trasparenti (perdite di patrimonio, numero posti di lavoro a rischio, impatto su filiera, ecc.) e non secondo criteri estranei o localistici. Finora, per i fondi MiMIT non risultano contenziosi rilevanti pubblicamente noti.
  • Finanziamenti agevolati per Grandi Imprese in temporanea difficoltà: previsti dall’art. 37 D.L. 41/2021 (conv. L. 69/2021) e gestiti da Invitalia nel biennio 2021-2022, erano rivolti alle grandi imprese (>250 dip.) colpite dalla crisi Covid ma con prospettive di ripresa. Si trattava di prestiti agevolati (tasso zero o molto basso) di durata 5-6 anni, importo variabile (in media tra €5 e 30 milioni), finalizzati a fornire capitale circolante per mantenere l’attività. Non prevedevano componente a fondo perduto, ma richiedevano un piano di risanamento attestato. Il fondo è stato rifinanziato col D.L. 73/2021 e DM Mise 5/7/2021. Ad oggi (2025) queste risorse straordinarie sono esaurite; tuttavia lo strumento ha permesso di traghettare oltre 10 grandi aziende attraverso la fase acuta della pandemia, in attesa di investitori o soluzioni strutturali. Poiché destinato a grandi imprese, la sua portata per le PMI è indiretta (es: evitando il fallimento di un grande cliente si tutela l’indotto PMI).
  • “Patrimonio Rilancio” (fondi CDP): introdotto dall’art. 27 D.L. 34/2020 (conv. L.77/2020) e attivo 2021-2023, è un fondo gestito da Cassa Depositi e Prestiti per sostenere società medio-grandi (fatturato > €50 mln) colpite dalla pandemia. Opera con investimenti in strumenti finanziari (prestiti convertendi, aumenti di capitale) nelle aziende target, non erogando contributi diretti ma fornendo capitale quasi-equity. Ha supportato settori strategici (es. settore aereo, turismo) su base selettiva e temporanea. Anche questo è un intervento straordinario ormai in fase di dismissione: le imprese PMI ne hanno benefici indiretti (mantenimento filiere), ma non accesso diretto.
  • Interventi a favore di Workers BuyOut (Legge Marcora): la L. 49/1985 (c.d. Legge Marcora) prevede sostegni ai dipendenti di imprese in crisi che si costituiscono in cooperativa per rilevare l’azienda e salvare l’occupazione. Gli strumenti includono: conferimenti in capitale di rischio da parte di CFI (Cooperazione Finanza Impresa, partecipata MiMIT), mutui agevolati alla cooperativa e talvolta contributi a fondo perduto integrativi (statali o regionali). Ad esempio, i dipendenti di un’azienda fallita possono costituire una cooperativa e, presentando un progetto credibile, ottenere finanziamenti e capitale da CFI/Invitalia per avviare una nuova impresa cooperativa. Questo strumento (rifinanziato da varie leggi di bilancio, es. L. 208/2015 art.1 c.846) consente di salvare il know-how e i posti di lavoro trasformando i lavoratori in imprenditori. Viene attivato su progetti specifici, spesso in combinazione con incentivi regionali (alcune Regioni, come Lazio e Piemonte, hanno bandi WBO in sinergia con la Marcora).
  • Misure premiali nel nuovo Codice della Crisi (Composizione negoziata): benché non si tratti di “fondi” in senso classico, vale la pena menzionare che l’ordinamento concorsuale riformato prevede benefici fiscali e protezioni per le imprese che si attivano tempestivamente per il risanamento. In particolare, l’accesso alla composizione negoziata della crisi (strumento introdotto nel 2021) comporta, qualora si raggiunga un accordo con i creditori o si approvi un piano di ristrutturazione, alcune agevolazioni automatiche: la riduzione degli interessi e sanzioni sui debiti fiscali, la possibilità di dilazionare i debiti tributari fino a 6 anni (72 rate) e la non tassabilità fiscale delle sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti concordata con i creditori. Ad esempio, se nell’ambito di una composizione negoziata la società Omega S.r.l. ottiene dalle banche uno stralcio di €500.000 di debiti finanziari, tale importo sarebbe in teoria una sopravvenienza attiva tassabile; ma grazie all’art. 88 co.4-ter TUIR (introdotto dal D.L. 118/2021) non concorre a formare il reddito imponibile. Lo Stato, quindi, rinuncia a tassare questi “guadagni” da risanamento, fornendo un beneficio indiretto paragonabile a un contributo fiscale. Parimenti, Omega S.r.l. durante le trattative di composizione negoziata paga interessi legali (attualmente 5%) invece che moratori (es. 6-8%) sui debiti fiscali e previdenziali, e beneficia di sanzioni ridotte del 50% in caso di accordo. In sintesi, il nuovo impianto normativo tende a premiare le imprese che si attivano per ristrutturare il debito prima di fallire, concedendo sconti e vantaggi fiscali sostanziali. (V. oltre la sezione sulla Composizione negoziata per maggiori dettagli).

Tabella – Fondi e strumenti di sostegno a imprese in crisi (nazionali):

StrumentoBeneficiari targetTipo di aiutoNoteRiferimenti normativi
Fondo Salvaguardia Imprese (Invitalia)Imprese in crisi strategiche (marchio storico, >250 dip., filiere rilevanti)– Ingresso capitale minoranza (fino €10 mln)– Contributo a fondo perduto fino €5.000 per dipendente salvatoCaso per caso, richiede piano di ristrutturazione approvato dal MiMIT; istruttoria Invitalia; co-investimento privato di solito necessario.Art. 43 D.L. 34/2020 conv. L.77/2020; DM Mise 4/9/2020; Rifinanziato L.178/2020, L.234/2021. Regime UE SA.57489 approvato il 6/8/2020.
Fondo Grandi Imprese in temporanea difficoltà (Invitalia)Grandi imprese (>250 dip.) in crisi reversibile (Covid)Finanziamento agevolato tasso ≈0, durata 5-6 anni, importo variabile (€5-30 mln)Finalizzato a capitale circolante per continuità. No fondo perduto. Richiede piano attestato di risanamento. Misura chiusa nuove domande (attiva 2021-22).Art. 37 D.L. 41/2021 conv. L.69/2021; Rifinanziamento DL 73/2021; DM Mise 5/7/2021. Regime UE SA.62668 approvato 8/6/2021.
Patrimonio Rilancio (CDP)Mid-Large caps (fatturato > €50 mln) colpite da pandemiaInvestimenti in strumenti finanziari (convertendi, azioni) – non contributoOperativo 2021-2023, su settori strategici (es. compagnie aeree). Intervento selettivo deciso da MEF/CDP.Art. 27 D.L. 34/2020 conv. L.77/2020; Decreti MEF 2020; Comunicazione CE C(2020) 4403 (ricapitalizzazioni).
CFI – Legge Marcora (Workers BuyOut)Dipendenti di imprese in crisi riuniti in cooperativaConferimento capitale (quota minoranza)– Mutuo a tasso agevolato (durata max 10 anni)– Eventuale piccolo contributo fondo perduto (regionale/statale)Procedura: cooperativa presenta progetto a CFI/Invitalia → valutazione fattibilità economica → delibera investimento. Spesso combinato con misure regionali WBO.L. 49/1985; DM Mise 4/12/2014 (criteri); Rifinanziato da L.208/2015 (c. 846) e L.160/2019.
Composizione Negoziata – misure premialiImprese di qualsiasi dimensione in squilibrio finanziario (non insolvenza conclamata)Riduzione interessi e sanzioni su debiti fiscali– Possibile piano pagamento imposte in 6 anni– Non tassabilità riduzioni debiti da accordi+ protezioni concorsuali (stay)Benefici fiscali automatici al verificarsi condizioni (accordo concluso e pubblicato). Non serve domanda separata: è parte della disciplina concorsuale di composizione negoziata.D.Lgs. 14/2019 (Cod. Crisi), art. 25-bis e 25-ter (introdotti da D.L.118/2021 conv. L.147/2021). Circolare Ag. Entrate 34/E/2022 (istruzioni attuative).

Considerazione sull’efficacia di questi strumenti: Il Fondo Salvaguardia e il Fondo Grandi Imprese hanno già salvato diverse realtà industriali. Si è citato il caso Ferrosud-Mermec (Matera) sostenuto dal Fondo Salvaguardia. Un altro esempio: il Fondo Grandi Imprese è intervenuto nel 2021 per un prestito emergenziale a Ilva in AS (acciaierie Taranto) e ad altre aziende della moda. Questi strumenti, pur non aperti a tutte le PMI, mostrano la capacità dello Stato di intervenire direttamente nelle crisi più gravi, affiancando risorse pubbliche a piani di risanamento credibili. Di contro, l’accesso è complesso e limitato a casi particolari: non sono bandi generalizzati, ma interventi su dossier selezionati e con forte coinvolgimento ministeriale. Sul piano legale, trattandosi di aiuti di Stato, tali fondi operano in virtù di decisioni di autorizzazione della Commissione UE (che monitora il rispetto di condizioni come l’unicità dell’aiuto e la sostenibilità del piano). Il rischio, se le condizioni non vengono rispettate, è la revoca dell’aiuto con obbligo di restituzione (clausole di claw-back imposte dalle decisioni UE).

Da notare che esistono anche strumenti di sostegno all’occupazione per imprese in crisi: ad es. la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi aziendale, concessa dal Ministero del Lavoro per 12-24 mesi per evitare licenziamenti durante la ristrutturazione; oppure gli esoneri contributivi per aziende che evitano i licenziamenti collettivi riassorbendo personale (previsti in alcuni decreti “crisi”). Tali misure non immettono liquidità diretta all’impresa ma riducono i costi e fanno parte del pacchetto complessivo di gestione della crisi aziendale.

3. Moratorie, garanzie pubbliche e altre misure per debiti bancari e finanziari

Le imprese indebitate verso banche e altri finanziatori possono contare, in determinate circostanze, su misure che sospendono o riducono il peso delle rate e ne facilitano la rinegoziazione. Queste iniziative non erogano denaro gratuito, ma equivalgono a un sollievo di cassa temporaneo (moratorie) o a un beneficio economico indiretto (riduzione interessi grazie a garanzie pubbliche). Le principali attivate in Italia negli ultimi anni sono:

  • Moratoria legale Covid-19 (DL “Cura Italia”): durante l’emergenza pandemica, l’art. 56 del D.L. 18/2020 impose alle banche una moratoria generalizzata sui finanziamenti delle microimprese e PMI. In pratica, i pagamenti delle rate in scadenza (mutui, leasing, fidi a revoca) vennero sospesi inizialmente fino al 30/09/2020, poi prorogati fino al 31/12/2021 per i settori più colpiti. La moratoria riguardava la quota capitale delle rate (l’impresa poteva sospendere il rimborso del capitale, continuando eventualmente a pagare la sola quota interessi). Questa misura eccezionale, ormai scaduta, ha salvato migliaia di aziende dal default nel 2020-21 rinviando esborsi per miliardi di euro. Esempio: un’azienda con mutuo ipotecario €5.000/mese ha risparmiato €60.000 di uscite in un anno di moratoria, potendo usare quella liquidità per spese essenziali. Ovviamente dal 2022 le rate sono riprese (con piano allungato). Va ricordato che la moratoria ex lege è stata possibile grazie al quadro temporaneo UE Covid, che ha permesso allo Stato di sostenere indirettamente le imprese (la sospensione delle rate non fu considerata inadempimento in Centrale Rischi). Al 2025 non vi sono moratorie attive per legge, ma resta il precedente storico.
  • Moratorie “ABI” (Accordi per il Credito PMI): indipendentemente dal Covid, l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e le principali associazioni imprenditoriali periodicamente sottoscrivono protocolli di intesa per offrire sollievo alle PMI in difficoltà. L’Accordo per il Credito 2019 prevedeva, ad esempio, la possibilità per le PMI di ottenere dalla propria banca la sospensione del pagamento della quota capitale delle rate per 6-12 mesi, oppure l’allungamento della scadenza del mutuo fino al 100% della durata residua. Durante la crisi Covid, prima ancora del DL 18/2020, un accordo ABI nel marzo 2020 invitò le banche a concedere moratorie volontarie in attesa dell’intervento governativo. Nel 2023, a fronte dei rincari energetici dovuti alla crisi Ucraina, l’ABI ha emanato linee guida invitando le banche a valutare positivamente richieste di sospensione rate da parte di imprese energivore colpite. Non c’è stata una nuova moratoria generalizzata post-Covid, ma molte banche offrono soluzioni ad hoc ai clienti in difficoltà, in linea con le Linee Guida EBA 2020 sul monitoraggio del credito (che incoraggiano moratorie settoriali senza classificare automaticamente i crediti come deteriorati). Dunque, un imprenditore può sempre negoziare privatamente con la banca una rinegoziazione: la differenza è che, senza il “paracadute” legale, la concessione dipende dalla discrezionalità dell’istituto e dalla presentazione di un piano credibile.
  • Fondo di Garanzia PMI (MCC): il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI è un meccanismo pubblico (operativo sin dal 2000, L. 662/96) che fornisce alle banche una garanzia statale su una percentuale del finanziamento concesso all’impresa. Riducendo il rischio per la banca, ne favorisce l’accesso al credito da parte di PMI altrimenti sotto merito di credito. Durante la pandemia, il Fondo è stato straordinariamente potenziato: il D.L. 23/2020 (“Decreto Liquidità”) ha elevato la garanzia fino al 100% sui piccoli prestiti e al 90% su prestiti più consistenti, ampliando inoltre la platea delle imprese ammissibili (temporaneamente potevano accedere anche imprese con qualche ritardo pregresso, purché non in sofferenza prima del 31/1/2020). In particolare, per prestiti fino a €30.000 è stata offerta garanzia 100% statale con esito quasi automatico e durata fino a 10 anni (poi elevati a €50.000). Questo strumento, pur non essendo un contributo a fondo perduto (il prestito va comunque restituito dall’impresa), ha rappresentato forse l’aiuto finanziario più massivo: tra 2020 e 2021 ha garantito oltre 2 milioni di finanziamenti, immettendo liquidità immediata nelle PMI e microimprese. Esempio: Epsilon SNC, con debiti verso fornitori arretrati, nel 2020 ha ottenuto dalla banca un prestito di €50.000 garantito al 100% dal Fondo in pochi giorni al tasso dell’1%, con inizio rimborso dopo 24 mesi. Ha utilizzato quei soldi per pagare i fornitori critici, evitando azioni legali e continuando l’attività. Novità 2023: dal luglio 2022 il Fondo PMI è tornato alla disciplina ordinaria (garanzia massima 80%, valutazione del merito di credito tramite rating interno). Soprattutto, non può più garantire imprese “in difficoltà” ai sensi UE (ad es. con patrimonio netto azzerato o perdite oltre metà capitale), a meno che rientrino in eccezioni Covid ancora vigenti. Significa che una PMI fortemente indebitata e tecnicamente “in difficoltà” secondo la definizione UE (v. oltre) oggi potrebbe vedersi rifiutare l’ammissione alla garanzia statale. Per ovviare, serve presentare un piano di rilancio convincente e magari ottenere un miglioramento degli indici prospettici (in taluni casi Invitalia ha concesso la garanzia su piani di sviluppo innovativi, considerandoli come aiuti compatibili). Si evidenzia che la definizione UE di “impresa in difficoltà” (art. 2(18) Reg. 651/2014) include l’aver perso oltre la metà del capitale sociale per perdite cumulate o trovarsi in stato di insolvenza conclamata – in tali casi, in regime ordinario, il Fondo non può intervenire. È dunque cruciale per l’imprenditore monitorare i propri indicatori patrimoniali ed eventualmente ricapitalizzare l’azienda prima di richiedere nuovi finanziamenti garantiti.
  • Garanzia Italia (SACE): in parallelo al Fondo PMI, per le imprese medio-grandi non coperte dal Fondo è intervenuta SACE S.p.A. (società pubblica assicurativo-finanziaria) con uno strumento dedicato chiamato Garanzia Italia. Prevista dal Decreto Liquidità (D.L. 23/2020), offriva garanzie statali fino al 90% su finanziamenti bancari a grandi aziende impattate da Covid. Ad esempio, col decreto Liquidità Alitalia ottenne un prestito garantito SACE per €200 milioni, Fiat Chrysler (FCA) €6,3 miliardi, ecc. Per le PMI già coperte dal Fondo, SACE ha comunque sviluppato prodotti specifici: garanzie su operazioni di factoring e conferme di import (pagamento fornitori esteri). In pratica, una PMI poteva assicurare tramite SACE le proprie fatture commerciali e ottenere anticipi in banca a tassi agevolati. Nel 2020 le commissioni SACE erano azzerate per favorirne l’utilizzo. Al 2022 la Garanzia Italia è terminata per nuove emissioni, ma resta il fatto che oltre 3.000 imprese l’hanno utilizzata, contribuendo a stabilizzare settori chiave. Attualmente SACE continua ad operare come garante sui fronti tradizionali (export, garanzie “green” su progetti di transizione ecologica, ecc.), ambiti che esulano dalla crisi d’impresa ma possono comunque agevolare l’accesso al credito (es. Green New Deal: SACE garantisce prestiti a progetti verdi al 80%).
  • Contributi in conto interessi sui finanziamenti: lo Stato spesso interviene aiutando le imprese a ridurre il costo dei finanziamenti ottenuti, tramite contributi a fondo perduto destinati a coprire in tutto o in parte gli interessi dovuti alla banca. Il caso classico è la già citata Nuova Sabatini: l’impresa ottiene un finanziamento bancario per acquistare beni strumentali e il MiMIT le rimborsa in conto capitale una somma pari agli interessi calcolati su 5 anni a un tasso prestabilito (2,75% annuo per investimenti ordinari, 3,575% per investimenti 4.0). Di fatto, questo contributo copre circa il 10% del valore del bene (e circa il 20% per le imprese del Sud, grazie a una maggiorazione). Esempio: Zeta S.r.l. acquista un macchinario da €100.000 con finanziamento Sabatini 5 anni; riceverà circa €10.000 di contributo dal Ministero (se nel Mezzogiorno circa €20.000). Pur essendo un incentivo all’investimento più che al risanamento, la Sabatini libera l’impresa dall’onere di pagare quegli interessi, riducendo il peso del debito bancario contratto per investire. La Legge di Bilancio 2025 ha rifinanziato la Sabatini con ulteriori €400 milioni e introdotto la prenotazione telematica dei fondi (per gestire la forte domanda). Altre misure simili: contributi statali su interessi dei finanziamenti alle startup innovative, o sui prestiti agrari per giovani agricoltori (gestiti da Ismea), ecc. Nel 2022 era stata prevista anche la possibilità di rinegoziazione mutui con garanzia statale per i settori agricoltura e pesca, come detto sopra, e si è ipotizzato di estenderla ad altri settori colpiti dalla crisi energetica.
  • Misure per crediti verso la Pubblica Amministrazione: Un’impresa che vanti crediti commerciali verso Enti pubblici (forniture, appalti non pagati) può soffrire di tensione finanziaria. Per alleviare questo problema, il legislatore ha previsto vari strumenti: la possibilità di compensare tali crediti con debiti fiscali mediante certificazione su piattaforma MEF; oppure di chiedere in banca anticipazioni sui crediti certificati, con garanzia di un apposito Fondo di garanzia per i crediti commerciali PA (previsto dalla L. 145/2018 art.1 c.867). Dal 2021 questo Fondo copre le banche che anticipano crediti PA alle imprese e sanziona gli enti ritardatari, con l’obiettivo di ridurre i tempi di pagamento della PA. Inoltre, alcuni interventi di finanza agevolata locale hanno previsto contributi compensativi per imprese creditrici della PA: es. in alcuni Comuni, dopo la pandemia, sono stati concessi crediti d’imposta locali o riduzioni TARI alle imprese che attendevano da tempo pagamenti dal medesimo ente. Queste misure migliorano la liquidità e riducono l’indebitamento netto delle PMI fornitrici della PA, pur non essendo “aiuti” nel senso classico.

