Hai ricevuto una cartella esattoriale anni fa e ti stai chiedendo se sia ancora valida o ormai prescritta? Hai paura che, anche dopo molto tempo, il Fisco possa comunque avviare un pignoramento?
Quando una cartella non viene impugnata nei termini, il debito contenuto al suo interno diventa definitivo, ma non eterno. Anche le cartelle, infatti, hanno un termine di prescrizione, che varia a seconda della natura del debito. Conoscere questo termine è fondamentale per capire se puoi ancora opporti o se il credito si è estinto.
Cosa succede se non impugni una cartella entro 60 giorni?
Se non presenti ricorso, la cartella diventa definitiva e il debito si consolida. Tuttavia, questo non significa che l’Agenzia delle Entrate Riscossione possa riscuotere per sempre. Anche i crediti iscritti a ruolo si prescrivono, dopo un certo tempo e in assenza di atti interruttivi.
Qual è il termine di prescrizione di una cartella non impugnata?
Dipende dal tipo di credito sottostante. Ecco i principali:
– Tasse erariali (es. IRPEF, IVA): 10 anni
– Tributi locali (es. IMU, TARI): 5 anni
– Contributi previdenziali (INPS): 5 anni
– Sanzioni amministrative (es. multe stradali): 5 anni
– Bollo auto: 3 anni
– Canone RAI: 10 anni (ma ci sono interpretazioni differenti)
Quando decorre la prescrizione?
Dalla data in cui la cartella è diventata definitiva, ovvero trascorsi i 60 giorni dalla notifica senza impugnazione. Ma attenzione: ogni atto notificato successivamente (come un sollecito, un’intimazione di pagamento o un pignoramento) può interrompere il termine, facendo ripartire il conteggio da capo.
Come si fa a sapere se una cartella è prescritta?
– Verifica la data di notifica della cartella originaria
– Controlla se ci sono stati altri atti interruttivi nei 5 o 10 anni successivi
– Se non hai ricevuto nulla per tutto questo tempo, è possibile che il debito sia prescritto
– In quel caso, puoi fare opposizione al pagamento o al pignoramento, anche in fase esecutiva
Cosa succede se il Fisco agisce dopo la prescrizione?
– Puoi impugnare l’atto esecutivo (es. pignoramento, fermo) per far valere la prescrizione
– Puoi richiedere l’annullamento della cartella per intervenuta estinzione del credito
– Se hai già pagato una cartella prescritta, potresti anche chiedere il rimborso
Cosa succede se non fai nulla?
– Il Fisco può agire anche con cartelle prescritte, nella speranza che tu non ti difenda
– Se non opponi la prescrizione, il pagamento diventa dovuto
– Perdi la possibilità di bloccare azioni esecutive illegittime
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in opposizione a cartelle e difesa fiscale – ti spiega quando una cartella esattoriale si prescrive, come calcolare il termine esatto e cosa fare se ricevi un atto fuori tempo massimo.
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Introduzione
La cartella esattoriale (o cartella di pagamento) è l’atto tramite il quale l’Agente della Riscossione (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) richiede il pagamento di somme dovute a seguito di un’iscrizione a ruolo. Se il destinatario non impugna la cartella entro i termini di legge (generalmente 60 giorni dalla notifica), la cartella diventa definitiva e il credito in essa contenuto diviene irretrattabile (cioè non più contestabile nel merito). Ciò non significa però che tale credito possa essere riscosso senza limiti di tempo: anche una cartella non impugnata è soggetta a prescrizione, ossia all’estinzione del diritto di riscuotere il credito trascorso un certo periodo di tempo senza atti interruttivi.
In questa guida approfondiremo in chiave avanzata e aggiornata a giugno 2025 quali siano i termini di prescrizione applicabili a una cartella esattoriale non impugnata, secondo la normativa italiana e la giurisprudenza più recente. Verranno esaminati i differenti termini prescrizionali a seconda della natura del credito (tributi erariali, tributi locali, contributi previdenziali, sanzioni amministrative, ecc.), con riferimenti a norme e sentenze aggiornate. Saranno inoltre fornite tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte, il tutto dal punto di vista del debitore (contribuente o privato) che intende far valere l’intervenuta prescrizione di una cartella.
Nota bene: La prescrizione non opera automaticamente, ma deve essere eccepita dal debitore nei modi di legge. Inoltre, va distinta dalla decadenza (ossia il termine entro cui l’ente creditore deve notificare la cartella o l’atto impositivo): in questa guida tratteremo specificamente la prescrizione del diritto di riscuotere una volta che la cartella sia divenuta definitiva (non impugnata nei termini).
Cartella non impugnata: effetti e principi generali
Quando una cartella di pagamento viene regolarmente notificata e non viene impugnata entro il termine previsto (60 giorni per tributi e molte sanzioni), essa diviene definitiva. Ciò comporta l’“irretrattabilità” del credito indicato in cartella: il debitore non può più contestare l’esistenza, l’entità o la legittimità di quel debito nelle sedi ordinarie di opposizione, essendosi preclusa la possibilità di ricorso. In altre parole, la cartella non impugnata acquista stabilità paragonabile a quella di un accertamento definitivo.
Tuttavia, la definitività della cartella non la trasforma in un titolo giudiziale e non allunga di per sé i termini di prescrizione sostanziale del credito. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la storica sentenza n. 23397/2016, hanno chiarito in modo definitivo che la mancata impugnazione di una cartella non provoca la “conversione” del termine di prescrizione breve (previsto per quello specifico credito) nel termine ordinario decennale. Tale effetto di conversione si verifica solo in presenza di un titolo giudiziale definitivo, ad esempio una sentenza passata in giudicato.
In altri termini, la scadenza del termine per opporsi a un atto di riscossione (cartella o altro) lo rende irretrattabile, ma non estende la prescrizione a dieci anni ex art. 2953 c.c., a meno che l’atto di riscossione si fondi su una decisione del giudice divenuta definitiva. La cartella di pagamento è e resta un atto amministrativo e, come tale, non è idonea ad acquistare efficacia di giudicato. Dunque, una cartella non opposta non “cristallizza” il credito per sempre: il diritto dell’ente di riscuotere quel credito resta sottoposto ai normali termini di prescrizione previsti in base alla natura del credito stesso. Se per quel tipo di credito la legge prevede un termine di prescrizione breve (es. quinquennale), continuerà ad applicarsi quello; solo se interviene una sentenza definitiva sulla pretesa, allora si applicherà il termine decennale ordinario.
Questo principio, inizialmente affermato con riferimento ai crediti contributivi (contributi INPS) dalla Cassazione a Sezioni Unite nel 2016, vale oggi in generale per tutti i crediti riscossi mediante cartella esattoriale: tributi erariali, tributi locali, contributi previdenziali, sanzioni amministrative, etc.. In sintesi: una cartella non impugnata si prescrive nel termine proprio del credito sottostante, e non automaticamente in 10 anni. Di seguito analizzeremo quali sono tali termini per ciascuna tipologia di entrata.
Riferimenti normativi di base
Prima di procedere, è utile ricordare brevemente le disposizioni generali in materia di prescrizione:
- Art. 2934 c.c.: stabilisce che ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.
- Art. 2946 c.c.: fissa in 10 anni il termine di prescrizione ordinario per i diritti per i quali la legge non prevede un termine più breve. Questo è il termine che si applica in assenza di diverse previsioni specifiche.
- Art. 2948 c.c.: prevede alcuni termini brevi di 5 anni per diritti particolari. In particolare al n.4 indica il termine quinquennale per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” (pagamenti periodici).
- Art. 2953 c.c.: disciplina la c.d. actio iudicati, disponendo che i diritti soggetti a prescrizione breve, se su di essi interviene una sentenza passata in giudicato, si prescrivono in 10 anni. Questa norma è al centro del tema: la Cassazione ha chiarito che non si applica alle cartelle non opposte, perché la cartella non è un giudicato.
- Art. 2957 c.c.: (solo menzione) prevede la non ripetibilità di ciò che è spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto (chi paga un debito ormai prescritto non può chiederne la restituzione). Ciò significa che se il debitore paga volontariamente una cartella ormai prescritta, non potrà poi pretendere il rimborso sostenendo che il debito era estinto.
Chiariti questi principi generali, passiamo ad esaminare i diversi termini di prescrizione applicabili alle cartelle esattoriali non impugnate, in base alla natura del credito iscritto a ruolo.
Termini di prescrizione in base alla natura del credito
Come detto, per stabilire il termine di prescrizione di una cartella non impugnata occorre guardare alla natura del credito a cui essa si riferisce. Di seguito distinguiamo le principali categorie di crediti oggetto di riscossione esattoriale, indicando per ciascuna il relativo termine prescrizionale dopo che la cartella è divenuta definitiva.
Tributi erariali (imposte statali) – 10 anni
Fanno parte di questa categoria le imposte dirette e indirette di competenza statale, come ad esempio: IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche), IVA (imposta sul valore aggiunto), IRES (imposta sul reddito delle società), IRAP (imposta regionale sulle attività produttive, tributo erariale di rilievo regionale), imposta di registro, imposta di bollo, imposta sulle successioni e donazioni, imposte ipotecarie e catastali, accise, ecc. Per tali tributi non esiste una norma speciale che preveda un termine di prescrizione più breve di quello ordinario, né essi rientrano nella categoria dei pagamenti “periodici” annuali di cui all’art. 2948 c.c. n.4. Infatti, la giurisprudenza della Cassazione ha più volte affermato che le obbligazioni tributarie annuali come l’IRPEF non sono obbligazioni periodiche in senso civilistico, in quanto ogni anno d’imposta costituisce un’obbligazione autonoma e fondata su presupposti propri (non è semplicemente una rata di un’unica obbligazione continuativa). Di conseguenza, per le imposte erariali si applica la prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c., salvo che la legge disponga diversamente.
