Hai un’azienda in difficoltà economica e ti stai chiedendo se esistono strumenti concreti per salvarla? Non sai da dove iniziare per evitare che i debiti aumentino e l’attività collassi?
Risanare un’azienda in crisi è possibile, ma servono competenza, tempestività e una strategia mirata. Il Codice della Crisi d’Impresa offre oggi strumenti legali per intervenire prima che sia troppo tardi, tutelare il patrimonio aziendale e ripristinare l’equilibrio economico-finanziario.
Quando un’azienda può dirsi in crisi?
– Quando non riesce più a pagare regolarmente fornitori, dipendenti, imposte o contributi
– Quando il fatturato cala in modo strutturale e il margine operativo diventa insufficiente
– Quando il debito cresce più rapidamente della capacità di rientro
– Quando mancano liquidità e accesso al credito per sostenere l’attività
In questi casi è necessario intervenire subito, prima che la crisi degeneri in insolvenza conclamata.
Quali sono gli strumenti per risanare un’azienda in crisi?
- Composizione negoziata della crisi
È una procedura volontaria e riservata, in cui l’imprenditore, affiancato da un esperto, tratta con i creditori per riequilibrare la situazione. Durante la negoziazione è possibile chiedere misure protettive per bloccare pignoramenti e azioni esecutive. - Accordi stragiudiziali o piani attestati di risanamento
Si tratta di strumenti flessibili, basati su accordi con i creditori fuori dal Tribunale, che permettono di rinegoziare scadenze, ridurre l’esposizione o ottenere nuova finanza. - Concordato minore o preventivo
Quando il risanamento richiede una procedura giudiziale, è possibile accedere a un concordato con continuità aziendale, che consente di proseguire l’attività sotto controllo e con un piano sostenibile di pagamento dei debiti. - Ristrutturazione del debito bancario e fiscale
La legge consente anche trattative mirate con banche e Agenzia delle Entrate per ridurre o rateizzare i debiti esistenti, evitando l’intervento della riscossione forzata.
Come si costruisce un piano di risanamento efficace?
Serve una visione chiara della situazione: bilancio, flussi di cassa, esposizione debitoria, rapporti con i fornitori e sostenibilità futura. In base a questi elementi si struttura un piano che può prevedere:
– Taglio dei costi e recupero di efficienza
– Rinegoziazione dei debiti
– Individuazione di asset da valorizzare o dismettere
– Nuove forme di finanziamento compatibili con la crisi
Cosa succede se non si interviene in tempo?
– Il debito diventa insostenibile
– I creditori avviano azioni legali e pignoramenti
– L’attività perde valore e reputazione
– Si rischia la liquidazione giudiziale (ex fallimento)
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in gestione della crisi d’impresa – ti spiega quali strumenti hai a disposizione per salvare l’azienda, come valutare se il risanamento è possibile e come evitare gli errori più comuni.
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Introduzione
Risanare un’azienda in crisi significa adottare strategie e strumenti giuridici ed economici per evitare il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e ripristinare l’equilibrio finanziario dell’impresa. In Italia, dal luglio 2022 è in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019, CCII), che ha rivoluzionato la disciplina delle procedure concorsuali integrando la vecchia legge fallimentare del 1942 e la legge sul sovraindebitamento del 2012 in un testo unico. Il Codice, modificato più volte (notabilmente dal D.lgs. 83/2022 per recepire la direttiva UE 2019/1023 e dal D.lgs. 136/2024 “Correttivo ter”), introduce strumenti innovativi per intercettare precocemente lo stato di crisi e favorire il risanamento dell’impresa prima che l’insolvenza divenga irreversibile. Questa guida fornirà un quadro avanzato e aggiornato a giugno 2025 delle possibili soluzioni di risanamento dal punto di vista del debitore (imprenditore), con riferimenti normativi, ultime novità legislative, giurisprudenza recente e casi pratici di applicazione nei vari settori economici.
Affronteremo sia gli strumenti stragiudiziali (ossia soluzioni negoziali volontarie, al di fuori delle aule di tribunale) sia quelli giudiziali (le procedure concorsuali previste dalla legge, sotto controllo dell’autorità giudiziaria). Il linguaggio sarà giuridico ma divulgativo, adatto tanto a professionisti legali quanto a imprenditori e privati che vogliono comprendere come affrontare una crisi d’impresa. In aggiunta, presentiamo tabelle riepilogative per confrontare i vari strumenti, esempi di simulazioni pratiche in diversi settori (dalle piccole imprese artigiane alle società di capitali), e una sezione di Domande e Risposte per chiarire i dubbi più frequenti.
Il quadro normativo e le novità del Codice della Crisi
Il Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII) ha introdotto un approccio organico e moderno alla gestione della crisi d’impresa. Esso persegue due obiettivi principali:
- Prevenzione e allerta precoce: incentivare l’emersione tempestiva dei segnali di difficoltà finanziaria, prima che degenerino in insolvenza conclamata.
- Favorire il risanamento rispetto alla liquidazione: privilegiare soluzioni che consentano la continuazione dell’attività aziendale e la soddisfazione dei creditori attraverso la ristrutturazione del debito, anziché la mera liquidazione dell’attivo.
Tra le novità normative più rilevanti apportate dal CCII (come modificato fino al 2025) si segnalano:
- Obblighi organizzativi dell’imprenditore: ogni imprenditore (sia collettivo che individuale) deve dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e a prendere senza indugio le necessarie iniziative per farvi fronte (art. 3 CCII e art. 2086 c.c., comma 2). Gli amministratori e organi di controllo hanno il dovere di monitorare indicatori di crisi e preservare la continuità aziendale.
- Procedure di allerta e composizione assistita (poi sostituite): il Codice originario prevedeva un sistema di allerta tramite appositi organismi (OCRI) presso le Camere di commercio per assistere l’imprenditore in crisi. Tuttavia, tali misure di allerta sono state sospese e poi sostituite, prima dell’entrata in vigore, da un nuovo strumento volontario e più flessibile: la composizione negoziata (introdotta con D.L. 118/2021, ora integrata nel Codice). Di conseguenza, oggi l’emersione della crisi avviene principalmente su iniziativa volontaria del debitore, assistito da esperti, invece che tramite segnalazioni obbligatorie degli organi di controllo esterni.
- Integrazione delle procedure concorsuali: il CCII unifica in un quadro coerente sia le procedure per imprenditori soggetti a fallimento (ora liquidazione giudiziale) sia quelle per i debitori non fallibili (sovraindebitati). Ha introdotto procedure nuove come il concordato minore (per piccoli imprenditori e professionisti) e la ristrutturazione dei debiti del consumatore, accanto alla rivisitazione delle procedure classiche (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione, ecc.).
- Recepimento della normativa UE: la riforma del 2022 ha adeguato l’ordinamento italiano alla Direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva. Ciò ha comportato, ad esempio, l’introduzione del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (detto PRO) e l’ampliamento degli accordi di ristrutturazione con efficacia estesa e agevolata, di cui diremo più avanti. Il PRO è uno strumento innovativo “fuori dagli schemi” che consente di ristrutturare le imprese in continuità con minori formalità, introducendo la possibilità di derogare alle regole ordinarie di parità dei creditori.
- Maggiore flessibilità e controllo giurisdizionale mirato: nelle nuove procedure, il tribunale interviene principalmente per omologare gli accordi o i piani proposti dal debitore, verificando la regolarità e la fattibilità, ma con controlli più snelli rispetto al passato. Ad esempio, nel PRO e nei nuovi accordi la verifica giudiziale si concentra sul rispetto dei requisiti di legge e sul fatto che nessun creditore riceva un trattamento peggiore rispetto alla liquidazione (principio di convenienza), senza imporre rigidi obblighi di soddisfacimento minimo se non espressamente previsti (nel PRO non valgono le soglie del 20% per i chirografari richieste invece nel concordato liquidatorio).