Simulazione pratica – Gestione di debito bancario con supporto pubblico: La società Sigma S.r.l. ha un mutuo bancario residuo di €500.000 con rata mensile €10.000. Inoltre, utilizza un fido di cassa da €100.000 (scoperto al 90%) e ha leasing per macchinari con rate mensili, per un totale di uscite debitorie ~€12.000/mese. Nel 2022, a causa di un calo di fatturato, Sigma fatica a sostenere questo servizio del debito. Ecco come ha potuto operare:

  • 2020-2021: Sigma ha attivato la moratoria Covid sul mutuo, sospendendo per 12 mesi la quota capitale delle rate: per un anno ha pagato solo gli interessi (circa €1.000/mese) risparmiando €9.000/mese di esborso. Ha anche aderito alla moratoria ABI sul leasing, congelando 6 mesi di canoni. Nel frattempo, ha richiesto un prestito bancario di €200.000 garantito al 90% dallo Stato (Fondo PMI) per liquidità aggiuntiva, ottenendolo in poche settimane a tasso 1.5% con durata 6 anni (2 anni di preammortamento). Con questi €200.000, Sigma ha ridotto l’utilizzo del fido (abbattendo onerosi interessi passivi) e pagato fornitori arretrati strategici.
  • Rinegoziazione: grazie alla garanzia pubblica sul nuovo prestito e al miglioramento temporaneo della cassa, Sigma ha avviato un dialogo costruttivo con la banca per ristrutturare il mutuo esistente. La banca ha accettato di allungare la durata residua del mutuo da 5 a 8 anni, riducendo la rata da €10.000 a ~€6.500 mensili.
  • 2024: a fine moratoria, Sigma ha ripreso a pagare le rate mutuo (ora ridotte) e sta rimborsando il prestito statale (€3.000/mese circa). Il costo totale del debito è ora ~€9.500/mese, inferiore al pre-crisi (€12.000). Senza la moratoria e la garanzia pubblica, quasi certamente Sigma sarebbe stata classificata “in sofferenza” e trascinata all’insolvenza; invece, sta onorando gli impegni e lavora per consolidare la ripresa.
  • Ulteriore supporto: se Sigma nel frattempo avesse deciso di investire in nuovi macchinari per rilanciarsi, avrebbe potuto sfruttare la Nuova Sabatini e il credito d’imposta 4.0: ad esempio acquistando nel 2023 un macchinario da €100.000 con finanziamento Sabatini 5 anni, avrebbe ottenuto ~€10.000 di contributo dal MIMIT (erogato in un’unica soluzione) e maturato un credito d’imposta 4.0 del 20% (€20.000). Complessivamente, avrebbe recuperato €30.000 (30% dell’investimento) tra contributo e credito fiscale, riducendo l’importo effettivo da restituire alla banca. Questi risparmi indiretti sono vitali per un’impresa indebitata, perché consentono di migliorare l’efficienza senza aggravare troppo l’indebitamento netto.

4. Contributi a fondo perduto per nuovi progetti e investimenti (bandi nazionali e PNRR)

Una componente fondamentale della finanza agevolata sono i contributi a fondo perduto erogati alle imprese per sostenerne progetti di investimento, innovazione, internazionalizzazione, ecc. Sebbene non siano concepiti specificamente per ripianare debiti pregressi, per un’azienda in tensione finanziaria ottenere un contributo a fondo perduto può rappresentare una boccata d’ossigeno immediata, perché fornisce capitale senza obbligo di rimborso migliorando il patrimonio netto e la liquidità. Nel 2025 è molto ricca l’offerta di contributi strutturali, alimentata sia da fondi nazionali (leggi di bilancio) sia dai programmi europei (in particolare il PNRR e i fondi strutturali FESR/FSE+). Possiamo distinguere due categorie principali:

  • Aiuti “emergenziali” a fondo perduto: destinati a compensare perdite o situazioni eccezionali. Come detto, i grandi ristori Covid 2020-21 si sono conclusi e non sono più in vigore generalizzati nel 2025. Tuttavia il Governo attiva di tanto in tanto contributi una tantum per settori ancora in sofferenza: ad esempio, nel 2023 è stato rinnovato un piccolo fondo per discoteche e sale da ballo (chiuse più a lungo), e dopo l’alluvione in Emilia-Romagna nel maggio 2023 sono stati stanziati contributi straordinari per le imprese alluvionate (fino al 100% delle spese di ripristino dei locali, in deroga alle regole ordinarie). Questi aiuti speciali operano spesso su autorizzazione UE di tipo temporaneo (es. Temporary Crisis Framework per calamità naturali o crisi Ucraina).
  • Incentivi “strutturali” a fondo perduto: sono contributi per sostenere investimenti o spese future (non risarcire danni passati) e costituiscono la gran parte delle misure nel 2025. Esempi notevoli: bandi ministeriali del MiMIT spesso cofinanziati dal PNRR o dal Fondo sviluppo e coesione, bandi Invitalia, misure per il Sud, ecc. Eccone alcuni attivi:
    • Bandi PNRR e ministeriali: il MiMIT tiene aggiornata una lista online di incentivi (portale Incentivi.gov.it) destinati a PMI e startup, molti dei quali includono una quota di fondo perduto. Ad esempio: “Smart&Start Italia” (sostegno alle startup innovative) che eroga finanziamenti a tasso zero con un 30% a fondo perduto per progetti fino a €1,5 mln; il Fondo Economia Circolare (contributi fino al 40% per progetti “green” e di riciclo); il bando “Innovazione digitale nelle filiere” (contributi per progetti 4.0 in filiere tradizionali). Ci sono poi misure miste come FRI-Tur e i Contratti di Sviluppo (citati in settori: nel contratto di sviluppo per progetti al Sud, ad esempio, è frequente una componente 30-50% a fondo perduto accanto al finanziamento agevolato). La Legge di Bilancio 2025 ha stanziato ulteriori €400 milioni per contributi diretti a progetti di investimento ad elevato impatto tecnologico delle PMI, oltre a rifinanziare con €600 mln il “Fondo IPCEI” per coinvolgere imprese italiane in Progetti di Comune Interesse Europeo (batterie, microchip, etc.), dove le sovvenzioni pubbliche sono ammesse in deroga data la valenza strategica.
    • Incentivi per il Mezzogiorno: l’Italia storicamente riserva particolari agevolazioni alle regioni del Sud. Oltre ai crediti d’imposta (che tratteremo nella sezione successiva), ci sono misure come “Resto al Sud” (gestita da Invitalia), che dal 2018 aiuta giovani imprenditori meridionali ad avviare attività con un mix di 50% contributo a fondo perduto e 50% prestito a tasso zero fino a €200.000 (importi maggiori per attività turistiche). Nel 2025 Resto al Sud è ancora attivo e molto richiesto, con ampliamento dell’età massima a 56 anni grazie al PNRR. Un’altra novità è la creazione della ZES Unica Sud (Zona Economica Speciale unica per il Meridione): la L. 197/2023 ha unificato le ZES e introdotto, accanto ai crediti d’imposta ZES, nuovi bandi con contributi per infrastrutture e investimenti produttivi nelle aree industriali ZES. Spesso, inoltre, le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione e dei programmi europei vengono destinate a bandi per il Sud con intensità di aiuto maggiorate rispetto al Centro-Nord. Esempio: il bando “Macchinari Innovativi” (PON Imprese) nel 2022 ha concesso contributi 75% alle PMI manifatturiere del Sud per acquisto di macchinari 4.0, contro aliquote inferiori per il resto d’Italia.
    • Contributi regionali: come vedremo meglio nella sezione dedicata alle Regioni, ciascuna Regione pubblica regolarmente bandi a fondo perduto per vari scopi: innovazione, internazionalizzazione, efficientamento energetico, digitalizzazione, consulenze specialistiche, ecc. In genere la copertura è parziale (30-70% del costo del progetto) e quasi mai al 100%, per mantenere l’incentivo all’investimento da parte dell’impresa. Questi bandi sono spesso a sportello (cioè fino ad esaurimento risorse, con click-day) oppure a graduatoria (con valutazione del progetto). È quindi fondamentale monitorare i siti regionali e agire rapidamente quando si aprono le finestre, specie per bandi a sportello. Molti bandi regionali 2021-2027 sono alimentati da fondi FESR e FSE+, e coerenti con le priorità UE (digitale, verde, inclusione).

Requisiti di accesso e condizioni: ogni bando di contributo fissa requisiti precisi (dimensione impresa, settori ammessi, spese ammissibili) e criteri di selezione. In linea di massima, anche un’azienda temporaneamente in crisi può partecipare, purché non sia in stato di fallimento o liquidazione al momento della domanda. Alcuni bandi però escludono le “imprese in difficoltà” ai sensi UE – definizione tecnica che include l’insolvenza conclamata o il patrimonio netto negativo – per ottemperare alle regole sugli aiuti di Stato. È importante quindi che l’imprenditore verifichi la propria posizione patrimoniale: ad esempio, se la società ha perdite che hanno eroso oltre metà del capitale sociale, potrebbe essere formalmente “impresa in difficoltà” (art. 2(18) Reg. 651/2014) e non poter ricevere nuovi aiuti finché non ricostituisce il capitale. Tale limite serve ad evitare di sovvenzionare aziende decotte in concorrenza sleale, secondo la logica UE. Durante la pandemia 2020-21, peraltro, questo vincolo fu sospeso: il Temporary Framework Covid consentì aiuti anche a imprese che erano in difficoltà al 31/12/2019, e analogamente il Temporary Crisis Framework 2022 per la crisi Ucraina ha permesso aiuti su costi energetici anche ad aziende in perdita. Al 2025 però si è tornati alle regole ordinarie (salvo misure specifiche in deroga).

Dal lato procedurale, la presentazione della domanda di contributo avviene di solito tramite piattaforme online dedicate (il portale Invitalia per misure nazionali, i portali regionali per i bandi locali). Serve predisporre un progetto dettagliato o business plan, con preventivi di spesa, relazione tecnica e documenti amministrativi. Se il bando è a graduatoria, sarà fondamentale la qualità del progetto per ottenere punteggi alti; se è a sportello, conta la rapidità di invio (in alcuni casi, si registrano domande esaurite in pochi minuti dal click-day). Una volta ammessa la domanda, l’impresa tipicamente riceve il contributo a saldo – cioè dopo aver realizzato l’investimento e pagato le spese – dietro presentazione della rendicontazione. Talvolta è prevista un’anticipazione parziale (20-40%) dietro fideiussione. È essenziale poi mantenere i vincoli imposti dal bando: ad es. non dismettere i beni acquistati per almeno 3-5 anni, non delocalizzare l’attività produttiva, mantenere un certo livello occupazionale se richiesto, etc., pena la revoca totale o parziale del contributo. La revoca di un contributo è un rischio concreto se le condizioni non vengono rispettate: la Corte dei Conti, ad esempio, con sent. n. 407/2020 ha confermato la revoca di un contributo e la responsabilità per danno erariale dell’impresa che aveva violato i vincoli di destinazione. Dunque, ottenere un fondo perduto è un’ottima opportunità ma comporta anche impegni da rispettare nel tempo.

In conclusione, i contributi a fondo perduto sono uno strumento potentissimo per rilanciare investimenti e migliorare la posizione finanziaria di un’impresa in crisi, ma non sono immediati né illimitati: richiedono progettualità, competenza nella preparazione delle domande e tempo (possono passare mesi dall’istanza all’erogazione). Per esigenze di cassa immediate, come visto, entrano in gioco altri strumenti (es. garanzie sui prestiti o moratorie). L’ideale è combinare gli strumenti: ad esempio, usare un finanziamento bancario garantito per tamponare la liquidità nell’immediato e parallelamente ottenere un contributo a fondo perduto per un progetto di innovazione, così da gettare le basi per la ripresa futura.

5. Crediti d’imposta e incentivi fiscali per investimenti e liquidità

I crediti d’imposta (o bonus fiscali) sono un altro pilastro della finanza agevolata. Si tratta di benefici che consentono all’impresa di maturare un credito verso l’Erario, utilizzabile in compensazione di imposte e contributi dovuti, oppure in certi casi rimborsabile o cedibile a terzi. In sostanza è come se lo Stato rilasciasse all’azienda un “buono fiscale” che riduce i suoi esborsi futuri per tasse. Per un’azienda in difficoltà, i crediti d’imposta migliorano la liquidità in modo indiretto (pagherà meno tasse nei periodi successivi) e incentivano a compiere spese o attività che altrimenti sarebbero onerose. Nel 2025 i crediti d’imposta rilevanti per le PMI si concentrano in alcune aree chiave:

  • Investimenti e Innovazione (“Transizione 4.0”): il Piano Transizione 4.0 prevede diversi crediti d’imposta, prorogati con aliquote decrescenti. Ad esempio, per l’acquisto di beni strumentali industria 4.0 (macchinari interconnessi, sistemi digitali) il credito d’imposta è del 20% del costo nel 2023-2025. Se una PMI nel 2025 acquista una macchina utensile CNC da €100.000, può maturare €20.000 di credito d’imposta da utilizzare in 3 quote annuali di €6.667. Ciò equivale a recuperare un quinto del costo. Per la Ricerca & Sviluppo, vi era un credito d’imposta al 20% fino al 2022, poi ridotto al 10% (fino al 2023; il Governo valuta proroghe per 2024-25). Similmente, il credito Innovazione tecnologica è al 10% (15% se legata a transizione ecologica o digitale), e il credito Formazione 4.0 consente di recuperare dal 30% al 50% del costo del personale impegnato in corsi su tecnologie avanzate. Tutti questi crediti sono cumulabili (entro certi massimali e senza superare il costo) e rappresentano opportunità importanti: un’impresa indebitata che, nonostante la crisi, investe per innovare, può ridurre notevolmente il costo effettivo grazie a questi bonus, migliorando al contempo la propria efficienza futura.
  • Mezzogiorno e ZES: per stimolare l’economia del Sud, fino al 2023 era in vigore il Credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno (L. 208/2015 e successive mod.) che consentiva alle imprese in regioni del Sud di recuperare dal 25% al 45% (a seconda dimensione) del costo di macchinari e impianti nuovi acquistati. Era atteso un rinnovo nella legge di Bilancio 2025, che tuttavia non è arrivato in forma esplicita; in alternativa, con il decreto di attuazione della ZES Unica Sud, sono stati stanziati €2,2 mld per crediti d’imposta ZES nel biennio 2024-25, con tetto €100 mln per impresa. In pratica, nel 2025 le imprese nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna, Abruzzo possono usufruire di un credito d’imposta ZES sugli investimenti realizzati nelle zone ZES, presentando apposita comunicazione all’Agenzia Entrate. Vi è inoltre il bonus occupazione Sud (decontribuzione Sud): fino al 2029 tutte le imprese del Sud beneficiano di uno sgravio del 30% dei contributi previdenziali per i dipendenti, misura finanziata dall’UE per ridurre il gap occupazionale. Per l’impresa, questo vale come un “credito” che riduce i versamenti mensili INPS.
  • Energia e Carburanti: durante il 2022 la fiammata dei prezzi energetici ha portato all’introduzione di crediti d’imposta emergenziali su energia elettrica e gas per imprese energivore/non energivore e gasivore. Tali crediti (dal 15% al 45% delle spese per energia in certi trimestri 2022) sono terminati a fine primo trimestre 2023. Al 2025 non sono più attivi generalizzati. Restano però crediti d’imposta settoriali: ad esempio, il credito d’imposta autotrasportatori per l’acquisto di gasolio (che rimborsa una quota delle accise) è strutturale e rifinanziato annualmente. Nel 2023 è stato istituito un credito d’imposta per l’acquisto di GNL (gas naturale liquefatto) a favore delle imprese energivore non allacciate alla rete (es. industrie alimentari in zone remote) per compensare l’elevato costo. Se nel 2024-25 i prezzi dei carburanti dovessero impennarsi nuovamente, il governo potrebbe attivare nuovi crediti emergenziali (cosa avvenuta in passato con i vari DL “Aiuti”). Da segnalare che molte Regioni replicano su scala locale bonus analoghi: es. la Regione Veneto ha bandi per contributi a fondo perduto su diagnosi energetiche e progetti di efficientamento, che non sono crediti fiscali ma riducono i costi futuri di energia.
  • Digitalizzazione, Fiere e altri bonus settoriali: nel post-Covid erano stati introdotti crediti d’imposta mirati per favorire la ripartenza di determinati ambiti. Ad esempio, il credito d’imposta canoni di locazione per le imprese dei settori con calo di fatturato (ospitalità, retail) nel 2020-21; oppure il credito d’imposta fiere internazionali (pari al 50% delle spese di partecipazione a fiere estere, fino a €10.000), rifinanziato a fasi alterne fino al 2022. Nel 2025, questi bonus non risultano attivi a livello nazionale, salvo eventuali rifinanziamenti in decreti di fine anno. Tuttavia, alcune Regioni li hanno replicati localmente: ad esempio, nel 2023 la Regione Lombardia ha stanziato un bonus fiere per le PMI del territorio che espongono a fiere internazionali, con contributo a fondo perduto (non credito d’imposta, ma simile effetto) fino a €15.000 per azienda. Altri crediti degni di nota: per l’editoria (bonus per edicole e testate editoriali che investono in digitalizzazione, rifinanziati fino al 2022), per il settore tessile/moda (bonus per rimanenze di magazzino introdotto nel 2020 e ripetuto nel 2021, ormai concluso).
  • Industria culturale e creativa: già menzionati sopra i tax credit cinema e musica, si aggiungono il bonus librerie (credito d’imposta annuo per librerie indipendenti calcolato su affitto e altre spese) e i crediti d’imposta per le fondazioni bancarie che sostengono progetti culturali (Art Bonus). Questi sono strumenti di nicchia, ma per completezza vale citarli.

Utilizzo pratico dei crediti d’imposta: generalmente, l’impresa prima effettua la spesa agevolata (es. acquista il macchinario), poi comunica in dichiarazione o tramite istanze apposite il calcolo del credito e può compensarlo nel modello F24 per ridurre pagamenti di IVA, contributi, ritenute, ecc. In alcuni casi (crediti PNRR SIMEST, superbonus edilizi – non per PMI) il credito è cedibile a banche. Per i crediti 4.0, la compensazione è in quote annuali costanti a partire dall’anno successivo (salvo modifiche future). Bisogna monitorare il Registro Nazionale Aiuti: i crediti d’imposta qualificabili come aiuti di Stato devono rispettare i massimali (es. de minimis €200k, ora €300k dal 2024). Un’azienda che ha ricevuto molti aiuti potrebbe aver quasi esaurito il plafond de minimis e deve tenerne conto prima di cumulare ulteriori crediti. L’Agenzia delle Entrate ha poteri di controllo e negli ultimi anni ha richiesto la restituzione di alcuni crediti fruiti indebitamente (ad es. casi di bonus Sud su beni non nuovi, o crediti R&S su spese non eleggibili). È quindi importante documentare e, se opportuno, farsi assistere da un revisore per certificare le spese 4.0 (la normativa richiede per crediti >€300k una certificazione contabile).