Cassazione 2025: Ad esempio, la Cassazione ha ribadito che per tributi come l’IRPEF, in mancanza di un’espressa previsione contraria, vale il termine di 10 anni e non quello quinquennale di cui all’art. 2948 c.c.. Ciò è stato confermato da numerosi precedenti (Cass. n. 2941/2007, n. 22977/2010, n. 33266/2019, n. 12740/2020, tra le altre). Ne consegue che, se ad esempio una cartella non impugnata riguarda IRPEF o IVA, il fisco ha 10 anni dalla notifica della cartella (salvo atti interruttivi) per avviare o proseguire la riscossione coattiva, decorso il quale il debitore può opporre l’intervenuta prescrizione.
Va sottolineato che il termine resta di 10 anni anche dopo la cartella, proprio in virtù del principio di inesistenza della conversione ex art. 2953 c.c.: la cartella non opposta non “allunga” il termine rispetto a quello originario, che per i tributi erariali era già di 10 anni di suo. In pratica, per la gran parte delle imposte statali la situazione prescrizionale rimane invariata prima e dopo la notifica della cartella (sempre dieci anni, considerati a partire dalla definitività dell’atto).
Eccezioni: Fanno eccezione solo i casi in cui interviene un titolo giudiziale. Ad esempio, se il contribuente impugna l’accertamento e la controversia si chiude con una sentenza passata in giudicato che conferma il tributo, il credito tributario accertato in giudizio si prescriverà in 10 anni dalla data del passaggio in giudicato, in applicazione dell’art. 2953 c.c. (actio iudicati). Ma questo non per effetto della cartella, bensì per effetto della sentenza stessa. Fuori da tale ipotesi, nessuna cartella “non impugnata” costituisce di per sé un giudicato idoneo a far scattare l’art. 2953 c.c..
Tributi locali (IMU, TARI, altre imposte locali) – 5 anni
I tributi locali comprendono le imposte di competenza di Comuni, Province o Regioni. Esempi tipici: IMU (imposta municipale sugli immobili, ex ICI), TARI (tassa rifiuti, ex TARSU/TIA), TASI (tributo per i servizi indivisibili, fino al 2019), l’eventuale addizionale comunale/reg.le IRPEF per la parte locale, canoni patrimoniali per occupazione suolo pubblico o pubblicità (dal 2021 il Canone Unico Patrimoniale ha sostituito Tosap/Cosap e ICP/DPA), e altri tributi minori locali.
Per la generalità di questi tributi la giurisprudenza applica la prescrizione breve quinquennale. Ciò si basa sia sulla natura di entrate periodiche o ricorrenti di molti tributi locali, sia – in alcuni casi – su disposizioni normative specifiche o analogie con le sanzioni amministrative. In particolare:
- La Cassazione ha affermato che tributi locali come IMU/ICI, TARSU/TARI e in genere quelli con carattere periodico (dovuti annualmente o con cadenza regolare) si prescrivono in 5 anni, rientrando nell’ambito dell’art. 2948, n.4 c.c.. Ogni annualità d’imposta locale è considerata come un’obbligazione a sé stante ma periodica nel senso che si rinnova di anno in anno su base continuativa (es. il possesso di un immobile genera IMU ogni anno finché dura il possesso).
- Non tutte le entrate locali hanno natura periodica: ad esempio una tariffa per occupazione permanente del suolo pubblico (TOSAP/COSAP) o il nuovo Canone Unico Patrimoniale possono essere legati a concessioni di durata pluriennale o fatti imponibili non strettamente periodici. In assenza di periodicità e di norma specifica, il termine potrebbe essere il decennale ordinario. Tuttavia, spesso anche per queste entrate si propende per l’analogia con gli altri tributi locali e quindi per i 5 anni (in tabella più avanti, TOSAP e Canone Unico sono indicati con 10 anni da alcune fonti, ma su questo potrebbero esservi orientamenti differenti).
- In generale, comunque, la prescrizione quinquennale è considerata la regola per i tributi locali più comuni. La stessa Cassazione, recependo gli esiti delle SU 2016, ha spesso ribadito che per i tributi locali il termine è di 5 anni salvo titolo giudiziale.
Esempio: una cartella emessa per IMU non pagata, se non viene impugnata dal contribuente, si prescriverà in 5 anni dalla notifica (salvo interruzioni). Ciò significa che se il Comune (tramite l’Agente della Riscossione) non compie atti interruttivi per 5 anni, il debitore potrà opporre la prescrizione e non dovrà più pagare quell’IMU. Analogamente, una cartella per TARI non contestata si estingue in 5 anni di inerzia del creditore.
Riferimenti normativi: Diversamente dai tributi erariali, i tributi locali spesso hanno già un termine di decadenza breve per l’accertamento (ad esempio 5 anni per notificare gli avvisi di accertamento IMU/TARI). Una volta formato il titolo (avviso d’accertamento definitivo o cartella), la legge non prevede espressamente un termine di prescrizione diverso; si applica quindi quello generale o quello derivante dalla natura dell’obbligazione. L’art. 2948 c.c., n.4 è la base per il termine quinquennale, interpretato estensivamente dalla giurisprudenza per i tributi locali considerati di carattere periodico.
È importante osservare che se un tributo locale fosse accertato con sentenza passata in giudicato (es: causa tributaria su ICI), allora il credito risultante da sentenza si prescriverà in 10 anni ex art. 2953 c.c., come per ogni giudicato. Ma in assenza di giudicato, resta il termine breve. Inoltre, eventuali sanzioni amministrative legate ai tributi locali (es. sanzioni per omesso pagamento ICI) seguono il loro regime di prescrizione quinquennale (vedi sezione sulle sanzioni).
Contributi previdenziali (INPS, INAIL) – 5 anni
I contributi previdenziali obbligatori dovuti agli enti come INPS (assicurazioni sociali per lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, gestione separata, ecc.) e INAIL (assicurazione infortuni) sono soggetti per legge a prescrizione quinquennale. Questo vale sia prima che dopo l’eventuale cartella. In particolare la Legge 8 agosto 1995 n. 335 (riforma Dini), all’art. 3 commi 9 e 10, ha ridotto da 10 a 5 anni il termine di prescrizione dei contributi previdenziali dovuti agli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, salvo le eccezioni in caso di atti interruttivi o di particolare gravità (omissione contributiva fraudolenta sanzionata penalmente, in cui continua ad applicarsi il termine decennale).
Pertanto, se viene notificata una cartella per contributi INPS e il debitore non la impugna entro 40 giorni (termine tipico per opposizione a cartella previdenziale davanti al giudice del lavoro), quella cartella diventa definitiva ma rimane soggetta al termine prescrizionale di 5 anni previsto per i contributi. Non si applica l’art. 2953 c.c. (se non in caso di giudicato giudiziario) perché, come detto, la cartella non opposta non equivale a sentenza. Le Sezioni Unite 2016 si pronunciarono proprio su un caso contributivo, sancendo che per i crediti INPS senza titolo giudiziale resta fermo il termine quinquennale ex L.335/1995.
La Cassazione ha poi esteso il principio a tutte le riscossioni contributive: “è quinquennale, come confermato dalle Sezioni Unite, la prescrizione dei crediti contributivi ex art. 3, commi 9 e 10, L.335/1995”. Anche sentenze successive (es. Cass. Sez. Lav. n. 12720/2016, Cass. SU 23397/2016 cit.) hanno consolidato questo orientamento. Dunque, il termine di prescrizione per cartelle INPS non opposte è 5 anni dal momento in cui il credito è divenuto esigibile (in genere dalla notifica della cartella o dall’ultimo atto interruttivo successivo), salva interruzione.
Esempio: un’azienda riceve una cartella per contributi INPS non versati nel 2018. Non fa opposizione entro 40 giorni, quindi la cartella diventa definitiva. L’INPS/ADER avrà 5 anni dalla notifica (quindi fino al 2023) per attivare il recupero; se non compie alcun atto entro quel termine, nel 2024 il debitore potrà eccepire la prescrizione del credito contributivo e non sarà più tenuto a pagare. Se invece, ad esempio, nel 2021 l’ADER invia un sollecito o un’intimazione di pagamento, l’atto interrompe la prescrizione e fa decorrere un nuovo termine di 5 anni da quella data.
Contributi INAIL: valgono le stesse regole degli INPS (L.335/1995 si applica a tutti i contributi pensionistici e assistenziali obbligatori). Anche eventuali premi assicurativi dovuti ad altri enti (es. ENASARCO, Casse professionali) sono di regola quinquennali, sebbene per alcune casse professionali possano esistere disposizioni differenti nei regolamenti interni (ma se si arriva a cartella, in genere si seguono i 5 anni salvo eccezioni).
Riassumendo, anche dopo la notifica di una cartella non impugnata, i contributi previdenziali restano soggetti a prescrizione quinquennale, coerentemente con la normativa speciale di settore e con il principio giurisprudenziale di conservazione del termine breve. Soltanto un titolo giudiziario (es. decreto ingiuntivo non opposto, sentenza in materia contributiva passata in giudicato) trasformerebbe la prescrizione in decennale ex art. 2953 c.c., ma una cartella non opposta non ha tale effetto.
Sanzioni amministrative tributarie – 5 anni
Le sanzioni amministrative in materia tributaria (ad esempio sanzioni per omesso versamento di imposte, violazioni fiscali non penali, ecc.) hanno per legge un termine di prescrizione breve di 5 anni. La fonte è l’art. 20, comma 3, D.Lgs. 18/12/1997 n. 472, che dispone: “Il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni”. Tale termine decorre, per le sanzioni tributarie, dal giorno in cui la violazione è divenuta definitiva (ossia dalla data in cui il provvedimento sanzionatorio non è più impugnabile o dalla data di notificazione se non opposto nei termini). In pratica equivale a dire che anche le sanzioni tributarie una volta irrogate si estinguono dopo 5 anni di inattività nell’esecuzione.
Se una cartella contiene solo sanzioni tributarie (ad esempio sanzioni per ritardato pagamento IVA), e non viene opposta, la prescrizione resta quinquennale in virtù della norma speciale citata. La Cassazione conferma costantemente questo principio: “in caso di notifica di cartella esattoriale avente ad oggetto crediti per sanzioni (non fondata su sentenza passata in giudicato), il termine di prescrizione… è quello quinquennale, come previsto dall’art. 20, c.3, D.Lgs. 472/1997”. Anche di recente (Cass. n. 7486/2022) è stato ribadito che per le sanzioni tributarie non conta la natura periodica o meno, perché vi è una espressa previsione di legge che fissa il termine a 5 anni.
