Hai un finanziamento in corso e la rata mensile è diventata troppo pesante da sostenere? Ti stai chiedendo se puoi scrivere una lettera per chiedere la riduzione della rata e, soprattutto, come scriverla in modo corretto per ottenere risultati concreti?
Quando la situazione economica cambia – per la perdita del lavoro, una malattia, un calo di reddito o spese impreviste – è possibile chiedere la rinegoziazione del finanziamento, presentando una richiesta formale alla banca o alla finanziaria. Ma attenzione: la lettera deve essere precisa, motivata e credibile, altrimenti sarà ignorata.
A cosa serve la lettera per abbassare la rata?
Serve a comunicare in modo chiaro alla banca o all’ente finanziatore che non riesci più a sostenere l’importo attuale della rata e che chiedi una rimodulazione del piano di ammortamento, ad esempio con un allungamento della durata o la sospensione temporanea delle rate.
Chi può inviarla e quando?
La può inviare chiunque abbia un finanziamento attivo (prestito personale, mutuo, cessione del quinto, leasing, ecc.) e si trovi in una difficoltà economica documentabile. Prima che la situazione degeneri (ritardi, segnalazioni, pignoramenti), conviene agire per tempo.
Cosa deve contenere la lettera?
– I tuoi dati anagrafici e quelli del contratto
– L’importo della rata attuale
– La descrizione chiara della difficoltà economica (es. perdita di lavoro, spese mediche, riduzione del fatturato)
– La richiesta espressa di riduzione della rata o allungamento del piano
– La tua disponibilità a trovare una soluzione concordata
– Eventuali documenti allegati (buste paga, certificati medici, ISEE, ecc.)
È obbligatorio che la banca accetti?
No, ma molti istituti valutano positivamente le richieste ben motivate e preferiscono ristrutturare il debito piuttosto che arrivare a una situazione di insolvenza. In presenza di fondi o misure pubbliche (es. sospensione mutui prima casa), può esserci un obbligo temporaneo.
Cosa succede se la banca rifiuta o non risponde?
Puoi rivolgerti a un legale o a un organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento per chiedere una rimodulazione forzata del debito, oppure valutare soluzioni più incisive come la ristrutturazione dei debiti o il piano del consumatore.
Cosa NON scrivere mai nella lettera?
– Minacce o toni aggressivi
– Richieste vaghe o senza motivazione
– Riferimenti generici (“ho problemi economici”)
– Proposte irrealistiche o senza sostenibilità
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in rinegoziazione debiti e crisi da sovraindebitamento – ti spiega come scrivere correttamente una lettera per chiedere l’abbassamento della rata del finanziamento, quali contenuti inserire e come aumentare le possibilità che venga accolta.
Hai bisogno di inviare una lettera alla banca ma non sai come scriverla in modo efficace? Vuoi evitare che la tua richiesta venga respinta o ignorata?
Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Redigeremo per te una lettera su misura, con argomentazioni giuridiche e documentazione a supporto, per ottenere una riduzione della rata senza compromettere il tuo rapporto con la banca.
Introduzione
I recenti aumenti dei tassi d’interesse e le persistenti difficoltà economiche hanno spinto molti debitori – privati e piccoli imprenditori – a chiedersi come poter ridurre la rata dei propri finanziamenti. La rata mensile di un mutuo o di un prestito può infatti diventare insostenibile, gravando sul bilancio familiare o aziendale al punto da mettere a rischio il regolare pagamento. Fortunatamente, l’ordinamento italiano offre una serie di strumenti, sia contrattuali che legali, per abbassare l’importo della rata di un finanziamento. In questa guida avanzata esamineremo tutte le soluzioni disponibili (rinegoziazione, surroga, consolidamento debiti, moratorie, procedure di sovraindebitamento, ecc.), con riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati a giugno 2025, dal punto di vista del debitore.
Vedremo come scrivere una lettera di richiesta alla banca per modificare il piano di ammortamento, quali diritti ha il debitore e quali obblighi (o facoltà) ha il creditore. Forniremo tabelle riepilogative e esempi pratici di calcolo per capire l’impatto delle varie soluzioni sulla rata. Inoltre, una sezione Domande e Risposte (FAQ) chiarirà i dubbi più comuni (ad es. in quanto tempo si può chiedere una riduzione, se la banca può rifiutare, i costi delle procedure, ecc.). Il tutto con un linguaggio giuridico accurato ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia ai non addetti ai lavori.
Abbassare la rata mensile significa intervenire su uno o più parametri del finanziamento: la durata (allungando il periodo di ammortamento per diluire il debito), il tasso di interesse (ottenendo un tasso più basso o passando da variabile a fisso se conviene), oppure l’importo del debito residuo (tramite pagamenti anticipati o riduzioni concordate/judiciali del debito). Ciascun approccio corrisponde a strumenti diversi: un accordo con la stessa banca originaria, il trasferimento del finanziamento presso un’altra banca, l’adesione a misure agevolative di legge, o il ricorso a procedure giudiziali di ristrutturazione del debito. Non sempre la banca è obbligata ad accettare la richiesta del cliente di modificare le condizioni (salvo eccezioni di legge), ma la concorrenza tra istituti e varie normative di tutela offrono al debitore leve importanti per ottenere una rata più leggera.
Nei paragrafi che seguono distingueremo dapprima le principali tipologie di finanziamenti concessi ai privati (escludendo i finanziamenti aziendali “puri”), poiché la flessibilità nel modificare le condizioni può variare a seconda della natura del prestito. Quindi analizzeremo ciascun metodo per ridurre la rata: dalla rinegoziazione interna con la propria banca, alla surroga del mutuo presso altro istituto, al consolidamento di più debiti in un’unica rata. Tratteremo poi le moratorie e sospensioni temporanee delle rate (come il Fondo di solidarietà “prima casa” e altri accordi emergenziali), e infine le procedure legali di composizione delle crisi da sovraindebitamento, che consentono di ristrutturare o addirittura azzerare i debiti non sostenibili. L’obiettivo è fornire una guida completa e aggiornata per il debitore che voglia alleggerire la propria rata mensile in modo legale e sicuro, evitando insolvenze e tutelando i propri diritti.
Tipologie di finanziamenti e impatto sul piano di ammortamento
Prima di scegliere la strategia per ridurre la rata, è utile distinguere le principali tipologie di prestito rivolte ai privati (escludendo i finanziamenti aziendali puri). A seconda del tipo di finanziamento, infatti, cambiano le caratteristiche del piano di ammortamento e le possibilità di intervento sulla rata:
- Mutuo ipotecario: è un finanziamento di durata medio-lunga (anche 20-30 anni) garantito da un’ipoteca su un immobile, tipicamente utilizzato per l’acquisto della prima casa. La rata può essere a tasso fisso (importo costante per tutta la durata) oppure a tasso variabile (importo che varia in base all’andamento di un indice di riferimento, es. Euribor). I mutui offrono in genere una certa flessibilità: è possibile rinegoziare le condizioni con la banca, portare il mutuo in un’altra banca (surroga), oppure estinguere anticipatamente il mutuo senza penali (per i mutui stipulati dopo il 2007) per sostituirlo con uno nuovo più conveniente. Essendo di importo elevato, anche piccole variazioni di tasso o durata incidono sensibilmente sulla rata.
- Prestito personale: è un finanziamento non finalizzato (non legato all’acquisto di uno specifico bene) concesso solitamente da banche o finanziarie, di importo inferiore al mutuo e durata più breve (da pochi anni fino a 10 anni). Il tasso è quasi sempre fisso e la rata costante. La rinegoziazione interna di un prestito personale è meno comune rispetto al mutuo, ma si può comunque chiedere una modifica di durata o un rifinanziamento. La legge garantisce sempre il diritto all’estinzione anticipata, se conveniente, pagando un’eventuale piccola penale (massimo 1% del capitale residuo). Per abbassare la rata di un prestito personale spesso si ricorre al consolidamento debiti (un nuovo prestito che ne chiude altri) o, se il debitore ha uno stipendio/pensione, alla cessione del quinto.
- Prestito finalizzato e carte revolving: sono forme di credito al consumo legate all’acquisto di specifici beni/servizi (es. finanziamento auto, arredi) oppure linee di credito rotative (carte di credito “revolving”). Questi prestiti hanno in genere tassi più elevati e piani di rimborso prefissati (il revolving prevede rate minime mensili che possono estendersi finché non si rimborsa tutto il dovuto). Ridurre la rata in questi casi può essere difficile se non tramite rifinanziamento (sostituire il debito con uno a tasso più basso) o consolidamento in un prestito personale più lungo. In alcuni casi il debitore in difficoltà potrebbe cercare un accordo transattivo con la finanziaria (ad esempio, un piano di rientro con rate più basse) se ci sono già ritardi nei pagamenti, ma ciò dipende dalla disponibilità del creditore.
- Cessione del quinto dello stipendio/pensione: si tratta di una particolare forma di prestito personale garantito, in cui la rata – a tasso fisso – viene trattenuta direttamente dalla busta paga o pensione del debitore, fino a un massimo di 1/5 dell’importo mensile netto. La durata può arrivare a 10 anni. La rata è dunque “predeterminata” come quota del reddito, e generalmente sostenibile proprio perché per legge non supera il 20% dello stipendio. Se il debitore ha già altri prestiti con rate elevate, ottenere una cessione del quinto può servire a consolidare quei debiti in un’unica rata più bassa (pari al quinto dello stipendio). La cessione è riservata a lavoratori dipendenti (pubblici o privati con contratto stabile) e pensionati, ed è regolata da norme speciali (D.P.R. 180/1950). In caso di difficoltà, la cessione stessa può essere rinegoziata (ad esempio allungando di altri 10 anni dopo aver pagato una certa quota) oppure estinta anticipatamente, con diritto alla restituzione pro-quota dei costi non maturati (come vedremo parlando del caso Lexitor).
- Finanziamenti con garanzia reale o cambializzati: oltre ai mutui ipotecari, vi sono prestiti garantiti da pegno o da cambiali. Ad esempio, i prestiti su pegno (oggetti dati in garanzia) hanno durata breve e rate spesso interessi-only con rimborso del capitale a scadenza: qui “ridurre la rata” significherebbe soprattutto rinegoziare il tasso o estendere la durata, ma sono prodotti di nicchia. I prestiti cambializzati, con rimborso mediante cambiali, non offrono molta flessibilità contrattuale: la riduzione della rata implicherebbe accordi informali col creditore per emettere nuove cambiali di importo minore su scadenze più lunghe.
In generale, i mutui ipotecari sono quelli che presentano maggiori strumenti normativi di tutela per rivedere le condizioni (grazie a leggi sulla portabilità e rinegoziazione), mentre i prestiti al consumo hanno meno margine di modifica a meno di sostituirli con nuove operazioni. La cessione del quinto costituisce un caso a sé, spesso utilizzata proprio come strumento di ristrutturazione per chi ha diverse esposizioni: il suo meccanismo garantito la rende accessibile anche a debitori con credit score compromesso, ma impone limiti di importo e tassi più alti. Nei prossimi paragrafi affronteremo specificamente ciascuna soluzione per abbassare la rata, evidenziando per ognuna il fondamento normativo, i vantaggi e i limiti, e fornendo consigli pratici (incluso come formulare le richieste per iscritto alle banche).
Rinegoziazione del prestito con la banca originaria
La rinegoziazione consiste nel modificare, tramite accordo fra le parti, uno o più termini del contratto di finanziamento originario. In pratica, il debitore invia una richiesta formale (ad esempio una lettera raccomandata o PEC) alla propria banca o finanziaria, chiedendo di rivedere le condizioni del prestito per ottenere una rata più bassa. Tipicamente, gli interventi possibili in rinegoziazione sono:
- Allungamento della durata del piano di ammortamento (es. passare da 5 a 8 anni residui), in modo da diluire il rimborso del capitale su un periodo maggiore e ridurre l’importo di ciascuna rata.
- Riduzione del tasso di interesse applicato, se il tasso originario è divenuto fuori mercato rispetto ai tassi correnti. Questo può avvenire passando da tasso variabile a tasso fisso ad un livello più conveniente (o viceversa), oppure semplicemente concordando un nuovo TAN inferiore.
- Rimodulazione della struttura della rata: ad esempio, prevedere una quota iniziale di soli interessi per un certo periodo (interest only) e poi riprendere il rimborso del capitale, oppure cambiare indice di indicizzazione per i variabili. Alcuni contratti prevedono opzioni di flessibilità (come riduzione temporanea della rata o periodi di preammortamento); in altri casi serve un accordo ad hoc.
- Accodamento di arretrati: se il debitore ha già saltato alcune rate, la rinegoziazione può includere la sommatoria di tali importi al debito residuo, ripartendoli su nuove rate future, così da ripartire “in pari” con una rata sostenibile.
Va chiarito che la banca non è obbligata per legge a rinegoziare, a meno che norme speciali lo prevedano. La rinegoziazione volontaria si basa sul consenso di entrambe le parti: la banca può accettare o meno la proposta del cliente. Esistono però incentivi normativi e doveri generali di buona fede che spingono gli istituti a considerare tali richieste. Ad esempio, l’art. 40, comma 1 TUB (Testo Unico Bancario) prevede che il mancato pagamento di alcune rate può portare alla decadenza dal beneficio del termine e all’azione esecutiva, ma la prassi e la giurisprudenza riconoscono che prima di giungere a soluzioni drastiche la banca dovrebbe valutare soluzioni meno gravose per il debitore, nell’ottica della correttezza contrattuale (art. 1375 c.c.). Inoltre, la concorrenza bancaria gioca un ruolo: la banca sa che il cliente potrebbe surrogare il mutuo altrove (se si tratta di un mutuo) o rifinanziarsi con un altro intermediario, quindi spesso è disposta a rinegoziare pur di mantenere il rapporto.
Base normativa: la rinegoziazione in sé è libera, ma alcune leggi la agevolano. In particolare il Decreto Bersani (D.L. 7/2007) ha previsto che le operazioni di rinegoziazione dei mutui siano esenti da imposte e tasse e senza costi per il cliente. Ciò significa che modificare un mutuo in corso (ad esempio tramite scrittura privata) non comporta imposta sostitutiva né spese notarili – a differenza di ciò che avverrebbe stipulando un nuovo mutuo. Inoltre, la Legge n. 244/2007 ha introdotto il Fondo di solidarietà per i mutui prima casa (di cui diremo in seguito) e una convenzione ABI-Governo nel 2008 ha incentivato le banche a proporre rinegoziazioni standard per i mutui a tasso variabile in essere (c.d. rinegoziazione Tremonti, legge 126/2008). Di particolare rilievo recente, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha imposto alle banche, su richiesta del cliente, la rinegoziazione da tasso variabile a tasso fisso per i mutui prima casa aventi specifici requisiti (importo ≤ €200.000, ISEE ≤ €35.000, nessun ritardo nei pagamenti), con possibilità di allungare la durata fino a 5 anni. Questa misura, valida fino al 31/12/2023, è stata prorogata per tutto il 2024; al momento (2025) non risulta estesa ulteriormente. È un esempio di intervento normativo “emergenziale” che obbliga la banca a concedere una modifica contrattuale favorevole al debitore che ne abbia diritto, al fine di calmierare le rate in periodo di rialzo dei tassi.
Come procedere: per avviare una rinegoziazione il debitore deve inviare una lettera di richiesta alla banca. Nella lettera per abbassare la rata vanno indicati: i propri dati e riferimento del contratto (es. numero di mutuo o prestito), la motivazione della richiesta (es. sopravvenute difficoltà economiche per riduzione del reddito, oppure andamento dei tassi d’interesse più favorevole al cliente), e la proposta concreta di modifica (es. “chiedo di estendere la durata di ulteriori 5 anni, passando da rata X a rata Y” oppure “chiedo riduzione del tasso dal 5% al 3%”). È consigliabile allegare documentazione a supporto (ad es. attestato di perdita del lavoro, certificato di invalidità, stato di famiglia se sopraggiunte nuove spese, etc., a seconda del motivo) per convincere la banca della meritevolezza e temporaneità delle difficoltà. La richiesta va inviata con modalità tracciabile (PEC o raccomandata A/R) all’ufficio crediti della banca.
Obblighi della banca: come detto, la banca può rifiutare la rinegoziazione. Tuttavia, deve dare un riscontro tempestivo e motivato al cliente, in ossequio ai doveri di buona fede e trasparenza. Se la banca ignora la richiesta o temporeggia eccessivamente, il debitore può presentare un reclamo scritto e, in mancanza di risposte, rivolgersi all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) o all’autorità di vigilanza. In pratica, molte banche rispondono proponendo soluzioni alternative (es. una durata minore di quella chiesta, o una rinegoziazione condizionata a certe garanzie). È importante negoziare con argomentazioni solide: ad esempio, far presente che in mancanza di accordo si valuterà la surroga presso altra banca (se si tratta di mutuo) o si potrebbe incorrere in default con conseguente azione legale (cosa che la banca magari vuole evitare se può incassare più a lungo ma con certezza).
