Debiti e Creditori nel Sovraindebitamento

Hai troppi debiti, non riesci più a gestirli e ti stai chiedendo come funziona il rapporto con i creditori nel sovraindebitamento? Ti chiedono pagamenti che non puoi sostenere, minacciano pignoramenti o segnalazioni e non sai da dove cominciare per riprendere il controllo?

Il sovraindebitamento è una situazione in cui i debiti sono diventati superiori alla reale capacità di rimborso. Ma oggi, grazie alla legge, anche chi si trova in gravi difficoltà può riorganizzare o cancellare i propri debiti, bloccando le azioni dei creditori e ricominciando da capo.

Cosa succede ai creditori se attivi una procedura da sovraindebitamento?
– Vengono bloccate le azioni esecutive, come pignoramenti o ipoteche
– Ogni richiesta di pagamento deve passare per il tribunale
– I creditori devono accettare un piano, se approvato dal giudice
– In alcuni casi possono anche perdere una parte o l’intero credito
– Non possono più agire in modo individuale, ma solo all’interno della procedura

Devi pagare tutti i debiti per forza?
No. La legge ti consente di proporre:
– Un piano del consumatore, se sei un privato
– Un accordo con i creditori, se sei un imprenditore minore
– Una liquidazione controllata, se non puoi offrire un pagamento
– Un’esdebitazione anche senza pagare nulla, se sei incapiente ma in buona fede

Quali debiti si possono inserire nella procedura?
– Debiti bancari e finanziari
– Cartelle esattoriali e imposte
– Bollette e forniture
– Debiti verso privati, familiari, ex coniugi
– Debiti verso fornitori, dipendenti, enti previdenziali

Cosa succede se alcuni creditori non vogliono aderire?
Se il piano è approvato dal giudice, diventa obbligatorio anche per chi non ha dato il consenso. Questo è uno degli aspetti più potenti della procedura: non serve l’accordo unanime per ottenere la ristrutturazione o la cancellazione dei debiti.

È possibile mantenere la casa o i beni essenziali?
Sì. In molti casi puoi:
– Escludere la casa dal piano
– Impedire il pignoramento se il bene è necessario alla vita o all’attività
– Offrire ai creditori un pagamento sostenibile senza perdere tutto

Cosa NON devi fare con i creditori in caso di sovraindebitamento?
– Accettare accordi verbali o pagamenti a caso
– Firmare nuovi finanziamenti per coprire quelli vecchi
– Nascondere beni o cedere proprietà in modo irregolare
– Aspettare il pignoramento per reagire

Come funziona il rapporto con i creditori una volta attivata la procedura?
Tutto passa dal tribunale o dall’Organismo di Composizione della Crisi. I creditori vengono convocati, esprimono le loro osservazioni e il giudice decide sulla fattibilità del piano. Una volta omologato, nessuno potrà più chiederti altro.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in procedure di sovraindebitamento e tutela del debitore – ti spiega cosa succede ai debiti e ai creditori quando attivi una procedura, quali strumenti puoi usare e come uscire legalmente da una situazione ormai fuori controllo.

Hai debiti che non riesci più a pagare e creditori sempre più aggressivi? Vuoi sapere se puoi bloccarli e riorganizzare tutto in modo sostenibile?

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Introduzione

Il sovraindebitamento indica la situazione in cui una persona (o piccola impresa non fallibile) si trova nell’impossibilità di pagare regolarmente i propri debiti, a causa di un perdurante squilibrio tra obbligazioni assunte e risorse economicamente disponibili. In Italia, a partire dalla Legge 3/2012, esiste un insieme di procedure legali pensate per affrontare queste situazioni, consentendo al debitore onesto ma sfortunato di ristrutturare o cancellare i debiti insostenibili. Tali procedure sono state recentemente integrate e innovate nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019), entrato pienamente in vigore nel 2022.

Dal punto di vista del debitore, queste procedure rappresentano un “salvagente” per uscire da una spirale debitoria: consentono di bloccare pignoramenti ed esecuzioni in corso, di ridurre o dilazionare i debiti secondo le possibilità effettive, e infine di ottenere l’esdebitazione, ovvero la liberazione dai debiti residui non pagati. Al contempo, si assicurano garanzie ai creditori, imponendo al debitore trasparenza, correttezza e il massimo sforzo possibile per soddisfare i crediti secondo un principio di equità. In questa guida affronteremo in dettaglio tutte le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dall’ordinamento italiano al giugno 2025, con un taglio sia pratico che giuridico avanzato, aggiornato con le ultime novità normative e giurisprudenziali.

Struttura della guida: dopo aver delineato il quadro normativo e i soggetti ammessi, esamineremo le singole procedure (il Piano del consumatore, il Concordato minore, la Liquidazione controllata e la speciale esdebitazione per incapienti), evidenziandone requisiti, funzionamento, vantaggi e limiti. Saranno illustrate situazioni particolari (ad esempio gestione di debiti fiscali o con banche, il caso degli ex imprenditori fallibili, ecc.) e riportate le sentenze più recenti che chiariscono punti controversi. Troverete inoltre tabelle riepilogative per confrontare le procedure, una sezione Domande & Risposte per i quesiti frequenti, nonché alcune simulazioni pratiche (casi concreti esemplificativi) dal punto di vista del debitore. Il linguaggio utilizzato sarà giuridico ma con intento divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a privati e imprenditori che vogliono capire come difendersi dai debiti in maniera legale e definitiva.

Quadro Normativo e Definizioni

La disciplina del sovraindebitamento in Italia nasce con la Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (“Legge 3/2012”), che per la prima volta ha introdotto procedure concorsuali semplificate per i soggetti esclusi dal fallimento (come i privati consumatori e i piccoli imprenditori). Questa legge è stata in vigore fino al 2022 e ha permesso migliaia di accordi e piani di ristrutturazione, acquisendo una significativa giurisprudenza interpretativa. Dal 15 luglio 2022, la Legge 3/2012 è stata abrogata e assorbita nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), adottato con D.lgs. 14/2019 in attuazione della legge delega 155/2017. Gli articoli 65-83 CCII disciplinano oggi le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, mentre gli articoli successivi regolano la liquidazione controllata e l’esdebitazione del debitore.

Le definizioni chiave sono fissate dall’art. 2 CCII. In particolare, per sovraindebitamento si intende lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, nonché di ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale (cioè non fallibile). Questa ampia definizione chiarisce che rientrano nell’ambito del sovraindebitamento tutti i debitori non soggetti alle ordinarie procedure concorsuali (fallimento/liquidazione giudiziale o concordato preventivo), includendo:

  • il consumatore, cioè la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa (debiti personali o familiari);
  • il professionista (es. liberi professionisti come avvocati, medici, ecc., non soggetti a fallimento);
  • l’imprenditore minore, ossia l’imprenditore commerciale che rientra nelle soglie di non fallibilità previste dall’art. 1 L.Fall. (riprese ora dall’art. 2 CCII);
  • l’imprenditore agricolo (espressamente escluso dal fallimento dall’art. 1 L.Fall., ma incluso nel sovraindebitamento);
  • enti e altri debitori non fallibili, come ad esempio le associazioni non riconosciute, le start-up innovative (che godono di una temporanea non fallibilità) e in genere “ogni altro debitore” non soggetto a liquidazione giudiziale.

Va evidenziato che il Codice della Crisi non solo ha unificato la normativa, ma ha introdotto importanti novità rispetto alla vecchia legge 3/2012, tra cui: l’abbassamento della soglia di voto per l’accordo (ora concordato minore) al 50% dei crediti favorevoli (prima era 60%); la possibilità di presentare una procedura familiare unitaria per membri della stessa famiglia con indebitamento comune; l’introduzione della esdebitazione del debitore incapiente (il c.d. “fresh start” a costo zero) per i casi in cui il debitore non abbia nulla da offrire ai creditori; il rafforzamento del principio di meritevolezza con criteri più oggettivi (abbandonando le valutazioni eccessivamente punitive previgenti); e l’estensione del periodo di possibile moratoria nel pagamento dei creditori privilegiati (da 1 anno ad 2 anni nel piano del consumatore, grazie alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 136/2024). Tutte queste innovazioni mirano a rendere le procedure più efficaci e accessibili, bilanciando il fresh start del debitore con la tutela delle ragioni dei creditori.

Di seguito approfondiremo le categorie di soggetti ammessi e i requisiti generali per accedere al sovraindebitamento, prima di esaminare nel dettaglio ciascuna procedura.

Soggetti Ammessi e Requisiti di Accesso

Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento? In sintesi, tutti i debitori civili o commerciali non fallibili possono usufruirne. Vediamo i principali soggetti ammessi e le condizioni:

  • Consumatore: persona fisica con debiti contratti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. È l’unico soggetto che può proporre il Piano del consumatore, beneficiando di una procedura senza voto dei creditori. Il Codice definisce il consumatore come colui che ha debiti “esclusivamente” estranei all’impresa; tuttavia, la giurisprudenza recente tende a interpretare tale requisito in modo non rigorosamente letterale, ammettendo come consumatore anche chi abbia debiti misti (in parte professionali) purché le obbligazioni di natura personale/familiare siano prevalenti o comunque le difficoltà derivino essenzialmente da queste ultime. Ad esempio, un ex imprenditore che abbia cessato l’attività e i cui debiti residui riguardano principalmente finanziamenti personali potrebbe essere considerato consumatore limitatamente a tali debiti personali. Resta escluso invece l’accesso al piano del consumatore se i debiti da attività d’impresa sono significativi e direttamente legati all’attività stessa ancora in essere (in tal caso si dovrà ricorrere al concordato minore).
  • Imprenditore minore (o piccolo imprenditore): è l’imprenditore commerciale che non supera le soglie di fallibilità. Le soglie attualmente previste (riprendendo la previgente legge fallimentare) sono: debiti totali sotto 500.000 €, ricavi lordi annuali sotto 200.000 € (in ciascuno degli ultimi 3 esercizi) e attivo patrimoniale sotto 300.000 €. Se anche uno solo di questi limiti viene superato, l’imprenditore è considerato fallibile e in caso di insolvenza dovrebbe attivare le procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo o liquidazione giudiziale). Al contrario, chi rimane entro tutti i parametri è qualificato come piccolo imprenditore (imprenditore minore) e può accedere alle procedure di sovraindebitamento. Esempio: un artigiano con €100.000 di debiti, €150.000 di ricavi annui e €80.000 di beni rientra nelle soglie e può usare il piano del consumatore (se persona fisica) o il concordato minore; una società con 1 milione di debiti e attivo di 600.000 € invece no, dovrà valutare un concordato preventivo ordinario. Si noti che le soglie riguardano solo gli imprenditori commerciali: professionisti e imprenditori agricoli possono accedere al sovraindebitamento a prescindere dal volume d’affari o debiti, perché per loro non vale la distinzione fallibile/non fallibile.
  • Imprenditore agricolo: gli imprenditori agricoli (coltivatori diretti, aziende agricole) sono per legge esclusi dal fallimento, indipendentemente da dimensioni e debiti (art. 1 LF), quindi rientrano sempre nel sovraindebitamento. Possono utilizzare in particolare il concordato minore o la liquidazione controllata. Esempio: un’azienda agricola con debiti per 800.000 € non può essere dichiarata fallita, ma può proporre un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 74 CCII (concordato minore).
  • Lavoratori autonomi e Professionisti: avvocati, commercialisti, medici, artisti, start-up innovative e in generale titolari di posizioni debitorie derivanti da attività professionale autonoma. Non essendo soggetti a fallimento, possono accedere alle procedure di sovraindebitamento senza limiti di fatturato. Un professionista con milioni di debiti fiscali o verso fornitori, ad esempio, può proporre un concordato minore o chiedere la liquidazione del patrimonio per poi esdebitarsi.
  • Enti non profit e altri soggetti non fallibili: associazioni, fondazioni non commerciali, condomini, etc. Anche costoro, se indebitati oltre misura, possono utilizzare queste procedure. Ad esempio, un’associazione culturale sommersa dai debiti potrebbe cercare un accordo con i creditori ex legge 3/2012 (ora concordato minore) per evitare azioni esecutive.
  • Soci illimitatamente responsabili: i soci di SNC, SAS (illimitatamente responsabili) in caso di insolvenza della società rispondono coi propri beni. Essi stessi possono accedere al sovraindebitamento se non soggetti a fallimento individuale. Di regola un socio di SNC commerciale sopra soglia è fallibile insieme alla società; ma se la società è di piccole dimensioni, anche il socio potrebbe sfruttare il concordato minore per la propria esposizione personale.
  • Ex imprenditori “fallibili” cessati: caso particolare e molto rilevante in pratica. Si tratta dell’imprenditore che, quand’era attivo, superava le soglie di fallibilità (quindi fallibile), ma che ha cessato l’attività e si è cancellato dal Registro Imprese. Può costui accedere al sovraindebitamento per sistemare i debiti residui della ex attività? La risposta dipende dal tempo trascorso dalla cessazione. L’art. 33, comma 4 CCII prevede che l’imprenditore cessato rimane assoggettabile a fallimento (liquidazione giudiziale) per un anno dopo la cancellazione. Durante questo anno, i creditori potrebbero ancora chiederne il fallimento; di conseguenza i tribunali negano l’accesso al concordato minore in tale periodo, ritenendo applicabile la procedura concorsuale ordinaria se attivata (principio di prevenzione). Decorso l’anno dalla cessazione, il soggetto non è più fallibile e rientra tra i debitori “non soggetti a liquidazione giudiziale” ammessi al sovraindebitamento. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che un ex imprenditore cancellato non può comunque accedere al concordato minore se l’attività è cessata definitivamente, poiché tale procedura è concepita per risanare o regolare crisi di un’attività in corso (analogamente al concordato preventivo). La scelta di chiudere l’impresa preclude quindi l’utilizzo di uno strumento di ristrutturazione dell’impresa stessa. In pratica, l’ex imprenditore trascorso l’anno potrà sì beneficiare delle procedure da sovraindebitamento, ma dovrà orientarsi sulla liquidazione controllata (se intende solo liquidare il patrimonio e cancellare i debiti) oppure, se ha debiti personali prevalenti, potrà valutare un piano del consumatore per quei debiti (restando esclusi quelli professionali). Questa impostazione, ribadita dalla Cassazione nel 2023, è stata criticata in dottrina perché esclude la possibilità che un ex imprenditore proponga un piano di rientro volontario (“vi pago il 30% in tot anni”) invece di subire la liquidazione. Tuttavia, a mitigare il rigore, va detto che l’ex imprenditore potrà comunque ottenere l’esdebitazione attraverso la liquidazione controllata e, nel Codice, tale liberazione dai debiti è divenuta un vero e proprio diritto dopo tre anni dall’apertura della liquidazione (senza dover attendere la chiusura).
  • Ulteriori condizioni e cause di esclusione: oltre a rientrare nelle categorie soggettive sopra elencate, il debitore deve trovarsi in stato di crisi o insolvenza, ossia incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Non è necessario essere totalmente insolventi (basta la crisi intesa come difficoltà finanziaria grave), ma la procedura non è ammissibile se il debitore è ancora in condizione di pagare i debiti normalmente. Inoltre, la legge richiede che il debitore non abbia atti di frode e si comporti in buona fede. In particolare, sono cause di inammissibilità eventuali atti in frode ai creditori, ad esempio avere nascosto o distratto beni prima della domanda, o creato artificiosamente nuovi debiti per influenzare la procedura. Ancora, il debitore non deve aver già abusato degli strumenti di sovraindebitamento: la domanda è inammissibile se è già stato esdebitato nei 5 anni precedenti, o se ha già beneficiato dell’esdebitazione due volte in qualsiasi tempo. Ciò impedisce un uso reiterato e strategico delle procedure: sono pensate come rimedio straordinario e non come strumento periodico. Infine, non deve essere pendente un’altra procedura concorsuale a suo carico (ad es. un fallimento in corso, o un concordato preventivo) né un’altra procedura di sovraindebitamento in corso.

Il principio della meritevolezza

Un concetto trasversale nelle procedure da sovraindebitamento è quello della meritevolezza del debitore, intesa come correttezza e diligenza del suo comportamento prima e durante la crisi. In passato, la legge 3/2012 prevedeva criteri molto stringenti: il giudice poteva omologare il piano del consumatore solo se il debitore non aveva colpevolmente causato il proprio indebitamento né assunto obbligazioni senza ragionevole prospettiva di adempimento. Questo significava che anche imprudenze o scelte finanziarie azzardate potevano costare la bocciatura del piano (criterio della sproporzione del credito e dell’assenza di prospettiva). Dal 2020 tali criteri sono stati attenuati: la riforma (D.L. 137/2020 conv. L.176/2020) ha eliminato dal testo dell’art. 12-bis l.3/2012 quelle previsioni restrittive e ha introdotto una nuova causa di inammissibilità più oggettiva, ossia se il debitore ha “determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”. In altre parole, oggi la meritevolezza viene meno intesa come assenza di qualsiasi colpa, e si concentra solo su colpa grave o dolo.