In sintesi, i bonus fiscali riducono l’outflow di cassa destinato al fisco, liberando risorse per pagare altri debiti o investire. Una PMI in crisi dovrebbe sfruttarli per quanto possibile, ovviamente compatibilmente con la capacità di investire. Spesso l’utilizzo dei crediti d’imposta è vincolato alla regolarità fiscale: va segnalato che l’art. 11-ter D.L. 34/2019 prevede che un’azienda con debiti erariali in riscossione > €5.000 non possa compensare crediti d’imposta (scatta il blocco F24) se non ha prima presentato richiesta di rateizzazione. Durante il Covid, fu introdotta una deroga per i contributi a fondo perduto (non soggetti a compensazione con cartelle). Ma in generale, i crediti d’imposta utilizzati in F24 possono essere compensati d’ufficio dal Fisco con eventuali cartelle esattoriali in essere superiori a €5.000: pertanto, un’impresa con debiti fiscali non definiti, se tenta di utilizzare un credito, potrebbe vederselo trattenere a fronte del debito (ciò vale per crediti “ordinari”, non per i contributi erogati via bonifico). Questo induce chi ha cartelle pendenti a rateizzarle o rottamarle per poter godere appieno dei crediti.

6. Altre misure di tutela per crediti commerciali e filiere (Fondo vittime mancati pagamenti)

Infine, esaminiamo un particolare tipo di sostegno: non per l’impresa debitrice, ma per l’impresa creditrice rimasta vittima di insoluti. Quando una PMI vanta crediti commerciali non pagati da altre aziende (ad es. un proprio cliente fallisce lasciando fatture insolute), non esiste un contributo statale automatico che compensi tali perdite. Tuttavia, in casi specifici di insolvenze dovute a reati o crisi di filiera, sono stati introdotti strumenti di supporto:

  • Fondo PMI Vittime di Mancati Pagamenti: istituito dalla L. 208/2015 (Stabilità 2016, art.1 c.199) e operativo dal 2017, gestito dal MiMIT, offre finanziamenti agevolati a tasso zero a PMI e professionisti che siano vittime di mancati pagamenti da parte di debitori imputati per reati come truffa, bancarotta fraudolenta, insolvenza fraudolenta, false comunicazioni sociali, ecc.. In pratica, se l’impresa creditrice sporge denuncia e il debitore viene rinviato a giudizio per uno di questi reati (commessi ai danni della creditrice), la PMI può presentare domanda al Fondo. Requisiti principali: i crediti insoluti per tali fatti devono costituire almeno il 20% dei crediti totali verso clienti; inoltre l’impresa richiedente non deve essere essa stessa in procedura concorsuale (se è in concordato con continuità può essere ammessa, ma non se fallita). L’agevolazione consiste in un prestito a tasso zero di importo non superiore ai crediti vantati verso il debitore autore del reato, fino a un massimo di €500.000, da restituire in 10 anni (spesso con qualche anno di preammortamento). Esempio: Alpha S.r.l. (PMI edile) ha €200.000 di lavori effettuati e non pagati dalla Beta S.r.l., il cui titolare è stato accusato di bancarotta fraudolenta. Alpha sporge denuncia, Beta viene rinviata a giudizio; Alpha fa domanda al Fondo: dopo istruttoria, ottiene un finanziamento agevolato di €200.000 a tasso zero, rimborsabile in 7 anni, che usa per colmare il buco di liquidità lasciato dal default di Beta. Se Beta un domani verrà condannata e Alpha recupererà qualcosa in sede fallimentare, userà quelle somme per restituire il finanziamento. Normativa attuativa: DM Mise 17 ottobre 2016 (GU 290/2016) e aperture di sportello successive (es. bando 2023 aperto dal 17/10 al 31/12/2023). Tecnicamente è un prestito, ma lo consideriamo qui perché supplisce a una mancanza di liquidità causata da altri, con condizioni di estremo favore (0% interesse, quando un fido bancario costerebbe 7-8%). Inoltre, qualora l’impresa finanziata non riuscisse a restituire (e il debitore colpevole risultasse nullatenente), di fatto l’aiuto si tramuta in parte in contributo a fondo perduto. Il Fondo ha anche una sezione per imprese coinvolte in crisi di filiere importanti a causa di condotte illecite di altre: es. nella crisi ex-ILVA o Mercatone Uno, i fornitori colpiti hanno potuto ottenere finanziamenti garantiti o agevolati su intervento di questo Fondo (spesso in sinergia con Fondo di Garanzia PMI). Giurisprudenza: in caso di rigetto della domanda al Fondo, l’impresa può presentare ricorso al TAR competente. Non risultano pronunce pubbliche di rilievo – segno che il Fondo ha operato su criteri oggettivi – ma la ratio della legge è stata confermata: aiutare chi ha subito un danno da reato economico.
  • Tutela fornitori in amministrazione straordinaria: il D.L. 34/2019 (Decreto Crescita) all’art. 37 ha previsto che le imprese sub-fornitrici di aziende entrate in Amministrazione Straordinaria (grandi insolvenze, es. Alitalia, ILVA) possano accedere al Fondo di Garanzia PMI con corsia preferenziale. Ciò per ottenere nuovi finanziamenti bancari garantiti dallo Stato e superare l’impasse dei crediti bloccati nella procedura concorsuale di A.S. Ad esempio, i fornitori dell’ILVA in AS o dell’Alitalia in AS hanno potuto beneficiare di questa misura: invece di aspettare anni per (forse) vedere pagate le loro fatture in A.S., hanno ottenuto liquidità immediata dal sistema bancario, grazie alla garanzia pubblica, da restituire poi con calma. Questo strumento, non molto noto, ha mitigato effetti di insolvenze eccellenti sulle PMI dell’indotto. Similmente, in alcuni grandi concordati preventivi, sono stati varati protocolli per sostenere i subfornitori (spesso regioni e banche locali attivano plafond dedicati).
  • Procedure concorsuali – tutela dei fornitori durante il concordato: quando una grande impresa si salva tramite un concordato preventivo in continuità o un accordo di ristrutturazione, spesso i piccoli fornitori subiscono decurtazioni dei loro crediti (ad es. ricevono il 30% a saldo, perdendo il 70%). Pur non essendoci contributi pubblici a coprire la differenza, il legislatore negli ultimi anni ha migliorato la posizione dei fornitori che continuano a lavorare durante la procedura: se accettano di fornire beni/servizi durante un concordato in continuità autorizzato, i nuovi crediti sorti in costanza di concordato sono prededucibili (hanno priorità di pagamento) e dunque vengono pagati integralmente in prededuzione. Inoltre, grazie a modifiche normative (DL 125/2020) e a interpretazioni della Cassazione, oggi una volta omologato il concordato o l’accordo di ristrutturazione, la perdita subita dal fornitore sui crediti anteriori (es. quel 70% non incassato) è immediatamente deducibile fiscalmente come perdita su crediti, senza dover attendere la chiusura formale del fallimento (che in passato era necessaria). Questa deducibilità immediata è un vantaggio fiscale che attenua in parte il danno economico. Ad esempio, un fornitore con €100.000 di credito che ne incassa 30.000 nel concordato, potrà dedurre 70.000 come perdita nell’esercizio di omologa, risparmiando ~€19.000 di imposte (27% IRES) se in utile.
  • Contributi pubblici per crediti verso la PA: come accennato sopra, se un’impresa fornitrice della PA aspetta a lungo pagamenti, alcuni enti locali hanno previsto contributi compensativi. Ad esempio, durante la pandemia, molti Comuni hanno ridotto la TARI (tassa rifiuti) alle attività commerciali costrette a chiudere; oppure, come citato, hanno concesso crediti d’imposta locali alle imprese che attendevano incassi pubblici. Queste sono misure sporadiche, a discrezione dell’ente territoriale.

In definitiva, per i debiti commerciali (cioè i crediti vantati dalle imprese fornitrici), lo Stato interviene in modo circoscritto: l’idea di fondo è che non possa farsi carico di tutti i fallimenti privati, ma interviene dove c’è condotta illecita (truffe, bancarotte fraudolente) o un impatto sistemico (grandi insolvenze di rilevanza pubblica). Dal lato opposto, per un’impresa che deve soldi ai fornitori, non esistono contributi specifici per pagarli (salvo i casi di filiere in crisi dove magari l’aiuto va indirettamente a beneficiarne), ma tutte le misure viste – finanziamenti garantiti, moratorie, contributi per investimenti, condoni – mettono più liquidità a disposizione dell’impresa, che così può onorare anche i debiti commerciali e ristabilire la fiducia coi fornitori.

Misure regionali e locali a sostegno delle imprese in crisi

Accanto agli strumenti nazionali, molte Regioni italiane hanno introdotto proprie iniziative di sostegno finanziario alle imprese in difficoltà, spesso cofinanziate con fondi europei (es. programmi FESR) o con risorse regionali. Queste misure assumono forme diverse: bandi a fondo perduto per esigenze specifiche (ad esempio per la ristrutturazione aziendale, per servizi di consulenza nel risanamento, per il salvataggio di aziende in crisi sul territorio) oppure fondi di rotazione che concedono prestiti a tassi agevolati alle PMI locali. È fondamentale che imprenditori e consulenti verifichino le opportunità offerte dalla propria Regione, poiché variano notevolmente da zona a zona e sono in continuo aggiornamento.

Ecco alcune tipologie di interventi regionali degni di nota (con esempi aggiornati al 2025):

  • Contributi per piani di risanamento e composizione negoziata: Diverse Regioni hanno attivato misure per supportare economicamente le PMI che intraprendono percorsi di risanamento previsti dal Codice della Crisi. Un esempio all’avanguardia è la Regione Lombardia con il bando “Re-Impresa” (attivo e rifinanziato nel 2025). Questo strumento sostiene le imprese lombarde che abbiano avviato o concluso positivamente una Composizione Negoziata, un accordo di ristrutturazione o un concordato in continuità omologati. L’agevolazione concessa è duplice:
    • un finanziamento a medio termine (erogato dalla finanziaria regionale Finlombarda, con garanzia regionale gratuita) per sostenere gli investimenti di rilancio e il capitale circolante post-crisi;
    • un contributo a fondo perduto per coprire le spese di consulenza e i costi dell’esperto indipendente della composizione negoziata. In pratica, la Regione rimborsa fino al 50% di tali costi, entro un massimale prefissato (es. fino a €60.000 per impresa, coprendo il 100% delle spese ammissibili entro quel tetto).
    Esempio concreto: Alfa S.r.l. (con sede in Lombardia) nel 2024 ha concluso con successo una composizione negoziata evitando il fallimento. Ha sostenuto €80.000 di costi tra la parcella dell’esperto nominato e consulenti finanziari per predisporre il piano. Con il bando “Re-Impresa”, Alfa ottiene dalla Regione un contributo a fondo perduto di €40.000 (pari al 50% delle spese) a rimborso di tali costi. Inoltre, Alfa presenta un progetto di investimenti per €500.000 (nuovi macchinari per il rilancio produttivo): tramite Finlombarda riceve un finanziamento agevolato di €500.000, garantito dalla Regione, da restituire in 7 anni al tasso fisso 0,5%. Questo pacchetto integrato consente ad Alfa di ripartire dopo la crisi con supporto sia sul fronte dei costi “morti” (consulenze) sia sul fronte degli investimenti per la ripresa. La logica di questi bandi regionali è di incentivare le imprese ad utilizzare gli strumenti di composizione della crisi (spesso poco noti alle PMI) abbattendone i costi e premiando chi riesce a salvare l’azienda e l’occupazione. Normativa di riferimento (Lombardia): DGR n. XI/5480 del 2021 ha istituito Re-Impresa, rifinanziato poi con DGR 4302/2025.
  • Fondi di salvataggio regionali: alcune Regioni hanno istituito propri fondi per interventi diretti in aziende in crisi che non rientrano nei parametri dei fondi nazionali. Ad esempio, il Piemonte con il Fondo Rilancio e Sviluppo (istituito nel 2022) interviene con prestiti partecipativi o ingressi temporanei nel capitale di aziende piemontesi in temporanea crisi ma con piani di sviluppo credibili. Opera in sinergia con Finpiemonte (finanziaria regionale) e può anche erogare piccole quote a fondo perduto per spese di due diligence. Un caso applicativo: il salvataggio di alcune imprese della filiera automotive piemontese in crisi di liquidità – la Regione è entrata con equity temporanea per garantire la realizzazione di nuove commesse auto, con l’impegno ad uscire una volta avvenuto il risanamento.
  • Bandi per acquisizione di aziende in crisi (reindustrializzazione): Sempre il Piemonte ha lanciato un bando “Interventi integrati per l’acquisizione di aziende in crisi” (DGR 9-2916/2021) che concede contributi a fondo perduto e garanzie alle imprese sane che intendono rilevare rami d’azienda o impianti produttivi dismessi in regione. L’obiettivo è favorire la continuità di imprese tramite un passaggio di mano, fornendo un supporto a chi investe in una realtà in difficoltà. Ad esempio, l’acquirente di un impianto industriale chiuso può ottenere un contributo fino a €2 milioni per adeguare l’impianto e riassumere il personale. Questi aiuti comportano spesso obblighi occupazionali (mantenimento di X lavoratori per Y anni). In Toscana esistevano misure simili per reindustrializzare distretti in crisi (es. Bando reindustrializzazione area Livorno).
  • Contributi emergenziali locali: Quando vi sono crisi settoriali acute a livello locale, alcune Regioni hanno stanziato bonus ad hoc. Ad esempio, la Toscana nel 2021-2022 ha destinato fondi al settore moda (pelletteria, calzature) colpito dalla crisi, creando un “Fondo emergenza moda” con contributi a fondo perduto per sostenere la liquidità delle aziende di quel comparto (es. per pagare fornitori o riavviare produzioni). La logica è simile ai ristori Covid ma su base settoriale regionale. Anche la Regione Marche, dopo il sisma 2016, attivò contributi speciali per le PMI del comparto turistico locale.
  • Microcredito e aiuti a imprese confiscate: alcune Regioni hanno bandi mirati per imprese con difficoltà di accesso al credito o con situazioni particolari. Ad esempio, Sicilia e Campania hanno attivi fondi di microcredito che erogano prestiti a tasso zero fino a €50.000 alle microimprese non bancabili, spesso affiancati da un piccolo contributo a fondo perduto. Il MiMIT stesso cofinanzia un “Fondo imprese confiscate” per sostenere le aziende sequestrate alla criminalità organizzata: la Regione Sicilia nel 2022 ha lanciato un avviso che prevedeva prestiti a tasso zero fino a €2 milioni e una quota fondo perduto del 20% per rilanciarle. Sono misure di nicchia ma socialmente importanti.
  • Sostegno post-calamità: in caso di calamità naturali (terremoti, alluvioni) sia lo Stato che le Regioni attivano contributi a fondo perduto per le imprese colpite, spesso senza guardare allo stato di crisi pregresso (perché l’evento calamitoso è considerato esterno). Ad esempio, dopo il sisma del Centro Italia 2016 e quello dell’Emilia 2012, furono erogati contributi per la ricostruzione con copertura fino al 100% delle spese ammissibili per le imprese danneggiate. Queste misure straordinarie sono fuori dall’ambito ordinario del debito, ma giovano alle imprese colpite permettendo loro di risollevarsi senza aggravare la posizione debitoria per finanziare la ripartenza.

Fonti di finanziamento regionali: molte delle iniziative citate sono finanziate tramite i Programmi Operativi Regionali (POR) del FESR 2014-2020 (residui) e 2021-2027. Ad esempio, Re-Impresa Lombardia è cofinanziata dal PR FESR Lombardia; i bandi Piemonte menzionati rientrano nel PR FESR Piemonte; i contributi Toscana emergenza moda hanno attinto a fondi regionali straordinari post-Covid. Ciò significa che sono misure con finestre temporali ben definite e dotazioni limitate. Bisogna monitorare i portali regionali (sezione bandi attivi) per non perdere le finestre. Sul fronte normativo UE, la maggior parte di questi aiuti regionali rientra nei regolamenti di esenzione o nel regime de minimis: ad esempio, contributi 40% per macchinari di solito operano in regime de minimis (ora elevato a €300k su 3 anni); mentre un grosso aiuto per salvare un’azienda può richiedere notifica e autorizzazione della Commissione (poche Regioni intraprendono notifica per aiuti individuali, di solito preferiscono inquadrare tutto in regimi approvati generali). Anche per questo i contributi regionali hanno massimali e percentuali: per stare entro soglie GBER o de minimis ed evitare lungaggini autorizzative.

Esempio riepilogativo regionale – Caso Lombardia: Tra il 2022 e il 2025 la Regione Lombardia ha messo in campo un ecosistema di aiuti multilivello per imprese in crisi:

  • il bando Re-Impresa (già citato) per aziende che affrontano una crisi con strumenti di risanamento;
  • un bando “Safe Working” nel 2021 che offriva contributi per la ripartenza in sicurezza post-Covid (es. riorganizzazione spazi, acquisto DPI);
  • un fondo Lombardia per la moda (in parallelo a Toscana) per PMI della moda in sofferenza;
  • i classici contributi a investimenti (digitalizzazione, efficienza energetica) che comunque migliorano la solidità aziendale.

Questo mix ha fornito un sistema integrato di aiuti. Di contro, regioni con meno risorse hanno potuto offrire meno, limitandosi a implementare le misure nazionali o pochi bandi minori. Ciò comporta disparità territoriali: un’azienda indebitata in Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte o Toscana potrebbe trovare più aiuti rispetto a chi opera altrove. Va auspicato un maggiore coordinamento nazionale e la diffusione delle best practice (voucher per consulenze di crisi, fondi WBO, ecc., replicati in più regioni).

Giurisprudenza in ambito regionale: I contenziosi più frequenti riguardano l’accesso ai bandi. Se un’impresa viene esclusa da un contributo regionale per punteggio insufficiente o per requisiti formali, può ricorrere al TAR regionale lamentando errori di valutazione o clausole discriminatorie. Un caso emblematico l’abbiamo già citato: Consiglio di Stato n. 1760/2023, sul contributo Covid Friuli limitato alle imprese mono-sede, restrizione giudicata arbitraria e quindi annullata. Un altro esempio (ipotetico, ma verosimile): TAR Lazio, sent. 9285/2021 – un’impresa contesta l’esclusione da un fondo rotativo regionale perché il suo DURC era irregolare al momento dell’erogazione. Il TAR probabilmente confermerebbe che la richiesta di regolarità contributiva è legittima come requisito di erogazione: i bandi non possono premiare chi non è in regola, salvo eccezioni di legge. In effetti, quasi tutti i bandi regionali richiedono DURC regolare al momento del pagamento del contributo; se l’impresa ammessa ha un DURC negativo, viene di norma invitata a regolarizzare entro un termine breve, pena la revoca. Quindi il consiglio è sempre di mettere in sicurezza la propria posizione contributiva (rateizzazioni, rottamazioni) prima di attendere fondi pubblici.

Misure e programmi europei (UE) a supporto delle imprese indebitate

L’Unione Europea interviene a favore delle imprese in crisi su due fronti: finanziando programmi e fondi da cui le aziende possono direttamente o indirettamente beneficiare, e regolamentando la materia degli aiuti di Stato per assicurare che gli aiuti nazionali/regionali non falsino la concorrenza nel mercato unico. Esamineremo entrambi gli aspetti, partendo dalle opportunità di finanziamento UE.

1. Fondi strutturali UE e Next Generation EU (PNRR)

L’Italia beneficia ampiamente dei fondi strutturali e di investimento europei. In particolare:

  • il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), che cofinanzia progetti di sviluppo economico, innovazione e competitività;
  • il Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+), che sostiene formazione, occupazione, coesione sociale.

Tramite i Programmi Operativi nazionali e regionali, questi fondi europei vengono messi a bando per le imprese. Come già visto, quando un’azienda vince un bando regionale FESR per innovazione, sta in realtà ricevendo fondi UE indiretti (erogati dalla Regione ma provenienti dall’Europa). A livello nazionale esistono Programmi Operativi dedicati alle imprese, ad esempio il PON “Imprese e Competitività” 2014-2020, che ha finanziato contratti di sviluppo, “Macchinari Innovativi” al Sud, ecc., e che nella programmazione 2021-27 confluisce in parte nel PNRR complementare e in nuovi programmi analoghi.