Vantaggi della rinegoziazione: è una procedura relativamente semplice, interna al rapporto, senza costi aggiuntivi (nessuna commissione o imposta, a parte al limite una piccola tassa di registro di €200-300 in caso di modifiche ipotecarie, spesso assorbita dalla banca). Non altera la natura del contratto (ad esempio un mutuo rinegoziato rimane lo stesso contratto, quindi si conservano i benefici fiscali prima casa, le garanzie ipotecarie senza doverle rifare, ecc.). Se la banca acconsente, si può ottenere un abbassamento consistente della rata, specialmente se si agisce su durata e tasso insieme.
Svantaggi/limitazioni: la discrezionalità della banca. Non esiste un diritto assoluto alla rinegoziazione (al di fuori dei casi previsti da leggi speciali, come la norma 2023 sul tasso fisso) – il successo dipende dalla politica interna della banca e dalla situazione del cliente. Spesso la banca è disponibile a rinegoziare solo se il cliente ha un buon storico di pagamenti (almeno regolare fino a quel momento) e se intravede la convenienza a mantenere il rapporto (ad esempio perché il cliente minaccia di trasferire il mutuo altrove). Se invece il debitore è già in grave difficoltà o insolvenza, la banca potrebbe preferire altre strade (come ristrutturazioni più profonde o azioni legali) anziché una semplice modifica contrattuale. È quindi consigliabile muoversi per tempo: richiedere la rinegoziazione appena si percepisce che la rata sta diventando insostenibile, e non dopo molti arretrati.
Da notare che una rinegoziazione non comporta segnalazioni negative in centrale rischi: se concessa, è un normale accordo e le rate risultano pagate regolarmente (magari cambia l’importo, ma non risulta come “restructured” in modo negativo). Diverso sarebbe il caso di un piano di rientro con la banca dopo inadempimento, che può essere segnalato. Ma una rinegoziazione volontaria, specie se fatta col cliente ancora in bonis, non lede la reputazione creditizia.
Surroga del mutuo (portabilità presso altra banca)
Se la rinegoziazione interna non è percorribile o soddisfacente, il mutuatario italiano ha dal 2007 uno strumento molto potente per abbassare la rata del proprio mutuo: la surroga (o portabilità) del mutuo presso un’altra banca. Introdotta dal Decreto Bersani e oggi disciplinata dall’art. 120-quater TUB, la surrogazione nel credito permette di trasferire il mutuo (o altro finanziamento con ipoteca) da una banca a un’altra che offra condizioni migliori, mantenendo la stessa ipoteca a garanzia senza doverne accendere una nuova. In pratica, la nuova banca “subentra” nel contratto al posto della banca originaria, erogando una somma pari al debito residuo che serve per estinguere il vecchio mutuo, e sostituendosi come creditore.
Caratteristiche principali: la surroga riguarda tipicamente i mutui immobiliari (prima casa e non) e, per prassi, viene usata quasi esclusivamente per mutui ipotecari. Non si applica invece ai prestiti personali non garantiti, ai quali può solo analogicamente essere paragonata (nel senso che uno può ottenere un nuovo prestito per chiuderne un altro, ma non esiste un “trasferimento” di contratto con stesso garante). Con la surroga vera e propria, l’importo del nuovo finanziamento deve essere pari al debito residuo del mutuo originario al momento del trasferimento – non si possono ottenere somme extra; se il cliente vuole liquidità aggiuntiva, potrà eventualmente stipulare un ulteriore prestito separato. La legge prevede che la surroga sia a costo zero per il cliente: “non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la concessione del nuovo finanziamento” (art. 120-quater, co.4 TUB). Tutti i costi (notarili, perizia dell’immobile, imposta sostitutiva) sono a carico della nuova banca subentrante. Inoltre, la banca originaria non può opporsi al trasferimento né ostacolarlo con clausole o penali: ogni patto che impedisca o renda onerosa la surroga è nullo per legge. La surroga deve perfezionarsi entro 30 giorni lavorativi dalla richiesta del cliente alla nuova banca; se la banca cedente ritarda per cause a sé imputabili, è tenuta a risarcire il cliente con una penale pari all’1% del valore del finanziamento per ogni mese (o frazione) di ritardo. Ad esempio, su €100.000 di mutuo trasferito, un ritardo di un mese comporta €1.000 di indennizzo al mutuatario.
Come funziona in pratica: il cliente individua una banca alternativa disposta a offrirgli un tasso più conveniente e/o una durata più lunga. Formalizza la domanda di mutuo di surroga presso la nuova banca, che valuterà il merito creditizio (anche per la nuova durata richiesta) e procederà a preparare l’atto di surrogazione. Il giorno del rogito di surroga, la nuova banca eroga la somma corrispondente al debito residuo direttamente alla vecchia banca, che contestualmente rilascia quietanza con dichiarazione di voler essere surrogata (oppure la surroga è dichiarata nell’atto stesso). L’ipoteca originaria rimane iscritta a favore della nuova banca senza bisogno di cancellazione/iscrizione nuova (si fa annotazione di surroga nei registri immobiliari). Da quel momento, il cliente continua a pagare le rate alla nuova banca alle condizioni pattuite (tasso più basso, ecc.). La vecchia banca non può addebitare al cliente alcuna penale di estinzione anticipata (questo vale per tutti i mutui dal 2007 in poi per legge, e comunque la surroga è esente) né altri oneri.
Vantaggi della surroga: si può ottenere una riduzione significativa della rata sfruttando le condizioni migliori offerte dal mercato (ad esempio, se i tassi di mercato sono scesi rispetto a quando si stipulò il mutuo, o se un’altra banca pratica spread minori). Il tutto senza costi per il cliente e senza perdere i benefici già acquisiti (agevolazioni fiscali, assicurazioni già in corso, ecc. continuano validi). Inoltre è possibile in sede di surroga anche allungare la durata residua (nei limiti accettati dalla nuova banca) così da abbassare ulteriormente la rata. La surroga è un diritto del cliente: la banca originaria non può rifiutarsi né ostacolarla – se lo fa, oltre alla penale di cui sopra, il cliente può rivolgersi al giudice per far valere il proprio diritto (in passato vi sono state pronunce inibitorie verso banche che imponevano condizioni vessatorie per scoraggiare la portabilità). La concorrenza genera spesso offerte aggressive da parte delle banche per accaparrarsi mutui altrui, per cui il debitore può trovarsi in posizione negoziale favorevole.
Limitazioni: la surroga, per legge, mantiene capitale e garanzia invariati – non consente di ottenere liquidità extra, come detto. Se il cliente necessita di somme aggiuntive, si deve ricorrere alternativamente a una “sostituzione + liquidità” (estinzione del vecchio mutuo e accensione di uno nuovo di importo maggiore, con i costi relativi) oppure a un finanziamento separato. Inoltre, la surroga è possibile solo se il cliente è ancora sufficientemente affidabile: la nuova banca rifarà l’istruttoria del credito, valutando reddito, eventuali ritardi segnalati, ecc. Se il debitore è già in sofferenza o ha rate scadute non pagate da oltre 30-60 giorni (segnalazioni in CRIF), difficilmente troverà una banca disposta a surrogare, poiché la portabilità non è un automatismo ma un nuovo finanziamento a tutti gli effetti. Conviene quindi attivarsi con la surroga prima che la situazione degeneri in inadempimento. Un altro aspetto: la surroga è confinata ai mutui con ipoteca; per i prestiti personali senza ipoteca non c’è un meccanismo di trasferimento diretto della posizione, anche se in senso lato uno può “surrogare” chiudendo il prestito con un altro, ma ciò comporta costi e penali (mentre la surroga mutuo no). Infine, la surroga richiede un iter tecnico (notai, tempi bancari) che in genere dura 1-2 mesi: se la necessità di abbassare la rata è immediata e stringente, la surroga potrebbe non essere la soluzione più rapida (in tali casi, magari una moratoria temporanea è utile in attesa della surroga).
Caso particolare – Surroga di cessione del quinto: la normativa sulla portabilità non menziona espressamente la cessione, e in pratica le cessioni del quinto non si “surrogano” perché non c’è ipoteca, ma si rinegoziano o si estinguono con nuova cessione. Alcune finanziarie parlano impropriamente di “surroga del quinto” quando offrono al cliente di estinguere la vecchia cessione (rilasciando quietanza alla vecchia finanziaria) e aprirne una nuova con loro a condizioni magari migliori. Questo però segue le regole ordinarie del rimborso anticipato (con eventuale penale 1% se prevista) e diritto al rimborso dei costi non maturati (grazie alla sentenza Lexitor di cui dopo). Non è una surroga ex lege, ma nella sostanza è un refinance di un quinto con un altro.
Sostituzione del prestito con un nuovo finanziamento (rifinanziamento)
Un’altra via per ottenere una rata più bassa è la sostituzione del finanziamento con uno nuovo a condizioni più vantaggiose, eventualmente presso la stessa banca o un’altra. In pratica, si estingue anticipatamente il prestito in corso e si stipula un nuovo contratto di finanziamento che può avere: un tasso più basso, una durata più lunga, oppure un importo aggiuntivo (se occorre liquidità extra). Questa operazione è detta anche rifinanziamento o ristrutturazione del debito. Si tratta di una procedura diversa dalla surroga perché qui il vecchio rapporto viene chiuso definitivamente e ne nasce uno nuovo (con un nuovo contratto e, se ipotecario, una nuova iscrizione ipotecaria). Può avvenire con la stessa banca (ad es. la banca concede un nuovo mutuo “di sostituzione” più grande per pagare il vecchio e avere liquidità) oppure con altra banca (in tal caso è simile alla surroga + liquidità, ma tecnicamente è una estinzione con nuova accensione, quindi con costi a carico cliente).
Quando ha senso il rifinanziamento: soprattutto nei prestiti non ipotecari, dove la surroga non è disponibile, il debitore può cercare un nuovo prestito a condizioni migliori per pagare il precedente. Ad esempio, se anni fa ha contratto un prestito a tasso alto e oggi può ottenerne uno a tasso più basso e magari più lungo, conviene rifinanziare. Oppure se ha più debiti (carta di credito, prestito auto, ecc.), può richiederne uno nuovo più grande per consolidarli (vedi paragrafo successivo). Anche nel mutuo, se serve liquidità aggiuntiva, la surroga standard non basta e si ricorre a una sostituzione: un nuovo mutuo di importo maggiore che estingue il precedente e fornisce soldi extra.
Normativa: a differenza della surroga (tutela specifica di legge), il rifinanziamento rientra nella normativa generale sul credito. Rilevano in particolare: il già citato diritto all’estinzione anticipata sancito dal TUB per i crediti ai consumatori (art. 125-sexies TUB, che limita l’eventuale indennizzo per la banca all’1% del capitale rimborsato); e la normativa derivata dalla direttiva UE 2008/48/CE, arricchita dalla nota sentenza Lexitor della Corte di Giustizia UE. Quest’ultima ha stabilito che in caso di rimborso anticipato di un credito al consumo, tutti i costi sostenuti dal consumatore per il finanziamento vanno ridotti proporzionalmente alla durata non goduta (incluse commissioni iniziali, premi assicurativi, etc.). La giurisprudenza italiana, dopo un dibattito, ha recepito tale principio: la Corte Costituzionale n.263/2022 ha dichiarato illegittima la norma nazionale che limitava la restituzione solo ad alcuni oneri, estendendo il diritto del consumatore a vedersi rimborsare tutte le spese non maturate in caso di estinzione anticipata, anche per contratti stipulati prima del 2019. Questo significa che chi rifinanzia un prestito chiudendone un altro, ha diritto a un rimborso parziale di costi come: commissione di intermediazione finanziaria, costo di istruttoria, premio assicurativo non goduto, ecc. (oltre ovviamente a non dover più pagare interessi futuri sul vecchio prestito). Questo alleggerisce il “costo” del cambio.
Costi da considerare: nonostante le tutele di cui sopra, il rifinanziamento può comportare alcune spese. Se il nuovo finanziamento è un mutuo ipotecario, andranno pagati ex novo il notaio, l’iscrizione ipoteca, l’imposta sostitutiva (0,25% se prima casa) e le commissioni di istruttoria/perizia. Se il finanziamento è un prestito personale, spesso le banche applicano un nuovo costo di istruttoria (talvolta promozionalmente azzerato). Inoltre, se il contratto estinto era antecedente al 2007 e prevedeva una penale di estinzione anticipata (ad es. alcuni mutui vecchi), tale penale va pagata (tipicamente 0,5-1% del capitale, decrescente negli ultimi anni). Per i contratti recenti la penale è in genere nulla (mutui dopo 2007) o limitata (prestiti consumatori max 1%). Nel valutare il rifinanziamento, il debitore deve quindi fare un confronto complessivo: quanto risparmierà in rata e interessi vs quanto spenderà in nuove spese. Spesso la convenienza c’è se la differenza di tasso è ampia o se si ha bisogno di somma aggiuntiva (unendo il bisogno di liquidità con la riduzione rata).
Vantaggi: il rifinanziamento dà grande flessibilità, permettendo anche di unire più debiti o ottenere liquidità extra. Ad esempio, un debitore può trasformare debiti costosi (come le carte revolving al 20% annuo) in uno nuovo magari garantito da ipoteca al 3% annuo: la rata totale si abbassa e la struttura del debito diventa più gestibile. Si può anche cambiare tipologia di finanziamento: ad es. se un piccolo imprenditore ha debiti personali e aziendali sparsi, potrebbe consolidarli in un mutuo ipotecario di liquidità, ottenendo un tasso molto più basso e una rata inferiore (ma garantita da un immobile). In breve, rifinanziare consente di ristrutturare l’indebitamento in modo conveniente se si hanno le carte in regola per ottenere un nuovo prestito a condizioni migliori.
Svantaggi: l’operazione comporta costi immediati non trascurabili (soprattutto per i mutui, il costo notarile e le tasse possono incidere). Inoltre non è accessibile a chi è già in cattive condizioni creditizie, perché trovare una banca disposta a concedere un nuovo finanziamento richiede requisiti di merito creditizio: se il reddito è insufficiente o vi sono segnalazioni negative, il rifinanziamento potrebbe essere negato (in tali casi restano solo soluzioni come le procedure di sovraindebitamento). Allungare la durata poi comporta quasi sempre un aumento del costo totale degli interessi pagati nel lungo periodo: la rata scende ma si pagano più interessi complessivi, diluiti negli anni. Dunque è un sacrificio finanziario che ha senso fare se la priorità è risolvere problemi di sostenibilità mensile.
Consolidamento debiti (unire più rate in una sola)
Il consolidamento debiti è una forma particolare di rifinanziamento rivolta a chi ha più finanziamenti in corso (es. mutuo + prestito auto + carta revolving, oppure vari piccoli prestiti) e fatica a sostenere la somma di tutte le rate. Consiste nell’ottenere un nuovo prestito sufficientemente capiente da estinguere tutte le posizioni debitorie pregresse, così che il debitore resti con un’unica rata mensile generalmente più bassa della somma delle precedenti. Spesso il consolidamento si combina con un allungamento della durata: si spalmando i debiti su più anni, abbassando il peso mensile.
Esempio tipico: un privato ha una rata mutuo da €500, un prestito auto da €200 e €100 di carta di credito, per €800 totali al mese. Richiede alla banca un prestito di consolidamento che copra il residuo di mutuo, auto e carta, ottenendo ad esempio una nuova rata unica da €600. Ha così €200 in meno di esborso mensile e una migliore gestione (un solo interlocutore, una scadenza). Ovviamente dovrà rimborsare più a lungo (ad esempio estendendo i vari finanziamenti di altri anni).
Forme tecniche: il consolidamento può avvenire con un mutuo ipotecario (se il debitore ha un immobile da dare in garanzia e vuole consolidare anche debiti non ipotecari, alcune banche offrono “mutui di consolidamento” che incorporano tutto), oppure con un prestito personale di importo maggiore (molte finanziarie pubblicizzano prestiti di consolidamento), oppure con una cessione del quinto (vedi infra: una cessione ben capiente può essere usata per chiudere altri debiti). Non esiste una legge speciale per il consolidamento: è regolato dalle norme generali di credito ai consumatori (TUB art. 124 e seguenti). La Banca d’Italia nelle sue Guide al Cittadino sul debito evidenzia il consolidamento come strumento utile per evitare sovraindebitamento – è riconosciuto come buona pratica (quando sostenibile) perché riduce il rischio di insolvenza.