Pertanto, un debitore caduto in disgrazia per leggerezza o imprudenza non viene più automaticamente escluso dal beneficio, a meno che la sua condotta sia stata davvero gravemente colposa o addirittura fraudolenta. Esempi: aver acceso un mutuo enorme sapendo di non poterlo pagare potrebbe configurare colpa grave; indebitarsi per far fronte a cure mediche costose o per necessità familiari, pur essendo magari una decisione imprudente finanziariamente, non costituisce colpa grave. Saranno invece sicuramente rilevanti condotte come aver mentito ai creditori sul proprio stato, aver sperperato denaro in spese voluttuarie insostenibili in danno dei creditori, o contratto debiti con dolo (es. truffe). Il giudice valuta la meritevolezza soprattutto in sede di omologazione del piano del consumatore (dove può anche rifiutare di omologare se trova frode o colpa grave), mentre nelle altre procedure non c’è un “esame di meritevolezza” espresso ai fini dell’ammissione. Ciononostante, anche in un concordato minore il comportamento pregresso del debitore ha rilievo nel giudizio di fattibilità e affidabilità del piano: la Cassazione ha sottolineato che in tutte le procedure occorre tener conto di come il debitore sia giunto all’insolvenza e valutare la sua affidabilità nell’eseguire la proposta. Ciò non significa che nel concordato minore serva la “meritevolezza” in senso stretto (non è richiesta dalla norma), ma che un debitore con condotte gravemente scorrette (es. violazioni fiscali ripetute seguite da spese sproporzionate) può vedersi negare l’omologazione se ciò incide sulla funzione della procedura. In sintesi, onestà, trasparenza e buona fede restano requisiti fondamentali: il debitore deve presentarsi “a mani pulite” e fornire documentazione completa e veritiera sulla propria situazione. A tal proposito, un ruolo essenziale è svolto dall’OCC (Organismo di Composizione della Crisi), che redige una relazione particolareggiata su cause dell’indebitamento e condotta del debitore, evidenziando eventuali atti in frode o scorrettezze. La relazione dell’OCC supporta il giudice nel valutare se il debitore meriti o meno l’accesso e l’omologazione.

Da notare: la riforma ha introdotto anche un criterio che valorizza il comportamento dei creditori. Nella relazione dell’OCC per il piano del consumatore si deve indicare se gli istituti finanziatori hanno rispettato il dovere di valutare il merito creditizio ex art. 124-bis TUB prima di concedere prestiti. In caso di credito irresponsabile (banche che hanno concesso finanziamenti sproporzionati senza adeguate verifiche), ciò attenua la responsabilità del debitore nella formazione del sovraindebitamento. Si tratta di un principio di equity: se un creditore ha contribuito ad aggravare la situazione prestando denaro incautamente, non può poi invocare la colpa del debitore; anzi quel comportamento verrà considerato a favore del debitore in termini di meritevolezza.

Le Procedure di Composizione della Crisi da Sovraindebitamento

Passiamo ora ad esaminare tutte le procedure oggi disponibili per il sovraindebitamento, dal punto di vista pratico del debitore. Il Codice della Crisi prevede quattro principali strumenti, ciascuno adatto a situazioni diverse:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (già noto come Piano del consumatore nella L.3/2012): riservato alle persone fisiche consumatrici, consente di proporre un piano di pagamento parziale/dilazionato dei debiti senza bisogno dell’accordo dei creditori, ma con omologazione giudiziale basata su convenienza e meritevolezza. È la procedura ideale per il debitore civile (famiglia, privato) che vuole conservare alcuni beni (es. la casa) e pagare i creditori in misura sostenibile nel tempo.
  2. Concordato minore (in passato chiamato accordo di composizione della crisi): destinato ai debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti, ecc.), consiste in un accordo di ristrutturazione che deve essere approvato dai creditori con determinate maggioranze e poi omologato dal tribunale. È analogo a un piccolo concordato preventivo: adatto se si vuole continuare eventualmente l’attività o comunque proporre ai creditori una soluzione concordata evitando la liquidazione giudiziale. Il concordato minore può essere in continuità (se il debitore prosegue l’attività durante e dopo la procedura) oppure liquidatorio (se prevede la liquidazione di parte dei beni, ma in modo concordato sotto il controllo del debitore).
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (era la “liquidazione del patrimonio” nella vecchia legge): è la procedura in cui tutti i beni del debitore vengono liquidati (venduti) da un liquidatore nominato dal tribunale, e il ricavato distribuito ai creditori. In pratica equivale a un fallimento semplificato per i soggetti minori. Il grande vantaggio per il debitore persona fisica è che, al termine, egli può ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) e ripartire da zero. La liquidazione controllata si sceglie quando il debitore non è in grado di offrire un pagamento soddisfacente con un piano e preferisce mettere a disposizione il suo (poco) patrimonio residuo in cambio di chiudere i conti definitivamente. Spesso questa procedura è l’unica percorribile per l’ex imprenditore con debiti d’impresa che non può accedere al piano o concordato (come visto sopra). Va sottolineato che la liquidazione non richiede alcun voto dei creditori: è un procedimento giudiziale avviato su istanza del debitore (o anche di un creditore) e proseguito da un professionista nominato (OCC/liquidatore).
  4. Esdebitazione del debitore incapiente (detta anche esdebitazione a zero o fresh start): si tratta di una procedura nuova introdotta prima dalla L.176/2020 e ora recepita negli artt. 278-279 CCII. È riservata alla persona fisica meritevole che “non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né immediata né futura”. In tali casi disperati, il debitore può chiedere al tribunale di essere esdebitato subito, senza attivare un piano o una liquidazione, dunque senza pagare nulla ai creditori. In pratica è una liberazione dai debiti immediata, subordinata però a stretti controlli successivi: per i 4 anni successivi il debitore dovrà comunicare al OCC e al tribunale se sopravvengono entrate o patrimoni significativi, e destinare ai creditori eventuali utilità rilevanti (in misura non inferiore al 10% dell’ammontare dei debiti). Se ciò non accade entro il quadriennio, l’esdebitazione diventa definitiva e i creditori non potranno più reclamare nulla.

Esaminiamo ora in dettaglio ciascuna procedura, con i suoi passaggi principali, condizioni specifiche e effetti.

Piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore)

Il Piano del consumatore è la soluzione pensata su misura per le famiglie e i privati oberati dai debiti. I suoi tratti distintivi sono: accesso riservato alle persone fisiche consumatrici, mancanza di voto dei creditori (è il giudice che omologa o rigetta il piano) e una forte attenzione alla meritevolezza e alla tutela del debitore in buona fede. Vediamo come funziona passo per passo dal lato pratico:

  • Predisposizione del piano e ricorso iniziale: Il debitore consumatore, normalmente assistito da un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o da un professionista legale, elabora un piano di ristrutturazione dei suoi debiti. Ciò significa fare un bilancio di tutte le obbligazioni, dei propri redditi e patrimonio, e formulare una proposta sostenibile di pagamento (anche parziale) ai creditori. Il piano può prevedere pagamenti rateali nel tempo utilizzando redditi futuri, e/o la liquidazione di alcuni beni non essenziali, eventualmente con l’ausilio di terzi garanti o acquirenti. Non c’è un limite prefissato alla durata: spesso i piani si articolano su alcuni anni (3, 4 o 5 anni), in base alla capacità di pagamento del debitore. In questa fase l’OCC redige la relazione particolareggiata da allegare al ricorso, in cui attesta l’elenco di tutti i creditori e importi dovuti, le cause dell’indebitamento, la condotta tenuta dal debitore, la presenza di eventuali atti in frode, e valuta fattibilità e convenienza del piano rispetto alla possibile liquidazione. La relazione è fondamentale: deve evidenziare ad esempio se il consumatore ha tenuto un comportamento diligente o se invece ci sono profili di colpa grave (meritevolezza), nonché confermare che i creditori, con il piano, riceveranno almeno quanto otterrebbero in una liquidazione forzata dei beni (principio del best interest). Una volta pronto, il ricorso per l’omologazione del piano si deposita presso il tribunale competente (luogo di residenza del debitore), completo di piano dettagliato, relazione OCC e documentazione (elenco beni, redditi, debiti, ecc.).
  • Sospensione delle azioni esecutive: Uno dei vantaggi immediati del deposito del piano è la possibilità di chiedere al giudice misure protettive urgenti. In particolare, il debitore può chiedere la sospensione di pignoramenti e procedure esecutive in corso (es. una casa già all’asta, un pignoramento del quinto sullo stipendio), nonché il blocco di nuovi atti esecutivi da parte dei creditori durante la pendenza della procedura. Il tribunale, se il piano appare ammissibile e non manifestamente inattuabile, concede con decreto la sospensione temporanea delle esecuzioni. Ciò permette di “congelare” la situazione: ad esempio fermare un’asta immobiliare imminente e guadagnare tempo per far omologare il piano. Questa tutela è cruciale per evitare la dispersione del patrimonio in vendite forzate sottocosto: molti debitori ricorrono al piano proprio all’ultimo momento per bloccare la vendita all’asta della prima casa e proporre invece ai creditori (tipicamente la banca ipotecaria) una soluzione più vantaggiosa e umana. Spesso le banche sono disposte a trattare in sede di piano del consumatore, accettando ad esempio un pagamento dell’80% del mutuo residuo in comode rate, piuttosto che rischiare di ricavare magari solo il 50% dall’asta giudiziaria. La sospensione cautelare ha però natura provvisoria: dura fino all’omologa o alla cessazione della procedura.
  • Udienza ed omologazione giudiziale: Diversamente dal concordato, nel piano del consumatore non si tiene un’adunanza dei creditori per il voto. I creditori vengono informati del deposito del piano e possono eventualmente sollevare opposizione/osservazioni, ma la decisione finale spetta al giudice. Il tribunale fissa un’udienza in cui verifica i requisiti (soggettivi e oggettivi) e ascolta le parti eventualmente opponenti. I possibili motivi di rigetto sono essenzialmente: inammissibilità giuridica (es. debitore non consumatore, atti in frode riscontrati, documentazione incompleta), mancanza del requisito di meritevolezza (se emerge che il debitore ha causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave), oppure convenienza economica insufficiente per i creditori (cioè se un creditore contesta che col piano prenderebbe meno che dalla liquidazione). Quest’ultima valutazione di convenienza è obbligatoria se qualche creditore non consenziente contesta il piano: il giudice in tal caso omologa solo se ritiene che ogni creditore dissenziente riceva col piano almeno l’equivalente del ricavato in caso di liquidazione (questo è il c.d. cram-down: il piano viene imposto ugualmente se equo). Se invece nessun creditore si oppone, il giudice effettua comunque un controllo d’ufficio di meritevolezza e fattibilità. Importante: il piano può prevedere anche di non pagare integralmente alcuni debiti privilegiati (es. ipoteche, crediti fiscali) o di dilazionarne il pagamento oltre i limiti di legge, senza il voto del creditore, ma in tal caso il creditore può far valere la contestazione di convenienza come detto. La Cassazione ha chiarito ad esempio che è legittimo proporre nel piano del consumatore una moratoria nel pagamento dei creditori ipotecari anche superiore a un anno dall’omologa (nonostante l’art. 8 L.3/2012 indicasse “fino ad un anno”), purché il creditore possa esprimersi sulla convenienza e sia soddisfatto almeno in misura pari all’alternativa liquidatoria. In pratica, il limite di un anno per iniziare a pagare i creditori privilegiati va inteso come termine iniziale (entro un anno deve iniziare il pagamento rateale) e non finale, potendosi poi protrarre il rimborso per più anni; se però la moratoria supera l’anno e comporta anche una falcidia (riduzione) del credito privilegiato, il creditore deve avere la possibilità di opporsi e far valere la convenienza. Resta ferma la scelta legislativa che nel piano del consumatore non è richiesto il voto: non si possono applicare analogicamente le regole del concordato preventivo per introdurre un voto dei creditori privilegiati, dato che il legislatore ha volutamente escluso il “gradimento” dei creditori come condizione per l’omologa. Il creditore scontento ha comunque la tutela di poter proporre reclamo contro l’omologa se ritiene erronea la valutazione del giudice. In caso di esito positivo, il tribunale emette il decreto di omologazione del piano: tale decreto rende vincolante il piano per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Da quel momento il debitore deve eseguire fedelmente quanto previsto.
  • Esecuzione del piano: Dopo l’omologazione, il debitore (affiancato dall’OCC, che spesso funge da gestore/attestatore) inizia ad eseguire il piano: ad esempio, paga le rate stabilite ai vari creditori, eventualmente procede alla vendita concordata di qualche bene prevista dal piano, ecc. I creditori non possono intraprendere né proseguire azioni esecutive individuali: eventuali pignoramenti pendenti decadono e i beni vengono liberati (ad es. se un’ipoteca resta parzialmente insoddisfatta dopo il pagamento previsto, il decreto di omologa costituisce titolo per ottenere la cancellazione dell’ipoteca per la parte di credito cancellata). L’OCC o il debitore redigono periodicamente relazioni sull’andamento. Se il debitore adempie regolarmente tutte le obbligazioni come da piano, al termine il tribunale dichiara l’avvenuto adempimento e dispone la cancellazione di tutti i debiti residui non soddisfatti (esdebitazione). In realtà, nel piano del consumatore la legge prevede che l’esdebitazione sia implicita con l’omologa stessa: omologando il piano, il giudice già accetta che il soddisfacimento parziale proposto sarà liberatorio per il resto. Ad ogni modo, a fine esecuzione si ottiene un decreto di chiusura che certifica il fresh start del debitore.
  • Inadempimento del piano: Cosa accade se il debitore non riesce a rispettare il piano omologato? La legge consente alcuni correttivi: il debitore può chiedere modifiche del piano in corso in caso di fatti sopravvenuti (es. riduzione reddito per cause di forza maggiore) per rimodulare pagamenti, con le stesse forme dell’omologa. Ma se l’inadempimento è significativo e senza giustificazione, il piano può essere revocato. A quel punto, i creditori riacquistano la facoltà di agire per il recupero dei crediti residui (deducendo quanto eventualmente già incassato nel piano). Il debitore, se la sua situazione è ulteriormente peggiorata, potrà eventualmente ripiegare sulla liquidazione controllata per cercare comunque l’esdebitazione (salva l’ipotesi che l’inadempimento sia dovuto a sua frode o dolo, nel qual caso potrebbe essergli precluso anche l’esdebitazione successiva).

Vantaggi principali del Piano del consumatore: (i) il debitore conserva la gestione del proprio patrimonio e spesso può salvare beni importanti (es. la casa di abitazione) prevedendo di pagarne il valore nel tempo; (ii) non subisce l’incubo del voto dei creditori – il che è utile soprattutto se alcuni creditori (es. finanziarie o banca) fossero poco collaborativi, poiché il giudice può omologare comunque un piano equo; (iii) consente soluzioni flessibili come dilazioni lunghe, stralci parziali di crediti chirografari o di parte dei crediti ipotecari ecc., calibrate sulla situazione familiare; (iv) dal deposito blocca immediatamente le azioni esecutive e protegge il necessario per vivere.

Svantaggi/limiti: È riservato ai consumatori in senso stretto, quindi chi ha debiti legati all’attività economica non può usarlo (e nei fatti molti casi reali di sovraindebitamento riguardano ex piccoli imprenditori con debiti misti). Inoltre richiede comunque che il debitore abbia una capacità di rimborso minima: se non dispone di alcun reddito né beni liquidabili, il piano non può offrire nulla e quindi non avrebbe senso (per questi casi c’è la procedura dell’incapiente, di cui diremo). Infine, il giudice esercita un controllo penetrante: se dovessero emergere insincerità o scorrettezze, l’omologazione verrebbe negata. Ad esempio, omettere di dichiarare un certo bene o fornire dati incompleti è esiziale: la relazione OCC deve attestare la completezza e attendibilità della documentazione depositata.

Esempio pratico di Piano del consumatore: Il sig. Rossi, dipendente, ha accumulato €50.000 di debiti (prestiti personali e carte di credito) che non riesce più a pagare regolarmente dopo aver perso il lavoro per qualche mese. Ha una casa modesta su cui grava un mutuo residuo di €80.000, e vuole evitare che la banca proceda a pignorare l’immobile. Attraverso un OCC, presenta un piano del consumatore in cui si impegna a: mantenere le rate del mutuo (magari allungando la durata per ridurre la rata mensile), e pagare i creditori chirografari (banche e finanziarie) al 20% del loro credito, in 4 anni, utilizzando la parte del suo stipendio riottenuto che eccede le spese di sussistenza. Propone quindi di versare ~€10.000 totali ai chirografari, rateizzati in 48 mesi (circa €208 al mese). Un parente garantisce inoltre un pagamento extra di €5.000 subito, da distribuire pro-quota ai creditori, per rendere più conveniente la proposta. Il piano indica che, in una liquidazione forzata, i creditori chirografari non riceverebbero nulla (perché la casa, unico bene, è già gravata dall’ipoteca della banca); dunque il 20% proposto è molto meglio di zero. Il tribunale, verificata la fattibilità, omologa il piano (nonostante un finanziario avesse fatto opposizione ritenendo il 20% troppo basso, il giudice ha constatato che l’alternativa sarebbe zero, quindi la convenienza c’è). Il sig. Rossi esegue puntualmente i pagamenti mensili concordati. Dopo 4 anni, avrà pagato €10.000 + €5.000 iniziale = €15.000, estinguendo integralmente il mutuo man mano e pagando una quota dei debiti chirografari. A questo punto il tribunale dichiara l’esdebitazione: il restante 80% circa (€40.000) dei debiti chirografari non pagati viene definitivamente cancellato. I creditori non potranno più agire per recuperarlo e eventuali pignoramenti precedenti vengono eliminati. La casa è salva e libera da ipoteche residue oltre il pagato. Il sig. Rossi può così ripartire con un fardello debitorio notevolmente ridotto e sostenibile.