Esempi di bandi POR FESR 2021-2027 attivi (indicativi):

  • Friuli-Venezia Giulia: bando “Aiuti a fondo perduto per investimenti produttivi” – contributi fino al 50% per ampliamenti e ammodernamenti (POR FESR FVG).
  • Emilia-Romagna: bando “Digitalizzazione e capitale umano” (Priorità 5, Azione 1.6) – contributi a progetti di innovazione tecnologica integrati da nuove assunzioni qualificate, per favorire contemporaneamente innovazione e occupazione.
  • Lombardia: bando “Impresa Digitale” – contributo 50% a fondo perduto per spese in servizi e tecnologie digitali (nel PR FESR Lombardia).
  • Veneto: bando “Efficienza energetica PMI” – contributi 30-40% per interventi di efficientamento energetico nelle PMI (il Veneto ha destinato oltre 1 miliardo di FESR alla competitività e innovazione delle imprese).

Simulazione: Omega S.r.l., azienda manifatturiera indebitata con banche, ha però un progetto valido di transizione digitale. Partecipa a un bando POR FESR “Digitalizzazione imprese” nella sua regione e ottiene un contributo del 40% su €100.000 di spese per software e formazione specialistica, cioè €40.000 a fondo perduto. Non solo modernizza l’azienda (che nei prossimi anni beneficerà di risparmi di costo e maggiore efficienza), ma quei €40.000 incassati dalla Regione migliorano subito la liquidità e possono essere in parte destinati a ridurre fidi bancari o pagare fornitori. In sostanza, i fondi UE aiutano l’impresa indebitata a investire senza indebitarsi ulteriormente e le danno respiro finanziario.

Parallelamente ai fondi strutturali ordinari, il grande programma Next Generation EU con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha portato risorse straordinarie anche per incentivi alle imprese italiane:

  • Il PNRR (2021-2026) finanzia misure come Transizione 4.0 (di cui i crediti d’imposta 4.0 sono parte integrante), i Contratti di Sviluppo (rafforzati con risorse PNRR, ad es. per la produzione di batterie, autobus elettrici, etc., con mix fondo perduto + finanziamento agevolato), il Fondo Impresa Donna e il Fondo PMI Creative (entrambi con contributi a fondo perduto 50-80% per start-up femminili e imprese culturali/creative), bandi per start-up innovative (Smart&Start è stato integrato con risorse PNRR per ampliarne la dotazione), e strumenti per l’internazionalizzazione via SIMEST (nel 2021-22 SIMEST ha concesso finanziamenti agevolati per e-commerce e fiere con 25% a fondo perduto grazie a fondi PNRR).
  • Inoltre, varie Missioni del PNRR includono bandi ad hoc: la Missione 1 (Digitalizzazione) Component 2 ha previsto ad esempio i voucher digitali per microimprese gestiti tramite Camere di Commercio; la Missione 2 (Rivoluzione verde) finanzia contributi per la riconversione energetica delle imprese (es. bandi per impianti fotovoltaici in agricoltura – Parco Agrisolare, bandi per l’installazione di colonnine di ricarica aziendali, etc.); la Missione 5 (Inclusione e coesione) contiene misure come l’estensione di Resto al Sud (aumentando età massima e plafond).

Tutte queste opportunità possono essere colte anche da imprese indebitate, a patto – di nuovo – di non trovarsi in stato di fallimento o soggette a cause ostative. Bisogna fare attenzione alle condizioni imposte dalla normativa UE sui fondi: i bandi PNRR e FESR spesso richiedono, ad esempio, che l’impresa non fosse in difficoltà al 2019 secondo definizione UE (come già detto). Ciò significa che un’azienda che era “decotta” prima della pandemia può essere esclusa da certi contributi PNRR, in quanto l’UE vuole evitare di tenere artificialmente in vita imprese non sostenibili. Però durante il Covid questa regola è stata sospesa, e anche con il nuovo Temporary Crisis and Transition Framework (TCTF) 2022-2025 gli aiuti per costi energetici elevati sono stati concessi anche ad aziende in perdita.

Caso giurisprudenziale europeo: la Corte di Giustizia UE ha affermato, in cause come Sentenza Tribunale UE (General Court) T-601/17, 2019, che gli Stati membri possono predisporre aiuti selettivi al salvataggio di imprese purché conformi agli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione. L’Italia ha seguito tali orientamenti per fondi come il Salvaguardia Imprese: infatti la Commissione Europea ha approvato il regime di aiuto del Fondo Salvaguardia, imponendo condizioni stringenti (ad es. la notifica di un piano di ristrutturazione per l’azienda aiutata e il principio “one time, last time” – l’aiuto può essere concesso una sola volta). In caso di mancato rispetto di queste condizioni, l’aiuto è illegale e l’impresa beneficiaria deve restituirlo (clausole di claw-back). È dunque cruciale, anche per contributi regionali e nazionali a favore di imprese in crisi, che i regimi siano correttamente notificati o rientrino nelle esenzioni: un’impresa che ricevesse un aiuto non conforme rischierebbe di doverlo restituire anni dopo. Nel contesto italiano, tutti i bandi di finanza agevolata riportano il riferimento al regime di aiuto (de minimis, GBER, approvazione SA, etc.). Ad esempio, la nuova soglia de minimis di €300.000 nel triennio (Reg. UE 2023/… applicabile dal 1/1/2024) amplia la capacità delle PMI di ricevere aiuti piccoli senza violare la normativa.

2. Programmi UE a gestione diretta per le imprese

Oltre ai fondi indiretti (gestiti da autorità nazionali/regionali), le imprese italiane possono partecipare direttamente a bandi europei competitivi per ottenere sovvenzioni, nell’ambito dei programmi UE 2021-2027 gestiti dalla Commissione o dalle sue agenzie. Questi richiedono di solito progetti di livello europeo (spesso in partenariato con altre aziende/enti di diversi Paesi) e un notevole sforzo di preparazione, ma offrono contributi a fondo perduto talora elevati. Alcuni dei principali programmi utili alle PMI sono:

  • Horizon Europe (2021-2027): è il Programma Quadro UE per la ricerca e l’innovazione, successore di Horizon 2020. Finanzia progetti R&D d’avanguardia. Le PMI possono partecipare in consorzi collaborativi (ad es. progetti su nuove tecnologie realizzati insieme a università e altre imprese europee) oppure attraverso strumenti dedicati come lo European Innovation Council (EIC) Accelerator, che sostiene startup e PMI altamente innovative con contributi fino a €2,5 milioni e investimenti equity aggiuntivi. Per un’impresa tecnologica anche in difficoltà finanziaria ma con un’idea di prodotto innovativo, Horizon può rappresentare la svolta: se viene selezionato un suo progetto, riceverà finanziamenti UE a copertura del 70-100% dei costi di ricerca (a fondo perduto). Esempio: una PMI biotech in crisi di liquidità ma con un brevetto promettente può entrare in un consorzio Horizon con centri di ricerca: se il progetto vince, ottiene diciamo €300.000 di grant UE, che coprono gran parte delle spese di sviluppo del prototipo, migliorando la sua situazione finanziaria e aprendole prospettive di mercato future.
  • EIC Accelerator: vale la pena rimarcare questo strumento (parte di Horizon Europe) pensato per startup e PMI deep-tech con idee rivoluzionarie ma alto rischio. Offre un mix di grant (fondo perduto fino a 2,5 mln) e investimento azionario (fino ~15 mln) tramite un fondo UE, per portare il prototipo al mercato. Anche imprese pre-ricavo, spesso indebitate per sviluppare la tecnologia, possono candidarsi. Il tasso di successo è basso (<5%), ma i vincitori ottengono un boost enorme senza indebitamento aggiuntivo. In Italia, diverse startup medtech e greentech hanno vinto l’EIC Accelerator nel 2022-23, risolvendo di colpo i loro problemi finanziari.
  • COSME / Single Market Programme (SMP): COSME era il programma UE 2014-20 per la competitività delle PMI; dal 2021 è confluito nel Programma per il Mercato Unico (SMP). Questo programma non eroga molti contributi diretti alle PMI, ma finanzia garanzie sui prestiti (gestite tramite il Fondo Europeo per gli Investimenti – FEI – che contro-garantisce operazioni di microcredito e prestiti PMI, un po’ come il Fondo di garanzia nazionale) e progetti per migliorare l’ambiente imprenditoriale. Ad esempio, l’UE cofinanzia la rete Enterprise Europe Network (EEN) che fornisce gratuitamente consulenza alle PMI per innovazione e internazionalizzazione. Tramite il programma COSME/SMP, molte PMI italiane hanno beneficiato di microgaranzie UE: in pratica ottenevano prestiti dalle finanziarie convenzionate che potevano essere erogati con requisiti più flessibili grazie alla controgaranzia europea. Il vantaggio è simile a quello del Fondo PMI, ma su scala europea e rivolto anche a imprese molto piccole o start-up.
  • Programmi settoriali (LIFE, Erasmus+, Creative Europe): sono programmi UE mirati a specifici ambiti: LIFE (ambiente e clima) finanzia anche PMI su progetti di economia circolare, energie rinnovabili locali, etc.; Erasmus+ include misure per la formazione del personale (es. Erasmus for Young Entrepreneurs per scambi tra nuovi imprenditori); Creative Europe sostiene industrie culturali (es. co-produzioni audiovisive). Questi bandi possono dare contributi, ma richiedono di norma partnership europee e non risolvono problemi di debito in modo diretto. Offrono però opportunità di finanziamento esterno su progetti specifici che l’impresa, se sola, non potrebbe permettersi. Ad esempio, un teatro privato in crisi può ottenere un grant LIFE per efficientamento energetico del teatro, riducendo i costi futuri.

Accesso e considerazioni: partecipare ai bandi UE diretti richiede capacità di progettazione, tempi medio-lunghi e competizione elevata. Non è una soluzione immediata per un’azienda sull’orlo del default, ma per un’impresa indebitata ma ancora operativa e con progetti innovativi può essere la svolta: vincere un bando UE porta contributi spesso anticipati in parte, quindi denaro fresco non da restituire. Inoltre, il prestigio e le partnership derivanti da un progetto europeo possono aiutare a negoziare con banche e investitori (ad es. la banca potrebbe concedere una moratoria sul mutuo sapendo che l’azienda sta per ricevere fondi UE e sviluppare nuovi prodotti).

Dal punto di vista regolamentare, i contributi diretti UE non sono soggetti a DURC o adempimenti fiscali nazionali in fase di domanda (la Commissione non chiede il DURC), però il contratto di grant prevede clausole di onorabilità: imprese con condanne per frode o altri reati possono essere escluse. Inoltre, va evitato il doppio finanziamento: se un costo è coperto da un contributo UE, non può ottenere anche un credito d’imposta nazionale per lo stesso costo, e viceversa. Bisogna quindi coordinare bene l’utilizzo di fondi nazionali ed europei per non incorrere in irregolarità.

3. Quadro normativo europeo sugli aiuti di Stato e insolvenza

Chiudiamo la sezione europea con due aspetti generali ma importanti per il tema PMI in crisi:

  • Quadri temporanei e nuovi massimali: tra il 2020 e il 2023 la Commissione UE ha adottato deroghe temporanee per consentire agli Stati di erogare aiuti straordinari. Il Temporary Framework Covid-19 del 2020 ha permesso aiuti di Stato fino a €800.000 per impresa (poi elevati a €1,8 mln) sotto forma di sovvenzioni, garanzie pubbliche al 100%, ricapitalizzazioni statali, ecc.. Molti contributi a fondo perduto Covid dell’Italia sono stati concessi proprio in base a quel quadro (ad es. il contributo DL Rilancio art.25 era notificato come SA.57021 alla Commissione). Quel quadro è scaduto a fine 2021. Subito dopo, con la crisi Ucraina ed energetica, la Commissione ha emanato il Temporary Crisis Framework (TCF) 2022, poi ampliato nel 2023 nel Temporary Crisis and Transition Framework (TCTF). Quest’ultimo consente fino al 31 dicembre 2025 agli Stati di dare aiuti per contrastare gli effetti economici della guerra in Ucraina e per accelerare la transizione verde, con massimali elevati (es. fino a €2 mln per impresa per aiuti su costi energetici). L’Italia ne ha fatto ampio uso: i crediti d’imposta energia 2022-23 per imprese energivore e non derivavano dal TCF approvato, così come la Garanzia SupportItalia di SACE (garanzie su prestiti per imprese colpite da caro-energia) e contributi straordinari alle imprese gasivore. Nel maggio 2025, la Commissione ha approvato ad esempio un regime italiano da 5,4 mld per la decarbonizzazione del trasporto marittimo, in base al TCTF. Al 2025, però, per la generalità degli aiuti si applicano di nuovo i limiti ordinari: il de minimis torna a €200k (anzi €300k dal 2024), il GBER fissa intensità massime (es. 20% per aiuti a medie imprese fuori regioni svantaggiate), ecc. Ciò significa che un’impresa indebitata che ha già incamerato vari aiuti Covid potrebbe aver saturato il suo massimale temporaneo e dover restituire l’eccedenza se ha sforato (le aziende nel 2022 hanno dovuto presentare autodichiarazione sugli aiuti Covid ricevuti, e chi superava i massimali cumulati è tenuto a restituire l’eccedenza). Prima di chiedere nuovi aiuti, conviene sempre fare un check del cumulo: il Registro Nazionale Aiuti (RNA) aiuta in tal senso, centralizzando tutti gli aiuti ricevuti da ciascuna impresa.
  • Direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione preventiva e insolvenza: recepita in Italia nel 2022 con il D.Lgs. 83/2022 (correttivo al Codice della Crisi), ha l’obiettivo di armonizzare a livello europeo gli strumenti per prevenire l’insolvenza e dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti. Non prevede contributi economici direttamente, ma ha influenzato l’evoluzione normativa italiana. In particolare, incoraggia l’allerta precoce e le procedure di composizione extragiudiziale: ciò ha portato all’istituzione della Composizione Negoziata (anticipata dal D.L. 118/2021) e all’introduzione di misure premiali per chi si attiva tempestivamente. Ad esempio, la direttiva chiede di limitare gli ostacoli all’ottenimento di nuova finanza nelle ristrutturazioni – l’Italia, recependo, ha esplicitato la prededucibilità dei finanziamenti autorizzati durante la composizione negoziata o il concordato (per rendere più appetibile erogare credito a un’impresa in risanamento). Chiede anche la liberazione dai debiti residui dopo la procedura per gli imprenditori onesti – il Codice della Crisi lo prevede (esdebitazione dell’imprenditore fallito una volta chiusa la liquidazione giudiziale). Insomma, la normativa UE ha spinto verso un sistema più orientato al rescue dell’impresa e al dare un fresh start, piuttosto che alla mera liquidazione punitiva.

In sintesi, l’UE fornisce alle imprese indebitate: risorse finanziarie (fondi strutturali, programmi diretti, garanzie BEI) e un quadro normativo comune che sta plasmando anche il diritto concorsuale interno verso maggior favore per la ristrutturazione. L’imprenditore debitore deve essere consapevole di operare in un contesto europeo: molte regole che sembrano “nazionali” (divieto pre-2021 di falcidiare l’IVA nei concordati, soglie de minimis, ecc.) originano da normative UE. Ad esempio, fino al 2019 l’IVA non pagata non poteva essere falcidiata nei concordati per un presunto divieto UE; la Corte Costituzionale nel 2019 (sent. 245/2019) ha dichiarato incostituzionale quel divieto per contrasto con principi nazionali e perché nel frattempo la normativa UE era cambiata. Ora IVA e ritenute sono falcidiabili grazie a quell’evoluzione. Anche i condoni fiscali statali devono conciliarsi con la normativa UE: la Commissione ha tollerato i condoni italiani 2023 ritenendoli misure generali, ma in passato condoni circoscritti a settori furono censurati come aiuti di Stato illegittimi.

(Segue tabella riepilogativa dei principali programmi UE e strumenti europei menzionati)

Strumento UETipoBeneficio per PMINote
POR FESR / FSE+ (fondi strutturali)Bandi regionali / nazionali cofinanziatiContributi 30-70% su investimenti innovazione, efficienza, internazionalizzazione, formazioneVedi sez. misure regionali (varie regioni). Esempi: contributo 40% digitalizzazione (Omega Srl), bandi efficienza energetica PMI, ecc.
Next Generation EU / PNRRFinanziamenti straordinari post-CovidContributi a fondo perduto e prestiti agevolati su transizione digitale, verde, inclusioneMisure: Transizione 4.0 (crediti imposta), Contratti Sviluppo PNRR, bandi turismo (FRI-Tur), Fondo Impresa Donna (50% FP), Resto al Sud esteso (56 anni).
Horizon Europe (EIC, R&S)Bandi competitivi R&DGrant 70-100% costi progetto innovativo; EIC: fino €2,5 mln FP + equityMolto competitivo. Richiede progetti eccellenti. Benefici: denaro non rimborsabile anticipato in parte; prestigio.
InvestEU (FEI, BEI)Garanzie e finanziamentiGaranzie UE su portafogli prestiti PMI; prestiti BEI a banche vincolati a PMIContinuazione Piano Juncker. In Italia BEI eroga tramite banche (prestiti PMI tasso ridotto), FEI contro-garantisce Fondo PMI e confidi (aumenta capacità garanzia).
COSME / Single MarketGaranzie, supportoMicrogaranzie su microcrediti, servizi gratuiti EEN per PMIAiuta PMI a ottenere prestiti micro; EEN aiuta a trovare partner, innovare.
LIFE, Creative, Erasmus+Bandi settorialiGrant su progetti green, culturali, formazioneEsempi: contributi 55% progetti innovazione ambientale (LIFE), co-finanziamento produzioni cinematografiche (Creative Europe MEDIA), borse mobilità imprenditori (Erasmus).
Temporary Frameworks (Covid, Crisis)Regime aiutiMassimali aiuti elevati, regole flessibili per aiuti emergenzaTF Covid (€800k poi €1,8 mln), TCF 2022 (fino €2 mln costi energia, etc.), validi temporaneamente. Italia li ha usati per ristori, crediti energia, garanzie 100%.
Direttiva InsolvencyNormativaPrededucibilità nuova finanza, procedure semplificateRecepita in CCII: composizione negoziata, concordato semplificato, esdebitazione, transazione fiscale facilitata (fisco non più veto). PMI ne beneficiano se usano procedure.

Strumenti di risanamento del debito e procedure concorsuali (punto di vista del debitore)

Finora abbiamo esaminato gli aiuti pubblici esterni a disposizione di una PMI in crisi (contributi, garanzie, incentivi fiscali, ecc.). Tuttavia, quando un’impresa è gravata da un livello di debiti insostenibile, è spesso necessario attivare anche gli strumenti di ristrutturazione del debito previsti dalla legge fallimentare – ora Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – per riequilibrare in modo definitivo la situazione finanziaria. In questa sezione illustriamo, dal punto di vista dell’imprenditore debitore, i principali strumenti negoziali (privatistici) e le procedure concorsuali giudiziali per gestire la crisi e l’insolvenza, aggiornati alle ultime riforme (D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024, cd. “Correttivo ter”).

Le soluzioni disponibili si collocano lungo un continuum che va da approcci stragiudiziali e volontari (accordi privati con i creditori) fino a procedure giudiziarie formali con l’intervento del tribunale. L’imprenditore dovrebbe valutare l’opzione meno traumatica efficace per la propria situazione, tenendo conto che: gli strumenti privatistici mantengono maggiore riservatezza e controllo al debitore ma richiedono un consenso elevato dei creditori; le procedure concorsuali permettono di imporre sacrifici anche ai creditori dissenzienti e offrono protezioni (come lo stay delle azioni esecutive) ma comportano costi, pubblicità e il controllo del tribunale.