Vantaggi: la rata unica è quasi sempre più bassa della somma delle rate precedenti, perché il nuovo prestito di solito ha una durata maggiore e a volte un tasso medio più basso. Ciò migliora il rapporto rata/reddito del debitore, che è un parametro fondamentale: ad esempio portando il totale impegni dal 50% al 30% del reddito disponibile, si rientra in una soglia più sicura. Inoltre, accorpando debiti costosi (es. scoperti di conto, carte revolving con interessi elevati) in un prestito tasso più basso, si riduce il costo medio del debito. Un altro beneficio è la semplificazione: il debitore gestisce una sola scadenza, un solo interlocutore, con minori probabilità di dimenticare pagamenti. Spesso i prestiti di consolidamento offrono importi aggiuntivi: ad esempio, chiudere €20.000 di altri debiti e ottenere altri €5.000 liquidi, comunque con rata inferiore a quelle precedenti combinate – ciò può dare respiro per nuove spese.
Svantaggi/attenzioni: per ottenere un consolidamento occorre essere ancora adempienti sulle posizioni esistenti. Le banche concedono consolidamenti a clienti che, pur essendo al limite, non hanno ancora insoluti gravi. Se invece il debitore ha già rate impagate o segnalazioni, difficilmente otterrà un consolidamento tradizionale – a quel punto subentrano soluzioni più drastiche (es. sovraindebitamento). Inoltre consolidare significa spesso allungare molto le scadenze: i debiti che magari si sarebbero estinti in 2-3 anni, vengono rifinanziati su 5-8 anni, con un incremento degli interessi complessivi versati. Il tasso del nuovo prestito non sempre è più basso: a volte si ottiene solo una rata inferiore grazie alla durata, ma il TAEG rimane simile o persino superiore (ad esempio, consolidare debiti a breve termine in un prestito più lungo può far pagare più interessi totali anche se la rata scende). È fondamentale verificare che il consolidamento non sia controproducente: va fatto un piano di ammortamento comparato. Inoltre può essere richiesto di fornire garanzie aggiuntive: ad esempio, se prima alcuni debiti erano non garantiti, la banca per consolidare una somma più alta potrebbe pretendere una garanzia ipotecaria o una fideiussione. Ciò significa mettere a rischio un bene (casa) che prima non era vincolato, o coinvolgere un garante: decisioni da ponderare con attenzione.
In sintesi, il consolidamento è utile per prevenire il sovraindebitamento quando si è ancora in bonis ma al limite: permette di “respirare” abbassando l’uscita mensile. Se si è già in stato di insolvenza conclamata, probabilmente è tardi per consolidare e si dovranno valutare le procedure di composizione della crisi.
Cessione del quinto e delegazione di pagamento come strumenti di ristrutturazione
La cessione del quinto dello stipendio o della pensione merita un paragrafo a parte, in quanto può fungere sia da tipologia di prestito iniziale sia da strumento per ristrutturare debiti esistenti. Come anticipato, la cessione del quinto prevede che una rata fissa, pari al massimo al 20% dello stipendio netto (o pensione) del debitore, venga direttamente trattenuta dal datore di lavoro (o dall’ente pensionistico) e versata al finanziatore. Ha tasso fisso e durata fino a 120 mesi (10 anni). Data la sua natura garantita dal reddito futuro e dall’eventuale TFR accantonato, è un prestito con rischio contenuto per la banca, e infatti viene spesso concesso anche a soggetti che hanno altri prestiti in corso o qualche lieve problema di credit score (purché non siano in morosità grave).
Perché è utile per abbassare la rata? Perché la rata della cessione è intrinsecamente “contenuta” entro la soglia di un quinto del reddito. Se un debitore attualmente sta pagando rate mensili complessive superiori a tale soglia, può valutare di ottenere una cessione del quinto e utilizzare la somma erogata per estinguere gli altri debiti. Ad esempio, un dipendente con stipendio netto di €1.500 ha rate per €600 totali (40% del reddito): con una cessione può fissare la rata a €300 (20% dello stipendio) per 10 anni, ottenendo poniamo €25.000 con cui chiude gli altri debiti. Risultato: la sua uscita mensile scende da 600 a 300 (anche se per molti più anni). Questa operazione è spesso proposta da società finanziarie come consolidamento tramite cessione.
Normativa e tassi: la cessione è regolata dal D.P.R. 180/1950 e dal TUB. I tassi effettivi globali delle cessioni sono mediamente più alti dei mutui (trattandosi di credito al consumo non garantito da ipoteca), però sono calmierati da soglie specifiche: ogni trimestre il MEF pubblica il tasso effettivo globale medio (TEGM) delle cessioni per classi di età e importo, e i tassi applicati non possono eccedere un certo valore (il cosiddetto tasso soglia usura per cessioni, generalmente attorno all’11-13% annuo al 2025). Quindi il TAEG di una cessione, pur elevato rispetto a un mutuo, è controllato e noto al momento della firma. Inoltre, per legge ogni cessione include una polizza assicurativa obbligatoria (rischio vita e impiego) il cui premio viene normalmente finanziato dentro il prestito stesso.
Vantaggi: la cessione del quinto è accessibile anche a chi ha altri debiti o qualche ritardo pregresso (purché non si sia in conclamata insolvenza o pignoramenti in corso sullo stipendio, caso in cui potrebbe essere preclusa o ridotta la quota disponibile). Dal punto di vista del debitore, la rata è “automatica” e garantita: non deve ricordarsi di pagare, viene detratta alla fonte. Questo evita ulteriori inadempimenti. La sostenibilità è implicita, perché 1/5 del reddito è considerato una porzione compatibile con la vita quotidiana (restano 4/5 per le altre spese). La durata lunga (fino a 10 anni) consente importi elevati con rate ridotte. Inoltre l’assicurazione integrata fa sì che, in caso di decesso del debitore prima del termine (o pensionamento/dismissione nei limiti previsti), il debito residuo venga coperto dalla polizza – proteggendo gli eredi e liberando il TFR eventualmente vincolato. Le cessioni spesso vengono concesse anche in presenza di segnalazioni in CRIF per piccoli ritardi: le finanziarie guardano più alla stabilità del posto di lavoro e al rispetto dei parametri di legge che allo storico perfetto. È quindi uno strumento di ultima istanza prima delle misure giudiziali per chi ha stipendio/pensione.
Delegazione di pagamento: è simile alla cessione, ma riguarda un secondo quinto dello stipendio. Alcuni dipendenti (tipicamente pubblici o di aziende grandi) possono ottenere, oltre alla cessione, anche un prestito con delega (detto “doppio quinto”) per un’ulteriore quota fino a un altro 20%. Ciò permette di arrivare al 40% dello stipendio impegnato. La delega richiede però la convenzione e l’accettazione del datore di lavoro, non è un diritto come la cessione. In contesto di consolidamento, cessione + delega possono fornire somme molto alte consolidando virtualmente tutto, ma ovviamente impegnano quasi metà stipendio in modo fisso.
Svantaggi: riservata a certe categorie – chi è lavoratore autonomo o disoccupato non può accedervi (per loro non c’è “quinto” cedibile). Anche per i lavoratori a tempo determinato o giovani senza lunga anzianità spesso non è fattibile (servono contratti stabili e spesso almeno alcuni mesi/anni di servizio). I tassi delle cessioni, seppur calmierati, sono elevati in assoluto (TAEG effettivi intorno al 10-12% nel 2025 per molte classi): ciò significa che consolidare debiti tramite cessione potrebbe far pagare molti interessi nel lungo periodo. Inoltre, l’impegno sullo stipendio è inamovibile: una volta ceduto il quinto, il debitore ha meno margine per altri finanziamenti futuri, e in caso di necessità finanziarie non potrà toccare quella fetta di reddito (anche se perde il lavoro subentra l’assicurazione, ma in situazioni di riduzione stipendio, quella rata continuerà ad essere trattenuta). L’importo massimo ottenibile dipende dallo stipendio e dall’età: la formula è (stipendio netto * 1/5 * numero di mesi). Ad esempio con €1.500 e 120 mesi, massimo ~€30.000 erogato. Se i debiti complessivi eccedono la capacità di cessione, non potranno essere coperti interamente. Inoltre, la cessione richiede il TFR come garanzia (per i dipendenti privati): se il debitore ha poco TFR accumulato, le finanziarie possono concedere meno importo o rifiutare (o chiedere delega di pagamento in affiancamento).
Aspetti contrattuali da tutelare: al momento di stipulare la cessione (magari per consolidare), occorre fare attenzione alle commissioni e costi inclusi. Il TAEG comprende spesso spese di intermediazione e l’assicurazione obbligatoria. Grazie all’orientamento Lexitor, se un domani si estingue anticipatamente la cessione (ad esempio perché si rinegozia con una nuova cessione a condizioni migliori dopo qualche anno), il consumatore ha diritto al rimborso pro-quota di tali costi non goduti. L’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) si è pronunciato più volte a favore dei clienti in tal senso, imponendo alle finanziarie di restituire parte dei premi assicurativi e commissioni nelle estinzioni anticipate. Questo è rilevante qualora, ad esempio, i tassi scendano e si voglia fare una rinegoziazione della cessione stessa (spesso dopo 2-3 anni si può rinnovare allungando di nuovo a 120 mesi): il debitore non perde i soldi pagati upfront, ma li recupera in parte.
In conclusione, la cessione del quinto è uno strumento potente per chi possiede i requisiti, poiché garantisce una rata certa e sostenibile entro il 20% del reddito. Nell’ambito della riduzione delle uscite mensili, funziona da “livellatore” delle spese debitorie, anche se al costo di prolungare i pagamenti su molti anni e pagare interessi più alti rispetto ad altre forme di credito. Va utilizzata con cautela e preferibilmente con consulenza esperta, per evitare di impegnare porzioni eccessive di reddito in modo irreversibile.
Sospensione temporanea delle rate (moratorie e Fondo di solidarietà)
Quando la difficoltà nel pagare le rate è transitoria o legata a eventi specifici (perdita del lavoro, emergenza sanitaria, calamità naturali, ecc.), il debitore può valutare soluzioni di sospensione temporanea delle rate, anziché modificare permanentemente il contratto. In sostanza si ottiene un “congelamento” dei pagamenti per un certo periodo, durante il quale non si versano le rate (o si versano solo gli interessi), per poi riprendere regolarmente. Queste misure sono spesso chiamate moratorie. Possono essere previste da leggi statali, da accordi settoriali o anche decise caso per caso dalla banca.
Fondo di solidarietà mutui “prima casa” (Fondo Gasparrini)
Il principale strumento previsto dalla legge italiana è il Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, noto anche come Fondo Gasparrini (gestito da Consap per conto del MEF). Introdotto dalla L. 244/2007 e successive modifiche, questo Fondo consente ai titolari di mutuo prima casa in difficoltà di ottenere la sospensione delle rate fino a un massimo complessivo di 18 mesi. Durante la sospensione, il piano di ammortamento si “allunga” corrispondentemente. Il Fondo interviene rimborsando alla banca il 50% degli interessi che maturano nel periodo di sospensione, sollevando il debitore da quella quota.
Requisiti principali (aggiornati al 2024): possono accedere al Fondo i mutuatari con mutuo di importo ≤ €250.000 contratto per l’abitazione principale (non di lusso). Dal 2024 è nuovamente richiesto un ISEE ≤ €30.000 (tale requisito era stato temporaneamente sospeso durante l’emergenza Covid, ma ora è in vigore). Inoltre, il mutuo non deve avere ritardi superiori a 90 giorni (in sostanza deve essere in bonis o al massimo in lieve arretrato). La sospensione può essere chiesta al verificarsi di specifici eventi: disoccupazione (licenziamento a tempo indeterminato), cessazione di contratto a tempo determinato o di collaborazione, morte o grave invalidità del mutuatario, oppure sospensione/riduzione dell’orario di lavoro per almeno 30 giorni (es. cassa integrazione). A ciascun evento corrisponde una durata massima di sospensione: ad esempio 6 mesi per sospensione dal lavoro 1-5 mesi, 12 mesi per sospensione 6-10 mesi, 18 mesi per oltre 10 mesi. Complessivamente, il mutuo può godere di sospensioni fino a 18 mesi sommandone eventualmente più di una.
Per attivare la misura, il debitore presenta apposita domanda alla banca, che inoltra a Consap la richiesta. La banca deve sospendere le rate entro 30 giorni dall’ammissione al beneficio. Durante la sospensione, come detto, il debitore non paga le rate; gli interessi sul debito residuo continuano a maturare ma vengono per metà coperti dal Fondo (la metà relativa alla quota capitale sospesa resta a carico del mutuatario, che li pagherà in futuro). Al termine, il piano riprende: le rate rimanenti possono aumentare di poco per via degli interessi non coperti, oppure (a discrezione) si può allungare la durata di un numero di mesi pari alla sospensione.
Il vantaggio del Fondo è che non è considerato un inadempimento: la moratoria è “legale”, quindi il cliente non viene segnalato come cattivo pagatore. È anzi uno strumento per prevenire l’insolvenza in situazioni temporanee critiche (es. perdita del lavoro in attesa di ricollocamento). Durante la recente pandemia Covid-19, l’accesso al Fondo è stato ampliato (eliminato limite ISEE e ammessi autonomi con calo fatturato) e molte famiglie ne hanno beneficiato. Dal 2023 si è tornati ai requisiti ordinari.
Altre moratorie settoriali: oltre al Fondo prima casa, ci sono state negli anni diverse iniziative di sospensione concordate a livello di sistema. Ad esempio, l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha promosso nel 2019 e 2020 protocolli con le associazioni dei consumatori per la sospensione volontaria delle rate di prestiti personali e mutui in caso di eventi come perdita del posto di lavoro, malattia grave, calamità, ecc. (cosiddetto Piano Famiglie). Durante l’emergenza Covid, oltre al Fondo Gasparrini esteso, il governo con il Decreto “Cura Italia” (D.L. 18/2020) ha imposto una moratoria generalizzata per mutui e leasing delle PMI e ha incoraggiato le banche a concedere moratorie ai privati, spesso poi confluite nelle disposizioni dei DL successivi. Attualmente, non vi sono moratorie “di legge” per i prestiti personali dei privati, ma molte banche valutano sospensioni volontarie caso per caso, oppure nell’ambito di iniziative ABI rinnovate (ad es. alcune banche concedono fino a 6 mesi di sospensione per nascita di figlio, difficoltà temporanea, ecc., su richiesta).
Modalità di sospensione: la sospensione può riguardare l’intera rata (capitale + interessi) – formula più comune – oppure la sola quota capitale (il cliente continua a pagare gli interessi per non farli cumulare). Il Fondo prima casa prevede la sospensione totale della rata. Le moratorie volontarie a volte offrono l’opzione quota capitale (che riduce l’accumulo di interessi). In ogni caso, la conseguenza è che la durata del finanziamento si allunga del periodo di sospensione, salvo diverso accordo.
Vantaggi: il beneficio immediato è un sollievo di cash flow: per alcuni mesi il debitore non paga nulla, evitando così di accumulare ritardi e potendo dedicare le (poche) risorse ad altre spese essenziali. È spesso l’unico modo per superare periodi di crisi (si pensi a chi perde il lavoro: sospendere il mutuo per 6-12 mesi può impedire che vada in default e la casa finisca all’asta). Inoltre, come detto, queste misure tutelano la reputazione creditizia: una sospensione autorizzata non è vista come insolvency. Il Fondo Gasparrini, in particolare, addossando allo Stato metà degli interessi durante la moratoria, riduce il costo aggiuntivo per il cliente (senza il Fondo, tutti gli interessi continuerebbero a cumularsi a debito). In generale, le moratorie sono spesso accompagnate dal supporto pubblico proprio per renderle sostenibili e diffonderle come argine sociale alle crisi.
Svantaggi: la sospensione non riduce la rata in modo permanente, la posticipa solamente. Al termine, il debitore dovrà comunque pagare il dovuto (anche se dilazionato). Inoltre gli interessi durante lo stop continuano in parte a maturare: nel caso del Fondo prima casa, il 50% degli interessi maturati va comunque pagato dal debitore (viene “capitalizzato” aggiungendolo al debito residuo, oppure le rate future vengono leggermente ricalcolate). Questo significa che dopo la moratoria il debito sarà un po’ più alto di prima (ma è il prezzo da pagare per aver avuto respiro). Le moratorie non sono accessibili in ogni situazione: occorrono requisiti specifici e cause giustificative. Chi ha semplicemente un tasso aumentato ma non ha perso il lavoro né altri eventi previsti, non può attivare il Fondo per sospendere (dovrà cercare altre soluzioni come rinegoziazione o surroga). Inoltre c’è un limite di durata massima complessiva (18 mesi nel Fondo; nelle moratorie ABI spesso 6-12 mesi totali): non si può sospendere all’infinito. Infine, se la banca concede volontariamente una sospensione fuori dai casi di legge, potrebbe farlo a condizioni sue (es. accordo privato) e bisogna verificare che non la consideri come segnalazione interna o non applichi condizioni onerose.
