Si Può Cambiare La Rata Di Un Finanziamento?

Hai un finanziamento in corso e ti stai chiedendo se è possibile cambiare l’importo della rata? Le tue condizioni economiche sono cambiate e vuoi sapere come intervenire per adattare il piano di rimborso alla nuova realtà?

Modificare la rata di un finanziamento è possibile, ma bisogna seguire un percorso chiaro e legale, senza rischiare segnalazioni negative o peggioramenti della posizione creditizia. Esistono diverse soluzioni, a seconda del tipo di finanziamento e della tua situazione attuale.

Si può davvero cambiare la rata di un finanziamento?
Sì. In molti casi, puoi chiedere alla finanziaria o alla banca di rimodulare il piano di ammortamento, aumentando la durata del prestito per ottenere una rata più bassa. In alternativa, puoi sostituire o consolidare il finanziamento con uno nuovo, più sostenibile. E in situazioni di difficoltà economica grave, puoi ricorrere agli strumenti legali per la ristrutturazione dei debiti.

Come si fa a chiedere la modifica della rata?
– Invia una richiesta scritta alla finanziaria, spiegando i motivi del cambiamento
– Documenta la tua situazione con buste paga, ISEE, certificati medici, ecc.
– Proponi un nuovo piano realistico e sostenibile
– Chiedi un incontro o una rinegoziazione formale

Quando conviene cambiare la rata?
– Quando il tuo reddito è diminuito (perdita lavoro, malattia, separazione, ecc.)
– Quando hai altri debiti e la rata diventa insostenibile
– Quando vuoi evitare ritardi nei pagamenti e segnalazioni alla Centrale Rischi
– Quando vuoi consolidare più finanziamenti in un’unica rata più leggera

Cosa può fare la banca o la finanziaria?
Può accettare la tua richiesta e proporti:
– un allungamento della durata del prestito
– una sospensione temporanea delle rate
– una riduzione temporanea dell’importo con recupero successivo
– un nuovo finanziamento con condizioni più favorevoli

Cosa succede se rifiutano?
Hai comunque delle opzioni:
– Puoi sostituire il finanziamento con uno nuovo più vantaggioso
– Puoi valutare il consolidamento dei debiti
– In caso di sovraindebitamento, puoi accedere agli strumenti previsti dalla legge per rinegoziare tutto legalmente

Cosa NON devi fare?
– Ignorare il problema e saltare le rate
– Accettare soluzioni troppo costose (nuovi prestiti con interessi elevati)
– Firmare modifiche senza leggere attentamente tutte le condizioni
– Attendere che arrivi una segnalazione o un decreto ingiuntivo

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in rinegoziazione e gestione del debito – ti spiega se e come puoi cambiare la rata di un finanziamento, quali sono le soluzioni legali disponibili e come presentare una richiesta che abbia reali possibilità di essere accolta.

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Introduzione

Cambiare la rata di un finanziamento significa modificare l’importo periodico dovuto per restituire un debito (ad esempio un mutuo o un prestito). Per il debitore (sia un privato consumatore, sia un piccolo imprenditore individuale), poter ridurre l’ammontare delle rate può essere cruciale in situazioni di difficoltà finanziaria o al variare delle condizioni economiche. Dal punto di vista giuridico, la rata è determinata dal capitale prestato, dal tasso d’interesse e dalla durata del finanziamento secondo un piano di ammortamento concordato contrattualmente. Una volta fissato il contratto, le rate non possono essere modificate unilateralmente né dal debitore né, salvo eccezioni, dalla banca (come vedremo, le modifiche unilaterali della banca – il cosiddetto ius variandi – sono fortemente limitate). Tuttavia, esistono diversi strumenti mediante i quali è possibile ottenere un cambiamento dell’importo della rata, sia su iniziativa volontaria del debitore (ad esempio tramite rinegoziazione, surroga, consolidamento, ecc.), sia attraverso procedure legali in caso di sovraindebitamento, sia in virtù di accordi stragiudiziali o misure normative speciali. In altri casi, è la banca a proporre modifiche (ad esempio offrendo un rifinanziamento, applicando un tasso variabile previsto dal contratto, o aderendo a moratorie), ma sempre entro i limiti di legge.

Questa guida, aggiornata a giugno 2025, analizza in dettaglio tutte le opzioni disponibili in Italia per cambiare l’importo delle rate di finanziamenti non aziendali (mutui immobiliari per la casa, prestiti personali, cessione del quinto, ecc.). Verranno esaminati gli strumenti volontari (rinegoziazione, surroga, sostituzione, consolidamento, sospensione delle rate), le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) introdotte dalla Legge 3/2012 e ora disciplinate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), nonché le possibilità e i limiti di variazione delle rate su iniziativa della banca. Il taglio è di livello avanzato, con riferimenti alla normativa italiana vigente, sentenze recenti e prassi aggiornate, ma il linguaggio resta il più possibile chiaro e divulgativo per essere utile sia a professionisti legali sia a debitori privati o piccoli imprenditori interessati.

Perché modificare la rata di un finanziamento?

Prima di entrare negli strumenti tecnici, è utile capire per quali motivi un debitore potrebbe voler cambiare l’importo della rata del proprio finanziamento. Tra le cause più comuni troviamo:

  • Aumento dei tassi d’interesse: chi ha un mutuo a tasso variabile può vedere la propria rata crescere anche drasticamente al rialzo dei tassi di mercato (come accaduto nel 2022-2023 con l’aumento dei tassi BCE). Una rata più alta può diventare insostenibile per il bilancio familiare, spingendo il debitore a cercare soluzioni per abbassarla (passaggio a tasso fisso, allungamento del piano di ammortamento, ecc.).
  • Riduzione del reddito o difficoltà economiche: la perdita del lavoro, la cassa integrazione, una malattia, o altri eventi possono ridurre la capacità mensile di rimborso. In questi casi il debitore può aver bisogno di abbassare l’importo delle rate per evitare di diventare inadempiente.
  • Eccessivo indebitamento complessivo: chi ha accumulato più finanziamenti (es. prestiti personali, carte di credito revolving, cessioni del quinto) può trovarsi con troppe rate mensili. Una possibile soluzione è il consolidamento dei debiti in un’unica rata più sostenibile. In situazioni gravi di sovraindebitamento, si può ricorrere a procedure legali per ristrutturare l’intero debito e rimodulare le obbligazioni in modo sostenibile.
  • Vantaggio di condizioni di mercato più favorevoli: se i tassi di mercato scendono rispetto al momento in cui il finanziamento era stato contratto, il debitore può voler ridurre la rata (o la durata residua) rifinanziando il debito a un tasso più basso. Ad esempio, chi ha un mutuo a tasso fisso al 5% potrebbe cercare di surrogarlo o rinegoziarlo quando i nuovi mutui offrono il 2%, ottenendo così una rata inferiore.
  • Cambio delle esigenze o degli obiettivi finanziari: il debitore potrebbe voler cambiare l’importo della rata anche per ragioni organizzative – ad esempio, preferendo una rata mensile più bassa allungando il periodo di rimborso (per avere maggiore liquidità mensile), oppure al contrario aumentando l’importo per finire di pagare prima il debito (se la situazione economica è migliorata). Anche un’eredità o entrate straordinarie possono invogliare a estinguere parzialmente il debito, riducendo di conseguenza le rate residue.

In sintesi, l’importo della rata incide direttamente sul bilancio mensile del debitore: poterlo adeguare in funzione delle circostanze è spesso determinante per evitare insolvenze e contenziosi. La legge italiana, le prassi bancarie e gli strumenti negoziali offrono diverse possibilità per raggiungere questo scopo. Di seguito analizzeremo approfonditamente tutte le strade percorribili per il debitore che voglia (o debba) cambiare la rata del proprio finanziamento, a partire dalle soluzioni volontarie e contrattuali sino alle procedure concorsuali previste per situazioni più complesse.

Soluzioni volontarie: come il debitore può modificare la propria rata

In primo luogo esaminiamo le iniziative attivabili volontariamente dal debitore (eventualmente con l’accordo della banca) per modificare l’importo delle rate. Queste soluzioni sono di natura negoziale o contrattuale: implicano cioè un nuovo accordo o contratto con il finanziatore, senza bisogno di ricorrere al tribunale. Di norma, la banca non è obbligata ad accettare modifiche proposte dal cliente (salvo casi eccezionali previsti da leggi speciali, di cui diremo a breve); tuttavia, spesso gli istituti sono disponibili a trovare un accordo quando il debitore è in difficoltà prima che la situazione degeneri in un’insolvenza conclamata. D’altro canto, dal 2007 in poi varie norme hanno ampliato il potere del cliente di cambiare banca o di estinguere anticipatamente il finanziamento a costo zero, il che dà al debitore un potere indiretto di pressione per ottenere condizioni migliori (la banca sa che il cliente può portare il mutuo altrove senza spese, dunque potrebbe preferire rinegoziare piuttosto che perderlo). Vediamo caso per caso le opzioni principali, tenendo presente che molte di esse possono anche combinarsi tra loro:

Rinegoziazione del finanziamento con la propria banca

Rinegoziare significa modificare uno o più termini del contratto di finanziamento originario, in base a un accordo tra le stesse parti (banca e debitore). Nella rinegoziazione tipicamente si mantiene lo stesso contratto e lo stesso finanziatore, ma se ne cambiano delle condizioni: ad esempio il tasso di interesse, la durata residua, l’importo delle rate, eventuali commissioni o spese periodiche. Scopo principale: adattare il finanziamento alle nuove esigenze del debitore, spesso alleggerendo la rata. La rinegoziazione è formalizzata tramite scrittura privata o atto di modifica del contratto originario.

Importante: la banca non ha un obbligo generale di rinegoziare, si tratta di una facoltà rimessa alla libera contrattazione. Ci sono però alcune eccezioni normative recenti che hanno imposto alle banche di accettare determinate richieste di rinegoziazione per aiutare le famiglie in difficoltà a causa dell’aumento dei tassi. In generale, la convenienza per la banca nel rinegoziare risiede nel prevenire il rischio di insolvenza: una rata più bassa allungando il piano o riducendo il tasso può assicurare che il cliente continui a pagare anziché cessare i pagamenti.

Cosa si può ottenere con la rinegoziazione? In teoria qualsiasi modifica pattuita tra le parti. Nella prassi, le più comuni modifiche oggetto di rinegoziazione sono:

  • Riduzione del tasso di interesse: es. passare da un tasso fisso elevato a uno più basso, o abbassare lo spread di un variabile. Ciò riduce l’interesse dovuto e quindi la rata.
  • Passaggio da tasso variabile a fisso o viceversa: il mutuatario può optare per un tasso fisso (rata costante) se teme ulteriori rialzi, oppure per un variabile se ritiene i tassi destinati a scendere. Una rinegoziazione può includere il cambio del tipo di tasso.
  • Allungamento della durata residua: è una delle leve principali per abbassare la rata. Ad esempio, si può passare da un residuo di 10 anni a 15 anni, spalmando il debito su più tempo. Spesso però le banche pongono un limite (es. durata totale non oltre 30 anni o non oltre una certa età del debitore). Nelle misure pubbliche recenti, l’estensione massima concessa è stata di 5 anni in più, purché la durata totale non superi i 25 anni residui.
  • Eliminazione o riduzione di spese accessorie: ad esempio azzerare le commissioni di incasso rata o altre spese periodiche, che pur incidendo marginalmente possono alleggerire il costo.
  • Altro: qualunque altro termine può essere rinegoziato (purché le modifiche non portino violazioni di norme imperative). Ad esempio, si potrebbero rivedere le garanzie, prevedere una fase iniziale di solo interesse (interest only) e poi ripresa delle quote capitale, ecc., se la banca è d’accordo.

Procedure per rinegoziare: Il debitore deve presentare richiesta motivata alla banca (meglio per iscritto, spiegando le ragioni della difficoltà o della richiesta di miglioramento delle condizioni). Spesso la banca offrirà una simulazione delle nuove condizioni possibili. Se c’è accordo, si stipula un atto aggiuntivo al contratto di mutuo/prestito. Non vi sono imposte o costi notarili obbligatori: la rinegoziazione interna non richiede per forza l’intervento del notaio (se riguarda un mutuo ipotecario, l’ipoteca rimane la stessa). In genere la rinegoziazione non comporta spese per il cliente, in quanto è nell’interesse di entrambi concluderla (eventuali costi amministrativi sono spesso azzerati per prassi o per legge). Ad esempio la Legge di Bilancio 2023 ha previsto rinegoziazioni senza spese di istruttoria o perizia per i mutui a tasso variabile agevolati.

Esempio pratico: Maria ha un mutuo con rata mensile di 720 € a tasso variabile. Nel 2022-2023 il suo tasso (indicizzato Euribor) è aumentato dal 1% al 4%, facendo lievitare la rata a circa 900 €. Trovandosi in difficoltà, Maria chiede alla banca di rinegoziare: la banca accetta di passare il mutuo a tasso fisso al 3,5% e di allungare la durata residua di 3 anni. Il risultato è che la nuova rata scende a 650 €, sostenibile per Maria, anche se pagherà per 3 anni in più. Maria ottiene stabilità (rata fissa) e sollievo immediato, mentre la banca evita un possibile default del mutuo. Entrambe le parti sottoscrivono un accordo di rinegoziazione con le nuove condizioni contrattuali.

Misure speciali di legge: Nel 2023 il legislatore è intervenuto per agevolare le rinegoziazioni a favore dei mutuatari in difficoltà a causa del caro-tassi. In particolare, l’art. 1 comma 322 della Legge 29 dicembre 2022 n. 197 (Legge di Bilancio 2023) ha dato la possibilità, fino al 31/12/2023, ai titolari di mutui a tasso variabile di richiedere alla propria banca la trasformazione del tasso da variabile a fisso, rispettando alcuni requisiti. I 5 requisiti previsti erano:

  • ISEE del mutuatario non superiore a 35.000 €;
  • mutuo ipotecario stipulato prima del 2023;
  • importo originario del mutuo non superiore a 200.000 €;
  • nessun ritardo nei pagamenti delle rate;
  • mutuo destinato ad acquisto o ristrutturazione di abitazione (prima casa).

