Cosa Succede Se Non Si Paga Una Fideiussione?

Hai firmato una fideiussione e ora ti trovi in difficoltà a rispettare l’impegno? Ti stai chiedendo cosa succede se non riesci a pagare e quali possono essere le conseguenze legali, patrimoniali e personali?

La fideiussione è un impegno molto serio: firmarla significa obbligarsi a pagare i debiti altrui, come se fossero propri. Ma se non onori l’obbligazione quando il debitore principale non paga, i creditori possono agire direttamente contro di te. Sapere cosa comporta non pagare una fideiussione è fondamentale per difenderti in tempo.

Cos’è una fideiussione e come funziona?

È un contratto con cui una persona (il fideiussore) garantisce con il proprio patrimonio il pagamento di un debito altrui, in favore di un creditore (tipicamente una banca, una finanziaria o un ente pubblico). Se il debitore non paga, tocca al garante.

Cosa succede se il fideiussore non paga?

– Il creditore può agire direttamente contro il fideiussore, senza dover prima escutere il debitore principale (salvo clausole diverse)
– Può emettere un decreto ingiuntivo nei confronti del garante
– In caso di mancato pagamento, può partire il pignoramento di beni, conti correnti, stipendio o immobili del fideiussore
– Il garante può essere iscritto in centrale rischi e segnalato come cattivo pagatore

Il fideiussore può opporsi alla richiesta di pagamento?

Sì, ma solo in alcuni casi specifici, ad esempio:

– Se la fideiussione è nulla o viziata (per forma, contenuto, eccesso di garanzia)
– Se l’obbligazione principale è estinta o non valida
– Se ci sono clausole abusive, come quelle vietate dalla Banca d’Italia (fideiussioni omnibus standard)
– Se la fideiussione è stata firmata sotto pressione o senza reale consapevolezza del rischio

Cosa può fare il fideiussore per difendersi?

  1. Verificare la validità formale della fideiussione
    Alcune fideiussioni bancarie “a fotocopia” sono state dichiarate nulle per violazione della concorrenza, e non sono azionabili.
  2. Controllare la posizione del debitore principale
    Se il debito non esiste più o è stato modificato senza il consenso del garante, l’obbligo può cadere.
  3. Tentare una rinegoziazione con il creditore
    In alcuni casi si può ottenere una dilazione, uno stralcio parziale o una ristrutturazione del debito anche per il garante.
  4. Opporsi in giudizio al decreto ingiuntivo o al pignoramento
    Ma serve farlo subito: i termini per difendersi sono brevi e tassativi.

Cosa succede se non fai nulla?

– Il creditore ottiene facilmente un titolo esecutivo
– Scattano pignoramenti e segnalazioni
– Il fideiussore risponde con tutto il suo patrimonio presente e futuro
– Non c’è limite: il garante può essere rovinato anche per debiti non suoi

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario e difesa da fideiussioni – ti spiega cosa rischi se non paghi una fideiussione, come difenderti e quando puoi annullare o limitare l’obbligo.

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Introduzione

La fideiussione è uno strumento giuridico di garanzia molto diffuso nel credito bancario e commerciale. In termini semplici, è il contratto con cui una persona (detta fideiussore o garante) si obbliga personalmente verso un creditore a garantire l’adempimento di un’obbligazione altrui. Se il debitore principale non paga il suo debito, il creditore può rivolgersi al fideiussore per ottenere il pagamento dovuto. Ma cosa accade concretamente se il fideiussore – chiamato a onorare la garanzia – non paga a sua volta? Quali sono le conseguenze legali e pratiche per il garante (e per il debitore principale) quando una fideiussione “salta”? In questa guida avanzata, aggiornata a giugno 2025, affronteremo dal punto di vista del debitore garantito (sia esso un privato o un imprenditore) tutte le implicazioni del mancato pagamento di una fideiussione, con linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo.

Analizzeremo dapprima cos’è e come funziona la fideiussione, le sue tipologie (comprese le varie forme di fideiussione aziendale), e gli obblighi che essa comporta. Quindi esamineremo cosa succede quando il debitore principale non paga e la banca attiva la garanzia, e soprattutto cosa accade se il fideiussore non adempie alla richiesta di pagamento. Verranno descritte le azioni legali che il creditore può intraprendere (dal decreto ingiuntivo al pignoramento dei beni del garante), gli effetti sul patrimonio e sulla reputazione creditizia del fideiussore (come la segnalazione nelle banche dati creditizie), nonché i possibili rischi ulteriori. Dedicheremo ampio spazio alle strategie difensive e tutele legali che il fideiussore/debitore garantito ha a disposizione: dalle eccezioni opponibili (ad esempio la nullità o l’invalidità parziale della fideiussione per clausole abusive o contrarie alla legge) alle cause di liberazione del fideiussore previste dal codice civile (come la mancata tempestività nelle azioni di recupero da parte della banca, ex art. 1957 c.c., o la concessione imprudente di nuovo credito al debitore ex art. 1956 c.c.). Saranno illustrati i più recenti orientamenti giurisprudenziali (sentenze di Cassazione fino al 2024-2025) e normative di riferimento, con riferimenti a casi pratici.

Inoltre, includeremo tabelle riepilogative per schematizzare i punti chiave (ad esempio, le differenze tra varie forme di fideiussione, oppure un quadro delle difese del fideiussore), e una sezione di Domande e Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti in materia. Infine, alcune simulazioni pratiche ambientate in situazioni reali (in ambito familiare e aziendale) aiuteranno a capire concretamente cosa può succedere quando un fideiussore non paga e come potrebbe evolversi la vicenda in base alle diverse circostanze. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate (Codice Civile, Testo Unico Bancario, Codice del Consumo, sentenze, ecc.) saranno elencate in fondo alla guida, per consentire ulteriori approfondimenti.

Importante: le considerazioni svolte riguardano l’ordinamento italiano (contratti di fideiussione disciplinati dal Codice Civile e leggi speciali italiane) e la relativa giurisprudenza. La prospettiva adottata è quella del debitore garantito e/o del fideiussore che si trova alle prese con una fideiussione non onorata, valutando come tutelare i propri diritti di fronte alle pretese del creditore garantito. Procediamo con ordine, iniziando dalla nozione e dalla funzione della fideiussione.

Cos’è la fideiussione e come funziona

La fideiussione è definita dall’art. 1936 del Codice Civile: “È fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui”. Si tratta dunque di un contratto di garanzia personale in cui intervengono tre soggetti principali: (1) il creditore (ad esempio la banca o il fornitore a cui è dovuto un pagamento), (2) il debitore principale (colui che ha contratto l’obbligazione originaria, ad es. il cliente che ha ottenuto un finanziamento) e (3) il fideiussore o garante (il soggetto terzo che garantisce l’adempimento, impegnandosi a pagare lui stesso se il debitore principale non paga). Con la fideiussione il garante aggiunge la propria promessa di pagamento a quella del debitore, rafforzando la posizione del creditore: questi potrà rivalersi sul fideiussore qualora il debitore risulti inadempiente.

Caratteristica fondamentale della fideiussione è la sua natura accessoria rispetto al debito garantito. Ciò significa che la fideiussione esiste solo in funzione di un’obbligazione principale valida e determinata: non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore né essere prestata a condizioni più onerose. Se l’obbligazione principale si estingue (per pagamento, annullamento, prescrizione, ecc.), anche la fideiussione si estingue automaticamente. Parimenti, se il contratto principale è nullo (ad es. per illiceità o perché il debitore era incapace di obbligarsi), in genere anche la fideiussione è nulla – salvo il caso particolare dell’incapacità del debitore principale: il fideiussore non può opporre l’incapacità del debitore come eccezione per sottrarsi al pagamento. Quest’ultima regola tutela il creditore in buona fede: ad esempio, se il debitore principale fosse legalmente incapace, il suo contratto sarebbe annullabile ma il garante dovrà comunque pagare (poi potrà eventualmente rifarsi sul debitore stesso, se e quando possibile).

Dal punto di vista operativo, la fideiussione può nascere come contratto autonomo (un atto separato in cui il garante promette al creditore di garantire un certo debito altrui) oppure come clausola inserita nel contratto principale. Ad esempio, in un contratto di mutuo bancario, il garante firma un apposito modulo di fideiussione contestualmente al contratto di finanziamento, obbligandosi verso la banca a garantire le obbligazioni del mutuatario. La fideiussione deve risultare per iscritto (richiesto dalla norma ai fini probatori, trattandosi di contratto unilaterale nel quale il garante assume un’obbligazione di pagamento): in genere si formalizza per iscritto davanti a un funzionario della banca o a un notaio.

Una volta firmata, la fideiussione è efficace anche se il debitore principale non ne è a conoscenza. Questo significa, ad esempio, che un garante può prestare fideiussione per un debitore senza bisogno che quest’ultimo firmi o sia informato: situazione rara ma possibile (ad es. un genitore può garantire il debito del figlio senza coinvolgerlo formalmente). In ogni caso, la fideiussione vincola direttamente il garante verso il creditore: se il debitore non adempie, il creditore potrà rivolgersi al fideiussore per ottenere la prestazione dovuta, nei limiti del garantito.

Riassumendo, la fideiussione è un obbligo personale di garanzia: il fideiussore diventa co-obbligato con il debitore principale verso il creditore, pur non avendo ricevuto in proprio la prestazione (denaro, merce, ecc.) oggetto del debito. Proprio per questo il garante di solito è una persona legata al debitore da rapporti personali o economici: in ambito familiare è spesso un parente o il coniuge; nel contesto aziendale possono essere i soci o gli amministratori che garantiscono i debiti della società, oppure società collegate (si pensi alla casa madre che garantisce le obbligazioni di una controllata). Spesso chi firma una fideiussione lo fa a titolo gratuito, senza un corrispettivo economico diretto, ma al fine di far ottenere credito al debitore principale (ad esempio un genitore fa da garante per il mutuo del figlio, un imprenditore garantisce un fido bancario alla propria azienda). È importante tenere presente che, non essendo il fideiussore generalmente beneficiario diretto del finanziamento, egli assume un rischio patrimoniale a favore di terzi: la legge e la giurisprudenza prevedono perciò alcune tutele specifiche per il garante, che vedremo più avanti (ad esempio l’obbligo di indicare un importo massimo garantito nelle fideiussioni bancarie omnibus, o la possibilità di liberarsi in certe circostanze).

Tipologie di fideiussione (ambito privato e aziendale)

Non tutte le fideiussioni sono uguali: esistono diverse tipologie e schemi contrattuali, soprattutto in ambito aziendale e bancario. Di seguito distinguiamo le forme principali:

  • Fideiussione specifica: è la forma classica di fideiussione prevista dal codice civile. Garantisce un’obbligazione determinata e specificamente individuata – ad esempio il pagamento di uno specifico mutuo, di un canone di locazione, di una fornitura precisa, ecc. Nel testo del contratto di fideiussione sarà indicato esattamente quale debito viene garantito (importo, titolo, scadenza, ecc.). La fideiussione specifica è circoscritta a quell’unico rapporto e si estingue al soddisfacimento di esso.
  • Fideiussione omnibus (bancaria): è una garanzia di tipo generale utilizzata soprattutto nei rapporti banca-impresa. Qui il fideiussore garantisce tutte le obbligazioni presenti e future che un certo debitore (es. una società) ha nei confronti di una banca, fino a concorrenza di un determinato importo massimo (plafond). In altre parole, il fideiussore “omnibus” copre l’esposizione complessiva che il debitore principale ha verso la banca (derivante da più rapporti di conto corrente, fidi, mutui, anticipazioni, ecc.), entro il limite di importo stabilito. Ad esempio, un socio potrebbe fare da fideiussore omnibus per tutti i crediti che la banca vanta verso la sua società fino a 100.000 euro. È fondamentale, per legge, che sia previsto un importo massimo garantito: il codice civile all’art. 1938 stabilisce infatti che una garanzia “onnicomprensiva” di debiti futuri è valida solo se c’è un massimale, altrimenti è nulla per indeterminatezza dell’oggetto. Nella prassi, i contratti di fideiussione omnibus indicano chiaramente il massimale (es. “fino alla concorrenza di euro XXX”). Il massimale copre di solito solo il capitale garantito, ma spesso nel contratto si prevede che restino dovuti anche interessi e spese legali eventualmente maturati oltre tale importo (o si prevede un massimale addizionale per quelli). La fideiussione omnibus, salvo patto contrario, è a tempo indeterminato: copre anche le future nuove esposizioni fino a quando il garante non esercita il recesso (vedremo più avanti questa facoltà) o fino all’estinzione dei rapporti garantiti.
  • Fideiussione “aziendale” e garanzie tra imprese: in ambito societario, è frequente che i soci o altre società collegate prestino fideiussione a garanzia di finanziamenti ottenuti dall’impresa. Ad esempio, i soci di una S.r.l. possono garantire “in solido” un prestito bancario alla società; oppure una capogruppo può garantire i debiti di una controllata verso fornitori (in questo caso talvolta si parla di patronage o garanzia corporativa). Dal punto di vista legale, si tratta pur sempre di fideiussioni specifiche o omnibus a seconda dei casi, ma assumono rilievo le normative particolari di settore: ad esempio, per le società di capitali, prestare fideiussioni in favore di terzi è lecito purché vi sia interesse sociale e rispetto delle regole di amministrazione (un tema che esula dalla presente trattazione, ma che l’avvocato deve considerare per evitare contestazioni di mala gestio). Vi sono poi garanzie personali prestate da consorzi di garanzia fidi (Confidi) o da enti pubblici a sostegno delle PMI: anche queste, sebbene abbiano una disciplina speciale, rientrano nella logica di fideiussione (il Confidi fa da garante verso la banca, impegnando fondi propri, e poi rivalendosi sull’impresa associata in caso di escussione).
  • Fideiussione versus contratto autonomo di garanzia: è importante distinguere la fideiussione tipica, disciplinata dal codice civile, dal cosiddetto contratto autonomo di garanzia (spesso indicato con espressioni come “garanzia a prima richiesta” o “fideiussione a prima richiesta e senza eccezioni”). Quest’ultimo è una figura affine ma diversa: in un contratto autonomo di garanzia, il garante si impegna a pagare al semplice “prima richiesta” del creditore, rinunciando espressamente a far valere eventuali eccezioni relative al rapporto principale. Si tratta di garanzie svincolate dall’accessorietà tipica: l’obbligo del garante è indipendente dalla validità o dalle vicende dell’obbligazione principale, salvo il limite della frode manifesta (unico caso in cui il garante a prima richiesta può rifiutare il pagamento). Nella prassi commerciale e internazionale, le garanzie a prima domanda sono frequenti (es. performance bond, garanzie nei contratti di appalto, lettere di credito standby). In ambito bancario italiano, invece, la fideiussione bancaria standard è di norma accessoria: tuttavia, alcune clausole inserite nei contratti di fideiussione (come “pagamento a prima richiesta” e “senza eccezioni”) possono farla qualificare dal giudice come garanzia autonoma. La distinzione è cruciale perché, se la garanzia è considerata autonoma, non si applicano alcune protezioni legali tipiche della fideiussione (ad es. la decadenza ex art. 1957 c.c. o la possibilità di opporre le eccezioni del debitore) e il garante dovrà pagare immediatamente, poi semmai agire in separato giudizio di ripetizione. Perciò, dal punto di vista del fideiussore, è importante sapere se ha firmato una fideiussione tipica (in cui potrà beneficiare delle norme protettive del codice civile) oppure un contratto autonomo di garanzia (in cui gli spazi di difesa sono molto minori). Spesso la differenza dipende dal testo: la presenza congiunta nel contratto delle formule “a prima richiesta” e “senza eccezioni” è un forte indice di autonomia. In questa guida ci concentreremo prevalentemente sulla fideiussione in senso proprio (accessoria), salvo segnalare dove rileva l’eventuale natura autonoma della garanzia.
  • Polizze fideiussorie (garanzie assicurative): un’ulteriore categoria sono le fideiussioni prestate da compagnie di assicurazione (polizze fideiussorie) o da intermediari finanziari autorizzati. Sono frequenti nei contratti pubblici (appalti, concessioni) e in altre situazioni in cui la legge richiede una garanzia (ad es. cauzioni in giudizio, rimborsi IVA, ecc.). Tecnicamente, la compagnia assicurativa emette una fideiussione (o garanzia a prima richiesta) verso il beneficiario, e il soggetto garantito paga un premio assicurativo. Se il garante assicurativo viene escusso perché il debitore principale non adempie, l’assicurazione paga al creditore e poi chiede il rimborso al debitore (detto contraente della polizza). Una particolarità pratica: il mancato pagamento del premio da parte del contraente può comportare la sospensione o scioglimento della garanzia assicurativa, secondo le norme sulle assicurazioni (ad es. se non paghi il premio, la compagnia può non essere tenuta a prestare la garanzia). Dal punto di vista dell’impresa beneficiaria, la polizza fideiussoria offre garanzie simili a una fideiussione bancaria ma senza immobilizzare capitale (si paga solo un premio). Dal punto di vista del debitore garantito, però, resta l’obbligo di rimborsare l’assicurazione se questa paga al creditore. Pertanto, se non rimborsa, il debitore garantito potrebbe subire un’azione legale di regresso da parte dell’assicuratore (analoga a quella di un fideiussore comune).

Tabella riepilogativa – Principali tipologie di fideiussione:

Tipo di fideiussioneCaratteristicheAmbito d’uso
Fideiussione specificaGarantisce un debito determinato (importo e rapporto specifico). Si estingue con quel debito.Privato e commerciale (es. mutui, affitti).
Fideiussione omnibusGarantisce tutte le obbligazioni di un debitore verso il creditore, presenti e future, entro un massimale. Richiesta espressamente per operare (art. 1938 c.c.).Bancario-aziendale (linee di credito, esposizioni generali).
Garante persona fisica vs. giuridicaLa fideiussione può essere prestata da individui (soci, parenti) o da società (es. società controllante). La disciplina civile è la medesima, ma per società rilevano statuti e interessi sociali.Rapporti aziendali (soci per società, consorzi di garanzia).
Garanzia autonoma (“a prima richiesta”)Impegno indipendente dal rapporto principale: il garante paga immediatamente al primo sollecito, senza poter opporre eccezioni relative al contratto sottostante. Non è soggetta alle regole protettive della fideiussione tipica (beneficio escussione, termini ex art.1957 c.c., ecc.).Appalti, garanzie internazionali, alcune fideiussioni bancarie con clausole specifiche.
Polizza fideiussoria assicurativaEmessa da un’assicurazione a fronte del pagamento di un premio. Funziona come fideiussione (spesso a prima richiesta). Se il debitore non paga, la compagnia paga al beneficiario e poi si rivale sull’obbligato.Contratti pubblici, cauzioni varie, settori dove si preferisce non impegnare liquidità in depositi cauzionali.