- Tutela dei finanziatori e dei terzi: per favorire il risanamento, la legge prevede esenzioni da responsabilità in caso di insolvenza successiva. Ad esempio, gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato di risanamento o di un accordo omologato non sono soggetti ad azione revocatoria fallimentare (claw-back) in caso di successivo fallimento/liquidazione. Inoltre, i pagamenti ai creditori effettuati durante un piano di risanamento esentano dagli effetti penali di bancarotta preferenziale. Tali esenzioni riducono i rischi per chi partecipa al risanamento.
- Coinvolgimento del Fisco e degli enti previdenziali: Tradizionalmente, la presenza di ingenti debiti fiscali e contributivi rendeva difficile la ristrutturazione, perché l’erario poteva opporsi ai piani di stralcio. Le riforme recenti hanno introdotto strumenti per gestire il debito fiscale: la transazione fiscale e contributiva è ora possibile anche nella composizione negoziata e nei piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione. In pratica, il debitore può proporre ad Agenzia Entrate e INPS il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari e contributivi, allegando il parere di un professionista che attesti la non deteriorità della proposta rispetto alla liquidazione. Se il Fisco non aderisce senza motivo a una proposta conveniente, il tribunale può comunque omologare l’accordo o il concordato (cram-down fiscale), evitando che un singolo dissenso pregiudichi il risanamento.
In sintesi, il quadro normativo attuale offre molteplici percorsi per risanare l’azienda in difficoltà. Nei paragrafi successivi esamineremo in dettaglio tali strumenti, distinguendo tra soluzioni negoziali extragiudiziali (volontarie) e procedure concorsuali giudiziali, evidenziandone requisiti, vantaggi, limiti e ultime evoluzioni giurisprudenziali.
Strumenti stragiudiziali di risanamento
Gli strumenti stragiudiziali sono quelli attivati su iniziativa del debitore attraverso accordi volontari con i creditori, senza l’apertura di una formale procedura concorsuale. Essi mirano a ristrutturare il debito e riequilibrare la situazione finanziaria evitando, se possibile, l’ingresso in tribunale. I principali strumenti negoziali oggi previsti dal Codice (Titolo IV, Capo I CCII) sono:
- il Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII);
- gli Accordi di ristrutturazione dei debiti (in diverse varianti: ordinari, agevolati, ad efficacia estesa – artt. 57-64 CCII);
- la Composizione negoziata della crisi (artt. 17-25 CCII, introdotta nel 2021 e poi integrata).
Approfondiamo ciascuno di questi.
Piano attestato di risanamento
Il piano attestato di risanamento è uno strumento di origine privatistica che consente all’imprenditore di concordare informalmente con i propri creditori un percorso di risanamento, sotto la supervisione di un esperto indipendente (attestatore). Già previsto implicitamente nella legge fallimentare previgente (ex art. 67, co. 3, lett. d) L.F.), oggi è disciplinato in maniera dettagliata dall’art. 56 CCII nell’ambito degli “strumenti negoziali stragiudiziali”.
Caratteristiche principali:
- Il debitore, trovandosi in stato di crisi o di insolvenza reversibile, predispone un piano industriale e finanziario pluriennale, volto a riequilibrare la situazione economica dell’impresa e a soddisfare regolarmente le esposizioni debitorie. Il piano può prevedere operazioni sul capitale (aumenti, nuovi finanziatori), rinegoziazione o stralcio di debiti, dismissione di asset non strategici, etc., allo scopo di riportare l’azienda in bonis.
- Un professionista indipendente, scelto dal debitore (tipicamente un commercialista o revisore esperto in crisi d’impresa), viene incaricato di attestare per iscritto la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. L’attestatore deve valutare se le strategie previste sono idonee a assorbire lo squilibrio patrimoniale/finanziario e a ripristinare la redditività dell’impresa, anche quando vi sia già insolvenza, purché reversibile. La sua relazione è fondamentale per conferire credibilità al piano verso i creditori.
- Il piano, corredato dall’attestazione, viene “rivolto ai creditori” interessati. Non è però necessaria un’approvazione formale collettiva: non si tratta di una procedura concorsuale. Ciascun creditore può decidere individualmente se aderire alla ristrutturazione proposta (ad esempio accettando una dilazione o rinuncia parziale del proprio credito) oppure rimanerne estraneo. Non c’è un voto a maggioranza vincolante per tutti: solo i creditori che volontariamente sottoscrivono accordi modificativi vedranno i loro crediti regolati secondo il piano.
- Nessun intervento del tribunale: il piano attestato si svolge interamente fuori dal giudizio. Non vi è una fase di omologazione né la nomina di organi commissariali. Questo rende lo strumento rapido e riservato. L’azienda evita la pubblicità di una procedura concorsuale e continua ad operare ordinariamente (salvo diversi accordi con i creditori).
- Efficacia e protezioni legali: Il vantaggio principale di un piano attestato, oltre alla flessibilità negoziale, risiede nelle protezioni previste per favorirne l’utilizzo. Se il piano ha data certa anteriore (ad es. viene autenticato da un notaio) e viene effettivamente eseguito, allora:
- Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano e ivi indicati non sono soggetti a revocatoria in caso di successivo fallimento/liquidazione. Ciò significa che, se anche l’azienda dovesse fallire dopo qualche tempo, il curatore non potrà far annullare i pagamenti fatti ai creditori secondo il piano, né potrà revocare garanzie concesse, purché fossero specificati nel piano attestato. Questo scudo elimina la paura dei creditori di vedersi in futuro richiedere indietro quanto incassato.
- Inoltre, il debitore e gli eventuali garanti beneficiano di una sorta di “safe harbour” penale: i pagamenti ai creditori effettuati in esecuzione del piano non costituiscono pagamenti preferenziali illeciti e non daranno luogo a reati di bancarotta preferenziale.
- Contenuto del piano: l’art. 56 CCII elenca analiticamente gli elementi che un piano attestato deve contenere (analisi della situazione aziendale, elenco dei creditori e relativi trattamenti proposti, prospetti finanziari, indicazione delle strategie e “eventuali scenari alternativi” in caso di scostamento). La previsione di scenari alternativi (piano B in caso di mancato raggiungimento di certi risultati) è ora espressamente richiesta, a lezione dell’esperienza pregressa in cui l’assenza di piani di emergenza aveva vanificato diversi risanamenti.
- Limiti: il piano attestato non consente di imporre sacrifici ai creditori dissenzienti. Chi non aderisce rimane libero di agire per il recupero del proprio credito alle scadenze originarie. Pertanto, questo strumento funziona bene se il numero di creditori è limitato e c’è un consenso diffuso informale, tipicamente nelle crisi dove le banche sono disposte a rinegoziare l’esposizione e magari l’imprenditore apporta nuova finanza. Se invece vi sono molti creditori o alcuni fortemente contrari, il piano rischia di non garantire la par condicio: c’è il pericolo che i creditori aderenti (magari banche che ottengono garanzie) vengano pagati preferenzialmente, mentre i dissenzienti restino esposti e possano poi istigare il fallimento. Per questo la giurisprudenza raccomandava di utilizzare il piano attestato solo in presenza di una crisi reversibile e con adesione ampia e consapevole di tutti i maggiori creditori, specie se l’impresa è già in insolvenza (c.d. twilight zone).
In pratica, il piano attestato di risanamento è uno strumento agile e riservato, consigliabile quando:
- l’impresa è in difficoltà ma ancora fondamentalmente sana (si prevede una continuità aziendale);
- c’è fiducia da parte di banche e principali creditori, che preferiscono sostenere la ristrutturazione piuttosto che portare l’azienda in tribunale;
- serve tempestività (il piano può essere preparato e attuato in poche settimane, senza attendere autorizzazioni giudiziali).