Per chi rispettava queste condizioni, la banca era tenuta per legge a offrire la rinegoziazione del mutuo variabile in mutuo a tasso fisso, senza costi aggiuntivi per il cliente. La norma permetteva anche di allungare la durata residua fino a un massimo di 5 anni (purché la durata totale restante non superasse i 25 anni). Il tasso fisso applicato non poteva superare un certo livello indicato dalla legge (pari al tasso IRS a 10 anni per la durata residua, più lo spread originario), in modo che la nuova rata fosse effettivamente calmierata. Questa misura è stata prorogata: la Legge di Bilancio 2024 ha confermato la facoltà di rinegoziazione a tasso fisso, estendendola fino al 31/12/2024, probabilmente ampliando anche la platea (ad esempio valutando soglie ISEE o importi maggiori, secondo indicazioni ABI). Aggiornamento: Secondo le linee ABI di luglio 2023, le banche hanno valutato volontariamente di ampliare i criteri oltre i limiti di legge, includendo ad esempio mutuatari con ISEE leggermente superiore o mutui di importo più alto, ove possibile. In ogni caso, è importante informarsi presso la propria banca sulle opportunità di rinegoziazione agevolata vigenti, poiché tali misure possono essere oggetto di proroghe o modifiche.

Vantaggi della rinegoziazione: mantenere lo stesso finanziamento evitando spese di trasferimento; flessibilità nel concordare modifiche su misura; possibile riduzione immediata della rata e/o stabilizzazione del tasso; nessuna segnalazione negativa (non è una ristrutturazione “forzosa”, ma consensuale). Inoltre la rinegoziazione non pregiudica i benefici fiscali (ad es. per i mutui prima casa gli interessi restano detraibili normalmente anche se si rinegozia). Va ricordato che allungare la durata riduce la rata ma aumenta gli interessi totali pagati nel lungo termine: è un fattore da valutare attentamente (spesso è un compromesso necessario per avere sollievo immediato).

Svantaggi o limiti: la rinegoziazione richiede l’accordo della banca – non è garantito ottenerla se la banca non è disponibile. Inoltre, la banca può proporre condizioni diverse da quelle sperate (es. un tasso fisso più alto di quello di mercato, oppure un allungamento limitato). Il debitore deve valutare se la nuova rata è davvero sostenibile e conveniente. In alcuni casi estremi, se la situazione reddituale è compromessa, la rinegoziazione potrebbe non bastare a risolvere (ad es. se il debito è troppo grande rispetto al reddito, occorreranno soluzioni più incisive come quelle giudiziali di cui parleremo).

Surroga del mutuo (portabilità verso altra banca)

La surrogazione del mutuo – spesso detta surroga o portabilità – è il diritto del debitore di trasferire il proprio mutuo presso un’altra banca che offra condizioni migliori, senza estinguere e riaccendere formalmente l’ipoteca e senza costi a suo carico. Introdotta nel 2007 dal cosiddetto Decreto Bersani, la surroga è disciplinata dall’art. 1202 del Codice Civile e, specificamente per i mutui, dall’art. 8 del D.L. 7/2007 convertito in L. 40/2007. Grazie a questa norma, qualsiasi patto che ostacoli o renda onerosa la surroga è nullo. Ciò significa che la banca originaria non può opporsi né imporre penali o costi al cliente che decide di portare il mutuo altrove. In pratica, la nuova banca salda il debito residuo verso la vecchia e subentra nelle garanzie (l’ipoteca viene surrogata, mantenendo grado e benefici fiscali).

Finalità della surroga: consentire al debitore di ottenere condizioni più favorevoli passando ad un altro istituto. Ad esempio, può ottenere un tasso più basso, una durata più lunga, o entrambe le cose, determinando una rata inferiore. La surroga è diventata molto comune soprattutto per i mutui casa: i clienti confrontano le offerte di mercato e, se trovano un tasso migliore, trasferiscono il mutuo. La vecchia banca non può impedire il trasferimento né addebitare spese; la nuova banca invece copre eventuali costi (es. notarili per l’atto di surroga) e spesso offre condizioni competitive per acquisire il cliente. La legge prevede espressamente che nella surrogazione non vengano meno i benefici fiscali (ad esempio, la detraibilità degli interessi e l’esenzione da imposte sostitutive restano valide), e ha eliminato imposte che un tempo gravavano sulle formalità (imposta sostitutiva, imposte ipotecarie).

Ambito di applicazione: la portabilità mediante surroga si applica tipicamente ai mutui ipotecari e in genere ai contratti di finanziamento a rimborso rateale. Tecnicamente è applicabile anche ad altri finanziamenti (come aperture di credito), ma nella pratica quasi tutte le surroghe riguardano mutui immobiliari di privati, perché sono quelli con importi e durate tali da rendere sensata la procedura. Non si parla di surroga per piccoli prestiti personali non garantiti – in quei casi si ricorre al rifinanziamento, che vedremo a breve.

Procedura di surroga: il cliente individua una nuova banca disposta a subentrare. La nuova banca valuta il merito creditizio del cliente e le caratteristiche del mutuo residuo (importo rimanente, durata, immobile ipotecato) e presenta un’offerta con le nuove condizioni (tasso, durata, rata). Se il cliente accetta, la nuova banca prepara l’atto di surrogazione (da fare per atto pubblico o scrittura autenticata). Si fissa quindi la data in cui la nuova banca eroga la somma corrispondente al debito residuo direttamente alla vecchia banca, che rilascia contestualmente quietanza di pagamento con contestuale dichiarazione di assenso alla surroga nell’ipoteca. Questo avviene tipicamente davanti a un notaio (pagato dalla banca subentrante). La surrogazione viene annotata nei registri immobiliari senza tasse di registro/ipotecarie: l’ipoteca originaria rimane valida, ma a credito della nuova banca. Il mutuo prosegue con la nuova banca alle condizioni concordate con essa, e il vecchio contratto di mutuo si considera estinto per pagamento (ma non vi è cancellazione d’ipoteca, solo surroga del creditore garantito).

Cosa si può cambiare con la surroga? Praticamente ogni condizione economica: tasso (fisso, variabile, importo dello spread), durata residua (spesso allungabile, ad esempio da 15 a 20 anni, anche se l’importo mutuato deve restare pari al debito residuo, non si possono ottenere liquidità aggiuntive con la surroga pura), tipo di rata (si può passare da rate mensili a bimestrali o viceversa, ecc.), commissioni e spese (di solito la nuova banca offre zero spese di incasso rata, zero spese periodiche come incentivo). L’unico vincolo è che non può aumentare l’importo del debito: per legge la surroga non consente di erogare una somma eccedente il capitale residuo necessario a estinguere il vecchio debito (neppure per coprire spese). Dunque se il cliente necessita di liquidità aggiuntiva, la surroga non basta – occorrerebbe un mutuo di sostituzione con liquidità, che è un contratto nuovo soggetto a imposte, oppure una surroga combinata con un secondo finanziamento. Ma ai fini del cambio rata, la surroga semplice è di solito preferibile perché esente da costi e tasse.

Vantaggi della surroga: è gratuita per il cliente (nessuna penale, nessuna imposta, nemmeno l’onorario notarile in molti casi viene ribaltato); consente di ottenere subito una rata più bassa approfittando della concorrenza tra banche; non comporta interruzione nei benefici (ad esempio se era un mutuo prima casa agevolato, rimane tale; se gli interessi erano detraibili al 19%, continuano a esserlo; se c’era un fondo di garanzia, di solito viene mantenuto); incentiva la mobilità e migliora le condizioni medie dei mutui sul mercato (negli anni successivi all’introduzione, molti mutuatari hanno risparmiato surrogando i mutui contratti quando i tassi erano più alti). Per il cliente insoddisfatto della propria banca, la surroga è un potente strumento di negoziazione: spesso anche solo minacciare la surroga induce la banca originaria a proporre una rinegoziazione interna più vantaggiosa, pur di trattenere il cliente.

Svantaggi o limiti: la surroga è applicabile quasi esclusivamente ai mutui ipotecari. Non esiste un equivalente di legge per altre forme di credito al consumo non garantito (in quei casi occorre rifinanziare, con potenziali costi). Inoltre, serve trovare una banca disposta a concedere il mutuo in surroga – quindi il debitore deve comunque avere un merito creditizio sufficiente al momento della surroga. Se nel frattempo la situazione finanziaria o lavorativa è peggiorata, potrebbe essere difficile ottenere la surroga (una banca subentrante fa quasi gli stessi controlli che farebbe per un nuovo mutuo). Infine, la surroga non permette di ottenere nuova liquidità: è solo un passaggio di consegne del debito esistente. Se l’obiettivo fosse abbassare la rata a costo di aumentare il debito residuo, la surroga non lo consente (perché importo e garanzia devono restare invariati); in tal caso bisognerebbe optare per un mutuo di sostituzione con importo maggiore – operazione che però comporta costi (penali se previste, nuove ipoteche, imposte, ecc.).

Esempio pratico: Luca nel 2018 ha acceso un mutuo prima casa di €150.000 a 20 anni, tasso fisso 2%, rata circa €760. Nel 2021 i tassi di mercato calano all’1% e altre banche offrono mutui residui a tassi più bassi. Luca trova una banca disponibile a prendere il suo mutuo in surroga offrendogli un tasso fisso 1% per i restanti 15 anni. Con la surroga, la sua rata scende a circa €717 (risparmio di ~€43 al mese) e risparmierà interessi complessivi. La procedura si svolge senza alcun costo per Luca: la nuova banca paga il debito residuo al 2021 (supponiamo ~€120.000), Luca inizia a pagare le rate al nuovo istituto alle nuove condizioni. Il vincolo ipotecario sulla casa resta immutato e si trasferisce automaticamente alla banca subentrante. La vecchia banca non può opporsi né pretendere alcuna penale (eventuali clausole penali per estinzione anticipata sono nulle per legge sui mutui casa dal 2007).

Nota: la nullità delle penali di estinzione anticipata introdotta nel 2007 si applica ai mutui stipulati dopo l’entrata in vigore di quel decreto. Per i mutui più vecchi (ante 2007) erano previste misure per ricondurre ad equità le penali: ABI e associazioni di consumatori fissarono penali massime ridotte, rese obbligatorie da Banca d’Italia. Comunque, oggi il risultato è che estinzione anticipata e surroga sono in generale esenti da penali per i mutui di persone fisiche su immobili adibiti ad abitazione o attività professionale. Questa liberalizzazione ha reso la surroga uno strumento effettivamente utilizzabile senza oneri.

Sostituzione del finanziamento (rifinanziamento con nuova banca o nuovo contratto)

La sostituzione consiste nell’estinguere il finanziamento originario e accenderne uno nuovo, presso la stessa o un’altra banca, con cui si ottengono nuove condizioni (ad esempio un importo maggiore, un tasso differente, una durata diversa). A differenza della surroga, qui non c’è un passaggio automatico di garanzie: il vecchio finanziamento viene chiuso (con pagamento del dovuto, eventualmente grazie ai fondi del nuovo prestito) e se ne stipula uno nuovo ex novo. In caso di mutuo ipotecario, ciò comporta normalmente la cancellazione della vecchia ipoteca e l’iscrizione di una nuova ipoteca a favore della nuova banca. La sostituzione è quindi più onerosa in termini burocratici: ci saranno imposte e costi di iscrizione ipoteca, eventuali penali di estinzione anticipata (per i mutui casa post-2007 queste non ci sono, ma per altri finanziamenti o mutui non prima casa potrebbero esserci), costi notarili e di perizia per il nuovo mutuo, ecc. Proprio per questi motivi, quando si tratta solo di cambiare condizioni senza necessità di liquidità aggiuntiva, oggi si preferisce ricorrere alla surroga (che è gratuita).

Tuttavia, la sostituzione/rifinanziamento rimane utile e a volte necessaria in alcune situazioni specifiche, ad esempio:

  • Richiesta di liquidità aggiuntiva: se il debitore ha bisogno di una somma extra oltre a quanto dovuto sul vecchio prestito (ad es. per ristrutturazione, acquisto auto, consolidamento di altre pendenze), può stipulare un nuovo mutuo di importo maggiore e usare parte di esso per estinguere il vecchio. Questa è tecnicamente una sostituzione (il nuovo mutuo “sostituisce” il precedente, ma con capitale più alto). La surroga pura non consente questo aumento di capitale.
  • Cambio di tipologia di finanziamento: ad esempio passare da un mutuo ipotecario a un finanziamento diverso, o viceversa. Oppure, nel caso di un prestito personale, l’unico modo per migliorare il tasso è chiederne un altro a condizioni migliori e chiudere il precedente. Non esiste per i prestiti personali una “surroga” formalizzata, perciò in pratica si fa un nuovo prestito per pagare il residuo del vecchio (spesso con la stessa banca) ottenendo magari un tasso inferiore.
  • Unione di più prestiti (consolidamento): se un debitore ha vari debiti (es. prestito auto, prestito vacanze, carta revolving) può essere conveniente ottenere un nuovo prestito unico che accorpi tutti i debiti pagando quelli vecchi. Il nuovo prestito avrà un’unica rata mensile (di solito inferiore alla somma delle rate precedenti, grazie a una durata più lunga e magari un tasso medio più basso). Questo è un rifinanziamento a tutti gli effetti. Molte finanziarie offrono il “prestito di consolidamento”, pubblicizzato proprio come strumento per abbassare la rata totale mensile del cliente indebitato, con il rovescio della medaglia di pagare più interessi sul lungo termine (per via dell’allungamento temporale).