Vediamo uno ad uno gli strumenti chiave:

Piani attestati di risanamento (strumenti stragiudiziali)

Il piano attestato di risanamento è un accordo privato e volontario con i creditori, disciplinato dall’art. 56 CCII (già art. 67 L.F.), che consente all’imprenditore in crisi di ristrutturare i debiti su base contrattuale, evitando l’apertura di una procedura concorsuale, a patto di predisporre un piano fattibile e farlo attestare da un professionista indipendente.

Caratteristiche principali:

  • Il piano consiste in un insieme di iniziative (dilazioni, rinunce parziali, aumento di capitale, dismissioni asset, nuova finanza) idonee a risanare la posizione debitoria e assicurare il riequilibrio dell’impresa entro un ragionevole periodo.
  • Non richiede l’adesione di tutti i creditori (non c’è una soglia legale minima), ma in pratica funziona se i creditori principali volontariamente aderiscono all’accordo di ristrutturazione proposto. Chi non aderisce resta estraneo e potrà agire per conto suo, quindi serve includere quantomeno le banche o i creditori maggiori.
  • L’attestatore indipendente (tipicamente un commercialista o revisore con adeguata esperienza nominato dal debitore) deve verificare la veridicità dei dati aziendali e giudicare “attestabile” il piano, ovvero dichiarare che esso è idoneo a risanare l’esposizione debitoria e a garantire la continuità aziendale. L’attestazione deve essere rilasciata in forma scritta e motivata.
  • Effetti legali: il piano attestato non richiede omologazione né coinvolge il tribunale; però la legge gli riconosce alcuni effetti importanti, in particolare l’esonero dalle azioni revocatorie fallimentari per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano (art. 67 co.3 lett. d L.F., ora art. 56 CCII). Ciò significa che, se poi la società dovesse fallire successivamente, i creditori (o il curatore) non potranno impugnare quegli atti come preferenze illegittime. Questo “scudo” incentiva i creditori ad aderire, sapendo che i pagamenti ricevuti secondo piano non saranno revocati. Non vi sono invece misure protettive automatiche: i creditori che non aderiscono potrebbero teoricamente agire (pignorare) durante la trattativa, anche se in pratica spesso si chiede una moratoria di fatto.

Il piano attestato è indicato quando la crisi è relativamente gestibile, i creditori sono pochi o omogenei (es. solo banche) e si vuole evitare la pubblicità di un concordato. Molte imprese, anche medio-grandi, hanno superato crisi transitorie grazie a piani attestati approvati dalle banche, col beneficio della riservatezza e della rapidità. Ad esempio nel settore moda-design si è spesso preferito il piano ex art.67 L.F. per ristrutturare debiti bancari: le banche accettavano un allungamento e rinuncia a parte crediti in cambio di un piano attestato convincente.

Avvertenze: l’attestatore ha una responsabilità significativa. La Cassazione ha chiarito che non garantisce il successo del piano, ma deve valutare con rigorosa diligenza i dati e le assunzioni. Se fornisce attestazioni false o gravemente negligenti, può rispondere di danni verso creditori e anche penalmente (es. concorso in bancarotta semplice o fraudolenta). Dunque, il ruolo dell’attestatore è cruciale e la sua reputazione dà credibilità al piano agli occhi dei creditori.

In sintesi, il piano attestato è uno strumento “light”, completamente negoziale, che mantiene il controllo in mano al debitore e resta confidenziale. Richiede però un elevato grado di consenso volontario: se c’è una maggioranza di creditori riottosi o opportunisti (holdout), non avendo forza legale di imporre, può fallire.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII)

Quando la platea dei creditori è ampia o vi sono creditori che non si riescono a convincere spontaneamente, il legislatore offre uno strumento intermedio tra il piano puramente privato e il concordato: gli accordi di ristrutturazione dei debiti con omologazione del tribunale, originariamente introdotti nel 2005 (art. 182-bis L.F.) e ora disciplinati dagli artt. 57-64 CCII. Sono accordi negoziati con i creditori che diventano efficaci erga omnes dopo l’omologazione da parte del tribunale. In sostanza, se il debitore trova un’intesa con una percentuale qualificata di creditori, il tribunale può omologarla e renderla vincolante almeno per i creditori aderenti (e in alcune varianti anche per alcuni non aderenti).

Caratteristiche principali (accordo “ordinario” art.57):

  • Soglia di adesione: servono creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Questa soglia (rimasta invariata dal vecchio art. 182-bis) assicura un consenso ampio, ma non unanime. Esempio: azienda con €10 mln di debiti deve avere accordo sottoscritto con creditori per almeno €6 mln.
  • Tutela dei creditori estranei: i creditori non aderenti (quindi al massimo il 40% residuo) devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologazione. Questo garantisce che chi sta fuori non venga pregiudicato: di fatto, l’accordo non può imporre perdite ai non aderenti, i quali devono venire soddisfatti al 100% (sebbene con un breve ritardo ammesso). Ciò significa che l’accordo di ristrutturazione “standard” è utile se l’impresa è in grado di pagare per intero i dissenzienti – tipicamente accade quando la maggior parte delle passività è con poche banche che aderiscono e rimangono pochi trade creditors fuori.
  • Attestazione di fattibilità: anche qui serve un professionista indipendente che attesti che l’accordo permette di pagare integralmente gli estranei nei termini e che l’impresa reggerà agli impegni presi (sostenibilità).
  • Procedura di omologazione: il debitore, raggiunto l’accordo con ≥60%, deposita ricorso al tribunale con il testo dell’accordo e la relazione dell’attestatore. Il tribunale controlla la regolarità formale e fissa un termine per eventuali opposizioni da parte di creditori esclusi o dissenzienti (che possono contestare se l’accordo li pregiudica). Se non vi sono opposizioni o queste vengono respinte, il tribunale omologa l’accordo con decreto e da quel momento l’accordo diventa vincolante secondo il suo contenuto.
  • Effetti dell’omologa: l’accordo omologato vincola contrattualmente i creditori aderenti e, indirettamente, protegge il debitore da azioni esecutive dei non aderenti per il periodo in cui devono essere pagati (120 gg dall’omologa). In pratica, se il debitore non paga entro i 120 gg, i non aderenti potranno agire (e come chiarito dalla giurisprudenza, possono anche chiedere il fallimento passato quel termine). Durante la pendenza dell’omologa, il debitore può chiedere misure protettive – analoghe all’automatic stay del concordato – per impedire ai creditori di far saltare tutto (art. 54 CCII).
  • Esenzioni e tutele legali: gli accordi omologati godono dell’esonero dalle revocatorie per gli atti esecutivi (art. 59 CCII), come i piani attestati. Inoltre, la Cassazione ha riconosciuto che gli accordi di ristrutturazione omologati hanno natura concorsuale assimilabile al concordato, il che li rende più solidi contro contestazioni individuali successive.
  • Benefici per il debitore: non c’è votazione formale di tutti i creditori (evitando assemblee), non c’è commissario giudiziale (il tribunale controlla solo ex-post all’omologa), l’impresa mantiene la piena operatività senza le restrizioni tipiche del concordato (salvo eventuale nomina di un ausiliario se si chiedono misure protettive). Insomma, il debitore gestisce direttamente, con minor stigma.

Gli accordi di ristrutturazione ordinari sono utili quando c’è un nocciolo duro di creditori d’accordo (es. le banche principali) ma non la totalità. Formalizzando l’accordo in tribunale, si ottengono benefici come:

  1. Misure protettive giudiziali (stay delle azioni esecutive finché si omologa);
  2. Esonero da revocatoria per atti esecutivi (per cui i nuovi finanziamenti e pagamenti eseguiti in attuazione dell’accordo non sono soggetti a revoca);
  3. Certezza legale: l’omologa, dopo eventuali opposizioni, “blinda” l’accordo.

Il CCII ha introdotto anche due varianti innovative di accordi, per ampliare la flessibilità:

  • Accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60 CCII): la soglia di adesione scende al 30% dei crediti. Questo strumento è pensato per imprese che faticano a raggiungere il 60% ma hanno almeno una parte significativa di creditori disposti a collaborare (es. qualche banca). La contropartita è che il debitore non può ottenere misure protettive automatiche (quindi nessun blocco azioni esecutive, deve negoziare “a rischio”) e deve pagare integralmente e immediatamente i creditori estranei all’accordo (di fatto, quelli fuori devono essere soddisfatti subito). In sostanza, l’accordo agevolato 30% è adatto a PMI che hanno liquidità o supporto finanziario sufficiente per togliere di mezzo i creditori non allineati pagando cash, trattando solo con un nucleo ristretto (es. le 2-3 banche principali). Il vantaggio è non dover convincere fino al 60% del totale, ma solo ≥30%. Lo svantaggio è che chi non firma deve essere pagato subito al 100% (quindi l’azienda deve avere risorse o trovare finanza esterna per saldare i piccoli creditori). L’omologazione è di solito più snella perché non c’è da valutare equità verso estranei (sono già pagati). Questo strumento può essere utile per PMI con pochi grandi creditori e tanti piccoli: i piccoli vengono soddisfatti integralmente (usando ad esempio un nuovo finanziamento prededucibile), e almeno il 30% dei grandi (per valore) accetta un hair-cut o dilazione. Un esempio: un’azienda con 10 fornitori di cui 8 piccoli e 2 grandi banche – i 8 piccoli (20% crediti totali) li paga integralmente subito, le 2 banche (80% crediti) di cui una aderisce (50%) e l’altra no (30%) riesce ad omologare al 50% sul 80% tot crediti? In realtà, qui avremmo 50% adesione, quindi non serve neppure l’agevolato; l’agevolato servirebbe se avessi solo una banca su due (es. 40% tot crediti) d’accordo: però l’altro 60% di creditori estranei andrebbe pagato cash, scenario di fatto raramente fattibile. Quindi l’accordo 30% è di nicchia.
  • Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): recepiscono il concetto di cram-down parziale della Direttiva Insolvency. In questi accordi, i creditori vengono suddivisi in categorie omogenee per posizione giuridica e interessi (es. categoria banche chirografarie; categoria fornitori strategici; ecc.). Se all’interno di una categoria l’accordo è approvato da almeno il 75% dei crediti di quella categoria, l’accordo può essere esteso anche al restante 25% dissenziente di quella categoria. Ciò consente di coinvolgere anche creditori che non hanno firmato, purché appartengano a categorie dove la stragrande maggioranza ha aderito. Inizialmente, nel 2015, l’efficacia estesa era prevista solo per banche e obbligazionisti (art. 182-septies L.F. per debiti finanziari); ora il CCII la generalizza a qualsiasi categoria definita dall’esperto (es. si può estendere a tutti i fornitori trade se 75% di essi in valore accetta). Restano esclusi dall’estensione automatica i creditori privilegiati particolari come il Fisco o i lavoratori (non li puoi includere senza il loro consenso a meno di norme speciali). Gli accordi ad efficacia estesa richiedono un controllo attentissimo del tribunale sull’equità del trattamento intraclasse e sulla convenienza per i dissenzienti: bisogna dimostrare che i non aderenti non riceveranno meno di quanto avrebbero ricevuto in un’alternativa liquidatoria o di concordato. Sono meccanismi complessi, poco utilizzati finora (la norma è nuova del 2022), ma interessanti per superare il problema dei creditori hold-out (chi rifiuta sperando di far saltare tutto o essere pagato per intero). Con l’efficacia estesa, una minoranza non può bloccare l’accordo se una robusta maggioranza nella sua categoria è favorevole.

In sintesi, gli accordi di ristrutturazione rappresentano una sorta di “concordato light”: basati su adesioni volontarie (non su un voto assembleare obbligatorio), con gestione dell’impresa che resta in capo al debitore e minore invasività del tribunale, ma con un valore legale aggiunto rispetto a un puro accordo privato, grazie all’omologa che li rende stabili e alle possibili estensioni e protezioni. Molti esperti li prediligono quando possibile, perché coniugano negozialità e forza legale. Pro e contro rispetto al concordato:

  • Pro: niente commissario giudiziale, niente votazione di tutti, niente spossessamento, più flessibilità (il debitore può modulare le adesioni e classi come preferisce).
  • Contro: serve comunque convincere una larga parte dei creditori (non funziona in conflitti molto frammentati), i creditori dissenzienti (fuori accordo) vanno pagati integralmente in 120 giorni, non c’è la cramdown totale su tutti come nel concordato (a parte il meccanismo intra-classe 75%).

Un aspetto peculiare della riforma 2022: è ora espressamente previsto che negli accordi di ristrutturazione possano essere inclusi anche Erario e INPS. Per anni fu dibattuto se il fisco potesse aderire a un 182-bis; ora il CCII lo consente, aprendo la strada alla transazione fiscale integrata nell’accordo (vedi sotto). Questo è importante perché spesso il Fisco è uno dei creditori principali nelle crisi.

Transazione fiscale e contributiva

La transazione fiscale (e la parallela transazione contributiva per i debiti INPS) è lo strumento attraverso cui i debiti verso l’Erario (Agenzia Entrate e Riscossione) e gli enti previdenziali possono essere ristrutturati, cioè pagati parzialmente e/o dilazionati, all’interno di una procedura concorsuale o di un accordo omologato. Tradizionalmente, il Fisco godeva di un trattamento privilegiato: fino a poco tempo fa alcuni tributi come IVA e ritenute non potevano essere falcidiati nemmeno nei concordati, costringendo al pagamento integrale e dando al Fisco un potere di veto assoluto (perché se non proponevi il 100% su IVA, il piano era inammissibile). Ciò rendeva molti piani impraticabili.

Oggi, grazie a evoluzioni normative e giurisprudenziali, la transazione fiscale consente di includere anche l’Erario tra i creditori che accettano una riduzione. Le basi normative:

  • L’art. 182-ter L.F. (introdotto nel 2006, modificato più volte, ora confluito negli artt. 63 e 88 CCII) consente nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione di proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, incluse IVA e ritenute (dal 2021), purché sia assicurato al Fisco almeno quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare. Questo è fondamentale: oggi si può proporre ad esempio di pagare l’IVA al 20% se in caso di fallimento l’Erario prenderebbe zero.
  • Serve l’attestazione di un professionista che la proposta è più conveniente per il Fisco rispetto alla liquidazione.
  • La novità introdotta dal DL 125/2020 e confermata dal CCII: se il Fisco non risponde o nega l’assenso, il tribunale può comunque omologare (cram-down fiscale) se ritiene che il trattamento offerto è almeno pari al miglior realizzo alternativo. Le Sezioni Unite Cassazione, sent. 8500/2021, hanno avallato questa omologa forzosa in caso di diniego irragionevole del Fisco. Ciò significa che il Fisco ha perso il potere di veto: se la proposta è fair comparativamente, il giudice può procedere nonostante il suo dissenso.
  • La transazione fiscale può prevedere stralcio di interessi e sanzioni e anche di quota di imposta. Ad es., se un’azienda deve €1.000.000 tra IVA e IRES, la proposta potrebbe essere pagare €500.000 in 5 anni e stralciare il resto; se l’attestatore dimostra che in fallimento l’Erario avrebbe preso solo €100.000, allora €500.000 in concordato è migliorativo e può essere omologato. Questo è uno scenario tipico.

Nel 2025, come ulteriore sviluppo, segnaliamo che anche nella Composizione Negoziata è stata introdotta la possibilità di accordo transattivo sui debiti fiscali: grazie al D.Lgs. 83/2022 e 136/2024, durante una composizione negoziata l’imprenditore può proporre all’Agenzia Entrate un pagamento parziale/dilazionato del debito tributario, allegando due relazioni (una di un esperto attestatore sulla fattibilità e convenienza per l’Erario, e una del revisore legale che certifica i dati). Se il tribunale autorizza questo accordo fiscale, esso diventa efficace erga omnes. Attualmente però restano esclusi i debiti contributivi INPS da questa procedura semplificata, ma si attende un allineamento normativo per includerli.

La transazione fiscale è fondamentale perché spesso il Fisco è tra i maggiori creditori nelle crisi d’impresa (IVA non versata, ritenute, contributi arretrati). Poterlo trattare come gli altri creditori – offrendo sconti e dilazioni – rende fattibili piani che altrimenti sarebbero impossibili. Bisogna però considerare l’impatto penale: certi debiti (ad es. IVA non versata sopra soglie) integrano reati tributari a carico degli amministratori. Ebbene, una norma del 2020 (art. 25-novies DLgs 14/2019) e successive interpretazioni prevedono cause di non punibilità se l’omologazione del concordato/accordo prevede il pagamento integrale del debito IVA, oppure almeno il 10% e non inferiore a quanto prendono i chirografari (questo per rispecchiare un certo bilanciamento). La Cassazione penale ha esteso questa esimente anche al caso di accordo di ristrutturazione omologato con trattamento conforme. In parole povere, se un imprenditore risolve la crisi con un concordato o accordo approvato dal giudice, può evitare la condanna per omesso versamento IVA (reato), riconoscendo l’utilità sociale del risanamento. Attenzione: questo vale se il piano prevede di soddisfare l’IVA in una certa misura (non è uno “scudo” generalizzato se offri zero).

In pratica, la transazione fiscale va vista come parte integrante di un piano di risanamento complessivo: l’imprenditore deve predisporre un piano credibile anche per la parte fiscale, non può limitarsi a dire “pago il 10%” senza giustificazione. Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha creato uffici ad hoc per valutare queste proposte e spesso, se la proposta è ragionevole (cioè maggiore del dividendo stimato in fallimento), dà parere favorevole. A quel punto il tribunale omologa senza problemi.

La transazione contributiva (INPS) è simile nella logica: anche i contributi previdenziali possono essere falcidiati. Qui la legge richiede una cautela: garantire almeno il pagamento della quota di contributi che sarebbe coperta dal Fondo di Garanzia INPS (TFR, ultime 3 mensilità) in caso di fallimento. In pratica l’INPS vuole che nel piano non prenda meno di quanto pagherebbe comunque il suo Fondo ai lavoratori. Di solito l’INPS chiede di non scendere sotto il 30% per accettare (prassi), ma dipende dai casi.

Un limite da ricordare: la transazione fiscale è accessibile solo all’interno di una procedura o accordo omologato. Non esiste – né sarebbe ammesso per divieto di tutela preferenziale – che un imprenditore faccia un accordo privato col Fisco fuori da questi contesti (salvo gli strumenti normativi generali come saldo e stralcio o rottamazioni decisi per legge). In altri termini, non si può “contrattare” col Fisco da soli: bisogna passare per concordato, accordo 182-bis o, ora, composizione negoziata in fase autorizzativa. Questo perché serve la verifica del tribunale sulla convenienza comparativa (il giudice controlla che l’Erario non sia trattato peggio del fallimento).

Riassumendo, piani attestati, accordi di ristrutturazione e transazioni fiscali compongono l’armamentario privatistico a disposizione del debitore per gestire la crisi d’impresa. Il comune denominatore è il tentativo di trovare soluzioni concordate con i creditori, evitando la dispersione di valore e mantenendo la continuità aziendale quando possibile. Spesso il percorso parte in modo informale: prima una composizione negoziata (magari confidenziale), poi se è sufficiente sfocia in un piano attestato (se c’è unanimità quasi) o in un accordo ex 182-bis se serve efficacia erga omnes maggiore. Ogni soluzione va calibrata sul caso concreto: numero di creditori, tipologia (banche vs fornitori), entità dei debiti, fabbisogno di finanza nuova, ecc. Se tali strumenti “privati” non bastano o non hanno successo, o se la situazione è troppo deteriorata, si passa alle procedure concorsuali giudiziarie vere e proprie, che vediamo in seguito.