Obblighi e rischi del fideiussore

Dal momento in cui firma la fideiussione, il garante assume precisi obblighi legali e si espone a determinati rischi patrimoniali, che è bene conoscere. Vediamo i principali:

Obbligazione in solido col debitore – Salvo patto contrario, il fideiussore è obbligato in solido con il debitore principale verso il creditore. Ciò significa che il creditore può pretendere dal garante l’intero importo dovuto, come se fosse debitore diretto. Questo principio, sancito dall’art. 1944 c.c., comporta che il fideiussore e il debitore rispondono entrambi dello stesso debito, e il pagamento integrale fatto da uno libera l’altro. Le parti possono tuttavia accordarsi per limitare la solidarietà, convenendo il cosiddetto beneficio di escussione: in tal caso il garante non sarà tenuto a pagare prima che il creditore abbia escusso (cioè agito contro) il debitore principale. Va però sottolineato che nelle fideiussioni bancarie e commerciali è prassi comune far rinunciare espressamente il fideiussore al beneficio di escussione. Inserendo nel contratto una clausola del tipo “il fideiussore rinuncia al beneficio della previa escussione del debitore ex art. 1944 co.2 c.c.”, la banca si assicura di poter chiedere il pagamento al garante senza dover prima escutere il debitore principale. Di conseguenza, nella maggioranza dei casi pratici il fideiussore è immediatamente e direttamente obbligato a pagare al creditore inadempienze del debitore, senza poter opporre “Aspetta, rivalgiti prima sul debitore”. Approfondiremo fra poco come opera questo meccanismo quando il debitore principale non paga.

Importo garantito e interessi/spese – L’obbligazione del fideiussore non può eccedere quella del debitore principale (art. 1941 c.c.). Ciò significa che il garante garantisce al massimo quanto è dovuto dal debitore. È però possibile garantire solo parte del debito (fideiussione parziale) o a condizioni meno onerose (ad es. fino a un certo importo o per un periodo limitato). Se nulla è pattuito, la fideiussione si presume per l’intero debito e accessori. In generale, salvo patto specifico, la garanzia copre anche gli interessi di mora dovuti dal debitore e le spese eventuali di recupero crediti nei confronti di quest’ultimo. Ad esempio, se Tizio non paga un prestito e la banca avvia un decreto ingiuntivo, al fideiussore Caio potrà essere richiesto il capitale, gli interessi maturati e le spese legali del decreto ingiuntivo. Molto spesso i contratti di fideiussione prevedono espressamente che il garante si obblighi a pagare “tutto ciò che è dovuto dal debitore, comprese spese ed accessori”. Attenzione però: la fideiussione non può imporre al garante condizioni più onerose di quelle a carico del debitore (art. 1941 c.c.). Quindi, ad esempio, non gli si possono addebitare penali o interessi in misura maggiore di quelli contrattualmente previsti a carico del debitore. Invece, che la garanzia copra anche le spese legali e gli interessi rientra nell’accessorio del debito, quindi è legittimo (semplicemente il fideiussore paga ciò che deve il debitore, spese di recupero comprese, a meno che il contratto restringa la sua responsabilità).

Beneficio di escussione (quando non rinunciato) – Come anticipato, se il contratto non contiene la rinuncia, il fideiussore può avvalersi del beneficium excussionis, regolato dall’art. 1944 co.2 c.c. In pratica, qualora il creditore gli chieda il pagamento, il garante può pretendere che siano prima escussi i beni del debitore principale. Per esercitare questo beneficio, il fideiussore deve indicare al creditore (o in sede giudiziale) i beni del debitore principale sui quali soddisfarsi facilmente. Ad esempio, il garante può segnalare che il debitore possiede un immobile libero da ipoteche su cui il creditore può iscrivere ipoteca e pignorare, oppure un conto bancario capiente, ecc. Se tali beni esistono e sono aggredibili, il creditore dovrà escuterli prima di rivalersi sul fideiussore. Questo beneficio tutela il garante, evitando che debba pagare di tasca propria se il debitore ha risorse sufficienti. Tuttavia, come detto, nella prassi commerciale quasi sempre il beneficio è escluso per patto. Inoltre, in caso di fallimento (o liquidazione giudiziale) del debitore principale, il beneficio di escussione è inapplicabile salvo patto contrario. Dunque se il debitore fallisce, il creditore può immediatamente agire contro il garante, essendo impossibile l’escussione individuale dei beni per via della procedura concorsuale. Riassumendo: salvo rarità, il fideiussore si deve aspettare di essere chiamato a pagare senza che prima siano escussi i beni del debitore insolvente, perché la rinuncia al beneficio è uno standard dei contratti di garanzia bancaria.

Pluralità di fideiussori (co-fideiussione) – Se più garanti assicurano lo stesso debito (es. tre soci fideiussori per un mutuo aziendale), essi sono obbligati in solido verso il creditore, ma tra di loro si presumono tenuti ciascuno per una quota pro quota (salvo patto di solidarietà interna). In pratica, il creditore può chiedere a uno solo il pagamento integrale, ma il fideiussore che paga oltre la propria quota ha diritto di regresso verso gli altri garanti per la parte eccedente (artt. 1946 e 1954 c.c.). Esempio: debito €100; due fideiussori A e B senza indicazione di quote; la banca chiede €100 ad A, che paga l’intero; A potrà poi esigere da B €50 (la metà). È possibile però che i contratti prevedano espressamente la solidarietà anche interna tra garanti: in tal caso chi paga non ha regresso (di solito ciò avviene tra condebitori che accettano di sopportare l’intero importo in via definitiva, tipico tra coobbligati solidali). Se non specificato, comunque, vale la regola del regresso pro quota. Per il debitore principale, avere più fideiussori è un vantaggio perché aumenta le chance di soddisfacimento del creditore, ma per i fideiussori implica che ciascuno possa essere chiamato al tutto (salvo poi farsi i conti tra loro).

Rischio patrimoniale – Il rischio principale per il fideiussore è di dover pagare con il proprio patrimonio i debiti altrui. In caso di inadempimento del debitore, infatti, il patrimonio del garante diventa aggredibile dal creditore: beni immobili, conti correnti, stipendio, ecc., possono essere oggetto di esecuzione forzata (pignoramento) se il fideiussore non adempie spontaneamente. Approfondiremo fra breve le modalità di tali azioni. Ciò significa che prima di firmare una fideiussione occorre valutare attentamente la propria capacità finanziaria di far fronte al debito garantito in worst case. Proprio perché la banca lo sa, in fase di concessione del credito viene di solito verificata la solidità economica del garante: gli vengono richiesti documenti di reddito, patrimonio, e spesso il garante viene valutato come se fosse un co-mutuatario (in Centrale Rischi risulterà esposto anch’egli). In sintesi, il garante rischia potenzialmente come se avesse contratto personalmente il debito: se questo non viene pagato, anche il suo credit score ne risente (diventando un “cattivo pagatore”) e i suoi beni personali possono essere aggrediti. Da notare: il fideiussore che paga per il debitore poi potrà rivalersi su quest’ultimo (azione di regresso), ma ciò presuppone che il debitore disponga in futuro di risorse per rimborsarlo – il che spesso, dato il contesto di insolvenza, non avviene facilmente.

Diritti del fideiussore – Accanto agli obblighi, il fideiussore ha alcuni diritti. Il più importante è proprio il diritto di regresso contro il debitore principale: disciplinato dall’art. 1950 c.c., esso prevede che “il fideiussore che ha pagato ha diritto di regresso per l’intero verso il debitore, anche se questi non era a conoscenza della fideiussione”. In pratica, se il garante paga al creditore, subentra nelle pendenze originarie: può chiedere al debitore di restituirgli tutto quanto versato (capitale, interessi e spese) dal giorno del pagamento. Inoltre, il fideiussore è surrogato nei diritti del creditore soddisfatto (art. 1949 c.c.). Ciò significa che acquisisce gli stessi diritti che aveva il creditore verso il debitore: ad esempio, se a garanzia del credito c’era un’ipoteca su un immobile del debitore, dopo aver pagato il fideiussore può far valere quella ipoteca contro il debitore (si sostituisce al creditore originario). Questa surroga opera di diritto, senza bisogno di atti formali di cessione. Oltre al regresso, il fideiussore gode di altri diritti di protezione:

  • Può chiedere di essere liberato dalla fideiussione prima di aver pagato se si verificano certe situazioni (art. 1953 c.c.). In particolare, se il debitore diventa insolvente, il garante può intimargli di liberarlo procurandosi altro garante o altra garanzia, e se ciò non avviene può essere liberato dal giudice. Analogamente, se il debito è scaduto, il garante può sollecitare il creditore a escutere il debitore; se il creditore ritarda e intanto il debitore diventa insolvente, il fideiussore è liberato per colpa del creditore (art. 1955 c.c., che vedremo in dettaglio più avanti).
  • Nel caso di obbligazioni future (tipicamente fideiussione omnibus), il fideiussore può recedere unilateralmente dal contratto per le operazioni future. Deve dare comunicazione formale al creditore (es. raccomandata o PEC) dichiarando di voler recedere dalla fideiussione. Questo recesso non libera però dalle esposizioni già in essere: il garante resterà obbligato per i debiti sorti fino al momento del recesso, mentre non garantirà le nuove operazioni successive. Ad esempio, un garante omnibus decide nel 2025 di revocare la fideiussione: rimane responsabile dei finanziamenti concessi fino al 2025, ma non di quelli che la banca dovesse concedere al debitore nel 2026. Il diritto di recesso è importante per limitare nel tempo l’impegno del fideiussore, specie nelle garanzie indefinite, e spesso è espressamente menzionato nel contratto.
  • Infine, il fideiussore può avvalersi di tutte le eccezioni e difese che spettano al debitore principale verso il creditore (ad eccezione dell’incapacità, come già detto). Questo principio (art. 1945 c.c.) è cruciale: significa che il garante, una volta citato a pagare, può opporre al creditore ad esempio che il contratto principale è nullo o risolto, che il debito è già stato pagato in tutto o in parte, che esso è invalido per usura, prescritto, ecc. Tali eccezioni, se fondate, liberano anche il fideiussore. Non potrà invece opporre vicende personali del debitore, come l’incapacità o (secondo la giurisprudenza) eventuali compensazioni creditorio-debitore di cui il fideiussore non possa giovarsi.

In sintesi, il fideiussore assume un ruolo delicato: garantisce con il proprio patrimonio il debito altrui, con ampia responsabilità verso il creditore, ma gode anche di diritti di surroga e regresso per tutelarsi nei confronti del debitore principale e di alcune protezioni legali (in parte rinunciabili per contratto). Dopo aver delineato il funzionamento generale della fideiussione, passiamo ora a esaminare cosa succede quando il meccanismo viene messo alla prova: l’inadempimento del debitore principale e l’attivazione della garanzia, e poi il caso chiave oggetto di questa guida, cioè il mancato pagamento da parte del fideiussore.

Cosa succede se il debitore principale non paga (escussione della fideiussione)

Quando il debitore principale diventa inadempiente – ad esempio salta il pagamento di una rata di mutuo, o non rientra dallo scoperto di conto entro i termini – il creditore (banca o altro) ha la facoltà di attivare la fideiussione. In gergo si dice che il creditore escute la garanzia: significa che chiama il fideiussore a pagare al posto del debitore. Vediamo in pratica come avviene questa fase e quali sono le regole.

Notifica e richiesta di pagamento – Di solito il primo passo è una comunicazione formale al fideiussore in cui si segnala l’inadempimento del debitore e si chiede il pagamento. Spesso il contratto di fideiussione prevede che il garante venga avvisato dell’insolvenza del debitore: ad esempio, la banca invia al fideiussore una lettera di “escussione” in cui intima il pagamento del dovuto in virtù della garanzia. Questo avviso non è richiesto a pena di decadenza (a meno che la fideiussione sia in forma di garanzia autonoma “a prima richiesta”, che può prevedere specifiche formalità), ma è prassi sia per correttezza sia per invitare il garante a intervenire spontaneamente. In alcuni casi, il fideiussore potrebbe venire a sapere del default ancor prima dal debitore stesso o da altre fonti; tuttavia, se anche mancasse l’avviso informale, conta la domanda ufficiale di pagamento.

Immediatezza o preventiva escussione – Se, come di norma, il fideiussore ha rinunciato al beneficio di escussione, la banca può rivolgersi direttamente al garante non appena il debitore è moroso. Non deve prima tentare il recupero sul debitore. Ad esempio, Tizio non paga due rate del mutuo: la banca, decorsi i termini contrattuali di tolleranza, può inviare un’intimazione di pagamento al fideiussore Caio chiedendogli le rate scadute (e/o l’intero residuo se il mutuo è decaduto dal beneficio del termine). Se invece in contratto fosse previsto il beneficio di escussione, la banca dovrebbe prima esperire le azioni contro Tizio (ad esempio pignorare i suoi beni noti) e solo in caso di esito infruttuoso o insufficiente potrebbe rivolgersi a Caio. Come detto però, questa seconda ipotesi è rara nei rapporti bancari standard.

Escussione parziale o totale – Il creditore può scegliere se escutere il fideiussore per l’intero importo dovuto o solo per una parte (ad esempio, può chiedere al garante di saldare le rate scadute mentre nel frattempo rinegozia col debitore il resto). Spesso la banca mantiene un approccio “elastico”: potrebbe inizialmente chiedere al fideiussore di coprire temporaneamente l’insoluto del debitore (ad esempio versare le rate arretrate) per evitare la risoluzione del contratto principale. Se il fideiussore paga queste somme, la posizione del debitore rientra nei limiti e il rapporto può proseguire. In tal caso il fideiussore diventa creditore verso il debitore delle rate pagate (regresso). Se invece la situazione è compromessa, la banca può chiedere direttamente al fideiussore l’intero debito residuo (es. l’intero mutuo decelerato). La scelta può dipendere dalla gravità dell’inadempimento e dalla solvibilità del fideiussore stesso: se il garante ha solide risorse, la banca tenderà a escuterlo per chiudere subito la partita. Importante: il fideiussore risponde al massimo del massimale garantito. Quindi se l’esposizione supera il plafond della sua fideiussione omnibus, la banca potrà chiedergli solo fino a quel limite. Analogamente, se nel frattempo il debitore ha parzialmente pagato, il garante deve solo l’eventuale residuo (il creditore non può pretendere più di quanto effettivamente ancora dovuto, pena indebiti e contestazioni).

Pagamento volontario o azioni legali – Ricevuta la richiesta, il fideiussore ha essenzialmente due scelte: pagare (adempiere alla garanzia) oppure rifiutare/differire il pagamento. Un fideiussore solvibile e consapevole dell’obbligo spesso preferirà pagare spontaneamente per evitare aggravio di spese e conseguenze (specie se l’importo non è eccessivo), salvo poi rivalersi sul debitore. Talvolta il garante può cercare una soluzione negoziata col creditore: ad esempio chiedere una dilazione, o proporre un saldo a stralcio (pagamento parziale in cambio della liberazione completa). Queste possibilità dipendono dalla disponibilità del creditore e dalla situazione (se il fideiussore ha mezzi limitati, può tentare di dimostrare che conviene anche alla banca transare). Se però il fideiussore non paga né trova un accordo, il creditore dovrà procedere con gli strumenti legali di tutela per ottenere coattivamente la somma garantita. In pratica, la banca (o il creditore garantito) intraprenderà un’azione giudiziale contro il fideiussore inadempiente.

Di solito l’azione più comune è il decreto ingiuntivo: trattandosi di credito certo, liquido ed esigibile documentato da contratto scritto (il contratto di fideiussione + prova dell’inadempimento del debitore), il creditore può rivolgersi al tribunale per ottenere un’ingiunzione di pagamento nei confronti del fideiussore. Il decreto ingiuntivo è un ordine del giudice che ingiunge al fideiussore di pagare quanto dovuto entro 40 giorni (termine ordinario per l’opposizione), avvisandolo che in difetto si procederà ad esecuzione forzata. Il fideiussore, una volta notificatogli il decreto, potrà opporsi entro il termine (vedremo nel prossimo paragrafo le possibili difese) oppure lasciarlo decadere. Se il fideiussore non propone opposizione entro i 40 giorni, il decreto diventa definitivo e costituisce titolo esecutivo. A quel punto il creditore potrà passare al pignoramento dei beni del fideiussore. In alternativa al ricorso monitorio (ingiunzione), il creditore potrebbe agire in via ordinaria con una citazione, ma è più lungo; l’ingiunzione resta la via preferita poiché rapida e basata su prova scritta del credito. In alcuni casi – ad esempio se la fideiussione è contenuta in un atto pubblico notarile – il creditore dispone già di un titolo esecutivo e potrebbe saltare il giudizio, notificando direttamente un atto di precetto al fideiussore; ma nella gran parte delle situazioni, serve prima ottenere un decreto ingiuntivo o sentenza.

Segnalazione nelle Centrali Rischi – Parallelamente all’azione legale, la banca segnalerà molto probabilmente il mancato pagamento anche nei sistemi di informazione creditizia. Infatti, il fideiussore è considerato un co-obbligato e co-debitore: la sua insolvenza viene registrata nelle banche dati, analogamente a quella del debitore principale. In concreto, se il debito supera determinate soglie (es. €250 per la Centrale dei Rischi di Banca d’Italia, oppure importi minori per SIC privati come CRIF, EXPERIAN, CTC), il garante insolvente verrà segnalato “a sofferenza” o in categoria di credito deteriorato. Ciò comporta che la sua reputazione creditizia ne risente: potrà trovare difficoltà ad ottenere nuovi finanziamenti, fidi o mutui, in quanto risulterà come cattivo pagatore. È importante sapere che la segnalazione non è automatica e inevitabile in tutti i casi: alcune sentenze hanno chiarito che la segnalazione del fideiussore in Centrale Rischi non è necessariamente immediata solo perché è segnalato il debitore principale. La banca deve valutare il garante autonomamente (ad esempio, se il debitore principale è in default ma il garante sta trattando e si prospetta il pagamento, la banca potrebbe temporaneamente soprassedere alla segnalazione del garante). Tuttavia, se il mancato pagamento si protrae e diventa conclamato, la segnalazione del fideiussore insolvente è lecita e legittima. Nota: per i crediti al consumo, la normativa richiede di inviare al consumatore un preavviso almeno 15 giorni prima di una segnalazione negativa nei SIC privati (CRIF ecc.), per dargli modo di saldare ed evitare l’iscrizione. La Cassazione ha però chiarito che tale obbligo di preavviso si applica solo ai crediti di natura bancaria/finanziaria destinati al consumo (persona fisica fuori attività imprenditoriale). Dunque, se ad esempio un garante ha firmato per un finanziamento personale, ha diritto al preavviso; se era garanzia di un credito “non consumer” (es. scoperto di conto di una società), il preavviso non è strettamente richiesto per legge (anche se molte banche lo mandano comunque). In ogni caso, al di là dei dettagli tecnici, il punto chiave è: il fideiussore inadempiente può essere segnalato e subire le stesse limitazioni di accesso al credito del debitore principale.