Confronto con la surroga: se parliamo di mutui casa, la surroga è di norma preferibile perché gratis, mentre la sostituzione comporta costi (anche se negli ultimi anni alcune banche si sono fatte carico di parte di essi pur di attrarre clienti). Perciò molti mutuatari tentano prima la surroga. La sostituzione di mutuo ipotecario ha senso se: (a) si vuole una somma aggiuntiva (surroga non basta); (b) l’operazione di surroga non è tecnicamente possibile (casi rari, es. problemi con l’ipoteca esistente); (c) si sta passando da un tipo di finanziamento a un altro (es. da un mutuo edilizio cantiere a mutuo casa a regime). Per i prestiti non ipotecari invece, la distinzione surroga/sostituzione non è così netta: qualsiasi rifinanziamento è di fatto una sostituzione, poiché il vecchio prestito viene chiuso e uno nuovo aperto.

Procedura di rifinanziamento: simile a quella di apertura di un nuovo finanziamento. Il debitore presenta domanda (alla propria banca o a una nuova); se viene concesso, si stipula il nuovo contratto e con i fondi ottenuti si estingue immediatamente il debito pregresso. Attenzione: se il debitore è già in difficoltà o in ritardo, ottenere un nuovo prestito può non essere facile, a meno di consolidamento tramite società specializzate (spesso a tassi più alti) o con garanzie aggiuntive.

Costi e aspetti legali: verifichiamo se sul finanziamento iniziale c’è una penale di estinzione anticipata. Per i mutui immobiliari di persone fisiche destinati ad abitazione o attività professionale, come detto, dal 2007 ogni penale è nulla. Per i prestiti personali e altri finanziamenti ai consumatori, la normativa europea (direttiva 2008/48/CE, D.Lgs. 141/2010) prevede il diritto di estinzione anticipata con una eventuale indennità limitata (massimo 1% del capitale residuo, e zero se manca meno di un anno). Quindi anche su questi, le penali sono contenute per legge. Sulle cessioni del quinto: la legge prevede che in caso di estinzione anticipata il cliente paghi una penale dell’1% e la restituzione pro-quota di alcuni costi, ma in un consolidamento spesso quella penale viene rifinanziata. In sintesi, i costi diretti dell’estinzione oggi non sono proibitivi nella maggior parte dei casi. I costi del nuovo finanziamento invece dipendono dall’operazione: un nuovo mutuo ipotecario comporta spese di istruttoria, perizia e imposta sostitutiva (0,25% se prima casa); un prestito personale ha magari spese di istruttoria e assicurazione. Tutti costi da valutare se l’obiettivo è risparmiare.

Vantaggi: il rifinanziamento offre massima flessibilità perché trattasi di un nuovo contratto: si può chiedere importo aggiuntivo, cambiare totalmente tipologia, inserire un coobbligato, ecc. Può essere l’occasione per ristrutturare il debito in modo completo (ad esempio consolidando dieci rate diverse in una sola). Se il merito creditizio del debitore è ancora buono, può ottenere un tasso migliore grazie alla concorrenza tra banche (in mancanza di surroga, questa è l’unica via).

Svantaggi: se visto come mezzo per “abbassare la rata”, spesso il rifinanziamento lo fa al costo di allungare la durata e aumentare il costo totale del debito. Bisogna fare attenzione a non entrare in un circolo vizioso: alcune persone tendono a rifinanziare continuamente prolungando il debito (ad esempio con cessione del quinto rifinanziata ogni pochi anni) e ciò comporta pagamento di molti interessi su periodi prolungati. Inoltre, accumulare altri costi iniziali riduce il beneficio. Infine, un rifinanziamento non risolve problemi strutturali: se la situazione reddituale del debitore è fortemente compromessa, potrebbe essere solo un palliativo posticipare il problema. In tali casi è preferibile valutare soluzioni più incisive (come le procedure di sovraindebitamento).

Esempio di consolidamento: Luigi ha: 1) un prestito auto con rata €250, 2) una carta revolving con pagamento €150/mese, 3) un prestito arredamento €100/mese. Totale impegno mensile €500. Trova difficile sostenere questa somma. Si rivolge a una finanziaria che propone un prestito di consolidamento: estinguerà i tre debiti (di cui rimangono complessivamente, supponiamo, €18.000 da pagare) e concederà un nuovo prestito di €20.000 a 6 anni con rata unica di circa €380. Luigi ottiene così una riduzione della spesa mensile a costo di allungare di un paio d’anni il debito e aggiungere €2.000 di liquidità (utile magari a coprire spese correnti). Pagherà più interessi in totale, ma la sua rata è più gestibile nell’immediato. Questo è un tipico caso in cui la sostituzione (anziché tre contratti ne resta uno) e il ricalcolo della rata danno sollievo al debitore, pur con un costo maggiore spalmato nel tempo.

Moratorie e sospensione delle rate (Fondo di solidarietà “Gasparrini” e accordi ABI)

Un’altra forma di modifica indiretta della rata è la sospensione temporanea del pagamento delle rate, spesso chiamata moratoria. Durante la sospensione, il debitore non paga le rate per un certo periodo, passato il quale riprenderà i pagamenti secondo modalità stabilite (allungando la durata o con rate leggermente più alte). Questo non è un vero e proprio “cambio di importo” della rata, ma costituisce una pausa nel piano di ammortamento che equivale, dal punto di vista pratico, a rinviare l’esborso. Strumenti del genere sono utili se la difficoltà economica del debitore è temporanea (es. perdita del lavoro, emergenza sanitaria) e si prevede di poter riprendere i pagamenti dopo un certo tempo. In Italia esiste un importante meccanismo di legge per i mutui prima casa, oltre a iniziative volontarie promosse dal settore bancario.

Fondo di solidarietà per i mutui prima casa (Fondo Gasparrini): è un fondo statale gestito da Consap che consente ai titolari di mutui prima casa di sospendere il pagamento delle rate in caso di specifiche situazioni di difficoltà. Introdotto dal 2007 e potenziato durante la crisi Covid, oggi il Fondo copre mutui fino a 250.000 € contratti da persone fisiche per l’acquisto dell’abitazione principale. I requisiti attuali (aggiornati al 2024) includono un ISEE non superiore a 30.000 €, e che non si siano già usufruiti di 18 mesi totali di sospensione (è il limite massimo concesso, anche frazionato). Le cause ammesse per richiedere la sospensione sono, ad esempio:

  • Perdita del lavoro (cessazione rapporto subordinato a tempo indeterminato o determinato);
  • Ingresso in cassa integrazione o riduzione orario di lavoro per almeno 30 giorni consecutivi (es. contratto di solidarietà);
  • Morte o insorgenza di condizioni di handicap grave/invalidità civile ≥ 80% del titolare;
  • (Fino al 2023 erano ammessi anche cali di fatturato per autonomi causa Covid, ma erano misure straordinarie poi cessate).

In caso si verifichi uno di questi eventi, il mutuatario può presentare domanda (tramite la propria banca, che la inoltra a Consap) di sospendere le rate. La sospensione concessa è massimo 18 mesi (cumulativi) nell’arco del mutuo, con possibili tranche: es. 6 mesi se la disoccupazione dura 6 mesi, estendibili se perdura fino a 12 o 18 mesi. Durante la sospensione, il fondo interviene a coprire il 50% degli interessi maturati sul debito nel periodo, mentre il restante 50% degli interessi viene normalmente sommato al debito (o pagato dal cliente, a seconda delle regole attuali). In pratica, il debitore non paga nulla per le rate sospese, l’ammortamento si ferma, e riprende poi alla scadenza della pausa, allungando la durata del mutuo di un periodo pari alla sospensione. Ad esempio, se mancano 10 anni e si sospende per 1 anno, la nuova fine mutuo sarà dopo 11 anni; la rata alla ripresa rimane quella contrattuale (non aumenta, perché il periodo è semplicemente posticipato, mentre gli interessi non pagati vengono gestiti secondo la regola 50/50 di cui sopra).

Il Fondo di solidarietà (“Fondo Gasparrini”) è stato molto utilizzato durante la pandemia Covid-19, quando i requisiti furono ampliati (si permise l’accesso anche senza limite ISEE e ai mutui fino 400.000 €, includendo autonomi con calo fatturato). Dal 2024 si è tornati ai requisiti ordinari indicati sopra. Attenzione: per ottenere la sospensione non bisogna essere già in ritardo di oltre 90 giorni sulle rate; inoltre, le sospensioni eventualmente concesse privatamente dalla banca contano nel conteggio dei 18 mesi (cioè se ad esempio la banca vi aveva già concesso 6 mesi di moratoria volontaria, il Fondo ne darebbe solo altri 12).

In definitiva, questo strumento non cambia definitivamente la rata, ma offre respiro temporaneo evitando che il mutuo vada in sofferenza durante il periodo critico. Dal punto di vista del debitore è come congelare il debito per un certo tempo. Dal punto di vista legale, il contratto di mutuo rimane in vigore, ma è come se per quel lasso di tempo fosse “in pausa”. Il vantaggio è che metà degli interessi di quel periodo sono a carico del Fondo statale, quindi il costo totale per il cliente è mitigato rispetto a una sospensione completamente “privata”.

Moratorie ABI e iniziative stragiudiziali: oltre al Fondo pubblico, le banche (coordinate dall’ABI – Associazione Bancaria Italiana) hanno periodicamente adottato moratorie volontarie di settore. Ad esempio nel 2009 vi fu il “Piano Famiglie” ABI per sospendere mutui ai disoccupati, e più recentemente durante il Covid l’ABI ha supportato moratorie generalizzate previste dal governo (come l’art. 56 D.L. 18/2020 per le PMI, o accordi per moratorie su prestiti ai privati in aggiunta al Fondo Gasparrini). Nel 2023, con l’aumento dei tassi, l’ABI ha emanato istruzioni alle banche per affrontare il caro-mutui: tra le misure suggerite c’era proprio l’allungamento dei piani di ammortamento e l’uso esteso del Fondo di solidarietà. Molte banche hanno quindi invitato i clienti in difficoltà a rivolgersi per tempo per trovare soluzioni.

Vale la pena menzionare che l’ABI, in una comunicazione del luglio 2023, ha riassunto 5 mosse possibili per abbassare la rata di un mutuo a tasso variabile:

  1. Allungamento della durata del mutuo (riducendo la rata).
  2. Revisione di altre condizioni contrattuali (es. riduzione spread, eliminazione spese).
  3. Portabilità/surroga presso altra banca a condizioni migliori.
  4. Ricorso al Fondo di solidarietà prima casa (sospensione rate fino a 18 mesi, con proroga del piano per il periodo sospeso).
  5. Trasformazione del mutuo da variabile a fisso – in particolare ricordando che la legge 197/2022 obbliga le banche a concederla su richiesta per i mutui ≤200.000 € con ISEE ≤35.000 € (senza ritardi nei pagamenti).

Queste cinque opzioni ripercorrono esattamente gli strumenti che stiamo analizzando (rinegoziazione/allungamento, surroga, moratoria Fondo, rinegoziazione tasso fisso ex lege). È importante non aspettare di essere in grave mora prima di attivarsi: appena si avvertono segnali di difficoltà, l’ABI raccomanda di contattare subito la banca per valutare una di queste soluzioni. Una gestione tempestiva può evitare di incorrere in segnalazioni negative (come “sofferenze” in Centrale Rischi) e permette di trovare un compromesso quando ancora la situazione è rimediabile.

Esempio di sospensione:

Giulia, lavoratrice dipendente, ha un mutuo prima casa con rata €600. A gennaio 2024 perde il lavoro a causa di chiusura azienda. Decide subito di fare domanda al Fondo Gasparrini per sospendere il mutuo. Le viene concessa una sospensione di 12 mesi (durante i quali Giulia non pagherà alcuna rata). La durata del mutuo si allungherà di 12 mesi oltre la scadenza originaria. Gli interessi maturati in quei 12 mesi, supponiamo €2.400, saranno per metà a carico del Fondo (lo Stato li rimborsa alla banca) e per metà a carico di Giulia. La metà a carico suo (€1.200) verrà probabilmente addebitata sul debito residuo quando riprenderà il pagamento (o in alternativa può pagarla in soluzione separata, ma usualmente viene capitalizzata). Allo scadere dei 12 mesi, Giulia spera di aver trovato un nuovo impiego e riprende le sue rate da €600 fino a nuova scadenza prorogata. Questa moratoria le ha permesso di evitare di saltare rate durante la disoccupazione e di non avere azioni esecutive; inoltre, metà degli interessi di quel periodo non pesano su di lei per effetto del fondo pubblico.

Trattative stragiudiziali con banche/finanziarie (piani di rientro, saldo e stralcio)

Quando un debitore si trova in difficoltà nel pagamento delle rate, ma vuole evitare di arrivare a soluzioni giudiziali più drastiche, una via da tentare è la trattativa stragiudiziale con i creditori per ristrutturare il debito. Si tratta di un ambito non formalizzato da norme particolari (a differenza delle procedure concorsuali di cui parleremo dopo), ma che rientra nella ordinaria autonomia negoziale: il debitore e la banca/finanziaria possono raggiungere qualunque accordo ritenuto opportuno per la modifica delle condizioni di rimborso, purché rispettino le norme generali (ad esempio non si può pattuire tassi usurari, etc.). Due forme tipiche di accordo stragiudiziale per alleggerire gli oneri sono: i piani di rientro dilazionati e gli accordi a saldo e stralcio. Vediamoli brevemente.