È importante distinguere che qui parliamo delle sanzioni amministrative irrogate dagli enti fiscali (Agenzia Entrate, Comuni, etc. in materia tributaria). Queste sanzioni seguono la regola generale delle sanzioni amministrative (5 anni), analogamente alle sanzioni del Codice della Strada e ad altre sanzioni non penali. La ratio è comune: evitare che la pretesa punitiva resti pendente per tempi troppo lunghi.
Caso pratico: una cartella emessa dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione per riscuotere una sanzione IRPEF (es. sanzione per omesso versamento in dichiarazione) non impugnata, sarà soggetta a prescrizione di 5 anni. Se entro 5 anni la riscossione coattiva non viene avviata o reiterata, la sanzione non potrà più essere esatta.
Ovviamente, se le sanzioni sono state oggetto di giudizio e c’è una sentenza passata in giudicato che le conferma, allora la riscossione di quelle sanzioni segue il termine decennale (perché il giudicato penetra anche la parte sanzionatoria amministrativa in ambito tributario, essendo un tutt’uno col tributo nel processo tributario). Ma senza giudicato, art. 20 D.Lgs. 472/97 impone i 5 anni anche dopo la cartella.
Da notare anche che gli interessi sulle sanzioni non costituiscono un’obbligazione autonoma ma accessoria: tuttavia, anch’essi seguono la prescrizione quinquennale in quanto anch’essi derivano da un’obbligazione di natura sanzionatoria (vedi oltre per gli interessi in generale).
Sanzioni amministrative extra-tributarie (es. multe stradali) – 5 anni
Un caso frequente di cartelle esattoriali non impugnate riguarda le multe stradali o altre sanzioni amministrative diverse da quelle tributarie. Per esempio: sanzioni per violazioni del Codice della Strada, sanzioni amministrative irrogate da Prefettura o altri enti (es. sanzioni per violazioni urbanistiche, ambientali, etc.). Queste entrate, quando non pagate spontaneamente, vengono iscritte a ruolo e notificate con cartella di pagamento.
Il termine di prescrizione per tali sanzioni amministrative è generalmente di 5 anni, ai sensi dell’art. 28 della Legge 24/11/1981 n. 689 (Legge generale sulle sanzioni amministrative) e, per le multe stradali, dell’art. 209 Codice della Strada. L’art. 209 CdS richiama espressamente il termine quinquennale, stabilendo che “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni si prescrive in cinque anni dal giorno della violazione” e che l’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile (art. 2943 c.c. e segg.). In pratica, trascorsi 5 anni dall’ultima notifica utile senza ulteriori atti, la sanzione si prescrive.
Quando una multa diventa definitiva (perché non è stata pagata né impugnata entro i termini, tipicamente 30 giorni per ricorso al Giudice di Pace o 60 giorni per ricorso al Prefetto), l’ente creditore (p.es. il Comune per una multa stradale) iscrive a ruolo la somma dovuta. Da quel momento, se la relativa cartella non viene impugnata dal contravventore, l’ente ha 5 anni per compiere atti esecutivi o di intimazione; in mancanza, il diritto di procedere alla riscossione si estingue per prescrizione. Ogni atto notificato al debitore (es. un sollecito di pagamento, un preavviso di fermo amministrativo, un’intimazione, pignoramento, ecc.) interromperà la prescrizione e farà decorrere un nuovo termine di 5 anni da capo.
Esempio tipico: un automobilista riceve un verbale per eccesso di velocità nell’anno 2019. Non paga né fa ricorso, il verbale diventa titolo definitivo e nel 2021 viene notificata una cartella esattoriale per la multa (comprensiva di maggiorazioni). L’automobilista non impugna neanche la cartella. Da quel momento (2021) l’ente ha tempo fino al 2026 per eseguire la riscossione forzata o almeno notificare un’intimazione. Se entro il 2026 nulla accade, dal 2027 la cartella (e la multa sottostante) è prescritta e l’obbligato potrà rifiutare il pagamento eccependo la prescrizione. Se invece nel 2024 riceve un sollecito, il termine si rinnova di altri 5 anni da quella data (fino al 2029).
Questo vale non solo per le multe stradali, ma per tutte le sanzioni amministrative in generale: una cartella per una sanzione amministrativa (es. una sanzione antitrust, una sanzione per violazione normativa del lavoro, ecc.) non impugnata mantiene il termine di prescrizione proprio di quella sanzione, che di regola è quinquennale se la legge che la prevede non stabilisce altrimenti.
Si tenga presente che per le multe stradali, oltre alla prescrizione quinquennale dopo il titolo, esistono anche termini di decadenza per la notifica del verbale (90 giorni dall’accertamento) e per l’eventuale notifica della cartella (2 anni dall’omesso pagamento del verbale se si segue la procedura prevista dalla Finanziaria 2008). Questi però sono aspetti diversi: se la cartella è già stata notificata (quindi il Comune evidentemente avrà rispettato i termini di formazione del ruolo), ci si concentra sulla prescrizione successiva. In sintesi: cartelle per sanzioni amministrative = 5 anni di prescrizione, in coerenza con l’art. 28 L.689/1981 e art. 209 CdS.
Interessi e accessori – 5 anni (salvo capitalizzati)
Un capitolo a parte meritano gli interessi e gli altri accessori del credito principale (aggi di riscossione, diritti di notifica, ecc.). Gli interessi legali o moratori che maturano sui tributi o sui contributi sono anch’essi soggetti a prescrizione, e la giurisprudenza li qualifica come obbligazioni periodiche. Ciò significa che, salvo diversa previsione, gli interessi si prescrivono in 5 anni ex art. 2948, n.4 c.c., in quanto dovuti anno per anno o in termini inferiori.
La Corte di Cassazione ha espressamente affermato che “la prescrizione degli interessi che accedono a obbligazioni tributarie è regolata da una norma di diritto comune quale l’art. 2948, n.4 c.c.”. Ad esempio, gli interessi maturati su un debito d’imposta seguiranno il regime quinquennale, indipendentemente dal termine decennale applicabile al tributo principale. Allo stesso modo, gli interessi su contributi previdenziali o su sanzioni amministrative sono anch’essi quinquennali (essendo accessori a crediti di per sé quinquennali).
Cosa comporta questo in pratica per una cartella non impugnata? Significa che, se la cartella rimane non pagata per molti anni, si potrebbero prescrivere gli interessi più risalenti anche se il capitale forse no. Ad esempio: su una cartella IRPEF del 2010, il tributo resta esigibile per 10 anni (fino al 2020) ma gli interessi di mora che sono maturati nel frattempo si prescrivono a mano a mano che decorrono 5 anni da quando ciascuna annualità di interessi è dovuta. Tuttavia, spesso in sede di eccezione di prescrizione si fa valere l’intervenuta prescrizione dell’intero credito comprensivo di interessi, quando è trascorso il termine del credito principale. Può essere comunque utile sapere che gli interessi, in teoria, avrebbero un termine proprio, per cui una parte di essi potrebbe cadere in prescrizione anche prima del capitale (qualora il capitale abbia un termine più lungo).
Un’eccezione può riguardare gli interessi cosiddetti “già maturati e inclusi in un provvedimento”: ad esempio, se un accertamento tributario liquida interessi fino a una certa data e su quella somma complessiva si forma il titolo, quegli interessi diventano parte del capitale ai fini esecutivi. Ma per semplicità, nei rapporti col concessionario, questa distinzione è sottile: di solito si tratta la cartella globalmente.
Inoltre, gli aggi di riscossione e le sanzioni aggiuntive per ritardato pagamento (come la maggiorazione semestrale del 10% sulle multe stradali, prevista dall’art. 27 L.689/81) hanno natura sanzionatoria/accessoria e anch’essi non vanno oltre 5 anni. Ad esempio, le maggiorazioni di mora delle multe stradali seguono il destino quinquennale delle multe stesse (essendo considerate sanzioni aggiuntive).
Altre tipologie di crediti e termini
Oltre ai casi principali sopra elencati, esistono altri crediti che possono essere oggetto di cartella esattoriale. Riassumiamo i più comuni con i rispettivi termini:
- Bollo auto (tassa automobilistica): 3 anni. Il bollo auto è un tributo regionale annuale. La legge prevede un termine triennale sia per l’accertamento che per la riscossione (art. 5, comma 51, D.L. 953/1982 conv. in L. 53/1983, come modif. dall’art. 3 D.L. 2/1986). La Corte di Cassazione ha confermato che la prescrizione del bollo auto è triennale, anche dopo l’eventuale notifica di una cartella, non verificandosi alcuna conversione in decennale. Dunque, una cartella per bollo auto non pagato si prescrive decorso il terzo anno successivo a quello in cui il bollo doveva essere pagato (salvo atti interruttivi). Esempio: bollo dovuto per il 2020 (scadenza pagamento gennaio 2020), prescrizione al 31 dicembre 2023 se nessun atto interrompe; se cartella notificata nel frattempo e non impugnata, comunque entro fine 2023 l’ente deve attivarsi o il bollo è prescritto.
- Canone RAI (abbonamento TV): 10 anni. È considerato un’imposta sul possesso di apparecchio televisivo; nonostante sia annuale, viene generalmente assimilato ai tributi erariali non periodici (nessuna norma prevede un termine breve, e il pagamento tramite bolletta elettrica dal 2016 non ha cambiato la natura del tributo). Quindi il mancato pagamento del canone RAI e l’eventuale cartella conseguente seguono la prescrizione ordinaria decennale.
- Contributo unificato e spese di giustizia: se iscritti a ruolo (ad es. per mancato pagamento del contributo unificato nei processi), dovrebbero seguire la regola generale decennale, in assenza di termini speciali.
- Entrate patrimoniali dello Stato o enti pubblici (non tributarie né contributive): dipende dalla natura. Ad esempio, l’indennità di occupazione senza titolo di un immobile pubblico può essere soggetta a 5 anni (natura di obbligazione periodica se calcolata mensilmente come un canone). Se l’ente usa la cartella per crediti non tributari, occorre valutare caso per caso il termine applicabile (spesso 10 anni se è un diritto ordinario non periodico, 5 se periodico).