Conseguenze sul rapporto principale – Quando il creditore escute la fideiussione, anche il debitore principale subisce conseguenze indirette. In genere, l’escussione della garanzia coincide con la decadenza del beneficio del termine o la risoluzione del contratto principale. Ad esempio, se la banca chiama il garante a pagare, significa che considera il debitore in default e probabilmente ha risolto il finanziamento anticipatamente. Quindi il debitore vede il proprio debito accelerato (tutto immediatamente esigibile) e sarà sollecitato anch’egli. Inoltre, se il garante paga al creditore, il debitore principale non è affatto “salvo”: egli ora dovrà restituire quelle somme al suo garante (azione di regresso). Se non lo fa, il garante può portarlo in tribunale. Dunque, dalla prospettiva del debitore, far pagare al proprio fideiussore non fa scomparire il debito – cambia solo il creditore a cui dovrà rispondere (dal creditore originario al proprio amico/parente garante, potenzialmente incrinando anche rapporti personali). Va detto però che, spesso, il debitore principale che non è riuscito a pagare la banca difficilmente potrà rifondere il garante: se la sua insolvenza è grave, il garante potrebbe recuperare poco o nulla; ma in ogni caso avrà acquisito un titolo di credito verso il debitore (surroga e regresso).

Esempio: Mario ha un debito di €50.000 verso la banca; suo padre Luigi è garante. Mario smette di pagare, la banca risolve il contratto e ingiunge a Luigi €50.000. Luigi, pur tra sacrifici, paga alla banca per evitare il pignoramento della casa. Ora Mario è debitore di Luigi per €50.000 (oltre interessi dal giorno in cui Luigi ha pagato). Luigi potrà agire contro Mario per riprendersi i soldi (ad esempio iscrivere ipoteca sui beni di Mario, ottenerne l’esecuzione forzata, o insinuarsi nel fallimento se Mario fallisse come imprenditore). Insomma, il problema del debito non sparisce ma si sposta di soggetto.

Fallimento del debitore o del fideiussore – Un caso particolare è quello in cui interviene una procedura concorsuale. Se il debitore principale fallisce (o, sotto il nuovo Codice della Crisi, va in liquidazione giudiziale o concordato preventivo), il creditore può comunque escutere il fideiussore. Anzi, come detto, non c’è beneficio di escussione in costanza di fallimento, quindi il garante diventa la fonte primaria di soddisfacimento. Il pagamento del fideiussore non impedisce però al creditore di insinuarsi nel fallimento del debitore: tipicamente, il creditore insinua tutto il suo credito; se poi il garante paga, il creditore cede (surroga) la quota al garante o si astiene dal ricevere due volte. In ogni caso, la legge fallimentare (art. 184 L.F. – ora art. 307 CCII) prevede che l’esdebitazione o il concordato del debitore non liberano i fideiussori. Ad esempio, se l’azienda debitrice ottiene un concordato con pagamento del 20% ai creditori, il fideiussore dei debiti sociali resterà obbligato a pagare il restante 80% al creditore (a meno che questi in sede di concordato non abbia espressamente rinunciato alla fideiussione). Ciò per evitare che un concordato col debitore favorisca indirettamente i garanti. Viceversa, se è il fideiussore a fallire (ad esempio un imprenditore individuale garante fallisce), il creditore potrà insinuarsi al passivo del fideiussore per il debito garantito (oltre a restare creditore verso il debitore principale). Il fallimento del garante non libera il debitore principale: semplicemente, il creditore seguirà due strade di recupero parallele (procedura concorsuale sul fideiussore e azioni dirette verso il debitore).

Riassumendo questa sezione: quando il debitore principale non paga, la fideiussione “scatta” e il creditore generalmente chiederà al garante di adempiere. Se il garante non paga spontaneamente, il creditore procederà legalmente fino al pignoramento dei suoi beni. Nel prossimo capitolo vedremo in dettaglio cosa succede se il fideiussore non paga, analizzando le azioni esecutive e le conseguenze concrete per il garante inadempiente, nonché le possibili difese che il garante potrà opporre per evitare o limitare il pagamento.

Cosa succede se il fideiussore non paga (inadempimento della garanzia)

Entriamo ora nel tema centrale: le conseguenze del mancato pagamento da parte del fideiussore. Abbiamo visto che, in caso di insolvenza del debitore principale, il creditore escute il garante. Ma se il fideiussore stesso non adempie alla richiesta di pagamento – volontariamente o perché impossibilitato – cosa può fare il creditore e cosa rischia in concreto il garante? Questa sezione descrive il “percorso” tipico che conduce dal mancato pagamento del fideiussore alle misure esecutive sul suo patrimonio, con le relative implicazioni.

1. Decreto ingiuntivo e titolo esecutivo – Come accennato, il primo passo formale che il creditore compie di fronte all’inadempimento del garante è ottenere un titolo esecutivo contro di lui, se già non ne dispone. Nella maggioranza dei casi si tratta di presentare ricorso per decreto ingiuntivo al giudice competente. Il decreto ingiuntivo (che in base all’art. 633 c.p.c. viene emesso inaudita altera parte su prova scritta del credito) ingiunge al fideiussore di pagare quanto dovuto entro 40 giorni. Questo termine è importante: è il periodo entro cui il garante può proporre opposizione per contestare il decreto. Se non oppone (cioè lascia decorrere i 40 giorni senza agire), il decreto diviene definitivo e il creditore potrà procedere con l’esecuzione forzata. Se invece il garante propone opposizione, si avvia un normale giudizio civile di cognizione, durante il quale l’efficacia esecutiva del decreto può essere sospesa se il giudice ritiene probanti le contestazioni. Approfondiremo nel prossimo capitolo quali difese il fideiussore può far valere in sede di opposizione a decreto ingiuntivo (ad esempio eccepire la nullità della fideiussione, l’inesigibilità del credito, ecc.). Per ora, dal lato conseguenze, assumiamo che il creditore ottenga un titolo esecutivo valido contro il fideiussore (perché o il decreto non è stato opposto, o l’opposizione è stata respinta, oppure il creditore ha direttamente ottenuto una sentenza di condanna).

2. Precetto e pignoramento – Una volta in possesso di un titolo esecutivo definitivo (decreto ingiuntivo non opposto o sentenza), il creditore passa alla fase di esecuzione forzata contro il fideiussore. Il primo atto dell’esecuzione è la notifica del precetto: un atto formale con cui si intima al debitore (in questo caso il fideiussore) di pagare entro un termine non minore di 10 giorni, avvertendo che in difetto si procederà a pignoramento. Trascorso inutilmente il termine del precetto, il creditore può richiedere all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento dei beni del fideiussore. Il creditore, per massimizzare il recupero, in genere svolge prima delle indagini patrimoniali per individuare i beni aggredibili più efficaci. Ad esempio, verificherà se il garante percepisce uno stipendio (pignorabile in parte), se ha un conto in banca con saldo attivo, se possiede immobili, auto, ecc. Grazie all’accesso alle banche dati (Anagrafe tributaria, PRA, Catasto, ecc.), oggi i creditori possono in modo abbastanza rapido scoprire le fonti di reddito e patrimonio del debitore.

3. Tipi di beni pignorabili – Il fideiussore inadempiente è soggetto al pignoramento come qualsiasi debitore civile. I principali tipi di esecuzione sono:

  • Pignoramento mobiliare presso terzi: il caso più comune è il pignoramento di stipendi o pensioni presso l’azienda datrice di lavoro o l’ente previdenziale. Se il fideiussore ha un lavoro dipendente, il creditore può pignorare una quota dello stipendio (di regola un quinto dello stipendio netto mensile, ex art. 545 c.p.c.). Analogamente, se percepisce una pensione, è pignorabile il quinto eccedente la cosiddetta “minima vitale” (circa 1,5 volte l’assegno sociale). Il pignoramento del salario è un metodo tipico: ad esempio, la banca ottiene dal giudice l’ordine per il datore di lavoro di versare un quinto dello stipendio del garante fino a concorrenza del debito. Questo consente un recupero graduale nel tempo. Si può pignorare anche un conto corrente bancario: l’ufficiale giudiziario notifica la banca e blocca le somme disponibili sul conto del fideiussore fino all’importo dovuto, che poi vengono assegnate al creditore. Anche altri crediti del fideiussore verso terzi possono essere pignorati (ad es. affitti, indennità, rimborsi).
  • Pignoramento mobiliare diretto: in teoria il creditore potrebbe far pignorare beni mobili materiali (auto, arredamento) presenti presso il domicilio del fideiussore. In pratica ciò è meno usato, se non in casi di beni di valore (autoveicoli, opere d’arte, ecc.), perché il pignoramento mobiliare domestico è spesso poco fruttuoso. Le autovetture di proprietà del garante possono essere pignorate tramite notifica al PRA e successivo sequestro, con vendita all’asta.
  • Pignoramento immobiliare: se il fideiussore possiede immobili, il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale (a garanzia) e poi procedere al pignoramento immobiliare, con vendita all’asta della proprietà. Questa è un’azione più drastica ma efficace per importi elevati. Ad esempio, se il garante ha una casa di valore e il debito è importante, la banca potrebbe pignorarla e metterla in vendita forzata. Occorre notare che, diversamente dal fisco, un creditore privato può pignorare anche l’abitazione principale del debitore; non esiste un divieto generale (il divieto di pignoramento prima casa vale solo per Equitalia in ambito esattoriale). Quindi il fideiussore rischia potenzialmente la casa, anche se è l’unica, qualora il debito sia rilevante e la banca scelga di agire in tal senso. In pratica però, se la casa è gravata da mutuo o se l’importo del debito è relativamente modesto rispetto al valore, la banca potrebbe preferire soluzioni transattive, perché le aste hanno costi e incertezze. Tuttavia, la possibilità legale di pignorare immobili rimane un forte potere di pressione del creditore.
  • Misure conservative: oltre al pignoramento, il creditore potrebbe adottare misure cautelari se teme che il fideiussore disperda beni (es. sequestro conservativo dei beni del garante prima della sentenza, se ricorrono i presupposti). In contesti normali, però, una volta c’è il titolo esecutivo si passa direttamente all’esecuzione.

4. Effetti del pignoramento sul fideiussore – Subire un’esecuzione forzata ha conseguenze significative: il garante potrebbe vedersi bloccati conti correnti, decurtato lo stipendio mensile, oppure preclusa la disponibilità di un immobile in attesa dell’asta. Inoltre, i costi della procedura (spese di avvocati, custodia, perizie) si aggiungono al debito a suo carico. La situazione può aggravarsi se il garante non possiede beni sufficienti: il creditore potrà mantenere vivo il titolo per molti anni (un titolo esecutivo ha efficacia 10 anni rinnovabile) nella speranza che in futuro il fideiussore acquisisca qualcosa (eredità, nuova occupazione, ecc.). In pratica, un fideiussore nullatenente o senza reddito esigibile nell’immediato può non subire nell’immediato un’incidenza patrimoniale (se non c’è nulla da pignorare, il creditore resta insoddisfatto), ma la sua posizione creditizia resterà compromessa a lungo e il debito pendente potrebbe riaffacciarsi in futuro se dovesse migliorare la sua condizione economica. Inoltre, su qualunque somma che dovesse affluire (per es. accrediti su conto) pende la spada di Damocle di possibili pignoramenti futuri.

5. Responsabilità patrimoniale illimitata (salvo regime patrimoniale) – Il fideiussore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri dell’obbligazione garantita (art. 2740 c.c.), salvo diversi accordi. Significa che il creditore può aggredire qualsiasi elemento del suo patrimonio. Ci sono però alcune attenuazioni: ad esempio, se il garante è in comunione dei beni con il coniuge, occorre distinguere tra beni comuni e personali. La fideiussione è considerata un debito personale del garante; se è stata prestata per fini estranei ai bisogni della famiglia, il creditore non può soddisfarsi sulla parte di beni comuni spettante all’altro coniuge non garante (artt. 189-190 c.c. in tema di comunione legale). Dunque, se un coniuge firma fideiussione per la propria azienda senza l’altro, i creditori potrebbero trovare qualche limite sui beni in comunione (questo aspetto è molto tecnico e caso-specifico). In generale, comunque, il garante risponde illimitatamente. Non esiste un’esdebitazione “automatica” per il fideiussore in difficoltà, se non attraverso strumenti concorsuali: ad esempio, un fideiussore sovraindebitato che sia un privato non fallibile può accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (piano del consumatore, liquidazione del patrimonio, ecc.) e ottenere eventualmente l’esdebitazione, liberandosi così anche del debito da fideiussione residuo. Questo è però un percorso giudiziale di fresh start che esula dalla normale dialettica creditore-garante, e richiede il coinvolgimento del tribunale per appurare lo stato di insolvenza meritevole. Per le società o imprenditori garanti, vi è la possibilità del fallimento (liquidazione giudiziale), ma è ovviamente un evento drastico.

6. Conseguenze penali? – Una domanda frequente è: “Rischio conseguenze penali se non pago una fideiussione?”. La risposta, nella normalità dei casi, è no: l’inadempimento di un’obbligazione civile non comporta reato né pene detentive, in base al principio costituzionale che vieta la prigionia per debiti. Dunque il garante non può “andare in galera” perché non ha pagato. Tuttavia, bisogna evitare comportamenti fraudolenti: ad esempio, sottrarre o nascondere beni per sfuggire al pignoramento può configurare reati (come la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, se riferito a debiti fiscali, o in certi casi bancarotta fraudolenta se c’è fallimento, ecc.). Nel contesto privato, vendere i propri beni per non farsi pignorare dal creditore potrebbe portare quest’ultimo a chiedere una revocatoria civile, ma non è di per sé penale. Quindi, restando nella legalità, il fideiussore insolvente subisce solo le conseguenze patrimoniali e civili (pignoramenti, segnalazioni). Certo, “può essere convocato dal tribunale penale” solo se compie reati ulteriori – ad esempio, l’assegno emesso dal debitore e garantito dal fideiussore che risulti scoperto potrebbe portare a sanzioni di carattere penale (protesti, illeciti amministrativi nel caso degli assegni), ma non è la fideiussione in sé a generare reato. Insomma, nessuna sanzione penale diretta discende dal non aver onorato la fideiussione, per quanto la vita finanziaria del garante ne esca comprensibilmente devastata.

7. E se il creditore non agisce? – Può capitare che, per varie ragioni, il creditore non intraprenda subito azioni contro il fideiussore inadempiente. Ciò potrebbe avvenire se, ad esempio, il creditore ritiene il recupero inutile (fideiussore nullatenente), o se sta negoziando soluzioni stragiudiziali. Tuttavia, attenzione: il fideiussore non può contare sul fatto che il tempo passi invano. Ci sono però dei limiti temporali dettati dalla legge: uno è la prescrizione del diritto di credito (in genere 10 anni per obbligazioni contrattuali, che decorre per il creditore dal momento in cui avrebbe potuto escutere, e viene interrotta da atti di messa in mora o riconoscimento). L’altro è la decadenza ex art. 1957 c.c.: norma fondamentale che prevede che, se non è stata derogata, il creditore deve attivarsi entro un certo termine per conservare la garanzia fideiussoria. In particolare, l’art. 1957 c.c. stabilisce che “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. In parole povere, se un debito scade e il debitore non paga, il creditore ha 6 mesi di tempo per iniziare un’azione giudiziale (o un procedimento equivalente) contro il debitore; se non lo fa, la fideiussione si estingue per decadenza. Questo termine è di decadenza e opera a tutela del garante, per evitare che il creditore dorma sugli allori e pretenda dopo molto tempo. Tale termine può essere abbreviato a 2 mesi in alcuni casi particolari (obbligazioni che per loro natura si eseguono gradualmente, secondo parte della dottrina), ma la giurisprudenza prevalente applica i 6 mesi in pressoché tutti i casi di obbligazione pecuniaria scaduta. L’art. 1957 c.c. inoltre richiede che, iniziata l’azione, essa prosegua senza negligenza (ad esempio, se il creditore ottiene un decreto ma poi non lo notifica per anni, il fideiussore potrebbe eccepire che non è stato diligente e quindi chiedere di decadere).

Nella pratica moderna, la maggior parte delle fideiussioni bancarie contiene una clausola di deroga a questo termine (rinuncia del fideiussore al beneficio del termine di cui all’art. 1957 c.c.). Infatti una delle clausole standard predisposte dall’ABI era proprio la rinuncia espressa a eccepire la decadenza semestrale. Ciò faceva sì che le banche potessero agire contro il garante anche molto tempo dopo la scadenza del debito, senza perdere la garanzia. Tuttavia, come vedremo più avanti, questa clausola è stata dichiarata nulla per contrasto con la normativa antitrust e per violazione di norme a tutela del consumatore. Se la clausola di rinuncia è nulla, allora torna operativa la regola del termine semestrale di decadenza. Significa che se il creditore non ha agito in giudizio contro il debitore principale entro 6 mesi dal dovuto, il fideiussore può oggi eccepire la decadenza e liberarsi dall’obbligo. Questo è un aspetto tecnico cruciale che affronteremo nella sezione sulla nullità delle fideiussioni.

In ogni caso, quando il creditore sceglie di non agire immediatamente contro il fideiussore, quest’ultimo rimane in una sorta di limbo. Il debito garantito persiste e può emergere in qualsiasi momento entro i termini di legge. Dal lato del fideiussore, a volte può convenire sollecitare il creditore ad agire sul debitore o a chiarire la propria posizione; ad esempio, come detto, il garante può chiedere al giudice di essere liberato se il creditore, inspiegabilmente, non agisce né contro il debitore né contro di lui lasciando peggiorare la situazione (art. 1955 c.c., liberazione per fatto del creditore). Sono però situazioni limite.

Conclusione di questa fase: il fideiussore che non paga all’escussione va incontro a decreti ingiuntivi, precetti, pignoramenti dei suoi beni e segnalazioni come cattivo pagatore. I suoi beni, redditi e anche il suo futuro accesso al credito risultano compromessi. Il creditore ha strumenti potenti per soddisfarsi sul suo patrimonio, se questo esiste. Nel prossimo capitolo analizzeremo cosa può fare il fideiussore per difendersi: quali opposizioni, eccezioni e rimedi legali può attivare per evitare o ridurre il pagamento, comprese situazioni in cui la fideiussione risulta nulla o inefficace in tutto o in parte.

Difese e tutele del fideiussore: come evitare o limitare il pagamento

Di fronte a una richiesta di pagamento o a un’azione legale della banca, il fideiussore non è completamente inerme. L’ordinamento gli offre diverse possibili difese per evitare, sospendere o attenuare l’obbligo di pagamento, quando ricorrono certe condizioni. In questa sezione esamineremo le principali strategie difensive e tutele invocabili dal garante: dall’opposizione a decreto ingiuntivo con contestazione della pretesa, alle eccezioni sostanziali come la nullità (parziale o totale) del contratto di fideiussione per violazione di norme, fino alle cause di liberazione previste dal Codice Civile (artt. 1955, 1956, 1957 c.c.) in caso di comportamento improprio del creditore o di ritardi nelle azioni di recupero. Analizzeremo inoltre come la giurisprudenza recente (Corte di Cassazione in primis) si è pronunciata su tali questioni, dando al fideiussore argomenti per difendersi efficacemente in giudizio.