  • Piano di rientro dilazionato: è una sorta di rinegoziazione “di fatto” che viene spesso concessa dopo che il debitore ha già accumulato qualche arretrato. La banca, anziché avviare subito azioni legali, può proporre (o accettare) un piano per rientrare gradualmente della morosità. Ad esempio, se il cliente ha 3 rate scadute, la banca può concordare che esse vengano spalmate su un certo numero di mesi futuri in aggiunta alle rate ordinarie, oppure che la durata del finanziamento sia estesa per includerle. In certi casi, se la difficoltà perdura, il piano di rientro può includere la riduzione temporanea della rata: il debitore paga meno per un periodo e la differenza si recupera poi (magari con una maxi rata finale o allungando la durata). Tutto ciò è basato sull’accordo individuale. Conviene formalizzare per iscritto l’intesa, in modo che sia chiaro che la banca sospende azioni di recupero purché il debitore rispetti il nuovo piano. Dal lato pratico, un piano di rientro evita gli alti costi e oneri del contenzioso, ed è vantaggioso per entrambi: il debitore guadagna tempo e un alleggerimento immediato, il creditore aumenta la probabilità di recuperare il suo credito senza dover ricorrere a tribunale o a vendere il credito a terzi.
  • Saldo e stralcio: è un accordo in cui il debitore propone di pagare una somma inferiore al debito dovuto, ma in un’unica soluzione, ottenendo in cambio l’esdebitazione per la differenza. Questa soluzione di solito entra in gioco quando il debitore dispone di una certa liquidità (o un aiuto da terzi) che però non copre l’intero debito, e cerca quindi un forte sconto in cambio di un pagamento immediato. Esempio: Paolo ha un finanziamento residuo di €10.000 ormai in sofferenza; offre alla finanziaria €6.000 subito a saldo e stralcio, cioè a chiusura definitiva del debito. Se la finanziaria accetta, Paolo paga €6.000, il debito si intende chiuso e la finanziaria rinuncia a pretese sul resto (spesso accompagnando il tutto con una liberatoria scritta). Dal punto di vista del debitore, il vantaggio è evidente: estingue il suo debito pagando meno. Dal punto di vista del creditore, il saldo-stralcio può convenire quando ritiene difficile o incerto il recupero integrale (ad esempio il debitore è nullatenente o vicino all’insolvenza, oppure il credito è deteriorato da tempo). Attenzione: un accordo di saldo e stralcio incide sulla rata nella misura in cui estingue proprio l’obbligazione – dopo il pagamento stralcio non ci sono più rate. È quindi più radicale di un semplice cambio di rata: è una riduzione del debito. Può essere visto come “comprare la propria liberazione dal debito” con uno sconto. Naturalmente, ciò è fattibile solo se si hanno fondi disponibili subito (o magari un terzo che li presta/dona). Sovente i creditori accettano saldi e stralci nei confronti di debitori in gravi difficoltà prima di procedure concorsuali: preferiscono incassare qualcosa subito piuttosto che rischiare di meno in un lungo fallimento personale. Non a caso, nelle procedure come il “piano del consumatore” spesso il debitore offre ai creditori un pagamento parziale: il saldo e stralcio stragiudiziale ne è la controparte volontaria.

Rischi e accorgimenti nelle trattative private:

  • È fondamentale, se si raggiunge un accordo, metterlo per iscritto in forma chiara, sottoscritto da chi ha poteri per il creditore. Questo per evitare, ad esempio, che dopo aver pagato un saldo e stralcio il creditore (o un cessionario) chieda ancora soldi. La lettera di saldo e stralcio deve contenere l’impegno del creditore a considerare nulla ogni ulteriore pretesa una volta ricevuto l’importo concordato.
  • Nel caso di piani di rientro, finché non sono ultimati, il creditore potrebbe formalmente mantenere la segnalazione di sofferenza o altri status negativi. Conviene quindi includere clausole su come verrà gestito il rapporto in termini di segnalazioni in CRIF o Centrale Rischi, e cosa accade se il debitore non rispetta il piano (di solito si inserisce che in caso di inadempimento del nuovo piano, il debito ritorna esigibile per intero con eventuali interessi di mora, ecc.).
  • Queste trattative spesso beneficiano dell’assistenza di professionisti (es. un avvocato, un consulente debitorio) o di associazioni di consumatori: ciò può dare più forza al debitore nel negoziato e assicurare che gli accordi siano correttamente formalizzati.
  • Il debitore deve essere sincero sulle proprie difficoltà: se la banca percepisce che esiste un reale rischio di dover altrimenti aderire a una procedura concorsuale (dove magari otterrebbe ancor meno), sarà più propensa a concessioni. All’opposto, se il debitore ha patrimonio aggredibile, i creditori saranno meno accomodanti preferendo l’azione legale.

Effetti sulla rata: un piano di rientro può ridurre l’importo delle singole rate (ad esempio dimezzandole temporaneamente) ma allungarne il numero. Un saldo stralcio elimina del tutto le rate future in cambio di un pagamento una tantum. Da notare che un accordo transattivo stragiudiziale non dà diritto a beneficiare di esdebitazione per eventuali debiti residui con altri creditori: vale solo tra le parti che lo sottoscrivono. Se un debitore ha più debiti con diversi soggetti, dovrebbe raggiungere accordi con ciascuno oppure valutare le procedure giudiziali di sovraindebitamento per una soluzione collettiva.

Esempio: Stefania ha 4 rate arretrate del mutuo, la banca minaccia la decadenza dal beneficio del termine (che renderebbe tutto il debito immediatamente esigibile). Stefania, tramite il suo legale, negozia un piano di rientro: la banca accetta di non risolvere il contratto e di non procedere esecutivamente, purché Stefania paghi metà delle rate arretrate subito e le restanti 2 in aggiunta alle prossime 6 rate mensili (spalmando quindi il recupero in 6 mesi). Inoltre, la banca offre di abbassare la rata corrente del mutuo del 20% per quei 6 mesi, prolungando il mutuo di ulteriori 6 mesi alla fine, così da aiutare Stefania nel periodo critico. Il tutto viene scritto e firmato. Stefania così evita l’accelerazione del mutuo e in 6 mesi torna in bonis. In un altro caso, Marco ha un prestito personale insoluto da €5.000 su cui la finanziaria stava per agire legalmente: riesce a trovare €3.000 dai familiari e propone un saldo e stralcio di €3.000. La finanziaria, valutato che Marco è disoccupato e senza beni, accetta. Marco esegue il pagamento unico, la finanziaria gli rilascia quietanza a saldo finale del debito. Marco non avrà più rate né azioni legali da quel creditore (anche se la sua segnalazione creditizia resterà negativa per qualche tempo per via del precedente insoluto, ma almeno il debito è risolto).

Procedure giudiziali di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione)

Se la situazione debitoria è troppo gravosa per essere risolta con le semplici trattative o con gli strumenti individuali, la legge italiana mette a disposizione delle procedure concorsuali “minori” per persone sovraindebitate (non soggette a fallimento). Queste procedure – introdotte originariamente con la Legge 3/2012 e oggi confluite nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”) – permettono a un debitore non fallibile (consumatore, piccolo imprenditore sotto soglia, professionista, start-up innovativa non fallibile, ecc.) di ottenere il rilancio o l’esdebitazione tramite un piano di ristrutturazione dei debiti omologato da un tribunale. Dal punto di vista del tema che trattiamo, queste procedure consentono di modificare radicalmente le condizioni di rimborso dei debiti, fino a ridurre l’ammontare dovuto (taglio del debito) e a stendere piani pluriennali di pagamento sostenibili. Sono quindi lo strumento più potente per chi non riesce più a far fronte alle rate e ai debiti complessivi, ma naturalmente comportano un intervento dell’autorità giudiziaria, il rispetto di requisiti di legge e il coinvolgimento di tutti i creditori.

In base al CCII (come modificato dai correttivi del 2020-2022), le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento si articolano in:

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “nuovo” piano del consumatore, artt. 65-73 CCII);
  • Concordato minore (sostituisce il vecchio “accordo di composizione”, artt. 74-83 CCII);
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (sostanzialmente la liquidazione dei beni, ex art. 268 e ss. CCII);
  • Esdebitazione del debitore incapiente (novità introdotta dal Codice: possibilità di ottenere la liberazione dai debiti anche se non si offre nulla ai creditori, in casi eccezionali di nullatenenza meritevole).

Tratteremo qui quelle più pertinenti al debitore persona fisica che cerca di rimodulare le proprie obbligazioni, ossia il piano del consumatore e il concordato minore, accennando poi alla liquidazione. L’obiettivo sarà capire come queste procedure possano cambiare l’importo dovuto e le modalità di pagamento (quindi implicitamente le “rate”) in maniera favorevole al debitore in crisi, pur dovendo sottostare al controllo del giudice e, in alcuni casi, al voto dei creditori.

Nota terminologica: sebbene il termine “cambiare la rata” sia riduttivo rispetto a ciò che fa un piano del consumatore (che può addirittura ridurre l’importo totale da pagare e stralciare debiti), lo includiamo qui perché per un debitore oberato l’effetto finale è proprio ottenere un piano di pagamento mensile (quindi una rata sostenibile) decretato dal tribunale, spesso dopo aver falcidiato interessi e quote di capitale. È la situazione in cui le soluzioni di mercato non bastano più e ci si rivolge al giudice per imporre ai creditori una ristrutturazione.

Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore

Questa procedura, riservata ai consumatori, consente di presentare al tribunale un piano per pagare in modo sostenibile i propri debiti, con eventualmente pagamento parziale (falcidia) di alcuni di essi, senza necessitare dell’accordo dei creditori (il giudice può omologarlo anche con il dissenso dei creditori, purché ne verifichi la convenienza e altri requisiti). È l’erede del “piano del consumatore” della legge 3/2012. La ratio è aiutare le persone fisiche sovraindebitate che hanno contratto debiti per esigenze personali (non imprenditoriali) a uscire dalla spirale, garantendo comunque ai creditori la soddisfazione migliore possibile data la situazione.

Chi può accedere: solo il consumatore, definito nel CCII come “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, … per debiti contratti nella qualità di consumatore”. In sostanza deve trattarsi di debiti di natura personale/familiare. Se ci sono debiti derivanti da attività d’impresa o professionale, il soggetto non può usare il piano del consumatore (dovrà semmai usare il concordato minore, v. dopo). La Cassazione ha chiarito che è consumatore anche chi ha un’attività, purché i debiti oggetto della crisi siano estranei a questa. Il CCII, dopo il correttivo 2024, ribadisce questa impostazione e specifica che il consumatore può accedere agli strumenti per debiti contratti come consumatore. Dunque, ad esempio, un piccolo imprenditore con debiti misti (parte personali, parte d’impresa) non può mescolarli in un piano consumatore: dovrà escludere quelli d’impresa (pagandoli altrove) o utilizzare l’altra procedura.

Caratteristiche del piano: il consumatore, con l’ausilio obbligatorio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o di un professionista nominato dal giudice, elabora un piano di pagamento dei propri debiti tenendo conto del proprio reddito, patrimonio e necessità di sostentamento. Il piano può prevedere:

  • Dilazioni di pagamento anche molto lunghe: ad esempio pagare in 10 anni un certo debito. Non c’è un limite massimo di durata normativo, ma il parametro usuale è che difficilmente si vada oltre 15-20 anni, a meno di casi particolari. È comunque possibile proporre piani anche ultra-quinquennali se sostenibili (recenti decisioni hanno ammesso piani decennali).
  • Taglio parziale (falcidia) dei debiti: se il patrimonio e reddito del debitore non consentono di pagare integralmente tutti i debiti, il piano può proporre di soddisfarli parzialmente. Ad esempio, pagare il 100% dei debiti ipotecari (se si vuole tenere la casa) ma solo il 50% di quelli chirografari, oppure pagare interessi in misura ridotta, ecc. Il giudice verifica che la quota offerta ai creditori sia almeno pari o migliore di quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni del debitore.
  • Classi di creditori e trattamenti differenziati: pur non essendo un concordato preventivo, il piano del consumatore può prevedere di trattare diversamente categorie di debiti, ad esempio distinguere tra debiti privilegiati (che vanno solitamente pagati integralmente salvo consenso dei creditori a riduzioni) e debiti chirografari (senza garanzie, che possono essere falcidiati maggiormente).
  • Eventuale apporto di risorse esterne: spesso il debitore coinvolge parenti o terzi che sono disposti a contribuire finanziariamente. Questa finanza esterna può aumentare la percentuale offerta ai creditori. Esempio: un familiare offre 10.000€ per aiutare, e grazie a ciò i creditori ricevono più di quanto prenderebbero altrimenti. Ciò rende il piano più “meritevole” di approvazione.
  • Conservazione di beni essenziali: il debitore può prevedere di mantenere la casa di abitazione se il piano consente di pagare i relativi mutui o i creditori ipotecari in misura soddisfacente. Non sempre è possibile, ma è un elemento spesso presente (piani che salvano la casa pagando la banca in modo dilazionato).
  • Nessun voto dei creditori: a differenza del concordato minore, qui i creditori non votano. Possono presentare osservazioni, e soprattutto possono contestare la convenienza del piano rispetto alla liquidazione (il creditore può cioè dire: “col piano prendo il 50%, ma se liquido i beni del debitore prenderei il 60% quindi non mi conviene”). Tuttavia, se il giudice ritiene il piano conveniente e il debitore meritevole, può omologarlo anche contro il parere dei creditori.

Requisito di meritevolezza: è un punto fondamentale. Il debitore consumatore deve aver tenuto un comportamento tale da meritare l’esdebitazione. Non deve aver causato la sua insolvenza con dolo o colpa grave. Se c’è stata “colpa grave” nell’indebitarsi (es. ricorso sproporzionato al credito in modo imprudente), il piano può essere rigettato per mancanza di meritevolezza. La giurisprudenza ha molto dibattuto sul confine tra colpa grave e colpa lieve. In generale, sovraindebitarsi per eventi sfortunati o valutazioni errate ma scusabili rientra nella colpa lieve, mentre indebitarsi in modo fraudolento o del tutto avventato può essere colpa grave. Ad esempio, Cassazione ha definito non meritevole chi continua a prendere prestiti sapendo di non poterli restituire deliberatamente. Ma attenzione: c’è anche il tema della responsabilità delle banche nel concedere credito. I giudici hanno cominciato a considerare che se il creditore ha erogato prestiti senza valutarne la sostenibilità (violando l’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore previsto dall’art. 124-bis TUB), allora il debitore non può essere considerato colpevole in senso grave per essersi indebitato, e anzi il creditore perde il diritto di contestare la convenienza del piano. È un principio di “responsabilità del creditore”: in alcune pronunce (es. Trib. Trani confermato da App. Bari 2025) se la banca non aveva adeguatamente controllato la capacità di rimborso, la sua opposizione al piano viene respinta. In altre parole, la mancata valutazione del merito creditizio da parte della banca rende il debitore comunque meritevole e toglie al creditore negligente la possibilità di lamentarsi del taglio del debito. Questo è molto importante: chi è sommerso dai debiti in parte per la facilità con cui glieli hanno concessi, può trovare tutela in sede di omologazione del piano. La legge attuale (art. 69 CCII) prevede espressamente che il giudice tenga conto, nella valutazione della meritevolezza, anche del comportamento del creditore nel concedere il credito. Dunque, colpa grave del debitore e violazione degli obblighi del creditore vanno bilanciati. Una recente sentenza d’appello Bari 2025 ha proprio evidenziato come distinguere colpa lieve vs grave del debitore e come la mancata verifica del merito creditizio da parte della banca abbia conseguenze a suo sfavore.

