Che Cos’è Il Sovraindebitamento Di Un’Impresa?

Hai un’azienda in difficoltà e ti stai chiedendo se sei entrato in una situazione di sovraindebitamento? I debiti crescono, i fornitori pressano, la liquidità manca e non riesci più a far fronte a tutto?

Il sovraindebitamento d’impresa è una condizione sempre più frequente nelle PMI italiane e rappresenta una situazione di squilibrio tra i debiti e la reale capacità dell’impresa di farvi fronte in modo regolare e sostenibile. Ma non è una condanna: la legge prevede strumenti concreti per ristrutturare o uscire dal debito prima che si arrivi al punto di non ritorno.

Che cos’è il sovraindebitamento di un’impresa?
È la condizione in cui un’impresa, pur non essendo fallibile secondo le soglie classiche, non è più in grado di adempiere alle proprie obbligazioni con regolarità. Si manifesta quando i debiti superano stabilmente la capacità di pagamento, i flussi di cassa si interrompono e il rischio di insolvenza diventa reale e concreto.

Quali imprese possono trovarsi in stato di sovraindebitamento?
– Le ditte individuali
– Le società di persone
– Le PMI sotto soglia fallimentare
– Le start-up innovative
– Gli imprenditori agricoli, artigiani e professionisti

Non serve essere falliti o soggetti a procedure concorsuali per essere sovraindebitati: basta non riuscire a pagare in modo regolare i propri debiti.

Quali sono i segnali tipici del sovraindebitamento aziendale?
Ritardi nei pagamenti verso dipendenti, fornitori, banche o Fisco
Accumulo di cartelle esattoriali o decreti ingiuntivi
Richieste di rientro dalle linee di credito
Tensione di cassa continua e impossibilità di investire
Perdita di fiducia da parte dei partner commerciali

Cosa succede se non intervieni in tempo?
– L’impresa rischia azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, fermi)
– I creditori possono bloccare l’operatività aziendale
– L’imprenditore rischia la responsabilità personale
– In caso di aggravamento, può scattare la liquidazione giudiziale
Peggiora la reputazione bancaria e commerciale, rendendo ogni rilancio impossibile

Quali soluzioni prevede la legge per le imprese sovraindebitate?
Composizione negoziata della crisi: per trovare un accordo con i creditori prima che la situazione degeneri
Accordo di ristrutturazione dei debiti: per proporre un piano sostenibile e rateizzato
Concordato minore: per chi non supera certe soglie patrimoniali ma vuole evitare la liquidazione
Liquidazione controllata: come ultima soluzione per chi non può più risollevarsi ma vuole chiudere in modo ordinato
Esdebitazione dell’imprenditore: in alcuni casi, è possibile ripartire da zero

Cosa NON devi fare se sospetti una situazione di sovraindebitamento?
– Continuare a fare debiti per coprire quelli vecchi
– Fingere che il problema non esista
– Pagare un creditore solo “per tenerlo buono” trascurando gli altri
– Aspettare l’arrivo del pignoramento o della revoca dei fidi
– Svuotare l’azienda o fare atti in frode che ti espongono a responsabilità penali

Il sovraindebitamento non è una vergogna. È una condizione giuridicamente definita e gestibile.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa e risanamento aziendale – ti spiega che cos’è il sovraindebitamento di un’impresa, quali sono i sintomi per riconoscerlo e quali strumenti legali puoi attivare per salvare la tua attività prima che sia troppo tardi.

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Introduzione

Il sovraindebitamento di un’impresa indica quella situazione di grave squilibrio economico-finanziario in cui un debitore – tipicamente un imprenditore di piccole dimensioni o un soggetto non fallibile – non riesce più a far fronte regolarmente ai propri debiti e obbligazioni con le risorse disponibili. In altre parole, l’impresa si trova in una condizione di crisi o vera e propria insolvenza: le entrate previste e il patrimonio non bastano a pagare integralmente i debiti, generando un accumulo insostenibile di esposizioni. A differenza delle grandi aziende soggette alle ordinarie procedure concorsuali (fallimento, oggi liquidazione giudiziale), le imprese minori e gli altri debitori “civili” possono accedere a speciali procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotte dal legislatore proprio per offrire loro una via d’uscita dalla spirale debitoria.

L’obiettivo di queste procedure – disciplinate dalla normativa italiana di settore – è duplice: da un lato consentire al debitore sovraindebitato di ristrutturare i propri debiti (anche solo parzialmente) in modo sostenibile, evitando la dispersione forzata di tutto il patrimonio; dall’altro garantire ai creditori un soddisfacimento più equo e ordinato rispetto alle azioni esecutive individuali, favorendo possibilmente la continuazione dell’attività d’impresa quando vi siano prospettive di rilancio. In tal senso, la legge mira a realizzare un equilibrio tra la dignità e il “fresh start” del debitore onesto in difficoltà e la tutela (per quanto possibile) dei diritti dei creditori. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, detto CCII), entrato in vigore a regime nel luglio 2022, ha unificato e aggiornato la disciplina del sovraindebitamento, integrando i principi europei sul diritto alla seconda possibilità del debitore meritevole. In questa guida esamineremo in dettaglio cosa si intende per sovraindebitamento di un’impresa dal punto di vista del debitore, quali soggetti possono beneficiarne, quali sono le procedure disponibili (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, ecc.), le norme chiave e gli orientamenti giurisprudenziali più recenti, con esempi pratici, domande e risposte, e tabelle riepilogative per chiarire i principali punti.

Quadro normativo e definizioni fondamentali

Il concetto di sovraindebitamento nell’ordinamento italiano è stato introdotto in via organica con la Legge 3/2012 (nota come “legge salva suicidi”), che per la prima volta ha previsto specifiche procedure per la composizione delle crisi da sovraindebitamento dei soggetti esclusi dal fallimento. Tale legge definiva il sovraindebitamento come la situazione di perdurante squilibrio tra i debiti assunti e il patrimonio liquidabile del debitore, tale da rendere impossibile il regolare adempimento delle obbligazioni contratte. In sostanza, si trattava dello stato di insolvenza del debitore non fallibile, cioè di colui che non può accedere alle tradizionali procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta, ecc.) perché non ne ricorrono i presupposti soggettivi.

Questa disciplina originaria è confluita ed evoluta nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 in attuazione della legge delega 155/2017. Il Codice, dopo vari rinvii, è entrato definitivamente in vigore il 15 luglio 2022, mandando in pensione la Legge 3/2012 e innovando profondamente la materia. La definizione normativa aggiornata di “sovraindebitamento” si ricava dall’art. 2, comma 1, lett. c) CCII, il quale qualifica il sovraindebitamento come lo stato di crisi o di insolvenza in cui versa un debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale (ossia non fallibile). In particolare, la norma fa riferimento espressamente al consumatore sovraindebitato, in quanto paradigma principale di debitore civile insolvente, ma la condizione si estende a qualsiasi debitore “civile” fuori dal campo del fallimento. Ai fini pratici, dunque, si ha sovraindebitamento quando un soggetto non fallibile (persona fisica o piccola impresa) si trova o in uno stato di insolvenza conclamata (incapacità definitiva di onorare regolarmente le proprie obbligazioni) o quanto meno in uno stato di crisi che rende probabile l’insolvenza nel prossimo futuro.

Vale la pena chiarire i termini: il CCII definisce crisi la situazione in cui il debitore, pur non essendo ancora in default, prevede di non poter sostenere nei 12 mesi successivi i propri impegni finanziari con le risorse prospettiche (flussi di cassa insufficienti). L’insolvenza, invece, è la situazione più grave in cui il debitore manifesta in via attuale l’incapacità di adempiere regolarmente alle obbligazioni, a causa di inadempimenti ed eventi esteriori indicatori di incapacità strutturale. Nel contesto del sovraindebitamento, queste nozioni si applicano a soggetti che, per legge, non possono essere dichiarati falliti né assoggettati alle procedure concorsuali “maggiori”. Lo scopo del legislatore – in linea anche con la Direttiva UE 2019/1023 – è offrire a tali soggetti una via d’uscita legale dal sovraindebitamento, evitando la loro “morte civile” economica e dando loro una chance di ripartenza dopo la crisi. Proprio per questo si parla talora di “seconda opportunità” o fresh start, facendo riferimento al beneficio dell’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) che queste procedure possono concedere al debitore meritevole.

Dal punto di vista normativo, il CCII dedica un’intera parte (Titolo IV, Capo II e seguenti) alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, distinguendo innanzitutto tra: (a) procedure di natura negoziale/risanatoria, in cui si punta a un accordo o a un piano di ristrutturazione dei debiti (eventualmente con continuazione dell’attività); e (b) la procedura di liquidazione controllata, di natura liquidatoria, in cui invece il patrimonio del debitore viene liquidato a beneficio dei creditori. In particolare, le tre procedure principali oggi previste (in sostituzione di quelle della L.3/2012) sono: il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, il concordato minore e la liquidazione controllata del sovraindebitato. A queste si aggiunge un quarto istituto “speciale”, l’esdebitazione del debitore incapiente, introdotto prima in via transitoria nel 2020 e ora stabilizzato nel Codice (art. 283 CCII), che consente in casi eccezionali la cancellazione dei debiti anche a chi non ha alcun patrimonio da offrire ai creditori. Approfondiremo ciascuna di queste procedure più avanti. Prima, però, occorre chiarire chi sono i soggetti che possono usufruirne.

Soggetti che possono accedere alle procedure di sovraindebitamento

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai debitori non assoggettabili a liquidazione giudiziale, cioè a tutti quei soggetti che non rientrano nelle categorie “fallibili” secondo la legge fallimentare e il Codice della crisi. In termini pratici, si tratta di persone fisiche e di imprese di minori dimensioni (o particolari tipologie di enti) che non superano determinati requisiti dimensionali o che per legge non sono soggette alle ordinarie procedure concorsuali. L’art. 2, comma 1, lett. d) CCII definisce in particolare l’“imprenditore minore” (sotto-soglia) come l’imprenditore i cui parametri economici rientrano tutti nei seguenti limiti: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi lordi annui ≤ €200.000, debiti (anche non scaduti) ≤ €500.000 negli ultimi tre esercizi. Se l’impresa resta entro queste soglie (c.d. soglie di fallibilità), non può essere dichiarata fallita né assoggettata al concordato preventivo, e dunque ricade nel perimetro del sovraindebitamento. Rientrano in questa categoria, ad esempio, molte piccole società di persone o SRL semplificate, micro-imprese artigiane, ditte individuali commerciali di modesto fatturato, ecc.

Oltre agli imprenditori minori sotto soglia, la platea dei debitori ammessi comprende sostanzialmente tutti i soggetti “civili” non fallibili, tra cui:

  • Consumatori (persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad un’attività imprenditoriale o professionale). Esempi: un privato cittadino sovraindebitato con prestiti e carte di credito, un pensionato con debiti da bollette e mutuo, ecc.
  • Professionisti e lavoratori autonomi, anche se organizzati in studi o associazioni professionali (avvocati, commercialisti, medici, artisti, ecc., per i debiti assunti nell’esercizio della professione).
  • Imprenditori agricoli, storicamente esclusi dal fallimento (l’art. 2135 c.c. li sottrae alle procedure concorsuali): le imprese agricole indebitate – a prescindere dalle dimensioni – possono accedere alle procedure di sovraindebitamento.
  • Start-up innovative iscritte nell’apposito registro: anch’esse per legge non soggette a procedure concorsuali ordinarie durante il periodo di start-up, e dunque ricomprese tra i debitori sovraindebitati ammessi.
  • Enti non commerciali e non profit (associazioni riconosciute e non, fondazioni, ONLUS, organizzazioni di volontariato, enti religiosi per le attività non commerciali, ecc.), che non essendo imprese commerciali non falliscono, ma possono trovarsi in sovraindebitamento e utilizzare queste procedure.
  • Eredi di imprenditore defunto per i debiti ereditari: se l’erede ha accettato con beneficio d’inventario e l’anno successivo alla morte è decorso senza fallimento, i debiti dell’impresa defunta possono essere gestiti dall’erede tramite le procedure da sovraindebitamento.
  • Soci illimitatamente responsabili di società di persone (SNC, SAS) per i debiti sociali rimasti in capo a loro. Ad esempio, un ex socio accomandatario fallibile che esce dalla società e dopo un anno non può più essere dichiarato fallito per le vecchie esposizioni potrà ricorrere alla procedura da sovraindebitamento per quei debiti.
  • Enti pubblici non economici: in via teorica rientrano nei soggetti non fallibili (perché non svolgono attività d’impresa con scopo di lucro). Tuttavia, per gli enti pubblici in dissesto (es. comuni) esistono procedure speciali, e comunque la gran parte della dottrina esclude l’applicabilità del sovraindebitamento agli enti pubblici, nonostante la loro menzione nei repertori.

In generale qualsiasi debitore che non possa essere assoggettato al fallimento o alle altre procedure concorsuali ordinarie e si trovi nell’impossibilità di pagare i debiti può chiedere aiuto attraverso gli strumenti di sovraindebitamento. È importante sottolineare che anche le società di capitali di piccole dimensioni (ad esempio una SRL sotto le soglie di legge) possono accedere: in passato vi era incertezza sul punto, ma il nuovo Codice conferma che conta solo la (non) assoggettabilità alla liquidazione giudiziale, a prescindere dalla forma giuridica. Ad esempio, una SRL “micro” con debiti €200.000 e attivo €150.000 non può essere dichiarata fallita e quindi, se insolvente, dovrà avvalersi di un concordato minore o della liquidazione controllata per risolvere i suoi debiti.