Esempio: un caso tipico è quello di una PMI manifatturiera sovraindebitata verso le banche ma con ordini in crescita. Le banche potrebbero essere disposte a conversione parziale del credito in capitale e a prorogare le scadenze dei mutui, a condizione che l’imprenditore apporti nuovi fondi e presenti un solido piano industriale. L’imprenditore incarica un attestatore, che valida il piano. Tutte le banche sottoscrivono accordi bilaterali conformi al piano attestato (ad es. rinunciano a parte degli interessi e allungano i rimborsi). I fornitori, dal canto loro, continuano l’ordinario supporto. Grazie al piano, l’azienda evita l’insolvenza formale, torna gradualmente liquida e, se non sopravvengono imprevisti, dopo due anni esce dalla crisi. I pagamenti fatti alle banche secondo il piano non potranno essere revocati se pure qualcuno chiedesse il fallimento in futuro.
Accordi di ristrutturazione dei debiti
Gli accordi di ristrutturazione sono negoziazioni con i creditori che, a differenza del piano attestato, prevedono il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria in una fase finale di omologazione. Sono disciplinati dagli artt. 57-64 CCII e rappresentano uno strumento “misto”: la trattativa rimane privata, ma il risultato viene sottoposto al tribunale per ottenere effetti vincolanti verso tutti i creditori aderenti e talvolta anche verso i non aderenti. Gli accordi di ristrutturazione si presentano in diverse forme:
- Accordo di ristrutturazione ordinario: Il debitore in stato di crisi o insolvenza elabora un piano di risanamento e raggiunge un’intesa con un significativo gruppo di creditori. È richiesto, per legge, che vi sia l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (art. 57 CCII). Raggiunto questo quorum, il debitore può chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo. Il giudice verifica la legalità e la fattibilità del piano e, se tutto è regolare, omologa l’accordo rendendolo efficace. Gli effetti sono:
- I creditori che hanno sottoscritto l’accordo sono vincolati secondo i nuovi termini (ad esempio accettano un pagamento parziale, o dilazionato, o conversione in strumenti finanziari, ecc. come concordato).
- I creditori non aderenti rimangono estranei: conservano integro il diritto di credito originario. Tuttavia, la legge impone che essi vengano interamente soddisfatti entro 120 giorni dalla scadenza originaria (o dall’omologazione se il credito è già scaduto). In sostanza, il piano deve prevedere che i creditori estranei vengano pagati integralmente e tempestivamente, al massimo con un breve slittamento (4 mesi). Questo per tutelarli e al contempo incentivare il debitore a coinvolgere il più possibile tutti i creditori nell’accordo.
- L’omologazione comporta esenzioni analoghe a quelle viste per il piano attestato: protezione dalle revocatorie per gli atti esecutivi dell’accordo e sospensione delle azioni esecutive individuali durante le trattative (se il debitore ha chiesto misure protettive al tribunale ex art. 54 CCII).
- Durante la fase di negoziazione, infatti, il debitore può depositare una proposta di accordo e chiedere al tribunale una moratoria temporanea (fino a 6 mesi) delle azioni esecutive dei creditori, per condurre le trattative in modo ordinato. Tale moratoria è concessa se c’è la probabilità di raggiungere l’accordo (ex art. 44 CCII, simile al vecchio art. 182-bis L.F.).
- Accordo di ristrutturazione agevolato: Si tratta di una variante introdotta nel 2021 e ora prevista dall’art. 60 CCII, che abbassa il quorum di adesione richiesto al 30% dei crediti (in luogo del 60%). La logica è di agevolare l’accesso all’istituto anche a debitori che non riescono a ottenere subito un consenso così ampio. In cambio della soglia ridotta, la legge pone però due condizioni stringenti (art. 60):
- Il debitore non deve aver richiesto misure protettive durante le trattative (né essere ricorso al cosiddetto “concordato in bianco”). Cioè l’azienda non deve avere già beneficiato di uno stay delle azioni esecutive, ma deve aver negoziato a “mani libere”.
- L’accordo non può prevedere una moratoria oltre 120 giorni per i creditori estranei (analogamente a quanto detto sopra: i non aderenti vanno pagati entro 120 giorni).
- Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa: Per superare l’opposizione di minoranze di creditori omogenee, il Codice prevede all’art. 61 CCII che, se l’accordo è approvato da una determinata maggioranza all’interno di una categoria di creditori, i suoi effetti possano essere estesi dal tribunale anche ai creditori dissenzienti di quella stessa categoria. In particolare, storicamente questa misura riguardava le banche e gli intermediari finanziari: se almeno il 75% dei crediti finanziari aderiva all’accordo, il tribunale poteva estenderlo alle banche dissenzienti (era l’istituto già noto come accordo ex art. 182-septies L.F.). Oggi l’accordo ad efficacia estesa è stato generalizzato: la soglia del 75% può valere per qualsiasi categoria di creditori (finanziari, fornitori, bondholder, etc.), purché siano individuabili come categoria omogenea per posizione giuridica e interesse economico. Ciò consente, ad esempio, di includere forzosamente tutti i fornitori trade in un accordo se l’80% di essi (per valore crediti) accetta uno stralcio del 30%. L’estensione richiede sempre l’omologazione giudiziale e la verifica che i non aderenti non ricevano un trattamento deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria. Questo strumento, di fatto, crea un meccanismo di cram-down settoriale fuori dal concordato: evita che pochi creditori di una certa classe frustrino uno schema di ristrutturazione condiviso dalla maggior parte dei pari grado.
- Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO): Introdotto in attuazione della direttiva europea, il PRO (disciplinato dagli artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII) merita un discorso a parte. Pur essendo annoverato tra gli accordi di ristrutturazione, ha caratteristiche ibride vicine al concordato preventivo. In sostanza, il debitore può proporre ai creditori un piano di risanamento suddividendo i creditori in classi e richiederne l’omologazione al tribunale anche se non tutti i creditori sono concordi. Si procede con un voto per classi (serve la maggioranza dei crediti in ciascuna classe) e, in caso di esito favorevole, il giudice omologa rendendo il piano vincolante per tutti i creditori inclusi (anche i dissenzienti). Dove sta la differenza rispetto a un concordato preventivo allora? La differenza è che nel PRO il piano non deve rispettare le regole di parità e priorità dei creditori previste dal Codice Civile: si possono distribuire le risorse ai creditori in modo non proporzionale e perfino trattenere parte del valore in capo al debitore. In altre parole, il PRO consente all’imprenditore, previo accordo a maggioranza con i creditori, di derogare:
- al principio di responsabilità patrimoniale illimitata (art. 2740 c.c.), potendo liberare il debitore da una parte dei debiti anche senza liquidare tutti i suoi beni;
- al principio di par condicio e ordine dei privilegi (art. 2741 c.c.), potendo soddisfare i creditori non secondo la graduatoria legale dei privilegi ma secondo convenienza negoziale.
Vantaggi e limiti degli accordi (in sintesi):
- Vantaggi: rispetto al concordato, gli accordi (ordinari o agevolati) sono meno stigmatizzanti e spesso più rapidi. Non comportano la nomina di un commissario né la perdita di poteri per l’imprenditore durante le trattative. Concentrano l’adesione sui principali creditori e offrono margini di negoziazione libera. L’omologazione poi conferisce certezza giuridica e protezioni (niente revocatorie, stop alle azioni esecutive). I costi sono inferiori a un lungo concordato, poiché c’è meno intervento giudiziario.
- Svantaggi: richiedono comunque un consenso significativo (non facile da ottenere in situazioni disperate). I creditori estranei vanno pagati per intero, quindi non risolvono problemi di insolvenza profonda se non c’è finanza aggiuntiva. Inoltre, finché l’accordo non è omologato, ogni creditore può sfilarsi: la trattativa è fragile (anche se le misure protettive possono congelare la situazione per alcuni mesi). Infine, gli accordi di ristrutturazione non consentono di imporre sacrifici a dipendenti o creditori privilegiati senza il loro consenso (a differenza del concordato dove certe classi possono essere cramdownate).
Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa
La composizione negoziata è uno strumento introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021, conv. in L. 147/2021) e successivamente inserito nel Codice della crisi (artt. 17-25 CCII). Si tratta di un percorso volontario e stragiudiziale, attivabile dall’imprenditore che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma ancora reversibili. L’obiettivo è raggiungere, con l’aiuto di un esperto indipendente, una soluzione di risanamento concordata con i creditori, evitando l’apertura di una procedura concorsuale giudiziale.
Caratteristiche principali:
- L’imprenditore presenta un’istanza tramite una piattaforma online (gestita dalle Camere di Commercio) indicando la propria situazione e allegando i principali dati d’impresa (ultimo bilancio, situazione finanziaria aggiornata, elenco creditori, etc.). Può anche formulare una proposta di risanamento o linee guida.
- Un’apposita commissione nomina un esperto indipendente (iscritto in un apposito elenco nazionale di professionisti qualificati). L’esperto esamina la situazione e, se accetta l’incarico, guida le trattative tra l’imprenditore e i creditori. Il suo ruolo è di facilitatore e supervisore imparziale: verifica le prospettive di risanamento e cerca di avvicinare le parti a soluzioni reciprocamente vantaggiose.
- Durante la composizione negoziata, l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa. Non si apre alcuna procedura concorsuale né si perde il controllo: il processo è riservato (non viene iscritto nel registro delle imprese, salvo richiesta di misure protettive) e confidenziale.
- Misure protettive: se necessario, il debitore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee, come il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio dell’impresa. Questo scudo può essere concesso per un periodo iniziale (fino a 4 mesi), prorogabile, per dare respiro all’azienda durante le trattative (art. 20 CCII). L’ottenimento delle misure protettive comporta la pubblicazione dell’istanza nel registro imprese, rendendo pubblica la situazione di negoziazione in corso.
- Durata: la fase di composizione negoziata ha una durata di base di 180 giorni (6 mesi), prorogabile su richiesta motivata se si intravedono concrete possibilità di accordo. L’esperto redige relazioni periodiche sullo stato delle trattative.
- Esito delle trattative: Vari possono essere gli sbocchi:
- Accordo stragiudiziale: idealmente, l’imprenditore e i creditori raggiungono uno o più accordi contrattuali (bilaterali o plurilaterali) che risolvono la crisi. Può trattarsi di una moratoria sui debiti, di un accordo di ristrutturazione vero e proprio (magari da far omologare ex art. 57 CCII), dell’ingresso di nuovi investitori, della cessione di beni per pagare creditori, etc. In questo caso positivo, l’esperto chiude le trattative con esito favorevole e redige una relazione finale.
- Accesso a strumenti concorsuali: se emerge che per attuare il risanamento è opportuno ricorrere a una procedura formale, il debitore può, durante o al termine della composizione negoziata, presentare domanda di concordato preventivo (anche in continuità) o proporre un accordo di ristrutturazione da omologare. In tal caso, il lavoro svolto con l’esperto preparerà il terreno per la procedura giudiziale (ad esempio individuando la soluzione e sondando le adesioni dei creditori).
- Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: questa è una particolare opportunità prevista qualora la composizione negoziata si concluda senza successo per il risanamento, ma si sia individuata la necessità di liquidare l’azienda. Entro 60 giorni dalla chiusura infruttuosa delle trattative, l’imprenditore può proporre al tribunale un concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) che prevede la liquidazione dei beni dell’impresa (anche tramite cessione a terzi individuati) e la distribuzione del ricavato ai creditori sotto controllo giudiziale. È “semplificato” perché non richiede il voto dei creditori: decidono solo il tribunale e l’eventuale commissario nominato. Il concordato semplificato viene omologato se i creditori ricevono almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione giudiziale. Nel 2023-2024 se ne è fatto uso in poche dozzine di casi (85 domande in tutta Italia nel 2024) principalmente da imprese molto piccole.
- Esito negativo e possibile liquidazione giudiziale: se le trattative falliscono e l’imprenditore non attiva nessun’altra soluzione, i creditori potranno riprendere le azioni esecutive. L’esperto dà atto dell’esito negativo (spesso dovuto a mancanza di prospettive di risanamento o al rifiuto dei creditori chiave). A quel punto, se c’è insolvenza, l’epilogo naturale è la richiesta di liquidazione giudiziale (ex fallimento).
Vantaggi della composizione negoziata:
- Precocità e riservatezza: è concepita per attivarsi ai primi segnali di crisi, senza necessità di dichiarare l’insolvenza. Le parti coinvolte (debitore e creditori) possono confrontarsi lontano dai riflettori, con la garanzia che le informazioni fornite rimangono riservate (l’esperto e le parti sono vincolati alla riservatezza).
- Assistenza qualificata: la presenza dell’esperto terzo aiuta a superare diffidenze e incomprensioni tra debitore e creditori, e ad individuare soluzioni realistiche. L’esperto può proporre modifiche al piano del debitore e mediare sulle richieste dei creditori.
- Flessibilità: non essendo una procedura concorsuale, le parti non sono ingessate da formalismi (non ci sono bandi di gara obbligati per cedere beni, né obbligo di classi, ecc.) se non quelli spontaneamente concordati. Possono esplorare qualunque soluzione contrattuale.
- Costi relativamente contenuti: l’assenza di organi giudiziari (salvo la facoltativa richiesta di protezione) e la brevità dello strumento implicano costi minori rispetto a un concordato. L’esperto ha diritto a un compenso definito secondo criteri ministeriali, ma in generale il procedimento è sostenuto dal sistema camerale per la piattaforma.
- Incentivi legali e fiscali: per incoraggiare l’uso della composizione negoziata, il legislatore ha previsto alcune premialità. Ad esempio, se le trattative producono un contratto di risanamento o un accordo con i creditori che assicuri la continuità aziendale per almeno 2 anni, l’impresa può ottenere dall’Agenzia delle Entrate un piano straordinario di dilazione dei debiti fiscali fino a 10 anni (120 rate mensili), rispetto al limite standard di 72 rate. Inoltre, in caso di esito positivo, i creditori che partecipano possono emettere note di credito IVA per recuperare l’IVA non incassata sui crediti falcidiati (ai sensi dell’art. 26 DPR 633/1972). Queste misure (introdotte dal D.L. 13/2023) incentivano sia il debitore che i creditori a trovare un accordo.
- Gestione del debito fiscale: un difetto iniziale della composizione negoziata era l’impossibilità di ridurre o stralciare i debiti tributari durante le trattative (si potevano solo ottenere sospensioni di sanzioni e interessi ex art. 25-bis CCII). La riforma del 2024 ha colmato questa lacuna introducendo la possibilità per il debitore di formulare una proposta di transazione fiscale nell’ambito della composizione negoziata. In pratica, nel corso delle trattative l’imprenditore può presentare all’Erario una proposta di accordo per pagare in parte e/o in forma dilazionata i debiti tributari e contributivi, allegando l’attestazione di un professionista sulla convenienza rispetto alla liquidazione. Se tale accordo viene raggiunto, dev’essere depositato in tribunale e soggetto a un controllo di regolarità formale da parte di un giudice, ma senza trasformare la composizione in procedura concorsuale. Questa novità è cruciale perché spesso il maggior ostacolo al risanamento è proprio il debito fiscale. Ora anche il Fisco può sedersi al tavolo negoziale con margini di flessibilità.
Dati di utilizzo e limiti: Nei primi tempi (fine 2021-2022) l’adesione delle imprese alla composizione negoziata è stata modesta e gli esiti positivi ancora più rari. In un anno, su 595 istanze presentate, solo 11 si sono concluse con un accordo di risanamento effettivo (circa l’1,8%). Le principali cause di insuccesso sono state la mancanza di reali prospettive di risanamento (quasi il 45% dei casi) e l’esito negativo delle trattative con i creditori (33%). Molti imprenditori hanno rinunciato durante il percorso (13% dei casi). Questi numeri iniziali hanno evidenziato una certa diffidenza o difficoltà nell’utilizzo dello strumento.
Tuttavia, con le modifiche normative e una maggiore conoscenza, il ricorso alla composizione negoziata è in forte aumento: nel 2024 sono state presentate 1.089 istanze, quasi il doppio rispetto alle ~600 del 2023. Ciò indica che sempre più imprese tentano questa via, forse anche perché nel frattempo è scaduta la moratoria pandemica sui fallimenti e il numero di liquidazioni giudiziali è tornato a crescere, rendendo urgenti strumenti alternativi.
La composizione negoziata resta comunque adatta principalmente a imprese ancora vitali, seppur in difficoltà, e disposte a giocare a carte scoperte con i propri creditori. Non offre certezze di esito (nessun cram-down se un creditore fondamentale non collabora), ma costituisce un’opportunità preziosa di evitare il tribunale e trovare soluzioni su misura con consenso volontario. È spesso una “porta di ingresso” verso soluzioni più strutturate: ad esempio, i creditori durante le trattative possono convenire in principio su un piano, che poi viene formalizzato in un accordo ex art.57 o in un concordato preventivo.
Esempio pratico: Un’impresa commerciale (una catena di negozi al dettaglio) in crisi di liquidità per calo di fatturato decide di accedere alla composizione negoziata. Viene nominato un esperto. Dopo analisi, si individua come soluzione la chiusura di alcuni punti vendita in perdita e la rinegoziazione dei contratti di affitto per quelli rimanenti. L’esperto convoca i locatori e i fornitori principali: propone loro di ridurre i canoni del 20% e dilazionare i pagamenti degli arretrati in 24 mesi. I locatori, valutando che preferiscono un inquilino ristrutturato piuttosto che un fallimento e locali sfitti, accettano in maggioranza. Anche i fornitori strategici accettano di convertire parte dei crediti in buoni ordine futuri (continuando così a fornire merce). La banca principale concede nuova finanza garantita dal Fondo centrale, vedendo il piano credibile attestato dall’esperto. Si raggiunge così un accordo stragiudiziale firmato da tutti questi attori, che assicura la continuità aziendale. L’esperto chiude con successo la procedura. Grazie a ciò, l’impresa evita il default, riduce i costi fissi e torna sostenibile. In caso di dissidi con un creditore isolato, avrebbe potuto convertirlo in un accordo ex art. 57 (accordo di ristrutturazione) per renderlo efficace anche verso quell’oppositore, ma nell’esempio non è stato necessario.
Procedure concorsuali giudiziali di risanamento
Quando la soluzione extragiudiziale non è praticabile o non ha avuto successo, l’imprenditore può ricorrere agli strumenti concorsuali, ovvero procedure formalizzate innanzi al tribunale che mirano a regolare la crisi o l’insolvenza con effetti vincolanti erga omnes. Pur essendo procedure giudiziarie, molte di esse puntano al risanamento piuttosto che alla liquidazione. Vediamo le principali:
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la tradizionale procedura concorsuale di soluzione della crisi, prevista (in forma rinnovata) dagli artt. 84-120 CCII. Consiste in un accordo tra il debitore e i creditori sotto supervisione del tribunale, volto a evitare la liquidazione giudiziale mediante un piano che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la continuazione (anche parziale) dell’attività d’impresa.
Tipologie di concordato: Il Codice distingue essenzialmente due forme:
- Concordato in continuità aziendale: se il piano prevede che l’attività d’impresa prosegua, in gestione diretta da parte del debitore (continuità diretta) o tramite un terzo che acquisisce/riceve l’azienda (continuità indiretta, ad es. affitto d’azienda o cessione a newco). La continuità può essere anche limitata a un ramo dell’azienda, con liquidazione di altri cespiti non funzionali.
- Concordato liquidatorio: se invece il piano prevede esclusivamente la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio per soddisfare i creditori.
Questa distinzione è rilevante perché la legge impone requisiti più stringenti per i concordati liquidatori, al fine di evitare proposte meramente liquidative che rechino ai creditori meno vantaggi di un fallimento:
- Nel concordato liquidatorio il debitore deve garantire un apporto di risorse esterne (denaro o valore) che aumenti almeno del 10% l’attivo disponibile ai creditori rispetto a una liquidazione ordinaria, e deve assicurare ai creditori chirografari un pagamento minimo del 20% dei loro crediti. Queste soglie (10% e 20%) fungono da filtro di ammissibilità: se il piano liquidatorio non le rispetta, non può essere approvato dai creditori né omologato.
- Nel concordato in continuità tali soglie non si applicano. Si presume infatti che, mantenendo la continuità aziendale, i creditori possano ottenere benefici indiretti (es. migliore realizzo dei beni, mantenimento di contratti, preservazione del valore avviamento) e che la proposta vada valutata caso per caso. L’importante è che il piano presenti una realistica prospettiva di superamento dell’insolvenza e di sostenibilità dell’impresa nel medio termine. La Cassazione ha chiarito che un concordato si considera “in continuità aziendale” (e non liquidatorio) ogniqualvolta al suo interno vi sia qualche componente di prosecuzione dell’attività, anche parziale, parallelamente alla liquidazione di beni non strategici. In pratica, basta che l’azienda sia “in esercizio” al momento della domanda e che il piano preveda di continuare a operare (magari cedendo alcuni asset non essenziali) perché il concordato sia qualificabile come in continuità. Questo orientamento ampio scoraggia i tentativi di far passare per continuità ciò che è liquidazione di fatto, ma al contempo riconosce come continuità anche situazioni ibride (es. vendita dell’azienda a un investitore con prosecuzione dell’attività sotto nuova gestione, che è continuità indiretta).
Procedura di concordato: Il debitore propone un piano di concordato, corredato da relazioni di un professionista indipendente (attestatore) che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano (art. 87 CCII). Può presentare la domanda completa di piano e proposta fin da subito oppure, se ha bisogno di tempo, depositare una domanda “con riserva” (c.d. concordato in bianco) ottenendo dal tribunale un termine (fino a 120-180 giorni) per presentare il piano definitivo. Durante questo periodo è protetto dai creditori (automatic stay delle azioni esecutive).
Il tribunale, ricevuto il piano, compie un esame di ammissibilità: verifica la presenza dei requisiti di legge (percentuali minime se liquidatorio, attestazioni, documentazione completa, etc.). Se tutto è in regola, emette un decreto di apertura del concordato e nomina un Commissario giudiziale, figura terza che supervisiona la gestione dell’impresa durante la procedura e tutela gli interessi dei creditori. Il debitore mantiene l’amministrazione ordinaria, ma per gli atti straordinari deve ottenere autorizzazione del tribunale (art. 94 CCII); di norma continua l’attività sotto vigilanza.
Si formano eventualmente classi di creditori (obbligatorie se i creditori hanno posizione giuridica diversa o se trattati in modo differenziato). Il piano viene sottoposto a votazione: ogni classe vota separatamente. Per l’approvazione serve, in ciascuna classe, la maggioranza dei crediti ammessi al voto (esclusi i privilegiati soddisfatti integralmente che non votano). Se tutte le classi approvano o se le classi dissenzienti possono essere cramdownate (ossia soddisfatte comunque almeno al livello di quanto avrebbero in liquidazione e non discriminatorie), si passa all’omologazione.
Il tribunale omologa il concordato con sentenza se:
- risulta il voto favorevole delle maggioranze richieste (o si può supplire con cram-down di eventuali classi dissenzienti, ad esempio in presenza di un singolo piccolo dissenso);
- il piano è fattibile e non contrario alla legge;
- ogni creditore dissenziente (o escluso dal voto) ottenga dal piano un trattamento non inferiore a quello che otterrebbe in caso di liquidazione giudiziale (principio di convenienza, art. 112 CCII);
- non vi sono condotte fraudolente o violazioni gravi.
Se tutto va a buon fine, l’omologazione rende il piano vincolante per tutti i creditori anteriori, compresi quelli che non hanno votato o hanno votato contro. Questi ultimi sono cramdownati: non possono agire al di fuori del concordato e devono accontentarsi di quanto previsto dal piano a saldo del loro credito.
Effetti e garanzie nel concordato:
- Dalla pubblicazione del ricorso e per tutta la procedura, i creditori per titolo o causa anteriore non possono iniziare né proseguire azioni esecutive o cautelari (come pignoramenti) contro il debitore, né acquistare diritti di prelazione se non autorizzati. I crediti rimangono congelati.
- I contratti pendenti possono essere sciolti o sospesi su richiesta del debitore autorizzata dal tribunale, se ciò è funzionale al piano (ad esempio, si può chiedere di sciogliersi da un contratto oneroso di leasing in un concordato liquidatorio, pagando eventualmente un indennizzo al contraente, art. 97 CCII).
- Nel concordato in continuità, è possibile prevedere una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca (creditori privilegiati), purché ciò sia necessario per il successo del piano e l’attestatore confermi che i creditori ipotecari/privilegiati hanno adeguata protezione (art. 86 CCII). Ciò consente al debitore di non dover liquidare subito beni essenziali ma di pagarli in corso di piano.
- Con l’omologazione, vengono meno eventuali sequestri conservativi o pegni giudiziali ottenuti dai creditori nei mesi precedenti (in gergo, si “spogliano” gli atti di esecuzione individuale).
- Gli atti, pagamenti e garanzie legalmente posti in essere in esecuzione del concordato omologato non sono soggetti a revocatoria fallimentare (art. 166 CCII) analogamente a quanto visto per i piani attestati e accordi omologati.
Importante: Il concordato preventivo, pur essendo un istituto di risanamento, comporta inevitabilmente che i creditori subiscano delle decurtazioni o dilazioni dei loro crediti secondo il piano. L’ordinamento comunque tutela i creditori con vari meccanismi:
- Devono essere trattati in modo omogeneo all’interno delle classi e in modo proporzionato al loro grado di privilegio (salvo esplicite deroghe ammesse solo in concordati in continuità e PRO, come visto).
- Possono opporsi all’omologazione se ritengono di essere pregiudicati o vi siano violazioni di legge.
- La presenza del commissario e del giudice assicura un controllo terzo sulla gestione e sull’esecuzione del piano.
Esdebitazione: se il concordato va a buon fine, al termine l’imprenditore ottiene l’esdebitazione per la parte di debiti chirografari non pagata secondo il piano (cioè viene liberato definitivamente dal restante, similmente a una fresh start). Se invece il concordato dovesse risolversi (per inadempimento) e si aprisse la liquidazione giudiziale, il debitore persona fisica potrebbe comunque chiedere al termine della liquidazione l’esdebitazione dei debiti residui non soddisfatti, a certe condizioni di meritevolezza.
Concordato “in bianco” e prenotativo: Uno strumento utile per il debitore è la possibilità di depositare una domanda di concordato con riserva, priva di piano, per bloccare immediatamente le azioni dei creditori e guadagnare tempo per predisporre la proposta (art. 44 CCII). Questa mossa, detta anche concordato prenotativo, è spesso utilizzata per arginare una situazione di emergenza (ad esempio un’asta imminente su un immobile) mentre si negozia una soluzione. Tuttavia, abusarne presentando poi piani insostenibili può portare all’improcedibilità e a responsabilità degli amministratori.
Concordato semplificato (post composizione negoziata): Già accennato sopra, il concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII è un tipo speciale di concordato liquidatorio riservato al caso di composizione negoziata fallita. Vale la pena ribadire che:
- Non c’è voto dei creditori, quindi il tribunale valuta direttamente l’equità della proposta.
- È di fatto una liquidazione concordata: si propone di liquidare i beni dell’impresa (anche vendendoli a terzi selezionati durante la negoziazione) e distribuire i proventi.
- Viene nominato un commissario che vigila sulla liquidazione.
- I creditori possono far pervenire osservazioni o opposizioni all’omologazione, ma se il piano rispetta il best interest test (miglior soddisfazione rispetto al fallimento) il giudice può omologare anche contro il loro volere.
- Nel 2023-2024 il suo uso è stato piuttosto limitato (circa 69 domande nel 2023 e 85 nel 2024), segno che la maggior parte delle imprese preferisce, se la composizione fallisce, cercare un concordato preventivo “classico” o purtroppo finisce in liquidazione giudiziale.
Concordato minore e strumenti per i piccoli imprenditori e privati: Il Codice ha dedicato un intero capo (Titolo IV, Capo II) alle procedure di sovraindebitamento, ossia destinate ai debitori non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, start-up innovative, imprenditori agricoli, persone fisiche consumatori). Tra queste vi è il concordato minore (artt. 74-83 CCII), che ha natura simile al concordato preventivo ma con alcune peculiarità:
- Può accedervi l’imprenditore commerciale sotto le soglie di fallibilità (art. 2, c.1, lett. d CCII) e gli altri soggetti non fallibili (imprese minori, enti non commerciali indebitati, ecc.) esclusi i consumatori (per i quali c’è lo strumento dedicato del piano del consumatore).
- Non sono richieste le percentuali minime del 20% e 10% nemmeno se liquidatorio (trattandosi per definizione di situazioni con masse molto ridotte).
- È previsto un controllo di meritevolezza: il debitore non deve aver provocato la situazione con frode o colpa grave, altrimenti il concordato minore non può essere omologato (analogamente a quanto avveniva per gli accordi di sovraindebitamento ex L.3/2012).
- La procedura è seguita da un organismo di composizione della crisi (OCC) che svolge funzioni simili al commissario.
Accanto al concordato minore, per il consumatore sovraindebitato il Codice prevede la ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII), evoluzione del vecchio “piano del consumatore”. Qui non c’è voto dei creditori: il consumatore propone un piano di pagamento parziale dei suoi debiti al giudice, il quale lo omologa se ritiene il debitore meritevole (cioè se l’indebitamento non è frutto di spese eccessive o dolose) e se i creditori ottengono almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione. Questo strumento riguarda tipicamente famiglie sommerse dai debiti (es. mutui, finanziarie) che cercano di evitarne l’esecuzione immobiliare.
In generale, per i piccoli debitori non fallibili lo spirito resta quello del risanamento, ma calibrato sulle dimensioni ridotte:
- Meno formalità e costi (spesso un unico professionista OCC che aiuta il giudice e il debitore);
- Maggior enfasi su meritevolezza ed esdebitazione: la legge favorisce il “fresh start” del piccolo imprenditore onesto ma sfortunato, anche attraverso la esdebitazione del sovraindebitato incapiente (art. 283 CCII, ex art. 14-quaterdecies L.3/2012), che consente di cancellare i debiti residui anche a chi non ha nulla da liquidare, in casi estremi, dopo 3 anni.
Liquidazione giudiziale (cenni)
Se nessuno degli strumenti di risanamento ha successo o è praticabile, l’epilogo è la liquidazione giudiziale, ossia la procedura che prende il posto del vecchio “fallimento”. La liquidazione giudiziale (artt. 121-270 CCII) viene aperta dal tribunale quando l’imprenditore si trova in stato di insolvenza accertato. Comporta la nomina di un curatore, lo spossessamento dell’imprenditore dalla gestione e la vendita di tutti i beni per distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione.
Anche nella liquidazione giudiziale, tuttavia, esistono possibilità di risanamento parziale:
- Ad esempio, il curatore può esercitare provvisoriamente l’azienda se c’è prospettiva di cederla come unità funzionante (così da salvare posti di lavoro e valore di avviamento).
- I creditori o terzi possono proporre proposte concorrenti di concordato durante la liquidazione (art. 240 CCII), ossia offerte di concordato anche dopo la dichiarazione di fallimento, per chiudere anticipatamente la procedura soddisfacendo i creditori meglio di quanto farebbe la liquidazione.
Tuttavia, la liquidazione resta un’ipotesi di cessazione dell’impresa. Non rientra propriamente tra le vie di risanamento, se non in senso lato come azzeramento dei debiti con sacrificio totale dell’attività. In questa guida la consideriamo solo come ultimo rimedio estremo, da evitare se possibile attraverso gli strumenti descritti in precedenza.