Esito della procedura: se il tribunale omologa il piano, questo diventa vincolante per tutti i creditori inclusi, anche dissenzienti. I creditori privilegiati (p.e. ipotecari) però, se non vengono pagati integralmente, hanno avuto la possibilità di esprimersi sulla convenienza: per il piano del consumatore puro la legge vecchia non prevedeva voto, ma la Cassazione ha stabilito che se si prevede di pagare un ipotecario oltre un anno dopo l’omologazione (moratoria ultrannuale), allora va data facoltà di esprimere il consenso o dissenso – questo per rispettare i loro diritti. In pratica spesso i piani consumatore pagano i crediti ipotecari entro 1 anno (moratoria infrannuale) per evitare contestazioni, oppure li pagano oltre ma allora il tribunale permette ai creditori di dire la loro e valuta. Con l’omologa, il debitore è tenuto a rispettare il piano (pagare le “rate” come da piano: spesso sono pagamenti periodici ai creditori in percentuale). Durante l’esecuzione del piano il debitore è protetto: i creditori non possono agire esecutivamente né iscrivere ipoteche aggiuntive. A completamento, se il debitore ha adempiuto il piano, ottiene l’esdebitazione: viene liberato dai debiti residui eccedenti quanto pagato. Se invece non riesce a rispettare il piano, si possono attivare rimedi (es. modifiche del piano, conversione in liquidazione) ma se fallisce del tutto, i creditori riacquistano i diritti sulle somme originarie al netto di quanto eventualmente incassato.

Impatto sulla rata: dal punto di vista pratico, il piano del consumatore spesso viene tradotto in un importo mensile sostenibile che il debitore si impegna a versare (in proporzione ai creditori). Ad esempio, un piano tipico potrebbe dire: il debitore pagherà €300 al mese per 5 anni, che andranno a soddisfare i creditori chirografari al 30% del loro credito, mentre il mutuo ipotecario verrà mantenuto alle stesse rate originarie (fuori piano, o dentro piano se ridefinito). Oppure, come nell’esempio seguente, una coppia con debiti anche ipotecari riesce a ridurre e dilazionare.

Esempio reale (basato su Cass. 2024 e Trib. Trani 2024): Due coniugi sovraindebitati avevano debiti per €124.000, tra cui un mutuo ipotecario gravante sulla casa. Hanno proposto un piano del consumatore offrendo di pagare complessivamente €55.000 così suddivisi: €10.000 immediatamente grazie a un aiuto familiare e poi 120 rate mensili da €375 (cioè €375/mese per 10 anni). Questo implicava che il creditore ipotecario (banca) avrebbe ricevuto solo il 57% del proprio credito (falcidia del 43%) ma in 10 anni di pagamenti. La banca si è opposta contestando sia la meritevolezza sia il fatto che preferiva l’ipotesi liquidatoria (pignorare casa). Tuttavia, il tribunale ha omologato il piano: ha rilevato che la banca aveva concesso il mutuo senza adeguata valutazione reddituale (i coniugi avevano reddito bassissimo), dunque la banca stessa era corresponsabile. Inoltre, la banca non poteva contestare la convenienza perché aveva omesso di valutare il merito creditizio all’origine. Il piano è stato ritenuto fattibile e i debitori meritevoli. Risultato: i coniugi potranno mantenere la casa pagando la rata di €375 al mese per 10 anni, invece di dover pagare rate molto più alte o perdere l’immobile; alla fine pagheranno €55.000 su €124.000 di debiti, ottenendo l’esdebitazione del restante ~€69.000. Questo esempio mostra il potenziale di “cambiamento della rata” in senso lato: da rate insostenibili o debito superiore alle possibilità, si passa (con intervento del giudice) a rate sostenibili con taglio del debito.

Il piano del consumatore è quindi uno strumento forte, ma richiede preparazione accurata (serve una relazione particolareggiata dell’OCC sulla situazione del debitore e sulle cause dell’indebitamento, sulla meritevolezza, ecc.) e comporta un procedimento giudiziale che può durare alcuni mesi prima dell’omologa. È essenziale che il debitore sia trasparente nel dichiarare tutti i debiti e il patrimonio; qualsiasi malafede può portare a rigetto.

Concordato Minore (ex accordo di ristrutturazione)

Il concordato minore è la procedura analoga al piano del consumatore, rivolta però ai debitori non consumatori: piccoli imprenditori sotto soglia di fallibilità, imprenditori agricoli, start-up innovative non fallibili, professionisti con debiti professionali, oppure consumatori che però hanno anche debiti “imprenditoriali” misti. In pratica ha preso il posto dell’“accordo di composizione della crisi” della L.3/2012. La differenza principale rispetto al piano del consumatore è che prevede il voto dei creditori: è un vero e proprio concordato, quindi i creditori devono approvare la proposta del debitore con le maggioranze di legge (almeno il 60% dei crediti ammessi al voto). Se le maggioranze votano sì e il tribunale omologa, diventa vincolante anche per i dissenzienti. Se i creditori votano no, il concordato non si fa (salvo il tribunale possa intervenire in alcuni casi di dissenso irragionevole su crediti fiscali per esempio, ma non entriamo in dettagli). Il concordato minore è dunque più “negoziale” e meno unilaterale rispetto al piano del consumatore.

Chi può accedere: debitori sovraindebitati non consumatori. Esempi: un artigiano individuale con debiti verso fornitori; un ex imprenditore che ha cessato l’attività ma ha debiti IVA e bancari; una persona fisica che fu garante di una società (debito derivato da impresa altrui); oppure una famiglia in cui parte dei debiti è personale e parte derivano da attività di uno dei coniugi – in tal caso non poteva fare piano consumatore puro, ma può fare concordato minore eventualmente familiare (il CCII consente procedure familiari cumulative).

Cosa consente di fare: esattamente come il piano, un piano di ristrutturazione dei debiti con possibili dilazioni e falcidie, ma soggetto al voto. Il concordato minore ha una portata molto simile a un concordato preventivo (pur con alcune semplificazioni). Ad esempio, l’art. 74 CCII dice che il concordato minore prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti con qualsiasi forma, anche tramite cessione di beni, accollo, garanzie, ecc.. Il debitore può offrire di pagare una certa percentuale ai chirografari magari vendendo un immobile e dilazionando il resto. Può decidere di liquidare una parte del patrimonio e tenere un’altra funzionale alla sua attività (la finalità dichiarata del concordato minore è di consentire al debitore di proseguire l’attività imprenditoriale o professionale nonostante la crisi, similarmente a un piccolo concordato di continuità). Quindi, se un piccolo imprenditore vuole continuare l’attività, può proporre di pagare i debiti col lavoro futuro in tot anni, magari abbattendone una parte, purché i creditori votino a favore comprendendo che così ottengono il meglio possibile.

Meritevolezza: nel concordato minore il concetto di meritevolezza non è stringente come nel piano consumatore (dove è requisito di ammissibilità). Tuttavia, anche qui comportamenti frodatori o mala fede del debitore possono portare al diniego di omologa. Diciamo che c’è più spazio perché decide soprattutto il mercato (i creditori) nel voto: se i creditori accettano, la “meritevolezza” è meno rilevante. Certo, resta l’obbligo di buona fede e di verità nei documenti.

Effetto sul debito: se omologato, il concordato minore vincola tutti i creditori inclusi, con eventuale stralcio delle parti eccedenti. Il debitore poi adempie il piano concordatario e a fine ottiene l’esdebitazione residua. Simile in esito al piano, cambia il percorso (votazione).

Vantaggi rispetto al piano: consente di includere categorie di debiti non ammessi nel piano. Ad esempio, un piccolo imprenditore con debiti personali e aziendali può mettere tutto nel concordato minore. Inoltre, se c’è la necessità di coinvolgere crediti privilegiati con dilazioni oltre l’anno o falcidie, nel concordato minore questo è possibile purché il creditore voti a favore (nel piano consumatore invece un privilegiato non integralmente pagato può opporsi per convenienza). In altre parole, il concordato minore è più flessibile in termini di contenuto del piano, perché il meccanismo di voto sostituisce il controllo di convenienza del giudice: se i creditori accettano anche di prendere meno, vale così. Ad esempio, falcidiare un’IVA nel piano consumatore è impossibile (il giudice non omologherebbe perché l’IVA è un tributo che nella liquidazione verrebbe in privilegio quindi piano dovrebbe pagarla intera salvo consenso Fisco); nel concordato minore, se l’Erario vota sì a una parziale falcidia IVA, allora la si può fare. Dunque, per debiti fiscali o contributivi, spesso il concordato è il canale necessario, perché lo Stato (Agenzia Entrate) può decidere di aderire a un certo stralcio (specie dopo riforma che consente allo Stato di accettare riduzioni in certi casi).

Svantaggi: richiede convincere i creditori – se c’è un creditore principale ostile (es. una banca o il fisco), potrebbe bloccare la maggioranza. Il piano consumatore bypassa questo. Inoltre, il procedimento può essere un po’ più lungo e complesso per via delle votazioni. Tuttavia, il CCII consente anche nel concordato minore che l’omologazione avvenga anche senza voto formale se il debitore deposita le adesioni scritte di almeno il 60% dei crediti (adesione per consenso), semplificando la trafila.

Esempio: un piccolo imprenditore artigiano ha debiti totali di 300.000 € (50k mutuo ipotecario su laboratorio, 100k fornitori, 50k banca scoperto c/c, 100k debiti fiscali tra IVA e INPS). La sua azienda è ancora valida ma oppressa dai debiti. Con un concordato minore, propone di pagare: integralmente mutuo ipotecario (magari rinegoziato con la banca per ultima posizione), al 30% i fornitori e banca chirografaria, al 50% i debiti fiscali (beneficiando di qualche stralcio, se AE accetta), il tutto in 5 anni di rate semestrali, grazie al flusso di cassa dell’attività e vendendo un macchinario non essenziale. I creditori votano: i fornitori, vedendo che in liquidazione prendrebbero forse 10%, votano sì; la banca chirografa vota sì perché preferisce 30% in 5 anni che niente; l’Erario vota sì perché si allinea; la banca ipotecaria non vota (è privilegiata e viene pagata intera, quindi non ha diritto di voto in classe chirografi). Raggiunto oltre il 60%, il tribunale omologa. L’artigiano paga poi regolarmente le rate semestrali stabilite. Ottiene così di dimezzare i debiti e di pagare il resto dilazionato senza azioni esecutive, salvando l’azienda. Se non ce l’avesse fatta, probabilmente sarebbe fallito perdendo tutto.

Liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio) ed esdebitazione finale

Se il debitore non è in grado di proporre o sostenere un piano/concordato (ad esempio perché non ha redditi disponibili per pagare rate, o perché i creditori non collaborano, o perché la situazione è compromessa), resta la possibilità di sottoporsi alla liquidazione controllata dei beni (prima chiamata liquidazione del patrimonio). In questa procedura, sostanzialmente, si liquidano (vendono) tutti i beni del debitore per distribuire il ricavato ai creditori, dopodiché il debitore persona fisica viene liberato dai debiti residui (esdebitazione). È una sorta di “fallimento del privato”, con la differenza che – a differenza del fallimento dell’imprenditore – qui è prevista la liberazione dai debiti anche se i creditori non sono stati pagati integralmente, come atto di clemenza per il debitore sovraindebitato (fresh start). La liquidazione può essere attivata dal debitore stesso per liberarsi dei debiti offrendo ciò che ha, oppure dai creditori o in conversione di un piano/concordato non riuscito.

Impatto sulla rata: durante la liquidazione, il debitore cessa i pagamenti normali delle rate ai creditori pregressi – il patrimonio viene gestito dal liquidatore nominato dal giudice. Se il debitore ha un lavoro, può essergli prelevata una parte del reddito mensile per contribuire ai creditori (in misura pari al pignorabile, di solito). Ad esempio, potrà dover versare il quinto dello stipendio al liquidatore. Questo, in un certo senso, sostituisce le varie rate in un’unica trattenuta mensile centralizzata. Dopo la chiusura della liquidazione (una volta venduti beni e distribuiti fondi), il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione: la legge prevede che il debitore persona fisica è sempre ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui purché abbia cooperato lealmente e non ci siano stati comportamenti fraudolenti. Quindi, se la liquidazione va a termine, anche se i creditori hanno preso magari solo il 10%, i debiti vengono cancellati. Novità: il CCII ha introdotto una forma di esdebitazione del debitore incapiente anche senza liquidazione, per chi proprio non ha nulla da liquidare – in casi di particolare meritevolezza e una volta sola, il debitore nullatenente può ottenere esdebitazione immediata (o dopo una prova di buona condotta di 3 anni) pur senza pagare i creditori. Questa è una sorta di “fresh start gratuito” per situazioni estreme, ma richiede che il debitore non abbia veramente alcun patrimonio cedibile e non l’abbia dolosamente disperso.

In sintesi, la liquidazione è l’ultima ratio: il debitore perde i beni (ma ad esempio salari e pensioni restano suoi salvo la porzione pignorabile) ma ottiene la cancellazione dei debiti. Non c’è una “rata” da pagare, a parte l’eventuale cessione di stipendio. Il vantaggio è l’esdebitazione, lo svantaggio è la perdita del patrimonio e l’impatto sulla reputazione creditizia (di fatto è una procedura concorsuale che verrà annotata).

Conclusione sulle procedure di sovraindebitamento: queste procedure consentono di rimodulare drasticamente il rapporto debitore-creditori sotto controllo giudiziale. Il debitore deve valutarle quando il semplice cambio di rata tramite banca non è sufficiente. Ad esempio, se uno ha perso lavoro e ha 100k di debiti, può essere più sensato attivare un piano del consumatore che proponendo di pagare ad es. 20k in 4 anni cancella l’80k residuo, piuttosto che inseguire rifinanziamenti impossibili. Naturalmente, ogni caso va ponderato con esperti (OCC, avvocati) e spesso la procedura concorsuale è l’ultima spiaggia perché comporta anche oneri (bisogna pagare le spese della procedura, l’OCC, etc., anche se spesso in prededuzione si usano risorse del debitore stesso).

Di certo, dal punto di vista della domanda “si può cambiare la rata di un finanziamento?”, le procedure ex L.3/2012/CCII sono la risposta più potente: sì, si può cambiare anche a dispetto del contratto originario, arrivando perfino a ridurre l’importo dovuto, purché si segua la via giudiziale prevista. In sostanza, il tribunale può imporre ai creditori una modifica delle condizioni di rimborso (tempi, importi) nell’ottica di risolvere la crisi del debitore meritevole.

Tabella riepilogativa – Strumenti per modificare la rata (volontari vs giudiziali):

StrumentoTipoCome funzionaEffetto sulla rataNormativa di riferimento
Rinegoziazione con la bancaVolontario contrattuale (stesso istituto)Modifica condizioni del contratto originario (tasso, durata, etc.) per accordo tra le parti.Rata può diminuire (se abbassa tasso/spread e/o allunga durata).Accordo privato; se mutuo prima casa: L.244/2007 art. 2 co. 479 e L.126/2008 (Convenzione ABI-MEF 2008), L.197/2022 (rinegoziazione obbligatoria var→fisso con requisiti).
Surroga (portabilità)Volontario contrattuale (nuova banca)Trasferimento del mutuo a nuova banca con nuove condizioni, senza costi né aumento importo.Rata può diminuire (tipicamente si cerca tasso minore o si allunga la durata con nuova banca).Art. 1202 c.c.; L. 40/2007 art. 8 (nullità clausole di impedimento).
Sostituzione/RifinanziamentoVolontario contrattuale (stessa/nuova banca)Estinzione del vecchio finanziamento e accensione di uno nuovo (event. importo maggiore).Rata può diminuire se nuovo prestito ha tasso inferiore o durata molto più lunga (ma attenzione a costi e interessi totali).Norme generali contratti credito; Codice Consumo (diritto estinzione anticipata con indennizzo max 1%) se credito al consumo.
Consolidamento debitiVolontario contrattuale (nuovo prestito)Un nuovo prestito estingue più debiti precedenti, unificando le rate in una sola.Rata unica normalmente più bassa della somma precedenti (grazie a durata maggiore).Norme credito al consumo D.Lgs. 141/2010; prassi bancaria.
Moratoria (Fondo solidarietà)Volontario su norma di legge (richiesta debitore, adesione obbligatoria banca se requisiti)Sospensione fino a 18 mesi delle rate mutuo prima casa in caso di difficoltà (disoccupazione, ecc.), con allungamento del piano e copertura 50% interessi da parte Stato.Durante la sospensione, rata = 0. Dopo, la rata torna uguale (piano esteso di pari periodo). Sostanzialmente differimento del pagamento.L. 244/2007 art. 2 co. 475-480; L. 92/2012; art. 54 DL 18/2020 (Covid esteso); Discipline Consap aggiornate.
Accordo stragiudiziale (piano di rientro)Volontario negoziale individualeAccordo privato col creditore per dilazionare arretrati, ridurre temporaneamente rate o simili, al di fuori di procedura formale.Rata può essere ricalcolata su misura (es. ridotta per X mesi e poi aumentata), secondo accordo.Autonomia contrattuale; raccomandazioni ABI sul supporto ai debitori.
Accordo stragiudiziale (saldo e stralcio)Volontario negoziale individualeAccordo per estinguere il debito pagando una somma inferiore immediata, con liberatoria sul resto.Elimina del tutto le rate future (debito chiuso anticipatamente con importo ridotto).Autonomia contrattuale; rileva Art. 1236 c.c. (remissione parziale del debito).
Piano del consumatoreGiudiziale concorsuale (no voto)Procedura per consumatore sovraindebitato: il tribunale omologa un piano sostenibile di pagamento parziale dei debiti, senza necessità di accordo dei creditori (ma valutando meritevolezza e convenienza).Rata complessiva determinata in base al piano e alle capacità del debitore, spesso molto inferiore alla somma rate originarie. Possibile stralcio di quote di debito.L. 3/2012 (abrogata); CCII art. 65-73. Cass. civ. 1869/2016 e 22699/2023 (nozione di consumatore).
Concordato minoreGiudiziale concorsuale (con voto creditori)Procedura per debitore non consumatore (o misto): si propone un accordo ai creditori, soggetto a voto (60%); omologato dal tribunale se maggioranza. Possibili dilazioni e stralci come in un concordato preventivo semplificato.Può prevedere piani di pagamento (rate) pluriennali e/o soddisfazione parziale. Dopo l’omologa, il debitore paga secondo il piano (sorvegliato da liquidatore/occ) e ottiene esdebitazione residua.L. 3/2012 (acc. composizione); CCII art. 74-83. Finalità di continuità d’impresa.
Liquidazione controllataGiudiziale concorsuale (liquidatoria)Procedura in cui i beni del debitore sovraindebitato sono liquidati per pagare i creditori. Al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti.Di fatto annulla le rate: il debitore non paga più direttamente i creditori, perde i beni e (event.) cede parte del reddito al procedura. Dopo, non avrà più debiti (esdebitazione).L. 3/2012 art. 14-terdecies e ss.; CCII art. 268-277. Prevista esdebitazione (fresh start). Corte Cost. 242/2022 (estinzione debiti ereditari).

Nota: le normative indicate sono semplificate. Dal 15 luglio 2022 la Legge 3/2012 è stata abrogata e sostituita dal Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019); le prassi delle vecchie procedure restano però applicabili in continuità sotto i nuovi articoli CCII. Per ragioni di spazio sono citati solo alcuni riferimenti chiave.

Variazioni della rata su iniziativa della banca: limiti dello ius variandi

Fin qui abbiamo visto come il debitore può attivarsi per cambiare la rata. Ma può accadere il contrario? La banca può cambiare l’importo delle rate di sua iniziativa, senza un nuovo accordo? In generale, per i finanziamenti a tasso fisso e a rimborso definito contrattualmente la risposta è no: la banca non può alterare unilateralmente condizioni essenziali come il tasso d’interesse o la durata di un mutuo se il contratto è a tempo determinato, grazie al divieto di ius variandi in tali casi. L’art. 118 del Testo Unico Bancario consente alle banche modifiche unilaterali solo per contratti a tempo indeterminato (es. conti correnti, carte revolving) o comunque con clausole specifiche e giustificato motivo, offrendo diritto di recesso al cliente. Ma un mutuo o prestito non è un contratto di durata indeterminata, bensì con un termine finale certo. La giurisprudenza (ABF, Ombudsman bancario) ha affermato che l’art. 118 TUB non si applica ai mutui, perché il cliente non può esercitare un recesso pienamente volontario (dovrebbe restituire tutto il debito residuo subito, il che rende lo ius variandi sbilanciato). Ne consegue che la banca non può aumentare il tasso o la rata di un mutuo unilateralmente durante la sua esecuzione, a meno che ciò non derivi da clausole contrattuali preesistenti (come il tasso variabile legato a parametri di mercato, che è una variazione “automatica” pattuita).

Esempio: tasso variabile vs fisso – In un mutuo a tasso variabile, l’importo delle rate può variare nel tempo, ma non per “iniziativa discrezionale” della banca: varia in applicazione di quanto previsto dal contratto, ovvero l’adeguamento al parametro (Euribor, BCE, etc.). Dunque se la rata sale perché l’Euribor è aumentato, non è la banca che “ha deciso di alzarla”, ma è l’effetto del meccanismo contrattuale sottoscritto dal cliente. Questo tipo di variazione è legittima. Diverso sarebbe se la banca inviasse una lettera dicendo: “da mese prossimo aumento di 1% il tasso perché sì” – ciò non è consentito nei contratti a termine. Qualora la banca cercasse di applicare lo ius variandi su un mutuo, il cliente potrebbe contestarlo (quelle clausole o comunicazioni sarebbero inefficaci).

Eccezioni contrattuali: certi contratti potrebbero contenere clausole particolari, ad esempio tassi misti o opzioni: es. mutuo che dopo 5 anni da fisso diventa variabile, oppure tasso variabile con rata cap (rata fissa e durata variabile) o viceversa durata fissa e rata variabile. In questi casi la rata può cambiare per i parametri concordati (ad esempio in un mutuo a “rata costante e durata variabile”, se il tasso sale la durata del mutuo si allunga automaticamente entro certi limiti, mantenendo la rata costante; se i limiti si esauriscono, a quel punto potrebbe aumentare anche la rata, ma ciò è scritto nel contratto). Tali meccanismi sono comunque pattuiti all’origine e regolati nel contratto.

Modifiche di condizioni generali: la banca può modificare unilateralmente (con preavviso) alcune condizioni accessorie nei contratti a tempo indeterminato, come il tasso di una linea di credito revolving o le commissioni di un conto corrente. Per esempio, la rata minima di una carta di credito revolving potrebbe essere aumentata dalla banca per politica interna, informando il cliente con 2 mesi di anticipo e dando facoltà di recesso (chiusura della linea di credito). In quel caso, il cliente può rifiutare la modifica restituendo il dovuto e terminando il rapporto. Queste fattispecie rientrano nello ius variandi ammesso dall’art. 118 TUB in conti e aperture di credito. Ma se il cliente non recede, la modifica entra in vigore. In termini di “rata”, su una carta revolving la banca potrebbe ad esempio alzare la rata minima mensile dal 3% al 5% del saldo: è un aumento della rata per iniziativa banca, consentito se segue la procedura di legge (comunicazione motivata, preavviso, diritto recesso) e se nel contratto c’era la clausola di modificabilità.

Variazione di tasso per default (clausole di escalazione): alcuni contratti di prestito prevedono che in caso di ritardato pagamento scatti un tasso di mora (ben definito) o addirittura la decadenza dal beneficio del termine con richiesta di interessi maggiorati. Questo non è esattamente “cambiare la rata”, è applicare sanzioni pattuite per inadempimento. Ad esempio, se il debitore salta due rate, la banca può – come da contratto – risolvere il prestito e chiedere tutto il capitale residuo in una volta, più interessi di mora. È un peggioramento unilaterale delle condizioni per causa imputabile al debitore, non per arbitrio della banca. Legalmente, la decadenza dal termine è prevista dall’art. 40 TUB per i mutui ipotecari se si superano determinati limiti di morosità (es. 6 rate non pagate) e consente alla banca di chiedere il saldo integrale. Questo ovviamente cambia radicalmente il piano di ammortamento (non c’è più rata mensile, ma un unico debito immediato): è però un rimedio contrattuale alla grave inadempienza, non una modifica unilaterale delle condizioni in bonis.

Cessione del credito a terzi: qualora la banca ceda il credito (mutuo o prestito) a una società terza (ad esempio una società di recupero o cartolarizzazione), il debitore potrebbe temere cambiamenti. In realtà, la cessione del credito ex art. 58 TUB non può modificare le condizioni originali: il nuovo creditore subentra esattamente nelle pattuizioni esistenti. Dunque la rata rimane quella prevista. Semmai, il nuovo creditore potrebbe essere più aggressivo nel riscuotere se il debitore è moroso, ma non può chiedere importi diversi da quanto dovuto secondo contratto. (Attenzione solo al fatto che alcuni crediti ceduti sono receduti per inadempimento, cioè contratti già risolti: in quel caso il cessionario chiederà l’intero debito residuo, ma perché il contratto è già decaduto; se invece è in bonis, nulla cambia nelle rate).

Iniziative della banca in contesti particolari: capita che banche offrano ai clienti variazioni “proattive” migliorative. Ad esempio, in periodi di crisi, alcune banche hanno contattato mutuatari a rischio proponendo rinegoziazioni o moratorie (come da circolari ABI 2023 citate). Queste non sono imposizioni, ma proposte: il cliente può accettare di modificare la rata secondo l’offerta della banca (diventando un accordo bilaterale). Un esempio recente: a fine 2022 alcune banche hanno spontaneamente offerto a clienti con mutuo variabile la possibilità di allungare la durata di X anni per ridurre la rata, senza attendere la richiesta del cliente. Tali mosse rientrano nel quadro di prevenzione del rischio di credito e su base volontaria.

In sintesi, una modifica unilaterale “a sorpresa” della rata da parte della banca non è consentita, salvo rientri in clausole contrattuali già approvate o nel meccanismo di tasso variabile. Se il cliente riceve comunicazioni di variazioni, dovrebbe controllare la base giuridica: se la banca invoca l’art. 118 TUB, ricordare che ciò non vale per mutui/prestiti a termine e può essere contestato. Al contrario, in contratti di credito revolving o conti, la modifica può essere lecita con preavviso; il cliente insoddisfatto ha però il diritto di recedere (chiudere il rapporto) evitando l’applicazione della nuova condizione.

Sentenze aggiornate su ius variandi: l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) fin dal 2010 ha stabilito la non applicabilità dell’art. 118 TUB ai mutui. La Cassazione sul punto ha meno bisogno di intervenire perché è abbastanza pacifico. In generale, qualsiasi variazione effettuata senza consenso e senza base contrattuale può essere dichiarata nulla. Ad esempio, se una banca avesse addebitato interessi maggiori di quelli contrattuali applicando un tasso diverso (non concordato) unilateralmente, il debitore potrebbe far causa per ripetizione di indebito e il giudice ricalcolerebbe il piano conforme al tasso pattuito.

Conclusione su iniziativa banca: Le rate concordate sono “intoccabili” unilateralmente. Il debitore in difficoltà ha quindi la fortuna che la banca non può arbitrariamente alzargli la rata. Certo, se il tasso è variabile la rata potrà crescere, ma per accordo iniziale. In caso di dubbi, è bene consultare i contratti: a volte possono nascondere clausole come floor (tasso minimo) o step-up (aumenti predeterminati), che possono far variare la rata in futuro – ma ripetiamo, se c’è nel contratto, è legittimo. Se non c’è, la regola è la cristallizzazione contrattuale: la banca, a differenza del debitore, non ha uno strumento unilaterale per alterare i patti. Può solo reagire all’inadempimento o proporre volontariamente modifiche (che necessitano però dell’accordo del cliente).

Domande Frequenti (FAQ)

D: Ho un mutuo a tasso variabile e la rata è salita tantissimo. Posso obbligare la banca ad abbassarla o passare a tasso fisso?
R: Non puoi “obbligare” la banca a modificare le condizioni contrattuali originarie, a meno che non rientri nei casi previsti da leggi speciali. Attualmente (fino a fine 2024) esiste una norma che obbliga la banca a concedere la trasformazione a tasso fisso se il tuo mutuo soddisfa i requisiti (importo ≤ 200.000 €, ISEE ≤ 35.000 €, nessun arretrato, prima casa). Fuori da questo caso, puoi chiedere alla banca una rinegoziazione volontaria: molte banche acconsentono a ridurre il tasso o a passare a fisso, magari allungando la durata, perché anche loro vogliono evitare che tu vada in sofferenza (o in surroga altrove). Se la tua banca non è collaborativa, puoi cercare un’altra banca per surrogare il mutuo a condizioni migliori. Inoltre, se la rata è insostenibile temporaneamente, valuta la sospensione Fondo Gasparrini (se hai perso il lavoro o altre condizioni): congeli la rata fino a 18 mesi. In extremis, se la situazione è grave e protratta, c’è la via del piano del consumatore per ridurre il debito, ma è da valutare con un esperto perché è una procedura giudiziale.

D: La banca può aumentare il tasso del mio mutuo perché sono cambiate le condizioni di mercato?
R: Se hai un mutuo a tasso fisso, assolutamente no – le condizioni sono bloccate. Se hai un mutuo a tasso variabile, allora l’aumento del tasso di riferimento (Euribor, BCE, ecc.) si riflette sul tasso applicato e quindi sulla rata: ma questo è previsto dal contratto e non è una decisione arbitraria della banca. Al di fuori di ciò, la banca non può invocare motivi di mercato per alterare unilateramente il tasso/spread pattuito. In passato, alcune banche inserivano clausole di “ius variandi” generiche nei mutui, ma tali clausole sono state giudicate nulle. Quindi, se mai dovessi ricevere una comunicazione di modifica unilaterale del tasso non prevista dal meccanismo contrattuale, sappi che non ha efficacia legale e puoi contestarla. L’unico adeguamento lecito è quello già stabilito (es. tasso variabile indicizzato, cap/floor se c’è, etc.).

D: Ho più prestiti e non ce la faccio più con tutte queste rate. Meglio consolidare in banca o fare un piano del consumatore?
R: Dipende dalla tua situazione. Se hai ancora un merito creditizio discreto (cioè non sei segnalato come cattivo pagatore o insolvente) e un reddito sufficiente, potresti provare a chiedere un prestito di consolidamento presso una banca o finanziaria. Ti faranno un unico prestito per chiudere gli altri, e avrai una sola rata mensile, di solito più bassa. Fai attenzione però: allungando la durata pagherai più interessi complessivi, e assicurati di chiudere effettivamente tutte le posizioni precedenti (a volte lasciando aperte linee di credito, c’è il rischio di riutilizzarle e peggiorare la situazione). Se invece sei già insolvente o sovraindebitato oltre le tue possibilità, un consolidamento classico potrebbe non bastare o neanche essere ottenibile (se risulti cattivo pagatore, poche finanziarie prestano, e se lo fanno spesso è a tassi alti). In tal caso, valutare le procedure di sovraindebitamento ha senso: col piano del consumatore ad esempio puoi proporre di pagare quello che realisticamente puoi in tot anni, anche tagliando una parte di debiti, e ottenere l’esdebitazione del resto. È una soluzione più drastica ma risolutiva. In pratica: prova prima strade extra-giudiziali (rinegoziazioni, consolidamenti); se falliscono perché il debito è davvero troppo rispetto al reddito, consulta un OCC o un avvocato per un possibile piano del consumatore. Quest’ultimo richiede di dimostrare che sei in buona fede e che offri tutto il possibile – ma poi ti libera dai debiti eccedenti.

D: Ho perso il lavoro e non riesco a pagare le rate del mutuo. Meglio sospendere o rinegoziare o entrambe?
R: Nel tuo caso, innanzitutto verifica se puoi accedere al Fondo di sospensione mutui prima casa (Fondo Gasparrini). Se hai un mutuo prima casa, ISEE ≤ 30.000 € e sei disoccupato, hai diritto di sospendere fino a 18 mesi le rate. Questo ti darebbe una boccata d’ossigeno immediata. Durante la sospensione, metà degli interessi sulle rate li paga lo Stato. Nel frattempo potresti cercare un nuovo lavoro. Rinegoziare la rata ha senso in un secondo momento, quando avrai un reddito: ad esempio, potresti chiedere, una volta ripreso a lavorare, di allungare la durata per tenere la rata bassa rispetto al nuovo stipendio. Nulla vieta di fare entrambe le cose in sequenza: sospensione subito, poi rinegoziazione. Le banche sanno che la sospensione Fondo è un tuo diritto e di solito la gestiscono senza problemi. Se la perdita di lavoro rischia di protrarsi, valuterai eventualmente soluzioni più radicali (es. se temi di non poter riprendere pagamenti per anni, potrebbe profilarsi la vendita dell’immobile o un piano di liquidazione, ma è l’ultima istanza). Quindi consigliato: chiedi subito la sospensione per guadagnare tempo senza arretrati; poi, quando possibile, rinegozia/allunga la durata per ridurre la rata in modo permanente, adeguandola alla tua nuova capacità di reddito.

D: La finanziaria mi propone di rifinanziare il prestito aggiungendo un altro importo. Conviene o aumento solo il debito?
R: Bisogna fare i conti. Se rifinanzi aggiungendo importo, avrai liquidità extra adesso ma il tuo debito cresce. Spesso le finanziarie propongono rifinanziamenti (soprattutto nelle cessioni del quinto è comune: dopo aver pagato 2 anni su 5, ti offrono di fare una nuova cessione di 5 anni, estinguendo la precedente e dandoti differenza in contanti). La convenienza dipende: se hai davvero bisogno di quella liquidità e la rata nuova resta sostenibile, può andare; ma tieni presente che pagherai interessi due volte sulla parte rifinanziata (perché estingui prima del tempo il vecchio e ne accendi un altro con nuovi costi). Inoltre, a ogni rifinanziamento spesso ci sono commissioni, premi assicurativi, etc. In sostanza, allunghi la durata e aumenti il costo totale. Dovresti confrontare il TAEG del nuovo prestito con il vecchio: se il nuovo ha tasso migliore, rifinanziare può consolidare a condizioni più vantaggiose. Se il tasso è simile o peggiore, conviene solo se davvero necessiti soldi ora o se la rata attuale è troppo alta e col rifinanziamento riesci ad abbassarla. Ricorda: nessuno regala nulla – se riducono la rata, di solito allungano anni di interesse. Quindi valuta se c’è un’alternativa (es. una rinegoziazione a costo zero col tuo attuale finanziatore senza prendere soldi in più, o una surroga presso altro con tasso minore). Se la proposta viene dalla finanziaria stessa, controlla non stiano anche facendo consolidamento di altri tuoi crediti con condizioni non ottimali. In breve: conviene rifinanziare solo se (a) riduci il tasso o almeno la rata in linea con le tue possibilità, e (b) hai realmente necessità di liquidità aggiuntiva o di allungare il piano. Altrimenti, potresti finire in un ciclo di debito crescente.

D: Sono in ritardo con diverse rate e già segnalato come cattivo pagatore. Posso comunque chiedere aiuto alla banca o a un giudice?
R: Sì, anche se sei già in mora ci sono strade da percorrere. Prima di tutto, parla con la banca/finanziaria: molte preferiscono trovare un accordo invece di procedere legalmente. Puoi proporre un piano di rientro (dilazione degli arretrati) o se hai un po’ di soldi, un saldo e stralcio. Magari ti chiederanno il perché del tuo ritardo – spiega la situazione (perdita reddito, spese impreviste). Alcune banche hanno reparti “collection” abituati a trattare con i clienti soluzioni più morbide. Se hai più creditori, potresti rivolgerti a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) della tua zona: sono enti creati per aiutare chi è sovraindebitato a valutare le procedure L.3/2012/CCII. Possono aiutarti a capire se un piano del consumatore o un concordato minore è fattibile. Anche se sei cattivo pagatore, il giudice può omologare un piano: la tua reputazione creditizia non impedisce l’accesso alla procedura (anzi ne è il presupposto, in un certo senso). Ovviamente devi mostrare collaborazione e sincerità. Essere segnalato in CRIF/Centrale Rischi implica che probabilmente non potrai ottenere nuovi prestiti per consolidare, quindi la via extragiudiziale è limitata agli accordi con chi già è creditore (o aiuti da familiari). Quindi: sì, chiedi aiuto. Non sparire, perché se attendi la via giudiziale da creditori subita (pignoramenti, ecc.) è peggio. Meglio se la giudiziale la attivi tu con un piano, dove hai il controllo dell’iniziativa. E ricorda, dal 2021 il Codice della Crisi prevede persino l’esdebitazione del debitore incapiente: se proprio non hai nulla e sei disperato ma meritevole, potresti liberarti dei debiti anche senza pagarli (con alcune condizioni) – è estremo, ma c’è. Quindi mai pensare che non ci siano vie: ce ne sono, vanno percorse con consulenza adeguata (avvocati/OCC).

D: La banca ha venduto il mio debito a una società recupero crediti che mi chiede saldo immediato. Possono cambiare le condizioni?
R: No, la società cessionaria (spesso un soggetto che compra crediti deteriorati) subentra nei patti originali. Non può chiederti più di quello che dovevi, né pretendere scadenze anticipate se non quelle previste (a meno che tu fossi già decaduto dal beneficio del termine per le inadempienze). Spesso però queste società puntano a chiudere rapidamente proponendo saldo e stralcio o piani di rientro stringenti. Valuta la proposta: a volte offrono sconti se paghi subito una parte. Fai tutto per iscritto e assicurati che, pagando, poi il debito sia formalmente estinto. Se la cessione ti è stata notificata, hai diritto di conoscere esattamente quanto è dovuto secondo loro. Controlla anche che non aggiungano interessi o spese non pattuite originariamente: legalmente possono applicare interessi di mora se eri moroso, ma non penali nuove. Quindi, le condizioni contrattuali restano quelle di prima; cambia solo l’interlocutore. Spesso può essere un bene: i servicer di NPL sono più flessibili nel fare sconti, paradossalmente, perché hanno comprato il credito a basso costo. Quindi potresti negoziare un saldo a stralcio vantaggioso. Assicurati però di farti dare conferma scritta prima di pagare, che quella somma “X” verrà accettata a chiusura totale (liberatoria). In sintesi, non temere minacce infondate: la nuova società non ha più poteri dell’originaria banca. Deve rispettare il tuo contratto e la legge (e se vuole farti causa, segue le stesse regole). Spesso la loro aggressività è psicologica per recuperare in fretta. Rimani razionale e possibilmente fatti assistere da un legale se la somma è rilevante.

D: Quali sono gli effetti di cambiare la rata (con allungamento) sul costo totale e sulla durata?
R: Cambiare la rata in genere implica allungare la durata oppure ridurre il tasso, o entrambe. Se allunghi la durata senza cambiare tasso, pagherai più rate e quindi più interessi complessivi. Esempio semplice: un debito di €10.000 al 5% annuo in 5 anni comporta una rata ~188€ e interessi totali ~€1.300; se lo allunghi a 8 anni, la rata scende a ~126€ ma gli interessi totali salgono a ~€2.100. Quindi ottieni sollievo mensile ma spendi di più alla fine. Se però contestualmente riesci a ridurre il tasso (tramite rinegoziazione o surroga), questo compenserebbe. Nell’esempio, se allunghi a 8 anni ma il tasso scende al 3%, la rata sarebbe ~€134 e interessi totali ~€1.800: comunque più anni = più interessi rispetto a 5 anni, ma meno di quanti sarebbero stati al 5%. Insomma, c’è un trade-off: rata più bassa = più anni di interessi da pagare. Valuta quanto ti serve abbassare la rata e se puoi permetterti di pagare più a lungo. A volte è indispensabile farlo per sopravvivere finanziariamente nel presente (che ha priorità sul costo futuro). Se invece la tua situazione ti permette di mantenere la rata attuale, meglio evitare di allungare, anzi se possibile ridurre durata per risparmiare interessi. In caso di sovraindebitamento grave, con le procedure giudiziali, spesso anche allungando molto la durata, il debitore paga solo una parte del debito – lì c’è un beneficio anche sul costo totale perché viene tagliato. Ma quella è una situazione particolare dove i creditori accettano di perdere quota pur di incassare qualcosa. Nel mondo volontario, nessuna banca accetta spontaneamente di farsi pagare meno capitale di quello dovuto, al massimo riduce gli interessi futuri. In definitiva, cambiare la rata è spesso un sollievo immediato che ha però un costo diluito nel tempo: è importante esserne consapevoli e cercare il giusto bilanciamento.

D: Posso farmi ridurre la rata di un mutuo aumentando quella di un altro? (Ad esempio spostare debito dal mutuo alla cessione del quinto)
R: In teoria puoi ridistribuire i tuoi debiti come preferisci se trovi le controparti disposte. Ad esempio, potresti prendere un prestito personale per anticipare delle rate mutuo (ma non avrebbe molto senso). Spostare su cessione del quinto (prestito garantito dallo stipendio) potrebbe dare un tasso diverso, ma di solito i mutui ipotecari hanno tassi più bassi di cessioni. Però potresti usare una cessione per pagare un arretrato di mutuo ed evitare problemi – in quel caso stai convertendo un debito con garanzia reale (mutuo) in uno con garanzia sullo stipendio (cessione). La rata del mutuo tornerebbe regolare, ma avresti in più la rata della cessione. Quindi attento a non scoprire un lato coprendone un altro. Una cosa che succede: pensionati che non riescono più sulle rate mutuo, fanno una rinegoziazione mutuo allungandolo + attivano una cessione del quinto della pensione per integrare il reddito. Così con la pensione pagano cessione e mutuo ridotto. È un’operazione borderline e va calibrata bene per non finire senza liquidità mensile. Più in generale, usare un nuovo prestito per pagare le rate di altri prestiti è rischioso (si chiama piramiding del debito). Meglio consolidare tutto in uno come detto. Se la domanda era ipotetica: posso spostare debito da un finanziatore all’altro? Sì, attraverso rifinanziamenti, ma idealmente riducendo il numero di creditori e ottenendo condizioni globalmente migliori, non peggiori. Direi: piuttosto che aumentare una rata per diminuirne un’altra, cerca di negoziare quella onerosa direttamente oppure fai un consolidamento. Spostare debito da un contratto all’altro ha senso solo se il nuovo contratto è a condizioni migliori (tasso minore o periodo più lungo) – se prendi da uno caro per pagare uno economico, peggiori la situazione.

D: Quanto influisce la procedura di sovraindebitamento sul mio patrimonio? Perdo tutto?
R: Dipende dalla procedura. Nel piano del consumatore o concordato minore, sei tu a proporre cosa cedere e cosa tenere. Spesso si cerca di salvaguardare l’abitazione (se la si può mantenere pagando la banca) e gli strumenti di lavoro. Puoi proporre di pagare i creditori gradualmente col reddito futuro, vendendo magari solo beni non essenziali. Quindi non perdi tutto a priori: cedi ciò che hai messo nel piano. Se il piano è basato solo sul reddito (es. tot mensile per tot anni) e magari su un contributo di terzi, potresti non dover vendere nulla di importante. Ovviamente se hai beni lussuosi non giustificabili, dovrai metterli in gioco altrimenti i creditori o il giudice storceranno il naso. Nella liquidazione controllata, invece, formalmente tutti i tuoi beni (tranne quelli impignorabili per legge, ad es. abiti, beni di minimo necessario) diventano oggetto di liquidazione da parte del liquidatore nominato. Quindi lì sì, potenzialmente perdi tutto il patrimonio vendibile. Tuttavia la legge consente ad esempio di escludere beni di scarso valore o non funzionali alla procedura. Inoltre, la prima casa non è più intoccabile come era stato col DL 179/2020 (norma transitoria poi decaduta), quindi in liquidazione anche la casa di abitazione può essere venduta. La contropartita è che ottieni l’esdebitazione dei debiti rimasti. Quindi è una scelta: sacrificare i beni per ripartire pulito. Nota: se la casa è cointestata con coniuge non debitore, la vendita coinvolgerebbe solo la quota del debitore ma in pratica nessuno compra una quota, quindi spesso la casa rimane invenduta e si trova altro accordo. In un concordato minore potresti invece salvare la casa concordando di pagare la banca e magari qualche creditore e far votare a favore. Ogni caso è a sé. Ricorda anche che durante la procedura (piano o concordato) sei protetto da pignoramenti, però devi rispettare il piano: se prevedi di vendere l’auto nel piano, devi farlo e versare il ricavato. Se non prevedi di vendere la casa e nessuno obietta, la tieni. Insomma, la procedura concorsuale è personalizzabile (tranne la liquidazione che è rigida). Con una buona strategia, l’impatto patrimoniale può essere limitato: magari vendi la seconda casa per soddisfare i creditori e ti tieni la prima casa su cui continui a pagare il mutuo regolarmente – questo in un piano è fattibile, in liquidazione no (venderebbero anche la prima). Quindi per chi ha patrimonio e vuole salvarne parte, meglio un piano/accordo se realizzabile.

D: Dopo aver cambiato la rata con una di queste soluzioni, la mia “credit score” migliora o peggiora?
R: Dipende dalla soluzione e da come viene vista dalle centrali rischi:

  • Se rinegozi con la tua banca senza mai risultare moroso, la centrale rischi (CRIF, etc.) non registra nulla di negativo. Anzi, rimani in bonis. L’operazione di rinegoziazione in sé non viene segnalata a sistemi creditizi, è un fatto interno. Quindi la tua credit score non peggiora (potrebbe non migliorare automaticamente, ma almeno non hai macchie).
  • Se fai una surroga, idem: la vecchia posizione si chiude come “saldo” normale, la nuova inizia pulita. Non è vista male, anzi indica che sei attivo nel cercare condizioni migliori. Finché paghi regolarmente, la surroga non comporta segnalazioni negative.
  • Se fai un consolidamento nuovo prestito, la cosa appare come chiusura di vari vecchi crediti (che se erano in regola è ok) e apertura di uno nuovo. A breve termine, molte richieste di credito possono abbassare la score, ma in sostanza se consolidi e poi paghi regolarmente la nuova rata, col tempo il tuo profilo migliora (meno esposizioni multiple, solo una). Certo, se eri già segnalato in ritardo sulle vecchie, quella segnalazione resta per un po’.
  • Se aderisci a una moratoria pubblica (Fondo Gasparrini), la normativa prevedeva che queste sospensioni non costituiscono segnalazione negativa in CRIF. Durante Covid furono proprio “congelati” i pagamenti senza impatto. Quindi usare il Fondo non ti etichetta come cattivo pagatore.
  • Se fai un accordo stragiudiziale di saldo e stralcio, attenzione: in CRIF il creditore originario potrebbe aver segnalato una sofferenza, e aggiornerà a “saldo a stralcio” o “saldo parziale” quando chiudete. Questo è visto dagli altri futuri finanziatori come un indicatore negativo (perché significa che non hai pagato tutto il dovuto). Rimane nei sistemi per qualche anno (es. 5 anni). Quindi la tua capacità di ottenere nuovo credito importante in quel periodo sarà molto bassa. È il prezzo da pagare per esserti liberato di quel debito. In compenso, meglio di una sofferenza aperta.
  • Le procedure di sovraindebitamento giudiziali portano anch’esse a segnalazioni. L’OCC o il tribunale comunicano alla Centrale Rischi Bankitalia l’apertura della procedura. I debiti poi risultano “in concorso” e alla fine “esdebitati”. Questo rimane visibile per un tot (credo almeno 5 anni post omologa). È simile a un fallimento (anche se tecnicamente non è fallimento, ma ai fini reputazionali incide). Dopo l’esdebitazione, sei legalmente libero dai debiti, ma le banche sapranno che ne hai avuti cancellati. Ottenere credito nuovo sarà difficile nell’immediato post-procedura, dovrai ricostruire una storia positiva.
  • La liquidazione del patrimonio seguita da esdebitazione è ancor più come un “fallimento personale” registrato. Quindi sicuramente peggiora la credit score nel breve/medio termine. Nel lungo termine, superati i tot anni, potrai ripartire senza debiti e col tempo la tua affidabilità dipenderà dalle nuove esperienze.

In generale, ogni situazione di mancato pagamento integrale (saldo a stralcio, piano con taglio, liquidazione) lascia un segno storico nelle banche dati creditizie. Ma va detto: se eri sovraindebitato grave, probabilmente eri già segnalato male. Quindi non è che peggiori molto, semplicemente formalizzi la risoluzione. Con il tempo e comportamenti virtuosi (pagare puntuale eventuali nuove utenze, affitti, piccole linee di credito) la situazione può migliorare. Ad ogni modo, la priorità dovrebbe essere mettere in sicurezza la propria vita finanziaria – la credit score viene dopo. Non cercare nuovo debito subito dopo aver appena respirato dalla ristrutturazione!


Conclusione

In Italia cambiare la rata di un finanziamento è possibile con diversi strumenti, la cui adozione dipende dalla gravità della situazione debitoria e dalla collaborazione del creditore. Abbiamo visto soluzioni contrattuali volontarie, come rinegoziazione, surroga, consolidamento, sospensione, dove il ruolo attivo del debitore (a volte supportato da normative pro-consumatore) può portare a un alleviamento dell’onere finanziario con l’accordo della banca. In parallelo, esistono misure legali e giudiziali che, nei casi più complessi, permettono di imporre una ristrutturazione dei debiti, garantendo al debitore una seconda chance a fronte di un impegno di pagamento commisurato alle sue reali possibilità e sotto la vigilanza del tribunale.

Dal punto di vista del debitore, la chiave è agire per tempo: appena si intravedono difficoltà nel sostenere le rate, è fondamentale informarsi sui propri diritti (ad esempio il diritto alla portabilità o alle moratorie) e dialogare con i creditori per trovare soluzioni. La legge italiana, specie dopo le riforme più recenti, offre molti strumenti di tutela del debitore in buona fede, evitando che una crisi temporanea si trasformi in insolvenza irreversibile. Sfruttare una rinegoziazione o una surroga può prevenire il default; se ciò non basta, le procedure di composizione della crisi possono evitare al debitore onesto le conseguenze più drammatiche (come l’esproprio della casa o l’erosione perpetua di stipendi) bilanciando i diritti dei creditori con il principio della dignità e del rilancio del debitore.

In conclusione, “si può cambiare la rata di un finanziamento” – sì, lo si può fare con varie modalità. La scelta dipende dalle circostanze: può essere una semplice firma in filiale su un accordo di rinegoziazione, oppure un percorso complesso in tribunale con l’ausilio di un OCC. L’importante è sapere che le rate non sono un destino immodificabile scolpito nella pietra: esistono sempre margini di intervento, specie se il debitore agisce con consapevolezza dei propri diritti e doveri. Questa guida ha illustrato tali margini, con l’auspicio che chi si trova in difficoltà possa trovare lo strumento adatto per ritrovare sostenibilità finanziaria, e che operatori del diritto (avvocati, consulenti) possano attingervi per assistere al meglio i loro clienti debitori.

Fonti e Riferimenti Normativi

Codice Civile, art. 1202 (surrogazione per volontà del debitore); art. 2744 (divieto patto commissorio, rilevante in saldo stralcio immobili); art. 1419 c.c. (nullità di protezione delle clausole penali in mutui, richiamato da L.40/2007).

Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993): art. 118 (ius variandi, modifiche unilaterali); art. 120-quinquies (trasparenza nei mutui, attuazione dir. 2014/17/UE); art. 40 (decadenza dal termine per mutui ipotecari).

Legge 2 aprile 2007 n.40 (Decreto Bersani-bis convertito): art. 7 (estinzione anticipata mutui senza penali, per contratti da 2007 in poi); art. 8 (portabilità del mutuo, surrogazione).

Legge 244/2007 (Finanziaria 2008) art. 2 commi 475-480: istituzione Fondo di solidarietà mutui prima casa (c.d. Fondo Gasparrini). Decreto MEF 21/06/2010 n.132 attuativo; successive modifiche: Dl 201/2011 art. 13, Dl 9/2014, Dl 18/2020 art. 54 (estensione Covid).

DL 93/2008 conv. L.126/2008: Convenzione ABI-MEF per rinegoziazione mutui a tasso variabile (c.d. “rinegoziazione Tremonti”); disciplina del conto accessorio per differenziali tasso.

Legge 3/2012 (“Composizione delle crisi da sovraindebitamento”), artt. 7-16 (accordo e piano) e 14-terdecies e ss. (liquidazione); abrogata dal 15/07/2022 e sostituita dal Codice della Crisi.

D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, CCII), in vigore dal 2022: artt. 65-73 (Piano di ristrutturazione del consumatore), artt. 74-83 (Concordato minore), artt. 268-277 (Liquidazione controllata); art. 2 lett. e) (definizione di consumatore aggiornata da D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024); art. 69 (meritevolezza e valutazione del merito creditizio); art. 8 CCII (esdebitazione del debitore incapiente).

Legge 30/12/2022 n.197 (Legge Bilancio 2023), art. 1 comma 322: diritto alla rinegoziazione mutui prima casa var→fisso per mutuatari con ISEE ≤35.000€, mutui <200k, senza arretrati. Legge 30/12/2023 n.213 (Bilancio 2024) ha prorogato detta facoltà al 31/12/2024 (v. Circolare ABI 19/7/23).

ABI – Comunicazione luglio 2023 “Caro Mutui”: istruzioni alle banche per allungamento mutui e promozione rinegoziazioni; Memorandum ABI 9/7/2023 per i cittadini: consigli per affrontare rialzo tassi variabili.

Codice del Consumo (D.Lgs.206/2005): art. 125-septies (diritto di estinzione anticipata credito ai consumatori e compensazione costi); art. 125-octies (obbligo valutazione merito creditizio). Norme attuative dir. 2008/48/CE rilevanti per rifinanziamenti e consolidamenti.

Corte di Cassazione – alcune sentenze rilevanti citate: Cass. Civ. Sez. I n.1869/2016 e n.22699/2023 (nozione di consumatore ai fini L.3/2012: debiti estranei ad attività d’impresa); Cass. Sez. I n.17834/2019 e n.34150/2024 (ammissibilità moratoria ultrannuale per creditori privilegiati in piano/accordo se hanno diritto di esprimersi sulla proposta); Cass. Sez. I n.26248/2024 (obblighi di valutazione merito creditizio e riflessi su meritevolezza – nota in Dir. del Risparmio 14/5/25); Cass. Sez. I n.9549/2025.

ABF – Collegio di Milano, decisione n.934/2010: “l’art. 118 TUB non è applicabile al mutuo; la banca non può modificare unilateralmente condizioni del mutuo”.

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Conclusione

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