Concordato Minore (accordo di ristrutturazione per debitori non consumatori)

Il Concordato minore è la procedura analoga al concordato preventivo ma riservata ai soggetti minori (non fallibili) e ai professionisti. Fino al 2022 era chiamato accordo di composizione della crisi nella legge 3/2012; il Codice della Crisi lo ha rinominato e ne ha affinato alcuni aspetti. Dal punto di vista del debitore, il concordato minore significa negoziare un accordo con i creditori: bisogna ottenere un consenso da parte loro su una proposta di ristrutturazione dei debiti. A differenza del piano del consumatore, qui i creditori votano, quindi serve costruire una proposta convincente per la maggioranza. Esaminiamo le caratteristiche salienti:

  • Chi può proporlo: Qualsiasi debitore ammesso al sovraindebitamento tranne il consumatore puro. Dunque è lo strumento per l’imprenditore sotto soglia, l’imprenditore agricolo, il professionista, l’ente non fallibile. Attenzione: per espressa previsione, il consumatore non può utilizzare il concordato minore al fine di aggirare i requisiti del piano. Se un debitore è persona fisica ma con debiti per lo più personali, deve seguire la strada del piano; non può “scegliere” il concordato minore per evitare il vaglio di meritevolezza del giudice, ad esempio. Inoltre, come già discusso, un ex imprenditore cessato da oltre un anno che non può formalmente qualificarsi come imprenditore in attività rimane escluso dalla possibilità di concordato minore. Questa rigidità normativa (art. 33 co. 4 CCII) è oggetto di dibattito, ma attualmente limita l’accesso degli ex imprenditori solo alla liquidazione controllata.
  • Contenuto della proposta: Il debitore, con l’ausilio dell’OCC, elabora una proposta di concordato minore che può includere le più varie soluzioni: può prevedere la continuazione dell’attività d’impresa/professionale (con impegno a pagare i creditori col ricavato futuro, magari ristrutturando l’azienda) oppure la cessione di beni e risorse immediata (concordato liquidatorio). Spesso le proposte sono miste: ad esempio vendita di qualche cespite non strategico e pagamento dilazionato del resto con i proventi dell’attività che prosegue. Non c’è un requisito di contenuto minimo se non il rispetto delle cause di prelazione (privilegi, ipoteche) salvo diverso accordo dei creditori interessati. È ammesso anche qui il principio per cui un creditore privilegiato può essere parzialmente soddisfatto fino a capienza del suo bene e per la parte residua degradato a chirografario (similmente al concordato preventivo): ad esempio, se un creditore ha ipoteca su un immobile che vale meno del suo credito, la proposta può dargli quell’immobile o il suo ricavato e trattare la differenza come credito chirografario, magari falcidiandola. Il piano può anche classificare i creditori in classi omogenee, se utile, ma non è obbligatorio. È fondamentale però indicare esattamente come saranno soddisfatti i creditori, con che tempistiche e in quale percentuale. Non esistono soglie minime di pagamento stabilite per legge (eccetto l’obbligo morale/giuridico di corrispondere almeno quanto ottenibile in liquidazione). Dunque il concordato minore potrebbe proporre anche pagamenti parziali molto bassi (es. il 10-20% ai chirografari) se questa è la massima utilità ricavabile dal patrimonio e reddito disponibile. Naturalmente, più è esigua l’offerta, più sarà difficile ottenerne l’approvazione dai creditori; ma talvolta i creditori accettano percentuali basse se comprendono che l’alternativa – la liquidazione – darebbe ancor meno. Ad esempio, offrire il 10% subito è meglio che portare il debitore alla liquidazione dove i chirografari magari non prendono nulla.
  • Deposito del ricorso e relazione OCC: Anche qui il percorso parte con un ricorso in tribunale, a cui si allega una relazione particolareggiata dell’OCC simile a quella del piano. L’OCC attesta la veridicità dei dati, le cause dell’indebitamento, l’assenza di atti in frode, e valuta la fattibilità del piano e la convenienza per i creditori rispetto ad alternative. Pur non essendoci un requisito di meritevolezza espresso nella norma del concordato, come detto l’OCC deve riferire su diligenza e comportamento del debitore (ex art. 9, co.3-bis L.3/2012, oggi trasfuso nel CCII), e se emergono gravi violazioni o inaffidabilità la proposta potrebbe non superare il vaglio del voto o dell’omologa.
  • Fase di votazione dei creditori: Ricevuto il ricorso, il tribunale verifica prima l’ammissibilità giuridica (categoria soggetto ok, documenti ok, ecc.) e dichiara aperta la procedura di concordato minore. Nomina un Giudice delegato e fissa la data per l’adunanza dei creditori o le modalità di voto scritto. Da questo momento, su istanza del debitore, il giudice può disporre la sospensione delle azioni esecutive analogamente a quanto accade nel piano (misure protettive) per evitare che nel frattempo qualche creditore pignori beni compromettendo la proposta. Ai creditori viene comunicata la proposta e la relazione OCC, cosicché possano valutare. Nella riunione (o con votazioni espresse per iscritto) ciascun creditore esprime il proprio voto favorevole o contrario. Il Codice della Crisi ha semplificato il quorum: il concordato minore si intende approvato se ha ottenuto il voto favorevole di oltre il 50% dei crediti ammessi al voto. Non è più richiesto il 60% come nella legge 3/2012, il che lo rende più abbordabile. Inoltre, per il computo del quorum si applicano regole simili al concordato preventivo: i creditori privilegiati votano solo per la parte del credito che verrebbe eventualmente falcidiata o dilazionata oltre un anno. Se un creditore è soddisfatto integralmente secondo la proposta (o entro i limiti di un anno per i privilegiati), si considera non alterato nei suoi diritti e quindi non ha diritto di voto. Ad esempio, una banca ipotecaria il cui mutuo viene mantenuto regolare al 100% nel piano non vota, mentre se il piano prevede di pagarla parzialmente (es. 70%) o di iniziare i pagamenti dopo 2 anni, allora vota (perché subisce una decurtazione o dilazione significativa). I creditori impignorabili o pre-deducibili (spese di procedura) non votano. Raggiunta la maggioranza semplice (>50%), la proposta è approvata. Se non si raggiunge il quorum, la procedura si chiude senza accordo e i creditori riprendono le loro azioni (il debitore potrà a quel punto, verosimilmente, ripiegare sulla liquidazione controllata).
  • Omologazione del tribunale: Dopo l’approvazione dei creditori, il tribunale procede all’omologazione. In questa fase possono emergere eventuali opposizioni da parte di creditori dissenzienti o terzi interessati (es. un fideiussore). Il giudice verifica la regolarità del voto, il rispetto delle norme imperative (ad esempio che i privilegiati non siano trattati peggio di quanto spetterebbe loro su realizzo dei beni vincolati a meno di consenso, ossia il best interest test), e la fattibilità economica del piano. Se non rileva cause ostative, omologa l’accordo rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori. In caso contrario, rigetta l’omologa e dichiara improcedibile il concordato (anche qui il debitore avrebbe comunque la facoltà di chiedere la conversione in liquidazione controllata entro un certo termine, se vuole tentare almeno l’esdebitazione). Da segnalare che un’importante sentenza della Cassazione del 2024 ha affermato che anche nei concordati minori è legittimo prevedere una dilazione di pagamento dei creditori privilegiati oltre l’anno (come per il piano del consumatore) purché i creditori abbiano potuto esercitare il loro diritto di voto sulla proposta e quindi esprimersi sulla convenienza. Questo significa che l’art. 8 L.3/2012 (moratoria max un anno) non è da leggersi come rigido limite nei concordati, essendo superabile col consenso dei creditori o comunque col meccanismo di voto. Dunque un concordato minore può prevedere pagamenti ai creditori ipotecari anche in 5 anni, se ciò è approvato dalla maggioranza e il piano risulta conveniente rispetto all’alternativa.
  • Esecuzione del concordato: Dopo l’omologa, il debitore deve attuare la proposta conforme all’accordo. Se il concordato prevedeva la continuazione dell’attività, il debitore proseguirà la gestione sotto la vigilanza dell’OCC o di un commissario nominato, destinando gli utili ai pagamenti promessi. Se prevedeva la cessione/liquidazione di beni, potrà essere il debitore stesso con l’ausilio dell’OCC a vendere i beni secondo le modalità concordate (ad esempio tramite procedure competitive semplificate autorizzate dal GD) oppure a trasferirli ai creditori secondo accordi. L’aspetto interessante è che nel concordato minore il debitore rimane al centro della procedura e guida l’esecuzione (non c’è un curatore che spossessa il debitore, salvo nomina di ausiliari per singoli atti). Ciò consente spesso di ottenere risultati migliori: ad esempio, vendite meno frettolose o la possibilità per il debitore di reperire risorse aggiuntive. Durante l’esecuzione, i creditori non possono agire in via individuale, dovendo attendere i pagamenti secondo i termini fissati. Se il debitore adempie correttamente, al termine il tribunale accerta l’esecuzione e la esdebitazione per i crediti eventualmente residui non soddisfatti (secondo quanto previsto dall’accordo). Anche qui, di regola l’omologa già stabilisce quali parti di credito verranno stralciate: ad esempio, se l’accordo dice che i fornitori vengono pagati al 40%, significa che il restante 60% sarà cancellato all’esito positivo (l’ordinanza di omologa e adempimento costituirà titolo per la cancellazione delle ipoteche ecc. relative a quella quota falcidiata).
  • Mancato rispetto dell’accordo: Se il debitore non esegue il concordato (ad es. non effettua i pagamenti concordati o non riesce a vendere i beni come promesso), ciascun creditore potrà chiedere la risoluzione del concordato minore. La risoluzione (decisa dal tribunale) fa venir meno l’accordo e i crediti risorgono per l’intero importo originario detratto quanto incassato. Questo ovviamente espone nuovamente il debitore alle azioni esecutive. In caso di difficoltà sopravvenute, esiste anche la possibilità per il debitore di chiedere modifiche agli accordi, ma servirebbe di nuovo il voto dei creditori su tali modifiche, quindi è complesso. Spesso, se un concordato minore fallisce, l’unica strada residua è la liquidazione controllata (il debitore può chiederla e otterrà comunque l’esdebitazione a fine procedura, benché con perdita dei beni).

Vantaggi del concordato minore: (i) Permette al debitore non consumatore di evitare la liquidazione integrale del proprio patrimonio, offrendo una soluzione concordata e spesso mantenendo viva l’attività economica (continuity). Questo è fondamentale ad esempio per piccoli imprenditori o professionisti che vogliono evitare la chiusura della propria attività: il concordato minore consente di ristrutturare i debiti e continuare a operare, cosa che la liquidazione invece impedirebbe. (ii) Il quorum del 50% lo rende più accessibile: basta convincere metà dei crediti (per valore), e se la proposta è equilibrata non è impossibile (nei concordati preventivi per le imprese grandi il quorum è spesso più alto in pratica per classi). (iii) Il debitore conserva maggiore controllo: non subisce un esproprio totale ma negozia con i creditori cosa liquidare e cosa tenere, come pagare, con l’ausilio del tribunale. (iv) Può prevedere una notevole flessibilità di soluzioni, persino pagamenti percentuali molto ridotti se giustificati. Inoltre, offre la possibilità di includere debiti di ogni tipo (anche quelli che in altre procedure richiederebbero consensi particolari, come i debiti tributari, qui vengono trattati come gli altri: se la maggioranza è d’accordo, anche il Fisco è obbligato all’accordo).

Svantaggi/limiti: (i) Necessità di ottenere il consenso dei creditori: se la platea è frammentata o ci sono creditori ostili strategicamente (es. un creditore che preferisce far fallire per ragioni extra credito), il rischio di mancato accordo c’è. (ii) Tempi e costi leggermente superiori al piano, perché bisogna organizzare il voto e vi è una fase formale di adunanza. (iii) Il debitore deve comunque mettere sul piatto un valore appetibile per raggiungere il 50%: se la sua situazione è talmente disastrata che può offrire solo briciole, i creditori potrebbero preferire la liquidazione (dove magari hanno più controllo individuale, specie i privilegiati). Ad esempio, se il debitore propone di pagare solo il 5%, molti creditori potrebbero votare contro a meno che sia palese che in liquidazione non avrebbero comunque nulla. (iv) Alcuni debiti richiedono comunque specifiche attenzioni: in particolare i debiti fiscali. In un concordato minore, il voto per i crediti dell’Erario spetta all’Agenzia delle Entrate (non alla semplice Agenzia della Riscossione), e spesso il Fisco ha proprie linee guida (ad esempio tende a votare favorevolmente se la proposta rispetta almeno in parte il pagamento del capitale imposta). Quindi, pur non essendo una “transazione fiscale” formale, di fatto convincere il Fisco è essenziale. La Cassazione ha chiarito che l’Agente della riscossione (AdER ex Equitalia) non è legittimato a decidere sul voto: deve trasmettere la proposta all’ente impositore (Agenzia Entrate o altro ente creditore) che è l’unico titolato a accettare o meno una falcidia del tributo. Questo significa che il debitore deve attendersi una valutazione “centralizzata” di tali crediti. (v) Da ultimo, va rimarcato il limite già discusso dell’ex imprenditore cessato: se il debitore ha chiuso l’attività, il concordato minore non è accessibile per risolvere i debiti residui, dovendo optare per la liquidazione (questa restrizione è normativa e non dipende dalla volontà dei creditori, ma dal fatto che la procedura è concepita per imprese in attività).

Esempio pratico di Concordato minore: La ditta individuale Bianchi (impresa commerciale sotto soglia) ha debiti totali per €300.000: €50.000 di debiti verso dipendenti (TFR arretrati, privilegiati), €80.000 di debiti fiscali (IVA e imposte, in parte privilegiati), €170.000 debiti chirografari verso fornitori e banche non garantite. L’attività (produzione artigianale) è in crisi ma potrebbe risanarsi se alleggerita dai debiti, avendo ordini potenziali e macchinari funzionanti. Bianchi propone un concordato minore in continuità dove si impegna a pagare: 100% dei debiti privilegiati (dipendenti e fisco privilegiato) in 2 anni; 40% dei chirografari in 4 anni, utilizzando i futuri utili dell’azienda risanata. Prevede inoltre di vendere un macchinario inutilizzato ricavando €20.000 da distribuire immediatamente pro-quota ai creditori (dimostrando così impegno). La proposta include classi: dipendenti (classe A, 100% in 6 mesi), Erario privilegiato (classe B, 100% in 2 anni con interessi legali), Erario chirografario e fornitori (classe C, 40% in 4 anni), banca chirografa (classe D, 40% in 4 anni). I dipendenti ovviamente votano sì (ricevono il 100%). L’Agenzia delle Entrate valuta positivamente perché recupera tutto il privilegiato e 40% su sanzioni e interessi (cosa non scontata in fallimento). I fornitori, vedendo che in caso di fallimento probabilmente avrebbero preso forse il 5-10%, accettano il 40%. Si raggiunge così la maggioranza (classe A e B e C votano sì, solo la banca D – con 10% del credito – vota no). Il totale dei voti favorevoli è oltre il 50% dei crediti, quindi il concordato è approvato. Il tribunale omologa, rilevando che nessun creditore riceve meno di quanto avrebbe ottenuto liquidando l’azienda (in liquidazione, i macchinari e scorte sarebbero bastati a malapena a pagare il privilegio, lasciando zero ai chirografari; nel concordato prendono 40%, quindi c’è convenienza). Bianchi esegue il piano: paga i lavoratori (anche grazie ad un finanziamento ponte ottenuto dopo l’omologa, essendo risanato), onora le rate col fisco e coi fornitori nei tempi stabiliti. Dopo 4 anni, l’attività è salva e i crediti sono stati pagati secondo l’accordo. Il tribunale dichiara l’adempimento e Bianchi ottiene l’esdebitazione sul residuo: ad esempio, se qualche creditore chirografario aveva votato contro e non si è presentato a ritirare il 40%, il suo credito originario viene comunque ridotto al 40% pagabile e il 60% annullato. Tutte le ipoteche o altre garanzie reali eventualmente iscritte sui beni a fronte di crediti falcidiati vengono cancellate.

Liquidazione Controllata del Sovraindebitato

La Liquidazione controllata è la procedura “terminale”, simile al fallimento, volta a liquidare tutto il patrimonio disponibile del debitore per soddisfare, almeno in parte, i creditori, e poi chiudere la partita con l’eventuale esdebitazione. Può essere vista come un fallimento su base volontaria (anche se in teoria potrebbe essere richiesta anche da creditori o d’ufficio, nel Codice della Crisi). Dal lato del debitore, spesso ci si arriva per scelta quando non c’è alcuna prospettiva di sostenibilità di un piano o di accordo con i creditori. Piuttosto che subire mille esecuzioni scoordinate, si preferisce attivare una liquidazione concorsuale unica, con la prospettiva concreta di liberarsi dai debiti a fine procedura.