Va comunque ricordato che l’ordinamento oggi cerca di contemperare l’esigenza di rigore con quella del perdono: l’imprenditore, persona fisica, anche se finisce in liquidazione giudiziale, può ottenere l’esdebitazione di tutti i debiti residui post-liquidazione (art. 278 CCII) se ha collaborato e non ha commesso atti dolosi. Ciò per dare una chance di ripartenza dopo il fallimento, in linea con i principi europei.
Amministrazione straordinaria (nota)
Per completezza, citiamo l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (D.Lgs. 270/1999, Prodi-bis, e L. 39/2004 Marzano), procedura riservata a imprese di rilevante interesse economico con centinaia di dipendenti che si trovino insolventi. Si tratta di un regime concorsuale speciale, gestito sotto l’egida del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (già dello Sviluppo Economico), con lo scopo precipuo di salvaguardare la continuità aziendale e i livelli occupazionali attraverso programmi di ristrutturazione o cessione dell’azienda. È un istituto molto specialistico (utilizzato in casi noti come Alitalia, ILVA, Parmalat) e fuoriesce dal perimetro del Codice della crisi; perciò non lo tratteremo diffusamente qui. Basti sapere che per imprese di grandissime dimensioni esiste questa ulteriore possibilità di risanamento pilotato dallo Stato, parallela alle procedure ordinarie.
Simulazioni pratiche di risanamento in diversi settori
Settore manifatturiero (PMI): Si consideri un’azienda metalmeccanica di medie dimensioni, con 100 dipendenti, indebitata verso banche per 5 milioni e con fornitori scoperti per 2 milioni, ma con un portafoglio ordini in ripresa. L’azienda ha un know-how importante e clienti fedeli, quindi c’è un valore di continuità da preservare. In questo caso, un piano attestato di risanamento o un accordo di ristrutturazione possono essere gli strumenti ideali. Ad esempio, la società potrebbe negoziare con le tre banche principali la proroga dei mutui e la conversione di parte degli interessi in un finanziamento partecipativo (quindi legando il rimborso ai risultati futuri). Un investitore privato (o i soci attuali) apportano nuova finanza per 1 milione, da usare in parte per pagare i debiti coi fornitori con uno stralcio (ad esempio saldo al 50%). L’attestatore conferma che il piano è sostenibile: grazie ai nuovi contratti e alla riduzione del servizio del debito, l’azienda potrà tornare redditizia. Le banche e i fornitori chiave aderiscono all’accordo di ristrutturazione che viene omologato dal tribunale. In 5 anni l’azienda esce dalla crisi pagando il dovuto secondo i tempi concordati. I posti di lavoro sono salvaguardati e i creditori ricevono più di quanto avrebbero avuto in un fallimento (la stima in caso di liquidazione era di soli 30 centesimi per euro, mentre con l’accordo le banche recuperano 80 cent e i fornitori 50 cent più il mantenimento della relazione commerciale).
Settore delle costruzioni (grande impresa): Immaginiamo una società di costruzioni con 200 dipendenti, impegnata in vari appalti pubblici, che si trova in grave crisi di liquidità a causa di ritardi nei pagamenti della PA e errori in alcuni cantieri in perdita. Ha debiti finanziari e verso subappaltatori per decine di milioni. Una semplice negoziazione privata è impraticabile perché i creditori sono centinaia (fornitori, subappaltatori, istituti di credito, fisco). In tal caso, la via del concordato preventivo in continuità si rivela necessaria per congelare le azioni legali e ristrutturare l’azienda. La società presenta un concordato con un piano in continuità: cede i rami d’azienda meno redditizi, concentra le risorse sui 3 cantieri strategici da completare, ottenendo dai committenti un adeguamento dei prezzi. Propone di pagare integralmente i debiti verso i fornitori strategici che continueranno l’attività, mentre offre un pagamento parziale (es. 40%) dilazionato in 4 anni ai creditori chirografari non strategici. Il piano prevede inoltre la conversione di parte dei crediti dei subappaltatori in strumenti partecipativi legati al risultato dei cantieri. Un costruttore esterno è pronto a investire rilevando il 60% delle quote societarie per apportare liquidità fresca. I creditori votano divisi per classi: banche, subappaltatori, fornitori continuativi e altri. Tutte le classi approvano tranne quella dei subappaltatori (alcuni preferirebbero far fallire l’azienda e escutere le fideiussioni). Tuttavia, il tribunale omologa ugualmente il concordato applicando il cram-down su quella classe dissenziente, poiché verifica che i subappaltatori col concordato prendono il 40% subito e la continuità delle opere (che consente loro di lavorare e guadagnare ancora), mentre in un fallimento otterrebbero forse solo il 20% e la perdita del committente. In tal modo, l’azienda viene salvata, i cantieri proseguono evitando il blocco (con gravi danni sociali), e dopo 3 anni di sacrifici l’impresa torna in equilibrio.
Settore commercio (retail) e servizi: Abbiamo già visto l’esempio di una catena di negozi al dettaglio che, attraverso la composizione negoziata, ha ottenuto riduzioni dei canoni di locazione e dilazioni dai fornitori per ripristinare la sostenibilità. Un altro caso potrebbe riguardare una piccola società di servizi (es. un’agenzia di eventi) duramente colpita da una crisi di settore. Se i debiti non superano i limiti di fallibilità e l’imprenditore è persona fisica, potrebbe optare per un concordato minore o un piano del consumatore. Ad esempio, un wedding planner individuale che ha accumulato 300 mila euro di debiti tra fornitori e banche a causa di eventi cancellati, propone ai creditori un piano su 7 anni in cui si impegna a versare il 50% dei ricavi futuri a soddisfazione dei debiti, garantendo almeno il 30% del dovuto totale. Il professionista dimostra di essere meritevole (non ha sperperato denaro, è stato travolto dagli eventi) e che continuando l’attività potrà generare reddito. Il tribunale omologa il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore. I creditori chirografari incasseranno il 30% in alcuni anni, contro il probabile 5% in caso di liquidazione immediata, quindi accettano la soluzione. Il professionista può così proseguire la sua attività, onorando in parte i debiti e riabilitandosi finanziariamente.
Questi esempi mostrano come, in settori diversi, si possano modulare gli strumenti di risanamento. Le imprese manifatturiere con asset recuperabili e mercato in ripresa beneficiano spesso di piani attestati o accordi con le banche; le imprese di costruzioni o comunque con molti creditori e contratti pubblici trovano nel concordato in continuità lo strumento adatto per ristrutturare su larga scala; le aziende del commercio e dei servizi, se di dimensioni ridotte, possono sfruttare la composizione negoziata o le procedure di sovraindebitamento per negoziare soluzioni flessibili adeguate alla loro situazione. In ogni caso, il comune denominatore è la ricerca di un accordo equilibrato: il debitore deve offrire ai creditori una prospettiva migliore rispetto alla liquidazione, i creditori devono accettare qualche sacrificio immediato confidando in un recupero maggiore sul medio termine grazie alla sopravvivenza dell’impresa.
Domande frequenti sul risanamento d’impresa (FAQ)
D: Quando un’azienda è considerata in “stato di crisi” secondo la legge?
R: Il Codice definisce lo stato di crisi come la situazione di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza, e l’insolvenza come l’incapacità di far fronte regolarmente alle obbligazioni. In pratica, segnali di crisi possono essere: perdite di bilancio rilevanti che erodono il capitale, cronici ritardi nei pagamenti ai fornitori, tensioni di liquidità (incapacità di pagare stipendi o rate di mutuo). Gli amministratori hanno il dovere di attivarsi già allo stato di crisi (non solo a insolvenza conclamata), adottando strumenti di allerta interna e cercando soluzioni come piani di risanamento o composizione negoziata.
D: Qual è la differenza tra piano attestato, accordo di ristrutturazione e concordato?