Procedure concorsuali per la crisi d’impresa

Le procedure concorsuali sono i procedimenti giudiziari previsti dalla legge fallimentare (oggi dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII) per gestire formalmente la crisi o l’insolvenza di un’impresa sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, garantendo la parità di trattamento tra creditori (par condicio) e cercando, dove possibile, soluzioni di continuità aziendale. Al 2025, in seguito alla riforma organica avviata col D.Lgs. 14/2019 e corretta nel 2020-22, le procedure concorsuali ordinarie sono principalmente:

  • la Composizione Negoziata della Crisi (strumento di allerta e soluzione stragiudiziale assistita, già trattato in precedenza – ibrido ma qui la includiamo essendo introdotta nel CCII);
  • il Concordato Preventivo (in continuità o liquidatorio);
  • il Concordato preventivo semplificato per la liquidazione del patrimonio (novità post-composizione negoziata);
  • gli Accordi di ristrutturazione soggetti a omologazione (già trattati sopra insieme ai piani, come procedura giudiziale in senso lato);
  • la Liquidazione Giudiziale (che ha sostituito la parola “fallimento” per l’impresa commerciale insolvente);
  • la Liquidazione controllata per sovraindebitati non fallibili (imprese minori e persone fisiche non imprenditori – esula se parliamo di PMI, salvo quelle sotto soglie fallimento).
  • l’Amministrazione Straordinaria Grandi Imprese (procedura speciale per imprese >200 dipendenti, come Alitalia, Ilva etc., che non trattiamo qui per focus su PMI).

Dal punto di vista del debitore, affrontare una procedura concorsuale è sempre l’ultima risorsa se gli strumenti negoziali non sono bastati o se la crisi è troppo grave. Tuttavia, va sottolineato che l’attuale CCII è orientato a favorire i concordati in continuità e i salvataggi, piuttosto che la liquidazione tout court. Anche il sistema bancario e pubblico oggi guarda con meno stigma un’azienda che ricorre ad un concordato se è finalizzato alla continuità.

Esaminiamo brevemente le caratteristiche di concordato, composizione negoziata (già toccata) e liquidazione:

Composizione Negoziata della Crisi

Ne abbiamo parlato a livello di misure premiali: qui ricapitoliamo la procedura. Introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora stabilizzata negli artt. 17-25-quinquies CCII, è uno strumento di allerta precoce e gestione assistita della crisi. Non è una procedura concorsuale tradizionale: l’accesso è volontario (solo l’imprenditore può attivarla) e la gestione è stragiudiziale, affidata a un esperto indipendente, senza spossessamento dell’imprenditore. L’obiettivo è di arrivare entro breve tempo a un accordo con i creditori o a una soluzione, che può consistere anche in un successivo concordato o accordo formale.

Fasi in sintesi:

  • L’imprenditore percepisce segnali di crisi (squilibri di bilancio, flussi di cassa tensionati) e decide di presentare istanza di composizione negoziata tramite la piattaforma online dedicata. Carica documenti (bilanci, situazione debitoria, bozza di piano di risanamento, attestati fiscali) e entro pochi giorni viene nominato dalla commissione della Camera di Commercio un Esperto negoziatore indipendente. Dal 2024 la nomina tiene conto anche delle performance degli esperti in precedenti composizioni, per premiare i più efficaci.
  • L’esperto, accettato l’incarico, convoca l’imprenditore, esamina la situazione e valuta se esistono concrete prospettive di risanamento. Quindi coordina le trattative con i creditori, cercando di facilitare accordi (può proporre dilazioni, modifiche contrattuali, ecc.). Ha poteri di indagine potenziati: dal 2023 può accedere alle banche dati fiscali (Agenzia Entrate, INPS, riscossione) e creditizie (Centrale Rischi) per avere il quadro completo. Può avvalersi di coadiutori specialisti.
  • La durata ordinaria del percorso è 180 giorni, prorogabile solo in casi particolari, comunque entro massimo 12 mesi se si attivano misure protettive.
  • L’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive col decreto di apertura: ossia il tribunale può inibire o sospendere azioni esecutive e cautelari dei creditori e impedire la risoluzione di contratti essenziali per il solo fatto dell’avvio della composizione (evitando la “fuga” di fornitori). Questa protezione (simile al pre-concordato ma inizialmente non pubblica se non richiesta) dura inizialmente fino a 4 mesi, rinnovabile fino a 12 mesi. Novità 2023: divieto per le banche di revocare fidi solo perché l’impresa ha avviato la composizione negoziata. In passato, non appena le banche sapevano dello status di “azienda in crisi”, spesso revocavano gli affidamenti, precipitandola nel baratro; ora ciò è vietato (salvo che la revoca sia imposta da normative prudenziali di vigilanza bancaria, in tal caso la banca può revocare ma deve comunicarne le ragioni agli organi di controllo societari). Inoltre, se la banca aveva già sospeso un fido prima dell’accesso, può riattivarlo e il credito riutilizzato verrà considerato “finanza interinale prededucibile” se autorizzata dal tribunale.
  • Nuova finanza e incentivi: l’impresa può chiedere al tribunale di autorizzare finanziamenti prededucibili durante le trattative, per avere la liquidità necessaria a proseguire l’attività (es. finanziamento soci o bancario). La riforma 2024 ha chiarito che la prededuzione vale sia per nuovi contratti sia per la riattivazione di linee di credito sospese, e che resta anche se la composizione fallisce e si va in liquidazione. Ciò rassicura i potenziali finanziatori: sanno di essere in prededuzione anche se poi l’impresa non ce la facesse.
  • Esito: la composizione negoziata può concludersi con vari risultati possibili:
    1. Accordo stragiudiziale con i creditori (privato, magari formalizzato in un piano attestato se opportuno) – la crisi rientra senza procedure.
    2. Accordo di ristrutturazione omologato (se si raggiunge il 60% di consensi, come spiegato sopra) o transazione fiscale come nuova figura (appena introdotta per comp.n. come visto).
    3. Deposito di un concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) – se le trattative individuano una soluzione concorsuale formale come necessaria.
    4. Richiesta di concordato semplificato per la liquidazione – se le trattative falliscono ma c’è un acquirente per l’azienda tale da garantire un minimo ai creditori (vedi sezione successiva sul concordato semplificato).
    5. Se nulla di tutto ciò è possibile, la composizione si chiude senza accordo e i creditori sono liberi di agire (o l’imprenditore stesso può ricorrere alla liquidazione giudiziale volontaria).
  • Durante tutto il percorso vige riservatezza: finché non si attivano misure protettive pubblicate, l’esistenza della negoziazione è confidenziale, per evitare allarmismi. Se poi si arriva a un accordo stragiudiziale, può restare totalmente riservato; se invece si formalizza un accordo ex 182-bis o un concordato, ovviamente diventa pubblico a quel punto.

Il ruolo degli organi di controllo interni (sindaci, revisori) è enfatizzato: essi devono segnalare tempestivamente agli amministratori gli indizi di crisi e, se ignorati, possono loro stessi “spingere” per l’accesso alla composizione negoziata (devono informare OCRI – ma gli OCRI non sono stati attivati, comunque devono sollecitare). La riforma 2024 ha chiarito che se segnalano entro 60 giorni dalla conoscenza dello stato di crisi, adempiono ai loro doveri (altrimenti rischiano responsabilità).

In conclusione, la composizione negoziata è uno strumento innovativo volto a salvare imprese prima che sia troppo tardi, con un approccio negoziale ma vigilato. Dal punto di vista pratico del debitore, è altamente consigliabile utilizzarla come primo step se la situazione è recuperabile: consente di prendere tempo, bloccare aggressioni e cercare soluzioni con l’aiuto di un esperto, il tutto con costi contenuti (l’esperto è pagato secondo tariffe contenute). Ha portato a numerosi casi di successo nel 2022-23, anche se alcune imprese l’hanno usata solo per ottenere protezione e poi finire comunque in concordato.

Concordato Preventivo

Il concordato preventivo è la storica procedura concorsuale con cui l’imprenditore in crisi o insolvente cerca di evitare la liquidazione giudiziale (ex fallimento) proponendo un piano di soddisfazione dei creditori concordato. È una procedura giudiziale vera e propria, con intervento di un commissario, voto dei creditori e controllo del tribunale. Sotto il nuovo CCII mantiene gli elementi essenziali, con alcune novità per allinearsi alla direttiva UE e alle riforme.

Requisiti di accesso: può proporre concordato l’imprenditore commerciale (non il civile o l’agricolo, salvo opzioni per il grande agricolo) in stato di crisi o insolvenza. Il CCII ammette l’accesso anche in situazione di crisi incipiente (non ancora insolvenza conclamata) per anticipare la ristrutturazione e salvare valore. Sono escluse le imprese “minori” sotto soglie fallimento (hanno altre procedure di sovraindebitamento), e quelle già in liquidazione volontaria (in tal caso di solito vanno direttamente in liquidazione giudiziale).

Tipologie di concordato: la distinzione fondamentale è tra:

  • Concordato in continuità aziendale (art. 84 CCII): se prevede che l’attività d’impresa continui, direttamente dall’impresa proponente o indirettamente tramite cessione/affitto a un altro soggetto che la proseguirà. Il fine qui è il risanamento e la salvaguardia dei posti di lavoro. Deve assicurare ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile dall’alternativa liquidatoria (principio di convenienza) e, se è continuità diretta, deve pagare alcuni creditori privilegiati per intero: in particolare, i crediti tributari IVA e ritenute (salvo transazione fiscale) e i creditori impignorabili per legge, e inoltre deve garantire un pagamento minimo del 20% ai chirografari (quest’ultimo requisito del 20% è stato molto dibattuto e flessibilizzato per i concordati che sono “misti” continuità+liquidazione). Questo significa che in un concordato in continuità puro, l’azienda propone di proseguire l’attività e pagare i creditori gradualmente coi flussi generati.
  • Concordato liquidatorio (art. 84 co.4 CCII): se prevede la mera liquidazione dei beni dell’impresa per pagare i creditori. In tal caso la legge impone condizioni più severe per evitare concordati “abusivi” al solo scopo dilatorio: i creditori chirografari devono poter ricevere almeno il 20% del loro credito (dividendo minimo) e dev’esserci un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10% la soddisfazione dei chirografari rispetto a quanto avrebbero ottenuto dalla semplice liquidazione. In pratica, se la liquidazione dei beni pagherebbe 10% i chirografari, la proposta deve portarli almeno a 11% (10% + 10% apporto esterno, calcolato come 10% di 10% = 1 punto in più, quindi 11%). Questo per scoraggiare concordati meramente liquidatori senza vero valore aggiunto (dove sarebbe preferibile la liquidazione giudiziale).

Presentazione della domanda: il debitore prepara un ricorso contenente la proposta, il piano dettagliato e la documentazione (elenco creditori, stato patrimoniale, relazione di un attestatore indipendente sulla fattibilità e veridicità dei dati, ecc.). Può anche presentare una domanda di concordato “in bianco” (con riserva, art. 44 CCII), chiedendo l’ammissione e misure protettive immediatamente, riservandosi di presentare il piano dettagliato entro un termine (fino a 180 giorni prorogabili). Questo concordato prenotativo viene usato per guadagnare tempo e bloccare le azioni dei creditori mentre si finalizza la proposta (spesso al termine di una composizione negoziata non andata a buon fine, il debitore deposita “con riserva” e poi completa il piano).

Ammissione e voto: il tribunale, esaminata la proposta e la relazione dell’attestatore, se la ritiene ammissibile (piano fattibile, documenti regolari, nessuna frode) ammette l’azienda al concordato e nomina un Commissario Giudiziale. Il commissario vigila sull’impresa (che resta in mano al debitore: il concordato preventivo è “self-administration” sotto sorveglianza) e redige una relazione per i creditori. Si indice quindi l’adunanza dei creditori e si apre la fase di voto (oggi spesso svolto per iscritto o telematicamente, non necessariamente con riunioni fisiche). I creditori vengono divisi in classi se necessario (in base a posizione giuridica e interessi omogenei); ogni classe vota la proposta. Servono le maggioranze: più del 50% dei crediti ammessi al voto complessivamente (e se classi, la maggioranza per classi). Novità CCII: è possibile un cram-down interclassi: se una o più classi votano no ma il tribunale ritiene la proposta equa e conveniente nel complesso (rispettati i test di migliore soddisfazione e di non alterazione delle priorità), può omologare comunque il concordato anche senza il voto favorevole di tutte le classi, purché almeno una classe “non inferiore” abbia votato sì. È una novità recepita dalla direttiva Insolvency e serve a evitare ricatti di minoranze (es. se tutti tranne una classe hanno detto sì, il tribunale può superare il veto di quella classe, tipicamente capitale soci o simili).

Omologazione: se la maggioranza di voti (o il cram-down) è raggiunta, il tribunale tiene l’udienza di omologazione. Verifica la legittimità e anche la fattibilità economica del piano (che non dev’essere manifestamente irrealizzabile) e che i creditori dissenzienti siano trattati correttamente (principi di merito). Quindi emette un decreto (o sentenza) di omologazione che rende vincolante il concordato erga omnes: tutti i creditori anteriori sono obbligati ai termini della proposta, anche se non hanno votato o hanno votato contro. Da notare: se il concordato prevede la prosecuzione dell’attività, c’è un controllo sul piano anche nel merito (no proposte inattuabili o discriminatorie).

Esecuzione: a seguito dell’omologa, l’impresa procede all’esecuzione del piano sotto la vigilanza eventuale di un Liquidatore Giudiziale nominato solo se vi sono atti liquidatori da compiere (nel concordato in continuità spesso non è nominato, in quello liquidatorio sì). L’esecuzione può durare anni, specie se prevede pagamenti rateali.

Esdebitazione: per l’imprenditore persona fisica (ad es. una ditta individuale o socio illimitatamente responsabile), una volta eseguito il concordato c’è la liberazione dei debiti residui non soddisfatti (salvo eccezioni come debiti per sanzioni penali, ecc.). Questo è importante per il fresh start.

Il concordato preventivo è lo strumento più potente per ristrutturare, perché consente di imporre falcidie e dilazioni anche ai creditori non consenzienti e persino di alterare l’ordine dei privilegi (tramite il meccanismo delle classi e eventuali apporti). Di contro, è la procedura più complessa e costosa, e comporta pubblicità e tempi non brevi (in media 6-12 mesi per l’omologa). Inoltre, pur restando l’azienda in mano al debitore, subisce limitazioni: dall’ammissione non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice delegato, il commissario supervisiona, e c’è ovviamente pubblicità legale che può avere impatto reputazionale.

Novità rilevanti 2022-24:

  • L’introduzione del concordato semplificato (vedi oltre) come derivazione speciale se fallisce la composizione negoziata e non si riesce a presentare un concordato classico.
  • Alcune modifiche sulle classi e sul cram-down interclassi come già detto.
  • Una spinta maggiore alla continuità: la legge e la giurisprudenza valorizzano i concordati in continuità, tanto che alcune restrizioni sono allentate per essi (es. se c’è continuità non serve l’apporto esterno del 10% che invece serve nel liquidatorio).
  • Chiarito che i concordati con continuità indiretta (cioè quando il piano prevede di cedere l’azienda a terzi che la proseguono) sono considerati concordati in continuità a tutti gli effetti, con i relativi benefici, mentre prima c’era dibattito se fossero liquidatori o no. Quindi, se l’impresa trova un investitore che rileva l’azienda e continua l’attività preservando il valore, è concordato in continuità indiretta (non liquidatorio).

In pratica, un concordato può essere “misto”: parte liquidazione di asset, parte continuità. La giurisprudenza è andata verso approccio sostanziale: se la parte di continuità è non marginale, applicare le norme di maggior favore della continuità.

Dal punto di vista del debitore, la scelta di presentare un concordato deve essere ben ponderata: serve un piano serio, la capacità di far fronte alle spese di procedura (commissario, perito, avvocati), e un’attenta valutazione degli effetti (ad esempio contrattuali: alcuni contratti possono prevedere clausole risolutive se la controparte entra in concordato). Ma quando i debiti superano di molto le possibilità di accordo negoziale, il concordato rimane l’unica via per evitare la liquidazione giudiziale, con la chance di conservare l’impresa (se in continuità) o almeno vendere l’azienda in modo ordinato (se liquidatorio) proteggendo l’imprenditore da azioni esecutive e responsabilità personali ulteriori.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Si tratta di una procedura introdotta in via transitoria nel 2021 e poi resa stabile dal CCII (artt. 25-sexies e 25-septies), pensata specificamente come sbocco della composizione negoziata fallita. In caso di esito negativo della composizione negoziata ma con la presenza di un’offerta per l’acquisto dell’azienda (o di rami) tale da assicurare un soddisfacimento non trascurabile ai creditori, l’imprenditore può, entro 60 giorni dalla comunicazione di esito negativo delle trattative, proporre un concordato preventivo “semplificato” di sola liquidazione. Le particolarità di questo concordato semplificato sono:

  • Niente voto dei creditori: i creditori non votano. La proposta viene valutata solo dal tribunale in sede di omologa, sentiti il commissario e gli eventuali creditori oppositori. Questo serve a evitare tempi lunghi e possibili ricatti, visto che la procedura nasce da un percorso negoziato già fallito.
  • Requisiti blandi: non valgono i requisiti di percentuale minima (20%) o apporto esterno del concordato liquidatorio ordinario. L’unico vero parametro è che l’offerta presentata sia almeno pari (anzi di solito migliorativa) rispetto all’alternativa fallimentare.
  • Oggetto limitato: è orientato alla cessione dell’azienda o beni specifici già individuati dall’offerta giunta in composizione negoziata. Quindi non è flessibile come un concordato normale dove il debitore può proporre varie soluzioni: qui l’idea è “ho un compratore, faccio un concordato per eseguire questa vendita e distribuire il ricavato”.
  • Procedura sprint: viene nominato un commissario, fissata udienza per eventuali opposizioni, poi il tribunale decide sull’omologa. In mancanza di voto, i creditori possono solo fare opposizione se ritengono la proposta pregiudizievole.

Questo strumento è pensato per evitare che, fallita la composizione negoziata, si debba per forza andare in liquidazione giudiziale e perdere magari un’offerta favorevole raccolta durante le trattative. Dal lato del debitore, è un’ultima chance di portare a casa un risultato migliore del fallimento senza sottostare al voto dei creditori (che magari potrebbero rifiutare per motivi ostruzionistici).

In pratica, se l’imprenditore in crisi trova durante la comp. negoziata un investitore disposto a rilevare l’azienda e salvare ad esempio parte dei posti di lavoro, ma non riesce a convincere tutti i creditori a fare accordo, può comunque saltare il loro voto e chiedere al tribunale di approvare questa soluzione tramite concordato semplificato. Se il tribunale ritiene che la proposta conviene più ai creditori rispetto al fallimento, la omologa.

L’esperienza di questo istituto è ancora limitata (introdotto nel 2021, confermato nel CCII nel 2022), ma già alcuni tribunali l’hanno applicato per vicende in cui c’era un acquirente industriale pronto ma i creditori non collaboravano.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale di natura liquidatoria che ha sostituito il “fallimento” dal 15 luglio 2022 (per imprese sopra soglie). È l’extrema ratio, dichiarata dal tribunale su ricorso del debitore o dei creditori o d’ufficio in alcuni casi, quando l’impresa è insolvente e non vi sono percorsi di risanamento attivabili.

Dal punto di vista del debitore, la liquidazione giudiziale comporta il totale spossessamento: un Curatore nominato dal tribunale amministra l’impresa, che normalmente cessa l’attività salvo esercizio provvisorio autorizzato in casi particolari. I beni vengono liquidati e il ricavato distribuito ai creditori secondo le cause di prelazione, sotto il controllo del giudice delegato e del comitato creditori.

La parola “fallito” non si usa più e sono state abolite molte pene accessorie (come l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, etc.), per ridurre lo stigma. L’imprenditore persona fisica può ottenere l’esdebitazione di diritto al termine della liquidazione (se ha cooperato), liberandosi dei debiti residui.

Chiaramente, per il debitore la liquidazione giudiziale è l’esito meno desiderabile: l’impresa viene spenta o venduta a pezzi, l’imprenditore perde il controllo totale, eventuali crediti restano in gran parte insoddisfatti se il patrimonio è insufficiente.

Il Codice della Crisi ha però previsto strumenti per rendere la liquidazione più efficiente e meno penalizzante: ad esempio la esdebitazione dell’ex fallito adesso è quasi automatica (prima era a discrezione), e come detto alcune sanzioni personali sono state tolte.

Inoltre, esiste la possibilità di chiusura anticipata della liquidazione se il debitore trova un accordo con i creditori rimasti o paga almeno il 20% ai chirografari: in tal caso può chiedere la chiusura anche senza soddisfare integralmente i creditori (questo era già nel vecchio art. 118 L.F.).

In conclusione su procedure concorsuali: dal punto di vista del debitore in crisi, gli strumenti concorsuali odierni offrono diverse vie per cercare di evitare la fine ingloriosa della liquidazione giudiziale:

  • Innanzitutto la composizione negoziata per giocarsi una carta di risanamento precoce.
  • Poi, se serve coinvolgimento del tribunale, il concordato preventivo (preferibilmente in continuità) o gli accordi di ristrutturazione omologati con eventuale transazione fiscale.
  • Come ultima spiaggia, se c’è un’offerta, il concordato semplificato post-composizione.
  • Solo in assenza di qualunque soluzione, si va in liquidazione giudiziale.

L’imprenditore deve mantenere un atteggiamento proattivo e trasparente: come consigliato anche dalla legge (obbligo di istituire assetti adeguati, allerta interna), deve monitorare la propria situazione e agire per tempo. Questo è cruciale: prima si interviene (ad es. con piani negoziati, accordi, comp. negoziata), più strumenti di finanza agevolata e di ristrutturazione si possono combinare per salvare l’azienda.

Domande Frequenti (FAQ)

D1: Un’impresa fortemente indebitata può accedere ai contributi a fondo perduto o viene esclusa in quanto “in difficoltà”?
R: Dipende dal tipo di incentivo. Molti bandi pubblici – ad esempio bandi ministeriali MiMIT o regionali cofinanziati da FESR – seguono le regole UE che escludono le “imprese in difficoltà” (definite dall’art. 2 punto 18 del Reg. UE 651/2014) al momento della concessione dell’aiuto, per evitare di sovvenzionare aziende decotte. Ciò significa che se l’impresa ha perdite cumulate che hanno azzerato oltre la metà del capitale sociale (o altri parametri simili, come indebitamento ebitda >7, etc.), potrebbe non essere ammessa ai contributi strutturali ordinari. Tuttavia, esistono importanti eccezioni:

  • Le misure di Pace Fiscale e condono (rottamazioni, stralci) non escludono affatto le imprese in crisi – anzi sono destinate proprio ad esse.
  • I Fondi di salvataggio (Invitalia, regionali) sono rivolti esplicitamente ad imprese in difficoltà; richiedono di norma uno stato di crisi conclamato.
  • Durante il Covid-19, la temporanea sospensione dei vincoli UE ha permesso di aiutare anche imprese in perdita: i ristori Covid 2020-21 furono erogati anche a imprese tecnicamente in difficoltà pre-Covid perché l’UE lo consentì in deroga.

In pratica: sì, un’impresa indebitata può accedere a vari aiuti pubblici. Ad esempio:

  • può aderire alle rottamazioni cartelle o saldo-stralcio a prescindere dallo stato di difficoltà (anzi spesso questi provvedimenti sono rivolti a chi è in crisi);
  • può ottenere i contributi dei fondi crisi (Fondo Salvaguardia, ecc.) se rientra nei criteri, proprio perché riconosciuta in stato di difficoltà;
  • ha potuto incassare i ristori Covid anche se era in perdita ante-Covid, grazie alla deroga emergenziale.

Invece deve fare attenzione nei bandi per nuovi investimenti: lì spesso è richiesta una dichiarazione di non trovarsi in situazione di difficoltà pregressa (salvo autorizzazioni specifiche). Molti bandi escludono formalmente solo chi è in fallimento o liquidazione, ma ammettono chi è in crisi purché abbia avviato un percorso di risanamento. Ad esempio, un’impresa in concordato con continuità può essere ammessa a un bando se dimostra che l’azienda è in esercizio e ha prospettive di rilancio, mentre un’impresa fallita no.

D2: Un’impresa con DURC irregolare (debiti INPS non sanati) può ottenere aiuti pubblici?
R: In generale no, la normativa italiana (ad es. D.L. 34/2019 art. 11-ter) richiede la regolarità contributiva per la fruizione di benefici pubblici. Questo vale per i bonus fiscali, i contributi a fondo perduto e i pagamenti da parte della PA. Ad esempio, se un’impresa ha un DURC negativo per contributi non versati, non può materialmente ricevere un contributo regionale finché non regolarizza, e rischia l’esclusione dal bando. Fanno eccezione quelle misure che servono proprio a sanare i debiti contributivi: per aderire a una rottamazione cartelle o a un saldo e stralcio non serve DURC regolare (anzi, lo scopo è proprio aiutare a ottenerlo). Un’altra eccezione storica: nei ristori Covid 2020-21 il Governo sospese temporaneamente l’obbligo di DURC regolare, erogando contributi a fondo perduto anche a chi era in arretrato contributivo, vista la finalità emergenziale. Ma normalmente, prima dell’erogazione finale di un contributo su bando, l’ente controlla il DURC: se risulta irregolare, concede un breve termine per sanare; se l’impresa non regolarizza, revoca il contributo.

Suggerimento: in caso di debiti INPS, valutare di rateizzarli o rottamarli; quando c’è un piano di rate in corso o una domanda di rottamazione accettata, l’INPS rilascia un DURC provvisorio positivo (c.d. DURC in regola per concordato) che consente comunque di accedere agli incentivi. Questo è fondamentale: se sei indebitato ma vuoi un bando, magari puoi presentare domanda, vincere, e prima dell’erogazione definire i tuoi debiti con l’INPS (così da ottenere il DURC regolare).

D3: I contributi a fondo perduto ottenuti (es. ristori Covid, contributi regionali) sono tassabili per l’impresa?
R: In linea di principio, i contributi pubblici sono componenti positivi di reddito (ricavi o sopravvenienze) e dunque sarebbero tassabili, salvo esenzioni specifiche. Tuttavia, molti contributi recenti sono stati dichiarati esenti per legge: ad esempio i contributi a fondo perduto Covid erogati dall’Agenzia Entrate nel 2020-21 non concorrono alla formazione del reddito imponibile né dell’IRAP. Ciò fu espressamente previsto (art. 25 DL 34/2020 per il primo ristoro) e confermato per i successivi. Anche vari aiuti del PNRR e del FESR sono stati esentati da IRAP/IRES per disposizione di legge (talvolta nelle norme istitutive si legge “il contributo non concorre alla base imponibile”). Quando nulla è previsto, vale la regola generale: il contributo è un ricavo (se correlato a costi d’esercizio) o una sopravvenienza attiva (se riferito a precedenti perdite) quindi tassabile ai fini IRES e IRAP.

Da notare: se il contributo è destinato a finanziare un investimento ammortizzabile, l’impresa può optare per il metodo della riduzione del costo fiscalmente riconosciuto: in pratica può scegliere di abbattere il costo fiscale del cespite di un importo pari al contributo (così evita di contabilizzare un ricavo tassabile immediato, ma avrà minori ammortamenti deducibili futuri). Questa scelta è spesso vantaggiosa per evitare tassazione subito, spalmando l’effetto negli anni.

Quindi, in conclusione: controllate sempre la normativa del contributo. Esempi:

  • Contributo Covid “Rilancio” 2020: esente (non tassato).
  • Contributo regionale FESR: solitamente tassabile, a meno che la Regione abbia previsto diversamente (di solito no).
  • Crediti d’imposta non sono ricavi ma riducono imposte dovute, e se compensati non generano reddito (a volte diventano tassabili indirettamente se considerati in bilancio come proventi, ma insomma in genere il credito d’imposta è un risparmio fiscale, non un reddito).

D4: Cosa succede se un’impresa utilizza male o non rendiconta correttamente un contributo pubblico ricevuto?
R: In caso di mancato rispetto delle condizioni di un contributo, l’Amministrazione dispone la revoca totale o parziale del contributo e ne richiede la restituzione, generalmente con interessi e talvolta con sanzioni amministrative. Esempi:

  • Se un’impresa ottiene un contributo per acquistare un macchinario ma poi non effettua l’investimento nei tempi previsti o rivende subito il bene vincolato, il contributo viene revocato e deve restituirlo integralmente.
  • La revoca è atto dovuto quando vengono meno i requisiti o si riscontrano irregolarità: di solito l’ente erogatore accerta l’inadempimento, notifica l’avvio del procedimento e poi emette provvedimento di revoca intimando la restituzione.
  • Ci sono casi particolari: i contributi Covid, se percepiti indebitamente (ad esempio perché l’azienda non rispettava il calo di fatturato richiesto), dovevano essere restituiti volontariamente o a seguito di controlli; il DL 34/2020 prevedeva sanzioni anche penali se c’è dolo (falso nelle autodichiarazioni). Per cui un uso fraudolento dei ristori comporta responsabilità erariale e potenzialmente denuncia per indebita percezione di erogazioni.
  • Sentenza esemplare: la Corte dei Conti, sez. giur., n. 407/2020, ha confermato la revoca di un contributo e la responsabilità erariale di un’impresa che aveva violato i vincoli di destinazione del finanziamento. Ciò significa che l’impresa è stata condannata a risarcire l’erario dell’importo percepito.
  • Inoltre, alcuni contributi (es. quelli per imprenditoria giovanile, autoimpiego) prevedono un periodo di vincolo durante il quale se l’impresa cessa l’attività entro X anni, scatta la revoca parziale o totale. Spesso con criterio “pro quota decrescente”: se chiudi dopo 1 anno su 5 vincolati, restituisci 4/5.

In sintesi, è fondamentale seguire scrupolosamente le regole di ogni bando: presentare documentazione veritiera, effettuare le spese ammesse, rispettare i tempi, conservare le pezze giustificative, mantenere l’attività per il periodo richiesto. Se no, si rischia di dover restituire soldi magari già spesi, con aggravio di interessi e possibili guai legali.

D5: Un’azienda che ha avviato una procedura di ristrutturazione del debito (concordato, accordo) può comunque richiedere nuovi incentivi?
R: , ma con cautela. Se l’azienda è in concordato preventivo o altra procedura concorsuale, di solito può compiere atti di gestione corrente e straordinaria solo con autorizzazione del Tribunale o del Commissario. Ottenere un contributo a fondo perduto potrebbe essere visto positivamente (perché porta risorse fresche), ma bisogna informare e coinvolgere gli organi della procedura. Dal lato dell’ente erogante, la presenza di una procedura concorsuale non è di per sé causa di esclusione se c’è continuità aziendale: anzi, come visto, alcuni fondi (es. Re-Impresa Lombardia) sono fatti apposta per imprese in concordato o accordo omologato. Però la concessione di un contributo subordinato a una certa stabilità finanziaria potrebbe essere negata o richiedere chiarimenti.

Esempio: un’impresa in concordato in continuità partecipa a un bando regionale per macchinari, vince la selezione. Al momento di stipulare la convenzione di contributo, l’ente chiede conferma che l’azienda non sia in liquidazione – il concordato in continuità non è liquidazione, quindi la condizione è soddisfatta, e si procede magari chiedendo l’autorizzazione del giudice delegato per l’operazione. È opportuno menzionare già nella domanda la situazione (per trasparenza) e soprattutto spiegare come l’incentivo contribuirebbe al piano di risanamento.

In generale, la presenza di un piano di ristrutturazione non preclude gli aiuti, ma può richiedere:

  • Autorizzazioni interne: se si è in concordato o accordo, chiedere al Tribunale di poter contrarre l’obbligo derivante dal contributo (ad es. cofinanziamento, acquisto bene, ecc.). Spesso i giudici autorizzano se vedono utilità per l’impresa.
  • Selezione accurata degli incentivi compatibili: meglio puntare su bandi che finanziano la continuità (innovazione, investimenti di rilancio) piuttosto che contributi che richiedono solidità patrimoniale pregressa. Molte volte nei bandi non c’è un’esplicita esclusione per chi è in concordato, ma se c’è la frase “non devono essere in stato di fallimento o liquidazione” il concordato in continuità può rientrare (non è fallimento né liquidazione).

Da segnalare: nel 2021 il MISE ha escluso inizialmente le imprese in concordato in continuità dai contributi “digital transformation” salvo poi riammetterle con chiarimento, proprio perché in continuità non sono cessate.

D6: Quali rischi comporta ricevere aiuti pubblici per un’impresa indebitata (pignoramenti, compensazioni)?
R: È una domanda frequente: se l’impresa ha debiti e arriva un contributo sul suo conto corrente, i creditori possono pignorarlo?

  • Pignorabilità dei contributi: in passato, i contributi a fondo perduto Covid erano stati dichiarati impignorabili per legge (art. 1 DL 41/2021 conv. L.69/2021), proprio per evitare che finissero ai creditori invece che sostenere l’azienda. C’era una norma ad hoc: “il contributo non è pignorabile”. In genere però, gli aiuti pubblici non godono di impignorabilità intrinseca (a parte quelli assistenziali alle persone, come pensioni minime). Quindi un contributo regionale accreditato su un conto potrebbe essere aggredito da un creditore se il conto è già pignorato o viene pignorato subito dopo. Alcuni bandi risolvono predisponendo conti dedicati non pignorabili finché il contributo non è usato, o erogano su conti vincolati. Ma sono eccezioni. Quindi, consigliabile se sai che ti arriveranno contributi sostanziosi e hai creditori aggressivi: informa il tuo legale per eventualmente chiedere una sospensione del pignoramento in tribunale o trattare coi creditori (facendo presente che sta per arrivare un aiuto e magari offrirne una parte).
  • Compensazioni con debiti fiscali: attenzione al Fisco: la legge consente all’Erario di trattenere crediti verso la PA se l’impresa ha debiti iscritti a ruolo > €5.000. Però per i contributi a fondo perduto Covid fu previsto che non fossero soggetti a compensazione con cartelle (DL 34/2020 lo chiarì). In generale, i contributi e incentivi non vengono compensati automaticamente con debiti fiscali (non sono pagamenti da PA soggetti a art. 48bis DPR 602/73, ecc.), a meno che non siano essi stessi crediti d’imposta: quelli sì che se un’impresa vanta un credito d’imposta, Equitalia può compensarlo con debiti a ruolo ex art. 31 D.L.78/2010. Ma un contributo erogato via bonifico no, viene erogato per intero.

Quindi, il rischio principale rimane il pignoramento da parte di creditori privati terzi se i soldi finiscono su un conto su cui hanno azioni esecutive attive. Soluzioni:

  • Informare il giudice dell’esecuzione che quell’importo ha natura di contributo pubblico finalizzato a X, talvolta si ottengono sospensioni umanitarie.
  • Impugnare eventuale pignoramento presso terzi sostenendo trattarsi di somme con destinazione vincolata pubblica (argomento spesso non accolto, ma tentabile).
  • Meglio ancora: se si prevedono incassi, cercare un accordo con i creditori: “se mi lasci il contributo, con quello posso pagarti in parte”.

D7: Come può un’impresa indebitata orientarsi per trovare tutte le agevolazioni a cui ha diritto?
R: Il panorama è variegato e in continua evoluzione. Strumenti utili:

  • Il portale istituzionale Incentivi.gov.it gestito dal MiMIT, che cataloga per categoria e territorio le agevolazioni disponibili. È un buon punto di partenza, anche se è focalizzato più su incentivi di sviluppo (investimenti, innovazione) che su misure di crisi.
  • I siti web delle Regioni (sezione bandi e finanziamenti) e delle Camere di Commercio locali, dove vengono pubblicati i bandi attivi locali. Molte CCIAA offrono voucher digitali, bandi per fiere, ecc.
  • Professionisti specializzati in finanza agevolata (commercialisti, consulenti) e associazioni di categoria: spesso forniscono elenchi aggiornati di incentivi. Ad esempio, Confcommercio, Confindustria, CNA hanno vademecum online con i vari bonus e aiuti attivi e forniscono assistenza nella presentazione.
  • Monitorare la normativa corrente: ogni Legge di Bilancio e ogni Decreto “Aiuti” introduce o rifinanzia misure. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2024 (L.197/2023) ha prorogato alcuni crediti d’imposta energetici e rifinanziato la Nuova Sabatini, mentre la Legge di Bilancio 2025 ha introdotto la ZES unica con nuovi incentivi per il Sud. Bisogna quindi seguire le notizie normative (per questo associarsi a newsletter dedicate può aiutare, come quella di Il Sole 24 Ore “Norme e Tributi”).
  • Infine, per le imprese in crisi conclamata, rivolgersi al Settore Crisi d’Impresa della Camera di Commercio locale: oltre a nominare l’esperto per la composizione negoziata, spesso offrono orientamento su bandi e strumenti. Ad esempio, alcune Camere gestiscono voucher per pagare le spese dell’esperto o segnalano i bandi Re-Impresa regionali, ecc..

In breve: combinare fonti ufficiali (portali governativi, Gazzetta Ufficiale, bollettini regionali) con l’esperienza di consulenti dedicati. Non trascurare neanche la rete dei Confidi e cooperative di garanzia locali: spesso sanno indirizzare a bandi regionali e offrono anche micro-finanziamenti ponte.

D8: Conviene aspettare un condono di legge o pagare subito i debiti?
R: Dilemma comune, specie dopo periodi in cui sono stati varati condoni (“pace fiscale”). La risposta varia caso per caso:

  • Se l’azienda ha sufficiente liquidità, pagare tempestivamente tasse e contributi evita accumulo di interessi e sanzioni, e soprattutto permette di ottenere immediatamente DURC positivo, partecipare senza problemi a gare, ottenere credito senza vincoli. Inoltre, si evita l’incertezza di affidare al legislatore la soluzione della propria crisi, che può non arrivare.
  • Tuttavia, se la situazione è tale che l’azienda non può pagare tutto, sfruttare i condoni quando ci sono è ragionevole. La storia recente mostra che condoni generalizzati sono eventi eccezionali: ne abbiamo avuti nel 2019 e poi nel 2023, ma non è detto ve ne siano altri a breve (si parla di una “rottamazione-quater-bis” nel 2025, ma è in discussione). Il rischio di aspettare sperando in condoni è che nel frattempo le posizioni peggiorino: maturano more, ti arrivano cartelle, ti bloccano il DURC, ecc.
  • Quindi il consiglio è: se puoi regolarizzare con piani ordinari o straordinari adesso, fallo; se però il debito è talmente sproporzionato che l’azienda rischia la chiusura, può considerare strumenti come il concordato preventivo o la composizione negoziata, attraverso cui ottenere comunque degli stralci legalmente approvati, senza dover sperare in un condono legislativo futuro. In altre parole, puoi crearti il tuo “condono” su misura via tribunale (transazione fiscale in concordato), invece di aspettare il condono di legge.
  • Tieni presente che alcune misure come la rateazione straordinaria in 120 rate con l’Agenzia Riscossione richiedono di provare lo stato di difficoltà (indice di liquidità <1 o altro), ma in cambio danno respiro di 10 anni senza bisogno di nuove leggi. Quindi se hai i requisiti, puoi diluire in 10 anni subito, senza dover attendere condoni futuri incerti.

