I Creditori Privilegiati Nel Concordato Preventivo

Hai un’impresa in crisi e stai valutando il concordato preventivo per evitare la liquidazione? Ti stai chiedendo come vengono trattati i creditori privilegiati all’interno della procedura e se è possibile ridurre o ristrutturare anche i loro crediti?

Nel concordato preventivo, la posizione dei creditori privilegiati è diversa rispetto a quella dei creditori chirografari. Per impostare un piano efficace e ammissibile, è fondamentale capire chi sono, quali diritti hanno e quali margini di manovra hai per trattare il loro credito.

Chi sono i creditori privilegiati?

Sono quei creditori che, in virtù della legge, godono di una prelazione sul patrimonio del debitore. Possono essere:

Creditori con privilegio generale: ad esempio, l’INPS per i contributi previdenziali o l’Agenzia delle Entrate per alcune imposte
Creditori con privilegio speciale: chi ha un pegno o un’ipoteca su specifici beni dell’impresa (macchinari, immobili, merci)
Creditori assistiti da garanzie reali: come banche con mutui ipotecari o leasing garantiti

Come vengono trattati nel concordato preventivo?

I creditori privilegiati devono essere soddisfatti integralmente, ma solo nei limiti del valore del bene su cui insiste il privilegio. Se il bene su cui hanno garanzia non copre l’intero credito, la parte residua diventa chirografaria e segue le regole di soddisfazione del piano.

Esempio: una banca ha un’ipoteca su un immobile del valore stimato di 200.000 €, ma il debito residuo è di 300.000 €. I primi 200.000 € sono privilegiati, i restanti 100.000 € vengono trattati come credito chirografario.

È possibile modificare le condizioni del loro credito?

Sì, ma solo in parte:

– Puoi proporre il pagamento dilazionato della quota privilegiata
– Puoi offrire garanzie alternative (se migliorative)
Non puoi stralciare la parte privilegiata del credito senza consenso o conversione a chirografo
– Per la parte chirografaria, puoi applicare le stesse condizioni degli altri creditori non garantiti

Cosa succede se non rispetti il trattamento dei privilegiati?

Il piano rischia di essere inammissibile o non omologabile. Il giudice verifica infatti che i creditori privilegiati non siano danneggiati e che le proposte siano in linea con la legge. Se non vengono rispettate le regole, tutto il procedimento può fallire.

Come strutturare correttamente il piano?

– Valuta con precisione il valore dei beni garantiti
– Distingui bene la parte privilegiata da quella chirografaria
– Coinvolgi i creditori privilegiati fin dall’inizio, per evitare opposizioni
– Predisponi un piano sostenibile che permetta il pagamento integrale della parte coperta dal privilegio

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto concorsuale e crisi d’impresa – ti spiega come funziona il trattamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo e come evitare errori che potrebbero compromettere l’intera procedura.

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Introduzione

Il concordato preventivo è uno strumento giuridico di regolazione della crisi d’impresa che consente al debitore di proporre un piano ai creditori per evitare la liquidazione giudiziale (il “fallimento”). In questo contesto, un ruolo cruciale è rivestito dai creditori privilegiati, ossia quei creditori muniti di una causa legittima di prelazione (privilegio, pegno, ipoteca o diritto di ritenzione) sui beni del debitore. Dal punto di vista del debitore, la gestione dei creditori privilegiati nel piano di concordato è delicata: occorre garantire loro un trattamento conforme alla legge (che tutela le loro prelazioni) ma al contempo cercare soluzioni che rendano il piano sostenibile e approvabile. In questa guida di livello avanzato esamineremo in dettaglio la disciplina italiana (aggiornata a giugno 2025) sui creditori privilegiati nel concordato preventivo, con linguaggio tecnico-giuridico ma chiaro, arricchendo l’esposizione con le norme rilevanti, pronunce giurisprudenziali recenti, tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti. L’obiettivo è fornire uno strumento utile a professionisti (avvocati, commercialisti) ma anche a imprenditori e privati debitori interessati a comprendere come vanno trattati i crediti privilegiati in sede di concordato preventivo, il tutto dal punto di vista del debitore (cioè di chi propone il concordato).

Inquadramento normativo e definizioni generali

Per affrontare il tema, è necessario anzitutto chiarire chi siano i creditori privilegiati e quali norme ne disciplinano il trattamento nel concordato preventivo. Nel diritto italiano, i creditori privilegiati sono quei creditori che godono di una causa di prelazione sui beni del debitore, ai sensi degli artt. 2745 e seguenti del codice civile. Le cause di prelazione si dividono in: privilegi, pegno e ipoteca (oltre al particolare istituto del diritto di ritenzione). A livello pratico:

  • Privilegio: è una prelazione accordata dalla legge in considerazione della causa del credito (art. 2745 c.c.). Può essere generale (si esercita su tutti i beni mobili del debitore) o speciale (si esercita su specifici beni determinati). Ad esempio, i crediti per retribuzioni dei lavoratori hanno privilegio generale sui mobili (art. 2751-bis c.c.), mentre il credito del meccanico per la riparazione di un veicolo è assistito da privilegio speciale sul veicolo medesimo (art. 2756 c.c.). I privilegi speciali possono gravare su mobili (es. macchinari, automezzi) e in alcuni casi su immobili (es. il credito del promissario acquirente di immobile ha privilegio speciale sull’immobile ex art. 2775-bis c.c.). L’ordine dei privilegi (chi prevale su chi) è stabilito dagli artt. 2777-2783 c.c. (per mobili) e 2780 c.c. (per immobili).
  • Pegno (pegno): è un diritto reale di garanzia su beni mobili o crediti, costituito mediante contratto o atto unilaterale su un bene del debitore (o di un terzo) a favore del creditore (artt. 2784 e segg. c.c.). Il creditore pignoratizio ha diritto di prelazione sul valore del bene dato in pegno. Ad esempio, un finanziamento garantito da pegno su titoli azionari rende la banca un creditore pignoratizio (quindi privilegiato) sul ricavato dei titoli fino a concorrenza del credito. In caso di insolvenza, il pegno consente al creditore di essere soddisfatto con priorità sul bene oggetto di garanzia rispetto ai creditori chirografari (non privilegiati).
  • Ipoteca: è un diritto reale di garanzia su beni immobili (o beni mobili registrati, come autoveicoli, navi, aeromobili) destinato ad assicurare un credito (artt. 2808 e segg. c.c.). Il creditore ipotecario (ad esempio la banca che ha erogato un mutuo ipotecario) gode di prelazione sul prezzo di vendita dell’immobile ipotecato, secondo il grado dell’ipoteca (l’ipoteca ha grado in base all’ordine di iscrizione nei pubblici registri). Le ipoteche volontarie, giudiziali o legali conferiscono dunque ai creditori ipotecari lo status di creditori privilegiati sui beni gravati.
  • Diritto di ritenzione: è la facoltà riconosciuta in alcuni casi al creditore di trattenere un bene mobile del debitore che detiene legittimamente, fino a quando il suo credito (legato a quello specifico bene) non venga soddisfatto. Ad esempio, l’artigiano che ha riparato un macchinario può rifiutarsi di riconsegnarlo al debitore finché non riceve il pagamento dovuto: egli vanta un privilegio speciale sul macchinario e contestualmente un diritto di ritenzione sulla cosa stessa (art. 2756 c.c., comma 3). Il diritto di ritenzione è un diritto accessorio e indivisibile (cessa solo con il pagamento integrale del credito). In sostanza, pur non conferendo di per sé il potere di vendere il bene (se non nei casi equiparati al pegno), la ritenzione dà al creditore un forte strumento di pressione: il debitore non riavrà il bene finché non paga. In caso di procedure concorsuali, il creditore con diritto di ritenzione partecipa di norma al riparto sul ricavato del bene trattenuto, con preferenza in base al suo privilegio, e ha diritto di essere soddisfatto prima dei creditori chirografari (in fallimento ciò avviene intervenendo nella distribuzione senza dover insinuare il credito al passivo; nel concordato preventivo occorrerà tenerne conto nel piano).

Da quanto sopra emerge che “creditore privilegiato” in senso lato è qualsiasi creditore che vanti una prelazione sui beni del debitore – includendo quindi i creditori pignoratizi e ipotecari oltre ai titolari di privilegi (generali o speciali). Spesso infatti la legge usa l’espressione “creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca” per indicare l’intera categoria (sinonimo di creditori prelatizi). Nel concordato preventivo, tutti costoro godono di particolare tutela normativa: il debitore che presenta un piano concordatario deve rispettare certe regole nel trattamento di questi crediti, poiché diversamente rischia l’inammissibilità della proposta o la mancata omologa.

Le fonti normative principali da considerare sono attualmente contenute nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII, D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), entrato in vigore definitivamente nel luglio 2022 (in attuazione della L. 155/2017 e in recepimento della Direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione e insolvenza). Il CCII ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) ma, per quanto qui interessa, ne ha in parte ripreso i principi introducendo alcune importanti novità. Nel contesto del concordato preventivo, vanno richiamati in particolare:

  • l’art. 84 CCII, che disciplina i contenuti del piano di concordato preventivo (requisiti di fattibilità e trattamento dei creditori), inclusa la possibilità di soddisfare non integralmente i creditori privilegiati a certe condizioni (art. 84 comma 5 CCII); inoltre il comma 6 del medesimo articolo introduce la regola della priorità relativa nelle distribuzioni concordatarie in continuità, di cui diremo più avanti;
  • gli artt. 85-88 CCII, che regolano la suddivisione in classi, il contenuto del piano e specificamente il trattamento dei crediti tributari e contributivi (in particolare l’art. 88 CCII sul trattamento dei crediti fiscali in concordato, come modificato nel 2024 per chiarire il cosiddetto “cram down” fiscale, ovvero l’omologazione forzosa del concordato nonostante il voto contrario del Fisco in certi casi);
  • l’art. 109 CCII, che disciplina il diritto di voto dei creditori nelle adunanze concordatarie e prevede ai commi 3, 4 e 5 le condizioni in cui i creditori prelatizi votano o meno e come sono eventualmente classificati (in particolare, se un creditore privilegiato è soddisfatto integralmente non vota, salvo rinuncia alla prelazione; se non è soddisfatto integralmente, per la parte non soddisfatta viene equiparato ai chirografari e vota; inoltre, nei concordati con continuità aziendale, se il pagamento integrale avviene entro certi termini brevi, i privilegiati restano “fuori voto”, altrimenti votano ed entrano in classi distinte).

Oltre a queste disposizioni, rilevano anche gli articoli del codice civile sui privilegi (artt. 2745–2783 c.c.) e le norme speciali fiscali, in particolare l’art. 2752 c.c. (privilegi tributari) e l’ordine di pagamento stabilito dall’art. 2777 c.c. (che pone al vertice le spese di procedura e taluni crediti come le retribuzioni, seguiti dai tributi etc.). Come vedremo, il CCII richiama il criterio di soddisfacimento “non inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione” per i creditori prelatizi, radicando la tutela dei privilegi nella necessità di assicurare loro almeno il risultato che otterrebbero vendendo i beni su cui hanno garanzia.

In sintesi: nel concordato preventivo il debitore può ristrutturare i debiti privilegiati, ma deve farlo nel rispetto di vincoli stringenti. È possibile prevedere pagamenti parziali o dilazionati ai creditori privilegiati, tuttavia occorre garantire il “trattamento minimo” previsto dalla legge e seguire procedure specifiche (ad es. attestazione di un esperto indipendente sul valore di realizzo dei beni). È altresì fondamentale comprendere come votano tali creditori e come vanno eventualmente classati nel piano. Nei paragrafi seguenti analizzeremo dapprima la regola generale della soddisfazione integrale o falcidia controllata dei crediti privilegiati, poi le eccezioni e novità (moratorie, classi, trattamento fiscale), per poi approfondire le singole tipologie di crediti privilegiati e rispondere ad alcune domande frequenti con esempi pratici.

Trattamento dei creditori privilegiati nel concordato: regola generale della soddisfazione integrale o falcidia controllata

Principio generale: i creditori muniti di cause di prelazione hanno diritto, in linea di principio, a essere soddisfatti con preferenza rispetto agli altri creditori sul valore dei beni gravati dalla garanzia. Nel concordato preventivo, storicamente, ciò si traduceva nell’obbligo di pagamento integrale dei creditori privilegiati per poter omologare la proposta, a meno che essi volontariamente rinunciassero in parte alla prelazione. Sotto la previgente Legge Fallimentare (L.F.), prima delle riforme, non era ammessa l’approvazione di un concordato che falcidiasse i crediti privilegiati: questi dovevano essere pagati al 100% (eventualmente dilazionati di poco), pena l’inammissibilità.

Evoluzione normativa: la situazione è cambiata con la riforma operata dal D.Lgs. 169/2007 e successivi interventi (D.L. 83/2012) sulla L.F., che hanno introdotto la possibilità di soddisfare i creditori prelatizi non integralmente, a condizione di garantire loro almeno il valore di realizzo dei beni su cui insiste la prelazione (la cosiddetta “falcidia” dei crediti privilegiati). Questa regola, originariamente prevista dall’art. 160, comma 2 L.F., è stata poi trasfusa nell’art. 84, comma 5 CCII. Oggi, dunque, la norma cardine è l’art. 84, comma 5 del Codice della crisi, il quale recita:

“I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario”.

In parole più semplici, il piano di concordato può prevedere di pagare un creditore privilegiato in misura ridotta (ad esempio, pagare solo una percentuale del suo credito) solo se:

  • la somma offerta a quel creditore non è inferiore a quella che egli otterrebbe vendendo (in una liquidazione fallimentare) il bene su cui ha garanzia, tenuto conto dei costi di procedura. In pratica bisogna stimare quanto ricaverebbe il creditore dalla vendita forzata del bene ipotecato o oggetto di privilegio, detraendo le spese legali, di vendita, imposte etc., e assicurare almeno tale importo;
  • un professionista indipendente (attestatore) deve asseverare che la misura di soddisfacimento proposta rispetta tale soglia (cioè certificare il valore di liquidazione del bene e che il pagamento proposto al creditore privilegiato non sia inferiore a quel valore);
  • l’eventuale parte di credito eccedente quel valore viene automaticamente “declassata” a credito chirografario (non garantito), ossia sarà trattata al pari dei crediti senza prelazione (che di regola ricevono una percentuale inferiore).

Questa regola viene spesso indicata come principio di “falcidiabilità” dei crediti privilegiati: la falcidia è appunto la riduzione parziale dell’importo dovuto al creditore privilegiato, consentita nei limiti della capienza del suo diritto di prelazione. Il corollario è che se una parte del credito privilegiato risulta incapiente (perché il valore di realizzo del bene non copre l’intero credito), quella parte diviene chirografaria e potrà essere soddisfatta solo in percentuale come gli altri crediti chirografari.

Esempio pratico 1: Tizio ha un debito di €200.000 verso una banca garantito da ipoteca su un immobile di sua proprietà. Nel concordato, Tizio propone di vendere l’immobile; una perizia indipendente stima che dalla vendita forzata si otterrebbero €150.000 netti (detratti costi di procedura, tasse, ecc.). In tal caso, almeno €150.000 del credito della banca vanno considerati in privilegio ipotecario e devono essere assicurati integralmente alla banca (magari tramite il ricavato effettivo della vendita). I restanti €50.000 sono eccedenza incapiente (il credito oltre il valore di garanzia) e diventano chirografari: su di essi la banca verrà soddisfatta nella stessa misura prevista per gli altri chirografari (ipotizziamo, ad esempio, il 20%). Quindi la banca riceverebbe €150.000 + il 20% di €50.000 = €160.000 totali. Questo è lecito purché il piano sia attestato e approvato, poiché la banca riceve almeno quanto avrebbe ottenuto liquidando il cespite (che era €150.000). Se invece il piano offrisse alla banca una somma inferiore a €150.000 sul credito privilegiato, violerebbe l’art. 84 co.5 CCII e sarebbe inammissibile a meno di consenso specifico del creditore.

Esempio pratico 2: Caio vanta un credito privilegiato generale (ad esempio per TFR di un dipendente) di €30.000. A differenza dell’ipoteca, il privilegio generale non insiste su un bene specifico ma su tutti i beni mobili. Come si determina la soglia minima da garantire? Bisogna simulare il risultato della liquidazione giudiziale: occorre stimare quanto Caio otterrebbe in caso di fallimento, dove i privilegi generali si soddisfano sui beni mobili secondo un ordine. Supponiamo che, tenuto conto di tutti i beni mobili di Tizio e degli altri privilegiati concorrenti, Caio in caso di fallimento avrebbe preso circa 50% del suo credito (€15.000). Allora nel concordato Caio dovrà ricevere almeno €15.000 (50%). Se il piano offre meno (es. 30%), sarebbe falcidia illegittima; se offre il 50% o più, è conforme perché Caio non viene trattato peggio che in liquidazione. La determinazione di questo valore richiede il lavoro di stima dell’attestatore, che deve considerare il “valore di liquidazione” complessivo e la cascata dei privilegi.

Determinazione del “valore di liquidazione” e attestazione dell’esperto

L’attuazione pratica della regola di falcidia richiede dunque di quantificare con accuratezza il valore di realizzo in caso di liquidazione dei beni gravati da prelazione. Questo concetto ha ricevuto notevole attenzione sia dagli operatori che dalla giurisprudenza recente. Con il Decreto Correttivo ter (D.Lgs. 136/2024) è stata introdotta una definizione normativa di “valore di liquidazione” che il piano deve indicare, proprio al fine di rendere più oggettivo il parametro di confronto. Inoltre, la Corte di Cassazione ha fornito indicazioni su come stimare tale valore:

  • Deve trattarsi di una stima seria e precisa, non approssimativa, perché serve da parametro per valutare la soddisfazione minima dovuta ai creditori prelatizi.
  • Il “valore di liquidazione” non coincide necessariamente col “valore di mercato” del bene, ma dal valore di mercato occorre arrivare a quello di liquidazione tenendo conto che di regola una vendita forzata comporta ricavi inferiori. Bisogna cioè esplicitare le rettifiche al valore di mercato per tener conto di ribassi d’asta, tempi di realizzo, e soprattutto dedurre i costi di procedura (costi di vendita, compenso del liquidatore o del curatore, imposte). Il valore di liquidazione è dunque un valore netto e prudenziale.

La Suprema Corte (Cass. 6435/2024) ha sottolineato che la stima non può essere generica, ma va motivata e “attestata” con cura, perché su di essa si fonda la legittimità della falcidia. In pratica, l’attestatore indipendente svolge un ruolo chiave: deve dichiarare che, secondo i suoi calcoli, ogni creditore privilegiato riceverà almeno il valore di liquidazione del suo collaterale. Se, ad esempio, l’attestatore ritiene che un immobile ipotecato frutterebbe netto €100.000, ma il piano prevede di pagarne solo €80.000 al creditore ipotecario, non potrà attestare positivamente (salvo che il creditore acconsenta a meno, ma questo attiene al voto). Questa verifica mira a evitare locupletazioni o sacrifici eccessivi: un creditore garantito non può essere costretto a subire uno “sconto” maggiore di quello che già subirebbe in una liquidazione fallimentare (dove spesso non recupera il 100% nominale, ma un po’ meno per le spese e gli sconti d’asta).

Va ricordato che fino a qualche anno fa c’era dibattito su alcuni crediti pubblici “infalcidiabili” (in particolare l’IVA e le ritenute fiscali non versate, ritenute talora escluse da falcidia per vincoli euro-unitari). Tuttavia, un intervento della Corte Costituzionale e la riforma hanno chiarito che anche l’IVA può essere falcidiata in concordato, trattandosi di procedura concorsuale, mentre permangono limiti solo nelle procedure minori di sovraindebitamento. Attualmente, dunque, tutti i crediti privilegiati (anche tributari) possono teoricamente essere soddisfatti parzialmente nel concordato, purché sia rispettata la regola del valore di liquidazione e — per i tributi e contributi — siano osservate le norme speciali sulla transazione fiscale (vedi oltre la sezione sulle implicazioni fiscali).

Moratorie e dilazioni di pagamento ai creditori privilegiati

Oltre alla possibilità di falcidiare (ridurre) l’importo dei crediti privilegiati, il concordato preventivo consente di differire nel tempo il pagamento di tali crediti (cioè pagarli non immediatamente al momento dell’omologazione, ma in seguito, a scadenze previste dal piano). Già sotto la Legge Fallimentare la giurisprudenza aveva ammesso la dilazione purché venissero riconosciuti alcuni diritti compensativi ai creditori privilegiati (ad esempio il pagamento di interessi durante l’attesa) e il loro coinvolgimento nel voto. La riforma del 2012 introdusse l’art. 186-bis L.F. per il concordato con continuità aziendale, prevedendo espressamente la possibilità di una moratoria fino a 2 anni dall’omologazione per pagare i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, a condizione che non si trattasse di creditori garantiti da beni oggetto di liquidazione immediata. Quindi, in caso di concordato in continuità, il debitore poteva posticipare di massimo 24 mesi il pagamento dei creditori prelatizi (ad esempio mantenendo un mutuo ipotecario e pagandolo nei 2 anni successivi), ma se invece il bene era venduto subito, il ricavato doveva essere distribuito senza indugio a quei creditori. Questa “moratoria” biennale fu una novità rilevante per facilitare i concordati di ristrutturazione aziendale.

Con il Codice della Crisi, la disciplina delle dilazioni è stata in parte rimodulata. Non si parla più di un termine fisso di due anni, ma si introducono criteri per distinguere i creditori privilegiati “non interessati” (che non votano) da quelli “interessati” (che votano), anche in base ai tempi di soddisfacimento. In particolare, l’art. 109, comma 5 CCII dispone che nei concordati con continuità aziendale i creditori prelatizi non votano se sono soddisfatti integralmente in denaro entro 180 giorni dall’omologazione (termine ridotto a 30 giorni per i crediti da lavoro ex art. 2751-bis n.1 c.c., cioè retribuzioni). Questo significa che il nuovo codice incentiva il debitore a pagare i privilegiati entro circa 6 mesi dall’omologa: se lo fa (e integralmente in cash), quei creditori sono considerati “non interessati” dal piano, analogamente ai creditori non toccati in procedure anglosassoni (unimpaired), e quindi non hanno diritto di voto. Le loro garanzie restano però in essere fino al pagamento effettivo. Se invece il piano prevede per i creditori prelatizi un pagamento oltre tale termine (o non integralmente in denaro), allora essi votano sul concordato e, per la parte eventuale di credito non coperta dalla garanzia, devono essere inseriti in una classe separata.

Dunque, il CCII non fissa espressamente un limite massimo di dilazione (teoricamente, un piano potrebbe prevedere di pagare certi creditori privilegiati in 3, 5 o più anni), ma oltre la soglia dei 180 giorni li considera a tutti gli effetti creditori interessati dalla ristrutturazione, ai quali va data la possibilità di voto (in una classe distinta per la parte chirografaria). Inoltre, se il pagamento è ritardato, occorre normalmente prevedere il pagamento di interessi o altre forme di tutela del valore nel frattempo. La legge, in verità, non specifica qui il tasso di interesse dovuto, ma la giurisprudenza ha chiarito che i creditori privilegiati in moratoria hanno diritto a una compensazione per il ritardo, in modo da non essere penalizzati economicamente. Ad esempio, Cass. 11882/2021 ha ribadito che se il piano concede una dilazione ai creditori ipotecari oltre l’anno, è necessario corrispondere loro gli interessi (spesso al tasso legale o al tasso contrattuale se inferiore) maturati nel frattempo, salvo diverso accordo. Ciò per rispettare il principio che il valore attuale del pagamento differito non sia inferiore al valore dovuto (tenendo conto dell’interesse come costo del tempo).

Esempio pratico 3: una società in concordato con continuità vuole mantenere un finanziamento ipotecario con banca, prevedendo di pagare il residuo in 5 anni. La banca è creditore privilegiato che non viene soddisfatto entro 180 giorni, dunque ha diritto di voto. Il piano dovrà prevedere che la banca riceva interessi sul debito durante i 5 anni (es. al tasso legale o a un tasso concordato), altrimenti il ritardo le causerebbe un danno in termini di valore attuale. La banca voterà in una classe (verosimilmente una classe ad hoc di creditori ipotecari ristrutturati) e se la maggioranza sarà raggiunta potrà essere obbligata ad accettare il pagamento dilazionato con interessi. Se invece il debitore avesse pagato la banca entro 6 mesi dall’omologa, la banca sarebbe stata “non interessata” e non avrebbe votato affatto (rimanendo in attesa del pagamento, con l’ipoteca ancora accesa come garanzia fino all’effettivo saldo).

In conclusione, la regola generale del concordato impone: niente tagli ai privilegiati sotto il valore di liquidazione e niente dilazioni eccessive senza compenso e diritto di voto. Ciò tutela il creditore forte, ma permette al debitore in crisi un margine di manovra: può modulare il pagamento (in misura e in tempi) dei creditori garantiti, ottenendo il loro consenso o, se necessario, attuando strumenti di cram down (vedremo oltre il cram down fiscale). Nell’ottica del debitore, è essenziale progettare il piano concordatario in modo da soddisfare questi vincoli. Errori nella valutazione del valore di liquidazione o nella previsione degli interessi possono portare il tribunale a ritenere il piano inammissibile o non omologabile.

Tabella 1: Trattamento generale dei crediti privilegiati nel concordato preventivo

AspettoRegola (art. 84 co.5 CCII e artt. 109-112 CCII)
Pagamento (importo)Deve essere integrale, salvo falcidia nei limiti del valore di liquidazione del bene. La parte eccedente diventa chirografaria. Vietato offrire al creditore prelatizio meno di quanto otterrebbe dalla vendita forzata del bene su cui ha prelazione (valore al netto costi).
AttestazioneUn professionista indipendente deve attestare che la soddisfazione proposta ≥ valore di liquidazione del bene oggetto di garanzia. L’attestazione deve indicare analiticamente stime e costi dedotti.
Pagamento (tempi)Possibile dilazione. Se il piano paga il creditore in denaro entro 180 giorni dall’omologa (30 giorni per crediti di lavoro) e integralmente, quel creditore è “non interessato” (non vota). Se il pagamento avviene oltre 180 giorni (o non è integralmente in denaro), il creditore è “interessato” (vota) e ha diritto a un trattamento che consideri il differimento (es. interessi). In passato era ammessa moratoria max 2 anni per continuità (ora 180 gg distingue voto sì/no; oltre 2 anni è possibile ma sempre come creditore votante).
Degradazione quotaLa parte di credito che non trova copertura nel valore del bene è trattata come chirografaria. Ad es. credito €100, valore bene €60 → €60 privilegiato, €40 chirografario.
InteressiSe al creditore privilegiato viene posticipato il pagamento oltre l’anno circa, generalmente maturano interessi sul credito privilegiato fino al pagamento, da includere nel piano per non diminuirne il valore. Se il piano prevede pagamento entro 6 mesi, di regola gli interessi maturandi sono minimi e spesso si pagano alla scadenza (ad es. interessi legali per 6 mesi).
Voto e classiCreditori privilegiati non votano se soddisfatti integralmente entro 180 gg (o se rinunciano volontariamente alla prelazione). Votano in tutti gli altri casi: il loro credito viene suddiviso in due parti ai fini del voto, una parte “coperta” (che resta privilegiata) e una parte “scoperta” (degradata a chirografo) che viene inserita in una classe separata. Nel concordato in continuità la formazione di classi è obbligatoria e i privilegiati non integralmente soddisfatti entrano in classi proprie (spesso ciascuno nella propria classe se le situazioni differiscono).
Esito se dissensoSe un creditore privilegiato vota contro il concordato ed esso non ottiene le maggioranze, la proposta non viene approvata salvo intervento di cram-down giudiziale possibile per il Fisco (vedi infra). Se invece la maggioranza si raggiunge, il concordato omologato vincola anche i dissenzienti. I privilegiati dissenzienti conservano la garanzia solo nei limiti dei pagamenti promessi dal piano (non possono agire esecutivamente se il concordato è omologato, salvo in caso di successiva risoluzione per inadempimento).

(N.B.: La tabella riassume la disciplina generale post-riforma 2022-2024. In fattispecie particolari – es. concordato minore, concordato semplificato – vi possono essere adattamenti, non trattati in questa sede.)

Classi di creditori e diritto di voto dei privilegiati nel concordato preventivo

Classificazione dei creditori: Nel concordato preventivo il debitore ha facoltà (talora obbligo) di suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei. La suddivisione in classi consente di offrire trattamenti differenziati a gruppi diversi di creditori e di procedere a votazioni separate per ciascuna classe. Sotto la Legge Fallimentare la formazione delle classi era facoltativa, salvo casi imposti dalla prassi (ad esempio se si voleva discriminare tra creditori chirografari, si dovevano creare classi). Il Codice della Crisi, nella sua formulazione originaria (art. 85 CCII), manteneva la facoltatività delle classi in generale, ma vincolava a classare in modo separato alcuni creditori particolari (ad es. i creditori “strategici” proponenti accordi ex art. 90 CCII, o soci finanziatori postergati).

Una novità rilevante è giunta con il Decreto Correttivo ter (D.Lgs. 136/2024), che ha reso obbligatoria la formazione delle classi nei concordati con continuità aziendale (art. 85 comma 3 CCII). Ciò risponde all’esigenza di attuare la regola della priorità relativa (relative priority rule) introdotta nel 2022, di cui diremo a breve: nelle situazioni di continuità, per valutare correttamente il trattamento dei creditori occorre la suddivisione in classi, specie per distinguere i privilegiati dai chirografari e applicare eventualmente il cram down interclassi. Anche senza l’obbligo normativo, comunque, nella pratica i creditori privilegiati vengono quasi sempre collocati in classi separate rispetto ai chirografari quando il loro diritto viene alterato (falcidiato o dilazionato), perché hanno priorità diverse. Ad esempio, in un concordato in continuità una banca ipotecaria potrà costituire una classe di creditori privilegiati separata, distinta magari da un’altra classe di creditori privilegiati (es. il Fisco, se anch’esso privilegiato) e dalle classi di chirografari. Ciò consente a ciascuna classe di esprimere un voto omogeneo e al giudice di valutare l’esito per ciascuna.

Diritto di voto dei creditori privilegiati: La regola di base (presente già nell’art. 177 L.F. e ora nell’art. 109 CCII) è la seguente: un creditore munito di prelazione non ha diritto di voto sulla proposta di concordato se questa prevede il pagamento integrale del suo credito privilegiato. Il motivo è intuitivo: se il concordato non lo pregiudica (lo paga al 100% sul privilegio), egli è “soddisfatto” e dunque non è chiamato a votare insieme agli altri creditori. Tuttavia, qualora il creditore privilegiato rinunci (anche solo parzialmente) alla prelazione, per la parte rinunciata diventa chirografario e può votare. Questa ipotesi (rinuncia volontaria) è rara nella pratica, ma può accadere se un creditore garantito preferisce partecipare alle decisioni sul concordato magari per sostenere una ristrutturazione. Più frequente è invece il caso in cui il concordato non preveda l’integrale soddisfazione di un creditore privilegiato: in tal caso, dice la legge, “i creditori muniti di diritto di prelazione dei quali la proposta di concordato prevede la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito”. Tradotto: se un creditore con pegno/ipoteca/privilegio subisce una falcidia, per la parte “falcidiata” parteciperà al voto come creditore chirografario.

Come vota un creditore privilegiato falcidiato? Si fa un esempio: la banca Alfa ha un credito di €100 assistito da ipoteca; il piano le offre €80 sul privilegio (quindi non integrale). La banca allora voterà come se avesse un credito chirografario di €20 (la parte non soddisfatta). I suoi €80 coperti da garanzia restano fuori dal voto (perché comunque garantiti dal valore di liquidazione); i €20 scoperti votano insieme (o meglio in classe separata) con gli altri chirografari. In sostanza, nel voto si considera solo la parte di credito che il concordato “taglia”. Questa regola aveva un’applicazione pacifica sotto la vigenza della L.F. ed è confermata dal nuovo Codice. Si noti che la banca in esempio, votando per 20, potrebbe essere decisiva o meno a seconda delle dimensioni del ceto chirografario complessivo. Se il piano fosse molto vantaggioso per chirografi e tutti votassero sì tranne la banca, il dissenso su 20 potrebbe non bloccare la maggioranza. Diverso è se la banca rappresenta una fetta rilevante.

Classe separata per la parte chirografaria dei privilegiati: Il CCII ha esplicitato (soprattutto per i concordati in continuità) che la parte residua dei crediti privilegiati degradati va inserita in apposite classi. In particolare, l’art. 109 co.5 CCII, già citato, prevede che se un creditore privilegiato vota (perché non soddisfatto entro 180 giorni), “per la parte incapiente, [va] inserito in una classe distinta”. Questo garantisce trasparenza: il voto e il trattamento dei privilegiati falcidiati vengono isolati in classi dedicate, evitando che si confondano con la massa degli altri chirografari. Per esempio, nel nostro caso, la banca Alfa potrebbe costituire la Classe 1 – creditori ipotecari (quota chirografaria) con €20 di credito votante. Potrebbe essere l’unica in tale classe, oppure, se ci fosse un’altra banca ipotecaria anch’essa falcidiata, entrambe costituirebbero la classe dei creditori ipotecari chirografari residui, e voterebbero assieme esprimendo un voto unitario di classe.

Creditori privilegiati “non interessati” e recenti orientamenti: Abbiamo visto che un creditore privilegiato soddisfatto integralmente nei termini brevi non vota. Il CCII li definisce come creditori “non interessati” dalla procedura. Un recente provvedimento del Tribunale di Milano (sentenza 5 febbraio 2024) ha interpretato in modo rigoroso questa distinzione, affermando che è da considerare “creditore interessato” (e quindi avente diritto di voto) qualsiasi creditore privilegiato che venga soddisfatto con modalità diverse dal denaro immediato, oppure oltre i termini di 180 giorni dall’omologa previsti dall’art. 109 co.5. Nel caso concreto il Tribunale meneghino ha rilevato che un creditore erariale privilegiato (Agenzia Entrate) non veniva pagato integralmente entro 180 giorni, e neppure per intero in somma, per cui andava fatto votare. Nella fattispecie, il debitore non aveva inserito tale creditore in alcuna classe votante pensando forse che soddisfacendolo nei limiti del valore di liquidazione fosse “a posto”; il Tribunale invece ha dichiarato inammissibile il piano, richiamando il punto che pagare un privilegiato solo nei limiti di capienza non equivale a pagarlo integralmente – la differenza tra integrale e non integrale è formale ma sostanziale: se prende meno del 100% del suo credito, anche se corrisponde al 100% di quel che vale la garanzia, giuridicamente è “non integrale”. Pertanto quel creditore doveva essere coinvolto nel voto per la parte non soddisfatta (anche minima) e non poteva essere considerato fuori. Questa decisione spinge all’estremo la tutela: di fatto nessun privilegiato falcidiato può essere escluso dal voto, indipendentemente dal fatto che la falcidia sia giustificata dal valore del bene. È un monito per i debitori a impostare correttamente la struttura delle classi e delle votazioni.

Maggioranze e approvazione del concordato: I creditori privilegiati votanti concorrono al calcolo delle maggioranze richieste per l’approvazione del concordato. Ricordiamo brevemente che il concordato è approvato se riporta il voto favorevole di più della metà dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice >50%, calcolata sul totale dei crediti aventi diritto di voto). In caso di suddivisione in classi, nel concordato con continuità vige la regola più stringente che tutte le classi devono approvare (salva la possibilità di cram down giudiziale di cui poi parleremo). Nel concordato liquidatorio puro, conta invece la maggioranza assoluta dell’ammontare dei crediti votanti (non è richiesta l’unanimità delle classi, perché le classi potrebbero non esserci o essere facoltative). I creditori privilegiati che non votano (perché integralmente soddisfatti) sono esclusi dal computo: i loro crediti non contano né come favorevoli né come contrari. I privilegiati che votano invece contano per la parte ammessa al voto (come sopra esemplificato). Ad esempio, se su 100 di crediti totali, 40 sono privilegiati integralmente pagati (no voto) e 60 sono crediti votanti (inclusi residui di privilegiati falcidiati), la maggioranza va calcolata su 60; servono dunque >30 a favore. Supponiamo che ci siano due classi: Classe privilegiati falcidiati (€20, banca Alfa) e Classe chirografi (€40 altri crediti). Nel concordato in continuità bisognerà avere sia la maggioranza in ciascuna classe sia che tutte le classi abbiano votato sì, altrimenti servirà l’intervento del giudice in sede di omologa per superare l’eventuale dissenso (vedi cram down interclassi infra). Nel nostro esempio, se la banca (classe privilegiati) votasse contro, avremmo 0% favorevoli in classe 1, e supponendo invece che la classe 2 chirografi voti sì con larga maggioranza, il concordato non avrebbe tutte le classi a favore. Il debitore potrebbe però chiedere al tribunale di omologare lo stesso se ricorrono certi presupposti di legge (nel caso di Fisco dissenziente c’è l’art. 88 che lo consente, nel caso di altri creditori dissenzienti il CCII prevede la regola della priorità relativa di cui parliamo ora).

Absolute priority rule vs Relative priority rule: la distribuzione del valore eccedente e la novità della priorità relativa

Uno dei punti più avanzati e complessi della disciplina attuale riguarda il criterio di distribuzione del valore ai creditori di diverso rango. Tradizionalmente, nel diritto concorsuale vigeva la absolute priority rule (APR): nessun creditore subordinato (di grado inferiore) può ricevere qualcosa se prima non viene soddisfatto per intero un creditore di grado superiore, a meno che quest’ultimo acconsenta diversamente. Questa regola assoluta di priorità era implicita nella Legge Fallimentare e nelle regole di liquidazione: ad esempio, un creditore chirografario non può ricevere pagamenti prima che tutti i privilegiati siano pagati integralmente. Tuttavia, la riforma ispirata alla Direttiva Insolvency ha introdotto nel concordato preventivo in continuità la priorità relativa (relative priority rule, RPR), che consente maggiore flessibilità nella distribuzione del surplus generato dalla prosecuzione dell’attività.

L’art. 84 comma 6 CCII (introdotto nel 2022) stabilisce infatti che “Nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”. Questo passaggio, denso di significato, significa che:

  • Una quota di valore pari al “valore di liquidazione” (quello che si otterrebbe liquidando l’azienda subito) deve essere destinata ai creditori secondo la graduatoria ordinaria delle prelazioni (quindi rispettando l’APR classica: con quei soldi si pagano prima i privilegiati nei loro gradi fino ad esaurimento, poi eventualmente i chirografi).
  • L’eventuale valore ulteriore generato dal fatto di continuare l’attività (ad esempio maggiori incassi, mantenimento del valore avviamento, nuovi finanziamenti, ecc.) può essere distribuito con maggiore libertà, seguendo solo una priorità “relativa”: è sufficiente garantire che ogni classe di creditori riceva un trattamento non inferiore (in senso relativo) a quello delle altre classi di pari grado e migliore di quello delle classi subordinate. Non è più necessario pagare integralmente i senior prima di dare qualcosa ai junior, ma basta che i senior non siano trattati peggio dei junior.

In altre parole, la RPR consente un concordato con continuità in cui i creditori privilegiati non vengano soddisfatti integralmente, pur distribuendo parte del valore generato ai creditori chirografari, a condizione che i privilegiati abbiano ricevuto almeno quanto spetterebbe loro in liquidazione e comunque relativamente di più rispetto ai chirografi. Ciò favorisce accordi in cui anche i creditori chirografari ottengono una percentuale, pur senza azzerare i privilegiati. È un equilibrio tra la rigidità della priorità assoluta e l’esigenza di costruire piani equi e sostenibili.

Esempio pratico 4 (priorità relativa): immaginiamo che in liquidazione fallimentare i creditori ipotecari avrebbero recuperato 40 e i chirografari 0 (perché i beni sarebbero bastati solo per i privilegiati). Nel concordato in continuità, grazie alla prosecuzione dell’attività, il debitore stima di poter generare 60 di valore (un surplus di 20 rispetto ai 40 di base). Applicando l’art. 84 co.6, i primi 40 vanno comunque destinati ai privilegiati ipotecari (rispettando le prelazioni). I restanti 20 di surplus possono essere distribuiti in modo non necessariamente tutto ai privilegiati: si potrebbe ad esempio dare altri 10 ai privilegiati (che così totalizzano 50, cioè non il 100% del loro credito originario magari, ma comunque “più” in valore assoluto e certamente più di zero) e 10 ai chirografari, realizzando una proporzione di soddisfacimento ad esempio 50% per privilegiati e 20% per chirografi. Ciò sarebbe ammissibile perché: i privilegiati hanno avuto almeno 40 (lo stesso che in liquidazione) e ricevono un trattamento migliore (50% del loro credito poniamo) rispetto ai chirografi (20%); inoltre tra classi di pari grado (se ci fossero più classi di privilegiati di gradi diversi) nessuna riceve meno di un’altra dello stesso rango. In questo scenario i creditori privilegiati non sono integralmente soddisfatti, ma i chirografi ottengono qualcosa grazie al valore eccedente. Con la regola old style dell’APR, i privilegiati avrebbero potuto pretendere tutti i 60 finché non fossero stati pagati al 100%, lasciando zero ai chirografi, a meno di loro consenso. La RPR invece bilancia meglio gli interessi, specie quando i privilegiati sono in forte sovrabbondanza rispetto ai beni base ma c’è prospettiva di recuperare più valore mantenendo l’impresa in vita.

Divieto di alterazione delle cause di prelazione: Attenzione però: la priorità relativa non significa anarchia distributiva. La Cassazione, nella già citata sentenza n. 22169/2024, ha voluto chiarire che il surplus da continuità non può essere trattato come se fosse “finanza esterna” totalmente libera, ma resta pur sempre patrimonio del debitore soggetto al divieto di alterazione delle cause di prelazione salvo quanto consente la legge. In particolare, i giudici di legittimità hanno avvisato che l’art. 84 comma 6 CCII rappresenta un’eccezione importante alla regola tradizionale, ma va applicato con stretta aderenza ai suoi termini e non è utilizzabile per interpretare retroattivamente la L.F.. Quindi, solo nei concordati in continuità soggetti al CCII si può usare la regola del valore eccedente e della RPR; in altri casi (concordati liquidatori, procedure ante riforma) resta la APR classica. Inoltre, il Principio di diritto affermato nel 2024 è che anche nel concordato in continuità l’eccedenza di valore generata dalla gestione non può essere distribuita liberamente violando i gradi, se non appunto secondo il meccanismo delle classi e della priorità relativa previsto dalla norma. Un debitore dunque non potrebbe, ad esempio, decidere arbitrariamente di dare tutto il surplus ai chirografari lasciando i privilegiati alla sola base di liquidazione, se così facendo i privilegiati venissero trattati peggio dei chirografi in termini percentuali o assoluti. La legge chiede comunque un “trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole di quello delle classi inferiori”. Nell’esempio, i privilegiati col 100% di base e 0% di surplus vs chirografi col 50% di surplus sarebbero inaccettabili perché i chirografi (classe inferiore) prenderebbero un trattamento percentualmente migliore (50% vs 40% ad es.), violando il divieto di alterazione indebita delle prelazioni.

In sintesi, la Absolute Priority Rule rimane applicabile alla parte di valore “base”, mentre la Relative Priority Rule governa la distribuzione dell’eventuale extra-valore nei concordati in continuità, offrendo maggiore flessibilità per ottenere il consenso delle classi senza dover ottenere il 100% ai senior. Dal punto di vista del debitore proponente, ciò significa poter confezionare piani in cui anche i creditori chirografari ottengono qualcosa pur in presenza di creditori privilegiati non soddisfatti al 100%, condizione fondamentale per avere il loro voto favorevole. Naturalmente, i creditori privilegiati potrebbero non gradire di cedere parte del surplus ai chirografi, ma se comunque ricevono almeno il valore di liquidazione garantito e una quota proporzionale, il piano potrebbe essere considerato equo e venire omologato anche senza il loro consenso totale, grazie agli strumenti di cram down (soprattutto per i creditori pubblici, come vedremo ora).

Crediti fiscali e contributivi privilegiati: transazione fiscale, divieto di trattamento deteriore e cram down dell’Erario

Un capitolo a sé stante, di grande importanza pratica, è il trattamento dei creditori privilegiati di natura pubblicistica, ossia i crediti tributari e previdenziali che spesso gravano sull’impresa in crisi. Tali crediti (IVA, imposte dirette, ritenute, contributi INPS, premi INAIL, ecc.) godono in buona parte di privilegi generali ex art. 2752 c.c. (ad esempio: l’IVA e le ritenute non versate hanno privilegio generale sui mobili del debitore, collocato in ordine di graduazione dopo i crediti di lavoro e alcune spese; anche le imposte sui redditi e IRAP hanno privilegio generale, così come i contributi previdenziali vantano privilegio ex lege). Questo significa che lo Stato e gli enti previdenziali si pongono spesso come creditori privilegiati nei concordati, e talora costituiscono la quota maggioritaria del ceto creditorio. Ciò ha spinto il legislatore a predisporre norme ad hoc per la gestione di tali crediti, riassumibili in tre punti:

  1. Transazione fiscale e contributiva: è la possibilità per il debitore di proporre all’Erario e agli enti previdenziali un accordo nell’ambito del concordato, offrendo il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e contributi dovuti, incluse (novità) le imposte che tradizionalmente erano intoccabili come l’IVA. Già l’art. 182-ter L.F. prevedeva la “transazione fiscale” – ora trasfusa negli artt. 63 e 88 CCII – mediante la quale l’Agenzia delle Entrate (o l’INPS) possono aderire al piano accettando una falcidia dei loro crediti. È un vero e proprio accordo all’interno del concordato: il debitore invia una proposta all’ente, questi valuta convenienza (avvalendosi anche di relazioni dell’attestatore sulla convenienza rispetto alla liquidazione) e può accordarsi. Se aderisce, il suo voto in adunanza sarà favorevole e la percentuale concordata sarà vincolante.
  2. Divieto di trattamento deteriore dei crediti pubblici rispetto ad altri crediti di pari grado o inferiore: il CCII (art. 88, co.1 e 2) ha sancito che nella proposta di concordato i crediti tributari e contributivi privilegiati non possono subire un trattamento peggiore di quello riservato ai crediti di grado uguale o inferiore. In sostanza, se il Fisco ha privilegio di grado X, non può ricevere una percentuale inferiore a quella che il debitore offre a creditori di grado X o a chirografi (grado inferiore). Questa norma, nota come divieto di trattamento deteriore, è volta a tutelare l’Erario da proposte squilibrate (ad esempio, dare il 10% al Fisco privilegiato e il 30% ai chirografari sarebbe vietato). Si tratta di un principio che rafforza la posizione del Fisco rispetto alla regola generale RPR: è una specie di “most favored creditor rule” applicata ai crediti pubblici. Ad esempio, se i crediti privilegiati diversi dal Fisco accettano 50% e i chirografari ottengono 20%, il Fisco privilegiato non può essere abbassato al 10%; andrebbe almeno parificato agli altri privilegiati (50%) o comunque non meno di 20% se fosse chirografo. Questo vincolo rende spesso necessario offrire al Fisco un trattamento non inferiore a quello medio degli altri.
  3. Cram down fiscale: nel caso in cui l’Erario (o gli enti previdenziali) non aderiscano volontariamente alla proposta di transazione (dunque votino no al concordato), la legge prevede la possibilità di ottenere comunque l’omologazione forzata del concordato se sono soddisfatte certe condizioni di convenienza. Già la L.F. conteneva una norma (art. 180, co.4 L.F.) che consentiva al tribunale di omologare il concordato nonostante il voto negativo del Fisco, purché la maggioranza fosse raggiunta escludendo il suo credito e la proposta non fosse inferiore a quanto ricavabile dal fallimento. Il CCII riprende e dettaglia questo meccanismo all’art. 88 (come modificato dal correttivo 2024 per chiarimenti). In sintesi:
    • Concordato liquidatorio: se nel concordato “puro” di liquidazione dei beni il voto del Fisco/enti previdenziali è determinante per raggiungere le maggioranze e questi non aderiscono, il tribunale può ugualmente omologare il concordato (cram down), a condizione che il trattamento proposto a tali creditori pubblici sia “conveniente” rispetto alla liquidazione giudiziale. Conveniente significa che al Fisco viene offerto almeno quanto otterrebbe nel fallimento (liquidazione). In pratica, il giudice fa una valutazione e se vede che il piano dà al Fisco una somma non inferiore al ricavato della liquidazione (o addirittura migliore), può imporre l’accordo anche contro il suo voto.
    • Concordato in continuità: la disciplina è leggermente diversa, parlando di “non deteriore”. Il nuovo comma 4 dell’art. 88 CCII (introdotto nel 2024) stabilisce che nel concordato con continuità il tribunale può omologare anche senza l’adesione del Fisco/INPS se il soddisfacimento di tali crediti risulta non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria. Inoltre, richiede che o l’adesione mancante fosse determinante per avere la maggioranza per classi ex art. 112 CCII, oppure che si raggiunga comunque la maggioranza escludendo dal computo la classe dei crediti pubblici dissenzienti. Questa formulazione un po’ tecnica significa che: il giudice deve verificare due cose – (i) che l’Erario non venga trattato peggio del fallimento (non deteriore), e (ii) che senza contare il voto del Fisco il piano avrebbe avuto le maggioranze di classi richieste oppure, alternativamente, che includendo il Fisco avrebbe avuto le maggioranze se solo il Fisco avesse detto sì. In entrambi i casi, se la proposta al Fisco è equa, il tribunale può scavalcare il suo dissenso e omologare ugualmente il concordato.
    Esempio pratico 5 (cram down fiscale): la società Delta ha debiti fiscali privilegiati per €500. La proposta di concordato in continuità offre al Fisco €200, pari al 40%, mentre stima che in caso di fallimento il Fisco incasserebbe solo 20% (€100) data la liquidazione disordinata. Il Fisco tuttavia vota contro. Gli altri creditori approvano il concordato con le necessarie maggioranze. A questo punto, potenzialmente, il tribunale può omologare forzosamente il concordato: verifica che €200 ≥ €100 (sì, è più conveniente del fallimento) e che, ad esempio, se escludiamo la classe del Fisco dal computo, le restanti classi avevano comunque la maggioranza richiesta. Se queste condizioni tengono, l’omologazione può avvenire nonostante il dissenso erariale. L’effetto pratico è che il voto negativo del Fisco viene “sterilizzato” e il piano diventa vincolante anche per l’Erario che dovrà accontentarsi del 40%.

Questo potere del giudice sul “cram down” fiscale è stato dibattuto (alcuni temevano fosse in contrasto con la direttiva UE, che richiede il voto in almeno una classe), ma la normativa italiana lo ha mantenuto per favorire i risanamenti anche in mancanza del placet del Fisco, purché il piano non sia peggiorativo per l’Erario. Il correttivo 2024 ha chiarito la portata esatta per evitare dubbi interpretativi che c’erano stati nel 2022-23. Ad esempio, prima ci si chiedeva se in continuità il cram down fosse ammesso o no; ora è chiaro di sì, sia in liquidatorio che in continuità, mutando leggermente le condizioni (convenienza vs non deteriore).

Divieto di falcidia di contributi INPS? Nella composizione negoziata (strumento stragiudiziale) il legislatore aveva inizialmente escluso la possibilità di ridurre i debiti contributivi, mantenendola invece per i tributi. Questa scelta – come osservato da autorevoli commentatori – risulta incoerente, e nel concordato preventivo propriamente detto tale preclusione non sussiste: l’INPS può essere incluso nella transazione e i contributi possono essere falcidiati analogamente ai tributi (basti pensare che fin dalla L.F. l’art. 182-ter prevedeva l’inclusione anche dei contributi). Pertanto, nel piano concordatario il debitore può proporre, ad esempio, di pagare i contributi previdenziali in percentuale (diciamo 50%) se il valore di liquidazione implicherebbe quel ritorno e se la manovra finanziaria lo richiede. L’INPS potrà aderire o meno. In caso di mancata adesione, varranno le stesse regole di cram down del Fisco (il CCII parla di crediti tributari e contributivi congiuntamente). Va segnalato, per scrupolo, che una marcata resistenza degli enti previdenziali a concedere transazioni è stata evidenziata, ma la legge li include comunque nel meccanismo: quindi il tribunale può forzare anche il loro dissenso se la proposta non li penalizza oltre il fallimento.

Trattamento fiscale del debitore e dei creditori nel concordato: Una volta omologato il concordato con possibile riduzione di debiti, sorgono alcune questioni tributarie collaterali. Dal punto di vista del debitore, la riduzione dei debiti comporta tecnicamente una sopravvenienza attiva (un “guadagno” corrispondente ai debiti cancellati). Fortunatamente, l’ordinamento prevede un’esenzione: l’art. 88, comma 4-quater del TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) stabilisce che le sopravvenienze attive derivanti da concordati preventivi omologati non concorrono a formare il reddito imponibile del debitore. Ciò significa che se una società vede stralciati €1.000.000 di debiti grazie al concordato, non dovrà pagare tasse su quel milione “risparmiato”. Questo è fondamentale per non vanificare il risanamento con un’imposta successiva. Contestualmente, dal lato dei creditori che subiscono perdite, l’ordinamento fiscale consente normalmente di dedurre le perdite su crediti in caso di procedure concorsuali (art. 101 TUIR): dunque una banca o un fornitore che incassano il 40% del loro credito in concordato, possono dedurre il 60% perduto come perdita fiscale immediatamente (per le banche e società di capitali in base alla normativa vigente, la svalutazione o perdita è deducibile integralmente quando il debitore è assoggettato a concordato preventivo). Ciò rende più accettabile per i creditori l’accordo, sapendo che il fisco non li tassa sul poco incassato (anzi, riconosce deduzioni sulle perdite).

Un altro aspetto pratico: se il debitore aveva crediti verso il Fisco (ad es. rimborsi IVA) e al contempo debiti fiscali, durante il concordato l’Agenzia delle Entrate spesso cerca di compensare crediti e debiti. Ma quando la procedura di concordato è aperta, le compensazioni sono vincolate. In linea generale, dopo l’ammissione al concordato, i crediti del debitore verso l’Erario non possono essere liberamente compensati con debiti concorsuali senza autorizzazione, altrimenti si violerebbe la par condicio. La giurisprudenza (ad es. Cass. 23312/2024) ha confermato che pretese di compensazione dell’Erario successivamente all’omologa devono rispettare il piano: se il piano prevede il pagamento parziale del debito IVA, l’Agenzia non può trattenere l’intero importo di un eventuale rimborso per compensare la quota falcidiata, poiché ciò contrasterebbe con l’effetto esdebitativo del concordato. In sostanza, l’omologa cristallizza il debito fiscale secondo i termini del concordato, e eventuali importi dovuti dal Fisco al debitore andranno gestiti in quel contesto (il Tribunale di Piacenza, decreto 26.11.2024, ha ribadito che dopo l’omologa il debito tributario si cristallizza e l’Erario non può richiedere più di quanto previsto in piano, salvo cause di risoluzione).

In sintesi sul Fisco: dal punto di vista del debitore, i debiti fiscali e contributivi privilegiati vanno affrontati con attenzione massima. Occorre: (a) stimare esattamente il valore di liquidazione per capire il minimo falcidiabile; (b) formulare una proposta di transazione fiscale ragionevole, magari presentando per tempo agli enti la bozza per ottenere adesione; (c) assicurarsi di non violare il divieto di trattamento deteriore (quindi dare al Fisco un trattamento pro rata non inferiore a classi equivalenti); (d) se il Fisco dice no, dimostrare all’omologazione la convenienza/non deteriore della proposta per ottenere comunque l’approvazione dal giudice. Fortunatamente, la più recente normativa offre al debitore strumenti per forzare il consenso degli enti pubblici, il che rappresenta spesso la differenza tra successo o fallimento di un concordato, dato che in passato un singolo diniego dell’Erario (magari per rigidità burocratiche) poteva affossare l’intera procedura.

Altre tipologie di crediti privilegiati e casi particolari (pegno, ipoteca, creditori fondiari, diritti di ritenzione, creditori con riserva di proprietà)

Dopo aver esaminato le regole generali e il caso particolare dei crediti erariali, completiamo la panoramica considerando alcune categorie specifiche di crediti privilegiati che possono porre questioni peculiari nel concordato preventivo.

Creditori pignoratizi (pegno): I creditori garantiti da pegno su beni mobili o crediti del debitore, in sede di concordato, sono assimilati agli altri creditori con prelazione. Tipicamente, il pegno viene realizzato vendendo o escutendo il bene oggetto di pegno (ad es. i titoli depositati, le merci date in pegno, ecc.) e il ricavato spetta al creditore fino a soddisfazione integrale. Nel concordato, due scenari sono possibili:

  • Se il piano prevede la liquidazione del bene dato in pegno, normalmente ciò avverrà sotto il controllo degli organi della procedura (commissario o liquidatore), e il ricavato andrà destinato al creditore pignoratizio dedotte le spese. In tal caso, conviene spesso pagare integralmente il creditore pignoratizio con quel ricavato, rendendolo soddisfatto e quindi escludendolo dal voto. Questa è la prassi lineare: si dichiara che il bene X verrà venduto e la banca Y (creditore pignoratizio su X) sarà pagata con preferenza fino a concorrenza del suo credito. Non c’è falcidia, salvo incapienza del pegno (se il bene vale meno del credito, la differenza andrà in chirografo).
  • Se invece il piano prevede di non liquidare immediatamente il bene oggetto di pegno (magari perché è funzionale all’attività in continuità), allora il debitore deve accordarsi con il creditore pignoratizio su un diverso trattamento: ad esempio, potrebbe mantenergli il pegno inalterato e continuare a pagare il debito garantito alle scadenze originarie o rinegoziate. In un concordato in continuità, è possibile proporre che il creditore pignoratizio venga pagato a scadenza (oltre 180 giorni). In tal caso, come visto, quel creditore avrebbe diritto di voto. Spesso però i creditori pignoratizi (tipicamente banche) preferiscono contrattare fuori dal concordato un mantenimento delle linee piuttosto che entrare nella massa votante. In alcuni concordati, infatti, si prevede che il debitore escua il pegno per pagare il creditore: ad esempio, se c’è un pegno su un conto titoli, il debitore potrebbe usare quei titoli per pagare la banca e uscire dalla relazione senza stralci (così la banca viene soddisfatta integralmente e rimane fuori dal voto).

In generale, il pegno conferisce al creditore anche il diritto di vendita del bene in caso di inadempimento (previa autorizzazione del tribunale durante il concordato, se la procedura lo consente, analogamente all’art. 1526 c.c.). Nel concordato, però, dopo l’ammissione opera lo stay che blocca azioni esecutive individuali: quindi la banca non può autonomamente vendere il bene in pegno una volta aperta la procedura, deve passare per il piano concordatario. Ecco perché molti concordati prevedono espressamente come verranno gestiti i beni in pegno, per evitare contese.

Creditori ipotecari: I creditori ipotecari, in larga parte, rientrano in quanto già detto sui privilegi speciali su immobili. Un credito ipotecario tipico è il mutuo fondiario con banca su un immobile aziendale. Nel concordato preventivo, si può:

  • decidere di liquidare l’immobile e soddisfare il creditore ipotecario col ricavato (falcidiandolo se la vendita non copre tutto). Questa è la soluzione usuale nel concordato liquidatorio: si vendono gli immobili vincolati e si paga la banca ipotecaria in prededuzione sul prezzo, fino a concorrenza del credito. Se resta qualcosa (credito ipotecario residuo incapiente), va in chirografo. Qui la banca in genere non vota (perché di solito con la vendita si mira a coprire il suo credito almeno in parte, e per la parte scoperta voterà come chirografo ma generalmente, se il piano è impostato correttamente, quell’importo residuo è piccolo rispetto al totale e non impedisce il voto favorevole globale – o la banca stessa può essere indifferente, sapendo di aver ottenuto il ricavato massimo possibile).
  • prevedere la continuità e quindi non vendere immediatamente l’immobile ipotecato, magari perché è un asset essenziale (es. capannone dove l’azienda produce). In tal caso, il debitore può proporre di continuare a pagare la banca ipotecaria secondo un piano di rientro. Ad esempio, potrebbe offrire di pagare le rate del mutuo in scadenza, oppure una somma annuale fissa per X anni. Questo equivale a una dilazione oltre i 180 giorni, dunque la banca ipotecaria avrà diritto di voto. Per ottenere il suo consenso, spesso la si inserisce in una classe dedicata e le si offre anche il riconoscimento di interessi futuri. Spesso, le banche ipotecarie preferiscono un concordato in continuità rispetto a una liquidazione fallimentare, perché vedono l’opportunità di recuperare più valore dall’azienda funzionante (il famoso surplus). Quindi possono votare a favore se il piano è credibile e offre loro una percentuale dignitosa (anche se non integrale). Se invece la banca ipotecaria vota contro ma il piano comunque conviene per lei rispetto alla liquidazione, il debitore può sperare di convincere il tribunale in sede di omologa (non c’è un “cram down privato” come per il Fisco, ma può entrare in gioco la regola della priorità relativa: se la banca è l’unica classe contraria ma le altre classi hanno approvato e la banca ottiene almeno il suo valore di liquidazione, il giudice potrebbe omologare con la forza della RPR – benché la legge italiana non lo dica espressamente per creditori privati, la dottrina ritiene che la combinazione dell’art. 112 CCII e dell’art. 84 co.6 consenta qualcosa di simile al cram down interclassi per classi dissenzienti se la RPR è rispettata).

Creditori fondiari (particolare tipo di ipotecari): In Italia esiste un istituto peculiare, il credito fondiario, regolato dal TUB, che in fallimento dà alla banca il diritto di procedere separatamente nell’esecuzione sull’immobile anche durante la procedura concorsuale. Nel concordato preventivo, tuttavia, prevale la sospensione delle azioni individuali, quindi la banca fondiaria non può continuare la sua esecuzione immobiliare se il tribunale ha concesso le misure protettive. La banca fondiaria avrà un trattamento analogo agli altri ipotecari. Un dettaglio: se l’immobile ipotecato viene venduto durante il concordato, la banca fondiaria ha privilegio sul prezzo ma dovrà restituire l’eventuale eccedenza al liquidatore concordatario, e se c’è incapienza rimane chirografa per il resto. Non esistono vantaggi specifici del fondiario in concordato se non quelli generali del privilegio ipotecario.

Creditori con riserva di proprietà (patto di riservato dominio): Qui non parliamo di un privilegio in senso tecnico, ma è utile menzionare il caso dell’impresa che abbia acquistato beni con riserva di proprietà (ad esempio macchinari pagati a rate, col venditore che ne conserva la proprietà finché non vengono pagati per intero). In caso di concordato, i venditori con riserva di proprietà sono considerati titolari di un diritto di prelazione “sui generis” sul bene venduto. Se il bene è ancora esistente e individuabile, essi possono rivendicarne la restituzione in caso di inadempimento. Nel concordato, se il debitore intende tenere il bene, deve assumersi l’obbligo di pagare integralmente il prezzo residuo (altrimenti il venditore ha diritto di riavere il bene, sottraendolo alla massa). Pertanto, i crediti con riserva di proprietà, se il debitore vuole proseguire con il contratto di vendita, non subiscono falcidia: vanno pagati come da contratto (possono al più essere dilazionati se il contratto già lo prevedeva). Se invece il debitore non è interessato al bene, può lasciarlo al venditore (risolvendo il contratto) e allora il venditore avrà un credito per eventuali differenze di valore, di solito un credito chirografario da ammettere. Questo meccanismo in concordato è analogo a quanto avviene nel fallimento con i contratti in corso. Dal punto di vista pratico: un venditore con riserva di proprietà che viene pagato regolarmente non vota (non è toccato); se si intende falcidiare il suo credito contrattuale, in realtà gli si toglierebbe la proprietà del bene senza integrale pagamento, il che non è ammesso senza consenso – quindi o acconsente (votando sì a un trattamento ridotto) oppure si deve restituire il bene.

Creditori con diritto di ritenzione: Quando un creditore esercita un diritto di ritenzione su un bene del debitore (ad esempio un’officina trattiene un automezzo riparato finché non paga la fattura), nel concordato preventivo occorre risolvere la situazione per poter disporre di quel bene nell’attivo. In genere, il debitore ha due opzioni: (a) pagare integralmente il creditore con ritenzione per ottenere la liberazione del bene (magari utilizzando finanza esterna o dando al creditore un trattamento di favore nel piano); (b) includere quel creditore nel concordato come qualsiasi altro, prevedendo però che il bene trattenuto sarà venduto e riconoscerne la prelazione sul ricavato. Il diritto di ritenzione è infatti normalmente collegato a un privilegio speciale sul bene (come visto, art. 2756 c.c. dà privilegio a chi ha spese di conservazione/miglioramento e gli consente di ritenere la cosa). Quindi il creditore con ritenzione è equiparabile a un creditore pignoratizio sull’oggetto: se quel bene viene venduto nel concordato, avrà diritto ad essere soddisfatto con preferenza sul prezzo fino al suo credito. Se il debitore invece vuole continuare ad usare il bene senza pagare subito, deve convincere il creditore a restituirglielo magari garantendogli nel piano un pagamento entro breve (ad esempio entro 180 giorni – così il creditore sarebbe non votante, soddisfatto integralmente in denaro a breve). Molto spesso, i creditori con ritenzione sono di modesta entità (es. riparatore auto) e conviene pagarli in prededuzione, perché altrimenti bloccherebbero un bene forse essenziale. Ad esempio, un autotrasportatore in concordato che ha un camion trattenuto dal meccanico per una fattura: includerà nel piano il pagamento cash di quella fattura, così da liberare il camion e proseguire l’attività. Tale pagamento anticipato può dover essere autorizzato dal tribunale (essendo un pagamento anteriore all’omologa), ma se è funzionale alla continuità lo si può fare rientrare nelle spese di procedura o usare finanza esterna. In caso contrario, se non lo libera, dovrà pianificare la vendita del camion a vantaggio del creditore (ma se l’attività continua, sarebbe contraddittorio). Pertanto, dal lato pratico, i diritti di ritenzione raramente rimangono “aperti” nel concordato: o vengono risolti con pagamento integrale del credito o con accordi transattivi fuori piano.

Crediti privilegiati da lavoro (stipendi, TFR): Questi crediti hanno privilegio generale mobiliare di primo grado (art. 2751-bis c.c.) e inoltre godono dell’intervento del Fondo di Garanzia INPS (per TFR e ultime tre mensilità) in caso di procedura concorsuale. In un concordato preventivo liquidatorio, i dipendenti possono ricorrere al Fondo di Garanzia dopo l’omologa se non vengono soddisfatti integralmente. Infatti, il concordato preventivo è annoverato tra le procedure che consentono l’intervento del Fondo (equiparato al fallimento ai fini dell’art. 2 L. 297/1982). Questo significa che, paradossalmente, un lavoratore in concordato che riceva una falcidia sul TFR potrebbe poi ottenere dal Fondo INPS il restante (fino al limite di legge). Ciò però dipende dalle condizioni (il Fondo copre solo il TFR maturato e ultime 3 mensilità, non tutte le spettanze, e solo se il credito non è integralmente soddisfatto). La giurisprudenza ha talvolta discusso se l’INPS possa negare l’intervento quando il mancato pagamento integrale deriva da concordato anziché da fallimento. In passato l’INPS sosteneva che la falcidia concordataria fosse opponibile ai lavoratori (cioè se il concordato paga 50%, il lavoratore rinuncia al resto e il Fondo non interviene). Tuttavia, alcune sentenze di merito hanno affermato il contrario, ovvero che il lavoratore può comunque attivare il Fondo per la parte falcidiata, perché il concordato è pur sempre procedura concorsuale equiparata. Questo è un dettaglio specialistico, ma significa che il debitore potrebbe “scaricare” sul Fondo parte del costo del TFR, sapendo che i dipendenti comunque recupereranno (non tutti, ma in parte). Dal punto di vista etico, molti piani cercano di pagare per intero i lavoratori, anche perché hanno privilegio di massimo rango e poco senso falcidiare quei crediti (spesso modesti in confronto ad altri). Inoltre, nel concordato in continuità, pagare i dipendenti entro 30 giorni dall’omologa è condizione per non farli votare, e questo è quasi sempre fatto: tipicamente gli arretrati salariali vengono saldati subito dopo l’omologa, così da mantenere la forza lavoro e non complicare la procedura.

Crediti assistiti da privilegio speciale su beni in leasing: Un caso molto comune è l’azienda che ha macchinari o veicoli in leasing. Il leasing in dissesto può essere risolto, con la società di leasing che riprende il bene e vende ricavando uno scoperto (che diventa credito chirografario) oppure può essere mantenuto pagando i canoni. Se il concordato prosegue i leasing, i canoni futuri sono considerati spese della continuazione (post omologa). Se invece risolve i contratti di leasing, la società di leasing avrà un credito privilegiato speciale sul ricavato dei beni per i canoni scaduti (equiparati a un privilegio ex art. 2764 c.c. per i canoni di locazione?) e un credito chirografario per il resto. La disciplina è un po’ intricata, ma in pratica, il concordato può trattare il lessor come un creditore privilegiato fino al valore del bene (che riprende) e chirografo per l’eventuale differenza tra debito residuo e valore bene. Solitamente, conviene trovare accordi: ad esempio, il debitore concorda con la società di leasing di continuare l’uso pagando una parte dei canoni e magari rifinanziando il contratto. Da notare che i contratti di leasing sono “pendenti” e soggetti all’art. 97 CCII (analogo all’art. 169-bis L.F.), quindi il debitore in continuità può chiedere al tribunale di autorizzarlo a sciogliere o sospendere il contratto se eccessivamente oneroso, oppure a mantenerlo. Il creditore leasing se sciolto ha diritto a un indennizzo (che diventa credito concorsuale) pari al mancato guadagno, ma questo credito in larga parte è chirografo (tranne la parte coperta dal valore del bene restituito, su cui il lessor spesso ha prelazione – se il bene viene venduto, la leasing ha privilegio?). La casistica sui leasing esula un po’ dal tema dei privilegi in senso classico, ma coinvolge prelazioni di vario tipo. In sintesi: nel piano, il debitore deve specificare come tratta i beni in leasing e il relativo creditore, assicurandosi di stimare il valore di realizzo del bene per eventuali prelazioni. Per esempio, se un macchinario in leasing viene restituito e venduto dal concordato a 100, la società di leasing avrà diritto a incassare su quei 100 prima di altri creditori, fino a concorrenza dei canoni scaduti e forse di parte dei futuri (c’è un privilegio ex art. 2762 o su frutti civili? Materia complessa). Nella prassi comunque, spesso i leasing vengono risolti e i beni restituiti se non servono, oppure i leasing continuano come se nulla fosse (con la società leasing “protetta” come creditore non falcidiato).

Domande frequenti (FAQ) sul concordato preventivo dal punto di vista del debitore

D: Un creditore ipotecario può essere pagato solo parzialmente nel mio concordato preventivo o devo necessariamente pagarlo al 100%?
R: Puoi prevedere di non pagare integralmente un creditore ipotecario, ma soltanto a determinate condizioni. La legge ti consente di falcidiare (ridurre) il credito privilegiato, purché tu gli offra almeno il valore di realizzo del bene ipotecato al netto dei costi. In altre parole, devi assicurare a quel creditore una somma non inferiore a quella che otterrebbe vendendo l’immobile in un fallimento. Se l’ipoteca è “in sofferenza” (il debito supera il valore dell’immobile), puoi pagare solo la parte coperta dal valore e degradare il resto a chirografo. Ad esempio, se la banca ha €1.000.000 di credito e l’immobile ne vale €700.000, puoi proporre di dare alla banca €700.000 (sul suo diritto ipotecario) e trattare i restanti €300.000 come chirografari (pagati in percentuale come gli altri). Devi far stimare il bene da un perito indipendente che attesti quei €700.000 come valore di liquidazione. Solo così il tribunale ammetterà il piano. Se provassi a dare meno (es. €500.000) violeresti la legge e il piano sarebbe inammissibile, a meno che la banca non accetti volontariamente. Tieni anche presente che, se non paghi integralmente il credito ipotecario entro 6 mesi, quella banca avrà diritto di voto nel concordato, quindi dovrai ottenere il suo consenso in qualche modo (o contare sul cram down se applicabile).

D: Cosa succede se un creditore privilegiato (es. una banca con pegno o ipoteca) non è d’accordo con la mia proposta? Può bloccare il concordato?
R: Nel concordato senza classi obbligatorie (tipicamente liquidatorio), un singolo creditore privilegiato dissenziente non blocca la procedura se riesci comunque a raggiungere la maggioranza dei crediti votanti. Il suo voto negativo incide in proporzione al suo credito ammesso al voto (cioè la parte non garantita). Se la maggioranza (oltre il 50% dei crediti votanti) è ottenuta anche senza di lui, il concordato viene approvato. Tuttavia, se il suo credito è molto grande, potrebbe impedire di raggiungere il quorum. Nel concordato con classi, la situazione è più delicata: serve normalmente l’approvazione di tutte le classi. Quindi un creditore privilegiato rilevante che costituisce una classe da solo potrebbe, votando no, impedire l’approvazione integrale. In tal caso puoi sperare nell’intervento del giudice in sede di omologa se ne ricorrono i presupposti. Per i creditori fiscali o previdenziali pubblici, come visto, la legge consente al tribunale di scavalcare il loro voto negativo omologando ugualmente (cram down fiscale) se ciò è nell’interesse di tutti i creditori. Per i creditori privati privilegiati (es. banche), non c’è una norma di cram down esplicita, ma se hai più classi e solo la classe della banca è contraria, potresti invocare la “priorità relativa”: se hai rispettato le regole (dato alla banca almeno il valore di liquidazione e non l’hai trattata peggio di classi inferiori) il tribunale potrebbe comunque omologare anche senza il suo consenso, applicando il combinato disposto degli artt. 112 e 84 CCII (è un tema nuovo, su cui però la giurisprudenza inizia a esprimersi). In generale, quindi, un creditore privilegiato contrario può bloccare l’approvazione se rappresenta una fetta importante e non hai vie di forzatura; perciò è fondamentale negoziare prima con tali creditori, magari offrendo condizioni migliorative nel piano (es. tempi più brevi o garanzie aggiuntive) per ottenere un voto favorevole.

D: Nel mio concordato devo necessariamente suddividere i creditori in classi?
R: Dipende dal tipo di concordato e dalla composizione dei crediti. Con la riforma 2024, se presenti un concordato in continuità aziendale, sì, devi formare le classi (è obbligatorio per legge classificare i creditori omogenei, art. 85 co.3 CCII). Dovrai dunque raggruppare in classi i creditori in base alla posizione giuridica e all’interesse economico. Ad esempio, potresti avere una classe di banche ipotecarie, una classe di fornitori chirografari strategici, una classe di chirografari residuali, ecc. Nel concordato liquidatorio puro, le classi restano in linea di principio facoltative (puoi introdurle se vuoi differenziare trattamenti). Tuttavia, anche in mancanza di obbligo, se vuoi dare trattamenti diversi a creditori dello stesso grado, devi istituire classi distinte. Ad esempio, se vuoi pagare meglio certi chirografari “piccoli” (come spesso si fa, pagando al 100% i creditori chirografari sotto una certa soglia, per ragioni etiche o pratiche), dovrai porli in una classe separata rispetto ai chirografari grandi, altrimenti avresti disparità ingiustificate all’interno della medesima classe. Quindi, pur non essendo strettamente obbligatorio in un liquidatorio omogeneo, in pratica la formazione delle classi è raccomandata ogni volta che hai situazioni differenziate tra creditori e vuoi che votino separatamente. Ricorda anche che alcuni creditori devono per legge stare in classi separate: ad esempio, i creditori parti correlate o proponenti la soluzione di concordato (in caso di accordi particolari) vanno classati a parte. Nel dubbio, confrontati con l’attestatore e con il commissario: un’errata o mancata classazione può portare a contestazioni (come il caso citato del Tribunale di Milano, dove il debitore non aveva messo il Fisco in classe e ciò ha causato inammissibilità).

D: Posso proporre di pagare l’IVA e i contributi INPS parzialmente? Non era vietato “falcidiare” l’IVA?
R: Oggi è consentito includere anche l’IVA e i contributi in una proposta di pagamento parziale (falcidia), nell’ambito di una transazione fiscale, purché rispetti le condizioni di legge. In passato c’era un divieto espresso (art. 182-ter L.F. originario) di falcidiare IVA e ritenute, ma è stato superato da interventi normativi e giurisprudenziali. La Corte Costituzionale nel 2019 ha dichiarato illegittimo il divieto nelle procedure di sovraindebitamento dei consumatori, e il principio si è di fatto allargato. Nel Codice della Crisi, inizialmente, l’IVA era falcidiabile negli strumenti concorsuali, e il correttivo 2024 ha confermato che l’IVA non è considerata risorsa UE nel contesto degli accordi transattivi (quindi la si può ridurre). Pertanto, sì, puoi proporre di pagare ad esempio solo il 50% dell’IVA dovuta, o di dilazionarla, all’interno del piano. Dovrai presentare una proposta di transazione fiscale all’Agenzia delle Entrate motivando la convenienza per l’Erario rispetto alla liquidazione. Quanto ai contributi INPS, pure loro possono essere falcidiati nel concordato (anche se l’INPS talvolta è restio, la legge non li esclude nel concordato preventivo). Quello che rimane vietato è trattare peggio il Fisco/INPS rispetto ad altri creditori di pari rango: c’è un divieto di trattamento deteriore, quindi, ad esempio, se hai privilegiati ipotecari a cui dai 40%, non puoi dare al Fisco (privilegio inferiore magari) solo 10%. Devi mantenere una certa proporzione equa. In pratica, conviene offrire al Fisco una percentuale pari o superiore a quella offerta agli altri chirografari, altrimenti l’omologa potrebbe essere negata.

D: Se il Fisco (o l’INPS) rifiuta la mia proposta (vota no), il concordato salta?
R: Non necessariamente. Come spiegato, c’è la possibilità del “cram down” fiscale. Se la tua proposta al Fisco/INPS è conveniente (nel liquidatorio) o non deteriore (nel concordato in continuità) rispetto all’alternativa del fallimento, e se la maggioranza degli altri creditori c’è, allora potrai chiedere al tribunale di omologare il concordato comunque. Il giudice verificherà che, escludendo il voto del Fisco, le maggioranze numeriche sono raggiunte, e che il Fisco avrebbe avuto di meno o uguale nel fallimento. In tal caso, omologherà d’ufficio e il Fisco sarà obbligato ad accettare il risultato. Ad esempio, se il Fisco pretende 100 ma tu dimostri che in fallimento prenderebbe 50 e gliene offri 70, anche se ha votato contro, il giudice può tirare dritto perché la tua offerta è oggettivamente migliorativa per l’Erario. Questa è una tutela per il debitore per evitare che un rifiuto “politico” o preconcetto dell’ente pubblico mandi tutto a monte. Tieni presente però che devi aver rispettato tutte le formalità: era necessario presentare formalmente la proposta di transazione fiscale e che il Fisco l’abbia respinta ufficialmente o tacitamente; inoltre, devi aver pagato eventuali tributi non falcidiabili fuori piano (in realtà, oramai l’unico non falcidiabile fuori dalla transazione sarebbe forse il caso di risorse UE, ma l’IVA è stata resa falcidiabile quindi non c’è più quella distinzione netta). Insomma, se il Fisco dice no ma tu hai le carte in regola, hai buone chance di far valere il tuo concordato lo stesso. Questa norma è stata usata in diversi casi in Italia per superare dissensi dell’Erario.

D: Devo pagare per forza gli interessi ai creditori privilegiati? Nel concordato spesso si sente che gli interessi sono falcidiati anch’essi.
R: Gli interessi maturati prima dell’apertura del concordato sui crediti chirografari si fermano (come regola generale concorsuale). Per i crediti privilegiati, essi maturano solo nei limiti della capienza della garanzia. In un concordato, se un creditore ipotecario non viene pagato integralmente al momento dell’omologa, ma in seguito, c’è la questione degli interessi di differimento. In generale, sì, devi riconoscere gli interessi ai creditori privilegiati per il periodo di dilazione, a meno che questi interessi non compromettano la fattibilità. Ad esempio, se nel piano prevedi di iniziare a pagare la banca ipotecaria due anni dopo l’omologa, la banca ha diritto agli interessi contrattuali o legali per quei due anni (almeno al tasso legale, salvo diverso accordo). Questo per mantenere il valore del suo credito. Se invece paghi il creditore ipotecario entro 6 mesi dall’omologa, probabilmente gli corrisponderai il capitale e un piccolo interesse legale per quei mesi di attesa (oppure nulla se paga proprio a 6 mesi, in alcuni piani si considera irrilevante un breve ritardo). La falcidia concordataria normalmente comprende anche gli interessi maturati, cioè se tagli il credito al valore di liquidazione, stai tagliando anche gli interessi pregressi non coperti. Ma per il periodo post omologa, la regola è diversa: durante l’esecuzione del concordato, i crediti privilegiati continuano a maturare interessi (seppur non esigibili immediatamente). Molti tribunali richiedono che il piano specifichi il trattamento degli interessi di moratoria e che l’attestatore ne consideri l’impatto. Quindi, la risposta è: in linea di massima devi prevedere il pagamento degli interessi maturandi dopo l’omologa sui crediti privilegiati pagati dilazionatamente, altrimenti stai offrendo loro meno del 100% attualizzato e potresti violare la soglia di soddisfazione minima. Unica eccezione: se il creditore rinuncia o se la dilazione è brevissima (pochi mesi) spesso si assorbe nel trattamento complessivo. Nel dubbio, meglio includere gli interessi al tasso legale dal giorno dell’omologa al pagamento previsto per ciascun creditore prelatizio.

D: Ho un macchinario su cui un artigiano vanta un diritto di ritenzione per una riparazione non pagata. Come lo gestisco nel concordato?
R: Dipende se ti serve il macchinario per continuare l’attività. Se ti serve (concordato in continuità), la cosa migliore è pagare quell’artigiano integralmente e farti restituire il macchinario subito. Puoi farlo in due modi: o prima del concordato (con autorizzazione del tribunale, visto che è un pagamento di credito pregresso funzionale alla continuità), oppure prevedi nel piano che al momento dell’omologa pagherai cash quell’artigiano (magari utilizzando finanza esterna o risorse subito disponibili). Pagandolo in integrale entro 30 giorni, lui rientra in possesso del suo denaro e tu del bene, e non sarà nemmeno considerato un creditore “interessato” (di fatto esce dalla procedura soddisfatto). Se invece non ti serve il bene o non puoi permetterti di pagarlo per intero, allora l’artigiano rimane creditore privilegiato con diritto di ritenzione. In tal caso dovresti prevedere di vendere il macchinario all’asta nell’ambito del concordato: il ricavato andrà innanzitutto a pagare il credito dell’artigiano (che ha privilegio speciale sul bene e possesso), e se avanza qualcosa entra nell’attivo per gli altri creditori. Fino alla vendita, l’artigiano continuerà a detenere il bene. Questo scenario però in continuità è scomodo (perdi il macchinario finché non venduto). Nella maggior parte dei casi, economicamente conviene trovare un accordo: ad esempio, potresti offrire all’artigiano una leggera falcidia concordataria in cambio della liberazione immediata del bene. Ma attenzione: legalmente l’artigiano potrebbe rifiutarsi di consegnarti il macchinario se non lo paghi tutto, perché la ritenzione è un diritto forte (può trattenerlo finché il suo credito non è soddisfatto). Quindi se vuoi che molli il bene prima di essere pagato integralmente, devi convincerlo. Potresti dare una garanzia alternativa (es. un deposito in escrow del suo importo falcidiato) o fargli capire che se non accetta, il bene verrà venduto e rischia di aspettare i tempi lunghi. In conclusione: nel piano specifica chiaramente il trattamento di questo creditore. Il caso più lineare: “Il debitore pagherà integralmente il creditore XY (riparatore) per €… entro … giorni dall’omologa, utilizzando la liquidità apportata dal socio, ottenendo la restituzione del macchinario Z finora detenuto in ritenzione.” Così risolvi la questione.

D: Se ho diversi tipi di privilegi (es. privilegio sui mobili per forniture agricole, privilegio generale per il Fisco, ipoteca su capannone, ecc.), devo pagarli tutti al 100%?
R: Non necessariamente al 100%, ma ognuno va soddisfatto almeno fino alla capienza della garanzia. Puoi immaginare il patrimonio del debitore come diviso in “masse” su cui insistono i privilegi: immobili ipotecati, alcuni beni mobili oggetto di privilegi speciali (es. un autocarro su cui c’è il privilegio dell’officina meccanica), e la massa generica dei beni mobili su cui corrono i privilegi generali (Fisco, dipendenti, ecc.). Dovrai destinare i valori corrispondenti a ciascuna massa per pagare i rispettivi creditori privilegiati. Se il valore non basta a coprirli integralmente, la parte in eccesso di quei crediti è chirografa. Per fare un esempio concreto: hai un capannone da €500k con ipoteca banca €800k; hai beni mobili (magazzino, crediti commerciali) per €200k su cui gravano privilegi generali per €300k (tra Fisco e dipendenti). Inoltre hai un trattore agricolo su cui c’è un privilegio speciale di un fornitore di concimi per €50k (bene che vale €30k). Come li tratti? – La banca ipotecaria: le offri €500k (tutto il ricavato previsto del capannone) sul suo credito da €800k, e il residuo €300k va in chirografo. – I privilegi generali (Fisco, dipendenti): devi vedere come distribuire €200k di beni mobili. L’ordine di prelazione è dipendenti prima, poi Fisco. Supponiamo €50k ai dipendenti e €150k al Fisco in una ipotetica liquidazione (il Fisco resterebbe insoddisfatto per il resto). Nel piano puoi quindi pagare integralmente i dipendenti (€50k) e dare €150k al Fisco (su €250k dovuti ad esempio), degradando €100k del Fisco a chirografo. Il Fisco così prende il 60%. Devi far attestare che in liquidazione avrebbe preso non di più. – Il fornitore con privilegio speciale sul trattore: se vendi il trattore nel concordato, ricaverai €30k e glieli darai a conto del suo credito €50k, degradando €20k a chirografo. Oppure, se ti serve il trattore, potresti tenerlo e pagare il fornitore €30k dilazionato (col suo consenso magari) e mettere €20k in chirografo. In ogni caso, nessuno di questi creditori privilegiati viene pagato meno di quanto ricavabile dal bene: banca prende tutto il valore dell’immobile, fornitore prende valore del trattore, Fisco+dipendenti prendono tutto il valore dei mobili. Ciò è conforme alla legge. L’integralità al 100% è richiesta solo se il valore dei beni copre tutto il loro credito (ad esempio, se il capannone valeva €900k su €800k di debito, dovresti dare €800k + interessi alla banca, cioè pagarla integralmente, e il surplus 100k va agli altri creditori inferiori). Invece, quando c’è insufficienza, puoi limitarti a dare il “dividendo” corrispondente a quel valore. Ricorda però il discorso sugli interessi se dilazioni il pagamento, e il fatto che per tributi e contributi dovresti almeno eguagliare il trattamento di pari grado (nel caso di Fisco e dipendenti, dipendenti li paghi tutti, il Fisco puoi falcidiare ma mai dargli percentuale inferiore a quella dei chirografi se questi prendono qualcosa). Ad esempio, se i chirografi nel piano prendono 30%, dare al Fisco (che è privilegiato generale ma incapiente parzialmente) solo 20% sulla parte chirografa sarebbe visto male: dagli almeno lo stesso 30% sul suo pezzo degradato, altrimenti il giudice potrebbe dire che stai trattando peggio il Fisco di altri chirografi. Insomma, paga ciascun privilegiato fino a concorrenza del valore del suo bene; se poi avanza valore (raro), passa al successivo grado; se manca (spesso), la differenza la tratti come debito non garantito.

D: Durante il concordato preventivo, posso continuare a pagare i fornitori essenziali (anche se sono creditori chirografari) prima degli altri?
R: Questa domanda esula in parte dai soli “creditori privilegiati”, ma è collegata alla continuità aziendale. In concordato con continuità, la legge (art. 95 CCII, ex art. 182-quinquies L.F.) consente di chiedere al tribunale l’autorizzazione a pagare creditori anteriori non privilegiati se indispensabili per proseguire l’attività e funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori. Quindi, sì, puoi pagare alcuni fornitori strategici prima (in corso di procedura) se ottieni autorizzazione e un attestatore certifica che senza pagarli l’azienda si fermerebbe. Questi pagamenti, detti di “finanza interinale”, sono eccezioni alla regola della par condicio. Il loro scopo è evitare che i fornitori interrompano le forniture e far fallire tutto. Di solito si pagano fornitori di energia, materie prime critiche, ecc. Tali creditori, se pagati integralmente, ovviamente non partecipano al concordato (escono perché soddisfatti). Questo non crea problemi coi privilegiati, purché tu utilizzi correttamente la norma. L’art. 95 CCII prevede l’autorizzazione solo se c’è attestazione che quei pagamenti aumentano le prospettive di soddisfazione per tutti. Non puoi usarla per favoritismi. Inoltre, se il pagamento avviene con nuova finanza esterna, è ancor più giustificato (perché non danneggia la massa: sono soldi freschi di terzi). C’è anche la possibilità di pagare creditori pregressi con nuovi fondi postergati (cioè chi li eroga accetta di essere pagato dopo tutti) – tipicamente i soci. Quindi, se la domanda implicita era: “posso trattare meglio un chirografo essenziale rispetto a un privilegiato non essenziale?”, la risposta è che in sede di esecuzione del piano potresti farlo previa autorizzazione (pagare un chirografo prima del piano). Ma nel piano omologato, quando distribuisci risorse proprie del debitore, devi rispettare le prelazioni. Non potresti, ad esempio, con soldi della procedura pagare integralmente un fornitore chirografo e poi dare ai privilegiati meno del loro valore – sarebbe alterazione delle cause di prelazione. Nel caso di finanza esterna c’è più libertà: se un nuovo investitore dice “io metto soldi a patto che il fornitore X sia pagato”, allora quell’apporto si considera destinato specificamente e fuori dal patrimonio concorsuale in un certo senso (anche se su questo c’è dibattito). Comunque, la linea di massima è: nel piano devi rispettare i gradi, salvo eccezioni esplicite e giustificate. La Cassazione 22169/2024 ha ribadito che non c’è un principio generale di libera distribuibilità dei flussi generati dalla continuità – salvo quanto consentito da norme speciali – e ha fatto l’esempio dei pagamenti autorizzati ai fornitori essenziali come norma eccezionale da interpretare restrittivamente. Dunque se paghi alcuni prima, deve essere autorizzato e ben motivato, altrimenti no.

Conclusione

Nel concordato preventivo, il trattamento dei creditori privilegiati rappresenta uno degli snodi più critici. Da esso dipende in gran parte l’equilibrio tra le esigenze del debitore (alleggerirsi del debito e proseguire eventualmente l’attività) e le garanzie dei creditori (vedersi riconosciuta la priorità loro spettante). La normativa italiana aggiornata al 2025 offre strumenti flessibili ma entro confini precisi: la falcidia controllata assicura che i privilegiati ricevano almeno il valore dei beni a garanzia; la moratoria limitata e il riconoscimento del diritto di voto tutelano i privilegiati se non pagati immediatamente; la possibilità di classi e la priorità relativa permettono di costruire piani in continuità dove anche i chirografari abbiano una soddisfazione senza annullare i privilegiati; il cram down fiscale garantisce che uno Stato-creditore ragionevole non possa far naufragare un concordato conveniente. Per il debitore, il compito è complesso: deve mappare tutti i crediti con prelazione, valutarne le rispettive coperture su attivi, elaborare proposte credibili e sostenibili per ciascuno, e spesso negoziare con banche e Fisco condizioni ad hoc. Questa guida ha evidenziato i principi chiave, le ultime interpretazioni giurisprudenziali e alcuni suggerimenti pratici per affrontare il concordato preventivo dal punto di vista di chi lo propone. In conclusione, un concordato ben riuscito sul piano dei privilegiati è quello in cui nessun creditore garantito può lamentare di aver ricevuto meno di quanto gli spettava in uno scenario liquidatorio (criterio di tutela minima) e, al contempo, il debitore riesce a liberarsi del peso eccedente oltre tale soglia (criterio di equilibrio del risanamento). Trovare questo punto di incontro, supportati da perizie e attestazioni solide, è la chiave per ottenere l’omologazione e il rilancio oltre la crisi.

Fonti

  1. Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Articoli rilevanti: art. 84 (contenuto del piano di concordato, falcidiabilità dei privilegiati); art. 85 (classi di creditori); art. 88 (trattamento dei crediti tributari, omologazione forzosa); art. 109 (maggioranze e voto dei creditori privilegiati); art. 112 (condizioni di omologazione nelle classi). Normativa vigente aggiornata con i Decreti Correttivi del 2022-2024.
  2. Corte di Cassazione, Sez. I civ., 12 marzo 2024 n. 6435 (Pres. Cristiano, Est. Vella) – Pronuncia in tema di concordato fallimentare che chiarisce la determinazione del “valore di liquidazione” vs “valore di mercato” e la necessità di stime precise e netti dei costi per calcolare la soddisfazione minima dei creditori prelatizi.
  3. Corte di Cassazione, Sez. I civ., 06 agosto 2024 n. 22169 (Pres. Ferro, Rel. Amatore) – Massima ufficiale: nel concordato preventivo con continuità l’eccedenza di valore derivante dalla prosecuzione dell’attività non può essere distribuita in violazione delle cause di prelazione; conferma l’introduzione della regola della priorità relativa ex art. 84 co.6 CCII e ne delimita l’applicazione solo alla disciplina del CCII (non retroattiva).
  4. Codice Civile – Disposizioni rilevanti in materia di privilegi e prelazioni: art. 2745 c.c. (nozione di privilegio); art. 2746 c.c. (distinzione privilegi generali e speciali); art. 2748 c.c. (privilegio vs pegno); art. 2751-bis c.c. (crediti di lavoro privilegio generale mobiliare); art. 2752 c.c. (crediti tributari con privilegio generale); art. 2777 c.c. (ordine dei privilegi mobiliari); art. 2780 c.c. (ordine dei privilegi immobiliari); art. 2784-2785 c.c. (costituzione del pegno); art. 2808 c.c. (nozione di ipoteca); art. 2812 c.c. (ipoteca e grado); art. 2740 c.c. (garanzia generica e divieto di alterazione della par condicio – richiamato implicitamente nel principio cassazione 2024 sulla distribuzione surplus).
  5. Massime giurisprudenziali e prassi: Tribunale di Milano 05/02/2024 (inedita) – Caso citato nel testo: ha statuito che un creditore erariale privilegiato non interamente pagato entro 180 gg andava considerato “interessato” e dunque ammesso al voto, chiarendo le tre condizioni cumulative dell’art. 109 co.5 CCII (pagamento in denaro, integrale, entro 180gg) per escludere il voto. Cassazione 11882/2021 (menzionata) – diritto a contropartite (interessi) in caso di moratoria ai privilegiati. Cass. 16939/2022 – sulla realizzazione del diritto di ritenzione in ambito fallimentare (conferma che il terzo con ritenzione interviene al riparto del ricavato senza bisogno di insinuarsi). Corte Costituzionale n. 245/2019 – dichiarativa di illegittimità del divieto di falcidia IVA nelle procedure da sovraindebitamento, principio poi esteso al concordato.

Hai avviato un concordato preventivo? Attenzione al ruolo dei creditori privilegiati

Nel concordato preventivo, i creditori privilegiati occupano una posizione particolare rispetto agli altri creditori.
Si tratta di soggetti che vantano crediti assistiti da privilegi legali, pegni o ipoteche, come ad esempio l’erario, i dipendenti, o le banche con garanzie reali.

La loro tutela è più elevata, e questo incide fortemente sulla struttura del piano:

  • Devono essere soddisfatti integralmente, salvo espressa rinuncia o previsione diversa con il loro consenso
  • Il piano può prevedere modalità dilazionate, ma non può sacrificare il diritto alla preferenza
  • La classe dei privilegiati è separata da quella dei chirografari e richiede un’attenzione particolare nella proposta

Una gestione errata di questi creditori può portare all’inammissibilità della domanda di concordato o a successivi contenziosi.
Lo Studio Monardo ti affianca nella corretta redazione del piano e nel rispetto dei diritti dei creditori privilegiati.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la natura e l’ammontare dei crediti privilegiati presenti
📑 Predispone un piano conforme alla normativa e sostenibile per l’impresa
⚖️ Assiste nei rapporti con i creditori e cura eventuali accordi individuali
✍️ Redige tutta la documentazione necessaria per l’ammissione al concordato
🔁 Ti segue fino all’omologazione e alla corretta esecuzione del piano


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in procedure concorsuali e concordati preventivi
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per aziende in difficoltà, cooperative, imprese familiari e PMI


Conclusione

I creditori privilegiati rappresentano uno snodo cruciale in ogni concordato preventivo. Gestirli in modo corretto è fondamentale per ottenere l’ammissione, l’approvazione del piano e la tutela dell’impresa.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi affrontare la procedura con sicurezza, rispettando la normativa e salvaguardando la tua attività.

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