Esempio pratico: Alfa S.r.l. (impresa commerciale) ha patrimonio di €250.000, ricavi annui €180.000 e debiti per €400.000. Pur essendo una società di capitali, rientra nei limiti dimensionali di non fallibilità (tutti i parametri sotto soglia). Se Alfa S.r.l. è insolvente, nessun creditore potrà chiederne il fallimento. La società potrà però presentare un concordato minore per offrire ai creditori un pagamento parziale con liberazione dai debiti residui, oppure potrà essere posta in liquidazione controllata del sovraindebitato. Se invece Alfa S.r.l. avesse superato anche uno solo dei parametri (es. debiti €800.000), diverrebbe fallibile e soggetta alle normali procedure concorsuali (fallimento/liquidazione giudiziale o concordato preventivo). Dunque la distinzione fallibile/non fallibile è decisiva per stabilire il percorso.

Cause di esclusione e condizioni: la legge richiede che il debitore, oltre a essere non fallibile e in stato di sovraindebitamento, non abbia abusato di queste procedure o tenuto comportamenti frodatori. In particolare, non può accedere alle procedure di sovraindebitamento:

  • Chi è soggetto ad altre procedure concorsuali in corso (es. un imprenditore per cui pende già un fallimento o un concordato preventivo).
  • Chi ha fatto ricorso a una procedura di sovraindebitamento nei 5 anni precedenti. La regola generale (già presente nella L.3/2012) prevede un divieto di ottenere l’esdebitazione più di una volta ogni 5 anni, per evitare usi ripetuti: ad esempio, se un debitore ha ottenuto l’omologazione di un piano o un concordato minore e la cancellazione dei debiti residui, non potrà presentarne un altro subito dopo, salvo eccezioni (se la precedente procedura è stata revocata o annullata per ragioni non imputabili a lui, la giurisprudenza ammette talvolta una nuova domanda in tempi più brevi).
  • Chi ha subìto provvedimenti di revoca, risoluzione o annullamento di una precedente procedura da sovraindebitamento per suo inadempimento o dolo. Ad esempio, se un debitore aveva ottenuto un piano e poi questo è stato revocato perché non ha pagato le rate o perché ha nascosto beni ai creditori, egli non potrà accedere ad una nuova procedura facilmente, essendo considerato inaffidabile.
  • In ogni caso, sono esclusi i debitori che abbiano posto in essere atti in frode ai creditori. L’art. 69 CCII (per il consumatore) e l’art. 77 CCII (per il concordato minore) prevedono infatti l’inammissibilità della domanda se il debitore dissimula o sottrae parte dell’attivo o ha compiuto altri atti dolosi in pregiudizio dei creditori. Ad esempio, chi poco prima di presentare la domanda ha venduto beni per occultare il ricavato o ha distratto somme all’estero sarà considerato in mala fede e non potrà accedere alla procedura.

Un’ulteriore condizione rilevante è la condotta pregressa del debitore in relazione all’origine del sovraindebitamento. Su questo punto il Codice distingue nettamente il consumatore dagli altri debitori: per il consumatore si richiede un requisito di “meritevolezza”, mentre per l’imprenditore o professionista sovraindebitato non vi è un giudizio etico così stringente (oltre al divieto di frode sopra detto). In concreto:

  • Il debitore consumatore deve dimostrare di non aver assunto colposamente obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere, e di non aver causato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode (art. 69 CCII). Questo significa che, ad esempio, chi ha dilapidato somme in spese voluttuarie o ha fatto nuovo debito sapendo di non poterlo sostenere potrebbe essere dichiarato non meritevole e vedersi negare l’omologazione del piano del consumatore. Il controllo sulla meritevolezza serve a evitare abusi da parte di chi abbia tenuto comportamenti imprudenti o scorretti a danno dei creditori.
  • Nel concordato minore e in generale per i debitori non consumatori, non è previsto un analogo scrutinio della meritevolezza riguardo alle cause dell’indebitamento. Conta piuttosto la buona fede attuale del debitore nel gestire la procedura e l’assenza di intenti fraudolenti. Dunque un piccolo imprenditore può accedere anche se la crisi deriva da sue scelte aziendali sbagliate o da un eccesso di leverage, purché ora agisca con trasparenza e lealtà. La Cassazione ha sottolineato che questa differenza di trattamento è bilanciata dal fatto che nel concordato minore vi è il voto dei creditori, mentre nel piano del consumatore i creditori subiscono le decisioni senza voto, il che giustifica un filtro più severo sul comportamento del debitore consumeristico.

N.B.: Va segnalato che anche per i finanziatori e creditori esiste un principio di responsabilità nel sovraindebitamento: la riforma del 2020 ha introdotto il concetto di “merito creditizio” del finanziatore. In pratica, se banche o finanziarie hanno continuato a concedere credito al soggetto già fortemente indebitato pur sapendo o potendo sapere della sua difficoltà, questo può essere tenuto in considerazione a suo sfavore. Ciò significa che in sede di valutazione del piano il giudice potrebbe giudicare meno stringente la colpa del consumatore se parte del sovraindebitamento è dovuto a credito irresponsabile concesso dagli istituti finanziari. È un aspetto di equità volto a “punire” in certa misura quei creditori professionali che hanno aggravato il problema prestando denaro senza adeguate verifiche.

Riassumendo: possono accedere alle procedure di sovraindebitamento tutti i debitori non fallibili in stato di insolvenza o crisi, inclusi privati consumatori, imprenditori minori, professionisti, piccoli enti, soci illimitatamente responsabili, ex imprenditori e così via, a condizione di non aver commesso frodi e di non aver già beneficiato di recente di procedure analoghe. Non possono accedere i soggetti già fallibili (grandi imprese), chi ha abusato in precedenza degli strumenti di sovraindebitamento o li ha visti revocare per propria colpa, né ovviamente chi è perfettamente solvente (in assenza di uno stato di difficoltà reale la domanda sarebbe respinta).

Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Come anticipato, la normativa prevede diverse procedure tra cui il debitore sovraindebitato può scegliere (a seconda dei requisiti soggettivi e degli obiettivi perseguiti) per regolare la propria posizione debitoria. In estrema sintesi:

  • Il Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (nel linguaggio comune, piano del consumatore) è la procedura riservata alle persone fisiche “consumatrici”, che consente di ristrutturare i debiti senza necessità di accordo con i creditori, ma con l’omologazione da parte del giudice.
  • Il Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi della L.3/2012) è la procedura aperta a tutti gli altri debitori sovraindebitati non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, enti non fallibili, ma anche eventualmente consumatori che optino per questa via), basata su una proposta concordataria ai creditori con voto: occorre il consenso di una maggioranza di crediti per approvare il piano.
  • La Liquidazione controllata del sovraindebitato (già liquidazione del patrimonio nella L.3/2012) è la procedura di tipo liquidatorio, applicabile a qualunque debitore sovraindebitato (consumatore o no) e volta a liquidare tutti i beni del debitore per distribuire il ricavato ai creditori. È una sorta di “fallimento” in miniatura per i soggetti civili.
  • L’Esdebitazione del debitore incapiente (o esdebitazione a zero, art. 283 CCII) non è una procedura concorsuale in senso tradizionale, ma un beneficio straordinario concedibile al debitore persona fisica che non ha alcun patrimonio da liquidare: consiste nella cancellazione di tutti i debiti senza alcun pagamento, ferma restando una vigilanza sul debitore per i 4 anni successivi nel caso sopravvengano utilità. Si tratta di una novità di grande rilievo sociale, pensata come ultima spiaggia per il debitore onesto ma completamente privo di mezzi.

Di seguito analizziamo ciascuna di queste soluzioni in dettaglio, evidenziandone i presupposti, il funzionamento e gli effetti. Successivamente, forniremo un confronto riassuntivo tra le procedure e risponderemo ad alcune FAQ (domande frequenti) dal punto di vista pratico del debitore.

Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore

Il piano del consumatore – oggi denominato più precisamente piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) – è la procedura pensata esclusivamente per le persone fisiche consumatori, cioè coloro che hanno debiti di natura privata e non professionale. Ad esempio, vi può ricorrere un padre di famiglia oberato da rate di finanziamenti, mutuo e bollette, oppure un ex lavoratore dipendente disoccupato con debiti di credito al consumo, purché i suoi debiti non derivino in misura prevalente da un’attività d’impresa. Se infatti la causa principale dell’indebitamento non è il consumo ma l’attività imprenditoriale (es. debiti fiscali per partita IVA), il soggetto non è qualificabile come “consumatore” ai fini dell’accesso a questa procedura e dovrà optare per il concordato minore.

La caratteristica fondamentale del piano del consumatore è che non richiede il consenso dei creditori tramite voto. Il consumatore formula una proposta di ristrutturazione dei debiti, che viene valutata e omologata direttamente dal Tribunale, dopo aver sentito le eventuali osservazioni dei creditori, ma indipendentemente dal fatto che questi siano d’accordo o meno. Si tratta dunque di una procedura spiccatamente giurisdizionale: il giudice svolge un penetrante controllo di legittimità e merito sul piano, sostituendosi in sostanza al potere decisionale che altrove spetterebbe ai creditori. Proprio di recente la Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, sottolineando che il piano del consumatore “non è assimilabile né al concordato preventivo né al concordato minore” poiché l’assenza del voto dei creditori è bilanciata da un attento controllo giudiziale sull’equilibrio del piano stesso. In altre parole, anche se il piano prevede moratorie lunghe (es. sospensione dei pagamenti per oltre un anno) o pagamenti parziali ai creditori (falcidia), ciò è consentito senza interpellare i creditori, a patto che il giudice – con l’ausilio dell’OCC – verifichi che la proposta sia equa, fattibile e non arrechi un pregiudizio ingiusto ai creditori.

Il procedimento per il piano del consumatore prevede: la presentazione di un ricorso da parte del debitore al tribunale competente (luogo di residenza), contenente il piano di ristrutturazione dettagliato e tutta la documentazione relativa a debiti, patrimonio, redditi, ecc., accompagnato dalla relazione di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC). L’OCC è un organismo o professionista indipendente nominato per assistere il debitore e attestare la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Una volta depositata la domanda:

  • Il Tribunale verifica la completezza della documentazione e, se la ritiene ammissibile, emette un decreto di apertura della procedura, nominando l’OCC (se non già designato) e disponendo le misure protettive (automatic stay) a tutela del debitore. In particolare, vengono sospese tutte le azioni esecutive individuali dei creditori sul patrimonio del debitore per la durata della procedura. Questo blocco dà respiro al consumatore, evitando pignoramenti o altre aggressioni mentre si valuta il piano.
  • I creditori vengono informati della proposta e hanno facoltà di presentare eventuali osservazioni o opposizioni. Non c’è però un voto: i creditori non votano sul piano, possono solo far pervenire memorie per evidenziare eventuali criticità (es. contestare l’importo del loro credito, lamentare un trattamento non equo, ecc.).
  • Si arriva quindi all’udienza di omologazione davanti al giudice. In tale sede, il giudice verifica: (a) che sussistano i presupposti soggettivi (debitore consumatore, stato di sovraindebitamento, ecc.); (b) che il piano sia congruo e fattibile, cioè realistico nei pagamenti proposti in base alle capacità del debitore; (c) soprattutto, come detto, valuta il requisito di meritevolezza del debitore. Quest’ultimo aspetto è cruciale: il giudice deve accertare che il consumatore non abbia colpe gravi o dolo nell’aver contratto quei debiti senza poterli pagare. Ad esempio, se emergesse che il debitore ha volontariamente assunto obbligazioni sproporzionate (magari per speculare, o per eccessi voluttuari) confidando poi di scaricarle sui creditori, l’omologa verrebbe negata per indegnità. Viceversa, se il sovraindebitamento è dovuto a cause incolpevoli (perdita del lavoro, malattia, crisi economica generale) e il debitore ha tenuto un comportamento onesto, il giudice lo considererà meritevole.
  • Verificati tutti questi elementi, il Tribunale potrà emettere il decreto di omologazione del piano del consumatore. Da quel momento, il piano diventa vincolante per tutti i creditori (anche dissenzienti) per i crediti anteriori. Il debitore dovrà eseguire il piano come omologato, effettuando i pagamenti parziali previsti nei tempi stabiliti. I creditori, dal canto loro, sono tenuti ad accettare quanto ricevono a titolo di adempimento definitivo e non possono pretendere altro oltre quanto previsto nel piano.

Durante l’esecuzione del piano, di norma l’OCC vigila sul rispetto degli obblighi da parte del debitore e relaziona al giudice in caso di problemi. Se il debitore adempie regolarmente a tutte le scadenze e obblighi previsti, ottene il beneficio finale dell’esdebitazione: i debiti residui che non sono stati soddisfatti dal piano vengono cancellati definitivamente. Ad esempio, se Tizio deve 100.000 € e il piano omologato prevede che ne paghi 20.000 € in cinque anni, una volta versati i 20.000 € egli sarà liberato dagli ulteriori 80.000 € e i creditori non potranno più reclamarli. L’esdebitazione nel piano del consumatore è automatica con il completamento del piano, senza bisogno di ulteriore giudizio: è la legge stessa (art. 70 CCII) a stabilire che il debitore otteniene la liberazione dei debiti con l’esecuzione del piano omologato. Ciò differenzia il piano dalle procedure liquidatorie, dove invece occorre una specifica istanza di esdebitazione a fine procedura.

È importante evidenziare che, in caso di inadempimento del piano da parte del debitore, i creditori possono chiedere la risoluzione del piano al tribunale (art. 71 CCII). La risoluzione fa perdere al debitore i benefici: il piano viene annullato e i creditori riacquistano la possibilità di pretendere l’intero credito originario (dedotto quanto eventualmente già incassato). La risoluzione però non è automatica: occorre che l’inadempimento sia rilevante e su ricorso dei creditori; il giudice valuterà caso per caso. Piccoli ritardi o lievi scostamenti possono spesso essere sanati senza arrivare alla risoluzione, magari mediante accordi modificativi con i creditori stessi.