In sintesi, non c’è garanzia di futuri condoni, quindi ogni decisione va ponderata con professionisti. Valuta sempre l’effetto “wait”: nel frattempo possono arrivare pignoramenti, fermi amministrativi, ecc. Spesso è meglio attivarsi con gli strumenti esistenti (rateazioni, accordi coi creditori) piuttosto che stare fermo aspettando la manna dal cielo. Sfruttare i condoni quando ci sono è giusto (se non riesci a pagare per intero), ma come piano d’azione aziendale contare su condoni periodici è pericoloso.

D9: I soci o i garanti personali beneficiano dei condoni ottenuti dall’impresa?
R: Se l’impresa è una società di capitali, i condoni agiscono sui debiti sociali (verso Erario, INPS) e non hanno effetti diretti sui soci. Ad esempio, se la Srl Alfa rottama le sue cartelle, lo sconto riguarda il debito della Srl; i soci non erano obbligati su quei debiti comunque, quindi la rottamazione li tocca solo indirettamente per il miglioramento della società.

Tuttavia, se i soci avevano garantito personalmente un debito bancario dell’azienda, la moratoria o rinegoziazione concessa all’azienda giova anche a loro: evita l’escussione immediata delle garanzie personali e se il debito viene poi ristrutturato e pagato dall’azienda secondo piano, i soci-garanti si liberano. Quindi, pur non essendo condoni in senso tecnico, le misure di ristrutturazione aziendale proteggono pure i garanti.

Se invece l’impresa è individuale o i soci di una SNC hanno debiti fiscali personali (IVA per ditte individuali, IRPEF soci di società di persone), possono aderire alle definizioni agevolate come persone fisiche. Esempio: le cartelle a nome dell’imprenditore individuale per IRPEF o IVA possono essere rottamate con gli stessi benefici di una società.

Importante: la rottamazione e il saldo-stralcio non coprono eventuali reati tributari già commessi (tipo dichiarazione fraudolenta, occultamento di fatture, ecc.). Coprono solo l’aspetto amministrativo del debito. Quindi, un amministratore che abbia commesso reato di omesso versamento IVA rimane punibile, ma – attenzione – se paga il dovuto tramite rottamazione nei termini, estingue il reato per specifica previsione del D.Lgs. 74/2000 (se l’omesso versamento era <€250k e paga tutto prima sentenza). In pratica, i condoni possono avere riflessi positivi anche sul penale tributario del legale rappresentante: se il pagamento, anche agevolato, avviene nei termini di legge, in alcuni casi estingue il reato.

Quindi:

  • Soci di SpA/Srl: beneficiano indirettamente perché l’azienda risana i propri debiti e preserva valore, ma non sono debiti loro.
  • Garanti personali (soci garanti o terzi garanti): beneficiano delle moratorie e ristrutturazioni perché le banche sospendono azioni anche verso di loro se il debitore principale è agevolato.
  • Imprenditori individuali/soci SNC: loro i debiti fiscali li hanno in proprio, quindi condoni li riguardano direttamente, possono aderirvi personalmente.

D10: Se un’impresa ha già ottenuto aiuti di Stato, può ottenerne altri o c’è un limite?
R: In generale può ottenerne altri, però devono rispettarsi i limiti dei vari regimi di aiuto:

  • Se sono aiuti in regime de minimis, c’è un limite generale di €200.000 su tre esercizi finanziari (portato a €300.000 dal 2024). Quindi tutti gli aiuti de minimis ricevuti (es. piccoli contributi regionali, microcredito, etc.) si sommano e non devono superare quella soglia. Se hai ottenuto già 200k in de minimis, un nuovo aiuto de minimis potresti non poterlo prendere se sfori.
  • Ci sono eventuali limiti di cumulo: un costo non può essere finanziato oltre il 100% dalla somma di più aiuti. Ad esempio, non puoi cumulare sullo stesso investimento un contributo regionale e un credito d’imposta se superano insieme il costo del bene. Ogni bando di solito specifica se è cumulabile con altre agevolazioni sulle stesse spese.
  • Alcuni bandi escludono chi ha già preso certi bonus per lo stesso scopo. Esempio: non puoi cumulare due contributi per la stessa macchina; oppure se hai già avuto il voucher digitalizzazione nazionale non puoi chiedere quello regionale sullo stesso progetto.
  • Il Registro Nazionale Aiuti (RNA) consente alle PA di vedere lo storico di ogni impresa per verificare cumuli.
  • Non c’è un tetto generico al numero di aiuti che puoi prendere: puoi prendere contributi in serie, purché ognuno rispetti le sue regole e non superi i massimali cumulativi.
  • Un aspetto particolare: i ristori Covid dal 2020 al 2022 erano soggetti a un massimale per impresa (diversi massimali per diverse sezioni del Temporary Framework: es. €1,8 mln per ristori, €10 mln per aiuti a costi fissi, etc.). Le aziende hanno dovuto autodichiarare di non superare quelle soglie sommando i vari aiuti Covid ricevuti. Chi avesse superato è tenuto a restituire l’eccedenza (lo Stato sta inviando richieste in questi mesi).

Quindi, prima di chiedere nuovi aiuti, conviene sempre fare un check del cumulo:

  • Controlla quanti de minimis hai usato nel triennio.
  • Se hai già crediti d’imposta su certi costi, verifica di non chiederci anche contributi, se non espressamente cumulabili.
  • Tieni traccia in RNA di tutti i tuoi aiuti e, se devi autodichiarare (come per i Covid), fallo accuratamente.

In sintesi: puoi prendere più aiuti, ma ogni aiuto nuovo deve essere compatibile con i precedenti. Il caso tipico: un’impresa innovativa potrebbe ricevere un de minimis, un GBER su ricerca, un credito d’imposta, ecc. Nessun problema finché ognuno è dentro i suoi limiti. Ma se, ad esempio, un’azienda ha già saturato il de minimis con vari contributi, deve attendere che passino gli anni di riferimento o cercare aiuti su altri regimi (es. GBER regionale). Le PA al momento della concessione chiedono autodichiarazione sugli aiuti già avuti: è cruciale compilarla con precisione. Non dichiarare un aiuto già ricevuto può comportare revoca per dichiarazione mendace.

Conclusioni

Abbiamo esplorato l’articolato panorama dei contributi a fondo perduto e delle altre misure di sostegno disponibili in Italia per le imprese indebitate, aggiornato a metà 2025. Emerge un quadro complesso ma con alcuni punti fermi:

  • Maggiore attenzione del legislatore verso le imprese in difficoltà: Negli ultimi anni, complice anche la crisi pandemica, sono stati ampliati gli strumenti per aiutare le imprese in crisi, cercando un equilibrio tra esigenze erariali (recuperare gettito) e tutela del tessuto produttivo. La Pace Fiscale 2023-25 rappresenta uno sforzo significativo di tregua, offrendo alle imprese vie d’uscita da situazioni debitorie altrimenti insanabili. Parallelamente, l’evoluzione del diritto concorsuale (nuovo CCII) mostra un orientamento favorevole al rescue: la presenza di misure premiali e la collaborazione di Agenzia Entrate e INPS nelle procedure negoziate (transazione fiscale) segnalano che l’ordinamento oggi vuole cercare di mantenere in attività l’impresa quando possibile.
  • Attivismo delle Regioni, ma con disparità territoriali: Le Regioni sono diventate attori chiave nel sostegno a realtà locali in crisi, spesso supplendo con interventi su misura dove le misure nazionali non arrivano. Abbiamo visto esempi virtuosi (Lombardia, Piemonte, Toscana) che hanno integrato diversi strumenti innovativi: voucher consulenze crisi, fondi WBO, bandi reindustrializzazione, ecc. Tuttavia ciò comporta disparità: un’azienda indebitata in regioni “virtuose” potrebbe trovare più aiuti rispetto a chi opera altrove. Sarebbe auspicabile un maggior coordinamento nazionale e la diffusione delle best practice regionali a macchia d’olio per uniformare le opportunità.
  • L’Unione Europea pervade tutto il sistema: Oltre a finanziare i programmi citati, l’UE detta i perimetri entro cui si muovono gli aiuti nazionali. Ad esempio, i condoni fiscali sono possibili grazie a una certa tolleranza UE (sull’IVA), gli aiuti di Stato devono muoversi entro linee guida approvate (vedi Fondo Salvaguardia autorizzato da Bruxelles con condizioni). Nei prossimi anni la sfida sarà usare al meglio le risorse del PNRR e dei nuovi fondi di coesione 2021-27 per rafforzare le imprese, evitando però che nuovi indebitamenti (ad es. per investimenti green/digitali necessari) aggravino posizioni finanziarie già fragili. A tal fine, sarebbe opportuno prevedere sempre una quota di fondo perduto negli strumenti pubblici, soprattutto per chi parte svantaggiato, come segnalato anche da associazioni di categoria.
  • Approccio giuridico-pratico per l’impresa indebitata: I debtors dovrebbero seguire una sorta di road-map:
    1. Mappare i propri debiti per categoria ed ente (quanto a Agenzia Riscossione, quanto a banche, fornitori, INPS, ecc.).
    2. Verificare le soluzioni agevolate attive per ciascuna categoria: rottamazione per i debiti fiscali, saldo-stralcio contributi, moratorie o piani ABI per banche, ecc..
    3. Adempiere ai requisiti formali per accedere agli aiuti: ottenere DURC regolare (anche con stratagemmi leciti tipo rateizzazioni), essere iscritti a registri se richiesto, presentare domande nei termini.
    4. Simulare un piano di rientro con e senza aiuti, per capirne l’impatto: spesso la chiave è combinare più misure (es. condono fiscale + finanziamento garantito + contributo regionale) per uscirne.
    5. Coinvolgere professionisti esperti (legali, commercialisti, consulenti del lavoro) che conoscano sia la normativa sia la prassi degli enti eroganti, per evitare errori procedurali o perdita di opportunità.

In conclusione, il sistema italiano mette a disposizione delle imprese indebitate una sorta di “cassetta degli attrezzi” completa: dalla riduzione del dovuto pregresso (condoni, transazioni fiscali), all’immissione di nuova finanza agevolata (prestiti garantiti, contributi a fondo perduto per investimenti), fino a contributi e incentivi per ripartire su basi sane. Non è sempre semplice orientarsi né ottenere risultati immediati – la tempistica è cruciale (alcuni bandi richiedono mesi per erogare, mentre la crisi incalza). Però, con pianificazione e assistenza qualificata, un numero crescente di imprese sta riuscendo ad evitare il default e a tornare competitive, sfruttando le misure qui descritte. Il quadro è in continuo divenire: il 2025 potrebbe portare ulteriori sviluppi (possibili nuove rottamazioni, evoluzioni del PNRR, reazioni alle sfide internazionali), quindi è importante tenersi costantemente informati sulle novità normative.


Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate

Normativa nazionale (leggi e decreti):

  1. Legge 29 dicembre 2022 n. 197 (Bilancio 2023) – commi 153-252 in materia di “Tregua Fiscale” (stralcio mini-debiti, rottamazione-quater, definizione liti tributarie, ravvedimento speciale, ecc.).
  2. D.L. 14 gennaio 2023 n. 11 (conv. L. 23/2023) – Interventi correttivi alla pace fiscale 2023 (proroghe termini adesione rottamazione-quater al 30/6/2023; chiarimenti tecnici).
  3. D.L. 10 ottobre 2023 n. 146 (conv. L. 15/2025) – Ulteriori proroghe rottamazione (prime rate uniformate al 15/3/2024) e riammissione decaduti (istanza entro 30/4/2025, pagamento entro 31/7/2025).
  4. D.L. 18/2020 “Cura Italia” art. 56 – Moratoria straordinaria mutui/leasing PMI durante Covid.
  5. D.L. 23/2020 “Liquidità” artt. 1-13 – Potenziamento Fondo Garanzia PMI (garanzia 90-100%) e istituzione Garanzia Italia SACE.
  6. D.L. 34/2020 “Rilancio” art. 25 – Contributo a fondo perduto Covid (Agenzia Entrate) esentasse; art. 43 – Istituzione Fondo Salvaguardia Imprese Invitalia.
  7. D.L. 41/2021 “Sostegni” art. 1 – Contributo fondo perduto Sostegni (€11 mld, impignorabile); art. 37 – Fondo Grandi Imprese in temporanea difficoltà (€400 mln).
  8. D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) – Misure urgenti crisi d’impresa: introduce Composizione Negoziata e relative misure premiali fiscali (non tassabilità riduzioni debiti ex art. 88 co.4-ter TUIR, riduzione sanzioni interessi).
  9. D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi) – in vigore dal 15 luglio 2022: disciplina concordato preventivo, accordi ristrutturazione (artt. 56-64), transazione fiscale (artt. 63, 88), liquidazione giudiziale, ecc. Modificato da D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 83/2022 (“Correttivo bis”) e D.Lgs. 136/2024 (“Correttivo ter”).
  10. Legge 208/2015 (Stabilità 2016) art. 1 c. 199-202 – Istituzione Fondo PMI vittime di mancati pagamenti (MiMIT).
  11. D.M. MiSE 17 ottobre 2016 – Criteri attuazione Fondo vittime mancati pagamenti (G.U. 290/2016).
  12. Legge 49/1985 (Legge Marcora) e s.m.i. – interventi a favore di società cooperative costituite da lavoratori di imprese in crisi (WBO), con Fondo CFI.
  13. Legge 145/2018 (Bilancio 2019) commi 184-199 – “Saldo e stralcio” per contribuenti in difficoltà (prima edizione, poi ripresa nel 2023).
  14. Legge 234/2021 (Bilancio 2022) commi 910-926 – Definizione agevolata avvisi bonari 2017-18; proroga Decontribuzione Sud al 2023 (autorizzazione UE SA.101134).
  15. Legge 197/2023 (Bilancio 2024) – Rifinanziati Sabatini (€300 mln), Transizione 4.0 (proroga crediti R&S), Fondi PNRR; introdotta ZES Unica Sud con credito d’imposta investimenti 2024-25.
  16. D.L. 34/2019 (Decreto Crescita) art. 37 – Misure a tutela fornitori in Amministrazione Straordinaria: accesso prioritario a Fondo Garanzia PMI.
  17. D.L. 34/2019 art. 11-ter (conv. L. 58/2019) – Obbligo DURC regolare per fruizione benefici (trattenuta pagamenti PA se debiti >€5k), poi ripreso da DL 76/2020 e DL 77/2021.
  18. Leggi regionali e delibere esemplificative: es. L.R. Friuli-VG 3/2020 art. 5 (contributi Covid FVG, limitazione illegittima sede unica, caso Cons. Stato 1760/2023); DGR Lombardia XI/5480/2021 (Bando Re-Impresa); DGR Piemonte 9-2916/2021 (Bando acquisizione aziende in crisi); DGR Toscana 642/2021 (Fondo emergenza moda).

Normativa UE e orientamenti:

  1. Regolamento (UE) 651/2014 (GBER) art. 2(18) – Definizione di “impresa in difficoltà” (perdita capitale sociale >50% e altre condizioni).
  2. Comunicazione Commissione 2014/C 249/01 – Orientamenti UE sugli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà (criteri per autorizzare aiuti di Stato a imprese in crisi).
  3. Comunicazione Commissione 2020/C 91 I/01Temporary Framework Covid-19 (massimali €800k poi €1,8 mln per aiuti, garanzie 100%, ecc.), successive modifiche (C 112 I/01, C 340 I/01 aumento massimali).
  4. Comunicazione Commissione 2022/C 131 I/01Temporary Crisis Framework guerra Ucraina (aiuti settoriali e costi energetici, massimali fino €2 mln per impresa), poi esteso in Temporary Crisis and Transition Framework fino 31/12/2025.
  5. Direttiva (UE) 2019/1023 – Quadri di ristrutturazione preventiva e insolvenza (recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 83/2022). Introduce novità come cram-down interclassi, tutela nuova finanza, esdebitazione facilitata.

Giurisprudenza nazionale:

  1. Corte Costituzionale n. 245/2019 – Ha dichiarato incostituzionale il divieto di falcidiare l’IVA nelle procedure di sovraindebitamento (L.3/2012 art. 7 co.1 terzo periodo) perché contrastante col principio di uguaglianza e non più richiesto dal diritto UE. Sentenza che ha aperto la strada alla falcidia IVA anche nei concordati (poi recepita dal DL 125/2020).
  2. Cassazione Civile, Sez. Unite, n. 8500/2021 – Ha confermato la possibilità di omologare il concordato con transazione fiscale anche in caso di voto contrario/silenzio dell’Erario, introducendo di fatto il cram-down fiscale. Riconosce natura concorsuale agli accordi di ristrutturazione omologati equiparandoli per alcuni effetti alle procedure concorsuali.
  3. Cassazione Penale, Sez. III, n. 4175/2021 – (E altre conformi) Ha esteso la causa di non punibilità per pagamento del debito tributario (art. 13 D.Lgs. 74/2000) anche al caso di pagamento parziale approvato in concordato/accordo, se conforme ai requisiti di legge.
  4. Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. 21 febbraio 2023 n. 1760 – Ha annullato criteri discriminatori in un bando FVG emergenza Covid che limitavano il contributo alle sole imprese con sede legale e operativa unica in regione, ritenendo arbitraria tale restrizione rispetto allo scopo dell’aiuto. Principio: criteri di aiuto devono essere oggettivamente collegati allo stato di bisogno, non introdurre paletti irragionevoli (qui violazione principi concorrenza e parità trattamento).
  5. Corte dei Conti, Sez. giur. Lombardia, sent. 22 dicembre 2020 n. 407 – Caso di contributo pubblico revocato: l’amministratore di una società che aveva distratto le somme vincolate è stato condannato a rifondere l’erario per danno erariale. Conferma che l’uso indebito di fondi pubblici genera responsabilità e la revoca è legittima.
  6. TAR Lazio, sent. 9285/2021 (ipotetica) – Richiamata come scenario possibile: un’impresa esclusa da un bando per DURC irregolare farebbe ricorso, ma i TAR hanno costantemente ritenuto legittima l’esclusione per mancanza di regolarità contributiva (salvo il caso dei ristori Covid dove la norma ha derogato).
  7. Cassazione Civ., Sez. I, n. 1182/2022 – (E altre) Sulla responsabilità dell’attestatore: ha sancito che l’attestatore risponde civilmente dei danni causati da attestazioni negligenti ai creditori (es. se certifica fattibilità di un piano manifestamente inattuabile che poi sfocia in fallimento aggravando il passivo).
  8. Cassazione Civ., Sez. I, n. 8506/2022 – Sulla prededucibilità dei finanziamenti autorizzati in composizione negoziata e concordato in bianco: conferma che godono di prededuzione anche se la procedura sfocia poi in fallimento.
  9. Cassazione Civ., Sez. I, n. 25387/2021 – Ha riconosciuto la natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione omologati, affermando che l’omologazione produce effetti similari ad una sentenza dichiarativa (per es. su revocatorie).
  10. Cass. Civ., Sez. Un., n. 1216/2021 – Sui rapporti tra concordato preventivo e misure cautelari: ha stabilito che il sequestro conservativo pre-concordato non può protrarsi su beni oggetto di concordato omologato, essendo la procedura concorsuale a prevalere.

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Molti imprenditori pensano che una PMI in crisi sia automaticamente esclusa da incentivi pubblici, bandi o agevolazioni. In realtà, anche un’azienda che sta attraversando un momento difficile può accedere a strumenti di finanza agevolata, purché rispetti determinati requisiti e presenti un progetto credibile di rilancio.

Oggi sono disponibili contributi a fondo perduto, finanziamenti agevolati, crediti d’imposta e bandi regionali dedicati a:

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  • Formazione del personale e supporto all’occupazione
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La chiave è sapere quali misure sono compatibili con la tua situazione e come presentare la domanda nel modo corretto.


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Conclusione

Essere in crisi non significa essere esclusi dai finanziamenti pubblici.
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