Opposizione a decreto ingiuntivo e contestazione del credito

Se al fideiussore viene notificato un decreto ingiuntivo, la prima linea di difesa è l’opposizione entro 40 giorni. L’opposizione introduce un giudizio a cognizione piena in cui il fideiussore diventa formalmente attore (onere di contestare il credito) e il creditore convenuto (che dovrà provare il proprio diritto). In sede di opposizione, il fideiussore può far valere tutte le eccezioni di merito e di rito per contestare la pretesa. I motivi tipici di opposizione includono:

  • Pagamento già effettuato o inesattezza del calcolo: Il garante può eccepire che l’importo ingiunto non è dovuto integralmente perché, ad esempio, il debitore o egli stesso hanno già pagato in parte, o perché sono stati computati interessi non dovuti, o altri errori di quantificazione. Oppure può sostenere che la condizione per escutere la garanzia non si è avverata (ad es. la banca non aveva ancora intimato formalmente il pagamento al debitore, se questo era contrattualmente previsto, o non ha rispettato qualche procedura contrattuale). Se riesce a dimostrare che il credito è inferiore o non esigibile, l’ingiunzione verrà revocata o ridotta.
  • Nullità o invalidità del contratto di fideiussione: L’opponente può dedurre che la fideiussione è nulla (in tutto o in parte) per violazione di norme imperative o perché contenente clausole abusive. Questa è una difesa complessa ma potenzialmente decisiva: se il giudice accerta la nullità totale della fideiussione, il garante viene liberato integralmente dall’obbligo di pagamento; se riconosce una nullità parziale (ad es. di alcune clausole), ciò può eliminare la base giuridica di parte della pretesa (si pensi alla clausola di deroga all’art. 1957 c.c.: se è nulla, il garante può eccepire decadenza e quindi non dover pagare perché il creditore ha agito troppo tardi). Più avanti approfondiremo i principali profili di nullità: per ora notiamo che l’opposizione a decreto è la sede in cui far valere tali eccezioni di validità del contratto.
  • Opponibilità di eccezioni del debitore principale: Ai sensi dell’art. 1945 c.c., il fideiussore può opporre le stesse eccezioni che avrebbe potuto opporre il debitore. Ciò include, ad esempio, l’eccezione di nullità del contratto principale, l’estinzione dell’obbligazione principale, la prescrizione del debito, l’usura o l’anatocismo nei tassi di interesse, l’indebito arricchimento per interessi ultralegali non pattuiti, ecc. Se, poniamo, il debito garantito era frutto di un contratto di mutuo con tassi usurari, il fideiussore in giudizio potrà eccepire l’usura facendo dichiarare la nullità parziale degli interessi e rideterminare il dovuto (forse a zero interessi). Oppure, se il debitore aveva diritto a una sospensione o moratoria per legge (si pensi a norme emergenziali) e la banca è andata in ingiunzione lo stesso, il garante può opporre l’esistenza di quella moratoria che impediva temporaneamente l’esigibilità. Ancora: se il creditore vanta un importo ma il debitore aveva maturato un credito in compensazione, il garante può far valere la compensazione (salvo che fosse un credito strettamente personale del debitore, in quel caso c’è dibattito, ma tendenzialmente la Cassazione esclude le compensazioni basate su crediti personali del debitore di cui il fideiussore non possa beneficiare). In generale, questa categoria di difese richiede di conoscere bene il rapporto principale e le sue vicende.
  • Violazione del diritto di escussione o altre clausole contrattuali: Se per ipotesi nel contratto di fideiussione era convenuto il beneficio di escussione o altre condizioni (es. “il fideiussore sarà escusso solo dopo escussione di ipoteca su immobile X del debitore”), il garante può opporre che il creditore non ha rispettato tali patti e quindi la pretesa è prematura o infondata. Ad esempio, se vi era l’obbligo per la banca di agire prima su un pegno o ipoteca e ciò non è stato fatto, il garante potrebbe chiedere la sospensione finché ciò non avvenga, o addirittura la liberazione se quell’omissione ha pregiudicato il recupero (questo si ricollega a quanto diremo sull’art. 1955 c.c.: la liberazione del fideiussore se il creditore con fatto proprio ha reso impossibile la surrogazione nei suoi diritti, ad es. ha liberato delle garanzie reali).
  • Decadenza dal beneficio del termine: in casi particolari, il fideiussore potrebbe eccepire che la banca ha indebitamente accelerato il debito principale e quindi la somma non era ancora esigibile per intero. Questo è ipotizzabile se magari la banca non aveva titolo per risolvere il contratto principale (ad es. dichiarare scaduto il mutuo anticipatamente per una lieve irregolarità) e quindi la pretesa integrale è prematura. Se la risoluzione o decadenza dal termine viene giudizialmente ritenuta illegittima, il fideiussore potrebbe dover pagare solo le rate scadute e non l’intero (anche se poi il creditore rimedierà riproponendo la richiesta a scadenza naturale). Sono casi rari, ma è uno dei motivi possibili di opposizione se vi è abuso del creditore nell’accelerare i tempi.

Durante l’opposizione, il giudice dell’esecuzione (o dell’opposizione) potrebbe anche rilevare d’ufficio eventuali clausole abusive se il fideiussore è un consumatore e tali clausole non sono mai state valutate in contraddittorio prima. Ad esempio, la Corte di Giustizia UE ha stabilito che se un decreto ingiuntivo non opposto contro un consumatore è passato in giudicato, il giudice dell’esecuzione deve comunque poter controllare d’ufficio la presenza di clausole vessatorie nel contratto sottostante. Nel nostro caso, se il fideiussore è un consumatore e non ha opposto ingiunzione, potrebbe ancora far valere nullità di protezione in sede di opposizione all’esecuzione, per esempio. Questo per dire che l’ordinamento offre varie finestre per evitare ingiustizie, anche se l’opposizione tempestiva è la sede migliore per portare tutte le difese.

In sintesi, l’opposizione a decreto ingiuntivo è il momento chiave in cui il fideiussore deve far valere ogni elemento a sua discolpa: contestare l’importo, la validità del contratto, l’esigibilità del credito, ecc. Se la vince, può evitare di pagare o ridurre il dovuto; se la perde, il decreto diverrà titolo per esecuzione. Approfondiamo ora alcune difese di merito sostanziale molto importanti: quelle legate alla nullità della fideiussione (in tutto o in parte) e quelle previste dal codice per comportamenti del creditore (liberazione ex artt. 1955, 1956 c.c.).

Nullità della fideiussione – Clausole abusive e antitrust

Una delle difese più rilevanti (e complesse) a disposizione del fideiussore è sostenere che il contratto di fideiussione sia nullo (in tutto o in parte). La nullità, se accertata, significa che la garanzia è come se non fosse mai esistita, liberando il garante dall’obbligo. Negli ultimi anni il tema della nullità delle fideiussioni bancarie è stato al centro di numerose pronunce giurisprudenziali, specialmente riguardo alle fideiussioni omnibus predisposte dalle banche secondo lo schema ABI. Due filoni principali emergono: (a) la nullità per violazione della normativa antitrust, riguardante le clausole standardizzate frutto di intese anticoncorrenziali tra banche; (b) la nullità per clausole vessatorie a tutela del fideiussore-consumatore, ai sensi del Codice del Consumo. Vediamoli separatamente, tenendo presente che in alcuni casi le situazioni si sovrappongono (es. un garante consumatore può invocare sia l’una che l’altra).

Nullità antitrust delle fideiussioni omnibus (clausole ABI) – Nel 2005 la Banca d’Italia, esercitando allora poteri antitrust, accertò che lo schema di fideiussione omnibus redatto dall’ABI nel 2002 conteneva clausole frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza tra banche. In particolare tre clausole furono dichiarate anticoncorrenziali e nulle:

  1. la clausola di “reviviscenza” (art. 2 schema ABI) che obbliga il fideiussore a rimborsare alla banca importi già pagati dal debitore e poi revocati o annullati (es: pagamenti del debitore fallito poi revocati dal Curatore);
  2. la clausola di rinuncia al termine ex art. 1957 c.c. (art. 6 schema ABI) che appunto elimina la decadenza semestrale;
  3. la clausola di “sopravvivenza” (art. 8 schema ABI) che fa durare la garanzia anche se le obbligazioni principali sono dichiarate invalide (garantendo l’obbligo di restituzione delle somme erogate al debitore).

Secondo Banca d’Italia, queste clausole – applicate uniformemente da molte banche – costituivano una deliberazione concordata dall’associazione di categoria (ABI) e violavano il divieto di intese anticoncorrenziali (art. 2 Legge Antitrust n. 287/90). La sanzione naturale prevista dalla legge antitrust (art. 2 co.3 L.287/90) per i contratti “a valle” di intese vietate è la nullità di diritto di tali contratti nella parte derivante dall’intesa. Dunque si pose il problema: una fideiussione conforme allo schema ABI va dichiarata nulla? E in che misura (intera o solo le clausole incriminate)? Su questo la giurisprudenza si è divisa a lungo, con alcuni tribunali che la consideravano nulla interamente (nullità derivata), altri solo parzialmente (limitatamente alle 3 clausole). La questione è stata risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione con la famosa sentenza n. 41994 del 30/12/2021. Le Sezioni Unite hanno stabilito che non si ha nullità dell’intero contratto di fideiussione, bensì nullità parziale circoscritta alle clausole riproduttive dello schema illegittimo. In altre parole, la fideiussione “a valle” stipulata secondo lo schema ABI 2002 è valida, ma le clausole 2, 6, 8 (reviviscenza, deroga art.1957, sopravvivenza) sono nulle ipso iure. La ragione è il principio di conservazione del contratto (art. 1419 c.c.): eliminando le clausole anticompetitive, resta comunque una garanzia che le parti avrebbero verosimilmente prestato lo stesso (dato che erano clausole predisposte unilateralmente a vantaggio delle banche, la loro caduta non intacca la volontà di garantire). Solo se il fideiussore prova che senza quelle clausole non avrebbe mai garantito, si potrebbe discutere la nullità totale, ma è difficile perché quelle clausole non erano oggetto di trattativa (erano impostegli).

Quindi, ad oggi, se il contratto di fideiussione contiene quelle tre clausole identiche o equivalenti a quelle ABI, esse sono considerate nulle ai sensi dell’art. 1419 c.c. e art. 2 L.287/90. Ciò comporta che il giudice, anche d’ufficio, deve dichiararne l’inefficacia e disapplicarle. Concretamente:

  • la banca non può invocare la clausola di rinuncia all’art.1957, per cui torna applicabile il termine decadenziale di 6 mesi. Se la banca ha aspettato troppo, il fideiussore sarà liberato invocando l’intervenuta decadenza;
  • la banca non può invocare la clausola di reviviscenza, per cui non può chiedere al garante somme che il debitore aveva pagato ma che la banca deve restituire (ad es. il garante non deve restituire un pagamento revocato in fallimento: quel rischio resta a carico della banca stessa);
  • la banca non può invocare la clausola di sopravvivenza, per cui se l’obbligazione principale è nulla o annullata, la fideiussione si scioglie e il garante non deve comunque pagare nulla (mentre con la clausola avrebbe dovuto restituire le somme erogate al debitore come indebito arricchimento).

Limiti applicativi – La Cassazione ha però posto dei limiti importanti all’operatività di questa nullità parziale antitrust. Limiti emersi soprattutto in pronunce successive del 2022-2025. In particolare:

  • È pacifico che la nullità riguarda solo le fideiussioni omnibus (generali) oggetto dell’intesa ABI. Ci si è chiesti se valesse anche per fideiussioni specifiche (che garantiscono un singolo contratto, es. un mutuo). Su questo vi sono stati contrasti: alcune corti di merito hanno esteso la nullità anche alle specifiche se contenevano le medesime clausole, altre no. La Cassazione stessa nel 2024 ha emesso pronunce discordanti: alcune ordinanze (n. 19401/2024, n. 30383/2024) hanno escluso l’estensione alle specifiche, mentre un’altra (ord. n. 27243 del 21.10.2024) l’ha ammessa. Aggiornamento 2025: la Cassazione a gennaio 2025 (ord. nn. 657, 660, 675/2025 Sez. III e ord. n. 1170/2025 Sez. I) ha chiarito che la nullità antitrust non si estende alle fideiussioni specifiche conformi allo schema ABI. Cioè: se quelle clausole sono inserite in una garanzia riferita a un singolo rapporto, secondo queste pronunce non opererebbe la nullità automatica prevista per l’omnibus. In sostanza le ultime decisioni circoscrivono la tutela antitrust alle fideiussioni omnibus in senso proprio. Ciò può apparire discutibile (perché la restrizione della concorrenza sussiste anche se quelle clausole standard sono infilate in un contratto di mutuo), ma è l’orientamento emerso. Resta tuttavia un certo margine di incertezza, essendo un tema fluido: va verificato caso per caso se il giudice intenda comunque dichiararle nulle anche in fideiussioni specifiche. Il consiglio prudenziale per il fideiussore è di sollevare la questione comunque: molte Corti d’Appello continuano a ritenerle nulle anche nelle specifiche (cfr. App. Roma 2020, App. Torino 2022-2025).
  • Altro limite: la fideiussione deve essere stata stipulata nel periodo “sospetto” dell’intesa. La Banca d’Italia ha accertato l’intesa nel 2005 per moduli ABI 2002. Se una fideiussione è molto successiva (es. firmata dopo il 2010), alcuni tribunali ritengono che il fideiussore debba provare che l’intesa illecita tra banche persisteva all’epoca (non basta che le clausole siano uguali). Ad esempio, Cass. ord. n. 1170/17.1.2025 sottolinea che il provvedimento antitrust del 2005 non consente di presumere che nel 2010 l’accordo collusivo fosse ancora in essere. Quindi, se le clausole ABI compaiono in contratti dopo il 2005, il fideiussore può invocare la nullità ma deve supportarla con elementi che facciano ritenere che le banche continuavano ad adottare lo schema collusivo (magari perché l’ABI non ha mai formalmente sconfessato quelle clausole, e quasi tutte le banche hanno continuato a usarle de facto per parecchi anni). È un onere probatorio non semplice, ma recentemente alcuni giudici l’hanno ritenuto soddisfatto anche con presunzioni (es. modulistica uniforme di varie banche anche dopo il 2005). Se invece la fideiussione è anteriore al 2005 (es. del 2003) il problema non si pone: ricade nel periodo sicuramente coperto dall’intesa accertata.
  • Infine, condizione ovvia: le clausole nel contratto devono essere effettivamente corrispondenti a quelle incriminate. Anche una formulazione simile nella sostanza può rientrare (i tribunali guardano alla sostanza: se c’è una clausola che elimina il termine ex 1957, anche se scritta diversamente, viene colpita). Ma se, ad esempio, la fideiussione non conteneva affatto la clausola di reviviscenza, non la si può inventare.

Effetti pratici della nullità antitrust – Per il fideiussore convenuto in giudizio, far valere questa nullità può ribaltare l’esito. Ad esempio, se il creditore gli chiede pagamento malgrado siano passati più di 6 mesi dalla scadenza del debito principale, la nullità della clausola di rinuncia ai termini ex art.1957 gli consente di eccepire la decadenza e quindi di liberarsi. Molti decreti ingiuntivi sono stati annullati perché il garante, tolta la clausola di deroga, risultava essere stato escusso tardivamente. Oppure, se il debitore principale aveva ottenuto l’annullamento del suo contratto (poniamo per usura o altro) e la banca pretendeva comunque dal garante il rimborso dell’erogato in base alla clausola di sopravvivenza, questa pretesa va rigettata perché la clausola è nulla: il garante non deve nulla (il rischio di quell’annullamento se lo tiene la banca). In sintesi, la nullità parziale antitrust espunge le clausole peggiorative, riportando la fideiussione allo statuto legale ordinario. Molto spesso questo basta al fideiussore per evitare di pagare, perché la banca aveva fatto affidamento proprio su quelle clausole “di comodo” (es. agire tardi, coprirsi da qualsiasi invalidità, ecc.).

È opportuno ricordare che la competenza per le cause sulla nullità antitrust delle fideiussioni bancarie spetta alle Sezioni specializzate in materia di impresa (Tribunale delle Imprese), trattandosi di materia di illeciti anticoncorrenziali. Ciò ha creato qualche complicazione procedurale (decreti ingiuntivi emessi da sezioni ordinarie poi opposti eccependo la competenza delle sez. imprese, ecc.). Oggi è abbastanza pacifico che, se si impugna una fideiussione bancaria per nullità antitrust, la causa vada trattata dal Tribunale delle Imprese territorialmente competente. Questo dettaglio interessa gli addetti ai lavori, ma spiega perché a volte un decreto ingiuntivo su fideiussione viene dichiarato nullo per incompetenza del giudice che lo ha emesso, in quanto non era la sezione specializzata competente.

Nullità per clausole vessatorie (Codice del Consumo) – Un secondo importante profilo di invalidità può essere invocato quando il fideiussore è un consumatore. Ai sensi del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005), le clausole dei contratti tra professionista (es. banca) e consumatore che determinano un significativo squilibrio a carico del consumatore sono vessatorie e quindi nulle (nullità di protezione ex art. 36 Cod. Cons.). Il fideiussore persona fisica che garantisce un’obbligazione estranea alla sua attività imprenditoriale (es. un privato che garantisce un prestito personale altrui, o un familiare che garantisce un debito) rientra nella definizione di consumatore. Diversamente, se il garante agisce per scopi professionali (es. l’amministratore di società che garantisce il debito sociale, potenzialmente è considerato anch’egli operatore professionale legato all’attività economica), il Codice del Consumo potrebbe non applicarsi. Fatta questa distinzione, se il fideiussore è consumatore, può eccepire la nullità di quelle clausole del contratto di fideiussione che siano abusive.

Il Codice del Consumo all’art. 33 fa un elenco (non tassativo) di clausole presumibilmente vessatorie. Tra queste, ve ne sono alcune proprio calzanti alle fideiussioni:

  • art. 33, co.2, lett. b): si presumono vessatorie le clausole che hanno per oggetto o effetto di “escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore in caso di inadempimento totale o parziale del professionista”. Nel contesto fideiussorio, una clausola che limitasse le azioni del garante verso la banca, o i suoi diritti in caso di inadempimento della banca, sarebbe sospetta.
  • art. 33, co.2, lett. r): vessatorie sono le clausole che “limitano o escludono l’eccezione di inadempimento da parte del consumatore”.
  • Combinate insieme, tali disposizioni colpiscono clausole tipiche delle fideiussioni bancarie come la rinuncia preventiva alle eccezioni o la deroga ai termini ex art.1957 c.c.. In effetti, imporre al fideiussore consumatore di pagare a prima richiesta “senza poter opporre eccezioni” (clausola “pagherò a prima richiesta e senza eccezioni”) crea un forte squilibrio: lo obbliga a pagare anche se la banca ha mal adempiuto o anche se il debitore aveva ragioni. La giurisprudenza italiana, guidata dai principi UE, considera queste clausole solve et repete potenzialmente abusive perché impediscono al consumatore di far valere i propri diritti. Ad esempio, la clausola di deroga all’art. 1957 c.c. – che consente alla banca di non attivarsi entro 6 mesi – è stata ricondotta alle lett. b) ed r): essa di fatto priva il consumatore-fideiussore di una tutela (decadenza) prevista dalla legge a suo favore, sbilanciando il rapporto. Allo stesso modo, la clausola di sopravvivenza – obbligare il garante a pagare anche se il contratto principale è invalido – può essere vista come una limitazione dei diritti del consumatore in caso di inadempimento del professionista, perché il garante consumatore non potrebbe opporre la nullità del contratto base. Anche la clausola di pagamento a prima richiesta elimina al consumatore la facoltà di opporre immediatamente l’eccezione di inadempimento (deve pagare e poi semmai agire separatamente).
  • Altre clausole potenzialmente abusive: ad esempio una clausola che proroghi indefinitamente l’impegno del garante senza possibilità di recesso, oppure che stabilisca un foro esclusivo diverso da quello del consumatore (profilo processuale), o che imponga al consumatore-fideiussore oneri sproporzionati (come spese legali eccessive).

Se il giudice accerta la natura vessatoria di una clausola nella fideiussione del consumatore, essa viene dichiarata nulla ma il contratto resta efficace per il resto (sempre nullità parziale di protezione). La differenza rispetto alla nullità antitrust è che qui la nullità può essere fatta valere solo dal consumatore (non è rilevabile d’ufficio se il consumatore la rifiuta). Tuttavia, la Corte UE ha detto che il giudice deve anche d’ufficio scrutare queste clausole e attivare il contraddittorio, per assicurarsi che il consumatore sia consapevole dei suoi diritti. Quindi, in un’opposizione a decreto per fideiussore consumatore, è probabile che il giudice verifichi la presenza di clausole potenzialmente abusive come quelle menzionate, e ne discuta con le parti.

In molte situazioni, le clausole “abusive” coincidono con quelle antitrust discusse prima (deroga termini, sopravvivenza, reviviscenza). Quindi per un fideiussore consumatore c’è un doppio binario di tutela: l’antitrust (valido anche se non consumer) e il consumer code. Ad esempio, la Cassazione ha definito la clausola di pagamento a prima richiesta come un patto solve et repete a carico del consumatore, quindi da scrutinare ex art. 33 Cod. Cons. e potenzialmente nullo. Anche la rinuncia all’art.1957 è presumibilmente vessatoria perché squilibra il rapporto a favore della banca.

Difesa pratica: se il fideiussore era un privato che ha firmato con la banca il modulo standard, è probabile che il contratto contenga clausole vessatorie. In opposizione, egli (o il giudice) può individuarle e chiederne la nullità. Ciò può portare a ridimensionare radicalmente la pretesa. Ad esempio, togliendo la clausola “senza eccezioni”, il garante potrà opporre in quello stesso giudizio tutte le eccezioni del caso, che altrimenti il contratto gli precludeva. Oppure, come per l’antitrust, eliminando la deroga al 1957, la banca decade se ha agito tardi. La forza delle nullità consumer è notevole: alcune pronunce hanno affermato che perfino a decreto ingiuntivo passato in giudicato, il giudice dell’esecuzione può (anzi deve) rilevare la presenza di clausole abusive e paralizzare l’esecuzione se il titolo si fondava su esse. Quindi, anche un fideiussore che non avesse fatto opposizione in tempo può tentare un’opposizione all’esecuzione eccependo la nullità di protezione, invocando la giurisprudenza comunitaria che prevale sul giudicato interno in materia di tutela del consumatore.

Altre cause di nullità – Oltre ai due grandi filoni sopra, il fideiussore potrebbe eccepire la nullità per altri motivi, ad esempio:

  • Mancanza di forma scritta: la fideiussione richiede la forma scritta ad substantiam? In dottrina non è chiarissimo: è contratto tipico ma non è espressamente soggetto a forma. Tuttavia, essendo spesso parte di contratti bancari, dove vige l’obbligo di forma scritta, e per esigenze probatorie (art. 2725 c.c.), praticamente tutte sono scritte. Se una garanzia fosse solo verbale, difficilmente la banca riuscirebbe a provarla in giudizio data la regola della prova scritta per contratti oltre una certa soglia. Quindi questa nullità è teorica: nessuna banca fa firmare oralmente una fideiussione.
  • Fideiussione senza massimale (art.1938): se fosse stata prestata una fideiussione generale per debiti futuri senza indicare importo massimo garantito, è nulla per contrasto con norma imperativa. Oggi è raro perché le banche lo sanno e indicano sempre il massimale. Quindi il garante può controllare: se davvero mancasse il massimale in un’omnibus, potrebbe farla dichiarare nulla integralmente (non solo parziale), trattandosi di nullità testuale ex lege (art. 1938 c.c.). In pratica, ciò appare solo in ipotesi inusuali (magari una fideiussione generica data in contesto non bancario da parti inesperte).
  • Vizi del consenso: un fideiussore potrebbe cercare di far annullare il contratto per errore o dolo (ad esempio “non avevo capito cosa firmavo, mi hanno ingannato”). In generale, è molto difficile perché la giurisprudenza è severa: chi firma un’obbligazione finanziaria di solito non può invocare errore se il testo è chiaro, e il dolo richiede prove di raggiri. Tuttavia, non è impossibile: ad esempio se il garante ha firmato convinto di garantire solo un importo limitato ma il contratto ne celava altri aspetti, o se la banca gli ha fornito informazioni false sul rischio, si potrebbe ipotizzare un annullamento per dolo omissivo. Sono difese complesse da provare e poco frequenti, ma teoricamente disponibili.
  • Nullità per contrarietà a norme imperative diverse: un esempio potrebbe essere la fideiussione prestata in violazione di norme specifiche (es. divieti di legge). Ad esempio, un intermediario finanziario non autorizzato non può rilasciare garanzie a prima richiesta come attività abusiva, oppure un soggetto pubblico che presta fideiussione senza autorizzazione viola norme contabili. Queste situazioni sono settoriali. Sul piano privato, uno spunto interessante: se la fideiussione è stipulata a condizioni tali da costituire violazione di buona fede o causa illecita (ma è raro; magari se serviva per scopi contrari a legge, ma allora sarebbe nullo anche il contratto principale).
  • Clausole contrattuali contrarie a norme imperative: fuori dall’antitrust, ad es. una clausola che prevedesse interessi moratori al 20% al fideiussore se ritarda a pagare potrebbe essere soggetta a usura o comunque a riduzione ex art. 1384 c.c. per penale eccessiva. O la clausola di “protanto” (il creditore può incassare e decidere se imputare a interessi e mantenere in vita la fideiussione) potrebbe essere ritenuta scorretta. Anche la clausola che preveda la sopravvivenza della fideiussione nonostante la risoluzione del contratto principale per inadempimento del creditore (si ipotizzi) sarebbe nulla, ma non si vede in pratica.

In caso di nullità totale della fideiussione, il fideiussore va esente da ogni obbligo verso il creditore. Il creditore, a sua volta, perde la garanzia e dovrà cercare soddisfazione solo dal debitore principale. La nullità totale però, come visto, è rara: il più delle volte la battaglia è su nullità parziali di clausole. Quelle nullità parziali possono comunque salvare il garante, come nei casi discussi (clausola di 1957 nulla = decadenza, fine garanzia).

Riassumendo, il fideiussore può e deve valutare con il proprio legale la presenza di possibili nullità nel contratto: negli ultimi anni molti hanno evitato pagamenti ingenti grazie a queste eccezioni, specialmente sfruttando la scia delle fideiussioni ABI nulle. A livello di Cassazione, oggi è chiaro che quelle tre clausole (reviviscenza, 1957, sopravvivenza) sono fuori gioco per le fideiussioni omnibus, e forti dubbi esistono sulla loro validità anche come clausole vessatorie con consumatori. Dunque un garante che le trova nel proprio contratto ha solide argomentazioni per resistere in giudizio.

Liberazione del fideiussore per fatto del creditore (art. 1955 c.c.)

Un’altra difesa codicistica è prevista dall’art. 1955 c.c., che recita: “Il fideiussore si estingue quando, per fatto del creditore, non può surrogarsi nei diritti, ipoteche e privilegi del medesimo”. In sostanza, se il creditore con il suo comportamento colposo o doloso pregiudica il diritto di regresso/surroga del garante, quest’ultimo è liberato dalla garanzia nella misura del pregiudizio subito. L’idea è che il creditore deve salvaguardare le ragionevoli aspettative del fideiussore di potersi rivalere sul debitore principale; se invece le compromette (ad es. rinunciando a garanzie reali o aggravando inutilmente l’esposizione), allora perde la garanzia del fideiussore.

Condizioni per l’art. 1955 c.c.: (1) un fatto o omissione imputabile al creditore (anche solo colposo); (2) un pregiudizio effettivo per il fideiussore nel suo eventuale regresso contro il debitore. Esempio classico: il debitore aveva dato ipoteca su un immobile a garanzia del credito, ma la banca (creditrice) la cancella volontariamente o la lascia decadere; poi il debitore si rivela insolvente. Ora il fideiussore, se paga, non trova più l’ipoteca su cui surrogarsi per rifarsi. Questa è proprio la situazione tipizzata: il creditore ha con colpa privato il fideiussore di una garanzia reale utile, dunque il fideiussore è liberato fino a concorrenza del valore di quell’ipoteca persa. In pratica, se l’immobile valeva 100 e il debito era 100, il fideiussore potrebbe dirsi totalmente libero perché se quell’ipoteca fosse rimasta, la banca avrebbe potuto recuperare integralmente su di essa (e quindi lui non sarebbe stato escusso). Se l’immobile valeva 50, il fideiussore sarà libero per 50. Questa norma serve a impedire che la banca, avendo la comodità di un fideiussore, trascuri o addirittura abbandoni le altre garanzie del credito a scapito del garante.

Altre applicazioni: il creditore che ritarda colpevolmente nel far valere i propri diritti causando l’aggravarsi del debito può far scattare l’art. 1955, anche se spesso lo si inquadra come 1957. Un caso affrontato in Cassazione: società di leasing non risolve il contratto con un debitore inadempiente e lascia correre il tempo accumulando canoni non pagati e interessi di mora, aumentando il danno per il fideiussore; i garanti hanno invocato l’art. 1955 c.c., dicendo che la società concedente, non reagendo prontamente (non risolvendo né escutendo la fideiussione subito), ha aggravato il debito e quindi compromesso il loro regresso. Nella vicenda specifica, tuttavia, la Cassazione ha ritenuto che il mero ritardo nell’azione non configuri sempre il “fatto del creditore” ex 1955, specie se non c’era garanzia reale a preservare e se non c’è illecito vero (la Cass. ha escluso la liberazione perché mancava una condotta antigiuridica grave e un effettivo nesso causale di danno – infatti il creditore non aveva attivato clausole risolutive in leasing, ma la mancata risoluzione non è stata considerata di per sé sufficiente a liberare il garante). Quindi, per vincere su 1955, occorre un comportamento abbastanza scorretto del creditore: ad esempio il creditore che continua ad erogare somme al debitore già inadempiente, facendone aumentare l’esposizione a scapito del fideiussore. Su questo confina l’art. 1956, di cui diremo tra poco.

Riassumendo 1955: se il creditore deteriora le garanzie o i diritti che il fideiussore avrebbe potuto far valere in via di regresso, il fideiussore si libera per l’importo corrispondente al valore di ciò che ha perso. Esempio comune: la banca aveva in pegno titoli del debitore; li restituisce al debitore senza soddisfarsi e senza avvisare il garante; poi il debitore fallisce. Il garante può dire: quei titoli valevano X, se la banca li avesse tenuti e liquidati, avrebbe ridotto il debito di X; ora che io devo pagare X in più per colpa sua, io per X non pago. La giurisprudenza è favorevole al fideiussore in situazioni del genere: è onere del creditore provare di non aver arrecato danno o che i beni lasciati andare erano di nessun valore. Se invece li ha ceduti sottocosto o distratti, la liberazione opera.

Concessione di nuovo credito e peggioramento del rischio (art. 1956 c.c.)

L’art. 1956 c.c. prevede un caso di liberazione del fideiussore orientato al comportamento imprudente del creditore: “Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur essendo a conoscenza di circostanze che avrebbero inciso sul giudizio di solvibilità del debitore, tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”. Questa norma si applica solo alle fideiussioni su obbligazioni future (tipicamente le fideiussioni omnibus, o comunque garanzie su linee di credito non ancora utilizzate interamente). Lo scenario è questo: il fideiussore garantisce in anticipo una certa apertura di credito o finanziamenti futuri al debitore. Successivamente, la situazione patrimoniale del debitore peggiora sensibilmente (diventa inaffidabile). La banca però, sapendolo, concede ugualmente nuovo credito (o lascia utilizzare oltre) senza informare né chiedere ok al fideiussore. In tal caso, il fideiussore è liberato dalla garanzia. La ratio è proteggere il garante dal comportamento moral hazard del creditore che, avendo la garanzia, continua a prestare soldi a un soggetto ormai decotto, tanto c’è il fideiussore a pagare.

Esempio: Tizio fa da fideiussore omnibus alla ditta di Caio per affidamenti fino a 100. Dopo un anno, la ditta Caio manifesta gravi difficoltà (bilanci in rosso, protesti ecc., noti alla banca). La banca, nonostante ciò, estende il fido da 50 a 100 o comunque continua a erogare. Caio poi fallisce. Ecco, l’art. 1956 c.c. direbbe che Tizio è liberato (perché la banca ha fatto credito senza speciale assenso a Caio pur conoscendo che Caio era in cattive acque). Se invece la banca avesse interpellato Tizio – e ottenuto assenso – allora Tizio rimaneva vincolato anche sul nuovo credito.

Gli elementi chiave per applicare art. 1956:

  • Deve essere futuro il credito garantito (se la fideiussione era su un credito già concesso e definito, l’art. 1956 non opera; ma se era un’apertura di credito, un fido di c/c, un mutuo ancora da erogare a tranche, ecc., sì).
  • Il creditore deve aver concesso volontariamente nuovo credito o mantenuto il credito sapendo del peggioramento del debitore.
  • Il peggioramento deve essere grave (“circostanze tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”). Non basta un lieve calo del fatturato: devono essere segnali forti di insolvenza (perdita patrimonio, insolvenze su altri debiti, ecc.).
  • Cruciale: il creditore deve aver agito senza consultare il fideiussore. Se invece il garante aveva autorizzato, nulla quaestio.

La prova spesso verte sulla conoscenza che la banca aveva delle circostanze sfavorevoli. Questo di solito si evince da elementi come centrale rischi (la banca vede sconfinamenti di Caio altrove, ecc.), bilanci ricevuti, ecc.

La Cassazione in varie pronunce ha applicato con rigore questa norma a tutela dei garanti. Ad esempio, è stato considerato grave inadempimento di doveri di buona fede aver incrementato la posizione debitoria di una società già in default e poi pretendere dal fideiussore di pagarne le conseguenze. I giudici parlano di “comportamento scorretto” della banca che lucra interessi su un fido ormai deteriorato scaricando il rischio sul garante. In quei casi, il garante è stato liberato.

Attenzione: se la banca ha concesso nuovo credito inconsapevole del peggioramento (cioè non lo sapeva e non poteva saperlo), l’art. 1956 non si applica. Ci vuole coscienza (anche solo colposa: se doveva saperlo perché era manifesto, vale).

Se il fideiussore prova questi elementi, ottiene la liberazione totale dall’obbligazione per l’avvenire. Significa che la garanzia non copre i crediti concessi senza autorizzazione. Dibattuto è se si libera solo per i nuovi importi o proprio in toto: la lettera dice “il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato” – sembra in toto, perché l’obbligazione garantita era quella complessiva futura. La giurisprudenza di solito libera integralmente il garante dall’intera fideiussione omnibus se la banca ha violato art. 1956, specie se il nuovo credito non è separabile dal vecchio. In altri casi si potrebbe distinguere: exonerare il garante dal nuovo incremento ma mantenerlo per la parte già utilizzata prima del peggioramento. La Cassazione comunque tende a considerare l’inadempienza della banca grave e a liberare il garante del tutto, perché l’operazione complessiva di credito è viziata da quell’abuso.

Va precisato che art. 1956 si applica solo ai garanti che hanno garantito crediti futuri. Un fideiussore su mutuo specifico non può dire “la banca mi doveva avvisare che dopo la stipula il debitore è peggiorato” – no, lì il credito era già concesso. Invece, su conti correnti, linee autoliquidanti, ecc., sì.

Esempio pratico: un imprenditore presta fideiussione omnibus alla sua società nel 2019. Nel 2021 la società va male, la banca lo vede dagli sconfinamenti e dai bilanci. Nonostante ciò, nel 2022 la banca aumenta il fido accordato o concede un nuovo prestito, sperando la società si riprenda (ma in realtà peggiora). Nel 2023 la società fallisce. La banca chiama il fideiussore. Il garante potrà eccepire ex art. 1956 di essere liberato perché la banca ha concesso quel nuovo prestito 2022 pur sapendo che la società era in crisi, senza chiedergli permesso. Di conseguenza, la fideiussione si estingue e il garante non deve coprire neppure il nuovo credito. La banca potrà replicare magari che il peggioramento non era così evidente o che quell’operazione era già prevista, ecc. La decisione dipenderà dalle prove (documenti interni, corrispondenza).

La logica di 1956 c.c. è chiara: proteggere il fideiussore dall’aggravamento del rischio deciso unilateralmente dalla banca. Se io garante accetto di coprire un fido di €50.000, la banca non può – senza avvisarmi – aumentare l’esposizione a €100.000 verso un debitore poi insolvente, e pretendere che io ora ne risponda per 100. Deve chiedermi di garantire anche il di più, altrimenti per quel di più (se non per tutto) sono libero.

In collegamento con l’art. 1955 visto prima, a volte i garanti invocano insieme il 1955 e il 1956: accusano la banca sia di aver concesso imprudentemente nuovo credito (1956) sia di aver aggravato il loro pregiudizio non reagendo (1955). La Cassazione ha ribadito che occorre comunque un fatto imputabile alla banca e un peggioramento tangibile della situazione del debitore che la banca conosceva. Se il creditore si comporta con dolo o colpa grave, i giudici sono propensi a liberare il fideiussore.

Termine di decadenza ex art. 1957 c.c. (azioni tardive del creditore)

Abbiamo anticipato il contenuto dell’art. 1957 c.c. a proposito della clausola di rinuncia (che di solito la banca fa firmare e che è nulla nelle fideiussioni ABI/consumatori). Qui la trattiamo come autonoma difesa: qualora il contratto di fideiussione non contenga (o contenga ma è nulla) la deroga all’art. 1957 c.c., il fideiussore può eccepire la decadenza dal beneficio della fideiussione se il creditore è stato inerte oltre i termini. L’art. 1957 impone al creditore di promuovere le sue istanze contro il debitore principale entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale e di proseguirle diligentemente. Se ciò non avviene, il fideiussore è liberato. Non si tratta di prescrizione (che è ben più lunga, 10 anni) ma di una decadenza a tutela del garante, molto più breve.

Esempi: un prestito scade il 31 gennaio. Se la banca non fa nulla verso il debitore (causa, decreto ingiuntivo, pignoramento, ecc.) entro il 31 luglio, il fideiussore esce dall’obbligo. Oppure: la banca ottiene ingiunzione entro i 6 mesi, ma poi aspetta anni prima di notificare o di eseguire, lasciando che la procedura si impantani senza diligenza – anche questo potrebbe portare a decadenza, perché la norma richiede di “continuare con diligenza” le istanze.

La giurisprudenza interpreta però questa seconda parte (“diligenza”) con un certo margine: piccoli ritardi non fanno decadere, ma se c’è abbandono dell’azione sì. Ad esempio, se la banca fa decreto entro 6 mesi ma poi per 2 anni non fa l’atto di precetto, alcuni tribunali hanno ritenuto persa la garanzia (altri sono più indulgenti se comunque c’era un contenzioso in atto). Diciamo che è caso per caso.

Il fideiussore, rilevata la tardività, deve espressamente eccepire in giudizio la decadenza ex art. 1957 (non è automatica: la Cassazione la considera eccezione in senso lato, il giudice può rilevarla d’ufficio solo se i fatti risultano incontestati, ma in genere spetta al garante attivarla). Se il giudice accerta che in effetti il creditore ha lasciato passare più di sei mesi dalla scadenza senza agire, dichiara estinta l’obbligazione del garante. L’effetto è liberatorio totale.

Questa eccezione è stata definita “ghigliottina” per il creditore pigro. Infatti, la previsione serve a incentivare il creditore a non dormire confidando sulla garanzia. Un tempo quasi nessun garante riusciva a usarla perché come detto la clausola ABI faceva rinunciare a tale decadenza. Ma dopo che tale clausola è stata dichiarata nulla, la decadenza torna in auge nelle cause. Di colpo, negli ultimi anni molti garanti hanno eccepito: “La banca non ha agito entro 6 mesi dal default, quindi niente fideiussione”. E alcuni si sono salvati proprio così.

Quando scatta esattamente il termine? La “scadenza dell’obbligazione principale” può essere:

  • Per un debito a termine certo (es. prestito con scadenza 31/1): da quella data 6 mesi.
  • Per un debito a rimborso rateale: la giurisprudenza prevalente considera la scadenza della singola rata di volta in volta, se la fideiussione copre anche quella (cioè se il garante risponde rate per rate, come di solito). Ma c’è discussione: alcuni dicono 6 mesi da ogni rata non pagata (quindi se la banca non agisce su quella rata entro 6 mesi, il garante si libera per quella, ma rimane per le successive se poi si attivasse per quelle). Altri dicono che se c’è decadenza su una rata, la garanzia cade per tutto il residuo, perché l’obbligazione principale è un mutuo con scadenze multiple e la decadenza di una è di fatto su quell’obbligo parziale. La Cassazione ha avuto pronunce contrastanti sul punto; in linea di massima, conviene al garante eccepirla in blocco e ai giudici, se favorevoli, possono intendere che l’intera garanzia salta se la prima rata non fu azionata entro 6 mesi.
  • Per debiti a vista (es. conto corrente), la “scadenza” è il momento in cui il credito diviene esigibile (quindi la chiusura del conto, la revoca del fido, o l’atto di messa in mora del debitore). Da lì 6 mesi. Questo è meno chiaro, infatti la dottrina discute se sul conto corrente l’art. 1957 decorra dalla revoca del fido (sì, di solito).
  • Per contratto di leasing non pagato, c’è giurisprudenza che dice che la scadenza dell’obbligazione principale coincide con la risoluzione del contratto e la richiesta del residuo (quindi 6 mesi dalla risoluzione). Se il creditore di leasing aspetta più di 6 mesi a citare il debitore dopo la risoluzione, decadenza.
  • Situazione tipica: “fideiussione omnibus” – qui non c’è una scadenza definita, ma la Corte ha chiarito: quando i crediti diventano esigibili (ad esempio il conto viene chiuso e saldo richiesto, o mutuo risolto), quell’importo è l’obbligazione principale scaduta e da lì 6 mesi.

Ora, la deroga contrattuale a questo termine era usuale e veniva considerata valida fino ai casi antitrust. Oggi, se non siamo in scenario antitrust (es. fideiussione specifica di un privato nel 2018 che però non era su modulo ABI – la banca comunque quasi sempre mette la rinuncia 1957 in qualunque modulistica propria anche personalizzata), va esaminato se la rinuncia è vessatoria. Io direi di sì, per un consumatore la rinuncia a questa decadenza è una clausola che “esclude o limita i diritti del consumatore in caso di inadempimento del professionista” (lettera b) e “esclude eccezioni del consumatore” (lettera r). Ed è infatti quella conclusione nel commento di quell’avvocato nel blog. Quindi si può far valere come abusiva e toglierla di mezzo.

Per la nullità antitrust invece, come visto, la Cassazione l’ha proprio indicata come clausola nulla ex lege.

Dunque, nel contenzioso, oggi il must del difensore di un fideiussore è sempre: verificare se è possibile ripristinare l’art. 1957 c.c. e, in tal caso, se la banca ha rispettato i termini. Spesso le banche (forti di decenni di prassi dove quel termine era contrattualmente rinunciato) non hanno fatto caso alle tempistiche, e si trovano scoperte quando la rinuncia è colpita da nullità. Ad esempio, molte banche negli anni 2010 hanno escusso garanti per vecchie posizioni anche 1-2 anni dopo il default, confidando nella rinuncia in contratto. Ora i giudici dichiarano quella clausola nulla e dicono “banca, avresti dovuto far causa entro 6 mesi, non l’hai fatto, fideiussore libero”. Ciò ha causato per le banche un notevole contenzioso perso.

Va detto che alcune banche, per ovviare, hanno iniziato a qualificare la loro fideiussione come garanzia autonoma (contratto autonomo) sostenendo che in tal caso l’art. 1957 non si applica per nulla, essendo inerente solo alla fideiussione tipica. E come sopra notato, alcune pronunce hanno accettato di considerare contratto autonomo di garanzia certe fideiussioni con clausola “a prima richiesta”. Se il giudice qualificasse la garanzia come autonoma, l’art. 1957 c.c. è fuori discussione (non c’è decadenza perché l’obbligo del garante è svincolato dal rapporto principale). Tuttavia, se è autonomo, allora la banca non avrebbe neanche bisogno di far causa al debitore principale mai; in genere lo scopo dell’art. 1957 è legato all’accessorietà. Quindi un modo per la banca di difendersi è dire: “questa non è una fideiussione tipica soggetta a 1957, ma un contratto autonomo, quindi chiedo pagamento al garante e basta, e lui non può eccepire decadenze”. Bisogna stare attenti: spesso le banche non hanno due contratti diversi (fideiussione vs garanzia autonoma), ma contratti ibridi con clausole stile “a prima richiesta e senza eccezioni” dentro una fideiussione nominata come tale. La qualifica giuridica la dà poi il giudice. Questa è un’ulteriore battaglia possibile nel contenzioso: il fideiussore spinge per dire “è fideiussione pura, dunque applichiamo tutte le tutele codicistiche (1957 ecc.)”, la banca potrebbe replicare “no, quel a prima richiesta significa che è autonoma, niente 1957, e anzi il fideiussore non poteva proprio opporre eccezioni ora”.

Allo stato, la Cassazione 2022 (ord. 26242/2022) ha detto che la presenza della sola clausola “a prima richiesta” non basta a qualificare la garanzia come autonoma se manca quella “senza eccezioni”, e più in generale che occorre guardare all’intero contenuto per capire la volontà delle parti. Se risulta che volevano togliere ogni accessorietà, allora è autonoma. È questione interpretativa. Il più delle volte, in ambito privati consumatori, i giudici propendono a dire che era una fideiussione, non un contratto autonomo, perché la modulistica standard di fideiussione bancaria (anche con clausole a prima richiesta) viene considerata comunque denominata come fideiussione e magari contenente altre previsioni di accessorietà (subentro, eccezioni, etc.). In ambito business, la banca se vuole un autonomo di solito fa proprio un testo differente, chiamato “garanzia a prima richiesta” con differenze.

In conclusione su art. 1957: è una difesa potentissima se il termine è trascorso. E con la nullità ABI, molti l’hanno usata e la useranno. Quindi, per il fideiussore, verificare sempre i tempi di reazione del creditore: 6 mesi volano, e se li ha lasciati passare, quell’inerzia può far cadere la garanzia.

Altre tutele del fideiussore/debitore garantito

Oltre a quelle principali già trattate, segnaliamo brevemente ulteriori strumenti che il fideiussore (o il debitore principale preoccupato per il garante) può utilizzare:

  • Azione ex art. 1953 c.c. (liberazione su iniziativa del fideiussore): Se il debito principale è scaduto e il creditore non agisce, oppure se il debitore è divenuto insolvente, il fideiussore, anche prima di aver pagato, può agire in giudizio contro il debitore affinché questi lo liberi dalla fideiussione o gli dia garanzie idonee. In pratica, il garante può pretendere dal debitore di essere sollevato dall’obbligo (ad es. trovando un sostituto garante o estinguendo il debito) oppure, in mancanza, chiedere al giudice di esonerarlo perché altrimenti resterebbe ingiustamente esposto. Questa azione non è molto frequente nella pratica (spesso fideiussore e debitore sono legati da rapporti stretti, per cui il garante non fa causa al debitore prima di pagare). Ma potrebbe essere utile, ad esempio, se il fideiussore percepisce che il debitore sta peggiorando e vuole forzarlo a trovare una soluzione prima che vada a male del tutto. Una situazione tipica: genitore garante del figlio che sta accumulando debiti – il genitore potrebbe intimargli di estinguere il debito o di farsi liberare, altrimenti chiede al giudice di dichiararlo libero visto l’avverarsi di condizioni di insolvenza. È uno strumento difficile, ma esiste.
  • Obbligo di informazione del creditore verso il fideiussore: Non c’è un obbligo generalizzato di avviso al fideiussore sullo stato del debito garantito, però la giurisprudenza, specie in ambito bancario, afferma che se il garante lo richiede, la banca dovrebbe fornirgli l’estratto conto o il rendiconto dell’andamento del rapporto garantito, in quanto il fideiussore ha interesse a sapere la situazione del debitore (anche per decidere se revocare la fideiussione omnibus, per dire). Inoltre, la banca deve avvisare il garante di alcuni eventi rilevanti: es. la risoluzione del contratto principale, la decadenza del debito dal termine (questo spesso previsto contrattualmente). Ad esempio, nei mutui con garanzia, se il mutuo decade per rate impagate, la banca in genere manda lettera sia al mutuatario che al garante. Questi obblighi di correttezza rientrano nel dovere di buona fede contrattuale (artt. 1175, 1375 c.c.) e se violati possono dare adito a richieste di risarcimento del garante (non tanto a liberazione, a meno che la mancanza di informazione non rientri in un contesto di 1955 c.c. come fatto pregiudizievole).
  • Sovraindebitamento e trattative stragiudiziali: Se il fideiussore è in difficoltà economica, può cercare una composizione stragiudiziale col creditore (ad es. proporre un saldo e stralcio – spesso i garanti riescono a patteggiare per un importo inferiore soprattutto se hanno argomenti di nullità da spendere o se il creditore percepisce che altrimenti non recupererà molto). Oppure, se è un consumatore sopraffatto dai debiti, può ricorrere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento: con l’aiuto di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) può proporre un piano ai creditori per pagare una parte e farsi esdebitare il resto. Questa procedura, se omologata dal tribunale, consente di cancellare i debiti residui (compresi quelli da fideiussione) al termine dell’esecuzione del piano. È un rimedio ultimo per chi non ha davvero mezzi sufficienti a far fronte a tutto.
  • Rapporti interni tra debitori e garanti: Dal lato del debitore principale, egli potrebbe chiedersi se ha tutela nel caso il garante paghi troppo facilmente aumentando il suo debito di regresso. In verità, il debitore principale non può opporsi al pagamento del fideiussore verso il creditore (anche se magari avrebbe voluto contestare lui stesso – infatti il fideiussore potrebbe pagare subito e poi rivalersi: se il debitore aveva difese che il garante non ha opposto, ormai il pagamento è fatto e il debitore dovrà rimborsare il garante salvo che dimostri che il pagamento era non dovuto e magari il garante era in mala fede nel pagare). Ci sono norme che prevedono che se il debitore aveva eccezioni per annullare o estinguere il debito e il garante, conoscendole, paga lo stesso, il debitore può opporgliele nel regresso (art. 1952 c.c.). In soldoni: se il debitore gli aveva detto “non pagare perché ho motivo di annullare quel contratto con la banca” e il garante paga lo stesso, c’è discussione se poi il debitore può rifiutare di rimborsarlo. Ma questo è più sul piano teorico, in pratica il debitore di solito è contento se il garante paga la banca (lo solleva) e poi col garante può trovare intese (o litigare).
  • Riduzione dell’importo dovuto: Il fideiussore può anche far valere eventuali norme di limitazione del debito. Ad esempio, se il debitore ha diritto a riduzione penali, a ricalcolo interessi perché magari erano ultra-soglia (usura) e vanno azzerati, il fideiussore conseguentemente potrà chiedere che il suo obbligo si riduca. Se il creditore ha capitalizzato interessi oltre i limiti (anatocismo illegittimo), il garante può ottenere il ricalcolo del saldo garantito. Si tratta di eccezioni sul merito del credito, già discusse prima.

In sintesi, il garante ha una serie di leve difensive. Non sempre tutte praticabili in uno stesso caso, ma un buon legale le valuta tutte: dal controllo del contratto (clausole nulle) al controllo dei tempi (decadenze), al controllo del comportamento della banca (artt. 1955-1956), alle eccezioni inerenti al rapporto principale (pagamenti, prescrizione, nullità del titolo originario ecc.). La giurisprudenza recente è abbastanza sensibile a evitare che il fideiussore venga sfruttato oltre misura dalla banca. Abbiamo visto Cassazione condannare condotte scorrette delle banche (nuovo credito imprudente, intese antitrust, clausole sbilanciate) liberando i garanti. Dunque, il messaggio è: se sei fideiussore e ti chiedono di pagare, non dare per scontato di dover pagare sempre tutto e subito. Esistono possibilità di opporsi legalmente e, almeno, guadagnare margini di trattativa.

Nei prossimi paragrafi illustreremo alcune casi pratici che sintetizzano quanto detto e infine una sezione di FAQ (Domande e Risposte) per fissare i concetti chiave in forma breve.

Simulazioni pratiche (casi reali ipotetici)

Per comprendere meglio le conseguenze del mancato pagamento di una fideiussione dal punto di vista del debitore/fideiussore, presentiamo tre casi pratici ambientati in situazioni tipiche. Ogni simulazione evidenzia problemi e possibili soluzioni o esiti, applicando i principi giuridici esposti nella guida.

Caso 1: Fideiussione su prestito personale – pignoramento del garante

Scenario: Alice ottiene un prestito personale di €20.000 da una finanziaria. Sua zia Bianca firma come fideiussore a garanzia del rimborso. Dopo aver pagato qualche rata, Alice perde il lavoro e smette di pagare. La finanziaria notifica ad Alice la risoluzione del contratto per inadempimento e richiede il saldo residuo (€18.000). Contesta anche a Bianca (fideiussore) il pagamento di tale somma, minacciando azioni legali. Bianca, pensionata proprietaria di un appartamento, non ha liquidità per pagare in un colpo. Decide di non pagare spontaneamente e spera che la nipote riesca a riprendere i pagamenti, cosa che però non avviene.

Sviluppo: La finanziaria, trascorsi alcuni mesi senza ricevere nulla, ottiene un decreto ingiuntivo sia contro Alice che contro Bianca (coobbligate in solido). Bianca si consulta con un legale: emergono poche possibilità di contestazione sul merito (il debito esiste ed è certo). Il contratto di fideiussione è standard, senza clausole particolari a parte la solita rinuncia al beneficio di escussione e l’impegno a pagare spese e interessi. Non risultano clausole antitrust o altre nullità evidenti. Bianca dunque non propone opposizione al decreto (anche per risparmiare sui costi legali, data l’esiguità delle difese) e il decreto diviene definitivo. A questo punto la finanziaria notifica a Bianca un atto di precetto per €18.000 più spese. Bianca ancora non paga entro i 10 giorni.

Si procede al pignoramento: la finanziaria sceglie di pignorare il quinto della pensione di Bianca, che è di €1.000 mensili. Dato che la pensione minima impignorabile (circa €750) lascia spazio, riescono a pignorarle circa €50 al mese (corrispondenti al quinto del surplus oltre la minima). Un importo modesto. Inoltre, scoprono che Bianca è piena proprietaria di un appartamento senza ipoteche. Decidono quindi di iscrivere una ipoteca giudiziale sull’immobile per cautelarsi, e minacciano di procedere a pignoramento immobiliare se non si trova un accordo.

Nel frattempo Bianca viene segnalata in CRIF come coobbligata in sofferenza. Quando prova a chiedere un piccolo finanziamento, le viene rifiutato: scopre così di avere una cattiva segnalazione dovuta al debito di Alice. Questo la spinge a risolvere la situazione.

Esito: Dopo alcuni mesi di pignoramento della pensione (che ha raccolto poche centinaia di euro, insufficienti persino a coprire interessi legali e spese), la finanziaria propone a Bianca un accordo transattivo: pagare subito €10.000 in unica soluzione, in cambio dell’estinzione totale del debito residuo e rinuncia alla vendita della casa. Bianca, con l’aiuto di familiari, racimola la somma e accetta l’accordo. La finanziaria quindi libera l’ipoteca e rinuncia alla procedura esecutiva, e Bianca viene poi cancellata dalle banche dati negative entro qualche mese. In seguito Bianca potrà esercitare regresso contro Alice per quei €10.000, ma Alice nel frattempo non ha beni né lavoro, quindi realisticamente Bianca subisce la perdita economica.

Commento al caso: Questa simulazione mostra uno scenario comune in cui il fideiussore (un familiare) finisce per dover pagare gran parte del debito altrui. Bianca non aveva particolari difese legali: il debito era reale, la fideiussione valida, la finanziaria ha agito entro termini (neanche 6 mesi dalla scadenza, quindi niente decadenza 1957 da eccepire). La finanziaria ha sfruttato i mezzi esecutivi: prima il pignoramento del reddito (pensione), lento ma sicuro; e il peso dell’ipoteca sull’immobile come leva per forzare un pagamento più consistente. Bianca, non volendo rischiare la casa all’asta, ha negoziato una soluzione di saldo a stralcio. Spesso i creditori accettano stralci in contanti minori rispetto all’importo totale se vedono il debitore motivato e se l’alternativa è attendere anni con piccoli pignoramenti. Bianca ha comunque perso €10.000 per colpa dell’inadempimento della nipote – un tipico esempio di come la fideiussione può avere pesanti effetti sui rapporti familiari.

Caso 2: Fideiussione omnibus con clausole nulle – vittoria del garante in giudizio

Scenario: La società Alfa Srl ottiene nel 2018 una linea di credito “a revoca” (fido di conto corrente) dalla Banca X per €150.000. I due soci di Alfa, Carlo e Davide, firmano entrambi come fideiussori omnibus in favore della banca, garantendo tutti i debiti della società verso la banca fino a €150.000. Il testo di fideiussione è basato sul modulo ABI del 2003, contenente le famose clausole di reviviscenza, rinuncia ai termini ex art.1957 e sopravvivenza, oltre alla clausola “il fideiussore rinuncia al beneficio della preventiva escussione”. Nel 2022 Alfa Srl entra in crisi e il suo conto risulta scoperto per l’intero importo di €150.000. La banca revoca il fido e invia lettera formale alla società e ai fideiussori chiedendo il rientro immediato. Alfa Srl però fallisce (liquidazione giudiziale) nel 2023 senza restituire nulla. La Banca X, nel luglio 2023, notifica a Carlo e Davide un decreto ingiuntivo per €150.000 più interessi.

Sviluppo: Carlo e Davide, in solido, propongono tramite il loro avvocato opposizione a decreto ingiuntivo. Difese sollevate: (a) la fideiussione è nulla in parte perché conforme allo schema ABI sanzionato dall’Antitrust: invocano la giurisprudenza (Cass. SU 41994/2021) e chiedono dichiararsi nulle le clausole 2,6,8 (reviviscenza, 1957, sopravvivenza); (b) di conseguenza, essendo nulla la rinuncia al termine ex art.1957, eccepiscono che la banca non ha agito entro 6 mesi dalla scadenza del debito. Qui si dibatte qual è la “scadenza”: l’affidamento era “a revoca”, la banca l’ha revocato e chiesto rientro a marzo 2022. I garanti sostengono che sei mesi da quella data portavano a settembre 2022, mentre la banca ha richiesto decreto solo a luglio 2023, ben oltre. Quindi eccepiscono decadenza dalla fideiussione; (c) inoltre evidenziano che le clausole contestate sono anche vessatorie per il consumatore (anche se essi sono soci, quindi non proprio “consumatori”, ma provano comunque a far leva su uno squilibrio contrattuale). (d) Infine, deducono che la banca non ha attivato tempestivamente azioni contro la società fallita (ha insinuato il credito al passivo solo tardivamente) e questo avrebbe potuto pregiudicare il loro eventuale regresso – in verità questo punto è debole, ma lo menzionano a corollario per evocare l’art.1955 c.c.

In giudizio: Il tribunale (sezione specializzata imprese, data la nullità per intesa antitrust) accoglie in larga parte le tesi dei garanti. Rileva che effettivamente le clausole della fideiussione sottoscritta riproducono pedissequamente lo schema ABI già dichiarato illecito. Richiama la sentenza SU 2021 e altre pronunce di merito. Stabilisce quindi che la fideiussione è parzialmente nulla ai sensi dell’art. 1419 c.c., limitatamente alle clausole incriminate. Ciò comporta che la rinuncia al termine ex art.1957 c.c. è nulla e come tale non applicabile. Dunque, la banca avrebbe dovuto rispettare l’art.1957: essa però ha promosso l’azione monitoria ben oltre i 6 mesi dal momento in cui il conto è stato revocato e il credito scaduto (il tribunale identifica nella data di revoca formale del fido – marzo 2022 – la scadenza dell’obbligazione principale). Avendo la banca atteso circa 16 mesi, il tribunale dichiara che i garanti sono decaduti dall’obbligo di pagare per tardività dell’azione. Il decreto ingiuntivo viene revocato e la domanda della banca contro i fideiussori rigettata. In altre parole, Carlo e Davide vincono la causa: non devono pagare nulla alla banca.

La banca aveva cercato di resistere argomentando che la fideiussione era stata qualificata altrove come contratto autonomo di garanzia (contenendo la frase “a prima richiesta”); il giudice però nota che la clausola integrale era “a prima richiesta e senza eccezioni” e inserita nello schema ABI, quindi la qualifica corretta è quella di fideiussione tipica – semplicemente con quell’espressione si intendeva rinuncia a eccezioni, clausola anch’essa nulla (vessatoria). Dunque l’art.1957 c.c. si applica.

Esito: La banca, sconfitta, non può più agire contro i garanti (la decadenza ha estinto la fideiussione). Rimane insinuata nel fallimento di Alfa Srl, dove però recupererà forse una percentuale bassa (per dire, il 10%). Carlo e Davide si salvano dal pagare €150.000 di tasca loro. Va detto che sono salvi grazie alle eccezioni tecniche legate alla nullità delle clausole – se quell’eccezione antitrust non fosse emersa, avrebbero dovuto pagare perché la banca avrebbe potuto altrimenti avvalersi della rinuncia al 1957 e agire anche a distanza di tempo.

Commento al caso: Questo scenario illustra la potenza delle nuove difese emerse dalla giurisprudenza in favore dei fideiussori. Clausole che un tempo passavano inosservate (perché ritenute pienamente valide) ora sono un tallone d’Achille per le banche. Carlo e Davide hanno beneficiato della nullità antitrust delle clausole ABI e della conseguente decadenza ex art.1957. In un colpo solo, la banca ha perso la garanzia di due coobbligati “forti”. Per i fideiussori, è un esempio lampante di come non arrendersi e cercare vizi nel contratto possa evitar loro di pagare somme ingenti. Naturalmente non tutti i casi sono così favorevoli – qui c’era il precedente SU 2021 che calzava a pennello. Dopo questo fiasco, la banca e le altre stanno rivedendo i moduli di garanzia (alcune hanno iniziato ad eliminare o riformulare le clausole incriminate, o a classificare diversamente le garanzie), ma per le fideiussioni pre-esistenti la questione resta. Il caso inoltre mostra che la competenza specializzata (Tribunale delle Imprese) entra in gioco – e questi tribunali sono generalmente aggiornati su questi orientamenti. Un altro aspetto è che, essendoci due fideiussori, costoro in solido hanno fatto opposizione comune, condividendo le spese e le strategie – una collaborazione sensata perché se uno solo avesse opposto e l’altro no, la banca poteva rifarsi sul più passivo. Invece un fronte unito li ha portati entrambi all’esonero.

Caso 3: Estensione imprudente del credito – liberazione del fideiussore (art. 1956 c.c.)

Scenario: Marco è un piccolo imprenditore edile che ottiene nel 2020 un fido bancario di €80.000 per la sua ditta individuale. Sua moglie, Anna, fa da fideiussore per tutte le obbligazioni del marito verso la Banca Y (fideiussione omnibus, massimale €80.000). Nel 2021 la ditta di Marco comincia ad avere problemi finanziari: protesta di un paio di assegni, pagamenti ai fornitori in ritardo, bilancio in perdita. La Banca Y se ne accorge: Marco risulta sconfidente in Centrale Rischi (segno che fatica a rientrare dagli utilizzi), inoltre uno dei protesti appare in banca dati. Nonostante ciò, nel 2022 la banca aumenta il fido a Marco portandolo a €120.000, per aiutarlo a superare la crisi di liquidità. Non chiede nulla ad Anna, dando per scontato che la fideiussione copra anche l’importo maggiore (in realtà la lettera di modifica fido viene firmata solo da Marco). Nel 2023 la ditta di Marco fallisce con un’esposizione verso la Banca Y di €120.000. La banca si rivolge immediatamente ad Anna, pretendendo il pagamento di €120.000 in base alla fideiussione.

Sviluppo: Anna, tramite avvocato, oppone che la sua fideiussione originaria garantiva fino a €80.000 (massimale iniziale) e soprattutto era riferita al credito concesso nel 2020. L’estensione del fido a €120.000 del 2022, avvenuta quando la situazione di Marco era già deteriorata, non è coperta dalla sua garanzia. Si richiama all’art. 1956 c.c.: la banca ha concesso nuovo credito al debitore conoscendo il peggioramento della sua solvibilità e senza chiederle autorizzazione, dunque lei dev’essere liberata dall’obbligo. L’avvocato raccoglie prove: copia dei protesti 2021 di Marco, situazione Centrale Rischi che mostrava sofferenze segnalate, ecc., anteriori all’aumento di fido. Mostra che la banca non poteva non sapere (anzi, internamente i gestori avevano segnalato “rischio aumentato” ma deliberato di prolungare credito sperando nel rilancio post-Covid). D’altra parte, Anna evidenzia di non aver mai firmato alcun atto di consenso all’estensione del fido.

La banca inizialmente resiste, sostenendo che la fideiussione omnibus “copriva anche futuri aumenti entro il massimale” – ma qui il massimale è stato sforato, perché Anna aveva garantito €80k, non €120k. La banca prova a dire che in realtà la garanzia di Anna va intesa fino a €80k, quindi quantomeno quell’importo rimane dovuto. Anna insiste che, essendo la natura del rapporto cambiata (fido aumentato mentre Marco era decotto), l’intera garanzia dev’essere considerata estinta per violazione dell’art. 1956.

Esito: In sede giudiziale, il tribunale dà ragione in larga parte ad Anna. Accerta che al momento dell’ampliamento del credito (2022) la banca era a conoscenza del grave deterioramento della posizione di Marco (anche la presenza di protesti lo rendeva pubblico e la banca aveva atti interni che lo segnalavano). Non c’è prova di alcuna speciale autorizzazione di Anna al riguardo. Pertanto, in base all’art. 1956 c.c., Anna è liberata dalla fideiussione per i crediti sorti da quella concessione imprudente. Il tribunale quantifica che l’esposizione di €120k includeva anche il “trascinamento” del precedente fido di €80k (cioè Marco era già a 80k, poi fu alzato a 120 e li ha usati tutti). Decide di liberare Anna almeno per i €40k aggiuntivi concessi oltre il massimale iniziale. Per i restanti €80k originari, considera che la banca, se avesse correttamente revocato il fido nel 2021, avrebbe forse evitato parte del dissesto; tuttavia, poiché quell’80k era entro i limiti della garanzia e concesso quando Marco era ancora considerato solvibile, mantiene valida la fideiussione su quella parte. Anna dunque viene condannata a pagare €80.000 (massimale originario) ma esonerata da rispondere dei €40.000 aggiuntivi erogati nel 2022 senza consenso e in mala fede. Inoltre, le vengono abbuonati gli interessi maturati post-fallimento, ritenendo la banca poco diligente. In pratica Anna paga €80k, la banca subisce una perdita per il resto.

(Nota: in alcune pronunce, i giudici più rigorosi liberano addirittura del tutto il fideiussore se la condotta della banca è stata gravemente scorretta. In altre, come qui ipotizzato, si preferisce ridurre la responsabilità del garante al “danno” a lui derivato. Il confine non è netto. In casi reali, c’è chi è riuscito a non pagare nulla su art. 1956 se si provava che già nel concedere il fido iniziale la banca aveva sottovalutato rischi noti.)

Commento al caso: Questo esempio evidenzia l’importanza per il fideiussore di monitorare l’operato del creditore. Anna si è vista chiedere più di quanto si aspettava di garantire, ma fortunatamente la legge (art. 1956 c.c.) la tutela contro l’aggravamento del rischio a sua insaputa. La banca, confidando troppo nella garanzia, ha sbagliato a esporsi maggiormente verso un debitore in crisi – un comportamento in parte “azzardato” che la norma scoraggia. Il risultato è che Anna non ha dovuto farsi carico dell’intera esposizione, ma solo di quella parte (80k) che rientrava nell’orizzonte iniziale. Questo caso incoraggia i garanti a non dare per scontato che qualsiasi estensione o modifica del rapporto principale li coinvolga: se la situazione del debitore precipita, il garante potrebbe difendersi sostenendo che lui non avrebbe acconsentito a continuare a dare fiducia e che la banca avrebbe dovuto chiamarlo prima di prolungare credito. Certo, l’onere della prova è sul garante, che deve dimostrare la conoscenza da parte della banca del peggioramento e la mancanza di autorizzazione. Nel caso, i protesti e gli alert di Centrale Rischi sono stati prove chiave.

Notiamo infine che Anna e Marco erano coniugi: il fatto che la banca aumenti l’esposizione del marito senza almeno avvisare la moglie garante è stato percepito come scorretto. In simili situazioni, spesso i garanti sono difesi sostenendo anche violazione dei doveri di buona fede (art. 1375 c.c.) della banca. Il tribunale, riconoscendo in parte ciò, ha tolto l’obbligo sui 40k extra. Anna comunque ha dovuto pagare una grossa cifra (80k) – questo ricorda che la garanzia resta un impegno serio e che non tutte le condotte “spregiudicate” della banca portano all’esonero totale del garante. Ma è sempre importante analizzare se vi siano elementi per ridurre il danno.


Dalle simulazioni pratiche emergono scenari diversi: nel Caso 1 il fideiussore, senza difese contrattuali, subisce pignoramenti e paga tramite accordo; nel Caso 2 due fideiussori evitano il pagamento grazie alle nullità delle clausole; nel Caso 3 una fideiussora ottiene una liberazione parziale perché la banca ha aggravato indebitamente la posizione garantita. Questi esempi riflettono le molte possibili sfaccettature reali. Concludiamo ora la guida con una sezione di Domande e Risposte per riepilogare in forma chiara i quesiti più comuni sul tema “cosa succede se non si paga una fideiussione”.

Domande frequenti (FAQ)

D: Che cos’è una fideiussione in parole semplici?
R: È un contratto di garanzia personale in cui il fideiussore (o garante) si impegna a pagare un debito altrui se il debitore principale non lo paga. In pratica, il garante “mette la faccia e il patrimonio” a garanzia di un’obbligazione di un terzo. Se il debitore è inadempiente, il creditore può chiedere al fideiussore di saldare il dovuto. Ad esempio, se Tizio fa da fideiussore per un mutuo di Caio e Caio smette di pagare le rate, la banca può chiedere a Tizio di pagarle al posto di Caio.

D: Quali rischi corre chi firma una fideiussione?
R: Il rischio principale è di dover pagare i debiti del debitore garantito con il proprio denaro e i propri beni. Il fideiussore è obbligato in solido col debitore: ciò significa che il creditore può rivalersi direttamente su di lui (salvo rarissimi casi di beneficio d’escussione). In caso di insolvenza del debitore, il garante rischia il pignoramento dei suoi beni (conti correnti, stipendio/pensione, immobili, ecc.). Inoltre, finché il debito non è estinto, anche il fideiussore può essere segnalato come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie. Firmare una fideiussione equivale a diventare co-debitore: se tutto va bene e il debitore paga regolarmente, non succede nulla; ma se qualcosa va male, il garante deve aspettarsi di essere chiamato a rispondere con tutto il suo patrimonio presente e futuro (art. 2740 c.c.).

D: Cosa succede se il debitore principale non paga? La banca può agire subito contro il fideiussore?
R: Nella maggior parte dei casi, sì, immediatamente. Le fideiussioni bancarie prevedono quasi sempre la rinuncia al beneficio della preventiva escussione. Questo significa che, appena il debitore è inadempiente, il creditore può chiedere il pagamento al fideiussore senza dover prima tentare di riscuotere dal debitore. Ad esempio, per un prestito non pagato, la banca tipicamente invia una formale richiesta di pagamento sia al debitore sia al garante; se il debitore non paga entro il termine, la banca potrà iniziare azioni legali direttamente contro il fideiussore (ingiunzione, pignoramento). Solo se nel contratto di fideiussione era espressamente previsto il beneficium excussionis (cosa rara), il garante potrebbe chiedere di escutere prima i beni del debitore. In pratica, a meno che la fideiussione non lo preveda, il garante non può opporsi dicendo “vai prima dal debitore” – sarà obbligato a pagare lui, e poi eventualmente rifarsi sul debitore.

D: Che succede se il fideiussore non paga quando il creditore glielo chiede?
R: Se il garante non adempie spontaneamente, il creditore agirà per vie legali. In genere otterrà un decreto ingiuntivo nei confronti del fideiussore e, se questi non fa opposizione o perde la causa, passerà all’esecuzione forzata: pignoramento dei beni del garante (conto corrente, stipendio/pensione fino a 1/5, immobili, auto, ecc.). Il fideiussore si vedrà quindi prelevare coattivamente le somme dovute. Inoltre, come detto, verrà segnalato alle Centrali Rischi come debitore insolvente, con conseguente blocco dell’accesso al credito. Non vi sono sanzioni penali per il semplice fatto di non pagare una fideiussione (non è reato essere inadempienti), ma le conseguenze civili sono molto serie. In sintesi: ingiunzione –> pignoramento –> possibili accordi transattivi o aste sui beni. È esattamente lo scenario che abbiamo descritto nella guida: il creditore può mettere all’asta la casa del fideiussore o prendersi una parte del suo stipendio finché il debito non è soddisfatto.

D: Quali beni del fideiussore possono essere pignorati?
R: Tutti i beni del garante sono potenzialmente aggredibili, ad eccezione di quelli impignorabili per legge. In particolare:

  • Denaro e depositi bancari: prelevabili tramite pignoramento del conto corrente.
  • Stipendi e pensioni: pignorabile la quota eccedente il minimo vitale (per pensioni), comunque non oltre un quinto del netto mensile (per stipendi da lavoro dipendente e pensioni superiori al minimo). Quindi, fino al 20% dello stipendio/pensione può essere trattenuto ogni mese dal datore o ente previdenziale e girato al creditore.
  • Beni mobili registrati: autovetture, moto, possono essere pignorate e vendute all’asta.
  • Immobili: case, terreni del fideiussore sono pignorabili. Anche la prima casa può essere espropriata da un creditore privato (il divieto di pignorare la prima casa vale solo per crediti fiscali di Equitalia). Dunque il rischio per il garante è anche di perdere la casa, salvo che decida di trovare un accordo prima che ciò avvenga. La procedura immobiliare è lunga e costosa, ma se il debito è grande, il creditore può intraprenderla.
  • Quote societarie, altri crediti: se il fideiussore vanta crediti verso terzi (es. affitti da inquilini, crediti commerciali) o possiede partecipazioni societarie di valore, anch’essi possono essere oggetto di esecuzione.

Il garante è responsabile illimitatamente con il suo patrimonio presente e futuro (art. 2740 c.c.). Ciò significa che, ad esempio, se oggi non ha beni ma domani riceve un’eredità, il creditore con un titolo a suo favore potrà pignorare anche quella. Le uniche cose al riparo sono quelle dichiarate impignorabili dalla legge: per es., per le pensioni c’è una soglia di impignorabilità, per i beni in comunione legale tra coniugi ci sono limiti (il creditore del solo marito non può prendere i beni in comunione se il debito non riguarda la famiglia). Ma in generale, il creditore del fideiussore può fare gli stessi atti esecutivi che farebbe contro il debitore principale.