- Sanzioni penali pecuniarie (ammende): in genere, la conversione in somme da riscuotere tramite ruolo per sanzioni penali pecuniarie segue le regole delle sanzioni amministrative (ci sono pronunce in tal senso), quindi 5 anni. Ma si tratta di casi particolari poco frequenti nell’ambito cartelle esattoriali.
- Altri contributi obbligatori: ad es. i contributi ai Consorzi di bonifica (richiesti ai proprietari terreni): giurisprudenza li considera oneri periodici a carico del proprietario, quindi prescrizione 5 anni per analogia coi tributi locali annuali. Oppure i diritti annuali delle Camere di Commercio: la fonte prevalente li indica con prescrizione 10 anni, trattandosi di importi dovuti annualmente ma di natura para-tributaria erariale (alcune interpretazioni li ritengono comunque soggetti a 5 per periodicità, ma l’orientamento indicato in letteratura è 10). In assenza di giurisprudenza consolidata sul singolo contributo, si applica la regola generale: 10 anni se non c’è termine breve legale e non è pagamento periodico ex 2948 c.c., 5 anni se rientra nei pagamenti periodici o se c’è norma che lo prevede.
Di seguito una tabella riepilogativa con i termini di prescrizione (post-cartella non impugnata) per le principali tipologie di crediti:
Tipo di credito (cartella non impugnata) | Termine di prescrizione | Riferimenti |
---|---|---|
Tributi erariali (IRPEF, IVA, IRES, IRAP, Registro, Bollo, etc.) | 10 anni | Art. 2946 c.c.; Cass. n.12740/2020, Cass. SU 23397/2016 |
Tributi locali (IMU, TARI, TASI, ecc.) | 5 anni | Art. 2948 n.4 c.c.; Cass. n.31260/2023, Cass. SU 23397/2016 |
Contributi previdenziali (INPS, INAIL post 1995) | 5 anni | L.335/1995 art.3, c.9-10; Cass. SU 23397/2016 |
Sanzioni tributarie (violazioni fiscali) | 5 anni | D.Lgs. 472/1997 art.20, c.3; Cass. n.7486/2022 |
Multe stradali (Codice della Strada) | 5 anni | Art. 209 CdS; L.689/1981 art.28; Cass. n.7066/2017; v. art. 209 CdS |
Altre sanzioni amm.ve (non tributarie) | 5 anni | L.689/1981 art.28 (generale) |
Interessi su tributi e contributi | 5 anni | Art. 2948 n.4 c.c. (obblig. periodica); Cass. n.2359/2023 |
Bollo auto (tassa automobilistica) | 3 anni | Art. 5, c.51, DL 953/1982 conv. L.53/1983; Cass. n.20425/2017 |
Canone RAI (abbonamento TV) | 10 anni | Nessun termine breve previsto (equiparato a tributo) |
Contributo annuale CCIAA (Camere di Commercio) | 10 anni | Orient. prevalente: art. 2946 c.c. (obbligo tributario) |
TOSAP / Canone Unico Patrimoniale (occupazione suolo pubblico) | 10 anni¹ | (Possibile natura non periodica; se periodica interpretare 5 anni) |
Sentenza di condanna (giudicato) su tributo o sanzione | 10 anni | Art. 2953 c.c. (actio iudicati) |
¹ Nota: La qualificazione della natura periodica o meno di alcuni tributi/locali canoni (es. TOSAP, Canone Unico) non è univoca. In mancanza di periodicità intesa in senso tecnico, si applicherebbe il termine ordinario 10 anni. Tuttavia molti enti, per uniformità, considerano 5 anni anche queste entrate locali.
Le voci in tabella non esauriscono ogni possibile credito a ruolo, ma coprono quelli di più comune interesse.
Decorrenza del termine e atti interruttivi della prescrizione
Quando inizia a decorrere la prescrizione? Per una cartella non impugnata, il dies a quo (giorno iniziale) coincide con il momento in cui il credito diviene definitivo ed esigibile. In pratica:
- Se il debitore non propone ricorso entro 60 giorni (o il diverso termine previsto) dalla notifica della cartella, allo spirare di quel termine la cartella diviene titolo esecutivo definitivo. Dunque la prescrizione decorre dal giorno successivo alla scadenza dei 60 giorni dalla notifica, considerato che fino a quel momento il credito era quiescente e non ancora definitivamente consolidato. Spesso però, per semplicità, si prende a riferimento la data di notifica stessa come inizio del computo, essendo il differimento di 60 giorni poco influente ai fini pratici (tanto l’ente di solito non può agire esecutivamente prima di 60 giorni). Alcune fonti indicano espressamente che “il dies a quo della prescrizione decorre dal compimento del termine per impugnare la cartella”.
- Se invece la cartella è stata impugnata e poi la causa è persa dal contribuente, dal momento in cui la sentenza passa in giudicato il termine sarà decennale ex art. 2953 c.c. (come visto). Ma qui stiamo esaminando il caso di cartella non impugnata o comunque non sfociata in giudizio.
Pertanto, per calcolare la prescrizione di una cartella non opposta si consideri la data di notifica (o meglio, il 61º giorno dopo la notifica) come inizio del conteggio del termine di legge (5 o 10 anni a seconda dei casi). Da lì in poi, bisogna verificare se intervengono atti interruttivi che “resettano” il decorso.
Interruzione della prescrizione
La prescrizione può essere interrotta da qualunque atto che manifesti la volontà del creditore di recuperare il suo credito e venga portato a conoscenza del debitore (art. 2943 c.c.). Nel contesto delle cartelle esattoriali, gli atti interruttivi tipici sono:
- Solleciti di pagamento e avvisi bonari: Una semplice lettera di sollecito inviata dall’Agente della Riscossione e notificata al debitore costituisce atto di messa in mora e interrompe la prescrizione (purché sia un atto formale che indichi importo e causale del debito). Ad esempio, una comunicazione di sollecito o un avviso di scadenza rate inviato per raccomandata può valere come atto interruttivo, a condizione che sia chiaramente riferibile al debito in questione. La Cassazione ha affermato che qualsiasi richiesta scritta di adempimento, chiara e con indicazione del credito, inviata al debitore, è idonea a interrompere la prescrizione.
- Intimazione di pagamento: è un atto formale previsto dal DPR 602/1973 (art. 50, c.2 vecchio testo, ora abrogato, e ora art. 121-quater introdotto dal D.Lgs. 149/2022) con cui l’Agente intima il pagamento entro 5 giorni prima di procedere esecutivamente. L’intimazione (o avviso) di pagamento notificata al debitore costituisce senz’altro atto interruttivo. Inoltre, per legge oggi l’Agente deve notificare un’intimazione se sono trascorsi più di 1 anno dalla notifica della cartella prima di iniziare esecuzione forzata, il che crea di fatto un “promemoria” che interrompe i termini prima degli atti esecutivi.
- Preavviso di fermo amministrativo: la comunicazione preventiva di iscrizione di fermo sul veicolo (di cui all’art. 86 DPR 602/1973) inviata al debitore è considerata atto funzionale alla riscossione coattiva e quindi atto interruttivo. Idem dicasi per il preavviso di ipoteca (comunicazione preventiva di ipoteca ex art. 77 DPR 602/73): si tratta di atti che manifestano la volontà di procedere alla misura cautelare, quindi validi ad interrompere i termini.
- Provvedimenti di iscrizione di ipoteca o fermo: l’atto di iscrizione vero e proprio (in quanto viene comunicato al contribuente con notifica della comunicazione di avvenuta iscrizione) può anch’esso valere come interruttivo, sebbene di solito sia il preavviso ad arrivare per primo.
- Atti di pignoramento e altri atti esecutivi: naturalmente, un pignoramento presso terzi, un pignoramento immobiliare o mobiliare avviato dall’Agente interrompe la prescrizione, costituendo atto di esercizio del diritto. Lo stesso atto di precetto (anche se in ambito di riscossione esattoriale solitamente non si usa il precetto, essendo la cartella stessa titolo esecutivo equivalente) interromperebbe comunque. Nel processo di esecuzione esattoriale la funzione del precetto è svolta dall’intimazione di pagamento, come detto.
- Accertamento con adesione, ricorsi o istanze presentate dal contribuente: Attenzione, qui bisogna distinguere. Un ricorso amministrativo o giudiziale presentato dal contribuente contro la cartella non interrompe la prescrizione, perché è un atto del debitore, non del creditore. Semmai può avere effetti sospensivi sul termine (soprattutto se il giudice sospende la riscossione). Invece, un accertamento con adesione o una rateizzazione richiesti dal contribuente comportano il riconoscimento del debito e quindi interrompono la prescrizione per riconoscimento da parte del debitore (art. 2944 c.c.). Ad esempio, la presentazione di un’istanza di dilazione o il pagamento della prima rata costituisce atto di riconoscimento del debito che azzera il termine fino a quel momento trascorso e ne fa decorrere uno nuovo da dopo l’ultima rata pagata (se la rateizzazione decade) o da eventuale revoca.
In termini generali, “ogni richiesta di pagamento fatta per iscritto al debitore e contenente l’inequivoca volontà di ottenere il soddisfacimento del credito” è atto interruttivo. La notifica stessa di una cartella è un atto che interrompe la prescrizione di eventuali precedenti atti (ad esempio, se prima c’era un avviso di accertamento, la cartella ne interrompe il termine). Dopo la cartella, gli atti citati sopra interrompono il successivo decorso.
Effetti dell’interruzione e della sospensione
Quando la prescrizione è interrotta, il tempo decorsi prima dell’atto interruttivo non conta più. Dal momento dell’interruzione, il termine di prescrizione ricomincia a decorrere ex novo per l’intera durata (5 o 10 anni). Ad esempio, se un credito tributario erariale ha 10 anni di prescrizione e il concessionario notifica un sollecito dopo 6 anni dalla cartella, la prescrizione viene interrotta al 6º anno e ricomincia un nuovo periodo di 10 anni da quel sollecito (quindi potenzialmente estendendosi fino a 16 anni dalla cartella iniziale). Questo meccanismo rende teoricamente possibile protrarre a lungo l’esigibilità di un credito, purché l’ente compia atti interruttivi prima della scadenza di ogni periodo.