R: Sono tre gradini di una scala di intensità:
- Il piano attestato è del tutto stragiudiziale: un accordo informale con i creditori, con la “benedizione” di un esperto attestatore, ma senza coinvolgere il tribunale né imporre nulla ai dissenzienti.
- L’accordo di ristrutturazione è un accordo negoziato privatamente ma che viene poi omologato dal tribunale, diventando vincolante per gli aderenti ed eventualmente (in certe condizioni) anche per alcuni non aderenti. Richiede soglie di adesione (30% o 60%) e permette una moratoria breve per i creditori estranei (max 120 giorni).
- Il concordato preventivo è una procedura concorsuale vera e propria: tutti i creditori sono coinvolti, c’è un voto a maggioranza e l’accordo omologato vincola tutti, anche i contrari. Si svolge sotto controllo del tribunale e di un commissario. Offre il quadro più completo di ristrutturazione, ma è anche il più complesso e pubblicamente visibile.
D: Gli strumenti di risanamento sono utilizzabili solo dall’imprenditore o anche dai creditori?
R: In generale, l’iniziativa spetta all’imprenditore in crisi (punto di vista del debitore). È lui che decide di proporre un piano, un accordo o di chiedere il concordato. Tuttavia i creditori possono svolgere un ruolo attivo: ad esempio, in una composizione negoziata possono suggerire soluzioni o manifestare la disponibilità a certe concessioni; nel concordato, se il debitore non agisce, alcuni creditori o un socio possono presentare essi stessi una proposta di concordato “competitiva” durante la procedura di fallimento (liquidazione giudiziale) per salvare l’azienda. Ma nella fase iniziale, senza insolvenza conclamata, solo il debitore può attivare strumenti come piano attestato, accordi e composizione negoziata. I creditori, d’altro canto, hanno sempre la facoltà di iniziare un’azione esecutiva o chiedere il fallimento se perdono fiducia: questo è il “bastone” che li accompagna al tavolo negoziale.
D: Durante le trattative di risanamento, l’azienda è protetta dai creditori?
R: Dipende dallo strumento. Nel piano attestato puro non c’è protezione legale automatica: se un creditore vuol agire (es pignorare) può farlo, per questo spesso si cerca di coinvolgere tutti quelli rilevanti. Negli accordi di ristrutturazione, il debitore può chiedere al tribunale misure protettive che sospendono le azioni dei creditori per il tempo necessario a chiudere l’accordo (in genere 4 mesi prorogabili). Nel concordato preventivo e nel concordato minore, dalla data di ammissione (o dalla domanda in bianco) scatta la protezione automatica per tutto il corso della procedura. Nella composizione negoziata, la regola è che non c’è protezione di default (tutto è riservato), ma il debitore può domandare al giudice misure protettive specifiche, ottenendole se dimostra che servono a facilitare le trattative. Quindi un’impresa può essere protetta dai creditori solo attivando accordi con richiesta di moratoria o presentando domanda di concordato.
D: Che succede se l’azienda non riesce a rispettare il piano o l’accordo?
R: Se un piano attestato non viene eseguito correttamente, i creditori torneranno liberi di pretendere i loro crediti per intero e, in mancanza di soluzioni, probabilmente verrà dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale). Nel caso di un accordo di ristrutturazione omologato, l’inadempimento rilevante può portare i creditori a chiederne la risoluzione al tribunale e anche qui aprire la strada alla liquidazione giudiziale. Nel concordato preventivo, l’inadempimento del debitore dopo l’omologazione comporta la risoluzione del concordato (su istanza dei creditori) e, quasi automaticamente, l’apertura della liquidazione giudiziale. In ogni caso, il fallimento rimane lo spettro finale se il tentativo di risanamento fallisce. Da notare però che se il debitore persona fisica è in buona fede, potrà poi chiedere l’esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti residui post-fallimento: non salva l’azienda, ma almeno libera l’imprenditore dal peso dei debiti per ripartire altrove.
D: I debiti fiscali e contributivi possono essere falcidiati (ridotti) nel risanamento?
R: Sì, ma con modalità diverse a seconda dello strumento. Nel piano attestato, essendo un accordo privato, l’Agenzia Entrate o l’INPS dovrebbero aderire volontariamente a uno stralcio (cosa rara, poiché la loro capacità di transigere è limitata dalla legge). Negli accordi di ristrutturazione e nei concordati, esiste la transazione fiscale: il debitore può proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, purché almeno pari a quanto tali enti otterrebbero in un fallimento. Se il Fisco o gli enti non aderiscono, il giudice può comunque omologare l’accordo/concordato forzando il cram-down fiscale, ma solo se l’apporto dell’Erario era decisivo per raggiungere le maggioranze e se l’offerta è conveniente (cioè non inferiore al ricavabile da liquidazione). Nella composizione negoziata, inizialmente non era possibile ridurre i debiti fiscali, ma dal 2024 si può presentare alle Agenzie fiscali una proposta di accordo transattivo anche in questa sede, con l’attestazione di convenienza e l’ok finale (per ora solo formale) di un giudice. Quindi oggi anche il Fisco può contribuire al risanamento, seppur entro limiti (ad esempio non si possono falcidiare l’IVA e i contributi previdenziali se non nel concordato, perché considerati “intoccabili” a livello UE).
D: Qual è l’impatto sul management dell’azienda? L’imprenditore perde la gestione?
R: Nelle soluzioni stragiudiziali (piani, accordi, composizione negoziata) l’imprenditore rimane in pieno controllo della sua azienda durante tutto il percorso. Al più, accetta la “moral suasion” dell’esperto o dei creditori su certe scelte, ma formalmente nessuno lo sostituisce. Nel concordato preventivo in continuità, l’imprenditore rimane al timone come debitore in possesso (“debtor in possession”), sebbene affiancato e monitorato dal commissario e soggetto a autorizzazione per atti straordinari. Solo nel concordato liquidatorio o in caso di abuso il tribunale potrebbe nominare un amministratore giudiziario sostituendo gli amministratori originari, ma è raro. In liquidazione giudiziale (fallimento) invece l’imprenditore perde totalmente l’amministrazione, che passa al curatore. Ma la filosofia delle procedure di risanamento attuali è di coinvolgere l’imprenditore nel salvataggio, non estrometterlo (salvo casi di frodi). Questo anche perché chi meglio di lui conosce l’azienda per poterla risanare? Certo, se la crisi è frutto di sue gravi colpe, i creditori spesso pretendono discontinuità (es. ingresso di nuovi soci, cambio management) come condizione del piano.
D: In termini di tempi e costi, quali differenze ci sono tra le varie soluzioni?
R: Un piano attestato può essere realizzato in poche settimane o mesi, a costi relativamente ridotti (si paga l’attestatore e i consulenti, ma non ci sono spese di procedura). Un accordo di ristrutturazione richiede qualche mese per le trattative e poi l’omologazione (diciamo 6-12 mesi in tutto) e comporta costi moderati (spese legali, finanziarie per l’attestatore, e un contributo unificato per il ricorso in tribunale). Un concordato preventivo è più lungo e costoso: raramente meno di 1 anno, spesso 2 anni tra deposito, voto e omologazione. Comporta i costi del commissario, del legale, dell’attestatore, ecc., oltre ad eventuali perizie. La composizione negoziata ha durata variabile (massimo 6+6 mesi proroghe), con costi limitati al compenso dell’esperto (spesso calmierati). Insomma, si tende a partire dagli strumenti più leggeri (meno costosi) e riservati, e ricorrere a quelli più impegnativi solo se serve. Naturalmente anche la complessità della crisi incide: un’azienda piccola con pochi creditori può risanarsi in tempi brevi; un gruppo grande e ingarbugliato richiederà procedure lunghe. L’importante è agire tempestivamente: prima si affronta la crisi, più opzioni semplici e veloci saranno percorribili.
Fonti
Corte di Cassazione, Sez. I civ., sentenza 15 giugno 2023 n. 17092 – massima ufficiale (concordato in continuità)
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