D: Il fideiussore può difendersi? Cosa può fare per non pagare o pagare meno?
R: Sì, il fideiussore ha diversi strumenti di difesa legale. Eccone i principali:

  • Opposizione a decreto ingiuntivo: se riceve un ingiunzione, ha 40 giorni per opporsi e contestare la pretesa. In opposizione può far valere tutte le eccezioni possibili (come il debito è sbagliato, non è dovuto, ecc.).
  • Nullità o invalidità della fideiussione: se il contratto di fideiussione contiene clausole contrarie alla legge (ad es. clausole frutto dell’intesa ABI del 2002) può essere parzialmente nullo. Ad esempio, le clausole standard di rinuncia ai termini ex art.1957 c.c., reviviscenza e sopravvivenza inserite nelle fideiussioni omnibus bancarie sono state dichiarate nulle dalla Cassazione. Ciò consente al garante di evitare pagamenti sfruttando tali nullità. Anche clausole vessatorie verso il consumatore (che creano squilibrio) sono nulle: es. clausola “pagamento a prima richiesta senza eccezioni” può essere considerata nulla in ambito consumer.
  • Decadenza per mancato rispetto dei termini (art.1957 c.c.): se (nonostante il contratto) vale l’art.1957, il creditore deve attivarsi entro 6 mesi dalla scadenza del debito principale. Se non l’ha fatto, il garante è libero. Ad esempio, se un mutuo scadeva a gennaio e la banca fa causa al garante solo dopo un anno, il garante può eccepire la decadenza e non pagare. Molti decreti ingiuntivi contro garanti sono stati annullati per questo motivo quando la clausola di rinuncia è stata giudicata nulla.
  • Liberazione per fatto del creditore (art.1955 c.c.): se la banca ha colposamente peggiorato la posizione del garante (ad es. ha rinunciato a un’ipoteca o a un pegno che garantiva il debito, pregiudicando il diritto di regresso del garante), allora il garante è liberato fino a concorrenza di quel pregiudizio. In parole povere: se la banca aveva garanzie e le ha trascurate o fatte decadere, non può poi rivalersi sul fideiussore per la parte che avrebbe potuto incassare da quelle garanzie.
  • Liberazione per credito concesso imprudentemente (art.1956 c.c.): se la garanzia copriva obbligazioni future e il creditore ha continuato a fare credito al debitore benché quest’ultimo fosse diventato insolvente (il tutto senza avvertire o chiedere consenso al fideiussore), allora il fideiussore è liberato. Ad es., la banca aumenta il fido al debitore già in dissesto: il garante non risponde per quell’aumento, perché la banca doveva interpellarlo e probabilmente non l’avrebbe autorizzato.
  • Trattative e saldo a stralcio: al di là delle difese giudiziali, il fideiussore può cercare un accordo col creditore. Specie se ha poco aggredibile (o se ha valide difese da spendere in giudizio), può proporre di pagare una parte subito in cambio dell’esonero dal resto. I creditori spesso accettano un saldo a stralcio se sanno di poter risparmiare tempo e rischi legali.

In sintesi, il fideiussore non è condannato ineluttabilmente a pagare: deve far esaminare da un avvocato il suo contratto di garanzia e tutta la vicenda per individuare eventuali vizi o scorrettezze della banca. Come visto nella guida, molti garanti sono riusciti a evitare di pagare sfruttando nullità contrattuali (clausole ABI nulle, clausole vessatorie) o decadenze.

D: Una “fideiussione omnibus ABI” può essere nulla?
R: Le fideiussioni bancarie omnibus basate sul modulo ABI (anni 2003 circa) contengono clausole nulle in base alla normativa antitrust e alle sentenze della Cassazione. Precisamente, le clausole di reviviscenza, rinuncia ai termini ex 1957 e sopravvivenza sono nulle per violazione della legge sulla concorrenza. La Cassazione ha stabilito che queste garanzie sono valide ma senza quelle tre clausole: quindi il contratto rimane in piedi, ma quelle clausole si considerano come non apposte. Ciò aiuta molto il fideiussore, perché ad esempio rimette in gioco il termine di 6 mesi di cui sopra. Attenzione però: la nullità è in linea di massima “parziale” (non di tutto il contratto, salvo casi particolari). Inoltre, secondo gli orientamenti più recenti, ciò vale per fideiussioni omnibus (garanzie generali) e stipulate nel periodo dell’intesa illecita (fine anni ’90 – primi 2000): per fideiussioni specifiche potrebbe non applicarsi, secondo alcune pronunce del 2024-25. In pratica, se hai firmato una fideiussione omnibus con una banca e ci trovi quelle clausole, molto probabilmente potrai farle dichiarare nulle e dunque limitare fortemente l’azione della banca (che magari ha agito tardi e decade, come nell’esempio del Caso 2 della guida). Anche i collegi arbitrali e molti tribunali di merito stanno applicando queste nullità a favore dei garanti.

D: La banca mi ha fatto firmare “fideiussione a prima richiesta e senza eccezioni”: cosa significa?
R: “A prima richiesta e senza eccezioni” indica l’intento di rendere la garanzia quasi un contratto autonomo di garanzia (dove devi pagare immediatamente e poi discutere eventualmente). Nella pratica, sebbene il modulo si intitoli fideiussione, con questa clausola la banca vuol dire: “Caro garante, se il debitore non paga, tu devi pagare subito e non puoi bloccarmi opponendo eccezioni relative al rapporto principale”. È una sorta di paghi e poi eventualmente discuti. Questa clausola però, se il garante è un consumatore (cioè non nell’ambito di impresa), è considerata potenzialmente vessatoria e nulla, perché priva il consumatore delle difese (lo squilibrio contrattuale è evidente: la banca incassa subito, e il garante può solo successivamente avviare un’altra causa per farsi restituire eventualmente somme non dovute). Anche senza considerare il consumo, in sede interpretativa i giudici valutano se la presenza di “a prima richiesta” significhi davvero garanzia autonoma oppure no. Spesso, se rimane impostata come fideiussione (con accessorietà presente in altre clausole), quel “a prima richiesta” viene visto solo come rinuncia temporanea a eccezioni, ma non trasforma la natura. Dunque il garante potrebbe comunque opporre alcune difese (tipo nullità del contratto principale, ecc.) se manifesta di volerlo fare. Riassumendo: è una clausola molto pro-banca, ma con dubbi di validità in alcuni casi. In sede di decreto ingiuntivo, ad esempio, l’assenza di contraddittorio iniziale potrebbe impedire di sollevare eccezioni: la Corte di Giustizia UE ha però detto che anche in esecuzione poi il giudice deve poter valutare se c’erano clausole abusive non contestate prima. Se sei garante e ti trovi questa clausola, sappi che l’obbligo di pagare è stringente, ma non scoraggiarti: potresti contestarla come clausola nulla o almeno cercare di qualificare diversamente la garanzia per far valere eccezioni comunque.

D: Dopo che il fideiussore paga, cosa succede? Può recuperare i soldi dal debitore?
R: Sì. Se il garante effettivamente paga il debito al creditore, acquista il diritto di farsi rimborsare dal debitore principale. Due strumenti di legge glielo consentono:

  • La surrogazione: il fideiussore che paga è surrogato nei diritti che il creditore aveva verso il debitore. Cioè, prende il posto del creditore originario (per l’importo pagato) e subentra in eventuali garanzie connesse (pegni, ipoteche, privilegî sul debitore).
  • Il regresso: art. 1950 c.c. prevede che il fideiussore che ha pagato ha diritto di regresso per l’intero contro il debitore. Significa che può chiedere al debitore tutto ciò che ha dovuto sborsare (capitale, interessi, spese) e, se il debitore non glieli rende, può fargli causa e ottenere un titolo esecutivo.

In pratica, dopo aver pagato, il garante può mettere in moto a sua volta il recupero sul debitore – di fatto invertendo i ruoli. Purtroppo, spesso accade che il debitore principale fosse insolvente per mancanza di soldi, quindi anche il garante trova poco da prendere. Ma legalmente parlando, , il fideiussore ha diritto al rimborso integrale. Ad esempio, se un genitore paga €10.000 alla banca per il debito del figlio, quel genitore ora vanta un credito di €10.000 verso il figlio, che può anche formalizzare con decreto ingiuntivo. Va notato che questo diritto sussiste anche se il debitore non sapeva della fideiussione (lo dice l’art. 1950 c.c. – serve a evitare che uno possa dire “non ti rimborso perché non ti avevo chiesto io di garantirmi”). Quindi, chi beneficia di una fideiussione deve restituire al garante ciò che questi ha pagato. Se però il garante paga senza ragione (es. paga un debito inesistente o già nullo) e il debitore lo contesta, può rifiutare il regresso sostenendo che il pagamento non era dovuto e il garante ha pagato a sproposito – ma questi sono casi particolari. In linea generale, chi paga per altri poi si rivale su di lui.

D: Il fallimento o la morte del debitore principale libera il fideiussore?
R: No, non automaticamente. Il fideiussore resta obbligato anche se il debitore principale fallisce o muore. In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), l’obbligazione del debitore viene trattata nella procedura concorsuale, ma il creditore può comunque chiedere al fideiussore il pagamento integrale al di fuori di essa. Anzi, come detto, il beneficio d’escussione di regola non opera nel fallimento: il fideiussore non può pretendere “aspettate di vedere quanto prende in fallimento, poi chiedete a me”, salvo patto particolare. Quindi, se un’azienda fallisce, la banca di solito agisce immediatamente anche sul garante (ad esempio, escute la fideiussione degli amministratori) per essere pagata subito. Il fideiussore che paga poi subentra nel fallimento come creditore surrogato (ma spesso prende poco o nulla). La legge fallimentare (art. 184 L.F. vecchio, art. 307 Codice della crisi) specifica che concordati preventivi, accordi di ristrutturazione, ecc. non liberano i fideiussori. Cioè, se il debitore principale trova un accordo di pagare ad esempio il 50% ai creditori, il garante può comunque essere costretto a pagare l’altro 50% (poi eventualmente si surrogherà nei diritti del creditore, ma in un concordato quel diritto è ridotto). Per la morte del debitore, il discorso è simile: il debito passa agli eredi (se accettano l’eredità) e il fideiussore rimane vincolato. Quindi, la scomparsa del debitore non estingue la garanzia. Allo stesso modo, la morte del fideiussore trasferisce l’obbligo ai suoi eredi (che possono però rinunciare all’eredità se vogliono evitare di farsi carico di quella passività). L’unica circostanza in cui il garante si libera è se il creditore, di sua volontà, fa un atto di remissione o rinuncia verso il debitore senza riservarsi i diritti sul garante: in tal caso, per l’accessorietà, viene meno anche la fideiussione (art. 1239 c.c., 1941 c.c.). Ma è raro: di solito la banca se fa transazioni col debitore si riserva espressamente di mantenere la fideiussione. Attenzione: se un creditore accetta in un concordato o piano del consumatore il pagamento ridotto del debitore, questo non impedisce di chiedere al fideiussore la parte restante, salvo patto contrario. In conclusione, il fallimento del debitore è spesso una cattiva notizia per il fideiussore: non solo non lo libera, ma lo espone quasi certamente alla richiesta immediata di pagamento integrale da parte del creditore.

D: Conviene rivolgersi a un avvocato se si ha una fideiussione in difficoltà?
R: Sì, decisamente. Come abbiamo ampiamente discusso, la materia delle fideiussioni è complessa ma ricca di possibili eccezioni. Un legale esperto può individuare vizi contrattuali, termini non rispettati, comportamenti censurabili del creditore, ecc., che un profano ignorerebbe. Spesso la differenza tra pagare tutto e non pagare nulla sta proprio nell’individuazione di una clausola nulla o di una decadenza. Negli ultimi anni la giurisprudenza ha prodotto cambiamenti significativi (nullità antitrust, interpretazioni pro-fideiussore): un avvocato aggiornato può sfruttarli in favore del garante. Inoltre l’avvocato può gestire meglio la fase delle trattative con la banca, eventualmente concordando un piano sostenibile o un saldo stralcio a tutela del cliente. Visto che in gioco c’è il patrimonio personale del fideiussore (spesso la casa di famiglia, i risparmi di una vita), vale la pena investire in una difesa tecnica. Anche semplicemente presentare un’opposizione a decreto ingiuntivo ben argomentata può portare la banca a trattare o a rivedere le sue pretese. In breve: mai arrendersi passivamente alle richieste su una fideiussione senza aver consultato un legale. Le banche hanno i loro avvocati; il fideiussore dovrebbe farsi assistere per essere sullo stesso piano.

D: In conclusione, qual è il “peggio” e il “meglio” che può succedere se non si paga una fideiussione?
R: Il peggio è: il fideiussore viene condannato per intero, il creditore lo pignora, forse gli vende la casa o gli blocca salario/pensione, e se non ha nulla di aggredibile rimane segnalato e perseguitabile per 10 anni rinnovabili (il debito potrebbe tormentarlo a lungo, salvo esdebitazione in procedure concorsuali personali). In altre parole, il fideiussore rischia di subire le stesse sorti di un debitore insolvente: perdita di beni, rovina finanziaria, e a volte tensioni familiari (perché magari il garante era un parente o socio). Il meglio che può succedere, invece, è che il fideiussore, grazie a difese legali, riesca a non pagare nulla (o molto meno del richiesto). Come abbiamo visto, ci sono casi in cui i garanti sono stati totalmente liberati per vizi contrattuali o decadenze, e altri in cui hanno ottenuto consistenti riduzioni (transazioni, etc.). Quindi il ventaglio va dal disastro finanziario alla salvezza integrale. La situazione concreta dipende da tanti fattori: la solidità delle difese giuridiche, il comportamento della banca, il tipo di debito garantito, il momento in cui il creditore agisce, e il patrimonio del garante (se è nullatenente, paradossalmente la banca sarà più propensa a trattare). Nel mezzo, spesso avviene una soluzione negoziata: ad esempio il garante paga una parte e la banca rinuncia al resto (così il garante salva magari la casa, la banca non perde tutto). Ogni storia è a sé. Ma il messaggio chiave di questa guida è che esistono molteplici vie legali per evitare o attenuare le conseguenze del “non pagamento” di una fideiussione, e conviene attivarle tutte, con l’aiuto di professionisti.

Fonti normative e giurisprudenziali citate:

  • Codice Civile (Regio Decreto 16/03/1942 n.262), articoli: 1936 (Nozione di fideiussione), 1938 (Fideiussione per obbligazioni future – necessità del massimale), 1941 (Limiti della fideiussione), 1944 (Obbligazione in solido del fideiussore; beneficio di escussione), 1945 (Eccezioni opponibili dal fideiussore), 1949 (Surrogazione del fideiussore nei diritti del creditore), 1950 (Diritti del fideiussore che ha pagato – regresso), 1953 (Ricorso del fideiussore prima del pagamento per ottenere liberazione), 1955 (Liberazione del fideiussore per fatto del creditore), 1956 (Fideiussore per obbligazione futura – liberazione se credito concesso imprudentemente), 1957 (Termine di 6 mesi per agire contro il debitore – decadenza).
  • Legge 10/10/1990 n. 287 (Norme a tutela della concorrenza e del mercato), art. 2 (Divieto di intese restrittive della concorrenza) – Provvedimento Banca d’Italia n. 55/2005 che dichiarò contrarie all’art. 2 legge 287/90 le clausole 2, 6 e 8 dello schema ABI di fideiussione omnibus.
  • D.Lgs. 06/09/2005 n. 206 (Codice del Consumo), artt. 33-36 (Clausole vessatorie nei contratti col consumatore) – in particolare art. 33, comma 2, lett. b) e lett. r) richiamate come rilevanti per clausole di deroga a termini e di esclusione eccezioni.
  • D.Lgs. 12/01/2019 n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), art. 48 (già art. 184 L.F.): effetti delle procedure di concordato preventivo sui coobbligati e fideiussori – non libera i fideiussori salvo diversa previsione concordataria.
  • Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili: sentenza 30/12/2021 n. 41994 – Principio di diritto sulla nullità parziale delle fideiussioni conformi allo schema ABI 2003 (intesa antitrust), clausole nulle ex art. 2 L.287/90 e art. 1419 c.c., esclusa nullità totale.
  • Cassazione Civile, Sez. I: ordinanza 17/01/2025 n. 1170 – ha confermato nullità parziale solo per fideiussioni omnibus, chiarendo limiti applicativi: necessità che contratto sia coevo all’intesa accertata (2005) o prova persistente intesa per successive; necessità corrispondenza testuale clausole; esclusione estensione automatica a fideiussioni specifiche.
  • Cassazione Civile, Sez. III: ordinanza 21/10/2024 n. 27243 – aveva affermato estensione dei principi di nullità parziale antitrust anche a fideiussioni specifiche non omnibus. (Orientamento minoritario poi superato dalle pronunce inizio 2025).
  • Cassazione Civile, Sez. III: ordinanza 25/11/2024 n. 30383 – tra le pronunce che hanno negato l’applicabilità della nullità antitrust alle fideiussioni specifiche post 2005, richiedendo prova della persistenza dell’intesa.
  • Cassazione Civile, Sez. I: sentenza 12/12/2017 n. 29810 – prima pronuncia di legittimità che aveva riconosciuto la nullità delle fideiussioni omnibus ABI per contrasto con art. 2 L.287/90 (nullità antitrust).
  • Cassazione Civile, Sez. I: ordinanza 25/05/2021 n. 14382 – sull’obbligo di preavviso di segnalazione in Centrale Rischi solo per crediti al consumo; conferma che mancanza preavviso non rende illegittima segnalazione se credito non è al consumo.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite: sentenza 18/04/2018 n. 8980 – (in materia di escussione preventiva del socio illimitatamente responsabile per debiti tributari) – principio per cui concordato preventivo del debitore non libera fideiussori (confermando interpretazione di art. 184 L.F.).
  • Cassazione Civile, Sez. I: sentenza 7/02/2024 n. 3462 – (indicata per completezza, concerne altra questione: nullità mutuo fondiario per superamento limite finanziabilità).
  • Tribunale di Palermo: sentenza 26/07/2023 n. 3741 – ha affermato la legittimità di segnalazione in CRIF anche del coobbligato (fideiussore) e ribadito che obbligo di preavviso vale solo per credito al consumo.
  • Corte di Giustizia UE: sentenza 18/02/2016 (causa C-49/14, Finanmadrid) – sul potere-dovere del giudice dell’esecuzione di rilevare d’ufficio clausole abusive in contratto non contestate in fase monitoria (principio recepito in tema di fideiussione consumatore).
  • Documenti dottrinali e giurisprudenziali vari: articoli di Diritto del Risparmio, Diritto Bancario, note di dottrina in materia di art.1957 c.c., etc., citati nella guida per supportare affermazioni normative e di case-law.

Non riesci a pagare una fideiussione? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La fideiussione è una garanzia con cui ti sei impegnato a rispondere dei debiti di un’altra persona o società.
Se il debitore principale non paga, il creditore può pretendere il pagamento direttamente da te, fideiussore.
Ma cosa succede se neppure tu riesci a pagare?

In questi casi, puoi andare incontro a:

  • Richiesta di pagamento immediato da parte della banca o finanziaria
  • Decreto ingiuntivo e successivo pignoramento dei beni o dello stipendio
  • Segnalazione alla Centrale Rischi e al CRIF, con gravi danni alla tua reputazione finanziaria
  • Responsabilità solidale con il debitore principale, se la fideiussione è “a prima richiesta”

La buona notizia? Esistono strategie difensive e strumenti legali per tutelarti e, in certi casi, liberarti dagli effetti della fideiussione.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la fideiussione e verifica se contiene clausole nulle o abusive
📑 Valuta l’eventuale prescrizione o decadenza del diritto del creditore
⚖️ Contesta la validità della garanzia, se difettosa o firmata in assenza di consapevolezza
✍️ Ti difende in giudizio contro richieste illegittime di pagamento
🔁 Ti assiste nella ristrutturazione del debito o nell’accesso a procedure di sovraindebitamento


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fideiussioni, contratti bancari e contenzioso debitorio
✔️ Difensore in cause per escussione fideiussoria e opposizione a decreti ingiuntivi
✔️ Autore di ricorsi accolti per nullità di fideiussioni ABI e violazione di norme antitrust
✔️ Consulente per imprenditori, professionisti, garanti di società o familiari
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia


Conclusione

Non pagare una fideiussione può avere conseguenze gravi, ma ci sono difese e soluzioni per non essere travolti dal debito altrui.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi valutare se la fideiussione è valida, difenderti da richieste eccessive e proteggere il tuo patrimonio personale.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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