Va detto che nel settore della riscossione esattoriale non esiste un limite massimo al numero di interruzioni: quindi, in mancanza di pronunce liberatorie del giudice, il creditore potrebbe mantenere “in vita” la pretesa per un tempo anche superiore al termine originario, tramite atti interruttivi reiterati. Tuttavia, vi sono stati interventi legislativi e prassi che mirano a stroncare i crediti molto risalenti (come condoni, stralci di vecchie cartelle, ecc.), e soprattutto l’Agente della Riscossione tende a non lasciare trascorrere il termine senza atti, per non perdere la possibilità di riscuotere.
Oltre all’interruzione, può operare la sospensione della prescrizione in determinati casi previsti dalla legge, durante i quali il “contatore” del tempo resta fermo per poi riprendere al cessare della causa sospensiva (il tempo pre-sospensione si conserva e continua dopo). Esempi:
- Sospensione legale COVID-19: Durante l’emergenza Covid, il legislatore è intervenuto sospendendo i termini di prescrizione e decadenza dei carichi affidati all’Agente della Riscossione. In particolare, l’art. 68 del D.L. 18/2020 (Cura Italia) aveva disposto la sospensione delle attività di riscossione dall’8 marzo 2020 al 31 agosto 2020, poi prorogata, e l’art. 67 del medesimo decreto ha previsto che il decorso dei termini di prescrizione e decadenza relativi ai carichi in riscossione è sospeso durante il periodo 8 marzo – 31 maggio 2020. La sospensione di 85 giorni è stata interpretata dalla giurisprudenza come un prolungamento a posteriori dei termini di uguale durata. Ad esempio, un credito che si sarebbe prescritto il 30 aprile 2020 ha visto spostare la scadenza al 23 luglio 2020 circa (85 giorni dopo). La Cassazione ha confermato la validità di tale estensione. Quindi, i debitori devono tener conto che il periodo di sospensione emergenziale non conta ai fini prescrizionali: i termini sono slittati in avanti di un corrispondente intervallo (85 giorni, poi un’ulteriore mini-sospensione di fine 2020 per le decadenze degli atti fino al 31 dicembre 2020, etc.).
- Sospensione per provvedimenti amministrativi o giudiziari: ad esempio la sospensione concordata di una rateizzazione (in attesa di esito di domanda di definizione agevolata) potrebbe sospendere i termini per quel periodo. Oppure, se un giudice dispone la sospensione della riscossione in attesa di giudizio, si ritiene che anche la prescrizione rimanga congelata per il tempo della sospensione giudiziale (anche se su questo profilo la giurisprudenza non è del tutto uniforme, appare logico che non potendo il creditore agire per ordine del giudice, quel periodo sia neutro).
Riassumendo: Per far valere la prescrizione, il debitore deve verificare l’ultimo atto valido notificato relativo a quella cartella. Dal giorno di notifica di quell’atto, inizia a contare un nuovo periodo prescrizionale intero. Se tale periodo è trascorso senza altri atti, la prescrizione è compiuta. Se invece c’è un altro atto, si ricomincia da capo da quest’ultimo, e così via.
Come far valere la prescrizione – Strumenti di tutela per il debitore
Dal punto di vista del debitore, capire come e quando far valere la prescrizione è fondamentale. La prescrizione, per espressa previsione di legge (art. 2938 c.c.), non è rilevabile d’ufficio dal giudice e neppure dall’Agente della Riscossione, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, ossia dal debitore o contribuente. In altre parole, se non viene sollevata dall’interessato, la prescrizione non “opera” automaticamente: il credito, pur prescritto, potrebbe venire comunque riscosso se il debitore paga spontaneamente o non solleva obiezioni. È quindi onere del debitore conoscere i propri diritti e attivarsi per farli valere.
Ecco i principali scenari e strumenti di tutela per eccepire la prescrizione di una cartella:
- Istanza in autotutela all’Agente della Riscossione: In via amministrativa, il debitore può presentare un’istanza di sgravio per intervenuta prescrizione all’ADER (Agenzia Entrate-Riscossione), allegando la documentazione che prova la prescrizione (ad esempio, prova delle date di notifica della cartella e dell’ultimo atto, con calcolo del tempo trascorso). L’ente è tenuto a verificare e, se effettivamente la pretesa è prescritta, dovrebbe procedere all’annullamento in autotutela. Nella pratica, però, l’accoglimento non è scontato: spesso l’Agente della Riscossione si mostra restio a riconoscere la prescrizione se non dichiarata da un giudice, soprattutto in casi dubbi. Tuttavia tentare l’autotutela è utile, perché interrompe a sua volta eventuali azioni esecutive finché la pratica è in esame e può portare a soluzione più rapida e meno onerosa (senza avvocato né processi).
- Ricorso o opposizione giudiziale: Se l’ente non annulla in autotutela, oppure direttamente (saltando l’autotutela), il debitore dovrà rivolgersi al giudice competente per far dichiarare la prescrizione. Qual è il giudice competente? Dipende dalla natura del credito:
- Per crediti tributari (imposte statali o locali, sanzioni tributarie) la giurisdizione è del giudice tributario (oggi denominato Corte di Giustizia Tributaria, ex Commissione Tributaria). Questo principio è stato di recente confermato dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2025, le quali hanno stabilito che anche le eccezioni di prescrizione sopravvenuta dopo la notifica della cartella rientrano nella giurisdizione tributaria, se riferite a crediti tributari. In passato vi era un contrasto: alcuni sostenevano che la prescrizione intervenuta in fase di riscossione (post-cartella) fosse materia da giudice ordinario (trattandosi di fase esecutiva), ma la Cassazione ha chiarito che, riguardando la “stabilità del debito imposta”, la cognizione spetta al giudice tributario. Pertanto, il contribuente che intenda far valere la prescrizione di un tributo iscritto a ruolo dovrà proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (provinciale, ex CTP) competente. Quando? Occorre attendere un atto impugnabile, a meno che la cartella stessa sia ancora impugnabile (ma dopo 60 giorni non lo è più). Gli atti impugnabili utili per eccepire prescrizione sono, ad esempio: un’intimazione di pagamento, un preavviso di esecuzione (pignoramento) o altro atto della riscossione notificato dopo il decorso del termine. Si potrà impugnare quell’atto deducendo che il credito sottostante è prescritto. Se invece non si riceve alcun atto ma si vuole ugualmente agire, è possibile esperire un’azione di accertamento negativo innanzi al giudice tributario (questa strada però è dibattuta: in genere nel processo tributario serve un atto impugnabile specifico). Conviene quindi attendere l’intimazione o altro atto e usarlo come veicolo processuale.
- Per crediti previdenziali (contributi INPS, INAIL): la giurisdizione è del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro (trattandosi di obblighi previdenziali). Se la cartella non è stata opposta tempestivamente, per far valere la prescrizione il debitore di norma dovrà proporre un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. davanti al tribunale (sezione lavoro) competente, una volta che l’Agente della Riscossione abbia iniziato atti esecutivi (es. notificato un pignoramento o un’intimazione). In alcuni casi è possibile anche un ricorso ex art. 615 c.p.c. prima che inizi l’esecuzione, se si ha paura di subire un’esecuzione imminente su crediti prescritti, ma serve comunque un atto da opporre (per esempio, ci sono state opposizioni proposte avverso l’intimazione di pagamento per contributi prescritti). Va aggiunto che, secondo la Cassazione, se in sede di ricorso tributario il giudice rileva che la cartella conteneva anche contributi, egli deve dichiarare difetto di giurisdizione su quella parte (come avvenuto nel caso Cass. ord. 12751/2025) e il contribuente dovrà agire separatamente davanti al giudice ordinario per la parte previdenziale. Quindi attenzione: cartelle miste tributi+contributi richiedono doppi binari di impugnazione.
- Per sanzioni amministrative non tributarie (multe stradali, ecc.): la giurisdizione è del giudice ordinario. Se la cartella per una multa non è stata opposta nei 30 giorni al Giudice di Pace (tempo per contestare nel merito), il debitore può far valere la prescrizione con un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. dinanzi al Giudice di Pace stesso (per le multe, la competenza per materia e valore è del GdP) oppure al tribunale ordinario, a seconda dei casi. In pratica, se l’Agente notifica un preavviso di fermo o procede a pignoramento per una multa presumibilmente prescritta, l’automobilista potrà rivolgersi al GdP per far dichiarare inesistente il diritto per intervenuta prescrizione. Se sono trascorsi più di 5 anni dalla cartella o dall’ultimo atto, il giudice accoglierà l’opposizione e annullerà l’esecuzione per prescrizione del credito. Anche qui, se si ricevono atti come l’intimazione di pagamento (titolo esecutivo di per sé non autonomamente impugnabile di fronte al GdP di solito), si può valutare di attendere un atto esecutivo vero e proprio oppure provare con un ricorso al GdP deducendo la prescrizione (alcuni GdP ammettono opposizioni anche avverso la cartella tardive per vizi come la prescrizione, valutando sostanzialmente il 615 c.p.c.). È consigliabile farsi assistere da un legale, perché la procedura può essere tecnica (soprattutto se si è in fase di pignoramento già iniziata, vanno rispettati i termini dell’art. 615 c.p.c. secondo comma per opporsi).
In tutti i casi, il debitore deve fornire la prova dell’intervenuta prescrizione. Ciò significa produrre in giudizio i documenti che attestano la data di notifica della cartella e la mancanza di atti interruttivi successivi entro il termine. A tal fine, è possibile richiedere all’Agente della Riscossione un estratto di ruolo e l’elenco notifiche degli atti emessi per quella partita debitoria. L’estratto di ruolo è un documento che riporta le cartelle a carico di un contribuente e alcune informazioni (come la data di notifica). Spesso i contribuenti ottengono dall’ADER degli estratti di ruolo e su quelli, se risultano cartelle notificate da oltre 5/10 anni e nessun altro atto, fondano il ricorso. La Cassazione ha ritenuto ammissibile impugnare direttamente l’estratto di ruolo nei casi in cui la cartella non sia stata mai notificata o sia invalida, ma per la prescrizione conviene sempre attendere un atto formale da impugnare, come detto.