Dal punto di vista del contenuto del piano, il consumatore può proporre qualsiasi forma di ristrutturazione del debito compatibile con la sua situazione economica: ad esempio pagamenti parziali (offrire una percentuale su ciascun credito), dilazioni nel tempo (rateizzazioni pluriennali), eventuali moratorie iniziali (sospensione dei pagamenti per un periodo) e così via. Non essendovi voto dei creditori, il piano può anche prevedere stralci significativi del debito. Ovviamente però il giudice verificherà che la percentuale offerta ai creditori non sia manifestamente insufficiente rispetto alle capacità effettive del debitore: se il giudice ritiene che il debitore potrebbe pagare di più di quanto proposto, potrebbe negare l’omologazione domandando modifiche. C’è quindi un certo paternalismo dell’autorità giudiziaria, che nella procedura del consumatore funge da garante dell’equilibrio del piano in assenza del mercato delle votazioni. In ogni caso, è richiesto che i creditori ottengano tramite il piano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione del patrimonio del debitore (principio di convenienza), altrimenti la proposta non sarebbe equa.

Trattamento dei debiti fiscali nel piano del consumatore: a seguito delle riforme recenti, il piano del consumatore può includere anche i debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali con proposta di pagamento parziale (falcidia). In passato vi erano dubbi sulla possibilità di falcidiare tributi come l’IVA senza il voto dell’Erario; il decreto correttivo 83/2022 ha chiarito che anche nel piano del consumatore è ammessa la falcidia di IVA, ritenute e altri tributi, parificando la posizione del consumatore a quella del concordato minore. Dunque un consumatore sovraindebitato potrà, ad esempio, proporre di pagare solo il 20-30% delle cartelle esattoriali di Agenzia Entrate Riscossione, analogamente a come farebbe un imprenditore nel concordato minore, se ciò rappresenta il massimo pagabile in base alle sue risorse. Naturalmente, anche qui il giudice valuterà la convenienza: se il piano offre al Fisco meno di quanto ricaverebbe in una liquidazione (ad esempio se il debitore ha una casa pignorabile), l’omologa non sarebbe possibile. Ma se il debitore non ha beni e il piano offre comunque tutto il realisticamente ottenibile (magari solo il proprio stipendio per qualche anno), allora anche il Fisco potrà essere soddisfatto parzialmente e la quota restante di imposte (compresa IVA) sarà annullata a seguito dell’omologazione. La Cassazione ha confermato che nel piano del consumatore l’assenza del voto del Fisco non impedisce la falcidia, dato che a garantire l’equità c’è il controllo giudiziario (cfr. Cass., ord. 9549/2025). Spesso, comunque, l’Agenzia delle Entrate invia osservazioni: ad esempio potrebbe eccepire che la percentuale proposta è troppo bassa rispetto alle direttive interne (che talora prevedono soglie minime analoghe a quelle delle transazioni fiscali). Sarà il giudice, in definitiva, a decidere se quel trattamento del credito erariale è accettabile in ottica comparativa e di ragionevolezza.

In sintesi, il piano del consumatore è la soluzione ideale quando il debitore è una persona fisica non imprenditore, meritevole e intenzionata a pagare almeno in parte i propri debiti ma senza dover contrattare con i creditori (magari perché questi ultimi sarebbero ostili o disorganizzati). Il vantaggio è la snellezza (niente voto, meno passaggi) e la maggiore protezione del debitore da richieste eccessive – è il giudice a stabilire un pagamento equo in base alle reali possibilità del debitore. Di contro, è richiesto il rigoroso rispetto dei requisiti soggettivi (essere consumatore) e della meritevolezza: se il debitore ha colpe gravi, la procedura viene bloccata.

Esempio: Tizio, semplice privato, ha accumulato €100.000 di debiti tra prestiti e carta di credito. Ha perso il lavoro e può offrire solo €20.000 (raccolti con l’aiuto di familiari) per risolvere le sue posizioni. I creditori finanziari non accetterebbero mai volontariamente di ridursi al 20%, ma Tizio – se è un consumatore meritevole (debiti dovuti a sfortuna, non a malafede) – può presentare un piano del consumatore proponendo di pagare €20.000 in tot anni. Il giudice, verificato che Tizio non aveva prospettive di adempiere integralmente e che €20.000 rappresentano il massimo ragionevole data la perdita del lavoro, può omologare il piano anche se i creditori protestano. Tizio così paga il 20% e ottiene l’esdebitazione dell’80% residuo. Se invece Tizio fosse un imprenditore (es. artigiano) con debiti di pari importo, non potrebbe accedere al piano del consumatore: dovrebbe tentare un concordato minore e quindi convincere almeno il 51% dei creditori per valore a votare a favore per ottenere lo stesso risultato, oppure – in mancanza di voto – sperare nel cram-down giudiziale se il rifiuto di qualche creditore fosse irragionevole. È evidente come il piano del consumatore sia molto più favorevole al debitore (che non dipende dal consenso altrui), ma limitato a una categoria specifica.

Concordato minore

Il concordato minore è lo strumento destinato alla composizione negoziale del sovraindebitamento per i debitori diversi dal consumatore. Ha preso il posto dell’“accordo di ristrutturazione dei debiti” previsto dalla vecchia Legge 3/2012, introducendo però numerose innovazioni in linea con il modello dei concordati preventivi, ma adattate alla scala minore. È disciplinato dagli artt. 74-83 CCII. In sostanza, nel concordato minore il debitore propone un accordo ai creditori per il pagamento, anche parziale, dei propri debiti, subordinato all’approvazione di una maggioranza di essi e alla successiva omologazione da parte del Tribunale. Si chiama “minore” perché si contrappone al concordato preventivo “maggiore” riservato alle imprese soggette a fallimento, e ne ricalca alcuni meccanismi in forma semplificata.

Soggetti ammessi: come già detto, rientrano tutti i debitori sovraindebitati non consumatori. In pratica: imprenditori commerciali sotto soglia, professionisti, ditte individuali anche cessate, imprenditori agricoli, società di persone o capitali non fallibili, e persino eventuali persone fisiche consumatori che però preferiscano questa via (ciò potrebbe avvenire, ad esempio, se un consumatore vuole coinvolgere anche altri coobbligati nel piano, oppure se i suoi debiti sono misti consumo/impresa e non è chiaro se prevale la componente consumer). Di regola comunque il consumatore puro utilizza il suo piano dedicato, mentre il piccolo imprenditore o professionista utilizza il concordato minore. Da notare che il CCII all’art. 33, co. 4, escludeva in teoria il concordato minore per “l’imprenditore cancellato dal Registro Imprese”, il che sembrava vietarlo agli imprenditori cessati. Tuttavia la giurisprudenza del 2024-2025 ha interpretato restrittivamente tale divieto, ritenendo che esso valga solo per le società estinte (che non esistono più come soggetto) e non per la persona fisica dell’imprenditore individuale cessato, che rimane in vita coi suoi debiti. Vari tribunali (Vicenza, Ancona, Modena 2025) hanno quindi ammesso al concordato minore anche imprenditori individuali che avevano chiuso l’attività da oltre un anno, riconoscendo la “sopravvivenza” del soggetto debitore e privilegiando una lettura costituzionalmente orientata che garantisca comunque un percorso di esdebitazione. Su questo punto vi era stata una Cassazione del 2023 (sent. 22699/2023) che sembrava negare l’accesso all’ex imprenditore fallibile, ma tali pronunce di merito più recenti hanno di fatto superato l’ostacolo, invocando i principi di parità di trattamento e di tutela effettiva (art. 24 Cost.) per i piccoli imprenditori che altrimenti resterebbero privi di tutela. Dunque oggi un ex imprenditore individuale non fallito può presentare concordato minore per i debiti rimasti.

Condizioni e requisiti di ammissibilità: il concordato minore richiede anzitutto che il debitore versi in uno stato di sovraindebitamento reale, ossia in persistente incapacità di adempiere regolarmente ai debiti scaduti o imminenti. Se, ad esempio, l’imprenditore dispone ancora di risorse liquide sufficienti a pagare integralmente i creditori, non vi è presupposto per accedere (anche se magari prevede difficoltà future). Inoltre, occorre l’assenza di atti in frode: come per il consumatore, se il debitore ha compiuto atti di occultamento di beni o frodi verso i creditori, la domanda è inammissibile (art. 77 CCII). Non è invece richiesta la meritevolezza riguardo alle cause dell’indebitamento: anche chi ha gestito male l’azienda può proporre un concordato minore, purché ora agisca correttamente e in buona fede. Infine, valgono i limiti temporali analoghi al piano: non si può aver usufruito di un’altra procedura nei 5 anni precedenti, né aver riportato sanzioni per violazione della precedente (art. 69 co. 2 e art. 77 CCII).

Un particolare requisito del concordato minore – che emerge dalla ratio delle norme – è la presenza di una prospettiva di miglior soddisfazione per i creditori rispetto alla liquidazione. In altre parole, il concordato minore non deve ridursi a una liquidazione mascherata senza vantaggi. La legge incoraggia il debitore a intraprendere il concordato minore preferibilmente quando può offrire qualcosa in più rispetto alla semplice liquidazione dei beni. Ciò può avvenire in due modi: (a) prevedendo la continuità aziendale, ossia continuando l’attività d’impresa o professionale e destinando parte dei futuri utili al pagamento dei creditori; (b) oppure apportando risorse esterne (es. l’aiuto di un familiare, la liquidazione volontaria di un bene personale non facilmente pignorabile, un nuovo finanziatore) da aggiungere al patrimonio disponibile. Se manca sia la continuità sia apporti esterni, e il debitore si limita a offrire ai creditori esattamente quel poco che potrebbero già ottenere liquidando i beni, il concordato minore perde la sua ragion d’essere. In tali casi, spesso si considera preferibile andare direttamente in liquidazione controllata. Ad esempio, il Tribunale di Avellino ha ritenuto necessario che in un concordato minore prettamente liquidatorio fosse comunque garantito almeno un minimo pagamento anche al creditore chirografario (grazie a un piccolo apporto esterno), piuttosto che lasciarlo a zero: solo così ha ritenuto omologabile la proposta. Questo principio è ora codificato nell’art. 74 CCII, che richiede che “sia assicurato il pagamento, anche parziale, di tutti i creditori” ad eccezione di quelli che eventualmente rinuncino. Significa che il piano non può deliberatamente escludere un creditore dal ricevere alcunché se c’è la possibilità di dargli almeno qualcosa. Insomma, il concordato minore deve presentarsi come una soluzione migliorativa rispetto alla mera liquidazione: se il debitore non offre alcun valore aggiunto, la proposta sarà difficilmente approvabile o omologabile.

Procedura e fasi: il concordato minore si svolge in varie fasi analoghe a quelle già viste, con opportuni adattamenti:

  • Presentazione della domanda: il debitore predispone, con l’ausilio obbligatorio di un OCC e preferibilmente di un legale, un ricorso da depositare al tribunale del luogo del centro principale degli interessi (sede dell’impresa o residenza). Il ricorso contiene la richiesta di apertura della procedura di concordato minore ex art. 74 CCII e include la proposta di piano concordatario. In allegato vanno forniti: l’elenco dettagliato di tutti i debiti e creditori (con importi, cause di prelazione, scadenze); l’inventario del patrimonio del debitore e l’indicazione dei redditi correnti (es. bilanci ultimi esercizi se impresa, immobili posseduti, conti bancari, stipendio, etc.); tutti i documenti utili (contratti di finanziamento, estratti conto, cartelle esattoriali, ecc.); e soprattutto la relazione particolareggiata dell’OCC. Quest’ultima è un documento chiave in cui l’organismo indipendente certifica la completezza e attendibilità dei dati forniti dal debitore, le cause dell’indebitamento, l’assenza di atti in frode e fornisce un giudizio di fattibilità e convenienza del piano proposto. L’OCC svolge quindi una funzione di garanzia tecnica, simile a quella dell’attestatore nel concordato preventivo, ma internalizzata: non è richiesta infatti una separata attestazione di un professionista esterno oltre alla relazione OCC (art. 76 CCII).
  • Apertura della procedura: verificata la regolarità formale, il Tribunale emette un decreto di apertura del concordato minore. Con tale decreto nomina ufficialmente l’OCC/gestore della crisi, se già indicato (spesso viene confermato il professionista proposto dall’OCC interpellato dal debitore). Inoltre, il giudice fissa i termini e le modalità per la raccolta dei voti dei creditori. Di solito viene concesso un termine (20-30 giorni) entro cui i creditori devono esprimere il proprio voto in forma scritta o telematica, comunicandolo all’OCC. Contestualmente, il decreto impone le misure protettive: ossia ordina la sospensione di tutte le azioni esecutive individuali e cautelari da parte dei creditori sul patrimonio del debitore fino all’omologazione. Questo automatic stay protegge il debitore durante le trattative. Infine, il giudice designa un giudice delegato e fissa la successiva udienza di omologazione (generalmente qualche settimana dopo la scadenza del termine di voto).
  • Notifica ai creditori e voto: l’OCC, ricevuto il decreto, provvede a notificare a tutti i creditori copia della proposta di concordato e della sua relazione, invitandoli a votare entro il termine fissato. La votazione avviene di regola senza adunanza fisica: i creditori trasmettono all’OCC il loro voto per iscritto (via PEC, email, modulo cartaceo, ecc.). La legge stabilisce che la proposta è approvata se ottiene il **sì di creditori che rappresentino almeno il 51% dei crediti aventi diritto di voto. Quindi serve una maggioranza assoluta in valore dei crediti. Alcune precisazioni: non tutti i creditori votano – quelli privilegiati (ipotecari, pignoratizi, ecc.) che sono soddisfatti integralmente dal piano non hanno diritto di voto, perché la proposta non incide sulle loro pretese. Se però un creditore privilegiato subisce una decurtazione (falcidia) nel piano (cioè non viene pagato integralmente in privilegio), allora per la parte non pagata diviene chirografario e vota per quella parte. I creditori chirografari puri votano sempre. I crediti contestati o condizionati possono essere ammessi al voto in via provvisoria dal giudice, se necessario. Importante: se un singolo creditore detiene più del 50% dei crediti (es. Fisco molto rilevante), la legge prevede una sorta di doppio quorum: in tal caso, serve anche la maggioranza per numero di creditori votanti favorevoli, oltre al 51% in valore. Ad esempio, se l’Agenzia Entrate ha il 60% del totale crediti e gli altri 5 creditori il 40%, oltre al voto favorevole del Fisco servirà che almeno altri 3 creditori su 5 votino sì, in modo da evitare che un unico soggetto decida per tutti. Un elemento assai favorevole al debitore è il meccanismo del “silenzio-assenso”: il creditore che non esprime voto entro il termine è considerato consenziente. Questo dettaglio è fondamentale, perché spesso molti creditori (specie piccoli creditori o banche poco reattive) non rispondono affatto. Invece di contare i silenzi come “no” (che renderebbe quasi impossibile raggiungere il quorum), la legge dispone che l’inerzia valga come voto a favore. Ciò aumenta drasticamente le chance di approvazione: basta evitare voti contrari attivi oltre il 49%. Ad esempio, se su 10 creditori solo 3 votano (2 sì e 1 no) e gli altri 7 tacciono, i 7 silenti si sommano ai 2 sì, realizzando 9 sì su 10, e quindi la maggioranza è raggiunta. Una volta raccolti i voti, l’OCC redige il verbale attestandone l’esito. Se c’è maggioranza, la proposta si intende approvata; se non c’è, la proposta è respinta e la procedura di concordato di fatto fallisce, aprendo la strada alla liquidazione controllata. In quest’ultimo caso, infatti, il tribunale, nel dichiarare la mancata omologazione, normalmente dichiara d’ufficio aperta la liquidazione controllata, così da non lasciare i creditori senza tutela.
  • Eventuali modifiche post-voto: di norma la proposta sottoposta ai creditori non può essere modificata dopo la votazione, se non ripetendo il voto. Tuttavia la giurisprudenza ammette modifiche migliorative anche dopo il voto, senza nuova consultazione, se servono a ottenere l’omologazione ed avvantaggiano ulteriormente i creditori. Ad esempio, nel caso Avellino sopra citato, il giudice ha suggerito di portare un creditore chirografario da 0% a un piccolo pagamento; il debitore ha adeguato il piano dopo il voto, e il tribunale ha accettato la modifica senza nuova votazione perché era solo un miglioramento a favore del creditore (dal 0% al 2,79%). In generale, le modifiche in melius (che non peggiorano la posizione di alcun creditore) sono consentite in sede di omologazione, in virtù del principio di conservazione della proposta se utile.
  • Omologazione: raggiunto il quorum di voti favorevoli, si passa alla fase di omologazione in tribunale (art. 80 CCII). All’udienza, l’OCC deposita il verbale del voto e segnala se vi sono obiezioni o contestazioni da parte di creditori (es. un creditore escluso dal voto che lamenta il diritto di voto, o un dissenziente che contesta la convenienza). Il giudice, anche in composizione collegiale se previsto, compie vari controlli: verifica la correttezza della procedura (convocazioni regolari, maggioranza effettivamente raggiunta, assenza di cause ostative come frodi scoperte). Soprattutto, valuta la fattibilità e convenienza del piano. Sebbene i creditori abbiano approvato, il tribunale deve comunque rifiutare l’omologa se il piano appare manifestamente irrealizzabile o se i creditori non otterrebbero nemmeno quanto avrebbero dalla liquidazione (principio della convenienza per la massa). Di solito, essendo i creditori stessi favorevoli, questo controllo è una formalità; ma serve a evitare omologhe di piani artificiosamente approvati che però poi non starebbero in piedi. Un punto delicato è il voto del Fisco e degli enti pubblici: il CCII, all’art. 80 co. 3, prevede il cosiddetto cram-down fiscale, ossia la possibilità per il giudice di omologare il concordato minore anche senza il voto favorevole dell’Erario o di enti previdenziali, se ricorrono tre condizioni stringenti: (a) il loro voto contrario è determinante per bocciare la proposta (cioè senza quel no la maggioranza ci sarebbe, oppure quell’ente da solo impedisce di raggiungere il 51%); (b) il trattamento offerto nel piano al creditore pubblico è più vantaggioso di quello che otterrebbe in una liquidazione (quindi il piano non lede la par condicio in modo sostanziale); (c) il rifiuto opposto dall’ente appare ingiustificato secondo un criterio di ragionevolezza oggettiva. In pratica, se il Fisco (o l’INPS ecc.) dice no pur a fronte di una proposta che gli conviene chiaramente rispetto all’alternativa, il giudice può disattendere il suo diniego e omologare lo stesso il concordato come se il Fisco avesse acconsentito. Questo potere è stato inserito per evitare che lo Stato-creditore adotti posizioni pretestuose bloccando ristrutturazioni che sarebbero utili anche per le sue casse. Esempio: il piano offre al Fisco il 30% del suo credito, mentre in una liquidazione il Fisco prenderebbe zero: se l’Agenzia delle Entrate votasse comunque no, il giudice potrebbe considerare la sua opposizione irragionevole e omologare lo stesso, superando il voto contrario. Tuttavia, questo cram-down non è automatico: se il giudice ritiene che il rifiuto dell’ente pubblico sia invece giustificato (ad esempio perché la percentuale offerta è troppo esigua o perché il debitore ha avuto comportamenti scorretti verso il Fisco), non procederà all’omologa coatta. Una pronuncia significativa è il decreto della Corte d’Appello di Venezia del 10 ottobre 2024, che ha revocato un’omologa concessa in primo grado con cram-down su Fisco e INPS (creditori al 98%). In quel caso il piano offriva solo il 5,6% al Fisco: la Corte ha ritenuto che fosse un pagamento irrisorio, posto che il grosso dei debiti di quel debitore erano tributari e il concordato era mirato quasi solo ad azzerare il debito fiscale. Ha quindi giudicato legittimo il no dell’Erario e annullato l’omologa, affermando che il concordato minore non deve diventare un espediente per cancellare debiti fiscali importanti senza un adeguato sacrificio da parte del debitore (concetto di abuso dello strumento). Il messaggio è che il debitore con ingenti debiti fiscali farebbe bene a offrire una percentuale “ragionevole” e in linea con parametri normativi (ad es. le soglie minime introdotte nel 2023 per le transazioni fiscali) per evitare contestazioni e rischi di reclamo. In generale, comunque, al di là del caso estremo di Venezia, la tendenza dei tribunali è di applicare il cram-down fiscale quando effettivamente il piano conviene al Fisco più della liquidazione e il no appare pretestuoso (ad esempio quando l’ente non si esprime affatto, rimanendo silente: in tal caso è come se avesse detto sì, quindi l’omologa avviene).

Se tutto è regolare, il tribunale emette il decreto di omologa del concordato minore. L’omologa segna il completamento della procedura concorsuale: la proposta omologata acquista efficacia vincolante sia per il debitore sia per tutti i creditori anteriori. Ciò significa che da quel momento le condizioni del piano diventano legge tra le parti: i creditori perdono ogni pretesa ulteriore oltre a quanto previsto (le eventuali ipoteche o pignoramenti decadono per la parte eccedente, ecc.), e il debitore è tenuto a eseguire puntualmente ciò che ha promesso. Il decreto di omologa viene di solito iscritto nel Registro Imprese (se riguarda un’impresa) e comunicato a creditori e OCC. A differenza del concordato preventivo, qui non c’è una fase esecutiva controllata dal tribunale, salvo che lo stesso decreto possa eventualmente prevedere che l’OCC continui a vigilare sull’esecuzione del piano. In ogni caso, il grosso del lavoro giudiziario finisce con l’omologa.

  • Esecuzione del piano ed effetti finali: il debitore attua il piano omologato nei tempi convenuti (es. paga le rate mensili, vende eventuali beni entro le scadenze e versa i ricavi, ecc.). Durante tale periodo, i creditori devono astenersi da qualunque azione esecutiva, e comunque non potrebbero agire per importi o in modi diversi da quelli fissati nel piano (il divieto di azioni esecutive permane dopo l’omologa, salvo revoca del concordato). Una volta che il piano è stato adempiuto correttamente, il debitore consegue l’esdebitazione dai debiti residui non soddisfatti. Questo è il beneficio chiave: la liberazione definitiva dai debiti eccedenti quanto pagato secondo il piano. Nel concordato minore, diversamente dalla liquidazione, l’esdebitazione è intrinseca alla procedura: non occorre fare ulteriore domanda al giudice, perché i creditori hanno già accettato (direttamente o tacitamente) la falcidia attraverso l’accordo omologato. In pratica, le obbligazioni originarie rimaste insoddisfatte sono considerate estinte per effetto del decreto di omologa e del successivo adempimento. Il debitore può dunque ripartire “pulito” dall’esito positivo del concordato, riacquistando capacità di credito e potendo continuare eventualmente l’attività senza il fardello del vecchio debito. Se invece il debitore inadempie gravemente il piano, i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato (art. 81 CCII). La risoluzione, pronunciata dal tribunale, fa venir meno tutti gli effetti benefici: i creditori riacquistano i loro diritti per intero (dedotto quanto già ricevuto) e possono riprendere le esecuzioni per la parte non pagata. Tuttavia, come accennato, il giudice può dichiarare la risoluzione solo in caso di inadempimenti rilevanti o tali da compromettere la fattibilità del piano, non per lievi ritardi. Spesso si cerca di evitare la risoluzione, eventualmente con modifiche concordate tra debitore e creditori (ad es. concedendo una proroga se i creditori acconsentono, o approvando una modifica parziale). In caso di risoluzione, di solito il tribunale apre d’ufficio la liquidazione controllata quale rimedio residuale.

In definitiva, il concordato minore è uno strumento molto potente per il debitore sovraindebitato non fallibile che abbia ancora margini di negoziazione: gli consente di evitare la liquidazione totale, conservare i beni essenziali e l’azienda (se del caso) e tagliare una parte dei debiti col consenso (espresso o tacito) dei creditori. Il prezzo da pagare è dover ottenere una maggioranza qualificata di assenso e dover rispettare rigorosamente il piano concordato, pena la risoluzione. È quindi adatto a chi ha prospettive di rilancio o supporto finanziario esterno. Al contrario, se il debitore non ha alcuna risorsa per offrire neppure un concordato minimalista, oppure se i creditori (come le banche o il Fisco) fanno muro e rifiutano condizioni ragionevoli, allora si dovrà ripiegare sulla procedura liquidatoria. La stessa legge dà un ordine di priorità: prima tentare un accordo (piano del consumatore o concordato minore) e, solo se questo non riesce o non è praticabile, procedere con la liquidazione. In tal senso, il concordato minore rappresenta una via d’uscita “onorevole” (perché basata su un accordo) dove c’è uno spiraglio di soddisfazione concordata, mentre la liquidazione è la “resa” finale ma garantisce comunque la liberazione dai debiti a certe condizioni.

Di seguito un breve raffronto fra le caratteristiche del concordato minore e le altre procedure (piano del consumatore e liquidazione), per evidenziarne vantaggi e limiti:

Confronto tra le procedure di sovraindebitamento

CaratteristicaPiano del consumatoreConcordato minoreLiquidazione controllata
Soggetti ammessiSolo debitore persona fisica consumatore (debiti personali, non d’impresa).Debitori non consumatori: piccoli imprenditori, professionisti, imprese non fallibili, ed eventualmente consumatori che optino per accordo.Tutti i debitori sovraindebitati (consumatori e non) possono essere assoggettati a liquidazione controllata. Anche i creditori possono chiederla (art. 268 co.3 CCII).
IniziativaVolontaria del debitore (solo il debitore può proporre il piano).Volontaria del debitore (solo il debitore propone il concordato).Può essere volontaria (ricorso del debitore) o coattiva su istanza dei creditori o del PM in alcuni casi.
Necessità del voto dei creditoriNo – Nessun voto. I creditori non decidono, possono solo fare osservazioni; decide il giudice. – Richiede approvazione dei creditori con >50% in valore (quorum di legge). Silenzio = assenso (agevola il raggiungimento del quorum).No voto (non è un accordo, è una procedura concorsuale liquidatoria). I creditori partecipano presentando le domande di ammissione al passivo, non con un voto su un piano.
Ruolo del giudiceCentrale: valuta merito del piano, può modificarlo o negarlo se non equo. Controlla meritevolezza del debitore e convenienza per creditori.Importante ma più limitato: omologa se formalità ok e se piano è fattibile/conveniente ≥ liquidazione. Può forzare il voto del Fisco irragionevole (cram-down), ma rispetta l’accordo votato (non entra troppo nel merito salvo eccezioni).Gestisce l’intera procedura concorsuale: nomina liquidatore, giudice delegato sovrintende alle operazioni di vendita beni e distribuzione. Verifica crediti (stato passivo) e decide su esdebitazione finale.
Controllo sulla condotta del debitoreMolto severo: richiesto debitore “meritevole” (no colpa grave o frode nell’indebitarsi) pena diniego omologa.Meno severo: no giudizio di meritevolezza generale, salvo esclusione per atti in frode. Possibile accesso anche se debitore ha fatto errori gestionali (basta buona fede attuale).Posticipato: la condotta rileva principalmente in sede di esdebitazione (fine procedura). Il debitore deve aver cooperato lealmente, senza dolo o colpa grave, altrimenti il giudice può negare l’esdebitazione ex art. 282 CCII.
Modalità di soluzioneRistrutturazione dei debiti tramite un piano di pagamento parziale in base alle possibilità del debitore, senza liquidare tutti i beni. Esempio: riduzione percentuale dei debiti, rateizzazioni, ecc. Il piano può prevedere moratorie, classi, ecc., purché sostenibile.Accordo con i creditori per pagare in tutto o in parte i debiti. Può prevedere la prosecuzione dell’attività (continuità aziendale) o la liquidazione di alcuni beni, con eventuali classi di creditori e trattamenti differenziati. Non può escludere totalmente intere classi di creditori senza motivo.Liquidazione integrale del patrimonio non esente: tutti i beni del debitore al momento dell’apertura diventano disponibili per la vendita. Comprende anche i redditi futuri pignorabili per 4 anni (quote di stipendio, ecc.). Non c’è un piano di pagamento: i creditori vengono soddisfatti con quello che si ricava, secondo l’ordine delle prelazioni (privilegi, ipoteche, chirografi).
Durata tipicaRelativamente breve per la fase giudiziale: dall’introduzione all’omologa possono passare alcuni mesi (di solito 3-6 mesi). Poi durata del piano variabile in base alle rate (spesso 4–5 anni).Simile: la procedura di voto e omologa si conclude in tempi abbastanza rapidi (2-4 mesi se non ci sono intoppi). Poi fase esecutiva secondo il piano, ad es. pagamento rateale 3-5 anni, o vendite programmate.Può essere più lunga: la liquidazione può durare anni se ci sono beni immobili da vendere o liti da risolvere. La legge punta a una chiusura entro 3 anni per le attività di liquidazione, ma spesso i tempi dipendono dal mercato (es. vendita casa all’asta). Durante la liquidazione c’è anche la fase di accertamento del passivo (simile al fallimento) che può richiedere qualche mese.
Effetti sui beni del debitoreIl debitore normalmente mantiene i propri beni, salvo quanto destinato ai pagamenti nel piano. Può conservare la casa, l’auto, ecc., se il piano è calibrato in modo da soddisfare comunque i creditori con altre risorse. (Esempio: il giudice può approvare un piano dove il debitore trattiene la prima casa ma offre ai creditori un valore equivalente rateizzato grazie a terzi).Il debitore può spesso evitare la spoliazione totale: ad es. può continuare a gestire l’azienda e tenere i beni strumentali, oppure conservare l’abitazione se il piano prevede pagamenti compensativi ai creditori. Ciò a condizione che i creditori ottengano almeno quanto otterrebbero vendendo quei beni. Se il piano è ben congegnato, i creditori accettano e il debitore salva i beni essenziali.Il debitore perde la disponibilità di tutti i beni non impignorabili: immobili, conti, veicoli, ecc. vengono liquidati dal Liquidatore/curatore nominato dal tribunale. Anche la casa di abitazione, se di proprietà, può essere venduta (salvo che sia formalmente impignorabile per legge, evenienza rara). Il debitore di fatto viene spogliato del patrimonio (pur restando proprietario formale sino alla vendita). Deve ricominciare da zero dopo, salvo gli indumenti e poche cose impignorabili.
Esdebitazione (cancellazione debiti)Automatica a fine piano omologato senza ulteriore giudizio, purché il piano sia eseguito integralmente. Il debitore è libero dai debiti residui subito dopo l’ultima rata pagata. (Debiti non falcidiati come alimenti, risarcimenti da dolo, etc., se esclusi ex lege, restano comunque dovuti).Automatica con l’esecuzione completa del piano concordatario. Il decreto di omologa e la corretta esecuzione estinguono i debiti residui, senza necessità di fare domanda di esdebitazione. Se però il piano si risolve per inadempimento grave, l’esdebitazione salta.Su istanza a fine procedura: il debitore deve chiedere l’esdebitazione al tribunale (art. 282 CCII). Viene concessa se il debitore ha cooperato e non ha provocato il dissesto con frode o colpa grave. Quindi non è garantita automaticamente: il giudice valuta meriti e demeriti. Se concessa, estingue tutti i debiti residui non pagati (salvo quelli non esdebitabili per legge: es. obblighi alimentari, multe penali).
Vantaggi principali– Niente voto creditori: il debitore meritevole può ottenere la riduzione dei debiti anche contro il loro parere, se convince il giudice.– Procedura relativamente rapida e snella sul piano giudiziario.– Conservazione del patrimonio oltre i pagamenti previsti: non si liquidano tutti i beni, solo ciò che serve per attuare il piano.– Fresh start completo a fine piano (debiti cancellati).– Il debitore mantiene maggiore controllo: propone un piano modulato sulle sue possibilità, può continuare l’attività d’impresa e salvare beni importanti con l’accordo dei creditori.– Consente di attivare risorse aggiuntive (finanziamenti terzi, redditi futuri) che in liquidazione non sarebbero disponibili, migliorando il ritorno per i creditori.– Maggioranze facilitate dal silenzio-assenso.– Cram-down fiscale possibile se l’Erario è irragionevole.– Esdebitazione automatica a fine esecuzione del piano.– È l’unica soluzione se il debitore non è in grado di offrire un accordo o se i creditori non intendono accettare riduzioni volontarie: in tal caso la liquidazione è forzata ma comunque porta alla chiusura della vicenda debitoria.– Tutto il patrimonio viene messo a disposizione dei creditori, garantendo massima trasparenza e imparzialità (nessun bene viene trattenuto indebitamente dal debitore).– Al debitore, pur sacrificato nei beni, è concessa comunque la chance di esdebitazione finale, anche se ha pagato poco o nulla (specie grazie all’istituto del debitore incapiente).– Durante la procedura, il debitore non deve sostenere pagamenti extra: perde i beni, ma non resta vincolato a rate future (salvo quota reddito se ha stipendio).
Svantaggi principali– Accesso limitato ai soli consumatori e soggetto a valutazione morale stringente: se il giudice ritiene il debitore “colpevole”, niente omologa.– È spesso il giudice a “calibrare” il piano: minore libertà per il debitore di decidere percentuali, dovendo convincere un’autorità pubblica (che potrebbe chiedere sforzi maggiori se possibile).– Creditori non coinvolti attivamente: ciò è un vantaggio per il debitore, ma potrebbe comportare opposizioni e reclami (i creditori cercheranno di far valere le loro ragioni in giudizio anziché negoziare).– Richiede di ottenere una maggioranza di voti: c’è sempre incertezza sull’esito finché non si chiude la votazione. Un solo grande creditore può condizionare il tutto (doppia maggioranza in caso di creditore sopra 50%).– Spesso il debitore deve procurarsi risorse aggiuntive (es. vendita di un bene, aiuto familiare) per rendere appetibile la proposta e convincere i creditori: ciò può essere difficile.– Procedura più complessa del piano del consumatore, con passaggi di voto e possibili contestazioni tecniche (ammissione crediti contestati, classi, ecc.).– Se il piano fallisce (mancato voto o mancata omologa), si va in liquidazione d’ufficio. Se fallisce dopo (risoluzione), il debitore ha perso tempo e magari beni venduti restano venduti, senza aver ottenuto esdebitazione.– Il debitore perde ogni bene (traumi personali, perdita della casa, dell’azienda, ecc.).– Procedura spesso lunga e dai costi non trascurabili (ci sono spese di giustizia, compenso del liquidatore, ecc., che però in parte sono prelevati dall’attivo liquidato).– Esdebitazione non immediata: bisogna attendere la fine e soddisfare i requisiti di legge; c’è l’incertezza di un giudizio finale (anche se oggi è tendenzialmente concessa a chi si comporta bene).– I creditori di regola recuperano percentuali molto basse (se il patrimonio è scarso, la liquidazione dà poco, magari nulla ai chirografari). Di contro, il debitore subisce il massimo sacrificio possibile.

Da notare: in tutte le procedure, alcuni debiti “non comprimibili” per legge permangono nonostante l’esdebitazione. In particolare, restano dovuti gli obblighi di mantenimento e alimentari (es. assegni di mantenimento al coniuge e ai figli), le obbligazioni risarcitorie derivanti da fatti illeciti gravissimi (es. risarcimenti per danni da dolo o per multe penali) e in genere i debiti esclusi dall’esdebitazione anche nel fallimento (art. 282 co.3 CCII). Ad esempio, un debitore sovraindebitato che abbia arretrati di alimenti verso l’ex coniuge o sanzioni penali pecuniarie non potrà liberarsene tramite queste procedure: tali debiti non rientrano tra quelli falcidiabili e continueranno a sussistere, dovendoli poi pagare separatamente. Si tratta di eccezioni legate a interessi indisponibili o di ordine pubblico.

Liquidazione controllata del sovraindebitato

La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) è la procedura “concorsuale” destinata a risolvere il sovraindebitamento attraverso la liquidazione giudiziale di tutti i beni del debitore, analoga per molti aspetti al fallimento tradizionale (che nel Codice si chiama ora liquidazione giudiziale). Rappresenta l’ultima ratio quando non è possibile (o non si vuole) percorrere una soluzione negoziale come il piano o il concordato minore. Vi si ricorre tipicamente se il debitore non ha prospettive di risanamento né risorse per offrire un concordato accettabile, oppure se i creditori non intendono fare concessioni. Anche quando un concordato minore viene bocciato o risolto, spesso si sfocia nella liquidazione controllata d’ufficio. In tal senso, la liquidazione è il “piano B” per chiudere comunque la crisi, sacrificando integralmente il patrimonio ma assicurando ai creditori di ricevere tutto il possibile da quei beni, e al debitore (se meritevole) di poter poi ripartire libero dai debiti.

Presupposti e attivazione: la liquidazione controllata può essere chiesta direttamente dal debitore sovraindebitato mediante ricorso al Tribunale (spesso contestualmente alla rinuncia o al fallimento di un piano/concordato). Ma la legge consente anche ai creditori o all’autorità giudiziaria di provocarla: l’art. 268 co. 3 CCII stabilisce infatti che, se il debitore è in stato di insolvenza, ciascun creditore, il Pubblico Ministero o persino l’OCC (in caso di procedura pendente) possono presentare ricorso per aprire la liquidazione controllata. Questa è una novità rispetto alla L.3/2012, che invece richiedeva sempre l’istanza volontaria del debitore. Ora, dunque, un piccolo imprenditore insolvente che non prenda iniziative rischia che siano i creditori a trascinarlo comunque in liquidazione presso il tribunale, un po’ come avviene col fallimento per le imprese ordinarie. In ogni caso, la condizione necessaria è lo stato di sovraindebitamento (insolvenza) e la non assoggettabilità del debitore a liquidazione giudiziale: non si può chiedere la liquidazione controllata di un soggetto fallibile, ovviamente.

Effetti e svolgimento: aperta la liquidazione, il tribunale nomina un Liquidatore (spesso coincide con il gestore dell’OCC, ma può essere un diverso professionista) e un giudice delegato. Da quel momento, tutti i beni di proprietà del debitore diventano vincolati alla procedura e destinati alla vendita. Non vi è un vero e proprio spossessamento giuridico come nel fallimento (il debitore conserva la titolarità formale dei beni), ma di fatto è come se ne perdesse la disponibilità: non può più venderli né disporne, e sarà il Liquidatore, sotto supervisione del giudice, a gestirli e liquidarli nell’interesse dei creditori. Il debitore ha l’obbligo di collaborare e fornire tutte le informazioni e documenti, ma non ha più potere decisionale sul suo patrimonio. Viene aperta la fase di accertamento del passivo: i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo entro un termine, e il giudice (con l’ausilio del Liquidatore) forma lo stato passivo, ossia l’elenco ufficiale dei crediti ammessi e del loro grado di privilegio. Questo procedimento è analogo a quello fallimentare, anche se spesso semplificato data la minor complessità delle posizioni. Una volta stabilito chi ha diritto a cosa, il Liquidatore procede a realizzare l’attivo: vende i beni mobili e immobili (tipicamente tramite procedure competitive o aste), riscuote eventuali crediti vantati dal debitore, risolve affari pendenti se necessario, e in generale converte in denaro tutto ciò che è disponibile. Importante: il reddito futuro del debitore per una parte viene coinvolto – l’art. 270 CCII prevede che una quota dello stipendio o pensione (la parte pignorabile) per i 4 anni successivi all’apertura della procedura entri nella liquidazione. Quindi, ad esempio, se il debitore è un lavoratore dipendente, dovrà versare al Liquidatore la quota di un quinto dello stipendio (come se fosse un pignoramento) per i prossimi 4 anni; se è un professionista con reddito, analogamente una parte dei suoi incassi futuri andrà ai creditori per 4 anni. Questo meccanismo serve a equilibrare situazioni in cui il debitore non ha beni oggi, ma potrebbe generare reddito domani. Decorso il quadriennio, il residuo reddito torna libero.

Man mano che si accumulano somme, il Liquidatore effettua i riparti ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima si pagano (pro quota) i creditori con pegno/ipoteca o privilegio, e solo se avanza qualcosa si pagano i chirografari, proporzionalmente. Spesso, in situazioni di sovraindebitamento, accade che molti crediti rimangano insoddisfatti o pagati solo in minima percentuale, specie quelli chirografari, dato che il patrimonio del debitore è modesto. Terminata la liquidazione di tutti i beni e fatte le distribuzioni finali, il Liquidatore presenta il rendiconto e il Tribunale dichiara chiusa la procedura (art. 277 CCII). A questo punto, il debitore può chiedere l’esdebitazione.

Esdebitazione nella liquidazione controllata: ai sensi dell’art. 282 CCII, il debitore (persona fisica) che ha subito la liquidazione può ottenere la cancellazione dei debiti residui solo su richiesta e se soddisfa alcuni requisiti. In particolare, il giudice deve accertare che il debitore abbia collaborato con correttezza durante la procedura, non abbia occultato attivo o aggravato il passivo, e che l’insolvenza non sia imputabile a sua frode o colpa grave. Il criterio di meritevolezza qui è simile a quello previsto per il consumatore in sede di piano, ma riferito al comportamento nell’aver causato il sovraindebitamento: ad esempio, se il debitore ha contratto debiti in modo scriteriato o con intenzioni dolose (truffe, ecc.), il tribunale può negargli la “pulizia” finale. Se invece risulta che la sua situazione debitoria è dipesa da sfortuna o leggerezza scusabile, e durante la procedura egli si è comportato onestamente, l’esdebitazione viene concessa. Gli effetti dell’esdebitazione sono simili alle altre procedure: i creditori non soddisfatti non possono più agire per il pregresso. Da notare che l’esdebitazione vale solo per le persone fisiche: se il debitore era, poniamo, una società (es. una srl piccola finita in liquidazione controllata), la questione non si pone perché la società, esaurito il patrimonio, verrà estinta. Invece il socio o garante persona fisica potrà aver bisogno di esdebitazione a titolo personale.