In sintesi, le moratorie sono strumenti di emergenza, da usare quando l’alternativa sarebbe il default imminente. Non risolvono il problema alla radice (non abbassano strutturalmente la rata, la rinviano), ma guadagnano tempo al debitore per ristabilire la propria situazione economica o per attivare nel frattempo altre soluzioni più stabili (es. in 6 mesi di sospensione, cercare una surroga o vendere un bene per ridurre il debito). Vanno richieste tempestivamente, appena si verifica l’evento che dà diritto, compilando i moduli e fornendo i documenti necessari (ad es. lettera di licenziamento per il Fondo). Dal punto di vista legale, la sospensione concordata o ex lege non costituisce inadempimento e sospende anche le eventuali procedure esecutive in corso (nel caso del Fondo prima casa, se già c’è pignoramento della casa, è tardi: quell’aiuto vale solo prima). Per chi purtroppo vede che neanche dopo la moratoria potrà riprendere i pagamenti regolari, è segnale che servono misure più drastiche, come quelle del prossimo paragrafo.
Strumenti in caso di sovraindebitamento grave (procedure di ristrutturazione debiti ed esdebitazione)
Quando la situazione debitoria di un soggetto privato o piccolo imprenditore diventa insostenibile nonostante rinegoziazioni, surroghe, consolidamenti o moratorie – ad esempio, quando l’ammontare dei debiti è tale che le rate, anche ristrutturate, superano stabilmente le possibilità del debitore – interviene l’ultima ratio: le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dalla legge. Si tratta di procedure giudiziali che permettono di ridisegnare completamente il profilo del debito, spesso riducendo in modo drastico l’importo dovuto e quindi abbassando le rate a livelli simbolici, fino alla totale liberazione dai debiti residui (esdebitazione). Il quadro normativo di riferimento è oggi il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022), che ha sostituito la vecchia Legge 3/2012. Le procedure principali sono:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “piano del consumatore” nella terminologia previgente): è una procedura concorsuale semplificata riservata ai debitori persone fisiche non fallibili (privati, professionisti, piccoli imprenditori sotto soglia fallimento) che si trovano in stato di sovraindebitamento (incapacità di pagare i debiti in modo regolare) ma sono meritevoli (cioè l’eccessivo indebitamento non è dovuto a dolo o colpa grave). Il debitore, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi (OCC) e tramite ricorso al Tribunale, propone un piano di pagamento sostenibile, indicando quale parte dei debiti può effettivamente pagare (in base al suo patrimonio e reddito) e chiedendo la cancellazione del debito residuo a fine piano. Ad esempio, un consumatore sommerso da €100.000 di debiti potrebbe presentare un piano per pagarne €20.000 in 5 anni (rate di importo consono al suo stipendio) e ottenere l’esdebitazione sugli €80.000 rimanenti. Il piano viene valutato dal Giudice e, se soddisfa i requisiti (completezza informativa, fattibilità, assenza di malafede), viene omologato anche senza necessità di accordo con i creditori (non serve il voto dei creditori, a differenza di altre procedure, perché prevale la tutela del debitore meritevole). Con l’omologazione, tutti i creditori sono vincolati e le loro eventuali azioni (pignoramenti, decreti ingiuntivi) vengono bloccate. Il debitore dovrà poi eseguire il piano versando quanto stabilito; a completamento, il Tribunale decreterà la cancellazione di tutti i debiti residui. Questo consente il fresh start: il debitore torna “pulito” da debiti pregressi. Vantaggi: è la soluzione di massimo abbattimento del debito: spesso i creditori finanziari vengono soddisfatti in minima percentuale (es. 20-30% del dovuto) e il resto è stralciato. Tutte le obbligazioni vengono unificate in un unico piano con importo totale inferiore alla somma originaria dei debiti. Durante la procedura, vi è la sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori: il debitore è protetto. Si possono anche prevedere strategie all’interno del piano, ad esempio la rinegoziazione di un mutuo ipotecario nel frattempo per salvare la casa (il Tribunale può autorizzare accordi transattivi con la banca all’interno del piano). Al termine, se il debitore rispetta il piano, ottiene l’esdebitazione (liberazione dai debiti non pagati). Svantaggi: è un procedimento complesso, che richiede l’assistenza di professionisti e di un OCC (che redige una relazione sulla situazione del debitore). I tempi per l’omologa possono essere di diversi mesi (6-12 mesi a seconda del tribunale). Il debitore deve essere totalmente trasparente su redditi e patrimonio: l’OCC e il giudice esaminano attentamente ogni aspetto, e bisogna soddisfare requisiti di meritevolezza (ad esempio non aver causato il sovraindebitamento con frodi o gioco d’azzardo irresponsabile, ecc., salvo alcune tolleranze per casi sociali). Durante gli anni di esecuzione del piano, il debitore è soggetto a restrizioni: tipicamente deve destinare al piano tutto il suo surplus di reddito oltre le spese di sostentamento, non può indebitarsi ulteriormente, e l’OCC può vigilare. In caso di inadempimento del piano, si rischia la revoca dei benefici. Inoltre l’aver fatto ricorso a questa procedura viene registrato in un archivio pubblico (Registro delle procedure di sovraindebitamento) e incide pesantemente sul credit score futuro: difficilmente banche concederanno nuovi prestiti per un certo periodo dopo l’esdebitazione (anche se legalmente sarebbe riabilitato). Tuttavia, è un prezzo da pagare ragionevole per chi altrimenti resterebbe schiacciato dai debiti a vita.
- Accordo di ristrutturazione / Concordato minore: rivolto a imprenditori sotto soglia (piccoli imprenditori commerciali, start-up, imprenditori agricoli, professionisti con debiti professionali, ecc.), è una procedura simile ma con alcune differenze. Nel concordato minore (artt. 74-83 CCII) il debitore propone un accordo che deve essere approvato da una maggioranza dei creditori (almeno il 60% dei crediti), oppure – se non ottiene abbastanza consensi – può chiedere al tribunale l’omologazione anche con voto contrario di alcuni, purché la proposta non li pregiudichi oltremodo. Si chiama “minore” per distinguerlo dal concordato preventivo delle imprese più grandi. Può essere utilizzato da chi ha anche debiti aziendali o verso dipendenti/fisco, offrendo la continuità aziendale o la liquidazione parziale. Vantaggi: consente anche a soggetti con partita IVA o piccole ditte individuali di accedere a un taglio dei debiti personali e professionali, anche se formalmente fallibili (ma sotto soglie). È più flessibile del piano del consumatore puro, nel senso che può includere anche soluzioni come la prosecuzione dell’attività d’impresa con una ristrutturazione dei debiti aziendali. Può permettere di salvare l’azienda riducendo l’esposizione finanziaria. Anche qui, a fine esecuzione, scatta l’esdebitazione dei debiti residui ed è possibile la continuazione dell’attività. Svantaggi: richiede spesso il consenso di una parte dei creditori, quindi se non c’è collaborazione può essere difficile. Se la maggior parte dei debiti è verso banche e queste non aderiscono, il percorso può complicarsi (anche se il tribunale può omologare con cram-down se ritiene equa la proposta). È meno vantaggioso del piano del consumatore se il grosso dei debiti è personale e non d’impresa, perché comunque si deve passare da un negoziato (mentre il piano puro no). Resta comunque una procedura concorsuale pubblica, con i relativi costi e tempi, e con perdita parziale di autonomia: viene nominato un gestore della crisi (analogo all’OCC) che sorveglia. Anche qui c’è stigma e registrazione in pubblici registri.
- Liquidazione controllata ed esdebitazione: questa è la soluzione più radicale. Se il debitore non ha alcuna possibilità di offrire ai creditori un pagamento parziale accettabile, o se vuole semplicemente liberarsi dei debiti sacrificando il suo patrimonio residuo, può attivare la liquidazione controllata dei suoi beni (ex “liquidazione del patrimonio” L.3/2012). Il Tribunale nomina un liquidatore che vende tutti i beni del debitore (salvo quelli impignorabili per legge, ad esempio i beni di stretta necessità, stipendi minimi vitali, etc.). Con il ricavato paga per quanto possibile i creditori. Al termine della liquidazione (anche se i creditori sono stati soddisfatti solo in minima parte o per nulla), il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione: la definitiva liberazione dai debiti pregressi non soddisfatti. Addirittura, il Codice ha introdotto una forma di esdebitazione del debitore incapiente (art. 282-ter CCII): se uno non ha davvero nulla da liquidare, può ottenere l’esdebitazione una tantum anche senza pagare nulla ai creditori, a condizione di essere meritevole e di non aver mai beneficiato di esdebitazione in passato. Vantaggi: è la soluzione finale che azzera completamente i debiti e dà la possibilità di ripartire da zero, anche nel caso in cui il debitore non sia in grado di offrire alcun rimborso significativo. In casi estremi, il debitore nullatenente e incapiente può liberarsi dei debiti subito, senza dover pagare nulla, sfruttando l’istituto di esdebitazione “a zero” (previa verifica rigorosa della sua buona fede). Per chi ha qualche asset, la liquidazione consente di trasformarlo in contante e chiudere i conti in modo ordinato, con la supervisione del tribunale, evitando la frammentazione di mille pignoramenti individuali. Dopo l’esdebitazione, tutti i crediti sono inesigibili (salvo pochissime eccezioni di legge, es. debiti da risarcimento danni per illecito, debiti alimentari, che possono restare). Svantaggi: comporta la perdita del patrimonio: casa, auto, risparmi, tutto ciò che è vendibile verrà liquidato e uscirà dalla disponibilità del debitore (salvo beni non pignorabili come vestiti, beni di uso quotidiano modesto, strumenti di lavoro entro certi limiti, ecc.). È di fatto un fallimento personale, con relative restrizioni e implicazioni. Durante la procedura, il debitore è sottoposto a esami, può essergli richiesto di versare ai creditori eventuali redditi sopravvenuti che eccedano le necessità di sostentamento, e così via. L’esdebitazione dell’incapiente (senza beni né redditi) non è automatica: il giudice la concede solo se il debitore ha tenuto un comportamento del tutto leale, non ha fatto atti in frode (ad es. donazioni a parenti prima della procedura) e versa in reale e involontario stato di indigenza. Inoltre, subire una liquidazione concorsuale ed esdebitazione comporta un grave pregiudizio reputazionale e finanziario: il nominativo resta negli archivi per anni, sarà quasi impossibile accedere al credito formale per molto tempo, e in generale si viene equiparati (socialmente ed economicamente) a un fallito. È una misura da prendere solo se non ci sono alternative, ma è comunque lodevole che il nostro ordinamento l’abbia prevista, per evitare le cosiddette “gabbie debitorie” a vita.
In sintesi, le procedure da sovraindebitamento sono l’ancora di salvezza giuridica per il debitore sommerso dai debiti. Dal punto di vista dell’abbassamento della rata, queste procedure spesso portano la rata a zero (nel senso che cancellano integralmente il debito residuo non pagato) oppure la riducono a un importo commisurato alla reale capacità del debitore (ad es. 20% del dovuto, come dire che l’80% viene condonato). È ovvio che misure così drastiche comportano conseguenze altrettanto drastiche in termini di stigma e di coinvolgimento dell’autorità giudiziaria. Sono però pensate per dare una seconda chance alle persone oneste che si sono trovate in un loop di debiti impagabili. Spesso, già la pendenza di una procedura del genere incoraggia le banche a transigere col debitore prima dell’omologazione (perché rischiano di ricevere poco o nulla in procedura): a volte durante la procedura si riesce a negoziare ad esempio con la banca la rinegoziazione del mutuo ipotecario per mantenere la casa, combinando così strumenti giudiziali e volontari.
Un caso particolare di intervento legale, a metà tra accordo e procedura, è stato il cosiddetto “Fondo Salva Casa” introdotto con l’art. 41-bis D.L. 124/2019 (conv. L.157/2019). Questo prevede la possibilità per il debitore consumatore che abbia subito un pignoramento immobiliare sulla prima casa, di ottenere – tramite istanza al giudice dell’esecuzione – la sospensione dell’esecuzione e la rinegoziazione del mutuo pignorato (o un finanziamento sostitutivo) con l’assistenza di un fondo di garanzia statale, a determinate condizioni. In sostanza, se la casa è finita all’asta a causa di rate impagate del mutuo prima casa, il debitore in possesso dei requisiti (mutuo ≤ €250.000, nessuna altre proprietà, reddito ISEE ≤ €30.000, ecc.) può chiedere di bloccare l’asta e ottenere che la banca gli rinegozi il mutuo su 30 anni a tassi calmierati, garantito dallo Stato al 50%. In alternativa, può intervenire un familiare o terzo finanziatore che accende un nuovo mutuo per rilevare il debito alle stesse condizioni agevolate e salvare la casa. Questo meccanismo, seppur poco utilizzato nella prassi (anche perché richiede comunque che il debitore possa permettersi la nuova rata rinegoziata), è stato un tentativo importante del legislatore di evitare che famiglie perdano la casa per poi magari restare debitrici residue. Dal nostro punto di vista, è un altro strumento che riduce la rata: la rinegoziazione ex lege del mutuo pignorato ha parametri favorevoli e allunga fino a 30 anni, producendo un alleggerimento dell’importo mensile dovuto. Tuttavia, trattandosi di una procedura incardinata nell’esecuzione forzata, va attivata prima che la casa venga aggiudicata, e coinvolge il tribunale.
Conclusione su sovraindebitamento: se vi trovate in una situazione in cui tutte le soluzioni stragiudiziali (rinegoziazioni, surroghe, consolidamenti, moratorie) non bastano a ripristinare la solvibilità, non bisogna attendere di essere sommersi dai decreti ingiuntivi: valutate con un esperto l’accesso a queste procedure. Dal punto di vista del “diminuire la rata”, qui non si tratta più di ridurre la singola rata di un singolo prestito, ma di ridisegnare l’intero profilo debitorio, riducendo globalmente ciò che pagherete (spesso solo una percentuale dei debiti originali) e quindi azzerando o riducendo a importi simbolici le rate originarie. Ad esempio, un piano del consumatore potrebbe prevedere di soddisfare i creditori finanziari al 20% del dovuto, cancellando il resto: è come dire che quella persona ottiene una riduzione dell’80% del suo debito e relative rate. Si tratta quindi della massima “riduzione” ottenibile, a fronte però di uno stigma (il ricorso al tribunale) e di un percorso non facile. Ma la legge offre questa chance e la giurisprudenza recente la incoraggia come soluzione alle crisi debitorie personali.
Rimedi legali contro tassi e oneri eccessivi (usura, anatocismo, nullità contrattuali)
Un altro ambito da considerare, per completezza, è quello dei rimedi legali che possono indirettamente portare a una riduzione della rata o del debito dovuto, intervenendo su clausole illegittime del contratto di prestito. Tali rimedi non sono strumenti negoziali come quelli fin qui trattati, bensì vere e proprie azioni legali o eccezioni difensive che il debitore può sollevare quando il finanziamento presenti irregolarità – ad esempio tassi usurari, pratiche di anatocismo vietato, o violazioni della normativa sulla trasparenza bancaria. Se accolti, questi rimedi possono portare a un ricalcolo del debito residuo e delle rate su basi più favorevoli al cliente (in certi casi annullando interessi e oneri). Vediamo i principali.
Usura ed interessi non dovuti
La legge italiana definisce usurario un tasso d’interesse che superi un certo limite. L’art. 644 del codice penale e la Legge n. 108/1996 fissano infatti un tasso soglia d’usura, variabile per categoria di credito (mutui, prestiti personali, cessioni, ecc.) e pubblicato trimestralmente dal MEF. Se un contratto di prestito prevede (originariamente) un tasso di interesse superiore al tasso soglia vigente al momento della stipula, la sanzione civile è che nessun interesse è dovuto: ai sensi dell’art. 1815 comma 2 c.c., il creditore ha diritto solo alla restituzione del capitale, essendo nulla la clausola usuraria. In altre parole, il prestito diventa a tasso zero legalmente, come punizione per l’usura, e gli interessi versati eventualmente vanno restituiti. Capite bene che questo ridurrebbe enormemente la rata, eliminandone la componente interessi.