Costi e benefici: far dichiarare prescritta una cartella significa eliminare definitivamente l’obbligo di pagamento di quella somma. Una volta ottenuta una sentenza favorevole (passata in giudicato) o un provvedimento di sgravio, l’Agente della Riscossione non potrà più pretendere il pagamento né attivare misure esecutive su quel credito. Se invece il giudice rigetta l’eccezione (perché magari riscontra atti interruttivi validi), il debitore sarà tenuto a pagare e generalmente dovrà pagare anche le spese di lite. È quindi importante valutare bene, magari con supporto legale, la sussistenza effettiva della prescrizione prima di intraprendere l’azione. Un errore frequente è non considerare un atto interruttivo: ad esempio il contribuente magari non ricorda un sollecito ricevuto anni addietro; l’ADER in giudizio lo produce e vanifica la pretesa di prescrizione. Per questo è utile, come primo passo, chiedere all’ADER una visura della propria posizione o accedere ai documenti notificati. Dal 2022, l’Agente della Riscossione consente anche tramite area riservata online di consultare gli atti notificati e scaricare le copie delle cartelle e intimazioni.
Prescrizione “presuntiva”: a margine, precisiamo che nel nostro contesto si parla sempre di prescrizione estintiva (quella disciplinata dagli artt. 2934 e seguenti c.c.). Esistono anche le cosiddette “prescrizioni presuntive” di 6 mesi, 1 anno, 3 anni per alcuni crediti (artt. 2954-2956 c.c.), ma riguardano tipicamente pagamenti tra privati (es. pagamento di professionisti, albergatori, ecc.) e non si applicano ai crediti erariali o pubblici, quindi qui non rilevano.
Esempi pratici di calcolo della prescrizione
Presentiamo alcuni esempi concreti che aiutano a comprendere l’applicazione dei termini di prescrizione a cartelle non impugnate, dal punto di vista del debitore che voglia valutare se il debito è ancora esigibile o no.
Esempio 1: Cartella IRPEF non pagata – Mario riceve una cartella il 10 marzo 2014 per IRPEF anno d’imposta 2009 (derivante da controllo automatizzato). Mario non propone ricorso e non paga. La cartella diviene definitiva il 10 maggio 2014. Da quella data decorre la prescrizione decennale del credito IRPEF. L’Agente della Riscossione invia un sollecito il 5 febbraio 2019: questo atto, regolarmente notificato, interrompe la prescrizione al 2019 (dopo circa 5 anni) e la fa decorrere nuovamente da zero per altri 10 anni. Successivamente l’Agente non invia più nulla. Siamo nel 2025: dal 2019 sono passati 6 anni, quindi la nuova prescrizione (10 anni) non è ancora maturata – maturerà nel febbraio 2029 se nel frattempo non arriveranno altri atti. Mario non può eccepire ancora la prescrizione. Se però l’Agente avesse dimenticato di inviare il sollecito nel 2019, la prescrizione sarebbe maturata a maggio 2024 (10 anni dal 2014), e Mario a fronte di qualsiasi richiesta successiva (es. intimazione nel 2025) avrebbe potuto farla annullare per prescrizione.
Esempio 2: Cartella TARI (tassa rifiuti) – La società X riceve il 20 luglio 2017 una cartella dal Comune per TARI anni 2012-2013 non pagata. Non impugna e la cartella diviene definitiva. La TARI è tributo locale, prescrizione 5 anni. Il Comune/ADER non compie alcun atto fino ad oggi (giugno 2025). Sono trascorsi quasi 8 anni. Nel frattempo, nel 2020 c’è stata la sospensione Covid di 85 gg, ma anche escludendo quel periodo, oltre 7 anni pieni sono passati. Quindi, al 20 luglio 2022 (5 anni dalla notifica) la TARI si è prescritta. Quando nel 2025 l’Agente eventualmente notificherà un’intimazione, la società X potrà fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria eccependo che il credito TARI è prescritto e ottenendo l’annullamento dell’intimazione e del debito. Se invece il Comune avesse inviato un sollecito nel 2020, l’atto avrebbe interrotto la prescrizione al 2020 facendo ripartire 5 anni da capo: in tal caso nel 2025 sarebbero decorsi solo 5 anni dall’ultimo atto, e forse appena maturata la prescrizione (se il sollecito era pre-Covid, 5 anni + 85gg). La società dovrebbe calcolare con precisione.
Esempio 3: Cartella multa stradale – Luca riceve una cartella il 1º febbraio 2018 per una multa stradale del 2015 (verbale mai pagato né opposto). Non presenta opposizione entro i 30 giorni. La cartella è definitiva. Termine di prescrizione: 5 anni (sanzione CdS). L’Agente non si fa vivo per molto tempo. Nel maggio 2023, quindi dopo più di 5 anni, Luca riceve un preavviso di fermo auto su quella cartella. A questo punto Luca verifica: ultimo atto noto era la cartella nel 2018, nessun altro atto fino al fermo nel 2023, trascorsi oltre 5 anni. Prescrizione maturata (feb 2018 – feb 2023). Luca può presentare opposizione al Giudice di Pace contro il preavviso di fermo deducendo l’estinzione per prescrizione. Il GdP valuterà gli atti: se l’Agente non prova notifiche interruttive in mezzo (ad es. magari un sollecito nel 2020 che Luca non ha mai visto perché inviato a vecchio indirizzo?), accoglierà il ricorso e annullerà il fermo per insussistenza del credito (prescritto). Se invece saltasse fuori un atto del 2020, Luca perderebbe perché la prescrizione sarebbe stata interrotta. Questo esempio mostra l’importanza di conoscere tutti gli atti effettivamente notificati.
Esempio 4: Cartella contributi INPS – L’azienda Y riceve il 10 gennaio 2016 una cartella per mancato versamento di contributi INPS 2010-2011. Non fa opposizione (che avrebbe dovuto proporre entro 40 giorni al tribunale). La cartella diventa definitiva. La prescrizione contributiva è 5 anni. L’INPS tramite ADER notifica il 5 aprile 2019 un’intimazione di pagamento. Quindi tra 2016 e 2019 sono passati 3 anni e pochi mesi: la prescrizione non era scaduta, l’intimazione interrompe e da aprile 2019 ripartono 5 anni nuovi (fino ad aprile 2024). Nel 2020 c’è la sospensione Covid (mar-maggio) che aggiunge 85 giorni, spostando la scadenza a metà luglio 2024. L’azienda non paga né reagisce. Nel settembre 2024 l’Agente notifica un atto di pignoramento. A quella data, però, il termine di 5 anni (interrotto nel 2019) è scaduto: dal 5/4/2019 al 5/7/2024 sono 5 anni e 85 giorni, termine decorso a fine giugno 2024. L’atto di pignoramento di settembre 2024 viene allora opposto dall’azienda Y davanti al giudice del lavoro, eccependo che il credito contributivo è prescritto. Il giudice verificherà: cartella 2016, interrotta 2019, nuova scadenza luglio 2024, pignoramento successivo = prescrizione acquisita. Dichiarerà il pignoramento improcedibile per prescrizione del credito. L’INPS resterà con un pugno di mosche (salvo eventualmente rifare un’intimazione poco prima della scadenza nel 2024, che però non è avvenuta in questo scenario).
Esempio 5: Cartella “mista” tributi + contributi – Il sig. Rossi riceve una cartella nel 2015 contenente sia importi IRPEF non pagati sia importi INPS (di un periodo in cui era artigiano). Non fa ricorso. La cartella diventa definitiva. La parte IRPEF ha prescrizione 10 anni, la parte INPS 5 anni. L’Agente della Riscossione nel 2021 notifica un sollecito di pagamento riferito all’intera cartella. Tale atto interrompe sia il termine decennale IRPEF che quello quinquennale INPS, facendo decorrere rispettivamente nuovi 10 anni e 5 anni da capo (dal 2021). Supponiamo che poi non arrivi altro fino al 2025. Nel 2025 Rossi vuole eccepire prescrizione. Deve considerare: per i contributi INPS, dal 2021 al 2025 sono 4 anni, quindi non è ancora maturata la prescrizione quinquennale (maturerà nel 2026). Per l’IRPEF, dal 2021 al 2025 sono 4 anni su 10, nessuna prescrizione maturata ovviamente. Quindi Rossi dovrà attendere ancora per poter sollevare l’eccezione con successo. Se invece l’Agente non avesse inviato il sollecito nel 2021, allora al 2025 la parte INPS sarebbe prescritta (2015+5=2020) e la parte IRPEF ancora no (2015+10=2025, dipende dal mese esatto). In tal caso, Rossi potrebbe agire per far caducare almeno la parte contributiva. Ma attenzione: la giurisdizione è diversa: per far dichiarare prescritta la quota INPS Rossi deve andare dal giudice ordinario, per la quota IRPEF dal giudice tributario. Se per ipotesi riceve un pignoramento unico per l’intera cartella, dovrà proporre due opposizioni parallele: una al tribunale lavoro per i contributi, una al tribunale (se esecuzione) o CGT (se impugna un atto della riscossione) per i tributi. Questa complicazione deriva dal fatto che la Cassazione esige di scindere le giurisdizioni anche a cartella unificata. In molti casi pratici, comunque, la parte contributiva di cartelle miste è stata oggetto di annullamenti automatici (si pensi al recente stralcio dei debiti fino a 1000€ antecedenti 2015 disposto dalla L. 197/2022, che ha tolto molti contributi minori) o viene comunque gestita separatamente.
Questi esempi evidenziano come il conteggio dei termini e l’individuazione degli atti interruttivi sia determinante. Il punto di vista del debitore deve essere sempre: “Quando è stato l’ultimo atto valido che mi hanno notificato riguardo a questa posizione debitoria? Quanti anni sono passati da allora?”. Solo così si può capire se la prescrizione è compiuta o no e se è il caso di agire.