  • Iniziativa e apertura: La liquidazione controllata può essere chiesta dallo stesso debitore sovraindebitato con ricorso al tribunale, allegando l’elenco dei creditori, inventario dei beni, documenti contabili e la relazione dell’OCC (che attesta sempre cause dell’indebitamento, completezza documenti, eventuali atti in frode). Può anche essere promossa da un creditore o dal PM, ma qui consideriamo il punto di vista del debitore che volontariamente vi accede. Il tribunale, verificati i presupposti (stato di insolvenza o sovraindebitamento conclamato e la non fallibilità del soggetto), dichiara aperta la liquidazione con apposito decreto di apertura. Con tale decreto nomina un Liquidatore (spesso coincide con il professionista dell’OCC che ha seguito il caso) e dispone gli effetti tipici: il debitore è spossessato dei propri beni che entrano nella massa attiva da liquidare. Da quel momento, tutte le azioni esecutive individuali dei creditori sono bloccate per legge (si pignora in via collettiva) e i debiti restano cristallizzati alla data di apertura. Viene stabilito un termine entro cui i creditori devono presentare le domande di insinuazione al passivo (generalmente 30-60 giorni dall’apertura) e una data per l’udienza di verifica dello stato passivo. Il liquidatore invia ai creditori l’avviso dell’apertura della procedura.
  • Ruolo del liquidatore e del debitore: Il liquidatore gestisce la procedura in modo simile a un curatore fallimentare: prende in consegna i beni del debitore (li individua, li inventaria), eventualmente li mette in sicurezza, e predispone il progetto di stato passivo. Il debitore ha l’obbligo di collaborare lealmente, fornendo informazioni e consegnando i beni; tuttavia, rispetto al fallimento, nella liquidazione controllata il debitore non subisce restrizioni personali (può continuare eventuali attività lavorative, percepire redditi futuri, etc., ma tali redditi futuri se eccedenti le necessità vitali possono essere in parte acquisiti alla liquidazione fino alla chiusura). Alcuni beni del debitore potrebbero essere esclusi dalla liquidazione perché impignorabili per legge (ad esempio beni strettamente personali, stipendio minimo vitale, pensione sociale, alimenti, ecc., sul modello degli artt. 514-545 c.p.c.). Tutto il resto confluisce nella massa attiva.
  • Accertamento del passivo: I creditori presentano le loro domande al liquidatore, il quale forma lo stato passivo (elenco dei crediti ammessi, con indicazione delle somme e delle eventuali cause di prelazione – privilegi, ipoteche). Vi è un’udienza in cui un Giudice (tribunale o giudice delegato) esamina contestazioni e approva lo stato passivo definitivo. Questo passivo costituirà la base per la distribuzione dell’attivo.
  • Liquidazione dei beni: Il liquidatore procede quindi a vendere i beni del debitore. Può farlo tramite vendite all’asta oppure anche attraverso procedure più snelle autorizzate (ad esempio vendita diretta quando conviene, oppure affidandosi a professionisti per cedere immobili, ecc.). Lo scopo è trasformare in denaro tutti i cespiti non esclusi. Se il debitore ha uno stipendio, la quota pignorabile di esso fino alla chiusura viene di regola prelevata (salvo che il giudice riduca tale misura per particolari situazioni). Nel caso di immobili come la casa di abitazione, purtroppo non c’è un’esenzione specifica: se la casa ha un valore liquidabile (soprattutto a beneficio di creditori ipotecari), sarà venduta a meno che i creditori ipotecari non acconsentano diversamente. (Nota: a differenza dell’esecuzione individuale, dove esiste una norma che vieta a Equitalia di pignorare la prima casa del debitore in certi casi, nella procedura concorsuale fallimentare o di liquidazione quell’esenzione non si applica direttamente, perché prevale la par condicio di tutti i creditori). Durante la liquidazione, tutte le pendenze pendenti sono sospese: ad esempio, eventuali giudizi di cognizione per crediti vengono interrotti e i creditori devono insinuarsi; i pignoramenti sospesi confluiscono nella procedura collettiva. Se ci sono contratti in corso, il liquidatore decide se subentrarvi o scioglierli (ad esempio un contratto di locazione, forniture, etc., analogamente alle regole fallimentari adattate).
  • Distribuzione e chiusura: Una volta liquidati i beni, il liquidatore redige il piano di riparto: distribuisce le somme ricavate secondo l’ordine delle prelazioni (prima i creditori con privilegio/ipoteca fino a concorrenza, poi via via gli eventuali chirografari con l’eventuale residuo). Spese di giustizia e compensi del liquidatore/OCC sono pagati con precedenza. Spesso, specie nei casi di sovraindebitamento da persona fisica, l’attivo è modesto e consente di pagare solo parzialmente anche i privilegiati; i chirografari in molti casi ricevono poco o nulla. Dopo aver esaurito l’attivo disponibile e fatto i riparti finali, il liquidatore presenta il rendiconto conclusivo. A quel punto il tribunale dichiara chiusa la liquidazione controllata.
  • Esdebitazione del debitore: Il vero beneficio per il debitore persona fisica arriva ora: tutti i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente sono cancellati, salvo alcune eccezioni previste dalla legge (vedremo quali). Il Codice della Crisi prevede che l’esdebitazione nel sovraindebitamento diventi un diritto del debitore onesto: trascorso anche solo tre anni dall’apertura della liquidazione, il debitore può ottenerla anche se la procedura non è ancora formalmente chiusa, purché nel frattempo abbia collaborato e non siano emerse irregolarità. Questo rappresenta un miglioramento rispetto al passato, in cui bisognava attendere la fine di tutte le operazioni (che a volte si protraevano a lungo). Oggi dunque un debitore potrà essere liberato dai debiti già dopo 3 anni, se tutto è andato regolarmente, anche se magari la vendita di un immobile è ancora in corso; l’esdebitazione potrà essere concessa con decreto specifico ex art. 282 CCII. Resta inteso che, se emergesse dolo o frode del debitore (es. aver nascosto beni, o false attestazioni), l’esdebitazione può essere negata. Inoltre, come vedremo, ci sono alcuni tipi di debiti non esdebitabili per ragioni di ordine pubblico (multe penali, alimenti, ecc.): quelli rimarranno comunque a carico. Ma a parte tali eccezioni, il debitore persona fisica esce dalla liquidazione liberato dalla maggior parte dei debiti pregressi. Gli eventuali coobbligati o fideiussori invece restano obbligati per la quota non pagata (l’esdebitazione ha efficacia solo soggettiva per il debitore).
  • Effetti per i creditori: I creditori ricevono dalla liquidazione quanto distribuito (spesso poco). Dopo l’esdebitazione, non potranno più pretendere il residuo dal debitore (mentre, come detto, potranno se del caso agire contro eventuali garanti). Se il debitore non fosse persona fisica (es. un’associazione), non c’è esdebitazione: l’ente semplicemente esaurisce l’attivo e i creditori rimangono insoddisfatti per la parte residua (che però essendo ente non fallibile, di fatto non recupereranno più).

Quando conviene la liquidazione controllata? In generale, quando il debitore non ha prospettiva di offrire ai creditori un piano soddisfacente. Ad esempio, se ha perso ogni fonte di reddito e possiede solo qualche bene, oppure se il livello di indebitamento è talmente alto che anche dimezzare i debiti non basterebbe a renderli sostenibili. In questi casi, mettere i beni a disposizione e chiedere di chiudere tutto è la via più sensata, perché evita l’agonia di cause e pignoramenti pluriennali e consente di ripartire prima. Anche un debitore che magari avrebbe un margine di risanamento può preferire la liquidazione se vuole liberarsi subito dei beni e non avere più a che fare con i creditori: ad es. un ex imprenditore anziano, senza interesse a conservare nulla, può optare per liquidare il patrimonio e togliersi il pensiero dei debiti.

Vantaggi: (i) Elimina immediatamente lo stress delle esecuzioni individuali: dal momento dell’apertura, il debitore non subisce più telefonate di riscossione, pignoramenti, ingiunzioni – è tutto accorpato e sotto controllo del tribunale. (ii) Permette di risolvere anche situazioni senza via d’uscita, dove nessun accordo è possibile: ciononostante, grazie all’esdebitazione finale, anche chi paga poco/niente ottiene la cancellazione dei debiti e quindi il fresh start (questo è cruciale: in passato chi non aveva nulla restava indebitato a vita, ora ha una chance di liberarsi). (iii) Il procedimento è più semplice di un fallimento ordinario: meno formalità, tribunale monocratico, possibilità di chiusura abbastanza rapida se pochi beni. (iv) La durata è tendenzialmente limitata: molti tribunali chiudono le liquidazioni da sovraindebitamento entro 4-5 anni. Inoltre il Codice offre la scorciatoia dell’esdebitazione a 3 anni. (v) Il debitore può tenere ciò che è impignorabile (es. una parte di stipendio minima, oggetti personali, etc.), quindi non viene annientato come persona: rimane un nucleo di dignità economica intangibile.

Svantaggi: (i) Il debitore perde i suoi beni, inevitabilmente: è un sacrificio patrimoniale totale (salvo impignorabili). Ad esempio, perde la casa di proprietà (se di valore), l’automobile (se non necessaria per lavoro e di valore non minimale), etc. (ii) Se il suo reddito è pignorabile (stipendio/pensione oltre il minimo), dovrà subire la trattenuta per diversi anni, riducendo la capacità di spesa. (iii) Finché la procedura è aperta, l’accesso al credito rimane precluso e il nome può risultare in banche dati come soggetto in procedura concorsuale (anche se in realtà già prima era protestato probabilmente). (iv) Alcuni debiti non si cancellano comunque (vedi prossimo paragrafo), quindi il debitore potrebbe dover far fronte a quelli anche dopo (es. se aveva un debito alimentare verso un figlio, quello resterà). (v) La procedura ha un costo: bisogna pagare (con prelazione sulle attivo) il compenso del liquidatore/OCC e le spese di giustizia. Se l’attivo è nullo o quasi nullo, il Codice prevede che l’OCC prenda un compenso ridotto (metà del minimo), ma rimane una procedura a carico dello Stato e quindi non gratuita. (vi) Infine, per ottenere l’esdebitazione finale il debitore deve essere stato collaborativo e corretto: se si scopre che ha occultato beni o non ha consegnato qualcosa, il beneficio può essere negato.

Esempio pratico di Liquidazione controllata: Il sig. Verdi, ex piccolo imprenditore edile, ha debiti per €500.000 derivanti dal fallimento della sua ditta individuale (peraltro, lui non era stato dichiarato fallito perché sotto soglia). Non ha redditi fissi (lavoretti saltuari) e possiede solo la casa di abitazione del valore di €150.000 (con un’ipoteca della banca residua €100.000) e un vecchio furgone. Non avendo modo di proporre un accordo (i debiti superano enormemente le sue capacità), Verdi presenta istanza di liquidazione controllata. Il tribunale la apre, nominando un liquidatore. Le esecuzioni in corso (la banca aveva già avviato pignoramento della casa) vengono sospese e passano nelle mani del liquidatore. Questi vende la casa all’asta ricavando €140.000 netti; paga la banca ipotecaria (creditore privilegiato) al 100% del dovuto (principalmente con il ricavato della vendita) e restano €40.000 da distribuire ai chirografari (che hanno insinuato €400.000 complessivi). Ciò significa che i chirografari ottengono solo il 10% dei loro crediti. Dopo due anni le operazioni sono sostanzialmente concluse (anche il furgone è stato venduto per €5.000). Il sig. Verdi ha collaborato e consegnato tutto, quindi dopo 3 anni ottiene dal tribunale l’esdebitazione: i €360.000 di debiti chirografari rimasti insoluti (90%) sono cancellati. Alcuni creditori protestano che è ingiusto – prendono solo briciole – ma la legge prevede così, riconoscendo che tenere un ex imprenditore nullatenente perseguitabile per tutta la vita per quei €360.000 sarebbe inutile e dannoso per tutti. Il sig. Verdi, perso l’immobile, si trasferisce in affitto, ma può riprendere a lavorare senza l’incubo di quei debiti. (Nota: se tra i suoi debiti c’erano anche, ad esempio, sanzioni penali o obblighi alimentari, quelli non sarebbero stati cancellati dall’esdebitazione, come preciseremo sotto).

Esdebitazione del debitore incapiente (Fresh Start)

L’Esdebitazione dell’incapiente è un istituto di carattere eccezionale, introdotto per affrontare i casi estremi in cui il debitore non ha davvero nulla da offrire ai creditori, nemmeno in prospettiva, ma merita comunque di non essere condannato a debiti impagabili per tutta la vita. Si può definire come un “fallimento senza attivo” con immediata liberazione. La ratio è chiaramente di giustizia sociale: se un soggetto è completamente incapiente, una procedura liquidatoria tradizionale sarebbe inutile (costi senza benefici per creditori) e lascerebbe comunque il debitore indebitato a vita, scoraggiandolo anche a emergere dal sommerso. Invece, concedendo un fresh start, si favorisce anche il reinserimento economico.

  • Requisiti chiave: Possono accedere solo persone fisiche sovraindebitate. Occorre dimostrare di non possedere alcun patrimonio liquidabile né di poter offrire utilità future ai creditori, nemmeno parziali. Ciò significa che il debitore non deve avere beni né redditi attaccabili: se anche avesse un piccolo cespite liquidabile (magari un’auto di valore, o un risparmio), teoricamente dovrebbe prima liquidare quello tramite la procedura ordinaria. La norma infatti la definisce come possibilità per chi non può offrire ai creditori “alcuna utilità nemmeno in futuro”. In pratica l’incapiente è colui che, al netto di ciò che serve per un dignitoso sostentamento, non raggiunge nemmeno la capacità di pagare il 10% dei propri debiti. Questo 10% è preso a riferimento dalla legge per definire l’assenza di utilità: se si potesse pagare almeno il 10%, allora meglio un piano o una liquidazione; se invece proprio si arriverebbe forse all’1-2% o zero, allora si può valutare l’esdebitazione subito. Inoltre è richiesto che il debitore non abbia già beneficiato in passato di questa esdebitazione incapiente (è one-shot, almeno finora).
  • Meritevolezza e assenza di frode: Anche qui, la legge impone che il debitore sia meritevole in senso ampio: non deve aver provocato la situazione con dolo o colpa grave, e non deve aver fatto atti in frode. C’è un filtro rigoroso del giudice, che valuterà la condotta. Se emergono elementi negativi, rigetterà la domanda (tipicamente direbbe: se hai sperperato i soldi volontariamente, non ti concedo la cancellazione integrale). Quindi è riservata ai debitori onesti ma sfortunati. L’OCC, nella relazione da allegare alla domanda, deve evidenziare proprio le cause dell’indebitamento, la diligenza tenuta, ecc., analogamente alle altre procedure.
  • Procedura di richiesta: Il debitore presenta una domanda di esdebitazione al tribunale, tramite l’OCC, allegando l’elenco di tutti i creditori e relativi importi, le ultime dichiarazioni dei redditi, l’indicazione di eventuali redditi della famiglia, e la relazione dettagliata dell’OCC. Non c’è uno stato passivo né votazione, perché non c’è nulla da distribuire. I creditori vengono comunque informati e possono eventualmente contestare la sussistenza dei presupposti (ad esempio, potrebbero eccepire che il debitore in realtà possiede qualcosa nascosto). Il Giudice fissa un’udienza per esaminare il caso.
  • Decisione ed effetti: Se il Giudice ritiene verificati i requisiti (incapienza totale, meritevolezza, nessuna frode, procedura non abusata), emette un decreto di esdebitazione che cancella immediatamente tutti i debiti del debitore. Questo decreto, notificato ai creditori, libera il debitore dalle obbligazioni pregresse (fatte salve sempre le categorie di debiti non toccati, vedi infra). Attenzione: il decreto non è irrevocabile subito: viene comunicato ai creditori, che hanno 30 giorni per opporsi se credono. Se nessuno si oppone o le opposizioni vengono rigettate, l’esdebitazione diventa definitiva.
  • Obblighi post-esdebitazione (4 anni di monitoraggio): Anche dopo aver ottenuto la cancellazione dei debiti, il debitore incapiente rimane sorvegliato per i successivi 4 anni. In questo periodo, se dovessero sopravvenire risorse economicamente rilevanti, il debitore ha l’obbligo di farlo presente all’OCC e al tribunale, e di destinarne una parte ai creditori. La legge stabilisce che se entro 4 anni il debitore “ottiene utilità rilevanti tali da permettere il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10%”, allora scatta l’obbligo di pagare ai creditori almeno quel 10%. In pratica: supponiamo che il debitore avesse €100.000 di debiti cancellati; se entro 4 anni vince alla lotteria €50.000 (ossia il 50% del vecchio debito), dovrà destinarne almeno €10.000 (il 10%) ai vecchi creditori. Il resto potrà tenerlo, paradossalmente (in base alla norma, deve dare almeno il 10%, non tutto il sopravvenuto). L’OCC verificherà annualmente la situazione del debitore e riferirà al giudice. Se il debitore non collabora o nasconde sopravvenienze, rischia la revoca del beneficio. Se invece trascorrono i 4 anni senza che egli abbia migliorato la propria condizione in modo apprezzabile, allora l’esdebitazione rimane definitiva e i creditori non potranno più pretendere nulla, nemmeno se successivamente il debitore diventasse ricchissimo (oltre quel termine, stop alle rivendicazioni). Questo meccanismo è un compromesso: garantisce che, se c’è una “lotteria” o un’eredità in breve termine, i creditori ne abbiano un minimo ritorno, evitando effetti distorsivi, ma allo stesso tempo libera definitivamente il debitore dopo un periodo ragionevole, per permettergli di rifarsi una vita senza l’ombra perpetua dei vecchi creditori.