La verifica dell’usura contrattuale va fatta includendo tutti i costi collegati al prestito (TAEG), secondo le istruzioni della Banca d’Italia, e riferita al momento della stipula. È la cosiddetta usura originaria. Diverso è il caso della cosiddetta usura sopravvenuta: ovvero interessi inizialmente sotto soglia ma che diventano superiori al tasso soglia in corso di rapporto (ad esempio, nei mutui a tasso variabile se i tassi di mercato salgono oltre la soglia). Su questo tema c’è stata a lungo disputa. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2017 avevano escluso che il superamento sopravvenuto comportasse l’azzeramento degli interessi pattuiti (in pratica, niente sanzione automatica per usura sopravvenuta), ferma restando la possibilità di invocare il generale dovere di buona fede contrattuale. Tuttavia, una recente pronuncia della Cassazione (Sez. III, ordinanza n. 27545 del 28/09/2023) ha affermato un principio più favorevole al debitore: ha ritenuto che se in corso di causa viene accertato che i tassi sono divenuti usurari sopravvenuti, il creditore che pretenda tali interessi starebbe richiedendo una prestazione “oggettivamente sproporzionata, contraria al principio di buona fede contrattuale”, e dunque tali interessi ultra-soglia non sono dovuti. In altre parole, secondo questa sentenza, anche l’usura sopravvenuta può essere contestata dal debitore: il giudice, pur non essendoci una nullità automatica di legge, può ritenere illegittimo pretendere interessi oltre soglia maturati successivamente, per violazione di buona fede. È un importante sviluppo, perché offre un appiglio a chi, ad esempio, ha un mutuo variabile stipulato lecitamente ma i cui interessi sono schizzati sopra soglia dopo i rialzi: potrebbe chiedere in giudizio di non pagare la parte eccedente. Occorre prudenza, perché è un orientamento recente e non consolidato, ma indica una tendenza della giurisprudenza a tutelare maggiormente il debitore nelle situazioni estreme.
Un altro aiuto al debitore viene da Cass. Sez. Unite 19597/2020, la quale ha chiarito che in causa, una volta che il debitore allega l’usurarietà del contratto producendo elementi (es. una perizia econometrica che evidenzia tassi > soglia), spetta alla banca l’onere di provare il contrario indicando i tassi effettivi applicati. Questo ribalta il peso probatorio in favore del cliente, che spesso è la parte più debole nel reperire i dati; la banca deve dimostrare di non aver oltrepassato i limiti. Dunque, la strategia processuale del contestare l’usura può mettere pressione alla banca e migliorare la posizione negoziale del debitore.
Un aspetto particolare: anche gli interessi moratori (di mora) – cioè le penali per ritardato pagamento – sono soggetti alla normativa antiusura. Se il tasso di mora pattuito supera la soglia d’usura (considerando un margine specifico), quella clausola è nulla e gli interessi di mora non sono dovuti. Su questo la Cassazione era già chiara: gli interessi di mora usurari sono azzerati, fermo restando che il contratto può produrre interessi corrispettivi al tasso pattuito se le parti lo hanno previsto distintamente. La Cass. 04/01/2023 n. 145 ha ribadito che accertata l’usurarietà degli interessi di mora, questi non vanno corrisposti; inoltre ha confermato che per valutare l’usura non si sommano interessi corrispettivi e moratori, ma li si confronta separatamente con soglie differenti (per i moratori si considera il tasso soglia maggiorato di un certo coefficiente). In pratica, se da contratto la mora è, ad es., il tasso base + 5% e ciò porta oltre soglia, la banca non può esigerla; il debitore in ritardo pagherà i soli interessi al tasso ordinario senza penale. Questo può ridurre il carico in caso di rate pagate in ritardo: evita che si accumulino interessi di mora esorbitanti oltre al debito principale.
Come incidono sulla rata questi rimedi? Se durante la vita del prestito il debitore agisce (o si difende in via giudiziale) eccependo l’usura e ottiene ragione, il contratto viene “purificato” dagli interessi: le rate future diventerebbero composte solo da quota capitale (o comunque ricalcolate al tasso soglia se si volesse mantenere un tasso legale). Questo ovviamente abbassa notevolmente l’importo dovuto ogni mese. Spesso, tuttavia, queste questioni emergono in fase di contenzioso a seguito di inadempimento conclamato: per esempio, quando la banca richiede un decreto ingiuntivo per le rate non pagate, il debitore si oppone eccependo l’usurarietà per farsi rideterminare il dovuto. Come strategia stragiudiziale, la minaccia di far valere l’usura può essere usata dal debitore per convincere la banca a rivedere le condizioni prima di finire in causa: molte banche preferiscono trattare invece di rischiare di perdere tutti gli interessi in tribunale.
Va precisato che l’accertamento dell’usura non è semplice: occorrono perizie tecniche, e alcuni elementi (ad es. tasso di mora effettivamente applicato, modalità di calcolo delle spese) possono essere discussi. Inoltre se l’usura deriva da costi occulti o oneri non chiari, a volte è più efficace agire sul fronte della trasparenza contrattuale, come spieghiamo più avanti. In sintesi, però, il debitore deve sempre verificare (anche con un esperto) se il tasso del suo finanziamento rientra nei limiti di legge: le tabelle dei tassi soglia sono pubbliche e consultabili. Se c’è il sospetto di usura, far valere questo diritto può portare a non dover corrispondere una parte rilevante di interessi, riducendo il debito residuo e quindi le rate dovute.
Anatocismo e interessi composti
L’anatocismo è la produzione di interessi su interessi scaduti. Nel settore bancario italiano, storicamente, vigeva il divieto di capitalizzare interessi su conti correnti trimestralmente (famosa questione dei conti prima del 2000). Oggi l’art. 120 TUB permette la capitalizzazione degli interessi solo con periodicità non inferiore all’anno e a condizione di reciprocità (gli interessi sia attivi che passivi capitalizzati con stessa frequenza). Per quanto riguarda mutui e prestiti a rata costante, spesso si sente dire che il piano di ammortamento “alla francese” (rate costanti con quota interessi decrescente e capitale crescente) comporterebbe anatocismo occulto, in quanto applica interessi su un capitale via via decrescente ma con calcolo “composto”. Molti debitori hanno provato a contestare in giudizio i mutui sostenendo che la rata costante nascondesse interessi composti illegittimi.
Ebbene, la giurisprudenza ha ormai chiarito la questione a sfavore di questa tesi. Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 15130/2024, hanno definitivamente stabilito che il classico piano di ammortamento alla francese non comporta anatocismo vietato. In un mutuo, ad ogni rata gli interessi maturati su quel periodo vengono pagati per intero; la quota capitale residua diminuisce e sulla successiva rata si calcolano gli interessi solo sul nuovo capitale. Non c’è quindi interesse che diventa esso stesso produttivo di interessi ulteriori (come invece succederebbe se, ad esempio, gli interessi di una rata non pagata venissero sommati al capitale residuo e su di essi si maturassero altri interessi: ciò è vietato salvo accordi post-mora). La Cassazione ha affermato che la pattuizione di un piano “alla francese” non viola di per sé i requisiti di determinatezza né le norme di trasparenza, anche se non viene esplicitato nel contratto il regime di capitalizzazione composta degli interessi, purché il TAN annuo sia indicato. Insomma, la rata costante è solo una modalità di distribuzione di capitale e interessi: non genera un interesse su interessi non pagati, perché gli interessi vengono corrisposti man mano. Ha confermato ciò anche una recentissima ordinanza Cass. n. 8322/2025 (Sez. I) in tema di mutui a tasso variabile, ribadendo che l’ammortamento “francese” standard non comporta violazione dell’art. 1283 c.c. (divieto di anatocismo) né produce extra-interessi oltre quelli pattuiti, salvo diversa pattuizione espressa.
Pertanto, dal punto di vista del debitore, è difficile ottenere alleggerimenti invocando l’anatocismo nei prestiti rateali classici. Le controversie su questo punto si sono risolte a favore delle banche: non si può far dichiarare nullo un mutuo solo perché non spiegava il calcolo “composto”. Ne consegue che non vi è un ricalcolo favorevole delle rate dovuto a questo aspetto. Diverso sarebbe se una banca applicasse davvero anatocismo non pattuito (ad esempio capitalizzando trimestralmente interessi di mora su rate scadute): in tal caso il debitore può contestarlo e chiedere lo storno degli interessi anatocistici. Ma nei contratti standard di mutuo ciò non avviene, anche perché l’art. 120 TUB lo impedisce a meno di capitalizzazione annuale. In sostanza, oggi non si paga più anatocismo occulto sui mutui, e chi spera di ridurre il proprio debito impugnando il piano di ammortamento rimarrà deluso.
Un’ultima notazione: le Sezioni Unite 2024 hanno anche escluso che la mancata indicazione del tipo di ammortamento nel contratto generi nullità o indeterminatezza, per cui non c’è spazio per far dichiarare nullo parzialmente il mutuo su tale base. Quindi, questo filone di contestazioni è chiuso. Il debitore deve concentrare altrove le sue difese (usura, trasparenza, ecc.) se cerca riduzioni di costi.
Trasparenza e nullità di clausole
La normativa sulla trasparenza bancaria impone che i contratti di finanziamento indichino chiaramente il TAEG (costo totale del credito), gli interessi, le modalità di calcolo e ogni altro onere a carico del cliente (art. 117 TUB e norme secondarie di Banca d’Italia). Se una clausola economica non è trasparente o manca un elemento essenziale, la sanzione può essere la nullità di quella clausola con sostituzione automatica secondo legge. Ad esempio, l’art. 117 TUB prevede che in caso di mancata indicazione del tasso d’interesse, si applichi il tasso minimo BOT e la clausola sia nulla. Oppure, se nel contratto di mutuo non viene indicato l’ISC/TAEG o viene indicato in modo errato e gravemente difforme, la giurisprudenza (talora l’Arbitro Bancario) possono dichiarare la nullità delle commissioni non rappresentate correttamente, oppure ricalcolare gli interessi.
Un caso ricorrente è quello delle commissioni occulte o degli oneri non inclusi nel TAEG. Se una banca ha addebitato al cliente costi non pattuiti espressamente (ad es. una polizza accessoria obbligatoria ma non conteggiata nel TAEG comunicato), il cliente può richiedere la restituzione di tali importi o la rideterminazione del tasso effettivo. Non di rado ciò porta a ridurre il saldo dovuto. Ad esempio, in alcuni contratti di cessione del quinto passati, le finanziarie non includevano alcune voci nel calcolo del TAEG comunicato al cliente: tale comportamento, alla luce della sentenza Lexitor e della normativa di trasparenza, è scorretto. Il rimedio pratico può essere che il cliente chieda la nullità della clausola che prevede quei costi, ottenendo lo storno degli stessi dal suo debito.
Anche la presenza di clausole contrattuali vessatorie o non conformi a norme imperative può giovare al debitore: se viene eliminata una penale o un costo, il debito e quindi le rate future si riducono. Per citare un caso: la clausola di interessi di mora molto alta potrebbe, oltre al problema usura già visto, essere considerata vessatoria ex art. 33 Codice del Consumo (sproporzione a carico del consumatore) e quindi nulla; il risultato è che il consumatore non deve quella penale (pagherà solo gli interessi legali di mora eventualmente). Oppure, se il contratto di finanziamento non consegnato al cliente in copia, o firmato solo dalla banca, queste irregolarità formali talvolta hanno portato i giudici a dichiarare nulli alcuni addebiti.
In generale però, l’argomento trasparenza è molto tecnico e va fatto valere in sede giudiziale con attenzione. Non è tanto uno strumento per ottenere una rinegoziazione bonaria (le banche raramente concedono sconti solo perché si evidenzia una piccola anomalia), ma è efficace in causa o davanti all’ABF: può portare a sentenze di rideterminazione del saldo che ovviamente abbassano l’importo da pagare e quindi, se il contratto continua, abbassano le rate residuo.
Da notare: non basta una leggera discrepanza nel TAEG per far causa – la giurisprudenza tende a guardare questioni sostanziali (errori significativi o informazioni omesse del tutto). Qualora però il contratto di prestito presenti opacità gravi, conviene consultare un avvocato: far valere queste nullità potrebbe essere un escamotage per liberarsi di costi accessori e alleviare il debito.
In sintesi, i rimedi legali (usura, anatocismo, trasparenza) sono armi di cui il debitore dispone soprattutto in fase di contenzioso. Dal punto di vista del “abbassare la rata”, il loro effetto può essere indiretto ma potente: pensiamo al caso in cui un mutuo venga dichiarato gratuito per usura – la rata si riduce alle sole quote capitale; oppure un prestito cessione quinto dove il giudice impone di restituire al consumatore €3.000 di commissioni non dovute – il piano di rimborso si ridurrà in durata o importo. Questi risultati però richiedono un’azione legale o arbitrale e il supporto di periti. Vale la pena conoscerli perché, se si è in posizione di resistere a pretese della banca, possono ribaltare la situazione. Spesso anche solo allegare queste contestazioni può indurre la controparte a scendere a patti, ad esempio proponendo al debitore un saldo e stralcio o una rinegoziazione migliorativa pur di evitare cause.
Occorre infine evitare trappole: molte società poco serie promettono ai debitori “annullamento del mutuo per anatocismo/usura” e chiedono soldi per perizie improbabili. Bisogna affidarsi solo a professionisti qualificati. E ricordare che la giurisprudenza, come visto, è abbastanza consolidata: usura originaria = nessun interesse dovuto, usura sopravvenuta = interessi oltre soglia non dovuti per buona fede, anatocismo su mutuo francese = infondato. Muovendosi in questo solco, il debitore informato dei propri diritti può evitare di pagare ciò che non è dovuto e di conseguenza alleggerire il proprio carico debitorio.
Esempi pratici di riduzione della rata (casi simulati)
Di seguito simuliamo alcuni scenari tipici per vedere in concreto come le varie soluzioni incidono sulla rata e sul debito di un consumatore. Sono esempi semplificati, ma utili a comprendere l’ordine di grandezza dei benefici ottenibili.
- Esempio 1: Rinegoziazione di un mutuo a tasso variabile in aumento – Mario ha un mutuo prima casa con debito residuo €120.000 e durata residua 15 anni. Il mutuo era a tasso variabile euribor + spread 1%: fino a un anno fa pagava un tasso intorno al 1,0% annuo, con una rata di circa €720 al mese. A causa dei rialzi dei tassi, ora il tasso è salito al 4,0% e la rata è aumentata a circa €888 al mese, mettendo in crisi il bilancio familiare. Mario chiede alla banca di rinegoziare: in base alla Legge di Bilancio 2023 (avendo ISEE sotto €35.000 e mutuo <€200k) ha diritto al passaggio a tasso fisso calmierato. La banca accetta e fissa un tasso fisso 3,0% con allungamento di 5 anni (durata residua portata a 20 anni, il massimo consentito). La nuova rata scende a circa €670 al mese. Mario ottiene così un risparmio immediato di €218 mensili rispetto alla rata variabile attuale, addirittura più bassa di quella che pagava originariamente grazie all’estensione della durata. Naturalmente pagherà per 5 anni in più, e il costo totale degli interessi aumenterà; ma dal punto di vista della sostenibilità mensile, la sua rata è ora molto più adeguata al reddito. (Nota: se la banca avesse rifiutato, Mario avrebbe potuto surrogare il mutuo presso altra banca a tasso fisso inferiore, ottenendo magari un risultato simile – infatti molte surroghe nel 2023-24 hanno avuto lo scopo di fissare il tasso variabile aumentato.)
- Esempio 2: Surroga per ridurre il tasso – Anna 5 anni fa ha acceso un mutuo ventennale da €150.000 al tasso fisso del 5% (le rate mensili erano di circa €990). Oggi, nel 2025, i tassi fissi sui mutui sono scesi e una banca concorrente le offre di surrogare il mutuo a un nuovo tasso fisso del 2,5% per i 15 anni rimanenti. Con la surroga, Anna trasferisce il suo mutuo a costo zero e la rata viene ricalcolata al nuovo tasso: scende a circa €790. Ottiene quindi €200 di risparmio al mese senza modificare la durata. In più, la nuova banca le concede (come opzione) di allungare di altri 2 anni la durata, portandola a 17 anni residui: la rata scenderebbe ulteriormente a €720. Anna valuta che può permettersi la rata da 790 e preferisce non allungare troppo il debito, ma è un’opzione in caso di necessità. Grazie alla portabilità, risparmierà circa €36.000 di interessi sul resto del piano rispetto a restare col vecchio tasso.
- Esempio 3: Consolidamento di prestiti con cessione del quinto – Il signor Bianchi ha in corso un prestito auto con rata €250, un prestito arredamento con rata €180, e un fido di conto su cui paga circa €70 di interessi mensili. In totale spende ~€500 al mese di uscite debitorie. Il suo stipendio netto è €1.600, quindi queste rate assorbono quasi un terzo, e recentemente ha avuto altre spese (figlio a carico) che rendono pesante l’esborso. Bianchi decide di consolidare i debiti: richiede una cessione del quinto sulla pensione del padre (che si offre di aiutarlo) per ottenere liquidità e chiudere i suoi prestiti. Con la cessione sulla pensione (netta €1.200) ottiene €20.000 su 10 anni, rata €240 (pari al quinto). Usa i €20.000 per estinguere entrambi i prestiti e azzerare il fido. Risultato: le sue vecchie rate €430 (250+180) scompaiono, e la pensione del padre “ospita” la rata di €240. In famiglia ora escono €240 al mese contro i precedenti €500, ottenendo un sollievo di €260 mensili. Il costo è che il padre per 10 anni avrà la trattenuta (ma è una cifra sostenibile per lui). Bianchi potrà restituire gradualmente al padre magari una parte dell’importo (in famiglia), ma intanto formalmente i debiti bancari sono sistemati. – Una variante: se Bianchi fosse dipendente egli stesso, poteva fare la cessione sul proprio stipendio di €1.600 – avrebbe ottenuto ad es. €18.000 con rata €320 (1/5 di 1600). Avrebbe chiuso i prestiti e rimarrebbe con €320 di uscita, comunque inferiore ai €500 originali, guadagnando €180 di respiro al mese.