Domande frequenti (FAQ) su prescrizione delle cartelle non impugnate
- D: Se non ho impugnato la cartella entro 60 giorni, significa che dovrò sicuramente pagare prima o poi?
R: Non necessariamente. La mancata impugnazione rende definitivo il debito (non puoi più contestare se era dovuto o gli importi), ma resta la possibilità di non pagare se interviene la prescrizione. In pratica, passato un certo numero di anni senza che l’Agente della Riscossione si faccia vivo, il debito si estingue comunque. Va però eccepito da te: se resti inerte e paghi, non puoi poi rimborso. Quindi, cartella non opposta ≠ debito eterno: hai “perso il treno” per contestare il merito, ma rimane l’ultimo treno della prescrizione se il Fisco dorme troppo a lungo. - D: Una cartella non opposta diventa come una sentenza passata in giudicato?
R: No. Questo è un equivoco che in passato ha creato controversie, ma la Cassazione a Sezioni Unite l’ha smentito esplicitamente. La cartella esattoriale è un atto amministrativo e anche se non opposta non acquista la forza del giudicato: non si applica l’art. 2953 c.c. (prescrizione decennale dei diritti da giudicato). Solo una sentenza o un provvedimento equiparato (decreto ingiuntivo definitivo, lodo arbitrale, ecc.) fanno scattare il 2953. La cartella non opposta resta soggetta alla prescrizione “breve” originaria (5 anni di solito, tranne tributi erariali che erano già 10). Quindi non diventa un giudicato sostanziale, ma solo un titolo esecutivo amministrativo. - D: Quali atti interrompono la prescrizione di una cartella esattoriale?
R: Qualsiasi atto rivolto al debitore con cui l’ente riscossore manifesta la volontà di ottenere il pagamento del debito. In concreto, i più comuni sono: sollecito di pagamento, intimazione di pagamento, comunicazione preventiva di fermo o ipoteca, cartella successiva o avviso riferito allo stesso debito, pignoramento. Anche la richiesta di rateizzazione da parte tua conta (riconoscimento del debito). L’importante è che l’atto sia notificato secondo le forme di legge. Se, ad esempio, l’ADER sostiene di averti inviato un sollecito ma non può provare la notifica (o l’ha mandato a un indirizzo vecchio), quell’atto non interrompe. Ogni atto valido fa ripartire da zero il termine. - D: Come si calcola il termine di prescrizione?
R: Determina prima di tutto la natura del credito (tributo, contributo, multa, ecc.) e quindi il termine applicabile (consulta la tabella riassuntiva sopra). Poi individua la data in cui la cartella è divenuta definitiva (60 giorni dopo notifica, se non opposta) o l’ultimo atto interruttivo successivo. Dal giorno successivo, conta gli anni previsti. Se arrivi ad oggi senza atti in mezzo che azzerino il conteggio, la prescrizione è compiuta. Ad esempio: cartella TARI notificata il 10/06/2018, non opposta → termine 5 anni → se al 10/06/2023 nessun atto, dal 11/06/2023 è prescritta. Attenzione a eventuali sospensioni legali (es. periodo Covid da aggiungere) e ai giorni extra se ci sono stati periodi di sospensione feriale nei giudizi (questi ultimi non rilevano di solito perché la riscossione non si ferma per ferie). - D: Cosa succede se l’Agente della Riscossione chiede il pagamento di una cartella già prescritta?
R: Succede purtroppo spesso che l’ADER continui a iscrivere a ruolo o tenti il recupero di crediti prescritti, contando sul fatto che molti debitori pagano per timore o ignoranza. Dal punto di vista giuridico, una richiesta su credito prescritto è illecita (il debito non esiste più). Il debitore deve quindi reagire: può inviare un’istanza di annullamento in autotutela, ricordando all’Agente che il credito è prescritto (citando date e riferimenti). Se l’ente non desiste e procede con atti esecutivi (pignoramenti, fermi, ecc.), il debitore deve fare opposizione al giudice competente, come spiegato, per far dichiarare la prescrizione e bloccare l’esecuzione. In giudizio, l’onere di provare la prescrizione spetta al debitore che l’eccepisce; una volta provati i fatti (date notifiche e mancanza di atti utili nel lasso di tempo), il giudice accerterà l’estinzione del debito. - D: Devo pagare un debito prescritto?
R: No. Il debito prescritto non è più legalmente esigibile; se ne hai la certezza, puoi legittimamente rifiutare il pagamento. Tieni presente che se comunque decidi di pagare (magari perché ti viene chiesto come condizione per un servizio, o per togliere un fermo auto urgentemente, ecc.), poi non potrai chiedere indietro i soldi, perché il pagamento di un indebito prescritto non è ripetibile. Inoltre, il pagamento anche parziale di un debito prescrivendo può costituire riconoscimento e far ripartire la prescrizione. Quindi la scelta migliore è far valere formalmente la prescrizione e insistere affinché l’ente annulli le somme. - D: La prescrizione può essere rilevata d’ufficio dal giudice tributario?
R: No, la prescrizione è un’eccezione in senso proprio e va sollevata dal contribuente. Il giudice (tributario o ordinario) non può dichiararla se tu non l’hai invocata nelle tue difese. Nel processo tributario in particolare, devi indicarla sin dal ricorso introduttivo se l’atto che impugni era già oltre i termini, oppure nei motivi aggiunti se matura in corso di giudizio (caso raro). - D: Se ho ottenuto una dilazione (rateizzazione) per la cartella, posso ancora eccepire la prescrizione?
R: La dilazione in genere comporta il riconoscimento del debito e dunque interrompe la prescrizione al momento in cui viene concessa o al più tardi al pagamento della prima rata. Inoltre, durante il periodo in cui sei in regola con le rate, l’Agente della Riscossione non deve compiere atti coattivi, ma la dottrina ritiene che la prescrizione non resti sospesa automaticamente: semplicemente, ogni pagamento di rata è un ulteriore atto che riconosce il debito (quindi interrompe nuovamente). Ad ogni modo, se completi il pagamento dilazionato, la questione prescrizione non si pone (hai pagato e basta). Se invece decadi dalla rateazione (es. smetti di pagare), l’ADER riprenderà le azioni di recupero: da quando sei decaduto, la prescrizione ricomincia a decorrere da capo (perché l’omesso pagamento di una rata non è atto interruttivo, semmai lo è l’ultima tua azione di pagamento). Potrai eccepire la prescrizione per il periodo successivo alla decadenza se decorre integralmente. In pratica, chiedere una dilazione “resetta” i termini, quindi conviene farlo solo se poi si paga, altrimenti hai allungato la vita al debito inutilemente. - D: Ho ricevuto una cartella tanti anni fa e non ricordo se ci sono stati atti successivi. Come posso saperlo?
R: Puoi recarti (o accedere online) presso l’Agente della Riscossione e richiedere un estratto di ruolo aggiornato. Nell’estratto compaiono le cartelle a tuo nome e per ciascuna le date di notifica ed eventualmente di altri atti (intimazioni, fermi, ecc.). Non sempre però sono elencati tutti i solleciti: per quelli potresti fare una richiesta di accesso agli atti chiedendo copia delle relate di notifica di qualsiasi atto a tuo carico. In alternativa, se sei digitale, dal sito ADE-Riscossione (area riservata con SPID) puoi vedere la tua posizione debitoria e gli atti notificati in PDF. Una volta ottenute queste informazioni, potrai determinare con certezza se la prescrizione è compiuta o meno. - D: Se una cartella contiene più voci (diverse annualità, tributi vari), possono prescriversi separatamente?
R: In teoria sì. Ogni voce di credito ha la sua autonomia. Ad esempio, una cartella riepilogativa contiene: IRPEF 2010, IRPEF 2011, IVA 2012. Tutto tributi erariali, 10 anni. Si prescriveranno insieme 10 anni dopo la notifica, se nessun atto arriva. Ma se invece la cartella contiene crediti eterogenei (es. un caso reale: cartella con contributi INPS 2014 e sanzione CdS 2014), uno ha 5 anni, l’altro 5 pure ma da date diverse forse – bisogna guardare singolarmente. È possibile che all’interno di un’unica cartella alcune partite siano prescritte e altre no. Ad esempio, TARI 2012 e TARI 2013 nella stessa cartella notificata nel 2018: entrambe 5 anni dal 2018; nel 2024 entrambe prescritte. Ma se fossero state: TARI 2012 e IMU 2018 nella stessa cartella notificata nel 2019, TARI 5 anni (dal 2019 al 2024), IMU 5 anni (dal 2019 al 2024) – entrambe scadono insieme, ok. Se fosse IRPEF e TARI insieme notificata nel 2019: IRPEF 10 anni (2029), TARI 5 anni (2024) – nel 2025 la TARI è prescritta ma l’IRPEF no; tuttavia la cartella come atto unico non è impugnabile solo per una voce prescritta se l’atto era nei termini all’origine. Dovrai far valere la prescrizione parziale riferita alla singola partita di debito. In giudizio il giudice annullerà il debito limitatamente alla quota prescritta, mantenendo valida la restante. Questo complica un po’, ma è fattibile. - D: Dopo quanti anni la cartella “cade” completamente?
R: Dipende dal credito. Se è tributo statale: tecnicamente mai “automaticamente”, perché ogni atto interrompe e rinnova 10 anni; però si può dire 10 anni dall’ultimo atto. Se è multa o contributi: 5 anni dall’ultimo atto. Se è bollo: 3 anni dall’ultimo atto. Diciamo che se un ente non si attiva per 5 anni per la maggior parte dei debiti, quel debito può essere considerato di fatto non più esigibile. Per stare davvero tranquilli, diremmo: 10 anni senza atti e il 99% dei debiti a ruolo è morto (fa eccezione giusto qualche imposta erariale o capitale residuo non toccato da condoni). In molti casi concreti, inoltre, intervengono norme di cancellazione automatica: ad esempio il già citato “stralcio” del 2023 che ha annullato d’ufficio i debiti sotto 1000€ fino al 2015, o altre rottamazioni. Quindi talvolta un debito non riscosso da anni viene cancellato per legge ancor prima che uno sollevi la prescrizione. - D: Una cartella annullata in autotutela per prescrizione può ripresentarsi?