Differenza con la liquidazione controllata: Viene naturale chiedersi: perché non fare direttamente la liquidazione controllata anche per chi ha nulla? La ragione è che una liquidazione costa tempo e denaro (nomina liquidatore, ecc.), e se non c’è nulla da liquidare sarebbe solo un peso inutile. Con l’esdebitazione incapiente si salta direttamente alla fine, risparmiando risorse. Inoltre, nella liquidazione il debitore deve comunque attendere anni e confidare nel decreto di esdebitazione, qui invece ottiene subito il beneficio (sia pure con la condizionalità dei 4 anni).

Vantaggi: Consente di affrontare situazioni di povertà assoluta del debitore: ad esempio un disoccupato senza beni ma con debiti pregressi (magari fideiussioni, cartelle esattoriali) non rimane schiacciato a vita. È un istituto di civiltà giuridica, allineato a esperienze di altri paesi che da tempo prevedono procedure di “fresh start” per i nullatenenti. Per i creditori, paradossalmente, può essere vantaggioso in un’ottica di sistema: si evita di tenere in vita crediti inesigibili che non incasseranno mai, e il debitore è incentivato a tornare nell’economia legale (sapendo di essere liberato dai debiti, potrà cercare un lavoro senza timore che gli pignorino tutto, e magari fra qualche anno se guadagna bene i creditori avranno quel 10%). In più, riduce i costi giudiziari, evitando procedure lunghe con zero utilità.

Svantaggi/rischi: C’è il pericolo di abusi: un soggetto potrebbe essere tentato di far sparire attivi per apparire nullatenente e chiedere l’esdebitazione immediata. Per questo il vaglio sulla meritevolezza è severo e eventuali atti in frode fanno cadere il castello. Inoltre, se uno ha anche solo risorse minime, l’istituto non è applicabile: la soglia del 10% serve proprio a dire “se puoi rimborsare qualcosa di decente, allora fai un piano o vendi quel poco e fai la liquidazione”. È quindi riservato a chi davvero non potrebbe neanche pagare l’1-5%. Dato che va concesso una volta sola, un debitore deve pensarci bene: se i suoi debiti non sono esorbitanti e potrebbe in futuro pagare una parte, forse gli conviene un piano con stralcio parziale, tenendosi magari una casa o altro, piuttosto che bruciarsi la chance di esdebitazione zero e restare magari con debiti non esdebitabili. Infine, i creditori potrebbero percepirlo come ingiusto: vedono cancellati i loro crediti senza nulla in cambio. In alcuni casi essi potrebbero opporsi, rallentando un po’ la procedura, ma se i presupposti sono rispettati, l’opposizione difficilmente verrà accolta (non c’è molto margine di discrezionalità se il debitore è davvero incapiente).

Esempio pratico di Esdebitazione incapiente: La sig.ra Maria ha debiti per €20.000 derivanti da bollette, piccole finanziarie e una vecchia cartella esattoriale. È disoccupata, vive in casa in affitto, ha due figli a carico e come reddito solo un modesto sussidio statale; non possiede beni di valore (solo mobilio essenziale). Ogni mese a malapena riesce a coprire le spese di sopravvivenza, figurarsi pagare rate ai creditori. Anzi, molti crediti sono già scaduti e pendono minacce di pignoramento sui conti. Maria si rivolge all’OCC e verifica di poter chiedere l’esdebitazione incapiente. Nel ricorso dimostra la totale assenza di risorse: dal rendiconto dell’ISEE e del bilancio familiare risulta che vive sotto la soglia di povertà. La relazione OCC conferma che Maria è meritevole: i debiti non derivano da spese voluttuarie ma da necessità (utenze, spese mediche) e magari qualche prestito contratti quando aveva speranza di ripagarli; nessuna frode o colpa grave. Il tribunale concede l’esdebitazione. Tutti i €20.000 di debiti vengono cancellati immediatamente. I creditori ricevono la notifica: di fatto devono rinunciare a ogni pretesa verso Maria. Nei 4 anni successivi, Maria riesce a trovare solo lavoretti saltuari rimanendo sotto la soglia del 10% del suo vecchio debito (cioè non mette mai da parte più di €2.000); comunica comunque queste piccole entrate all’OCC, ma essendo inferiori al minimo, non scatta alcun obbligo di pagamento. Trascorsi i 4 anni, l’esdebitazione diventa definitiva: i creditori non potranno più, neanche in futuro, chiedere nulla. Maria, alleggerita dal peso dei debiti, nel frattempo è riuscita a migliorare la sua condizione trovando un impiego più stabile. Oggi può guardare avanti senza l’angoscia che il suo nuovo stipendio venga aggredito dai vecchi creditori. (Se invece, poniamo, avesse ricevuto entro i 4 anni un’eredità di €10.000, avrebbe dovuto comunicarlo e destinare almeno €2.000 ai creditori, come quota del 10%. Ma non è avvenuto).

Debiti Ammissibili nelle Procedure e Trattamento di Categorie Particolari

Una domanda cruciale è: quali debiti posso inserire in una procedura di sovraindebitamento? La risposta breve è quasi tutti. Le procedure sono pensate per ricomprendere la generalità delle obbligazioni del debitore, siano esse finanziarie, commerciali, fiscali o personali. Tuttavia esistono alcune eccezioni di legge, ossia debiti che non possono essere toccati dalla procedura o che non vengono cancellati nemmeno con l’esdebitazione finale. È importante conoscere questi casi particolari per avere aspettative corrette. Analizziamo i principali tipi di debito:

  • Debiti finanziari e commerciali (chirografari): Sono in genere totalmente includibili e liberamente ristrutturabili. Rientrano in questa categoria prestiti personali, scoperti di conto, carte di credito, debiti verso fornitori, canoni, utenze insolute, ecc. In un piano o concordato, il debitore può proporne il pagamento parziale (falcidia) o il differimento nel tempo, anche con percentuali molto basse (es. 10-20%), qualora le risorse siano limitate. Ciò che rileva è che nessun creditore chirografo venga discriminato arbitrariamente rispetto ad un altro di pari grado: eventuali differenze di trattamento devono trovare giustificazione oggettiva (ad es. classi omogenee per offrire percentuali diverse a seconda della posizione). Ad esempio, è lecito pagare al 40% i fornitori strategici e al 10% creditori meno rilevanti, purché la distinzione sia ragionevole e approvata dal giudice o dai creditori stessi. Se la procedura si conclude con successo, tutte le porzioni di questi debiti non pagate vengono definitivamente cancellate (salvo revoche per dolo), liberando il debitore da ogni obbligo.
  • Debiti bancari con garanzie reali (mutui ipotecari, leasing): I crediti assistiti da ipoteca, pegno o privilegio speciale (es. mutuo casa, leasing auto) godono di una prelazione sui beni. Nelle procedure di sovraindebitamento è possibile: 1) mantenere il bene e continuare a pagare il debito garantito regolarmente, se il debitore vuole conservarlo (in tal caso di solito quel creditore è soddisfatto integralmente e non vota nel concordato); 2) liquidare il bene e pagare il creditore fino a concorrenza del ricavato, liberando l’eventuale residuo come chirografo. La legge consente infatti di degradare la parte di credito privilegiato eccedente il valore del bene a chirografo. Ad esempio, se resta €50.000 di mutuo ma la casa vale €40.000, si paga €40.000 come soddisfo ipotecario e i €10.000 diventano chirografari falcidiabili. Nel piano del consumatore, come visto, si può addirittura cramdown la banca ipotecaria: proporre di pagare solo il valore dell’immobile dilazionato e tagliare il residuo, senza consenso della banca, purché il giudice ritenga che la banca non ci rimette rispetto a una vendita forzata. In ogni caso, il debitore può tentare di salvare il bene (specie la prima casa) tramite la procedura: ad esempio mettendo la banca nelle condizioni di essere pagata almeno quanto ricaverebbe dall’asta, ma in modo più conveniente (meno sconto, tempi certi). Molti piani del consumatore hanno l’obiettivo di bloccare un’asta immobiliare e proporre alla banca una soluzione alternativa. Esempio: casa all’asta base €100.000, mutuo residuo €120.000; il debitore può proporre di pagare €100.000 in 5 anni e la banca, confrontando con l’incertezza dell’asta (magari andrebbe deserta o aggiudicata a €80.000), potrebbe preferire. Se la procedura va a buon fine, il debitore mantiene la casa e al termine le ipoteche vengono cancellate per la parte di credito eventualmente tagliata. Nota bene: se invece il bene viene liquidato, il creditore ipotecario parteciperà al riparto e qualsiasi importo del suo credito non soddisfatto dalla vendita verrà esdebitato (la banca non potrà poi chiedere ai garanti? In realtà, attenzione, i fideiussori restano obbligati: se un parente aveva garantito il mutuo, la banca potrà rifarsi su di lui per la quota non pagata dal debitore principale).
  • Debiti fiscali e contributivi (Erario, INPS, enti pubblici): Si possono includere? Sì, rientrano pienamente nel sovraindebitamento, diversamente da quanto avviene in altre giurisdizioni. Si possono falcidiare? Sì, ma con delle cautele. Nei piani e concordati minori, i debiti tributari possono essere trattati come chirografari per la parte non coperta da eventuali privilegi e se necessario ridotti o dilazionati, a condizione di rispettare il principio di convenienza e le norme speciali sulla fiscalità. Ad esempio, l’IVA e le ritenute non versate di norma sono crediti privilegiati ex art. 2752 c.c. per una certa percentuale e chirografari per l’eccedenza. Il debitore può proporre di pagarli parzialmente; tuttavia, bisogna ricordare che l’Amministrazione finanziaria ha alcuni paletti legali. In passato c’era incertezza se l’Erario potesse subire falcidie senza una formale transazione fiscale (prevista nel concordato preventivo). La giurisprudenza ha ritenuto che nelle procedure di sovraindebitamento la falcidia dei tributi sia ammissibile, ma è necessario il placet dell’ente impositore in sede di voto per l’accordo oppure, nel piano del consumatore, la verifica del giudice che il Fisco non prenda meno del ricavabile in liquidazione. In pratica, se si vuole stralciare parte di un debito fiscale, conviene interloquire con l’Agenzia delle Entrate: spesso essa accetta piani di rientro con un certo sconto su sanzioni e interessi, purché il capitale d’imposta privilegiato sia soddisfatto almeno in parte. Non c’è una regola fissa, ma molti tribunali non omologano piani che prevedano il pagamento inferiore al 100% sui debiti IVA a meno che l’Amministrazione stessa sia d’accordo (ciò per rispetto del diritto UE, dato che l’IVA è risorsa comunitaria). Pertanto, di frequente, nella proposta di concordato minore si offre almeno il 20-30% sui tributi e contributi chirografari e il 100% sul privilegio (se sostenibile), per ottenere il voto favorevole. La Cassazione ha precisato chi decide per questi crediti: come detto, il voto spetta all’Agenzia delle Entrate (o altro ente titolare) e non all’Agente della Riscossione. Durante la procedura, i carichi pendenti presso l’Agente della Riscossione sono sospesi: non si applicano ulteriori misure esecutive o cautelari (fermi amministrativi, ipoteche) se non autorizzate dal giudice. Interessi e sanzioni: In un piano, è prassi proporre l’annullamento di sanzioni amministrative e interessi moratori sui tributi, pagando solo il capitale e pochi interessi legali: molti tribunali approvano ciò, considerando sanzioni e interessi come crediti chirografari bassamente privilegiati e dunque falcidiabili maggiormente. Questo allinea un po’ alle rottamazioni che lo Stato stesso a volte propone. Esdebitazione finale: al termine, il debitore viene liberato anche dai debiti fiscali non soddisfatti dal piano, con alcune eccezioni (ad esempio, se ha commesso reati tributari con condanna a pene pecuniarie, quelle potrebbero non essere esdebitate perché rientranti nelle sanzioni penali). Ma un debito fiscale “ordinario” (IVA non versata, IRPEF arretrata) viene cancellato se incluso nella procedura e non integralmente pagato, diversamente da ordinamenti in cui certi debiti erariali restano sempre. Questo è confermato dal fatto che la legge del sovraindebitamento non elenca i tributi come non esdebitabili (mentre esclude alimenti, multe penali, etc.). Quindi, la buona notizia per il debitore è che anche cartelle esattoriali e tasse possono essere risolte col sovraindebitamento, senza più code dopo.
  • Debiti derivanti da atti illeciti o risarcimenti: Qui bisogna distinguere. Se si tratta di danni per fatti colposi (es. un risarcimento danni da incidente stradale causato per distrazione), è un debito come un altro, chirografario, che può essere falcidiato e poi esdebitato. Se invece si tratta di danni da fatto illecito doloso o gravemente colposo (es. lesioni volontarie, truffa, ecc.), la giurisprudenza tende a considerare questi debiti non esdebitabili per ragioni di ordine pubblico. La legge non lo dice espressamente nel Codice, ma viene generalmente richiamato il parallelo col fallimento: nell’esdebitazione post-fallimentare, i danni da fatto illecito extra-contrattuale non sono ammessi a beneficio (art. 280 CCII). Dunque, è prudente assumere che se Tizio ha un debito da sentenza per aver commesso un reato (es. risarcimento a vittima di truffa), quel debito non verrà cancellato dall’esdebitazione. Allo stesso modo, multe e ammende penali non possono essere spazzate via: se Tizio ha un’ammenda penale da pagare allo Stato, quella resta a suo carico. La legge fallimentare e del sovraindebitamento erano chiare almeno su ammende e sanzioni penali pecuniarie: non rientrano. Anche le sanzioni amministrative (es. multe stradali) generalmente si ritiene che non vengano cancellate, sempre per motivi di ordine pubblico, anche se su quelle c’è un dibattito (sono pecuniarie amministrative, formalmente la legge L.3/2012 le escludeva? L’art. 8 L.3/2012 citava obblighi di mantenimento, e non menzionava esplicitamente le sanzioni amministrative. Tuttavia molti giudici ritengono di applicare l’analogia col fallimento e quindi considerarle non esdebitabili). In pratica: multe stradali e contravvenzioni potrebbero non essere cancellate (ma durante la procedura di piano si possono includere e magari prevedere il pagamento parziale, purché poi il residuo se non pagato rimane comunque dovuto post esdebitazione – su ciò il quadro normativo non è limpidissimo, quindi attenzione al caso concreto).
  • Obblighi di mantenimento e alimentari: Questo è chiarito dalla legge: i crediti per alimenti e mantenimento dovuti per legge (es. assegno di mantenimento all’ex coniuge, alimenti ai figli o ai genitori) non possono essere alterati né falcidiati dalla procedura e non vengono esdebitati. Significa che se un debitore ha arretrati di mantenimento verso i figli, dovrà comunque pagarli integralmente; non può proporre di tagliarli né saranno estinti dall’esdebitazione. Ciò per evidenti ragioni di tutela della famiglia: quei crediti godono anche di impignorabilità (nel senso che il debitore non può far mancare il sostentamento ai soggetti deboli). Quindi, il piano dovrà prevedere di saldare interamente tali obblighi. Se il debitore non lo fa, il giudice negherà l’omologazione per violazione di norma imperativa. E se li include ma non li paga in full, anche dopo l’esdebitazione la parte non pagata rimane esigibile. Questo è uno dei pochi casi in cui dopo un sovraindebitamento il debitore può restare con un debito pendente legittimo.
  • Crediti impignorabili: La legge (vecchio art. 8 L.3/2012) stabiliva che i crediti impignorabili devono essere pagati integralmente. Cosa significa? Si riferisce a quelle somme che, per disposizione di legge, non potrebbero essere mai sottratte al debitore con un pignoramento. Ad esempio, le somme dovute a titolo di alimenti, alcune indennità di assistenza, etc., sono crediti impignorabili in capo al debitore. Se il nostro debitore ha contratto un debito consistente nel dover restituire un assegno di mantenimento indebitamente percepito o simili situazioni, quel credito è impignorabile originariamente e quindi la procedura non lo tocca (va restituito per intero). In pratica è un caso molto teorico. Più rilevante invece l’aspetto visto: crediti per alimenti e mantenimento, assimilabili a questa categoria, vanno soddisfatti.

Riassumendo le eccezioni: i debiti che in generale non si cancellano con l’esdebitazione sono obblighi di mantenimento, debiti da sanzioni penali/ammende, e debiti per risarcimenti da fatti illeciti dolosi. Tutto il resto rientra.