- Esempio 4: Moratoria per difficoltà temporanea – Chiara ha un mutuo prima casa con rata €600 mensili. Purtroppo, a seguito di una riorganizzazione aziendale, viene messa in cassa integrazione per 6 mesi, con forte riduzione dello stipendio. Per evitare di saltare le rate, Chiara presenta domanda al Fondo di solidarietà prima casa (Fondo Gasparrini). Avendo i requisiti (mutuo €120.000 residuo, ISEE €25.000, evento di sospensione lavorativa certificato), la sua banca accoglie la richiesta e le sospende le rate per 6 mesi. In questo periodo Chiara non paga nulla di mutuo; il Fondo copre metà degli interessi maturati, l’altra metà (~€1.200 in sei mesi) viene aggiunta al suo debito residuo. Chiara trova un nuovo impiego dopo 4 mesi e alla scadenza dei 6 mesi di moratoria riprende i pagamenti. Il suo debito residuo nel frattempo è passato da €120.000 a circa €121.200 per via degli interessi non coperti dal Fondo, e la durata del mutuo si è allungata di 6 mesi. L’effetto per Chiara è stato di avere zero esborso per 6 mesi nel momento critico, evitando arretrati e pignoramenti, al costo di pagare un anno aggiuntivo di mutuo più avanti (per smaltire i €1.200 in più). La sua rata rimane circa la stessa di prima (leggermente maggiorata di pochi euro). – Nota: se Chiara non avesse avuto diritto al Fondo, avrebbe potuto chiedere alla banca una sospensione volontaria: alcune banche offrono pause di 3-6 mesi magari capitalizzando tutti gli interessi; sarebbe stata comunque un aiuto temporaneo. Importante è che durante la moratoria Chiara abbia cercato attivamente nuova occupazione, così da poter riprendere i pagamenti regolarmente dopo.
- Esempio 5: Piano del consumatore per sovraindebitamento – Il signor Rossi, commerciante, ha accumulato debiti per €250.000 (mutuo seconda casa €150k, prestiti personali €50k, debiti con fornitori €30k, varie pendenze con Agenzia Entrate €20k). La sua attività è andata male e il reddito attuale consente al massimo di pagare rate per €500 al mese. In condizioni normali, €500/mese non coprono nemmeno gli interessi del suo debito totale – è in una trappola debitoria. Rossi si rivolge a un OCC e avvia una procedura di ristrutturazione dei debiti (piano del consumatore). Propone di vendere la seconda casa (valore €100k) e di pagare i restanti €150k di debiti in 5 anni x €500/mese (che fanno €30k), per un totale di €130.000 soddisfatto su €250.000 (circa 52%). Giustifica che più di così non può fare. I creditori finanziari e il Fisco, valutando che in una liquidazione forzata prenderebbero forse anche meno, non si oppongono. Il Tribunale omologa il piano. Rossi vende la casa, versa il ricavato e nei 5 anni seguenti paga i €500 mensili pattuiti. Alla fine ottiene l’esdebitazione: il giudice lo libera dal saldo dei debiti (€120k circa rimasti). In termini di “rata”, Rossi è passato da rate teoriche per migliaia di euro (impagabili) a un impegno mensile di €500 fissato per legge, e dopo 5 anni ha zero debiti. Certo, ha perso l’immobile secondario, è stato iscritto nella procedura concorsuale (difficoltà ad avere credito futuro), e ha vissuto 5 anni con il minimo necessario. Ma ha evitato il fallimento personale e soprattutto ha protetto la sua casa principale (non avendo ipoteche su quella). Questo esempio mostra come, grazie alla procedura, la “rata globale” dei debiti di Rossi sia stata ridotta a un livello sostenibile, con in più la prospettiva di finire completamente liberato. Senza la procedura, le banche avrebbero potuto aggredire anche la casa principale e Rossi sarebbe rimasto comunque debitore.
- Esempio 6: Esdebitazione per saldo e stralcio del debito residuo – Lucia aveva contratto vari prestiti per avviare una piccola attività, ma è andata male. Ha già subito pignoramenti e alla fine le hanno venduto all’asta un piccolo magazzino di sua proprietà. Dopo la vendita, però, è rimasto un debito residuo di €40.000 verso banche e €10.000 verso il Fisco. Lucia non ha più beni né redditi stabili (solo lavoretti saltuari). In pratica è nullatenente, ma formalmente quei €50k di debiti pendono su di lei e non potrebbe mai pagarli. Lucia presenta istanza di esdebitazione del debitore incapiente al Tribunale, documentando di aver cooperato con la vendita del magazzino e di non possedere altro. Il Tribunale, verificata la sua meritevolezza (non ha colpe gravi né frodi, i debiti derivavano da attività lecita), le concede l’esdebitazione totale immediata. Così, €50.000 di debiti residui vengono cancellati. Lucia può ricominciare da capo senza quella zavorra. Di fatto, le sue “rate” passano da un importo infinito (non potendo pagare, il debito sarebbe rimasto a vita) a zero. Chiaramente ora Lucia avrà vita difficile a ottenere nuovi finanziamenti, ma almeno non vive più nell’angoscia dei debiti impagabili. Questo esempio estremo evidenzia la funzione sociale dell’esdebitazione: eliminare quelle situazioni senza uscita.
Ogni caso di sovraindebitamento è diverso, ma in generale questi strumenti permettono spesso di ottenere riduzioni nell’ordine del 50-80% del totale dovuto (a volte anche 90-100% se il debitore è totalmente incapiente). Di conseguenza, le “rate” originarie diventano del tutto sostenibili o scompaiono. È però fondamentale farsi assistere da professionisti qualificati (gestori della crisi, avvocati) e rispettare scrupolosamente le procedure.
Questi esempi illustrano che per ogni situazione c’è un ventaglio di opzioni. L’importante per il debitore è muoversi con anticipo, informarsi sui propri diritti e sulle opportunità normative, e possibilmente farsi assistere da professionisti (avvocati, consulenti del debito) quando la situazione è complessa. Molte volte, combinare più soluzioni è la chiave: ad es. sospendere le rate per 6 mesi, nel frattempo cercare una surroga o un consolidamento, oppure avviare un piano del consumatore e contestualmente negoziare con la banca. L’approccio dev’essere strategico e personalizzato sul caso specifico.
Di seguito, due tabelle riepilogative sintetizzano i principali strumenti e le loro caratteristiche.
Tabella 1: Confronto delle principali soluzioni stragiudiziali per ridurre la rata
Soluzione | Descrizione | Normativa | Vantaggi per il debitore | Svantaggi / Limitazioni |
---|---|---|---|---|
Rinegoziazione (con la stessa banca) | Accordo modificativo del contratto originario (variazione di tasso, durata, ecc.). Si formalizza con scrittura privata senza spese notarili. La banca non è obbligata a consentirla, salvo casi previsti da legge. | Art. 8 D.L. 7/2007 (Decreto Bersani bis) – Operazioni di rinegoziazione mutui esenti da tasse e senza costi per il cliente. Legge 197/2022 (L. Bilancio 2023) art.1 co.476 – Obbligo per banca di offrire rinegoziazione variabile→fisso entro 12/2023 per mutui ≤ €200k con ISEE ≤ €35k. | – Nessun costo aggiuntivo (gratuita per legge). – Procedura semplice, resta lo stesso contratto (stesse garanzie, niente nuova istruttoria). – Possibile ottenere riduzioni significative di rata se la banca acconsente (es. abbassamento tasso, molti anni in più di durata). | – Facoltativa per la banca (tranne eccezioni normate): il cliente non può pretenderla unilateralmente. – Spesso concessa solo a clienti ancora affidabili (la banca verifica il merito creditizio anche per rinegoziare). – Se la banca rifiuta, il debitore deve cercare alternative (surroga, ecc.). – Non incide su eventuali altri debiti esterni: agisce sul singolo rapporto. |
Surroga del mutuo (portabilità) | Trasferimento del mutuo a una nuova banca che subentra nelle garanzie, applicando condizioni migliorative (tasso più basso e/o durata modulata). L’importo del nuovo mutuo = debito residuo del vecchio. Gratuita per il cliente, i costi sono a carico della banca subentrante. | Art. 120-quater TUB – Diritto alla surrogazione nel credito per finanziamenti. L. 40/2007 (conv. D.L. Bersani) – Divieto di penali o ostacoli contrattuali alla portabilità. Art. 120-quater co.7 TUB – Termine 30 giorni per perfezionare surroga; indennizzo 1% al mese se ritardo imputabile alla banca originaria. | – Riduzione consistente della rata sfruttando la concorrenza: si accede a tassi più bassi disponibili sul mercato. – Zero costi per il cliente (notaio, perizia, imposte a carico della nuova banca). – Possibile anche allungare la durata residua durante la surroga, ulteriore abbassamento rata. – È un diritto del mutuatario: la banca originaria non può opporsi né imporre condizioni (favorisce il potere negoziale del cliente). | – Applicabile quasi esclusivamente ai mutui con ipoteca (immobili): per prestiti non ipotecari non c’è analogo meccanismo. – Non consente liquidità aggiuntiva (se servono soldi extra, occorre un prestito separato o una sostituzione con importo maggiore). – Richiede che il debitore sia ancora creditworthy: la nuova banca fa istruttoria, se il cliente è in ritardo o segnalato difficilmente accetta la surroga. – Iter tecnico ~1-2 mesi con formalità notarili (anche se a costo zero, ci vuole un po’ di tempo, non è immediata). |
Rifinanziamento / Sostituzione (nuovo prestito o mutuo) | Estinzione anticipata del debito esistente e stipula di un nuovo finanziamento (presso stessa banca o differente) con condizioni più favorevoli o importo maggiore. Include casi di consolidamento debiti (accorpare più prestiti in uno solo). Può cambiare la natura del debito (es. da prestiti vari a un mutuo ipotecario). | Art. 125-sexies TUB – Diritto al rimborso anticipato credito consumo; indennizzo max 1% (0,5% se <1 anno). Dir. 2008/48/CE – caso Lexitor: il consumatore ha diritto alla riduzione proporzionale di tutti i costi in caso di estinzione anticipata. Corte Cost. 263/2022 – Dichiarata incostituzionale norma limitativa: confermato rimborso pro-quota di commissioni e premi anche per contratti pre-2019. | – Consente di ottenere importo extra per nuovi bisogni o per accorpare altri debiti (versatilità). – Permette di cambiare tipologia di credito se conviene: ad es. sostituire debiti alti tassi con un mutuo ipotecario a tasso basso (abbassando la rata). – Riduzione rata garantita se si allunga la durata o si abbassa il tasso: il nuovo piano è tarato sulle esigenze attuali del debitore. – Grazie a Lexitor, l’operazione è più conveniente: il debitore recupera parte dei costi non maturati del vecchio prestito (commissioni, assicurazioni), riducendo l’onere di chiudere anticipatamente. | – Costi di apertura/chiusura a carico cliente: per un mutuo nuovo, notarili e imposta sostitutiva (0,2-0,25% capitale); per prestiti, eventuale commissione istruttoria (anche se alcune offerte sono “zero spese”). Inoltre possibili penali di estinzione anticipata sul vecchio (anche se spesso nulle o minime). – Richiede una nuova istruttoria creditizia: se nel frattempo la situazione del debitore è peggiorata (reddito ridotto, segnalazioni), la banca potrebbe rifiutare il nuovo finanziamento. – Aumento del costo totale degli interessi per via dell’allungamento: diluendo il debito su più anni si paga più interessi complessivi (anche se la rata cala). – Nel caso di mutuo di sostituzione con liquidità: bisogna rifare l’ipoteca, con costi e burocrazia, e si potrebbe perdere qualche agevolazione fiscale su interessi (se non è prima casa, ad es.). |
Consolidamento debiti (caso particolare di rifinanziamento) | Ottenere un unico nuovo prestito per estinguere tutte le posizioni debitorie in essere. Si passa da molte rate separate a un’unica rata mensile più bassa. Può realizzarsi tramite prestito personale dedicato, tramite mutuo di consolidamento (se ipotecabile) o con cessione del quinto (per chi ha capienza). | Normativa generale del credito ai consumatori per prestiti personali consolidamento (trasparenza TUB art. 124, diritto recesso, ecc.). DPR 180/1950 se consolidamento mediante cessione del quinto (regole particolari su quote cedibili e tassi). Linee guida ABI – Varie iniziative “Piano Famiglie” suggeriscono il consolidamento come mezzo per gestire il sovraindebitamento. | – Rata unica minore rispetto alla somma delle precedenti: il debitore alleggerisce l’esborso mensile e riduce il rischio di saltare pagamenti (più facile gestire una scadenza che molte). – Migliora il rapporto rata/reddito spesso sotto soglie accettabili (es. dal 50% al 30% del reddito). – Possibilità di spuntare tassi più bassi medi: consolidando debiti costosi (es. carte revolving al 20%) in un prestito personale al 10% o in un mutuo al 3%, si riduce l’interesse pagato. – Può includere anche una liquidità aggiuntiva per spese imminenti, pur mantenendo la rata sostenibile. | – Necessario essere ancora in regola: le banche erogano prestiti di consolidamento solo se il cliente non è in grave ritardo sui debiti attuali (serve ancora affidabilità creditizia minima). Se già insolvente, il consolidamento non verrà concesso. – Spesso comporta un forte allungamento delle scadenze: soluzione che impegna a pagare per molti anni in più (più interessi totali). – I tassi promessi “più bassi” a volte non lo sono davvero: dipende dal merito creditizio. Un consolidamento senza garanzie potrebbe avere TAEG simile alle precedenti esposizioni – la riduzione di rata viene soprattutto dalla durata, non dal tasso, quindi va valutato se conviene davvero. – Potrebbe richiedere garanzie aggiuntive: es. un’ipoteca su casa o un garante. Questo mette a rischio beni o terzi che prima non erano coinvolti nel debito. – Se il totale dei debiti è molto alto, consolidarli tutti potrebbe non essere possibile per limiti di importo concedibile (specie se il reddito è modesto). |
Cessione del quinto (per consolidare) | Prestito garantito da stipendio/pensione, con rata fissa max 1/5 del netto mensile, durata fino 10 anni. Spesso usato per chiudere altri debiti: la capienza del quinto viene impiegata per ottenere liquidità e saldare esposizioni pregresse. Rata trattenuta a monte dal datore di lavoro/INPS. | D.P.R. 180/1950 e succ. – Disciplina della cessione del quinto (limite 1/5, requisiti reddito, ecc.). Tassi soglia MEF – Il MEF pubblica trimestralmente i tassi effettivi medi e soglie specifiche per cessioni, per classi di importo/età. Art. 125-sexies TUB & Lexitor – Anche la cessione rientra nel credito consumo: penale 1% max per estinzione anticipata e diritto a rimborso pro-quota di costi (confermato da ABF in molte decisioni). | – Accessibile anche a chi ha altri debiti o un credit score compromesso: finché ha stipendio/pensione e non è già pignorato oltre il quinto, la cessione può essere concessa (la banca si tutela con la trattenuta e assicurazione). – Rata “contenuta” per costruzione (massimo 20% del reddito): quindi per definizione sostenibile, e invariabile nel tempo (tasso fisso). – Lunga durata (fino 120 mesi) → la rata su importi medio-alti risulta relativamente bassa. – Assicurazione inclusa che copre caso morte o perdita impiego (garantendo la famiglia ed evitando che il debito ricada sugli eredi). – Utile come “ultima spiaggia” per chi, con debiti in corso, non ottiene altri prestiti normali: la banca concede la cessione perché ha maggiore certezza di rimborso (trattenuta diretta). – Possibile rinnovarla dopo aver rimborsato 40% del capitale o dopo 2 anni (se 10ennale) per ottenere nuovi fondi o tassi migliori: esiste un mercato di “rinegoziazioni” delle cessioni. | – Riservata solo a lavoratori dipendenti (con contratto stabile e TFR accantonato sufficiente) e pensionati. Non disponibile per autonomi o disoccupati. – Tassi elevati rispetto a mutui: TAEG spesso 10-12%, a causa di commissioni e premio assicurativo. Pur calmierati, comportano un interesse totale significativo, specie su 10 anni. – Impegno sullo stipendio per molti anni: il debitore deve vivere con l’80% del reddito finché dura la cessione, riducendo la sua capacità di ottenere altri finanziamenti (non può cedere più di un quinto, salvo delega). – Importo ottenibile limitato: dipende da stipendio * durata. Se il debito complessivo eccede quanto finanziabile col quinto, la cessione non basterà a coprire tutto (es. con €1.000/mese per 10 anni si ottengono circa €10-12k, se uno ha €30k di debiti non basta). – Se si perde il lavoro, il debito residuo va rimborsato attingendo al TFR e poi resta scoperto (anche se subentra assicurazione per quota non coperta, ma ciò può attivare rivalse). – Necessaria attenzione ai costi inclusi: la cessione spesso prevede commissioni elevate inglobate. Se rifinanziata anticipatamente, il debitore deve far valere il diritto al rimborso quote polizza e commissioni (non tutte le finanziarie lo applicano spontaneamente). |