R: No, se l’ente l’ha annullata vuol dire che ha riconosciuto la prescrizione. Il ruolo verrà eliminato e non potranno più richiederti il pagamento. Conserva però gli atti di annullamento, non si sa mai.
Conclusioni
Dal punto di vista del debitore, conoscere i termini di prescrizione di una cartella esattoriale non impugnata è fondamentale per poter esercitare i propri diritti ed evitare di pagare somme non più dovute. In questa guida abbiamo visto che:
- La mancata impugnazione rende definitiva la pretesa ma non allunga di per sé i termini di prescrizione, che rimangono quelli originari legati alla natura del credito (5 anni nella maggior parte dei casi, 10 anni per tributi erariali e poche altre eccezioni, 3 anni per il bollo auto).
- Solo un titolo giudiziale definitivo (sentenza passata in giudicato) consente la conversione della prescrizione breve in decennale ex art. 2953 c.c.; una cartella non impugnata, invece, non è un giudicato e quindi non attiva l’art. 2953.
- È essenziale monitorare il decorso del tempo e gli eventuali atti interruttivi. Il debitore deve annotare ogni notifica ricevuta (cartelle, solleciti, intimazioni…) e calcolare di volta in volta il termine di prescrizione da quella data.
- Trascorso integralmente il termine (5 o 10 anni, eventualmente prorogato da sospensioni di legge), il diritto di riscossione si estingue, ma il debitore deve sollevare l’eccezione nelle forme opportune (in autotutela e/o in giudizio) per far valere questa estinzione.
- La competenza a decidere sulle eccezioni di prescrizione varia: giudice tributario per tributi, giudice ordinario (spesso sez. lavoro) per contributi, Giudice di Pace/ordinario per multe e sanzioni amministrative extra-tributarie. La Cassazione ha di recente chiarito definitivamente questi ambiti, eliminando molti dubbi di giurisdizione.
- In ogni caso, l’eccezione di prescrizione, se fondata, libera il debitore dall’obbligo di pagamento e da eventuali misure come fermi o ipoteche, restituendogli la serenità finanziaria rispetto a quei carichi pendenti.
Si raccomanda ai debitori di agire con tempestività non appena si ha il sospetto che un debito esattoriale sia prescritto, possibilmente consultando un professionista (avvocato tributarista o altro esperto) per valutare bene la situazione. Con un’adeguata conoscenza della normativa e della giurisprudenza – che, come abbiamo visto, negli ultimi anni si è evoluta a favore di una chiara delimitazione temporale della riscossione – il contribuente può evitare di pagare oltre il dovuto e far valere i propri diritti in modo efficace.
Aggiornamento: Tutte le informazioni presenti sono state aggiornate allo stato della normativa e della giurisprudenza fino a giugno 2025. In fondo, nella sezione fonti, sono indicati riferimenti normativi e pronunce giurisprudenziali citate, per eventuali approfondimenti.
Fonti e Riferimenti Normativi e Giurisprudenziali
Normativa:
- Codice Civile: art. 2934 (estinzione per prescrizione); art. 2946 (prescrizione ordinaria decennale); art. 2948 comma 1 n.4 (prescrizione quinquennale delle obbligazioni periodiche); art. 2953 (effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi).
- Legge 8/8/1995 n. 335: art. 3, commi 9-10 – Termine di prescrizione quinquennale per i contributi previdenziali obbligatori (riduzione da decennale a quinquennale, salvo evasioni connesse a reato). Confermata da Cass. SU 23397/2016.
- D.Lgs. 18/12/1997 n. 472: art. 20, comma 3 – Prescrizione quinquennale del diritto alla riscossione delle sanzioni tributarie (violazioni tributarie non costituenti reato).
- Legge 24/11/1981 n. 689: art. 28 – Prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative in generale; decorrenza dalla violazione e interruzione secondo le norme civili.
- D.Lgs. 30/4/1992 n. 285 (Codice della Strada): art. 209 – Termine di prescrizione 5 anni per le sanzioni del CdS (rinvio alla L.689/81).
- D.L. 30/12/1982 n. 953, conv. L. 53/1983: art. 5, comma 51 – Prescrizione triennale della tassa automobilistica (bollo auto), decorrente dall’anno successivo a quello di dovuto pagamento.
- D.P.R. 29/9/1973 n. 602: (Riscossione delle imposte) – Art. 49 (ora abrogato) e art. 50 c.2 (ante 2022) imponevano intimazione entro 1 anno dall’iscrizione a ruolo per esecuzione; art. 121-quater D.Lgs. 149/2022 oggi regola il preavviso esecuzione. (Norme sulle modalità, ma non sui termini prescriz.).
- D.L. 17/3/2020 n. 18 (Cura Italia): art. 67 e 68 – Sospensione dei termini di prescrizione e decadenza di riscossione dall’8 marzo al 31 maggio 2020 (proroga Covid). Decreto Milleproroghe e successive proroghe fino al 31/8/2020 per notifica atti (non prescrizione) – v. note Cass. 2021 su estensione 85 gg.
Giurisprudenza:
- Cass., Sez. Unite Civili, 17/11/2016 n. 23397: principio di diritto – “La mancata impugnazione di una cartella di pagamento non produce la conversione del termine di prescrizione breve in quello decennale ex art. 2953 c.c., che opera solo in presenza di un giudicato”. Estensione a tutti i crediti tributari e contributivi: la cartella non opposta è atto amministrativo privo di efficacia di giudicato. Confermata prescrizione quinquennale dei contributi previdenziali ex L.335/95.
- Cass., Sez. Unite, 30/01/2025 n. 2098: su questione di giurisdizione – ha stabilito che la contestazione della prescrizione di un credito tributario dopo la notifica di cartella spetta al giudice tributario, anche se sollevata in sede di impugnazione di atti dell’esecuzione esattoriale. Superato precedente orientamento che la voleva davanti al giudice ordinario: il criterio è il petitum sostanziale riferito al rapporto tributario.
- Cass., Sez. Trib., 20/03/2025 n. 7408 (ord.): ha ribadito che per l’IRPEF (tributo erariale) si applica la prescrizione decennale ex art.2946 c.c., non la quinquennale ex art.2948 c.c., essendo obbligazione non periodica. Invece, per le sanzioni tributarie senza giudicato, vige la prescrizione quinquennale ex art.20 c.3 D.Lgs.472/97. Richiama SU 2016 sul principio generale di non conversione.
- Cass., Sez. Trib., 13/05/2025 n. 12751 (ord.): caso di intimazione su cartelle IRPEF/INPS. Conferma che la notifica di cartelle interrompe la prescrizione decennale per i crediti erariali in esse contenuti. Rileva che le cartelle INPS erano separate per difetto di giurisdizione (giudice tributario ha escluso la parte contributiva) e che l’iscrizione di ipoteca entro 10 anni ha mantenuto in vita il credito erariale. Ricorso del contribuente rigettato, poiché nessuna prescrizione era maturata (nuova intimazione entro 10 anni dall’ultimo atto).
- Cass., Sez. Trib., 9/11/2023 n. 31260 (ord.): ha affermato che IMU, ICI, TARSU e tributi locali aventi natura di obbligazione periodica o a carattere continuativo sono soggetti a prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 n.4 c.c..
- Cass., Sez. VI-5, 15/06/2023 n. 17234 (ord.): conforme alle precedenti, ribadisce che per cartelle non fondate su giudicato il termine di prescrizione dipende dalla natura del credito (ordinario se tributo erariale, breve se tributo locale o contributo).
- Cass., Sez. Trib., 24/01/2023 n. 2044: conferma specialità art.20 D.Lgs.472/97 – prescrizione quinquennale sanzioni tributarie, non applicabile il decennale ordinario.
- Cass., Sez. Trib., 25/01/2023 n. 2359: prescrizione degli interessi su obbligazioni tributarie regolata dall’art. 2948, n.4 c.c. (quinquennale).
- Cass., Sez. VI, 08/03/2022 n. 7486: in tema sanzioni tributarie, richiamata prescrizione quinquennale ex art.20 D.Lgs.472/97 anche dopo cartella non opposta.
- Cass., Sez. III, 22/03/2017 n. 7066: (in tema di sanzioni CdS) conferma prescrizione 5 anni multe dal momento in cui sono esigibili (richiama art.209 CdS). Giurisprudenza costante: Cass. 198/2016; Cass. 12243/2017, etc.
- Cass., Sez. Lav., 23/07/2019 n. 20102: (contributi) – ribadisce SU 2016: cartella previdenziale non opposta, prescrizione resta quinquennale; art.2953 c.c. si applica solo a titoli giudiziali.
- CTR Lazio 19/07/2016 n. 7121: (cita vari precedenti merito e Cass. vecchie) – affermava prescrizione quinquennale generalizzata delle pretese esattoriali salvo titoli da giudicato o “accertamento incontrovertibile”, poi superata dalla SU con soluzione in base alla natura del credito.
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Se hai ricevuto una cartella di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione e non hai fatto ricorso nei termini, non significa che il debito durerà per sempre.
Anche la cartella non impugnata si prescrive, ma il termine varia a seconda della natura del tributo o del credito richiesto.
Ecco i termini di prescrizione più comuni:
- 10 anni per le imposte erariali (IRPEF, IVA, IRES)
- 5 anni per contributi previdenziali (INPS), multe stradali, tributi locali (IMU, TARI, ecc.)
- 3 anni per il bollo auto, se non rinnovato
La prescrizione decorre dal giorno in cui la cartella è diventata definitiva (cioè dopo 60 giorni dalla notifica, se non impugnata) e può essere interrotta da atti successivi come solleciti, pignoramenti, avvisi o intimazioni di pagamento.
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e riscossione esattoriale
✔️ Consulente per privati, lavoratori autonomi, pensionati e microimprese
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Anche le cartelle non impugnate possono prescriversi. Ma è fondamentale verificare ogni singolo caso con attenzione, perché l’Agenzia delle Entrate Riscossione può continuare ad agire anche dopo anni.
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