Nelle tabelle seguenti forniamo un colpo d’occhio:

Trattamento delle principali tipologie di debito:

Tipologia di debitoInclusione e trattamento
Prestiti personali, carte, fornitori (chirografari)Inclusi al 100%. Liberamente ristrutturabili (falcidiabili anche in forte misura) in piani e accordi. Se parzialmente pagati, la parte residua è esdebitata a fine procedura.
Mutui ipotecari, leasing (crediti con ipoteca/pegno)Inclusi. Opzioni: mantenimento del bene e pagamento integrale (creditore non inciso), oppure liquidazione del bene e pagamento fino a concorrenza del valore. L’eventuale eccedenza del credito diviene chirografa e può essere falcidiata. Possibile moratoria fino a 2 anni nei pagamenti con interessi legali (nel piano consumatore, dopo D.Lgs 136/2024). Residuo non pagato esdebitato; le garanzie reali su beni non liquidati vengono cancellate per la parte di credito non soddisfatta.
Debiti fiscali (Erario) e contributivi (INPS etc.)Inclusi. Possono essere falcidiati/dilazionati previa valutazione di convenienza: in accordi serve voto favorevole dell’ente titolare (Agenzia Entrate), nel piano serve che il giudice verifichi che prendano >= liquidazione. IVA e ritenute: di solito proposti in pagamento integrale sul capitale se possibile, oppure parziale ma almeno pari al ricavabile. Sanzioni e interessi possono essere ridotti. In esdebitazione finale, i debiti fiscali sono cancellati (non essendo esclusi espressamente), salvo che derivino da violazioni penali (multe penali, v. sotto).
Multe e sanzioni amministrative (es. contravvenzioni stradali)Controverso: generalmente non falcidiabili né esdebitabili per analogia alle sanzioni penali (ordine pubblico). Molti tribunali le escludono dall’esdebitazione. In un piano, prudenza suggerisce di prevederne il pagamento integrale (almeno del capitale).
Ammende, sanzioni penali pecuniarieEscluse dall’esdebitazione. Il debitore resta obbligato a pagarle anche dopo. Non possono essere falcidiate (lo scopo punitivo dello Stato prevale).
Risarcimenti danni extracontrattuali (illeciti)Da fatto doloso o colpa grave: considerati non esdebitabili (il creditore può pretendere il saldo anche dopo). Anche se inclusi nel piano, la liberazione finale non li copre. – Da fatto colposo (es. incidente stradale): rientrano come debiti chirografari normali, falcidiabili ed esdebitabili.
Obblighi di mantenimento/alimenti (ex coniuge, figli, ecc.)Non falcidiabili né riducibili. Vanno pagati integralmente e sono esclusi dall’esdebitazione. Gli arretrati di mantenimento devono essere soddisfatti al 100% nell’ambito della procedura, altrimenti il piano non è omologabile.
Debiti garantiti da fideiussori o coobbligatiInclusi per il debitore principale. Tuttavia, l’eventuale esdebitazione o stralcio non si estende ai garanti estranei alla procedura: il creditore potrà rivalersi sul fideiussore per la parte non pagata dal debitore principale. (Nota: è possibile però che più coobbligati facciano procedura familiare congiunta; vedi oltre).
Debiti verso soci/parti correlateInclusi. Di solito in un piano meritano attenzione: se si propongono trattamenti preferenziali a parenti o soci, il giudice potrebbe sindacare. Ma nulla vieta di includerli e falcidiarli come gli altri chirografari, anzi spesso i soci rinunciano volontariamente al credito per facilitare l’accordo.
Spese processuali e di giustizia (relative a procedure esecutive, ecc.)Sono crediti privilegiati prededucibili se sorti per la procedura stessa. Vanno pagati con precedenza su tutto (ad es. compenso OCC, spese giudiziali per vendite). Se il patrimonio non consente di pagarli, in genere la differenza rimane a carico dello Stato (nel senso che l’OCC non viene integralmente remunerato se non c’è attivo). Questi crediti tecnicamente non sono esdebitabili, ma nemmeno reclamati oltre se non trovano capienza nell’attivo concorsuale.

Come si vede, il punto cruciale per il debitore è che i debiti ordinari (finanziari, commerciali, bancari non garantiti, fiscali ordinari) possono tutti essere affrontati con queste procedure e alla fine cancellati se non pagati per intero. Rimangono fuori solo pochi tipi di debito legati a doveri inderogabili (alimenti) o a sanzioni per gravi condotte (multe penali, dolo). Pertanto, il sovraindebitamento offre una soluzione globale per liberarsi da quasi tutta la pressione debitoria.

Procedura familiare: sovraindebitamento di più membri della famiglia

Una novità importante del Codice della Crisi (art. 66 CCII) è la possibilità di presentare un’unica procedura di composizione familiare quando più membri di una stessa famiglia sono indebitati insieme. Prima ciascuno doveva fare il suo piano separato, ora invece coniugi, uniti civilmente, conviventi di fatto, parenti fino al 4° grado e affini fino al 2° grado conviventi possono accedere con un ricorso unitario se il loro indebitamento ha origine comune. Significa ad esempio: marito e moglie co-firmatari di mutui e prestiti, oppure genitori garanti per i debiti del figlio convivente, ecc. In tali casi si può presentare un unico piano o concordato familiare coinvolgendo tutti, risparmiando costi e coordinando meglio la soluzione. Il tribunale tratterà congiuntamente le posizioni: ci sarà un solo OCC, un solo giudice, e un unico piano che copre i debiti di tutti. Questo è molto utile perché evita esiti disallineati (es. prima succedeva che marito e moglie dovessero fare due procedure distinte per lo stesso mutuo, con potenziale rischio di esiti diversi). Con la procedura familiare, invece, si considera la famiglia come un’unica massa attiva/passiva se le cause sono comuni.

Esempio: due coniugi entrambi coobbligati su finanziamenti e mutuo, entrambi senza lavoro: oggi possono proporre un unico piano del consumatore familiare, offrendo ciò che la famiglia nel complesso può dare, e l’omologa coprirà tutti i debiti di entrambi. I creditori comuni votano una volta sola e l’esdebitazione varrà per entrambi i coniugi. La condizione necessaria è che i soggetti vivano insieme e i debiti siano legati da evento comune. Non si può sommare gente a caso solo perché parenti: es. fratelli che vivono separati con debiti propri faranno procedure separate. Ma se vivono sotto lo stesso tetto e hanno fatto insieme da garanti di un mutuo o contratto insieme debiti (es. prestito cointestato), allora può esserci procedura unica.

Questo strumento agevola molto i nuclei familiari sovraindebitati, che sono una realtà frequente (basti pensare a genitori che hanno fatto da garanti ai figli e poi rimangono incastrati, o viceversa). Con un solo ricorso, l’intera crisi familiare viene risolta, evitando duplicazioni di costi (un solo OCC invece di due o tre) e riducendo anche le spese di giustizia.

Attenzione: la procedura familiare può essere un piano del consumatore familiare (se tutti i membri coinvolti sono consumatori) oppure un concordato minore familiare (se i familiari includono soggetti non consumatori). Ovviamente i requisiti soggettivi restano: non si può mescolare in un piano familiare un consumatore e un soggetto che ha debiti d’impresa a meno che quest’ultimo abbia cessato l’attività ed i suoi debiti siano per lo più personali, altrimenti si dovrebbe optare per il concordato minore familiare (che però esclude il consumatore). In tali casi, in pratica se c’è un soggetto non consumatore tra i familiari, si ripiega sul concordato familiare con voto creditori. La legge su questo consente ai familiari anche consumatori di presentare un concordato minore congiunto, ma in dottrina ci si chiede se non si perda la protezione di non-voto per il consumatore. Comunque, è un dettaglio tecnico: nella pratica, la maggior parte dei casi saranno famiglie di soli consumatori (es. marito impiegato e moglie casalinga, debiti di casa) che faranno un piano familiare.

Iter Procedurale Comune e Ruolo dell’OCC

Pur nella diversità delle procedure, possiamo delineare uno schema generale che il debitore attraversa quando decide di attivare il sovraindebitamento:

  1. Consulenza preliminare e scelta dello strumento: Il debitore si rende conto di non poter più far fronte ai debiti e si rivolge ad un professionista esperto (avvocato, commercialista) oppure direttamente ad un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) presente sul territorio (spesso istituito presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio). Nella fase preliminare si analizza la situazione patrimoniale e debitoria e si valuta quale procedura sia perseguibile: piano del consumatore, concordato minore o liquidazione. Si considera la categoria del debitore (consumatore o meno), l’ammontare dei debiti, la presenza di beni, il reddito disponibile e la volontà di conservare o meno alcuni asset. Ad esempio, se il debitore ha uno stipendio e vuole cercare di salvare la casa, si proverà un piano; se invece ha solo debiti enormi e nessun reddito, si penserà alla liquidazione o esdebitazione incapiente.
  2. Raccolta documentazione: Il debitore deve predisporre una serie di documenti obbligatori: elenco completo di tutti i creditori con importi e cause dei crediti, elenco dei beni posseduti (mobili e immobili), eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi anni, bilanci o estratti conto, dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni, indicazione di redditi e stipendi propri e dei familiari, ecc. Questa fase è cruciale: occorre fotografare esattamente la situazione economica del debitore. Ogni omissione o inesattezza può compromettere la procedura (perché i creditori scoprono beni non dichiarati o perché il giudice ritiene non attendibile l’inventario). L’OCC aiuta il debitore a raccogliere tutto e a calcolare, ad esempio, il presumibile ricavato di una liquidazione, in modo da valutare la convenienza delle proposte.
  3. Redazione della proposta e Relazione OCC: Il debitore, con l’aiuto di consulenti, abbozza la proposta (piano o accordo). Parallelamente, l’OCC redige la sua relazione particolareggiata prevista dalla legge (art. 68 CCII per il piano consumatore, art. 75 per concordato, art. 78 per liquidazione, art. 14-quaterdecies L.3/2012 per incapiente). In tale relazione l’OCC deve attestare:
    • la completezza e attendibilità della documentazione fornita;
    • le cause dell’indebitamento e le ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere;
    • la diligenza impiegata dal debitore nell’assumere obbligazioni (quindi un giudizio sul suo comportamento);
    • l’eventuale esistenza di atti in frode (per es. vendite di beni in pregiudizio creditori negli ultimi anni);
    • per il piano del consumatore, un giudizio sul merito creditizio valutato dai finanziatori (se hanno concesso credito irresponsabilmente);
    • la fattibilità del piano e la convenienza per i creditori (ossia confrontare cosa si offre rispetto a cosa otterrebbero in liquidazione).
      Questa relazione è un elemento tecnico-chiave: spesso orienta il giudice e i creditori stessi (se c’è voto) nel capire se la proposta sta in piedi.
  4. Deposito del ricorso in tribunale: Una volta pronta la proposta con tutti gli allegati (documenti finanziari e relazione OCC), si deposita il ricorso presso la Cancelleria del Tribunale competente. Competente è il tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore. Il procedimento si svolge in camera di consiglio (non è pubblico come un processo ordinario) e spesso il tribunale nomina un giudice relatore o delegato.
  5. Provvedimenti immediati e ammissione: Alla presentazione, il debitore può chiedere subito misure urgenti per congelare le azioni dei creditori (stay delle esecuzioni). Normalmente, il tribunale esamina la domanda e se la ritiene almeno prima facie ammissibile (documentazione completa, nessuna causa ostativa evidente) emette un decreto di apertura della procedura. In caso di piano del consumatore, fissa direttamente l’udienza di omologazione; in caso di concordato minore, convoca i creditori per il voto; in caso di liquidazione, dichiara aperta la liquidazione nominando il liquidatore. Nel contempo, dispone (se richiesto e opportuno) la sospensione temporanea dei procedimenti esecutivi individuali e delle prescrizioni. Questo è un momento di sollievo per il debitore: tipicamente da qui in poi i creditori non possono più pignorare o proseguire aste, il che mette in sicurezza il poco patrimonio residuo e ferma l’escalation.
  6. Comunicazione ai creditori e fase di voto/omologa: Gli sviluppi dipendono dalla procedura:
    • Piano consumatore: i creditori sono avvisati del deposito del piano e dell’udienza di omologa. Possono presentare memorie di opposizione. All’udienza, il giudice sente il debitore (talvolta) e i creditori opponenti, valuta meritevolezza e convenienza e decide se omologare o no. Se omologa, emette decreto motivato vincolante per tutti.
    • Concordato minore: i creditori ricevono la proposta e la relazione OCC. Hanno il diritto di voto (in adunanza o per iscritto). Si svolge l’adunanza dei creditori, spesso presso l’aula del tribunale o anche con modalità telematiche, presieduta dal giudice delegato e col liquidatore/gestore presente. Si discutono eventuali modifiche, si procede alla votazione. Dopo il voto, se c’è maggioranza, il giudice omologa con sentenza/decreto, salvo opposizioni di eventuali creditori dissenzienti (possono eccepire scorrettezze o violazioni di legge).
    • Liquidazione: i creditori sono invitati a insinuare i loro crediti. Si forma lo stato passivo. Non c’è un’omologazione da parte del debitore, ma piuttosto un percorso liquidatorio con eventuali udienze di verifica crediti e poi i decreti di riparto. Il debitore può chiedere l’esdebitazione dopo la chiusura o decorso il tempo previsto.
    • Incapiente: i creditori sono informati e possono opporsi. Non c’è voto. Il giudice decide in udienza se concedere l’esdebitazione immediata. Se la concede, emette il decreto di esdebitazione e assegna all’OCC i compiti di monitoraggio per 4 anni.
  7. Esecuzione della decisione: Una volta omologato il piano o accordo, il debitore (coadiuvato dall’OCC o liquidatore) dà attuazione a quanto previsto. Questa fase, che può durare anni, è monitorata: l’OCC verifica che il debitore versi le somme dovute ai creditori secondo il piano. Se c’è un organo di controllo nominato (commissario/gestore), questi riferisce periodicamente al giudice. Nel concordato minore, il debitore potrà esercire l’impresa sotto vigilanza. Nel piano consumatore, l’OCC spesso raccoglie i fondi dal debitore e li distribuisce ai creditori secondo il piano (facilitando così l’esecuzione tecnica). Nel caso di liquidazione, come detto, si procederà alle vendite e alla ripartizione a cura del liquidatore nominato.
  8. Chiusura e esdebitazione: A completamento dell’esecuzione (o anche anticipatamente nel caso di liquidazione dopo 3 anni), il tribunale dichiara chiusa la procedura e, se il debitore è persona fisica, emette il provvedimento di esdebitazione per i debiti non soddisfatti. Questo è il risultato finale desiderato: il debitore viene liberato legalmente da tutte le pendenze pregresse (eccetto quelle non ammesse all’esdebitazione di cui sopra). L’ordine di cancellazione viene comunicato ai creditori e, ad esempio, permette la cancellazione dalle centrali rischi e il recupero di una reputazione creditizia (sebbene ciò possa richiedere tempo; molte banche comunque guardano con cautela ex sovraindebitati).

Costo della procedura: Un aspetto pratico: il debitore dovrà sostenere i costi dell’OCC e legali. Tuttavia, essi sono generalmente commisurati alle possibilità: spesso il compenso dell’OCC viene inserito nel piano stesso come credito prededucibile da pagare con priorità (dunque il debitore non deve anticipare tutto). Se il debitore è nullatenente, l’OCC ha diritto solo a un compenso minimo dimezzato. In altre parole, non bisogna farsi scoraggiare dall’idea di “non potersi permettere la procedura”: i costi non sono proibitivi e la legge li aggrega nel piano stesso spesso. Certo, un minimo di spese iniziali (marche da bollo, compenso iniziale OCC per la relazione) può essere richiesto, ma alcuni OCC (come quelli istituiti presso i comuni) hanno tariffe calmierate o prevedono pagamento a omologa avvenuta.

Ruolo dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi): Vale la pena riassumere: l’OCC è un organismo terzo, spesso composto da professionisti nominati da un registro ministeriale, che assiste il debitore e vigila sulla procedura. Funziona un po’ come il curatore/commissario delle procedure minori. Nel piano e concordato, l’OCC predispone la relazione e aiuta a stendere la proposta; può essere incaricato dal giudice di sovrintendere all’esecuzione (ad es. raccoglie i pagamenti, verifica che il debitore rispetti le scadenze). Nella liquidazione, l’OCC spesso viene nominato liquidatore stesso (se ha i requisiti, spesso è un commercialista) e quindi gestisce tutta la fase di realizzo e distribuzione. Nell’esdebitazione incapiente, l’OCC ha un ruolo cruciale di filtro (fa la relazione) e poi di controllore per 4 anni delle sopravvenienze. Dunque, il rapporto con l’OCC è centrale: il debitore deve essere franco e collaborativo con l’OCC fin dall’inizio. L’OCC dal canto suo ha il dovere di imparzialità: se scopre irregolarità deve riferirle. Ma è anche un “facilitatore” per trovare la migliore soluzione tra debitore e creditori.

In conclusione, sebbene il percorso sia complesso, con l’aiuto di professionisti e un po’ di organizzazione il debitore può affrontarlo con successo. Un consiglio è di non temporeggiare troppo: prima si attiva la procedura, prima si bloccano gli interessi e le azioni esecutive e maggiori sono le probabilità di salvare qualcosa dal patrimonio prima che vada disperso.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Posso davvero cancellare tutti i miei debiti?
R: Se la procedura va a buon fine, sì, la maggior parte dei debiti viene cancellata al termine (tramite l’esdebitazione). Fanno eccezione alcuni debiti “protetti” (mantenimento, multe penali, danni per dolo) che rimarranno comunque a carico. Ma i debiti finanziari, bancari, commerciali, fiscali, ecc. vengono definitivamente estinti per la parte non pagata all’interno della procedura.

D: Cosa succede ai miei beni, ad esempio la casa o l’auto? Devo perderli per forza?
R: Dipende dalla procedura scelta. Nel piano del consumatore o concordato minore è possibile conservare alcuni beni, purché il piano offra ai creditori un valore equivalente. Ad esempio, puoi tenere la casa continuando a pagare il mutuo o liquidando la quota di equità dovuta al creditore. Nel concordato puoi prevedere di cedere solo certi beni e tenerne altri se i creditori approvano. Nella liquidazione controllata, invece, la regola è che tutti i beni non essenziali vengano venduti. In ogni caso, beni impignorabili per legge (es. oggetti personali di basso valore, stipendio minimo vitale) restano al debitore. E ricorda: l’obiettivo è trovare un equilibrio tra ciò che puoi sacrificare e il tuo fresh start. Molti piani riescono a salvare la prima casa offrendo ai creditori alternative valide (ad es. pagamento del valore di mercato in più anni).

D: I debiti verso l’Agenzia delle Entrate (fisco) e Equitalia (ora AdER) posso metterli nel piano?
R: Sì, i debiti fiscali e contributivi entrano a pieno titolo nelle procedure di sovraindebitamento. Puoi dilazionarli e anche ottenere uno sconto su interessi e sanzioni. Il capitale d’imposta privilegiato (IVA, ritenute) preferibilmente andrebbe pagato in buona parte, ma se il piano mostra che il Fisco ottiene comunque almeno quanto avrebbe da una liquidazione, il giudice può omologare anche senza pagamento integrale. Nel concordato minore occorre il voto favorevole dell’Erario per approvare uno stralcio. In pratica, sì, le cartelle esattoriali possono essere trattate: spesso si propone di pagare una percentuale del totale (magari eliminando le sanzioni) e di dilazionare il resto. Al termine, la parte non pagata viene esdebitata, quindi ad esempio debiti IVA residui possono essere cancellati se la procedura si chiude positivamente (fatto salvo che non ci siano frodi fiscali penali).

D: E i debiti verso privati, amici o parenti?
R: Anche quelli vanno inclusi, per trasparenza e perché la legge lo richiede (devi elencare tutti i creditori). Non puoi decidere di escludere qualcuno perché “tanto è un amico”: sarebbe un atto in frode verso gli altri. Quindi anche se devi soldi a un familiare, devi metterlo in lista. Potrà succedere che, di fatto, l’amico/parete decida di non insinuarsi o di votare a favore senza pretendere pagamento – ma formalmente va incluso. Nel riparto finale, se quel parente vuole rinunciare, può donare/distribuire la sua eventuale quota agli altri creditori o acconsentire a prenderne meno. L’importante è la trasparenza: mai nascondere debiti o creditori, perché uno degli obblighi fondamentali del debitore è la completezza delle informazioni.

D: Sono un ex imprenditore che ha chiuso l’attività, posso accedere come consumatore?
R: Se la tua attività è cessata e da oltre un anno non sei più soggetto a fallimento, puoi accedere alle procedure di sovraindebitamento. Però, per la qualifica di consumatore occorre che i tuoi debiti residui siano principalmente personali, non legati all’attività. La giurisprudenza recente tende a permettere il piano del consumatore anche a ex imprenditori, purché i debiti d’impresa non siano preponderanti e l’attività sia definitivamente cessata. Tuttavia la Cassazione ha detto che un ex imprenditore con debiti d’impresa misti non può usare il piano consumatore, rimanendo “fuori” da quella procedura. In pratica, se i tuoi debiti nascono quasi tutti dall’attività cessata, formalmente dovresti fare un concordato minore. Ma c’è l’ostacolo che non hai più un’impresa in continuità, quindi molti tribunali in tali casi dirottano verso la liquidazione controllata. È una zona grigia. Il punto di vista del debitore: puoi provare a proporre un piano del consumatore se i debiti d’impresa sono marginali e conti su redditi personali per pagarli; altrimenti, con ogni probabilità dovrai optare per la liquidazione. In ogni caso, dopo la liquidazione, otterrai l’esdebitazione e sarai libero dai debiti.

D: Ho già fatto un sovraindebitamento qualche anno fa, posso rifarlo?
R: La legge pone dei limiti per evitare abusi: non puoi ottenere una nuova esdebitazione se sono trascorsi meno di 5 anni dalla precedente. Inoltre, non potrai mai ottenerne più di due volte in totale nella vita. Quindi, se hai già beneficiato di esdebitazione una volta, la seconda è possibile solo dopo 5 anni; una terza volta non è ammessa. Se invece hai fatto una procedura ma senza esdebitazione (es. un concordato minore che hai pagato integralmente tutti i debiti – eventualità rara), forse potresti chiederla di nuovo, ma in generale ripetere le procedure in tempi brevi viene visto male dai giudici: rischi l’inammissibilità per abuso. La logica è che queste procedure servono a dare un “colpo di spugna” una tantum, non a ricorrervi in continuazione. Fai quindi estrema attenzione a non ricadere nell’indebitamento dopo averne già usato una.

D: Durante la procedura i creditori possono perseguitarmi?
R: No, una volta che il tribunale ammette la procedura e concede le misure protettive, tutte le azioni esecutive e di riscossione individuale sono sospese. Significa niente più telefonate dei recupero crediti in orari assurdi (legalmente dovrebbero cessare), niente nuovi pignoramenti, e quelli in corso vengono bloccati (ad es. se il tuo stipendio era pignorato, il giudice può sospendere la trattenuta). I creditori dovranno presentare le loro pretese nella procedura e attendere gli esiti. Inoltre, décorrono gli interessi solo nei limiti previsti dal piano: generalmente, dopo l’ammissione, sugli importi chirografari si interrompe la maturazione di interessi (salvo che il piano stesso ne preveda qualcuno), sui privilegiati maturano interessi solo se il valore dei beni li copre. Insomma, c’è un congelamento anche dell’accrescimento del debito.

D: Che succede se perdo il lavoro o peggiora la mia situazione durante l’esecuzione del piano?
R: La legge consente, in caso di mutamento delle condizioni, di chiedere una modifica del piano già omologato. Dovrai presentare al tribunale un’istanza motivata, con l’aiuto dell’OCC, proponendo ad esempio una dilazione più lunga o una riduzione ulteriore dei pagamenti, spiegando l’imprevisto (es. perdita del lavoro, malattia, ecc.). Il giudice valuterà e potrebbe convocare i creditori (nel concordato serve il loro accordo sulle modifiche). Se invece la situazione precipita al punto che il piano non è più fattibile, può purtroppo avvenire la risoluzione/revoca del piano: in tal caso torneresti esposto ai creditori. Però, non tutto è perduto: potresti sempre, a quel punto, chiedere di essere ammesso alla liquidazione controllata, evitando almeno il caos di mille esecuzioni e potendo poi esdebitarti. Certo, è l’extrema ratio. L’importante è non nascondere le difficoltà: se vedi che non riesci a stare alle scadenze del piano, avvisa subito l’OCC e valuta l’istanza di modifica. La buona fede nella gestione è fondamentale; un breve ritardo di un pagamento, se giustificato e recuperato, di solito non causa la revoca, ma va segnalato.

D: I creditori possono opporsi all’esdebitazione finale?
R: Possono provare, ma con scarse possibilità se hai rispettato le regole. Ad esempio, nella liquidazione, quando chiedi l’esdebitazione, i creditori vengono informati e possono depositare opposizione se ritengono che tu non la meriti (magari sostenendo che hai frodato, o che hai avuto sopravvenienze non dichiarate). Il tribunale esamina e se trova fondate le accuse potrebbe negare o revocare l’esdebitazione. Ma se hai agito correttamente, l’opposizione verrà rigettata. Nelle statistiche, la stragrande maggioranza di esdebitazioni viene concessa quando il debitore è onesto e ha fatto il possibile. Nel piano del consumatore, la contestazione di convenienza dei creditori dissenzienti può avvenire prima dell’omologa: se superata quella fase e viene omologato, poi non c’è un’ulteriore opposizione finale sull’esdebitazione, perché è intrinseca all’omologa. Quindi i creditori hanno voce durante la procedura, ma se tu l’hai condotta bene e secondo legge, non possono impedirti di ottenere il fresh start.

D: Dopo l’esdebitazione, posso tornare a chiedere prestiti?
R: In linea teorica, sì: sei riabilitato, non hai più debiti pendenti e non sei più considerato insolvente legalmente. Non esistono interdizioni formali (non è come un fallito che per qualche anno ha limitazioni). Tuttavia, in pratica le banche e finanziarie, consultando le banche dati creditizie, vedranno che hai avuto una procedura di sovraindebitamento. Questo potrebbe renderle molto caute nel prestarti nuovo denaro. Dipende anche dal tempo trascorso e dal motivo. Nulla ti vieta comunque di rifarti una vita creditizia: ad esempio potresti dover attendere qualche anno e ricostruire la reputazione finanziaria pagando puntualmente magari piccole linee di credito. Considera anche che abusare del credito subito dopo non è consigliabile: se sei appena uscito da un’esdebitazione, dovresti evitare di indebitarti di nuovo a livelli insostenibili (oltre ai limiti legali per rifarlo, c’è proprio una questione di cautela personale). Comunque, potrai aprire conti correnti, avere carte di debito, etc., e col tempo forse ottenere nuovi finanziamenti se dimostri redditi e garanzie. Non c’è una “blacklist” legale permanente: ad esempio, molte Centrali Rischi segnalano il sovraindebitamento per qualche anno (forse 1-2 anni dopo la chiusura), ma poi decadono.

D: È meglio il sovraindebitamento o cercare accordi informali coi creditori (fuori dal tribunale)?
R: Dipende. Se hai pochi creditori e ragionevoli, magari un accordo stragiudiziale è più semplice (eviti costi e lungaggini). Però attenzione: un accordo privato non sospende le azioni legali – se un creditore non collabora puoi avere problemi. E non dà l’esdebitazione legale: se anche convinci 9 creditori su 10 a stralciare, quell’unico rimasto potrebbe perseguitarti. La procedura concorsuale invece è vincolante per tutti i creditori, anche quelli che non vogliono. Ad esempio, un piano del consumatore omologato impone anche alla finanziaria che ti diceva no di accettare il 20%. Inoltre, spesso le vie stragiudiziali non cancellano formalmente il debito residuo: il creditore può sempre farsi vivo in futuro se non c’è un atto legale. Con l’esdebitazione, invece, hai un decreto del giudice che estingue i debiti non pagati. Quindi, per situazioni complesse con molti creditori o importi elevati, il sovraindebitamento offre una soluzione più sicura e definitiva. Anche perché, diciamolo, convincere tutti i creditori fuori dal tribunale è quasi impossibile (basta uno che faccia il furbo e agisca per conto proprio e salta tutto). Invece nella procedura c’è la par condicio e un giudice a garantire che una volta che la maggioranza è d’accordo, la minoranza si deve adeguare.

D: Ho garanzie personali prestate a favore di terzi (es. ho fatto da fideiussore per mio fratello): posso liberarmene col sovraindebitamento?
R: Se la garanzia è “escussa” (cioè il creditore ha già chiesto a te il pagamento perché il debitore principale non paga), allora è diventato un tuo debito attuale e lo puoi includere tra i creditori. Però, se finora non hai pagato e magari tuo fratello sta pagando regolarmente, è un debito futuro eventuale. Non potresti inserirlo come debito attuale (perché forse non maturerà mai). Se però il debitore principale sta insolvendosi e sai che la fideiussione verrà attivata, potresti provare a inserirla come debito condizionato. In genere, comunque, la tua obbligazione di garante se diventa esigibile rientra. Se riesci a esdebitarti, libererai te stesso da quella obbligazione di garanzia. Attenzione però: ciò non libera il debitore principale. E inverso: se stai esdebitandoti dai tuoi debiti personali ma hai un garante (es. tua moglie ha garantito un tuo prestito), la tua esdebitazione non copre il garante. Il creditore, per la parte non soddisfatta nella tua procedura, potrà agire contro di lei. Dunque, in situazioni con garanti, conviene fare procedure familiari congiunte se possibile, così da risolvere in un colpo solo.

D: Quanto tempo ci vuole per chiudere una procedura di sovraindebitamento?
R: I tempi variano:

  • Per un piano del consumatore, l’omologazione può arrivare in pochi mesi (3-6 mesi tipicamente), poi c’è la fase di esecuzione che può durare 4-5 anni a seconda del piano, e infine la chiusura ed esdebitazione. Diciamo che dal deposito iniziale alla fine del pagamento possono passare alcuni anni, ma tu sei protetto già durante questo periodo.
  • Per un concordato minore, il voto e l’omologa possono portare via 6-12 mesi (anche qui dipende dal tribunale e da eventuali intoppi), poi l’esecuzione del piano concordatario può durare anch’essa qualche anno.
  • Una liquidazione controllata può restare aperta 2-4 anni (se ci sono immobili da vendere, spesso occorre tempo), ma se sei persona fisica puoi chiedere l’esdebitazione già dopo 3 anni.
  • L’esdebitazione incapiente è la più rapida: potrebbe concludersi in meno di un anno con il decreto di esdebitazione (poi c’è il quadriennio di monitoraggio, ma senza attività particolare se non segnalare eventuali sopravvenienze).
    In sintesi, non è una soluzione istantanea: preparati ad un percorso di qualche anno. Però i benefici (stop interessi, stop azioni) li avverti quasi subito con il provvedimento di ammissione, e il traguardo finale (debiti zero) vale l’attesa.

D: Come incide una procedura di sovraindebitamento sui soci di società e sulle società stesse?
R: La procedura è personale del debitore che la chiede. Se tu sei socio di una SNC fallita, la tua sovraindebitamento coprirà i tuoi debiti personali, compresi quelli verso i creditori sociali che si rivalgono su di te, ma non coinvolge la società (che se è fallita avrà la sua procedura separata). Se sei un imprenditore individuale, la tua procedura riguarda te (impresa e persona coincidono). Una società in quanto tale non può accedere al sovraindebitamento (tranne forse associazioni non commerciali): se è fallibile andrà in concordato preventivo o fallimento; se non è fallibile, di solito è perché è un ente non commerciale e i debiti ricadono sui soci o sui patrimoni personali dei garanti. Quindi ad esempio una SRL semplificata non può usare queste procedure – deve seguire il codice della crisi per imprese (liquidazione giudiziale, ecc.). Un socio illimitatamente responsabile (SNC, SAS accomandatario) invece può certamente farlo per la sua responsabilità personale, ma ciò non sostituisce il fallimento della società se applicabile. Insomma, si agisce sul singolo debitore. È però possibile farlo in coordinamento: ad esempio, la SNC viene liquidata in via negoziale mentre i soci presentano ciascuno un piano del consumatore per il proprio indebitamento derivato dalla società – ottenendo così l’esdebitazione personale.

Queste sono alcune delle domande più comuni. Ogni caso concreto può avere ulteriori sfumature, perciò è sempre consigliabile farsi assistere da professionisti specializzati in crisi da sovraindebitamento, data la tecnicità della materia e le continue evoluzioni giurisprudenziali.

Simulazioni Pratiche di Sovraindebitamento (Casi di esempio)

Per comprendere meglio come le norme si applicano alla realtà, presentiamo di seguito due casi pratici con dati ipotetici ma verosimili, dal punto di vista del debitore. Queste simulazioni illustrano il funzionamento di un piano del consumatore e di una liquidazione controllata, evidenziando gli esiti per debitore e creditori.

Caso 1: Piano del consumatore per salvare la prima casa

Scenario: Mario e Anna sono coniugi (consumatori) residenti a Milano. Hanno due figli. Mario è dipendente (stipendio €1.600 netti), Anna part-time (€600). Hanno acceso anni fa un mutuo ipotecario per acquistare la casa di abitazione; debito residuo mutuo €120.000, rata €700/mese. Inoltre, per far fronte a spese mediche di un figlio e a un periodo di cassa integrazione, hanno accumulato debiti con finanziarie e carte di credito per €40.000. Negli ultimi mesi, con l’aumento del costo della vita, sono andati in difficoltà: hanno arretrati di 4 rate del mutuo e non riescono più a pagare le finanziarie. La banca ha avviato la procedura per espropriare la casa, che vale circa €100.000 sul mercato attuale. I coniugi temono di perdere l’abitazione e di restare comunque con debiti.

Soluzione valutata: Procedura familiare di Piano del consumatore congiunto per Mario e Anna (poiché i debiti sono di origine comune e sono consumatori). Obiettivo principale: bloccare la vendita all’asta della casa e conservare l’immobile, ristrutturando il debito in modo sostenibile.

Proposta di Piano: Con l’aiuto dell’OCC, viene elaborato un piano così strutturato:

  • Mutuo ipotecario (banca Alfa): ricapitalizzazione degli arretrati nelle ultime rate, mantenimento del mutuo con lieve allungamento. In pratica si propone di riprendere i pagamenti regolari, portando la durata residua da 15 a 20 anni per abbassare la rata a €600/mese. Nessuna falcidia sul capitale, solo dilazione. Banca Alfa quindi sarebbe soddisfatta integralmente (€120.000 in 20 anni) se il piano va a termine. Viene però chiesto al tribunale di sospendere l’esecuzione immobiliare in corso, in attesa dell’omologa.
  • Finanziarie Beta e Gamma (chirografarie, totale €40.000): proposta di pagamento del 30% dei loro crediti, cioè €12.000 in totale, mediante 48 rate mensili di €250 complessivi (circa €125 a finanziaria). Questo importo deriva dal fatto che, ricalcolato il budget familiare, Mario e Anna possono destinare €250 al mese ai debiti chirografari, dopo aver sostenuto mutuo e spese essenziali. In 4 anni arriveranno a €12.000 pagati.
  • Nessun altro debito (niente fisco arretrato nel loro caso; se avessero avuto ad es. €5.000 di cartelle, avrebbero potuto includerle proponendo il pagamento magari al 30% come gli altri chirografari).
  • Coinvolgimento di un terzo: il padre di Anna si impegna a versare €5.000 in un’unica soluzione all’omologazione, per dare respiro al piano (questa somma andrebbe a saldare parzialmente le finanziarie anticipatamente, riducendo il monte rate).
  • Durata del piano: 4 anni per i chirografari (più la continuazione a lungo termine del mutuo fino a 20 anni, ma quella è fuori piano in un certo senso, è ordinaria amministrazione).

Verifica convenienza: L’OCC stima che in una liquidazione forzata, la casa venduta all’asta frutterebbe forse €80.000 netti (tenuto conto di ribassi e costi), insufficienti a pagare per intero la banca (€120.000). La banca quindi escuterebbe l’ipoteca, prendendo €80.000 e lasciando un credito chirografo residuo di €40.000. I chirografari finanziarie praticamente prenderebbero zero perché già la banca resterebbe insoddisfatta. Nel piano proposto invece: la banca prende €120.000 (anche se diluiti, ma ha la garanzia attiva e nessuna perdita in capitale) e i chirografari prendono €12.000 (30%). È palese che è migliore per tutti rispetto all’alternativa liquidatoria. Anche per la banca, che pur dovendo attendere di più, recupera tutto (mentre in asta subirebbe un decurtazione di €40k).

Svolgimento: Il ricorso viene presentato e il tribunale concede subito la sospensione dell’esecuzione immobiliare (l’asta è revocata). I creditori vengono informati. La banca Alfa non si oppone (in fondo sta bene così), le finanziarie Beta e Gamma invece presentano memoria di opposizione: contestano che 30% è poco e chiedono almeno 50%. Tuttavia, all’udienza il debitore dimostra che 30% è il massimo possibile date le risorse, e l’OCC conferma che i creditori chirografari non otterrebbero comunque nulla dalla vendita della casa (che è l’unico asset). Il giudice verifica la meritevolezza: i coniugi sono stati spendaccioni? No, l’indebitamento è dipeso da cause lecite (mutuo casa, spese mediche urgenti, un periodo di difficoltà lavorativa). Niente frodi o gioco d’azzardo, ecc. Quindi supera positivamente questo esame. Convenienza: poiché i creditori chirografari hanno contestato, il giudice deve verificare la convenienza: stabilisce che un eventuale reclamo non avrebbe chance perché effettivamente 30% > 0% (alternativa liquidazione). Dunque, omologa il piano del consumatore. Da quel momento, Mario e Anna riprendono a pagare il mutuo regolarmente (rata €600) e iniziano a pagare €250/mese alle finanziarie come da piano. Il suocero versa i €5.000 promessi che vengono suddivisi alle finanziarie riducendo il residuo da pagare. Dopo 4 anni di puntuale esecuzione, hanno versato complessivamente €5.000 (suocero) + €12.000 (rate) = €17.000 alle finanziarie, pari al 42% del loro credito iniziale (hanno versato qualcosa in più grazie al contributo del terzo). Il mutuo continua a essere pagato extra-piano (tanto ormai è sostenibile nei €600 mensili). A questo punto l’OCC riferisce al tribunale che il piano è stato adempiuto. Il tribunale emette decreto che dichiara l’esdebitazione di Mario e Anna per tutti i debiti chirografari residui verso Beta e Gamma (che ammontavano a ~€23.000 non pagati). Tali creditori non possono più avanzare pretese per quel residuo 58%. La casa rimane di Mario e Anna, il pignoramento viene cancellato e l’ipoteca della banca resta ma andrà a mano a mano riducendosi col pagamento integrale. I coniugi hanno “salvato casa” e riacquistato solvibilità (devono solo onorare il mutuo come qualsiasi mutuatario). Beta e Gamma, pur inizialmente scontente, hanno ottenuto €17.000 invece di quasi nulla – alla fine non hanno convenienza a recriminare oltre.

Commento: questo caso mostra come il piano del consumatore possa conciliarsi con la prosecuzione di un mutuo (trattato fuori dal concorso, senza falcidia) e al contempo alleggerire i debiti unsecured. La chiave è stata presentare alla banca una soluzione credibile per fermare l’asta e valorizzare l’immobile. Per i creditori chirografari, il 30-40% in 4 anni si è rivelato equo date le circostanze. Mario e Anna hanno dovuto comunque stringere la cinghia (€250 al mese per 4 anni non sono pochi per loro), ma ce l’hanno fatta e ora hanno solo il mutuo come impegno a lungo termine, compatibile col loro reddito. I figli hanno potuto continuare a vivere nella stessa casa, evitando traumi ulteriori.

Caso 2: Liquidazione controllata di ex imprenditore e esdebitazione in 3 anni

Scenario: Luigi era titolare di una piccola ditta commerciale, cessata nel 2021 a causa di debiti insostenibili. Aveva fornitori non pagati, prestiti bancari garantiti personalmente e alcuni debiti fiscali IVA. Non è stato dichiarato fallimento perché la sua azienda era sotto le soglie, ma i creditori hanno iniziato a perseguitarlo a livello personale. Oggi Luigi ha 50 anni, fa l’autista per una cooperativa (reddito €1.200 al mese) e possiede solo un piccolo appartamento ereditato dai genitori in provincia (valore circa €70.000, libero da ipoteche). I suoi debiti: €200.000 verso varie banche e finanziarie (crediti chirografari derivati da fideiussioni escusse e scoperti di conto dell’azienda), €30.000 verso fornitori (chirografari), €50.000 di debiti con l’Erario (IVA non versata e IRPEF ritenute dipendenti; circa €20k privilegiati, €30k chirografi), €10.000 tra sanzioni e interessi su quei debiti fiscali. Totale circa €290.000. Luigi non vede prospettive di pagare neanche una frazione significativa di tale somma con il suo stipendio. Anzi, due creditori hanno già avviato un pignoramento immobiliare sulla casa e sul quinto dello stipendio.

Soluzione valutata: Luigi opta per la Liquidazione controllata del suo patrimonio, accettando di vendere l’appartamento e destinare il ricavato ai creditori, così da ottenere poi l’esdebitazione. Un piano del consumatore non è fattibile: non ha margini di reddito per offrire percentuali appetibili (ci vorrebbero 30 anni di rate per arrivare anche al 30%) e per di più buona parte dei debiti sono d’impresa, quindi non è consumatore puro. Concordato minore? Difficile, perché non ha attività in essere né alcun asset oltre la casa; i creditori non avrebbero convenienza a un concordato rispetto a pignorargli la casa – salvo l’elemento esdebitazione che però in concordato non è automatico se non paga abbastanza. Meglio quindi liquidare il bene in sede concorsuale e liberarsi del resto.

Procedura: Luigi presenta domanda di liquidazione controllata con l’aiuto di un OCC. Il tribunale apre la procedura, nomina il liquidatore (lo stesso OCC) e sospende i pignoramenti in corso su stipendio e casa. Da questo momento Luigi consegna le chiavi dell’appartamento al liquidatore e continua a lavorare tenendo per sé solo la parte impignorabile dello stipendio (circa €300 rimangono impignorabili su 1200, e 900 sarebbero teoricamente pignorabili, ma di solito il giudice potrebbe ridurre la quota per lasciargli un po’ di più, essendo l’unico reddito). Comunque ipotizziamo che versi €400 al mese al liquidatore per i creditori (una quota concordata, tenendo conto di affitto da pagare ecc. poiché dovendo lasciare l’appartamento, Luigi ora prende una casa in affitto con €500/mese, quindi il giudice gli lascia più stipendio per coprire quell’affitto).

Liquidazione dell’immobile: Il liquidatore mette in vendita l’appartamento. Dopo 6 mesi trova un acquirente per €65.000 netti (valore di mercato diminuito da vendita forzata). Nel frattempo Luigi ha versato €400/mese per 12 mesi = €4.800 (dalla trattenuta volontaria di stipendio). Ci sono anche circa €5.000 in un c/c pignorato che vengono acquisiti. Dunque, attivo totale circa €74.800.

Passivo accertato: Tutti i creditori si insinuano. Il liquidatore ammette: Banche/finanziarie €200k chirograf, Fornitori €30k chirograf, Erario €20k privilegio + €30k chirog., Sanzioni Erario €10k chirog. Totale €290k di cui €20k privilegio (Erario) e il resto chirografo (€270k). Stato passivo approvato così.

Riparto: Con €74.800 incassati, il liquidatore paga prima le spese (diciamo €5k tra procedure e suo compenso minimo), restano €69.800. Deve soddisfare integralmente i privilegiati prima: Erario privilegiato €20k viene pagato 100% (più interessi legali). Restano €49.800 per i chirografari il cui totale è €270k. Quindi soddisfazione chirografi = circa 18% (49800/270000). In pratica, tutte le banche, fornitori, Erario chirografo e sanzioni ricevono il 18% ciascuno. (Nella realtà, l’Erario privilegio avrebbe prelazione anche sugli ultimi €800, ma per semplificare i conti diciamo 100% a privilegio e 18% a tutti gli altri pari grado).

Esdebitazione anticipata: Trascorsi 3 anni dall’apertura, Luigi può già chiedere l’esdebitazione ex art. 282 CCII, avendo cooperato pienamente. Il liquidatore attesta che Luigi: ha consegnato l’immobile, ha versato quota reddito regolarmente, non ha nascosto nulla. Qualche creditore chirografo (diciamo una finanziaria) presenta opposizione sostenendo che Luigi in passato avrebbe potuto vendere l’immobile da solo e pagare di più (obiezione pretestuosa, perché il risultato sarebbe stato simile). Il tribunale respinge l’opposizione e concede l’esdebitazione a Luigi per tutti i debiti residui non pagati. Ciò significa che: i creditori privilegiati sono stati pagati in toto, a posto; i chirografari hanno preso 18% e non potranno più pretendere l’82% mancante. In cifre, Luigi vede cancellati circa €220.000 di debiti rimanenti.

Risultato per Luigi: Ha perso la proprietà della casa, vero, ma quell’immobile era la sua unica sostanza e comunque sarebbe stato pignorato. Ora vive in affitto (con un contratto adeguato alle sue possibilità). Il suo stipendio non è più decurtato perché la procedura, dopo il riparto finale, cessa le trattenute. Lui è libero dai debiti: può concentrare i suoi sforzi economici per migliorare la propria vita, magari risparmiare per un futuro. Non ha più l’angoscia che ogni extra guadagno gli venga portato via. In termini di opportunità, potrebbe ad esempio aprire a tempo perso una piccola attività integrativa senza paura che i guadagni finiscano ai vecchi creditori. Certo, ha subito un ridimensionamento (casa persa, e in 3 anni ha vissuto con lo stretto necessario), ma era inevitabile data la sua insolvenza.

Risultato per i creditori: Hanno ricevuto sostanzialmente quello che avrebbero ottenuto comunque pignorando la casa, con il vantaggio di una procedura unica invece di azioni scoordinate. Il Fisco ha avuto il suo (20k su 50k totali, cioè il 100% del privilegiato e ~18% del resto, quindi ~40% in media del dovuto), le banche e fornitori un piccolo ritorno (18%). Avrebbero preferito di più, ma la realtà è che Luigi era incapiente oltre la casa. Almeno con la procedura hanno la certezza del riparto equo e chiudono le posizioni in tempi relativamente brevi (3 anni sono pochi, a confronto di cause decennali).

Considerazioni finali sul caso: questo scenario evidenzia il funzionamento dell’esdebitazione tradizionale post-liquidazione. Luigi ha sfruttato la norma nuova che gli consente di non aspettare la chiusura formale (che magari sarebbe avvenuta dopo 4-5 anni per piccoli dettagli) e ottenere la liberazione dopo 3 anni. Ciò gli ha permesso di ripartire prima. Questo caso è tipico di molti ex piccoli imprenditori: l’essenziale è la collaborazione senza riserve con il liquidatore e l’accettazione di sacrificare tutto il sacrificabile. In cambio, la legge dona la clemenza sui debiti eccedenti. Se Luigi avesse nascosto per esempio dei gioielli o soldi, rischierebbe di perdere l’esdebitazione e restare comunque debitore per sempre: dunque l’onestà paga.

Dopo altri due anni (nel 5° anno), per scrupolo, il liquidatore controlla e vede che Luigi non ha ricevuto eredità o vincite – nulla da segnalare. Quindi la vicenda si chiude definitivamente. Luigi è un uomo libero dai debiti per il resto della sua vita, pur non avendo potuto soddisfarli completamente, grazie a questo meccanismo di legge volto a dargli una seconda chance.


Questi esempi pratici dimostrano come, caso per caso, si possano calibrare le soluzioni: a volte orientate a salvare beni e ristrutturare gradualmente, altre volte a liquidare tutto subito per chiudere con il passato. Il denominatore comune è la presenza di regole che bilanciano interessi di debitore e creditori, sotto il controllo del giudice. Dalla prospettiva del debitore sovraindebitato, conoscere e poter sfruttare queste opportunità legali fa la differenza tra rimanere schiacciato dai debiti o riuscire a tornare a vivere dignitosamente nonostante il fallimento economico.

Conclusioni

La normativa sul sovraindebitamento, soprattutto dopo le riforme culminate nel Codice della Crisi, offre oggi ai debitori in difficoltà strumenti efficaci per affrontare la crisi debitoria in modo ordinato e con esiti liberatori. È un campo in cui diritto ed equità sociale si incontrano: il debitore onesto può trovare sollievo e un nuovo inizio, mentre i creditori, pur subendo a volte tagli nei loro crediti, ottengono almeno una soluzione trasparente e spesso più vantaggiosa del perdurare dell’insolvenza. La giurisprudenza recente ha consolidato molti principi a tutela della fattibilità di queste procedure (dalla flessibilità nei pagamenti dei privilegiati, alla interpretazione più umana della meritevolezza). Restano alcune rigidità (come il caso degli ex imprenditori cessati, che auspichiamo possano in futuro trovare soluzioni più elastiche), ma nel complesso l’ordinamento italiano del 2025 appare maturo e completo per gestire la crisi da sovraindebitamento.

Dal punto di vista pratico, il debitore deve essere pronto a mettere sul tavolo tutto il possibile – in termini di risorse, impegno e sincerità – per meritare l’aiuto della legge. In cambio, la legge fornisce protezione, tempo, e alla fine la pace dai debiti. È fondamentale attivarsi tempestivamente, farsi assistere da professionisti competenti (OCC e legali specializzati) e non perdere la fiducia: come si è visto, anche situazioni che paiono disperate trovano una composizione, e persone sommerse da debiti possono tornare solvibili e reinserite nell’economia legale, a beneficio anche della collettività.

In un’epoca di incertezza economica e di facile accesso al credito, le procedure di sovraindebitamento rappresentano una valvola di sicurezza per prevenire il degrado sociale derivante da posizioni debitorie irrecuperabili, affermando il principio che il fallimento economico non deve condannare una persona per sempre. Con responsabilità e con l’ausilio del diritto, c’è sempre una via d’uscita, un modo per ricominciare.

Fonti e Riferimenti Normativi

  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – “Disposizioni in materia di usura e di composizione delle crisi da sovraindebitamento”. (Legge 3/2012, ora abrogata e confluita nel CCII)
  • Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15/07/2022, Artt. 2 (definizioni, incl. sovraindebitamento), 65-83 (Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento), 268-277 (Liquidazione controllata), 278-283 (Esdebitazione del sovraindebitato).
  • Art. 33, co.4, CCII – in tema di inammissibilità del concordato minore per l’imprenditore cessato da oltre un anno.
  • Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Decreto Ristori), conv. in L. 176/2020 – modifiche alla L.3/2012 anticipando alcuni istituti del CCII: nuova meritevolezza (art. 4-ter), esdebitazione del debitore incapiente (inserimento art. 14-quaterdecies L.3/2012)..
  • Sentenza Cassazione Civile Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22890 – Criterio di meritevolezza del consumatore riformato: conferma l’abrogazione dei criteri di “sproporzione” e “irragionevole prospettiva” nella valutazione di meritevolezza, sostituiti dal criterio di esclusione per dolo o colpa grave.
  • Sentenza Cassazione Civile Sez. I, 23 dicembre 2024, n. 34150 – Moratoria ultrannuale nel piano del consumatore: legittimo prevedere pagamento dei creditori prelatizi oltre un anno dall’omologa, purché possano esprimersi sulla convenienza.
  • Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 11 aprile 2025, n. 9549 – Piano del consumatore: moratoria e falcidia crediti privilegiati: chiarisce che l’art.8 co.4 L.3/2012 (moratoria 1 anno) indica solo il termine di inizio pagamenti, non di ultimazione; esclude applicazione analogica del diritto di voto dei creditori prelatizi nel piano del consumatore, rimarcando che il creditore può solo contestare la convenienza ai sensi dell’art. 12-bis co.3-4 L.3/2012.
  • Sentenza Cass. Civ. Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30538 – Accordo di composizione e affidabilità del debitore; voto nei crediti tributari: evidenzia che anche nell’accordo il comportamento pregresso del debitore rileva ai fini dell’ammissibilità (affidabilità prognostica), pur non essendoci meritevolezza espressa; inoltre stabilisce che per i crediti fiscali il diritto di voto spetta all’ente impositore (Agenzia Entrate) e non all’agente della riscossione.
  • Ordinanza Cass. Prima Pres., 26 luglio 2023, n. 22699 – Concordato minore liquidatorio ed ex imprenditore cessato: conferma che l’imprenditore commerciale che ha cessato l’attività non può accedere al concordato (neanche minore) mirato al risanamento, dovendo optare per la liquidazione; principio in continuità col previgente art. 10 L.Fall.. Sottolinea però che l’esdebitazione post-liquidazione diviene un diritto dopo 3 anni (art. 282 CCII).

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