Moratoria / Sospensione rate (temporanea) | Interruzione del pagamento delle rate per un periodo determinato (es. 6-12 mesi), con ripresa successiva del piano (allungando la durata di pari periodo o rimodulando le rate). Può riguardare l’intera rata o la sola quota capitale. Esempi: il Fondo Gasparrini per mutui prima casa (sospensione fino 18 mesi in caso di perdita lavoro, ecc.), le moratorie COVID su mutui e prestiti, gli accordi ABI per famiglie in difficoltà. | L. 244/2007 art. 2 co.475-480 – Istituzione Fondo solidarietà mutui prima casa (criteri per sospensione fino 18 mesi). DL 18/2020 (“Cura Italia”) – Misure straordinarie COVID: estensione Fondo Gasparrini a autonomi, moratoria mutui PMI, ecc.. Accordi ABI 2019-2020 – Protocollo “Famiglie in difficoltà” per sospensione volontaria prestiti personali e mutui (basati su adesione banche). | – Sollievo immediato: per la durata della sospensione, l’esborso mensile è azzerato, liberando risorse nel breve termine. – Evita di accumulare arretrati durante crisi temporanee: il debitore guadagna tempo e non viene considerato moroso (nel Fondo Gasparrini, la sospensione è registrata ma non come default). – Protegge i beni da escussioni immediate: es. sospendendo il mutuo, si evita la risoluzione del contratto e un possibile pignoramento della casa mentre si cerca di ristabilire il reddito. – Spesso è supportata da intervento pubblico: Stato o enti coprono parte degli oneri. Nel Fondo prima casa, il MEF rimborsa il 50% degli interessi alla banca, riducendo il costo per il cliente. – Procedura relativamente semplice: modulo di domanda e documentazione evento (es. lettera licenziamento, certificato infortunio). Per il Fondo statale decide Consap in 15 giorni. | – Non riduce la rata in modo permanente: la sospensione è un rinvio. Terminato il periodo, il debitore si ritrova lo stesso debito di prima (salvo interessi aggiuntivi) e deve riprendere pagamenti uguali o leggermente maggiori. – Gli interessi durante lo stop continuano in parte a maturare e sono a carico del debitore (nel Fondo, il 50%): ciò aumenta leggermente il debito residuo o comporta qualche rata in più dopo. – Accessibile solo in certi casi predeterminati: es. perdita lavoro, riduzione orario ≥30%, morte/invalidità grave per il Fondo prima casa. Oppure eventi eccezionali tipo pandemia. Chi ha difficoltà generiche (es. reddito diminuito ma non per eventi codificati) potrebbe non aver diritto. – Durata limitata: max 18 mesi (Fondo) o periodi stabiliti dagli accordi. Se la crisi dura più a lungo, la sospensione da sola non risolve. – Per prestiti che non rientrano in accordi di sistema, serve la disponibilità individuale della banca: non garantita e tutta da negoziare (incerto l’esito). – Rischio effetto rimandato: se la situazione del debitore non migliora nel periodo di grazia, alla ripresa si troverà con rate cumulative. La moratoria non è una soluzione definitiva, ma un palliativo. |
Tabella 2: Procedure legali per sovraindebitamento (soluzioni giudiziali dal punto di vista del debitore)
Procedura (Legge) | Caratteristiche | Vantaggi per il debitore | Svantaggi / Considerazioni |
---|---|---|---|
Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”) Codice della Crisi 2019, artt. 67-73 | Procedura concorsuale presso il Tribunale per debitori civili sovraindebitati (privati, professionisti, piccoli imprenditori non fallibili). Il debitore, con l’ausilio di un OCC (Organismo Composizione Crisi), propone un piano di pagamento parziale dei debiti, commisurato alla sua capacità, da omologare dal giudice. Non richiede l’accordo dei creditori (procedimento unilaterale). Prevista la esdebitazione finale dei debiti residui al completamento. Requisiti: assenza di mala fede o colpa grave nel sovraindebitamento, e non aver già usufruito di esdebitazione negli ultimi 5 anni. Sostituisce la procedura della L.3/2012 (c.d. piano del consumatore abrogato). | – Riduzione drastica dei debiti: il debitore paga solo quanto effettivamente può permettersi (spesso una percentuale modesta, es. 20-30%) e il resto viene cancellato. La sua “rata globale” dei debiti viene abbassata a un importo sostenibile per alcuni anni, poi azzerata. – Unificazione di tutte le obbligazioni in un unico piano, sotto controllo del tribunale: stop a interessi ulteriori e azioni esecutive individuali (vengono sospese appena si presenta la procedura). – Possibilità di salvare beni essenziali (es. la casa di abitazione, l’auto necessaria) inserendo nel piano soluzioni ad hoc: es. prevedere di continuare a pagare il mutuo prima casa regolarmente o rinegoziarlo all’interno del piano, per non perdere l’immobile. – Fresh start a fine piano: una volta eseguiti i pagamenti approvati (di solito durano 4-5 anni), il debitore viene liberato da tutti i debiti pregressi residui (esdebitazione). Può ricominciare senza pendenze. | – Procedura complessa e formale: richiede assistenza dell’OCC e legale, documentazione completa di tutti i debiti e beni, e un’analisi approfondita della situazione. – Tempistiche lunghe: l’omologazione può richiedere mesi; il piano in sé dura alcuni anni di sacrifici (il debitore deve versare regolarmente la quota concordata, sotto vigilanza). – Necessaria collaborazione leale: il debitore deve dichiarare tutto il patrimonio e reddito, e destinare ai creditori tutto il surplus oltre quanto gli serve per il mantenimento dignitoso. Comporta restrizioni sul tenore di vita e controlli fino a fine piano. – Accessibile solo ai meritevoli: se il giudice rileva atti in frode (es. beni sottratti ai creditori prima della procedura) o un ricorso eccessivo al credito in modo irresponsabile, può negare l’omologa. La buona fede è essenziale. – Impatto sul credit score: il nominativo viene iscritto nei registri di procedure concorsuali e verosimilmente in banche dati; ottenere credito in futuro sarà difficile (quantomeno per alcuni anni post-esdebitazione). – Costi procedurali: bisogna pagare un compenso all’OCC e le spese di procedura (anche se spesso vengono inserite nel piano stesso). Non è gratuita, anche se è molto meno onerosa di un fallimento. |
Concordato minore / Accordo di ristrutturazione (per piccoli imprenditori e professionisti) Cod. Crisi artt. 74-83 (conc. minore); art. 65 (accordo) | Procedure affini al piano consumatore ma rivolte a debitori con debiti anche d’impresa. Il concordato minore prevede una proposta di accordo che necessita dell’adesione di una maggioranza di crediti (≥60%); il tribunale può omologare anche con qualche dissenso se la proposta è conveniente per i creditori dissenzienti. L’accordo di ristrutturazione è una versione negoziata (richiede ≥ 60% di consensi e lascia estranei i non aderenti, con omologazione). Sono destinate a ditte individuali, imprenditori sotto soglie fallimento, professionisti con studi, ecc., anche se hanno debiti misti personali e aziendali. Possibile la continuità aziendale (proseguire l’attività pagando solo parte dei debiti). Esdebitazione ottenibile a fine procedura. | – Consente anche a soggetti non meramente “consumatori” (es. imprenditore piccolo, artigiano, professionista) di ottenere una riduzione dei debiti personali non coperti da fallimento. Colma il vuoto per categorie che resterebbero escluse dal piano consumatore. – Struttura flessibile: può prevedere sia la liquidazione di beni sia la continuazione dell’attività. Ad esempio, un negoziante può proporre di pagare i creditori in parte coi futuri utili, ristrutturando l’impresa. – Possibilità di esdebitazione finale anche se qualche creditore è contrario (il giudice può omologare se la maggioranza qualificata è d’accordo e gli altri non sono trattati peggio di come sarebbe altrimenti). – Permette di gestire debiti aziendali insieme ai personali: ad esempio, debiti fiscali dell’attività, debiti verso fornitori, oltre ai debiti bancari personali, tutti nel medesimo accordo. – Anche qui, se omologato, sospende ed impedisce azioni esecutive individuali, dando respiro all’impresa. | – Richiede spesso il consenso di una parte dei creditori: se non si riesce a convincere almeno il 60% dei crediti, la proposta non passa (nel concordato minore). Il debitore quindi deve negoziare attivamente con banche, fornitori, ecc. Possibile difficoltà se uno o due grandi creditori sono contrari. – Meno vantaggioso per il debitore rispetto al piano puro: i creditori hanno più voce in capitolo. Potrebbero chiedere condizioni più gravose (es. pagamenti percentuali più alti) per aderire. – Procedura comunque pubblica e giudiziale: implica costi, tempi e perdita di privacy (registro delle imprese/procedure, eventuale nomina di un professionista attestatore o liquidatore). – Il debitore perde in parte il controllo: viene nominato un commissario/gestore della crisi che supervisiona. Deve sottostare alle regole concordatarie. – Se punta alla continuazione dell’attività, deve presentare un piano attendibile di risanamento – se poi non riesce a rispettarlo, rischia il fallimento successivo. Quindi serve fattibilità. – Anche qui, reputazione: la procedura concorsuale sarà nota nel circondario economico, con possibili impatti su rapporti commerciali e di credito futuri. |
Liquidazione controllata & Esdebitazione (ex “liquidazione del patrimonio”) Cod. Crisi artt. 268-277 (liq. controllata); art. 278-283 (esdebitazione) | Procedura concorsuale in cui il debitore sovraindebitato mette a disposizione tutto il suo patrimonio liquidabile. Il Tribunale nomina un Liquidatore che vende i beni (immobili, mobili, crediti) e ripartisce il ricavato tra i creditori secondo le prelazioni. Al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti rimasti insoddisfatti (anche totalmente insoddisfatti, se il ricavato è zero). Se il debitore è totalmente privo di beni e redditi, può chiedere direttamente l’esdebitazione del debitore incapiente (una volta nella vita) senza nemmeno aprire la liquidazione, purché abbia meritevolezza e non abbia vantaggi trasferibili ai creditori. In sostanza è l’equivalente del “fallimento” per il non fallibile, con la differenza che offre sempre la liberazione dal debito residuo. | – Azzera definitivamente i debiti anche in caso di totale incapacità di pagarli. Il debitore, dopo aver ceduto i suoi beni (se ne ha) e terminato la procedura, viene liberato dai debiti (salvo poche eccezioni di legge). Anche se i creditori non ottengono nulla o poco, la persona viene riabilitata. – Possibilità di esdebitazione anche senza alcun pagamento (caso incapiente): se il debitore non possiede nulla di aggredibile e il sovraindebitamento non è colposo, il giudice può concedere l’esdebitazione immediata “a zero”. Questa è una misura di clemenza sociale molto incisiva, pensata per situazioni disperate (es. nullatenenti sommersi da debiti per fideiussioni, etc.). – Per il debitore con beni, la liquidazione offre un modo ordinato e tutelato di vendere il patrimonio e soddisfare i creditori, evitando il caos di pignoramenti multipli. Viene gestita da un professionista che spesso riesce a vendere a valori migliori che nelle esecuzioni individuali. – Stop immediato alle azioni esecutive: una volta aperta la liquidazione controllata, i creditori non possono iniziare né proseguire pignoramenti separati. – Dopo l’esdebitazione, il debitore può ripartire da zero senza l’incubo del debito a vita, anche se non ha restituito interamente i creditori (questo incentiva anche l’economia sommersa a riemergere). | – Perdita totale del patrimonio disponibile: il debitore deve rinunciare a tutti i suoi beni non impignorabili. Se ha casa di proprietà, auto, risparmi, verranno tutti alienati. Restano solo i beni di stretta necessità (es. beni di uso quotidiano di modico valore, stipendio nei limiti del minimo vitale). – È una procedura concorsuale assimilabile al fallimento: stigma sociale pesante, iscrizione nei registri. Anche se tecnicamente il debitore persona fisica non viene definito “fallito”, di fatto subisce effetti analoghi: nomina di liquidatore, spossessamento dei beni, obblighi di cooperazione, interrogatorio in tribunale sulle cause di insolvenza, etc. – Accesso all’esdebitazione condizionato: non viene concessa automaticamente se risultano comportamenti scorretti (frode, dolo, uso abusivo del credito). Inoltre, nel caso di esdebitazione incapiente, il giudice può rifiutarla se ritiene che il debitore abbia anche minima capacità di rimborso futura (in quel caso suggerisce di aprire comunque la liquidazione e destinare ai creditori eventuali futuri redditi per 4 anni). – Impatto futuro gravissimo sul credito: chi passa per una liquidazione concorsuale ed esdebitazione difficilmente potrà accedere a finanziamenti per molto tempo. Le banche considerano questi soggetti ad altissimo rischio e li vedono come ex insolventi. – Durante la procedura (che dura il tempo necessario a liquidare i beni, spesso 2-3 anni) il debitore è sotto vincolo: se per esempio ottiene redditi extra, devono essere comunicati al liquidatore e in parte destinati ai creditori. Non può sottrarre beni o guadagni nuovi, altrimenti rischia sanzioni (anche penali). – Dal punto di vista emotivo e personale, è un percorso duro: ammettere la propria “bancarotta” personale non è facile, e perdere la casa o i risparmi di una vita è traumatico. Per questo l’ordinamento lo pone come ultima spiaggia. |
Domande frequenti (FAQ)
D: Dopo quanto tempo dalla stipula posso chiedere di abbassare la rata del mutuo?
R: La legge non prevede un termine minimo per richiedere una rinegoziazione o una surroga del mutuo. In teoria lo potresti fare anche subito dopo la stipula. Nella pratica, però, le banche tendono a considerare richieste di rinegoziazione dopo almeno 12 mesi di regolare ammortamento. Analogamente, per la surroga, molte banche subentranti preferiscono che il mutuo abbia “storico” di almeno 1 anno di pagamenti puntuali. Questo per valutare l’affidabilità creditizia del cliente. Nulla vieta comunque di provare prima se c’è un valido motivo (ad es. un crollo dei tassi di mercato, oppure un evento imprevisto che rende la rata insostenibile). Va considerato che non c’è un limite legale nemmeno al numero di volte che si può rinegoziare o surrogare: se le condizioni di mercato migliorano più volte nel tempo, il mutuatario può intervenire più volte (tenendo conto di costi e tempi tecnici di ciascuna operazione). Ad esempio, c’è chi ha surrogato il mutuo due o tre volte in 5-6 anni seguendo la discesa dei tassi.
D: La banca può rifiutare la mia richiesta di rinegoziazione?
R: Sì, la rinegoziazione è basata sull’accordo volontario delle parti. La banca non è obbligata ad accordartela (salvo rare eccezioni normative, come la norma del 2023 sul passaggio a tasso fisso per alcuni mutui variabili). In caso di rifiuto, hai comunque l’opzione della surroga presso altro istituto: la banca originaria non può impedirti di trasferire il mutuo. Ricorda anche che, pur non essendo tenuta a dirti di sì, la banca ha l’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede: ciò implica che deve darti un riscontro tempestivo e motivato alla richiesta. Se ritieni che la banca stia ignorando o ritardando ingiustificatamente, puoi presentare un reclamo scritto e, in caso di mancata o insoddisfacente risposta entro 60 giorni, rivolgerti all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF). In molti casi, comunque, la semplice minaccia di trasferire il mutuo altrove (o di intraprendere un contenzioso) può spingere la banca a riconsiderare la rinegoziazione su basi più favorevoli. Per i prestiti personali non esiste neppure una prassi di rinegoziazione formale: se la finanziaria rifiuta di abbassare la rata, l’unica via è chiudere il prestito (consolidarlo altrove o estinguerlo anticipatamente se possibile).
D: Ci sono costi nel modificare il mio mutuo o prestito?