Se il giudice nega l’esdebitazione, i creditori potrebbero in teoria tornare a perseguitare il debitore per i debiti rimasti – ma spesso, dopo la liquidazione, il debitore non ha comunque più nulla, quindi ciò avrà conseguenze pratiche limitate (salvo che il debitore riesca a rifarsi economicamente in futuro, ma in tal caso senza esdebitazione rischia di portarsi dietro all’infinito i vecchi debiti). Va detto però che la prassi attuale è fortemente orientata a concedere l’esdebitazione nella gran parte dei casi, salvo condotte veramente fraudolente. Lo spirito della riforma è di dare comunque una chance di ripartenza, altrimenti lo stigma debitorio perpetuo spingerebbe nell’economia sommersa.

Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII): merita qui una trattazione particolare l’istituto, già citato, dell’esdebitazione “senza utilità”. Questo strumento, introdotto nell’ordinamento prima con la L. 176/2020 e poi confermato dal Codice, consente al debitore persona fisica che non possiede alcun patrimonio liquidabile di ottenere comunque la cancellazione dei debiti. In pratica, è pensato per chi è talmente indigente che una liquidazione darebbe zero ai creditori: tipicamente disoccupati senza beni, nullatenenti, piccoli debitori con solo minimi beni impignorabili. Per attivarlo, il debitore deve presentare apposita istanza al tribunale, dimostrando: di essere meritevole (assenza di frode o colpa grave nell’indebitamento), di non aver beneficiato di altra esdebitazione negli ultimi 5 anni, e di non poter offrire nemmeno in futuro una soddisfazione ai creditori. Se il tribunale accoglie, dichiara l’esdebitazione immediata. La procedura in realtà rimane aperta per 4 anni: se entro 4 anni dal provvedimento il debitore incapiente dovesse conseguire sopravvenienze di rilievo (es. eredità, vincite, significativo aumento di reddito), tali somme vanno in parte ai creditori (oltre una certa soglia). Se ciò non avviene, dopo 4 anni la procedura si chiude definitivamente e i creditori restano senza nulla. Questo istituto è molto dibattuto: alcuni tribunali inizialmente erano restii a concedere un’esdebitazione “a zero” ritenendola troppo penalizzante per i creditori (ad es. il Tribunale di Ferrara a fine 2024 ha negato il beneficio in assenza di qualsiasi pagamento); altri sono più aperti, sottolineando che la legge lo prevede espressamente e che se ci sono le condizioni soggettive va dato per favorire il fresh start (Trib. Milano dicembre 2024 lo ha concesso a un debitore nullatenente meritevole). In ogni caso, l’esdebitazione dell’incapiente è una procedura residuale: il debitore deve dimostrare di non poter percorrere né un piano né un concordato (magari perché davvero non ha alcun bene né entrate). Se c’è anche solo un minimo attivo, è più appropriato fare una liquidazione controllata e poi chiedere l’esdebitazione standard.

Conclusione sulla liquidazione: pur essendo dolorosa per il debitore, la liquidazione controllata assicura una chiusura ordinata della crisi: il debitore perde tutto ma poi rinasce senza debiti, e i creditori hanno la garanzia che qualunque risorsa disponibile è stata distribuita equamente secondo la legge. È proprio il “fallimento del debitore civile”. Come rileva la relazione ministeriale, queste norme intendono evitare che il sovraindebitato resti per sempre perseguitato dai creditori: meglio fare piazza pulita in tribunale una volta per tutte, e poi dare al cittadino la possibilità di rifarsi una vita senza debiti impossibili. Dal punto di vista del debitore, ovviamente, è preferibile tentare soluzioni meno drastiche se possibile (piano o concordato) e ricorrere alla liquidazione solo quando non vi siano alternative praticabili. D’altro canto, vi sono casi in cui il debitore stesso sceglie la liquidazione perché, non avendo beni di valore, attraverso di essa ottiene comunque l’esdebitazione pur senza pagare nulla di sostanziale – specie sfruttando il meccanismo del debitore incapiente. Ad esempio, un soggetto nullatenente con soli debiti chiederà direttamente la liquidazione (o l’esdebitazione incapiente) perché un concordato è impossibile. In simili situazioni, la liquidazione controllata funziona come uno strumento di welfare che sancisce l’irrecuperabilità dei crediti ma salva la persona dal ricatto perpetuo del debito.

Domande e risposte frequenti (FAQ)

Di seguito, alcune domande comuni sul sovraindebitamento dal punto di vista del debitore, con risposte sintetiche:

  • D: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento?
    R: Possono accedervi tutti i debitori non fallibili (consumatori, imprenditori sotto soglia, professionisti, ecc.) che si trovano in sovraindebitamento, ossia che non riescono a pagare regolarmente i propri debiti. Sono inclusi anche soggetti particolari come imprenditori agricoli e piccoli enti non profit. È necessario non avere compiuto frodi ai danni dei creditori e non aver già usufruito di una procedura simile nei 5 anni precedenti. Le grandi imprese fallibili (es. S.p.A. sopra soglia) e in generale chi può essere assoggettato a fallimento non può utilizzare queste procedure, dovendo ricorrere alle procedure concorsuali ordinarie. In pratica, se sei una persona fisica oberata di debiti o una piccola impresa familiare insolvente, probabilmente rientri tra i soggetti ammessi.
  • D: Quali procedure sono disponibili e come scelgo quella giusta?
    R: Le procedure principali sono tre: il piano del consumatore (solo per persone fisiche consumatori, senza voto dei creditori), il concordato minore (per imprenditori e non consumatori, con accordo dei creditori) e la liquidazione controllata (per chiunque, procedura liquidatoria). In più c’è l’esdebitazione del debitore incapiente per casi estremi senza beni. La scelta dipende dalla tua situazione: se sei un privato debitore con debiti personali e sei in buona fede, il piano del consumatore ti permette di ottenere l’omologa senza negoziare coi creditori (utile se le banche non ascolterebbero). Se invece sei un imprenditore o professionista con debiti di impresa, dovrai fare un concordato minore, cercando il consenso (anche tacito) dei creditori. Se non hai alcuna capacità di rimborso significativa o un accordo fallisce, resta la liquidazione controllata, che liquida tutto ma ti dà comunque l’uscita col beneficio finale dell’esdebitazione. È sempre consigliabile provare una soluzione negoziale (piano/concordato) per evitare di perdere beni preziosi; la liquidazione va vista come ultimo step qualora ogni compromesso sia impraticabile.
  • D: Posso includere tutti i debiti che ho? Anche le tasse, le multe, il mutuo?
    R: , in linea di massima tutti i debiti concorsuali (ossia tutte le passività del debitore verso creditori privati o pubblici) possono essere inclusi nel piano o nel concordato. Ciò comprende debiti bancari e finanziari, mutui, prestiti personali, fidi; debiti verso fornitori; bollette e utenze non pagate; canoni condominiali arretrati; debiti fiscali (tasse, IVA, cartelle esattoriali) e contributivi (INPS). Anche le multe amministrative rientrano. È importante elencarli tutti nella domanda, senza omissioni. Esistono però debiti che non possono essere falcidiati o perdonati neanche con l’esdebitazione: in particolare le obbligazioni alimentari e di mantenimento (es. alimenti al coniuge/figli) e le sanzioni penali (multe o ammende da reato) non possono essere toccate. Significa che se hai arretrati di mantenimento o una multa penale, dovrai comunque pagarli per intero; queste somme di solito si escludono dal piano (vengono lasciate fuori perché non “componibili”). Tutti gli altri debiti invece possono essere ristrutturati: persino l’IVA e le imposte, un tempo intoccabili, oggi possono essere ridotte con un piano/concordato, purché la proposta sia equa. Il piano dovrà comunque rispettare le cause di prelazione: ad esempio, se c’è un mutuo ipotecario, il credito della banca è privilegiato dall’ipoteca sulla casa, quindi o si paga almeno il valore di realizzo dell’immobile oppure, se si vuole salvare la casa, occorre offrire un piano che dia alla banca un valore equivalente (magari pagando le rate residue per intero o con un lieve taglio concordato). In sintesi: quasi ogni debito finanziario/fiscale va dentro, salvo eccezioni legali (alimenti, pene) che rimangono fuori.
  • D: Cosa succede alla mia casa di abitazione se accedo a una di queste procedure? La perdo?
    R: Dipende dalla procedura e dal contenuto del piano. Uno degli obiettivi del sovraindebitamento è cercare di salvare i beni essenziali del debitore, quando possibile. Nel piano del consumatore o nel concordato minore, è possibile mantenere la casa di abitazione di proprietà, a patto di trovare una soluzione che soddisfi comunque i creditori per il valore dell’immobile. Ad esempio, se hai una casa su cui grava un mutuo e vuoi conservarla, potresti proporre di continuare a pagare il mutuo (o rifinanziarlo) regolarmente e trattare con tagli solo gli altri debiti, così la banca ipotecaria non subisce perdite e gli altri creditori non possono pretendere di forzare la vendita della casa. Oppure, se la casa è libera da ipoteche ma vuoi evitarne la vendita, potresti offrire ai creditori un pagamento (anche rateale) che corrisponda grosso modo al valore liquidativo della casa – magari grazie a un aiuto di un familiare che apporta liquidità – in modo tale che i creditori siano indennizzati e acconsentano a lasciarti l’abitazione. In molti casi i tribunali hanno approvato piani in cui la prima casa del debitore non viene venduta, perché il piano comunque dà ai creditori l’equivalente del ricavato di una vendita. Viceversa, se vai in liquidazione controllata, la casa di abitazione rientra nei beni da liquidare e quindi in genere viene messa all’asta dal Liquidatore (salvo che sia protetta da vincoli particolari o di modesto valore). In liquidazione non c’è margine: tutto ciò che non è legalmente impignorabile viene venduto. Quindi, per salvare la casa, bisogna evitare la liquidazione e riuscire a fare un piano o concordato. Se questi falliscono, purtroppo la casa sarà sacrificata. Importante: se la casa è cointestata con un coniuge o terzi, la procedura incide solo sulla quota del debitore sovraindebitato. Inoltre, se la casa è gravata da ipoteca e viene venduta, il creditore ipotecario (es. banca) ha diritto a ricevere il ricavato fino a concorrenza del suo credito; se avanza qualcosa, va agli altri creditori. In definitiva: con piano/concordato hai buone chance di tenere la casa trovando un compromesso; con la liquidazione quasi certamente la perdi, quindi conviene giocare la carta negoziale se la casa ha per te un valore fondamentale.
  • D: Se ho un mutuo per la casa o un finanziamento auto, posso includerlo nel piano? O continuo a pagarlo a parte?
    R: Puoi scegliere entrambe le strade a seconda della convenienza. Se il mutuo ha un’ipoteca sulla casa e desideri tenere la casa, normalmente continuerai a pagare il mutuo regolarmente fuori dal piano. Infatti, la banca ipotecaria in tal caso viene “protetta” dall’ipoteca e tu nel piano indicherai che quel debito ipotecario verrà soddisfatto integralmente con le normali rate, quindi non soggetto a falcidia (al massimo potresti chiedere di spostare alcune rate alla fine, se necessario, ma di solito meglio proseguire). Così facendo, la banca non ha motivo di opporsi e la casa non è toccata. Invece, gli altri debiti chirografari (non garantiti) li ristrutturi nel piano. Se invece la casa non ti interessa o il mutuo è insostenibile, puoi includere anche il mutuo nel piano proponendo di stralciarlo parzialmente. Ad esempio, potresti offrire di pagare il 50% del mutuo e liberarti della casa (che magari verrà venduta). La banca ipotecaria in tal caso voterà nel concordato per la parte non coperta dal valore dell’immobile. Tieni presente che se la casa vale meno del debito residuo, la banca ha comunque convenienza ad aderire a un piano in cui magari riceve subito il valore di mercato dell’immobile. Ogni caso è a sé: spesso, se l’immobile è “prima casa” ed ha un mutuo sostenibile, è preferibile tenere fuori il mutuo dal taglio dei debiti. Se invece l’immobile è sovra-ipotecato o non vuoi tenerlo, si gestisce liquidandolo. Per un’auto con leasing o finanziamento, scenario simile: se vuoi tenere l’auto, devi di norma continuare a pagare le rate (o prevedere nel piano di pagarle per intero, magari con una piccola dilazione); se non ti interessa tenerla, la riconsegni o la vendi e il debito residuo entra tra i chirografari da falcidiare. La flessibilità di queste procedure è ampia: puoi selezionare quali contratti mantenere e quali risolvere. Chiaramente, quello che mantieni lo paghi integralmente fuori dal piano, quello che rompi va nel piano come debito.
  • D: Cosa succede ai debiti verso l’Erario (Agenzia Entrate) e verso l’INPS? Lo Stato accetta di ridurre il suo credito?
    R: Sì, oggi è possibile proporre e ottenere stralci anche sui debiti fiscali e previdenziali. In passato l’IVA, ad esempio, era sacra (bisognava pagarla al 100% a meno di transazione fiscale). Oggi invece, sia nel concordato minore sia nel piano del consumatore, puoi tranquillamente offrire una percentuale ridotta su IVA, IRPEF, contributi, ecc., e se il piano va in porto la parte residua viene cancellata. L’Agenzia delle Entrate e gli enti pubblici sono però spesso i creditori dominanti e adottano criteri interni rigidi: ad esempio, tramite linee guida, tendono a esigere almeno certe percentuali minime (magari il 10-20%) per votare favorevolmente. Se nel tuo caso il piano offre al Fisco percentuali molto basse, c’è rischio che votino contro e facciano opposizione. Tuttavia, come spiegato, il giudice può forzare il dissenso del Fisco se la proposta è oggettivamente migliore della liquidazione. In pratica: sì, si possono ridurre i debiti fiscali, ma è prudente offrire il massimo ragionevole. Spesso si consiglia di pagare integralmente almeno l’IVA e i contributi per la parte di capitale, falcidiando magari sanzioni e interessi (che di solito il Fisco accetta di buon grado di azzerare). Ad esempio, se hai cartelle per €50.000 di cui €30.000 di imposte e €20.000 tra sanzioni e interessi, potresti offrire €15.000 (il 50%) coprendo quasi tutto il capitale e nulla sulle sanzioni: l’Erario vedrà soddisfatta la sostanza del tributo e sarà più propenso a dire sì. Ricorda che l’Agenzia Entrate esprime un solo voto globale per tutte le sue pretese, quindi deve valutare il pacchetto completo. Con un confronto anticipato (informale) a volte l’OCC riesce a capire quale offerta potrebbe andare bene al Fisco. In sintesi: lo Stato può aderire e subire il taglio, ma devi costruire la proposta con criterio. Se poi, malgrado tutto, il Fisco dice no, ci penserà eventualmente il giudice a valutare se ignorare quel no (se stai offrendo più di quanto prenderebbero altrimenti). Nota infine che sanzioni e interessi di mora sono i primi candidati allo stralcio: è prassi che nel piano le sanzioni tributarie vengano ridotte 100% (azzerate) e gli interessi fortemente ridotti, pagando qualcosa in più sul capitale d’imposta.
  • D: Durante la procedura, i creditori possono continuare a molestarmi (telefonate, ingiunzioni, pignoramenti)?
    R: No. Uno dei benefici immediati, una volta che il tribunale apre la procedura (sia piano, concordato o liquidazione), è la concessione delle “misure protettive”: ossia il blocco di tutte le azioni esecutive e la sospensione dei procedimenti di recupero credito in corso. Significa che se avevi pignoramenti in atto, questi vengono sospesi; nuovi pignoramenti o ipoteche non possono essere avviati dai creditori sulla tua casa o conto; eventuali fermi amministrativi dell’auto da parte di Agenzia Riscossione vengono anch’essi sospesi (e di solito poi cancellati con l’omologa). I creditori devono presentare le loro pretese all’interno della procedura, non più all’esterno. Questo automatic stay permane fino all’omologazione (nel piano/concordato) e anche oltre se il piano viene omologato, oppure fino alla fine della liquidazione. Dunque, una volta ammesso, sei protetto e puoi respirare, senza timore di trovare l’ufficiale giudiziario alla porta. È importante però che rispetti i termini della procedura: se, ad esempio, in un concordato minore non presenti i documenti o non rispetti le scadenze intermedie, il tribunale potrebbe revocare il beneficio e a quel punto i creditori riprendono le azioni. Ma in condizioni normali, hai questa “tregua”. Nota: nelle more tra la presentazione del ricorso e il decreto di apertura, la legge consente di chiedere al tribunale un provvedimento d’urgenza per sospendere le azioni (art. 54 CCII), al fine di coprire quell’intervallo di solito breve.
  • D: Cosa comporta coinvolgere un OCC? Devo pagarlo io?
    R: L’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) è un organo previsto per legge che ti assiste obbligatoriamente nella procedura. In pratica, devi rivolgerti a un OCC autorizzato (spesso istituito presso le Camere di Commercio, gli Ordini dei commercialisti o avvocati, o enti pubblici tipo la Camera Arbitrale) territorialmente competente. L’OCC nominerà un gestore della crisi (professionista esperto, di solito un commercialista o avvocato con formazione specifica) che lavorerà sul tuo caso: ti aiuterà a raccogliere i documenti, redigerà la relazione particolareggiata, ti guiderà nella formulazione del piano e poi supervisionerà l’esecuzione. Il compenso dell’OCC è stabilito secondo parametri ministeriali (DM 202/2014 e succ.) ed è tendenzialmente proporzionale alla complessità e all’attivo. L’OCC di solito chiede un acconto iniziale e poi viene pagato a fine procedura. Buona notizia: puoi includere il compenso OCC nel piano come spesa prededucibile, così di fatto i creditori se ne fanno carico (riducendo la percentuale disponibile per loro). Se però il tuo caso è di totale incapienza, l’OCC potrebbe chiederti almeno un compenso base perché nessun attivo c’è da cui attingere. Ad ogni modo, ci sono meccanismi di controllo: il tribunale approva il compenso solo se congruo. Esistono anche OCC promossi da enti pubblici che applicano tariffe calmierate. In sintesi: sì, l’OCC va remunerato, ma spesso non devi sborsare tutto subito; una parte può essere dilazionata e prelevata durante la procedura. Esempio: se devi pagare €3.000 all’OCC e nel concordato prevedi di pagare €30.000 totali ai creditori, è usuale impostare che i primi soldi raccolti vadano all’OCC e il resto ai creditori. Inoltre c’è un contributo unificato iniziale in tribunale (€98) e bolli (circa €27) per iscrivere la procedura, ma cifre contenute. Considera comunque di farti assistere anche da un avvocato di fiducia, specialmente per il concordato minore (non obbligatorio per legge, ma raccomandato dalla prassi tribunale). L’avvocato pure ha un costo, che anch’esso talvolta è inserito come spesa nella procedura. Dato il carattere “sociale” di queste procedure, molti professionisti praticano compensi commisurati alle possibilità del debitore, sapendo di dover ottenere l’omologa (ci sono persino patrocini gratuiti in casi di estrema povertà, tramite ordini professionali).
  • D: Ho debiti insieme a mia moglie (o con un familiare). Possiamo fare qualcosa insieme?
    R: Sì, il Codice della crisi ha introdotto la possibilità delle procedure familiari. Se i membri di una stessa famiglia (coniugi, uniti civilmente, conviventi, parenti entro il 4° grado e affini entro il 2°) sono tutti sovraindebitati e i loro debiti hanno origine comune, possono presentare un’unica procedura congiunta. Ciò consente di risparmiare costi e trattare la famiglia come un unico debitore. Ad esempio, marito e moglie che hanno firmato insieme mutui e prestiti possono fare un piano unico familiare anziché due separati. I requisiti: devono essere conviventi e il sovraindebitamento deve derivare dallo stesso fatto (es. un’attività imprenditoriale familiare fallita, spese mediche sostenute in comune, ecc.). Questa novità semplifica molto le cose: in passato con L.3/2012 avrebbero dovuto presentare due procedure coordinate. Ora invece l’OCC elabora un piano familiare e il tribunale emette un decreto unico. Attenzione: familiari coobbligati che non convivono e non hanno origine comune di debito (es. fratelli che hanno garantito lo stesso debito ma vivono separati) non rientrano nella procedura familiare, dovranno fare due istanze (magari chiedendo di coordinarle). In generale però l’idea è di favorire la soluzione unitaria per il nucleo familiare sovraindebitato. Inoltre, se più persone (anche non familiari) hanno debiti in solido tra loro, il tribunale può riunire le procedure per trattarle congiuntamente.
  • D: Ho fatto da fideiussore (garante) per il debito di un amico, oppure la mia società è coobbligata con me su certi debiti. Se io ottengo l’esdebitazione, cosa succede ai coobbligati?
    R: L’esdebitazione ha effetto solo sul debitore che la ottiene. Non libera gli eventuali coobbligati o garanti terzi. Questo è espressamente previsto dalla legge (art. 282 co.4 CCII): la liberazione dai debiti concessa al debitore “non si estende ai coobbligati, obbligati in via di regresso ed eventuali fideiussori”. Ciò significa che, se Tizio viene esdebitato dal suo debito verso la banca, ma Caio aveva garantito quel debito come fideiussore, Caio resta pienamente obbligato per l’importo originario (meno quanto la banca ha eventualmente incassato da Tizio). Perciò, in sede di piano o concordato, occorre valutare queste situazioni: il creditore potrebbe rivalersi sul garante per la parte non pagata dal debitore principale. Un modo per gestirlo è coinvolgere anche il garante in una procedura (se pure lui è insolvente). Ad esempio, se coniuge e convivente hanno firmato insieme un prestito, conviene la procedura familiare per liberarli entrambi. Se un tuo amico ti ha fatto da garante e rischia di essere escusso, egli stesso potrebbe aver bisogno di avviare una sua procedura (salvo che riesca a pagare). Questa regola vale anche per le società rispetto ai soci: se una società di persone viene esdebitata (ma di solito una società fallisce o liquida, quindi non esdebitabile, esempio più tipico un concordato minore di SNC) i soci garanti in via illimitata non sono automaticamente liberati. Tuttavia pure loro di solito partecipano o fanno domanda parallela. Insomma, ogni debitore ha bisogno della propria esdebitazione.
  • D: Quante volte posso usufruire di queste procedure?
    R: Non più di una volta ogni 5 anni, salvo casi eccezionali. La legge vuole evitare che uno faccia sovraindebitamento seriale. Quindi, se hai già ottenuto un’esdebitazione tramite una procedura e dopo qualche anno ricadi nei debiti, puoi presentare una nuova domanda solo dopo 5 anni dalla precedente omologa o esdebitazione. In situazioni straordinarie (nuova situazione debitoria dovuta a fattori esterni indipendenti dalla volontà, come una malattia grave), qualche tribunale potrebbe ammettere un nuovo piano anche prima, ma è molto difficile e dovresti ottenere un’autorizzazione specifica. Se invece hai presentato un concordato che è stato respinto o revocato per tua colpa, potresti essere definitivamente precluso da riprovarci. Quindi è fondamentale giocarsi bene l’unica chance. Una volta ottenuta l’esdebitazione, cerca di evitare di ricadere in debiti insostenibili almeno per i 5 anni successivi (idealmente per sempre!).
  • D: Quali sono i tempi di queste procedure? Devo aspettare anni per avere sollievo?
    R: I tempi variano a seconda della procedura e della situazione, ma in generale l’avvio e l’omologazione sono abbastanza rapidi (qualche mese), mentre la fase di pagamento può durare anni in base al piano. Ad esempio, un piano del consumatore può essere omologato anche in 4-6 mesi dal deposito (dipende dal carico del tribunale, ma le procedure sono semplificate rispetto a un fallimento). Una volta omologato, se il piano prevede rate per 4 anni, tu per 4 anni pagherai quelle rate e alla fine avrai l’esdebitazione. Se invece proponi di pagare tutto in un’unica soluzione (es. vendita di un immobile entro 6 mesi), potresti chiudere tutto in meno di un anno. Il concordato minore ha tempi simili: bisogna attendere i termini di voto (30-45 giorni), l’udienza di omologa, quindi direi 3-6 mesi per la pronuncia di omologa. Dopo l’omologa, se il concordato prevede pagamenti per 5 anni, quella è la durata totale. La liquidazione controllata può essere più lunga all’inizio (per vendere i beni, fare stato passivo, ecc. possono volerci 1-2 anni, e se ci sono immobili magari di più). Tuttavia, il Codice auspica che entro 3 anni si concluda la liquidazione. A volte, se dopo 3 anni non è venduta la casa, i creditori possono decidere se prolungare o chiudere lì. Diciamo che in liquidazione devi mettere in conto alcuni anni di procedura attiva. La cosa positiva è che già dal decreto di apertura (ottenibile in poche settimane se la domanda è completa) tu ottieni la sospensione dei pagamenti e la protezione dalle azioni, dunque il sollievo dagli assilli arriva presto. L’esdebitazione finale (soprattutto in liquidazione) la avrai alla fine: quindi in un piano/concordato con rate lunghe dovrai attendere di finire i pagamenti (3-5 anni di solito); in una liquidazione aspetti la chiusura e il decreto (forse 2-4 anni). Questi tempi sono comunque molto inferiori a quelli di una “agonia debitoria” tradizionale in cui potresti essere inseguito da decreti ingiuntivi e pignoramenti per decenni. Con la procedura, metti un punto fermo e hai una luce in fondo al tunnel con data certa.
  • D: Dopo l’esdebitazione, potrò accedere di nuovo al credito?
    R: L’esdebitazione ti libera legalmente dai debiti, ma non cancella le segnalazioni creditizie pregresse (tipo CRIF o Centrale Rischi) nell’immediato. Tuttavia, essere esdebitato è sicuramente meglio che essere pieno di debiti insoluti! In genere le banche valutano caso per caso: è probabile che per qualche anno dopo l’esdebitazione avrai difficoltà a ottenere nuovi prestiti o mutui, perché risulti come uno che ha fatto default (anche se legalmente perdonato). La legge non prevede un diritto al credito, ovviamente. Tuttavia, considera che se hai ottenuto l’esdebitazione e hai un reddito, potrai pian piano ricostruire uno storico pulito. Ad esempio, potresti iniziare usando una carta prepagata con IBAN, poi magari ottenere un piccolo prestito mostrando di aver un lavoro stabile. Non c’è una regola fissa, dipende dai criteri di rischio delle finanziarie. Alcune banche potrebbero considerare positivamente il fatto che non hai più i vecchi debiti a carico (sei “ripulito”) e quindi sei meno rischioso di prima; altre potrebbero storcere il naso perché hai un precedente di insolvenza. Di certo non potrai indebitarti di nuovo subito in modo eccessivo, e sarebbe saggio evitare di farlo per non tornare al punto di partenza (ricorda che c’è il limite di 5 anni per ripresentare procedure, quindi nel frattempo saresti scoperto). In conclusione: dopo l’esdebitazione hai la possibilità di ricominciare, ma il rating creditizio va riconquistato col tempo dimostrando affidabilità. Dal lato legale, non esistono sanzioni come l’interdizione (non è un fallimento, quindi non perdi diritti civili, non c’è fedina penale sporca o altro). Potrai tranquillamente aprire una nuova attività, avere conti correnti, ecc.
  • D: Cosa significa che la procedura di sovraindebitamento ha natura concorsuale?
    R: Significa che è una procedura giudiziaria collettiva che coinvolge tutti i creditori e sostituisce le ordinarie azioni esecutive individuali con una gestione unitaria sotto il controllo del tribunale. In pratica, invece che ogni creditore faccia causa e pignoramento per conto suo (col rischio di disordine e disparità), nella procedura concorsuale si convogliano tutte le pretese in un unico procedimento (il concorso appunto) e si risolvono secondo regole uniformi e paritetiche. Questo implica alcuni principi: il par condicio creditorum (uguaglianza formale dei creditori, salvo cause legittime di prelazione), la cristallizzazione del passivo (dopo l’apertura, i debiti non aumentano di interessi o sanzioni ulteriori se non per cause legali limitate), la sospensione delle azioni individuali, e l’opponibilità erga omnes dell’esito (il piano omologato o l’esdebitazione valgono verso tutti i creditori). Quindi, presentare una domanda di sovraindebitamento significa entrare in una sorta di procedura concorsuale minore, con analogie al fallimento ma dimensionata sul debitore civile. Non a caso c’è un giudice delegato, c’è un organo ausiliario (OCC/Liquidatore), c’è un tribunale che omologa e così via. L’aspetto concorsuale garantisce ordine e legalità nell’intera gestione della crisi debitoria. Dal lato del debitore, comporta trasparenza (devi dichiarare tutto e non puoi favorire qualche creditore di nascosto) ma offre la protezione della legge e la definizione una volta per tutte della tua posizione debitoria.
  • D: Se durante la procedura mi accorgo che la mia situazione migliora (es. trovo un lavoro migliore) o peggiora (perdo il lavoro), posso modificare il piano?
    R: Una volta che il piano è omologato, è vincolante nei termini stabiliti. In linea di massima non si può modificare unilateralmente successivamente. Se però durante l’esecuzione sorgono difficoltà, puoi cercare un accordo con i creditori (ad esempio chiedendo allungamento dei termini) oppure rivolgerti al giudice in casi estremi. La legge consente, per il piano del consumatore, la revisione o risoluzione solo su istanza e verifica di circostanze eccezionali (art. 70 CCII prevede l’eventuale cessazione degli effetti su istanza del debitore se impossibilitato senza colpa a adempiere). Nel concordato minore, possibili modifiche migliorative post-voto sono ammesse prima dell’omologa, come visto, ma dopo l’omologa le modifiche richiederebbero di fatto un nuovo accordo con i creditori o un intervento del giudice in sede di risoluzione (ad es. il giudice può non risolvere immediatamente e concedere al debitore un termine per recuperare il ritardo, o approvare un lieve slittamento se i creditori non si oppongono). Quindi formalmente la risposta è: no, non puoi rinegoziare il piano in miglioramento del tuo reddito (nessuno ti chiede di pagare di più se guadagni di più, a meno che tu stesso voglia accelerare i pagamenti per chiudere prima). Se peggiora la tua situazione, dovrai affidarti alla disponibilità dei creditori o alla clemenza del giudice per evitare la risoluzione, ma non c’è un diritto automatico di modifica. In caso di eventi negativi estremi, potresti valutare di aprire la liquidazione (se il piano è ormai insostenibile) per poi chiedere esdebitazione, ma è una scelta dolorosa perché perdi i beni che magari con il piano stavi salvando. Morale: costruisci il piano in modo prudenziale, con margine per eventuali imprevisti, perché rinegoziarlo poi è difficile.

Fonti

Normative:

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), in particolare artt. 2 (definizioni, inclusa quella di sovraindebitamento e di imprenditore minore), 67-73 (piano di ristrutturazione del consumatore), 74-83 (concordato minore), 80 (omologazione e cram-down fiscale del concordato minore), 268-277 (liquidazione controllata), 282 (esdebitazione post-liquidazione), 283 (esdebitazione del debitore incapiente).
  • Legge 3/2012 (abrogata dal 2022), originaria disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento, rilevante storicamente e per interpretazioni transitorie (es. definizione di sovraindebitamento, requisiti di meritevolezza, ecc.). Modificata dalla L. 221/2012, L. 176/2020 (che ha introdotto l’esdebitazione dell’incapiente).
  • D.Lgs. 83/2022 (c.d. decreto correttivo del CCII), entrato in vigore contestualmente al Codice, che ha modificato varie disposizioni. Di rilievo: ha chiarito la falcidiabilità dei debiti fiscali anche nel piano del consumatore, rimuovendo i dubbi sul trattamento di IVA e ritenute; ha inserito l’art. 87 comma 1 lett. p-bis CCII sul trattamento dei crediti garantiti dallo Stato (anticipando problematiche come il voto del garante pubblico).
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021, che pur riferendosi principalmente alle imprese fallibili (ha introdotto la composizione negoziata e il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, art. 18 CCII), è citato per contesto. Non riguarda direttamente il consumatore o l’imprenditore minore, ma segnala l’attenzione del legislatore a strumenti semplificati di soluzione concordata delle crisi.
  • D.L. 69/2023 conv. L. 103/2023, art. 1-bis, che ha imposto criteri più stringenti nelle trattative col Fisco nei concordati preventivi e accordi di ristrutturazione delle imprese maggiori (soglie minime di soddisfazione). Tali parametri, pur non vincolando testualmente il sovraindebitamento, sono stati utilizzati in via analogica dalla giurisprudenza per valutare cosa sia un pagamento “irrisorio” all’Erario nel concordato minore (vedasi Corte d’Appello Venezia 2024). In ogni caso, il D.L. 69/2023 non ha modificato l’art. 80 CCII, quindi il cram-down fiscale nel concordato minore resta disciplinato da quell’articolo con margini di apprezzamento caso per caso.
  • Direttiva (UE) 2019/1023 (sulla ristrutturazione preventiva e sul fresh start), recepita parzialmente dal CCII. Ha ispirato diversi istituti: ad esempio, il diritto di voto riconosciuto a tutti i “parties affected” da un piano (principio citato per ammettere il voto del garante pubblico prima dell’escussione) e, in generale, i principi di seconda opportunità per i debitori onesti che permeano la riforma.

Giurisprudenziali:

  • Cassazione civile, Sez. I, ord. 9549/2025 (14 aprile 2025) – Ha rimarcato la natura giurisdizionale e non negoziale del piano del consumatore, affermando che “i creditori non votano nemmeno in presenza di moratorie lunghe o decurtazioni” e che spetta al giudice garantire equilibrio e fattibilità del piano. Ha inoltre distinto nettamente il piano dal concordato preventivo/minore, chiarendo che la meritevolezza del consumatore è un filtro necessario in assenza di voto creditorio.
  • Cassazione civile, Sez. I, sent. 22699/2023 (25 luglio 2023) – Pronuncia sul controverso tema dell’accesso del debitore ex imprenditore fallibile alle procedure di sovraindebitamento. Interpretata inizialmente come ostativa (sembrava escludere l’imprenditore che era fallibile quando era attivo, anche se cessato), ha generato dibattito. La questione è stata in parte superata dalla giurisprudenza di merito 2025 (Trib. Vicenza, Ancona, Modena) che ha limitato il divieto solo alle imprese collettive estinte. Cass. 22699/2023 è citata anche in NT+Sole24Ore come oggetto di un (fallito) tentativo di ricorso per questione di massima ex art. 363-bis c.p.c..
  • Tribunale di Vicenza, decreto 13 marzo 2025 – Ha ammesso al concordato minore un imprenditore individuale cancellato dal Registro Imprese, interpretando che il divieto dell’art. 33 co.4 CCII si riferisca solo alle società estinte e non alla persona fisica ancora esistente. In linea con Trib. Ancona 3/4/2025 e Trib. Modena 7/4/2025, costituisce orientamento favorevole alla tutela degli ex imprenditori individuali sovraindebitati, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale.
  • Tribunale di Ancona, decreto 3 aprile 2025 – Concordato minore concesso a imprenditore individuale cessato da oltre un anno, nonostante la cancellazione dal RI. Conferma l’interpretazione che l’art. 33 co.4 CCII non preclude la procedura al debitore persona fisica post cessazione.
  • Tribunale di Modena, decreto 7 aprile 2025 (est. Bianconi) – Caso riguardante il classamento di un credito bancario garantito dal Fondo pubblico MCC. Il piano prevedeva una classe separata per il garante pubblico (MCC) distinto dalla banca. Il Tribunale ha stabilito che il garante statale ha diritto di voto nel concordato minore anche prima di pagare, essendo potenzialmente inciso dalla falcidia. Ha però evitato il doppio conteggio: in concreto ha attribuito un unico diritto di voto sul credito, esercitato dal garante per la parte coperta, escludendo il voto della banca sulla stessa porzione garantita. Ciò al fine di non falsare le maggioranze. Decisione importante perché chiarisce la gestione dei crediti con garante pubblico (tipo MCC o SACE) nei concordati minori. Riferimento alla direttiva UE art. 9(2) sui “parties affected”.
  • Tribunale di Avellino, sentenza (decreto) 8 aprile 2025 – Concordato minore a carattere liquidatorio, inizialmente proponeva 0% a un chirografario e 13% all’unico privilegiato; entrambi avevano approvato, ma il giudice ha sollevato la criticità del creditore a zero. Ha quindi suggerito una modifica migliorativa (introduzione di pagamento 2,79% al chirografario). Nonostante il voto fosse già chiuso, il Tribunale ha accettato la modifica in quanto vantaggiosa e non peggiorativa per alcuno, e ha omologato il concordato così modificato. Questo caso mostra la disponibilità dei giudici ad integrare il piano post-voto per garantire il rispetto del principio di trattamento di tutti i creditori ex art. 74 CCII.
  • Corte d’Appello di Venezia, decreto 10 ottobre 2024 – Caso di cram-down fiscale: in primo grado (Trib. Verona, decreto 7 giugno 2024) era stato omologato un concordato minore con 98% di crediti pubblici contrari (AE e INPS), ritenendo soddisfatti i presupposti dell’art. 80 co.3 (voto determinante e migliorativo rispetto a liquidazione: offriva 5,61%). La Corte d’Appello ha ribaltato, definendo irrisorio quel 5% e considerando giustificato il no del Fisco, configurando un abuso dello strumento nel caso in esame. Ha affermato che il concordato minore non può tradursi in un colpo di spugna sproporzionato a danno dell’Erario e che i requisiti formali del cram-down vanno integrati da una valutazione sostanziale della ragionevolezza del piano. Sentenza di secondo grado non di legittimità ma influente, che invita i debitori con prevalenza di debiti fiscali a formulare proposte più equilibrate (in linea con parametri normativi, es. DL 69/2023).
  • Tribunale di Milano, decreto 23 dicembre 2024 – Caso di esdebitazione del debitore incapiente: Milano ha adottato un orientamento estensivo, concedendo l’esdebitazione a un debitore nullatenente che rispettava i requisiti soggettivi (meritevolezza) anche se i creditori non ricevevano nulla.
  • Tribunale di Ferrara, decreto 28 dicembre 2024 – Caso analogo di debitore incapiente: Ferrara invece ha negato l’esdebitazione “a zero”, assumendo un orientamento restrittivo (probabilmente ritenendo necessaria almeno una soddisfazione minima ai creditori per concedere il beneficio).

Queste ultime evidenziano un contrasto in via di definizione sul fresh start estremo: la legge lo consente espressamente, ma i giudici stanno valutando con prudenza, bilanciando la liberazione del debitore con l’assenza totale di ritorno per i creditori.

In sintesi, la giurisprudenza recente (2024-2025) mostra un orientamento generalmente favor debitoris nel rendere efficaci le procedure di sovraindebitamento secondo la volontà della riforma (favorendo omologazioni, aperture ai casi dubbi a favore del debitore meritevole), ma con fermezza nel prevenire e sanzionare possibili abusi (no a piani meramente strumentali per azzerare il Fisco, no a esclusioni arbitrarie di creditori dal pagamento).

La tua impresa non riesce più a pagare? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Quando un’azienda non è più in grado di far fronte ai propri debiti con i mezzi ordinari, si parla di sovraindebitamento.
Non significa che l’attività debba chiudere, ma che si trova in una situazione di squilibrio economico e finanziario, tale da compromettere la sua capacità di onorare le obbligazioni.

Il sovraindebitamento può riguardare:

  • Imprese individuali
  • Piccole e medie imprese (PMI)
  • Attività artigianali o commerciali
  • Professionisti, agricoltori e lavoratori autonomi

È una condizione riconosciuta dalla legge, che offre strumenti concreti per uscire dalla crisi senza fallire.


Quando si è in sovraindebitamento?

La tua impresa è sovraindebitata se:

  • Ha debiti superiori alla capacità di rimborso
  • Ha ritardi gravi e prolungati nei pagamenti
  • Subisce azioni esecutive, pignoramenti o solleciti continui
  • Non riesce più ad accedere al credito bancario
  • È in perdita da tempo e non vede prospettive di miglioramento

In questi casi è possibile ricorrere a procedure legali di composizione della crisi, come:

  • Il piano di ristrutturazione del debito
  • La liquidazione controllata del patrimonio
  • L’esdebitazione dell’imprenditore incapiente

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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa e sovraindebitamento
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Difensore di imprenditori, artigiani e partite IVA in difficoltà economica
✔️ Consulente per PMI, ditte individuali e lavoratori autonomi


Conclusione

Il sovraindebitamento non è la fine dell’impresa: è un problema che si può affrontare legalmente.
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