R: Dipende dalla soluzione scelta:
- Rinegoziazione interna: per legge è gratuita. Nessuna commissione e nessun notaio richiesto. L’unico piccolo costo eventuale può essere un’imposta di registro fissa (di solito €200) in caso di atto notarile di modifica ipoteca, ma molte banche se lo accollano o trovano modalità (scrittura privata autenticata) per evitare anche quello.
- Surroga: completamente gratuita per il cliente. La nuova banca paga essa i costi di perizia, notaio, imposte. Fai solo attenzione a eventuali prodotti facoltativi che la nuova banca potrebbe proporti in sede di surroga (es. polizza casa, conti): quelli sono extra volontari, non obbligatori.
- Sostituzione con nuovo mutuo/prestito: qui dovrai affrontare i costi come per una normale nuova stipula. Quindi: commissioni di istruttoria, spese di perizia, notaio e imposta sostitutiva (0,25% o 2% a seconda dei casi) se è un mutuo ipotecario. Inoltre, se il vecchio contratto lo prevede, potresti dover pagare una penale di estinzione anticipata: sui mutui casa stipulati dopo il 2007 in genere è zero (grazie alla legge Bersani), su mutui antecedenti può essere dallo 0,2% all’1% (decrescente negli ultimi anni di mutuo); sui prestiti personali il TUB consente massimo 1% (0,5% se < 1 anno a scadenza, e zero se manca meno di 3 mesi). Va controllato il contratto.
- Consolidamento: se fatto via prestito personale, valgono i costi di un normale prestito (spesso le finanziarie incorporano le spese nel TAEG). Alcune offerte pubblicizzano “zero spese di istruttoria”, ma magari compensano con tasso leggermente più alto: confronta il TAEG. Se fatto via mutuo di consolidamento, hai i costi tipici di un mutuo (notaio, perizia, imposta sostitutiva 0,25%) purtroppo a tuo carico (perché è tecnicamente una nuova stipula e non rientra nella surroga gratuita).
- Cessione del quinto: formalmente non ha spese up-front per il cliente: tutte le commissioni e premi assicurativi sono inclusi nel TAEG che ti viene comunicato. Tuttavia, attenzione al netto ricavo: ad es. chiedi €20.000 e potresti vedertene erogati effettivamente €18.000 perché €2.000 sono costi trattenuti (commissioni e premio unico assicurativo). Non sono “spese” da pagare cash, ma riducono la liquidità ottenuta. Verifica sempre il contratto e l’Indicatore Sintetico di Costo per capire quanto stai effettivamente pagando. In caso di estinzione anticipata, come detto, hai diritto a rimborso di parte di quei costi.
- Procedure di sovraindebitamento: comportano costi procedurali (compenso del Gestore/OCC, spese legali, eventuali perizie) che variano in base al caso ma possono essere qualche migliaio di euro. Di solito vengono inclusi nel piano: ovvero l’OCC accetta di essere pagato con i fondi raccolti per i creditori, e i creditori stessi nel piano vedono considerata una classe di spese prededotte. Se il debitore non ha liquidità iniziale, spesso l’OCC inizia il lavoro comunque, con l’impegno di essere soddisfatto a fine procedura. In ogni caso, costa molto meno di un fallimento classico (dove le spese possono essere decine di migliaia). Per dare un’idea, in procedure semplici il compenso OCC+legali può essere €2-3.000 euro. È un investimento per azzerare decine di migliaia di debiti, ma non è “gratis”.
D: Posso ottenere una riduzione della rata senza allungare la durata?
R: In generale, ridurre sensibilmente la rata senza estendere la durata è possibile solo se riesci ad abbassare di molto il tasso di interesse. Ad esempio, se passi da un tasso del 6% a uno del 2% su un mutuo ventennale residuo, la rata scenderà in modo significativo mantenendo la stessa durata (perché stai pagando molti meno interessi su ogni rata). Oppure se ottieni un taglio del debito (capitale) tramite accordi transattivi o procedure concorsuali, naturalmente la rata su meno debito sarà inferiore. Tuttavia, nella maggior parte dei casi pratici, soprattutto per prestiti a tasso fisso già in ammortamento, la leva principale per abbassare la rata è allungare la durata. Questo diluisce il rimborso del capitale su più tempo e alleggerisce ogni singolo pagamento, al prezzo di più interessi totali. Se non vuoi prolungare troppo, potresti scegliere un compromesso: ad esempio consolidare i tuoi debiti su una durata media (es. portare tutto a 7 anni invece di 4, non per forza 10). Alcune banche inoltre offrono opzioni di “rata flessibile”: invece di allungare formalmente la durata, ti consentono di pagare una rata ridotta per alcuni mesi (accodando la differenza in coda) o di saltare una rata all’anno. Ma queste opzioni devono essere previste dal contratto originario o concesse caso per caso: non riducono il dovuto, spostano solo i pagamenti. Quindi, se l’obiettivo è significativamente abbassare l’importo mensile senza toccare la scadenza finale, serve puntare su una riduzione del tasso o del capitale dovuto – il che avviene solo con rifinanziamenti a tasso minore, surroghe, o accordi di stralcio.
D: Ho saltato delle rate; posso comunque chiedere di rinegoziare o surrogare?
R: Se hai già delle rate in arretrato, la tua posizione agli occhi delle banche è purtroppo compromessa per richieste di nuovo credito. In linea di massima, le banche rifiutano di rinegoziare mutui/finanziamenti se il cliente è in mora, preferendo prima che regolarizzi gli arretrati. Ciò non toglie che tu possa provare a negoziare spiegando la situazione: talvolta la banca accetta di rinegoziare a condizione che gli arretrati vengano trattati (es. li accoda al capitale residuo, oppure richiede un pagamento parziale immediato degli stessi) e poi ripartire con rata più bassa. Molto dipende dal dialogo con l’ufficio crediti e dalla fiducia che hanno in un tuo rilancio (spiega le cause del ritardo e se sono risolte). Più difficile è la surroga: se risulti segnalato nei sistemi di informazione creditizia per ritardi > 2 rate (sofferenza), quasi nessuna banca accetterà di subentrare rilevando il mutuo. Le politiche di rischio delle banche impediscono di acquisire clienti già in default. In tal caso, rimangono due strade:
- Regolarizzare i pagamenti arretrati (magari attingendo a risparmi o vendendo qualche bene) e poi chiedere surroga/rinegoziazione quando sei di nuovo in bonis – ma capisco che se chiedi è perché forse non hai queste risorse.
- Rivolgerti a un consulente del debito o a un’associazione di consumatori per valutare soluzioni alternative personalizzate. Ad esempio, potrebbero aiutarti a impostare un piano di rientro concordato: un accordo extra-giudiziale con tutti i creditori per diluire gli arretrati e magari ridurre interessi. Oppure valutare se ricorrono i presupposti per una procedura da sovraindebitamento (come spiegato prima) per ristrutturare l’intero debito con l’intervento del tribunale. In pratica, se la situazione è già deteriorata, occorre un reset più strutturale. Anche la cessione del quinto in certi casi può aiutare a risanare arretrati: se hai uno stipendio e sei segnalato, potresti comunque ottenere una cessione che fornisca liquidità per coprire le rate scadute, perché la finanziaria che concede il quinto guarda più al tuo datore di lavoro che alla tua storia creditizia. In sintesi, non disperare: parla apertamente con la banca, alcune preferiscono trovare un compromesso (tipo allungare il piano includendo gli arretrati) piuttosto che procedere legalmente. Se invece la banca ha già attivato procedure (ingiunzioni, pignoramenti), valuta prontamente le tutele legali (es. opposizione in giudizio se ci sono irregolarità, o procedure concorsuali).
D: Conviene farmi aiutare da un avvocato o da una società di consulenza debiti?
R: Dipende dalla complessità del caso. Per semplici richieste di rinegoziazione o surroga, in genere puoi muoverti da solo: non ci sono particolari cavilli legali, è più una trattativa commerciale (e la surroga è standardizzata). Tuttavia, se la banca oppone resistenza o se ci sono aspetti tecnici (es. vuoi contestare un tasso usurario, o proporre un saldo e stralcio), l’assistenza di un avvocato specializzato in diritto bancario può fare la differenza: conosce i tuoi diritti, sa interloquire con l’ufficio legale della banca, può impostare le lettere in modo più incisivo e tutelante. Attenzione invece alle sedicenti “società di consulenza debiti” che chiedono molti soldi upfront promettendo miracolose cancellazioni di debiti: informati sulla loro reputazione. Spesso, se hai più creditori e la situazione è grave, l’ideale è affidarsi a organismi riconosciuti (ad es. il Movimento Consumatori, Adiconsum, etc., hanno sportelli sovraindebitamento) o a un gestore della crisi nominato dal tribunale. In ogni caso, non vergognarti a chiedere aiuto: i professionisti hanno già visto molti casi come il tuo e possono consigliarti la strategia migliore. Il costo di un consulto legale può ripagarsi da sé se porta a un risparmio notevole su interessi o a evitare errori procedurali. Ad esempio, presentare da soli un piano del consumatore senza tutti i requisiti potrebbe portare a rigetto; con un legale/OCC esperto aumentano le chance di successo. Quindi direi: se la situazione è gestibile con due telefonate e una lettera (es. surroga), puoi tentare in autonomia; se è intricata, meglio investire in assistenza qualificata.
Conclusione
Abbassare la rata di un finanziamento è possibile e, come abbiamo visto, esistono molte strade percorribili nel sistema italiano. La scelta dipende dalla situazione specifica del debitore: livello di difficoltà finanziaria, tipologia e numero di debiti, presenza di garanzie, prospettive future. In linea generale, le soluzioni negoziali (rinegoziazione, surroga, consolidamento) vanno tentate per prime, perché evitano di arrivare a situazioni di insolvenza conclamata e preservano il rapporto con la banca. Se il debitore si muove per tempo – ad esempio quando perde il lavoro o subisce un calo di reddito – può spesso ottenere una rimodulazione che gli evita guai maggiori.
Nei casi più gravi, le misure legali di emergenza (moratorie) e poi le procedure concorsuali di sovraindebitamento forniscono una rete di sicurezza: anche chi è travolto dai debiti ha la possibilità, tramite il tribunale, di ridurre il peso del proprio debito a ciò che può effettivamente pagare e ripartire senza debiti. Ovviamente, queste soluzioni hanno un impatto notevole sulla vita del debitore (perdita di beni, restrizioni), ma sono pensate come ultima risorsa e sono preferibili all’alternativa di un indebitamento perpetuo senza via d’uscita.
Dal punto di vista del debitore, il consiglio principale è: non aspettare che la situazione degeneri troppo. Appena la rata diventa “troppo alta” rispetto al reddito, agire: verificare se il tasso è ancora competitivo (magari si può surrogare), se si può estendere la durata, se esistono agevolazioni pubbliche (come il Fondo prima casa) o se è il caso di vendere qualcosa per ridurre il debito. Prima di saltare pagamenti, contattare la banca per cercare un accordo – molte banche preferiscono trovare soluzioni con il cliente piuttosto che dover gestire crediti deteriorati.
Allo stesso modo, informarsi sui propri diritti: ad esempio sapere che una penale di mora esagerata non è dovuta, o che con un ISEE basso si può congelare il mutuo per un anno, o che la legge consente di trasferire il mutuo senza spese – queste conoscenze danno al debitore un potere negoziale. In questa guida abbiamo fornito riferimenti normativi e sentenze aggiornate proprio per permettere un dialogo consapevole con gli istituti di credito.
In conclusione, sì, è possibile diminuire la rata di un prestito, ma è fondamentale scegliere la strada giusta e spesso conviene farsi affiancare da un professionista di fiducia. Con gli strumenti disponibili – dal semplice allungamento di un piano di ammortamento, fino al complesso piano del consumatore – quasi ogni situazione debitoria può trovare una soluzione sostenibile. L’importante è agire con tempestività, trasparenza e, se necessario, con coraggio nel chiedere aiuto e nel percorrere anche vie giudiziali se non ci sono alternative. Il punto di vista del nostro ordinamento ormai è chiaro: dare una seconda possibilità a chi si impegna in buona fede a risolvere i propri debiti. Spetta al debitore cogliere questa possibilità, per tornare a guardare al futuro senza l’angoscia di rate impagabili.
Fonti e riferimenti normativi
- Cassazione Civile, Sez. Unite – Sentenza n. 15130/2024. Principio di diritto sull’ammortamento alla francese: non genera anatocismo illegittimo né indeterminatezza contrattuale.
- Cassazione Civile, Sez. I – Ordinanza n. 8322/2025. Conferma dei principi su anatocismo nei mutui a tasso variabile (nessun interesse illegittimo capitalizzato).
- Cassazione Civile, Sez. III – Ordinanza n. 27545/2023. Usura sopravvenuta e buona fede contrattuale: interessi divenuti usurari in corso di rapporto non sono esigibili dal creditore perché costituiscono prestazione sproporzionata contraria a buona fede.
- Cassazione Civile, Sez. I – Ordinanza n. 145/2023. Interessi moratori usurari: vanno esclusi (non dovuti) se superano il tasso soglia; il tasso soglia per la mora si calcola con apposita maggiorazione.
- Corte Costituzionale – Sentenza n. 263/2022. Caso Lexitor in Italia: dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma (art. 11-octies DL 73/2021) che limitava il rimborso dei costi nelle estinzioni anticipate. Confermata la piena applicazione dell’art. 16 Dir. 2008/48/CE anche per contratti pregressi: diritto del consumatore alla riduzione di tutti i costi non maturati.
- Legge 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) – art. 1 comma 322 (co. 476 nella versione finale). Misura temporanea per mutui a tasso variabile prima casa: diritto alla rinegoziazione a tasso fisso entro 31/12/2023 per mutui ≤ €200.000, ISEE ≤ €35.000, senza ritardi. Prorogata al 31/12/2024 dalla Legge di Bilancio 2024 (L.197/2023, art. 1 co. 7).
- Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993) – Art. 120-quater TUB: diritto alla portabilità del mutuo (surrogazione del creditore). Divieto di penali e oneri per il cliente, termine 30 giorni per la banca originaria, indennizzo 1% mese di ritardo. Art. 125-sexies TUB: diritto di rimborso anticipato nei crediti ai consumatori, con indennizzo max 1% (0,5%).
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). Artt. 67-73: Ristrutturazione dei debiti del consumatore (piano del consumatore). Artt. 74-83: Concordato minore (piccoli imprenditori). Artt. 268-277: Liquidazione controllata del sovraindebitato. Artt. 282-283: Esdebitazione del debitore incapiente. (Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, in vigore dal 15/07/2022).
- Decreto-Legge 124/2019, conv. L. 157/2019 – art. 41-bis (“Fondo Salva Casa”). Introdotta possibilità di rinegoziazione o rifinanziamento del mutuo prima casa già oggetto di procedura esecutiva immobiliare, con garanzia statale fino al 50%. Requisiti: importo debito ≤ €250.000, immobile non di lusso adibito ad abitazione principale, assenza di altre proprietà significative, ISEE ≤ €30.000 (come da DM attuativo). Prevede sospensione dell’esecuzione e nuovo piano fino 30 anni a tasso calmierato. (Misura destinata a evitare la vendita all’asta della prima casa, operativa dal 2020).
Rata del finanziamento troppo alta? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Se il tuo finanziamento è diventato insostenibile, puoi chiedere alla banca o alla finanziaria una rinegoziazione della rata. La prima mossa è inviare una richiesta scritta ben formulata, in cui spieghi la tua situazione e proponi una soluzione sostenibile.
La lettera ha lo scopo di:
- Avviare una trattativa per rinegoziare i termini del prestito
- Dimostrare la tua buona fede e volontà di pagare
- Proporre un allungamento della durata o una riformulazione dell’importo mensile
- Evitare il rischio di segnalazioni negative e azioni di recupero
Una lettera scritta correttamente può fare la differenza tra un sì o un rifiuto da parte dell’ente finanziatore.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza il contratto di finanziamento e valuta la tua attuale capacità di rimborso
📑 Redige per te una lettera personalizzata, efficace e conforme ai parametri bancari
⚖️ Ti assiste nella trattativa con l’istituto finanziario o con l’intermediario del credito
✍️ Ti supporta nella rinegoziazione anche in caso di ritardi già avvenuti
🔁 Ti rappresenta se la situazione richiede un intervento legale o una procedura di sovraindebitamento
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto bancario, finanziamenti e ristrutturazione del debito
✔️ Consulente per famiglie, lavoratori, liberi professionisti e piccoli imprenditori
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
La rata del finanziamento può essere abbassata, ma devi fare il primo passo con una richiesta formale e convincente.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi inviare una lettera ben strutturata, ottenere condizioni più favorevoli e ritrovare l’equilibrio economico.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata con l’Avvocato Giuseppe Monardo: