Hai debiti che non riesci più a pagare e temi di perdere la casa? Hai ricevuto lettere da banche, finanziarie o Agenzia delle Entrate e non sai come difendere il tuo immobile? Ti stai chiedendo se esiste un modo per salvare la casa dai creditori?
La legge sul sovraindebitamento ti offre oggi una via concreta per bloccare le azioni esecutive e proteggere la casa in cui vivi, anche se hai debiti elevati o procedimenti in corso. Ma per farlo devi conoscere gli strumenti giusti e attivarti con tempestività.
Si può davvero salvare la casa con il sovraindebitamento?
Sì. La procedura di sovraindebitamento consente di:
– Sospendere pignoramenti e aste già avviate
– Proporre un piano per pagare i debiti senza perdere l’immobile
– Ottenere, nei casi previsti, anche l’esdebitazione totale del residuo debito
– Proteggere la prima casa come bene essenziale per il nucleo familiare
Quali strumenti si possono usare per salvare l’abitazione?
Dipende dalla tua situazione. Le principali soluzioni sono:
– Piano del consumatore: riservato a persone fisiche non imprenditrici. Consente di proporre un piano di rientro sostenibile, chiedendo al giudice di bloccare l’azione dei creditori e, in molti casi, di salvare la casa
– Concordato minore: per piccoli imprenditori, partite IVA e professionisti. Prevede un accordo con i creditori per continuare a vivere nella casa, pagando solo ciò che è realmente possibile
– Liquidazione controllata: nei casi più gravi, anche se è prevista la vendita dei beni, è possibile escludere la prima casa se il nucleo familiare non ha alternative abitative e il valore non è sproporzionato
Cosa succede se non intervieni?
– Il pignoramento va avanti e la casa può essere venduta all’asta
– Perdi l’immobile e resti comunque con un debito residuo da pagare
– Le banche e gli altri creditori possono colpire anche altri beni
– Diventa più difficile accedere in futuro a qualunque altra tutela
Cosa puoi fare subito per difendere l’immobile?
– Verificare se puoi accedere a una delle procedure da sovraindebitamento
– Preparare tutta la documentazione necessaria (redditi, debiti, proprietà, spese familiari)
– Affidarti a un avvocato esperto che ti aiuti a costruire un piano realistico e legalmente valido
– Depositare la domanda in Tribunale prima che l’esecuzione forzata arrivi alla fase finale
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto del sovraindebitamento – ti spiega come salvare la tua casa, quali strumenti usare e come difenderti in modo efficace dai creditori prima che sia troppo tardi.
Hai paura di perdere la casa per colpa dei debiti? Vuoi sapere se puoi ancora difenderla e trovare una soluzione legale?
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Introduzione
Salvare la propria casa quando si è travolti dai debiti è possibile grazie alle procedure di sovraindebitamento previste dall’ordinamento italiano. Il sovraindebitamento consente al debitore non soggetto a fallimento (es. privati cittadini, piccoli imprenditori, professionisti) di ristrutturare i debiti o liquidare il patrimonio sotto il controllo del tribunale, ottenendo – se soddisfatte certe condizioni – la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione). Si tratta di un insieme di strumenti introdotti per dare una “seconda chance” al debitore in crisi, evitando che la perdita della casa e degli altri beni sia l’unica via. In questa guida avanzata (aggiornata a giugno 2025) esamineremo come proteggere la casa dai creditori attraverso le procedure di sovraindebitamento, con particolare riguardo alla normativa italiana vigente (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – CCII) e alla giurisprudenza più recente. Adotteremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a debitori privati o piccoli imprenditori interessati a capire come tutelare la propria abitazione.
Affronteremo dapprima il quadro normativo e i concetti chiave (come la definizione di sovraindebitamento e di debitore meritevole), quindi analizzeremo tutte le procedure oggi disponibili – dal piano del consumatore (ora ristrutturazione dei debiti del consumatore) al concordato minore, fino alla liquidazione controllata e all’esdebitazione dell’incapiente – evidenziando per ciascuna requisiti, funzionamento ed effetti (in particolare la sospensione dei pignoramenti e l’eventuale salvaguardia dell’abitazione principale). Seguiranno domande e risposte frequenti (FAQ), tabelle riepilogative dei punti chiave e simulazioni pratiche basate su casi reali tipici, per mostrare concretamente come un debitore sovraindebitato possa bloccare un’asta immobiliare imminente o evitare il pignoramento della prima casa utilizzando gli strumenti offerti dalla legge. Infine, una sezione di fonti normative e giurisprudenziali concluderà la guida, fornendo riferimenti aggiornati (inclusi gli ultimi interventi normativi del 2024 e le pronunce della Corte di Cassazione più significative sino al 2025).
Il sovraindebitamento: definizione e quadro normativo
Prima di addentrarci nelle singole procedure, è importante comprendere cos’è il sovraindebitamento e quale sia l’evoluzione normativa di riferimento. Per sovraindebitamento si intende la situazione di persistente squilibrio finanziario in cui una persona (fisica o giuridica non fallibile) non riesce a pagare i propri debiti in modo regolare, né con i propri beni liquidabili né mediante i flussi di cassa prevedibili. In altre parole, il debitore sovraindebitato è colui i cui redditi futuri previsti non sono sufficienti a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi. Questa definizione, introdotta dall’art. 2, lett. c) del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, di seguito CCII), amplia il concetto rispetto al passato, includendo non solo l’insolvenza conclamata ma anche lo stato di crisi economica in senso lato.
Evoluzione normativa: dalla Legge 3/2012 al Codice della Crisi (2022-2025)
In Italia la disciplina del sovraindebitamento nasce con la Legge n. 3/2012, che per la prima volta ha previsto procedure concorsuali ad hoc per debitori civili e piccoli imprenditori non assoggettabili al fallimento. Tale legge (nota come “legge salva-suicidi”) ha introdotto tre strumenti: il piano del consumatore, l’accordo di composizione della crisi e la liquidazione del patrimonio, consentendo al debitore di proporre ai creditori soluzioni per ristrutturare o liquidare i debiti sotto controllo giudiziario. Dal 2012 in avanti, varie modifiche hanno affinato l’istituto – ad esempio, nel 2015 fu estesa la possibilità di accesso anche ai soci illimitatamente responsabili per debiti personali, e nel 2020 venne introdotta in via anticipatoria l’esdebitazione dell’incapiente (vedremo oltre).
La riforma organica è giunta con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), adottato con D.Lgs. 14/2019 in attuazione della delega per riformare le procedure concorsuali. Il Codice ha abrogato la Legge 3/2012 (a decorrere dalla sua entrata in vigore) e riorganizzato le procedure di sovraindebitamento all’interno di un testo unico insieme alle procedure per le imprese maggiori (fallimento, concordato preventivo, etc.). L’entrata in vigore del CCII, originariamente prevista nel 2020, è stata posticipata al 15 luglio 2022, anche a causa della pandemia. Nel frattempo, il legislatore ha anticipato alcuni istituti chiave: con il Decreto Ristori (D.L. 137/2020, conv. nella L. 176/2020) furono anticipate alcune norme del Codice nella vecchia legge, come l’introduzione dell’esdebitazione a costo zero per il debitore incapiente (nuovo art. 14-quaterdecies L.3/2012, corrispondente all’art. 283 CCII).
Dal 15 luglio 2022, dunque, le procedure di sovraindebitamento operano sotto il regime del CCII, che le ha in parte rinominate e innovate, pur mantenendone l’impianto di fondo. Successivamente, vi sono stati interventi correttivi: in particolare il D.Lgs. 83/2022 e il D.Lgs. 169/2022 (cosiddetto “correttivo al Codice della crisi”) hanno perfezionato alcune disposizioni tecniche, mentre il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (correttivo ter), in vigore dal 29 settembre 2024, ha ulteriormente chiarito o ampliato taluni aspetti delle procedure di sovraindebitamento. Ad esempio, il correttivo del 2024 ha ridefinito la nozione di “consumatore” ai fini dell’accesso al piano del consumatore e ha introdotto l’art. 75 co. 2-bis CCII per consentire al debitore in concordato minore di mantenere il mutuo sulla casa principale senza doverla vendere (se ciò non lede i creditori). Queste novità – insieme alle pronunce della Corte di Cassazione degli ultimi anni – mirano a bilanciare meglio la tutela del debitore meritevole con quella dei creditori, rafforzando l’obiettivo sociale del sovraindebitamento (favorire il fresh start di chi è oppresso dai debiti) ma prevenendo abusi e garantendo che la soluzione offerta sia più conveniente di una esecuzione forzata tradizionale.
Normativa vigente: ad oggi la disciplina si trova principalmente negli artt. 65-83 CCII (procedure di composizione della crisi: piani di ristrutturazione del consumatore e concordati minori) e artt. 268-283 CCII (procedura liquidatoria controllata e esdebitazione incapiente), oltre ad alcune disposizioni generali (ad es. art. 2 CCII per le definizioni, art. 54 CCII sulle misure protettive). Come vedremo, il CCII conferma tre strumenti fondamentali: due di tipo concordatario (ossia basati su un piano, con eventuale voto dei creditori) e uno di tipo liquidatorio. A questi si aggiunge l’istituto speciale dell’esdebitazione “a zero”, rivolto ai casi estremi. Nel prossimo paragrafo offriremo una panoramica generale di queste procedure, per poi analizzarle in dettaglio dal punto di vista del debitore interessato a salvare la propria casa dai creditori.
Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento
Le procedure attualmente previste per il sovraindebitamento sono tre (oltre all’esdebitazione dell’incapiente, che è una misura particolare):
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore), riservato alle persone fisiche consumatrici.
- Concordato minore (in passato detto accordo di composizione), destinato ai debitori non consumatori che non superano le soglie di fallibilità (piccoli imprenditori, professionisti, start-up, ecc.).
- Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio), procedura liquidatoria applicabile a qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no) e attivabile anche su istanza dei creditori.
A queste si aggiunge l’esdebitazione del debitore incapiente, un beneficio straordinario che cancella i debiti del debitore persona fisica totalmente privo di beni e redditi, senza alcun pagamento ai creditori (è una procedura “atipica”, non negoziale né liquidatoria, soggetta a condizioni rigorose). Di seguito esamineremo ciascuna procedura in dettaglio, evidenziando chi vi può accedere, come funziona, come può aiutare a bloccare pignoramenti/aste e quali effetti produce sui debiti e sulla casa.
La Ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore)
Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ancora colloquialmente chiamato piano del consumatore) è uno strumento introdotto per offrire alle persone fisiche non fallibili la possibilità di rientrare dai debiti senza perdere i propri beni essenziali. È l’erede diretto del piano del consumatore previsto dalla L.3/2012, e mantiene la caratteristica peculiare di non richiedere il consenso dei creditori: è il giudice a valutare ed eventualmente omologare il piano, rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori. Vediamo i punti chiave:
- Chi può accedervi: esclusivamente il debitore consumatore sovraindebitato, cioè la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. La nozione di consumatore, aggiornata dal correttivo 2024, comprende anche, ad esempio, un ex imprenditore o un socio illimitatamente responsabile che abbia solo debiti personali non attinenti all’attività d’impresa. Ciò che conta è che tutti i debiti oggetto del piano siano “di natura consumeristica”, ossia derivanti dalla sfera privata/familiare: se anche un solo debito deriva da attività d’impresa o professionale, l’accesso al piano del consumatore è precluso. La Corte di Cassazione ha chiarito che rientra tra i consumatori anche chi in passato abbia svolto attività d’impresa, purché al momento della proposta di piano non vi siano obbligazioni tuttora in essere riconducibili a quella attività. Ad esempio, un artigiano che ha chiuso la bottega e si trova indebitato solo per spese familiari può qualificarsi consumatore. Viceversa, un privato che ha firmato da garante un debito societario (quindi obbligazione di natura imprenditoriale) non potrà usare il piano del consumatore per liberarsene – neppure se tale debito è minimo rispetto al totale. In tal caso dovrà ricorrere a un concordato minore o escludere quel debito dal piano (restando però esposto su di esso senza esdebitazione).
- Requisiti soggettivi e meritevolezza: il debitore consumatore deve presentarsi “meritevole”, ossia in buona fede. L’art. 69 CCII riprende le cause di inammissibilità già previste dalla vecchia legge: non può accedere chi ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale, né chi ha determinato il proprio sovraindebitamento con dolo o colpa grave (ad esempio contraendo debiti in modo irresponsabile, o aggravando volutamente la propria insolvenza). Inoltre, specificamente per il piano del consumatore il giudice opera una valutazione di meritevolezza: verifica cioè che il debitore non abbia colpe gravi, malafede o frode ai creditori nella genesi dell’indebitamento e nella condotta tenuta. In pratica, se il debitore ha violato obblighi informativi, dissipato il patrimonio o contratto debiti oltre le proprie oggettive possibilità con leggerezza, il giudice può ritenere il piano inammissibile o non omologarlo per carenza di meritevolezza. Ad esempio, chi abbia accumulato debiti tributari evadendo ripetutamente le imposte e allo stesso tempo contratto un mutuo per comprare un altro immobile potrebbe essere giudicato non meritevole – come osservato in una recente pronuncia – anche se la legge non prevede espressamente la “meritevolezza” per le procedure diverse dal piano. In sostanza, comportamenti gravemente imprudenti o scorretti del debitore possono ostacolare l’accesso al piano.
- Struttura del piano e ruolo dell’OCC: il debitore, assistito da un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e da un gestore nominato, predispone un piano dettagliato che indica come intende pagare i creditori, in quale misura (% di ciascun credito) e in quanto tempo. Il contenuto del piano è libero: può prevedere pagamenti parziali e/o dilazionati, anche in modo non proporzionale tra i creditori, purché sia rispettato il trattamento minimo dei creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi, ecc.). In genere, i creditori con pegno o ipoteca sulla casa devono ricevere almeno il valore di realizzo del bene dato in garanzia o comunque non meno di quanto otterrebbero dalla vendita forzata dell’immobile. Ciò non significa che si debba vendere la casa: il piano può anzi puntare a salvarla, ad esempio prevedendo che il debitore continui a pagare le rate del mutuo ipotecario sulla prima casa, eventualmente rinegoziandone la scadenza. Importante novità: la giurisprudenza recente ha confermato che è legittimo proporre nel piano del consumatore una dilazione a lungo termine dei debiti garantiti da ipoteca, anche oltre l’anno dall’omologazione che in passato si riteneva limite, purché ai creditori ipotecari sia data la possibilità di esprimersi sulla proposta e ne sia valutata la convenienza. In altre parole, il piano può prevedere di mantenere il mutuo immobiliare in corso (continuando a pagare le rate residue magari per molti anni) senza dover subito soddisfare integralmente la banca: la Cassazione, Sez. I, 34150/2024 ha stabilito che tale dilazione prolungata incide solo sulla convenienza del creditore (che sarà valutata dal giudice), mentre non è di per sé causa di inammissibilità. Ciò consente di salvare la casa vincolata da mutuo, evitando che la banca ne chieda la vendita immediata, a condizione che il piano nel complesso offra ai creditori un beneficio non inferiore alla liquidazione. L’OCC dovrà attestare la veridicità dei dati e la fattibilità del piano, ossia che il debitore potrà sostenere le rate promesse con le sue entrate al netto delle spese di sostentamento necessarie.
- Presentazione del ricorso e ammissione: il piano viene depositato presso il tribunale competente con un ricorso ex artt. 67 e ss. CCII. Devono essere allegati tutti i documenti richiesti (elenco dei creditori, stato delle famiglie, atti di proprietà, dichiarazioni dei redditi, relazione particolareggiata dell’OCC, ecc.). Il giudice, verificata la completezza della documentazione e l’ammissibilità del ricorso, fissa udienza per l’eventuale comparizione dei creditori (se hanno formulato opposizioni/osservazioni) e per decidere sull’omologazione. Nelle more, su istanza motivata del debitore, il giudice può concedere misure protettive sospendendo temporaneamente le azioni esecutive in corso. In particolare, l’art. 70, co.4 CCII prevede che il giudice, con il decreto di fissazione udienza, può disporre la sospensione delle procedure esecutive pendenti se la prosecuzione di tali esecuzioni pregiudica la fattibilità del piano proposto. Si tratta di un provvedimento discrezionale e selettivo: il debitore deve indicare nel ricorso quali pignoramenti o aste pendenti rischiano di vanificare il piano (ad es. la vendita imminente della casa) e chiederne la sospensione. Il giudice valuterà se, lasciando proseguire quell’esecuzione, il piano sarebbe compromesso; solo in tal caso ordinerà il blocco mirato di quelle procedure fino all’omologazione. Non c’è uno stay automatico generale per il solo deposito del ricorso – nuove esecuzioni potrebbero anche essere iniziate dai creditori non indicati, prima dell’omologa – ma di fatto il debitore può ottenere un “ombrello protettivo” sul patrimonio se dimostra la fondatezza del piano. Ad esempio, nel caso del Tribunale di Lodi (2024) un debitore con asta della casa fissata a breve è riuscito a ottenere in extremis la sospensione: il 4 marzo ha depositato il ricorso con contestuale istanza d’urgenza ex art. 70 co.4 CCII, il giudice ha esaminato il piano e chiesto integrazioni, dichiarando ammissibile il piano il 19 marzo e contestualmente disponendo che «fino alla conclusione del procedimento non possano essere intraprese né proseguite azioni esecutive sul patrimonio del debitore (inclusa la procedura esecutiva pendente…)». Depositato tale provvedimento nel fascicolo dell’esecuzione immobiliare la mattina del 20 marzo, il Giudice dell’Esecuzione ha sospeso l’asta prevista per le ore 11 di quello stesso giorno. In quell’episodio, il piano presentato prevedeva il pagamento dilazionato di tutti i creditori in 15 anni, con rate sostenibili per il debitore e mantenimento della sua abitazione. Questo illustra come, grazie al piano del consumatore, sia possibile congelare un pignoramento immobiliare imminente e prospettare ai creditori un rientro graduale, anziché la vendita forzata immediata.
- Omologazione ed effetti per il debitore e i creditori: se all’udienza non emergono cause di inammissibilità e il giudice ritiene il piano fattibile e conveniente (ossia idoneo a dare ai creditori almeno quanto otterrebbero da una liquidazione del patrimonio) e ritiene il debitore meritevole, emette il decreto di omologazione del piano. Da quel momento il piano diventa obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso. Gli effetti principali dell’omologazione sono: divieto per i creditori chirografari e privilegiati anteriori di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore, nonché di iniziare azioni cautelari o acquisire nuovi pignoramenti/ipoteche. In pratica, tutti i pignoramenti in corso decadono e non possono esserne avviati di nuovi per quei debiti, poiché i creditori dovranno accontentarsi delle percentuali e dei pagamenti previsti dal piano. La casa dunque risulta salva: nessun creditore potrà procedere con l’esecuzione forzata su di essa (salvo eventualmente i creditori con causa o titolo posteriore, cioè nuovi debiti non inclusi nel piano). I creditori privilegiati (come la banca mutuante) saranno vincolati al trattamento stabilito nel piano: se, ad esempio, il piano prevede che il mutuo ipotecario prosegua alle condizioni originarie, la banca dovrà rispettare tale accordo e non potrà esigere il debito immediatamente o mettere all’asta l’immobile, purché il debitore rispetti le scadenze concordate. Si noti che l’omologazione può avvenire anche contro il parere dei creditori, i quali nel procedimento del piano del consumatore non votano; tuttavia, essi hanno la facoltà di presentare osservazioni e opposizioni, soprattutto per contestare la convenienza del piano. Ad esempio, un creditore potrebbe eccepire che il piano non gli offre nemmeno quanto ricaverebbe da un’esecuzione forzata di un bene: il giudice valuterà queste opposizioni caso per caso e potrà omologare il piano solo se ritiene rispettato il criterio del best interest dei creditori (miglior soddisfacimento alternativo). In sede di omologa, dunque, il tribunale verifica regolarità formale, fattibilità economica e assenza di cause ostative, nonché che i creditori ricevano dal piano un trattamento non inferiore a quello liquidatorio. Se tutto è in regola, il piano viene approvato; in caso contrario (o se emergono frodi, atti in frode scoperti ex post) l’omologazione viene negata o revocata e il procedimento si chiude senza beneficio.
- Esecuzione del piano e esdebitazione: una volta omologato, il debitore deve adempiere al piano esattamente, effettuando i pagamenti e le altre obbligazioni previste (eventuale cessione di beni, etc.). Durante l’esecuzione del piano, i creditori anteriori non possono agire (sono “congelati”); tuttavia, se il debitore non rispetta le scadenze o inadempie colpevolmente, il tribunale può dichiarare risolto il piano e far decadere i benefici, con conseguente riattivazione delle azioni esecutive da parte dei creditori per i crediti residui. Se invece il piano viene eseguito con successo fino al termine, il debitore ottiene l’esdebitazione automatica per i debiti che eventualmente non siano stati integralmente soddisfatti. In altre parole, i debiti restanti vengono cancellati e il debitore viene liberato dall’obbligo di pagarli ulteriormente. L’esdebitazione a fine piano è l’obiettivo principale: garantisce un completo fresh start al debitore onesto e diligente. Va precisato che alcuni debiti per loro natura non sono comunque oggetto di esdebitazione (analogamente a quanto avviene nel fallimento): tipicamente, obblighi di mantenimento familiare, debiti alimentari, risarcimenti per fatti illeciti derivanti da dolo, e sanzioni penali pecuniarie non vengono eliminati e restano a carico del debitore anche dopo la procedura. Salvo tali eccezioni, dunque, con l’esecuzione del piano il debitore può uscire dalla spirale debitoria definitivamente, senza perdere la casa e i beni che il piano ha tutelato.
Riassumendo dal punto di vista del debitore, il piano del consumatore offre la possibilità di bloccare immediatamente i pignoramenti (su richiesta al giudice) e, se omologato, di impedire la vendita all’asta della prima casa, dilazionando il pagamento dei crediti e riducendone l’ammontare secondo le proprie capacità. È però fondamentale che il debitore sia trasparente e affidabile: omissioni informative o manovre in malafede possono far naufragare la procedura. Inoltre, il piano richiede un impegno a lungo termine: occorre essere realistici nel proporre rate sostenibili, per evitare future inadempienze.
Esempio pratico: Mario, privato cittadino, ha una casa di proprietà gravata da un mutuo residuo di €150.000 (rate mensili €600) e ha accumulato €100.000 di altri debiti (prestiti personali e arretrati di cartelle esattoriali). A causa di una perdita di lavoro, non è più riuscito a pagare né le rate del mutuo né le cartelle, e la banca ha avviato un pignoramento sulla casa. Mario, come consumatore sovraindebitato, si rivolge a un OCC e presenta un piano del consumatore proponendo di: mantenere il pagamento del mutuo (allungando il piano di ammortamento di qualche anno per ridurre la rata), offrire ai creditori chirografari il pagamento del 20% dei loro crediti in 5 anni (utilizzando il nuovo stipendio e riducendo le spese superflue), e pagare all’Erario una percentuale sui debiti fiscali equivalente a quanto otterrebbe in caso di vendita della casa (tenuto conto che l’ipoteca della banca copre quasi tutto il valore). Il tribunale, verificato che Mario è meritevole (non vi sono frodi o spese voluttuarie eccessive) e che il piano conviene ai creditori più della vendita forzata (dove probabilmente la casa sarebbe svenduta con soddisfazione solo parziale della banca e nulla per gli altri), omologa il piano. La casa di Mario non viene venduta all’asta; Mario riprende a pagare le rate del mutuo regolarmente e versa ogni mese una somma proporzionata ai creditori chirografari. Dopo 5 anni, avrà pagato il dovuto secondo il piano e il tribunale, constatato l’adempimento, lo libererà dai €80.000 circa di debiti chirografari residui mai pagati, chiudendo la procedura con successo. Mario avrà così salvato l’abitazione e riacquistato la piena serenità economica.
Il Concordato minore
Il concordato minore è la procedura destinata ai debitori sovraindebitati diversi dal consumatore puro. Si tratta dell’evoluzione dell’“accordo di composizione della crisi” previsto dalla L.3/2012, ora integrato e denominato concordato minore nel CCII (Titolo IV, Capo II, Sezione III, artt. 74-83). È una procedura concorsuale negoziale: il debitore propone un piano di ristrutturazione ai creditori, i quali però devono approvarlo a maggioranza perché diventi efficace. In sintesi, il concordato minore è analogo a un concordato preventivo semplificato per piccoli imprenditori, professionisti o soggetti non fallibili.
- Chi può accedere al concordato minore: possono proporlo tutti i debitori in stato di sovraindebitamento che non siano consumatori, ovvero coloro che hanno debiti anche (o esclusivamente) di natura professionale/imprenditoriale. Rientrano in questo ambito: imprenditori “minori” (sotto le soglie di fallibilità), imprenditori agricoli (esenti da fallimento per legge), startup innovative, liberi professionisti, artisti, lavoratori autonomi, ditte individuali, e anche società di persone o a responsabilità limitata che non superino i limiti dimensionali per la liquidazione giudiziale. In generale, il concordato minore è aperto a qualsiasi debitore sovraindebitato non soggetto alle procedure concorsuali maggiori (liquidazione giudiziale/fallimento, concordato preventivo ordinario). Ad esempio, un artigiano con debiti di fornitori e fiscali, oppure un avvocato indebitato per spese dello studio, oppure una piccola SNC sommersa dai debiti bancari, possono ricorrere al concordato minore. È escluso il consumatore “puro”, che invece deve usare il piano del consumatore. Come già accennato, però, se una persona fisica presenta debiti misti (in parte privati e in parte d’impresa), dovrà optare per il concordato minore: la presenza anche di un solo debito non consumeristico fa perdere la qualifica per il piano del consumatore. Inoltre, non possono accedere al concordato minore i soggetti che sarebbero assoggettabili a liquidazione giudiziale (fallimento): se un’impresa supera i parametri dimensionali di legge, dovrà utilizzare le procedure maggiori (es. concordato preventivo) e non quelle da sovraindebitamento.
- Cause ostative e comportamento del debitore: analogamente al piano del consumatore, il CCII prevede limitazioni all’accesso per evitare abusi. L’art. 77 CCII (richiamando l’art. 69) stabilisce che non può accedere al concordato minore il debitore che: abbia già beneficiato di un’esdebitazione nei 5 anni precedenti, oppure di più di due esdebitazioni in tutta la vita; oppure abbia cagionato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave (ad esempio contraendo debiti manifestamente sproporzionati alle proprie capacità, o nascondendo patrimoni). Tali condizioni, se presenti, comportano l’inammissibilità del ricorso. A differenza del piano del consumatore, la legge non menziona espressamente la “meritevolezza” nel concordato minore; tuttavia, la Cassazione ha chiarito che anche in questa procedura il comportamento pregresso del debitore rileva ai fini dell’omologazione, sia pure come giudizio di affidabilità e convenienza e non come requisito formale. In una sentenza del novembre 2024 (Cass. 30538/2024) la Suprema Corte ha censurato l’omologazione di un accordo di composizione in cui il giudice di merito non aveva tenuto conto, sollevato dall’Erario, del fatto che il debitore aveva violato ripetutamente obblighi tributari (anche se di modesto importo) e poi acquistato un immobile aggravando l’indebitamento. Ciò a riprova che, pur non essendoci una “meritevolezza” da provare come nel piano del consumatore, il tribunale valuterà comunque l’onestà del debitore e le cause della crisi: un debitore che si è indebitato fraudolentemente o in modo irresponsabile vedrà verosimilmente respinto il concordato minore (e sarà eventualmente instradato verso la sola liquidazione).
- Contenuto della proposta e attestazione OCC: nel concordato minore, il debitore mantiene la gestione della propria attività e patrimonio (salvo diversa disposizione del giudice) e formula una proposta di soddisfacimento dei crediti. Anche qui il contenuto è abbastanza libero: possono essere proposte dilazioni, stralci parziali, cessioni di beni, apporto di risorse esterne etc., purché il piano garantisca ai creditori una soddisfazione migliore di quella ricavabile dalla liquidazione. Questo criterio di convenienza è centrale: il tribunale può omologare la proposta solo se i creditori sono pagati in misura “non inferiore” all’alternativa liquidatoria (art. 80 CCII). Il piano può prevedere anche la continuazione dell’attività aziendale (se il debitore è un imprenditore) e, come novità introdotta dal 2024, può consentire di conservare la casa principale con il relativo mutuo: infatti, con il D.Lgs. 136/2024 è stato inserito l’art. 75, co. 2-bis CCII, che esplicitamente consente al debitore persona fisica, se in regola o rimessosi in regola con le rate scadute, di continuare a pagare le rate del mutuo fondiario sulla prima casa nell’ambito del concordato minore, senza perdere l’ipoteca. In tal caso l’OCC deve attestare che il creditore ipotecario (es. la banca) sarebbe soddisfatto integralmente vendendo l’immobile al valore di mercato e che lasciare la casa al debitore non danneggia gli altri creditori. Questa modifica è pensata proprio per salvaguardare l’abitazione del piccolo imprenditore/professionista, analogamente a quanto spesso avviene nel piano del consumatore: se l’ipoteca assorbe tutto il valore, la vendita forzata non darebbe nulla agli altri creditori, quindi tanto vale permettere al debitore di tenere la casa e continuare a pagare il mutuo regolarmente. Oltre a ciò, il concordato minore può prevedere finanza esterna (somme apportate da terzi, come familiari o nuovi investitori) e altre forme di ristrutturazione creativa del debito. L’OCC redige la relazione attestando la veridicità dei dati e la fattibilità del piano, nonché la sua convenienza rispetto alla liquidazione. L’OCC inoltre assiste il debitore nel raccogliere il consenso dei creditori.
- Procedimento: apertura, voto dei creditori e omologazione: il debitore deposita un ricorso per l’apertura del concordato minore presso il tribunale competente, allegando il piano, la proposta e i documenti. Il tribunale, verificata la completezza documentale e l’ammissibilità formale, emette un decreto di apertura (equivalente all’ammissione alla procedura). In tale decreto nomina il Giudice Delegato e dispone le eventuali misure protettive su richiesta del debitore (sospensione delle azioni esecutive fino all’omologa). Da questo momento scatta la protezione: in genere il decreto stabilisce che nessun creditore può iniziare o proseguire esecuzioni individuali sul patrimonio del debitore sino all’omologazione (analogo allo stay concorsuale). Il decreto di apertura viene pubblicato nel Registro delle Imprese (se il debitore è imprenditore) e, se riguarda beni immobili, viene trascritto nei registri immobiliari per pubblicità. Il giudice fissa anche un termine (massimo 30 giorni) entro cui i creditori devono far pervenire all’OCC le proprie decisioni sulla proposta. A differenza del concordato preventivo classico, non c’è un’assemblea dei creditori: ciascun creditore esprime per iscritto il proprio voto (adesione o diniego) e può contestare il piano inviando osservazioni all’OCC. L’OCC raccoglie le risposte e redige l’elenco dei creditori votanti e delle rispettive posizioni. La maggioranza richiesta è quella dei crediti ammessi al voto: è sufficiente che abbia detto “sì” un numero di creditori che rappresenti oltre il 50% dell’ammontare totale dei crediti partecipanti. Non occorrono maggioranze per categorie né percentuali qualificate: basta la maggioranza semplice per valore. (Ovviamente i creditori correlati o parti correlate del debitore non contano nel quorum, e i crediti contestati possono essere esclusi dal voto dal giudice).
- Se la maggioranza approva la proposta, si passa alla fase di omologazione: il giudice verifica la regolarità della procedura, la presenza della maggioranza e la soddisfazione del requisito di convenienza (art. 80 CCII), nonché l’attestazione OCC, e convoca eventualmente un’udienza di omologa in cui possono essere discussi eventuali opposizioni. In sede di omologazione, un ruolo particolare hanno i creditori pubblici (Erario ed enti previdenziali): la legge consente un sorta di cram-down se essi non aderiscono. Infatti, se la maggioranza è raggiunta senza il voto favorevole del Fisco, il tribunale può ugualmente omologare il concordato minore anche in mancanza dell’adesione dell’Erario, a condizione che la proposta sia più conveniente per il Fisco rispetto alla liquidazione. Ad esempio, se il piano paga all’Agenzia Entrate il 30% mentre dalla vendita forzata dell’unico immobile il Fisco (chirografario) non otterrebbe nulla, il giudice può decidere di omologare nonostante il voto contrario dell’Erario, ritenendo soddisfatto l’interesse erariale (cram-down fiscale). Questo meccanismo evita che un creditore pubblico minoritario ma importante blocchi soluzioni vantaggiose per tutti. Ottenuta l’omologazione, il decreto viene pubblicato e diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Se invece la maggioranza non viene raggiunta, il giudice dichiara infruttuosa la procedura e, su istanza del debitore (oppure d’ufficio in caso di frodi), può contestualmente aprire la liquidazione controllata. In pratica, il fallimento del concordato minore sfocia, se il debitore lo richiede, in una procedura liquidatoria dei beni come ultima istanza.
- Se durante l’iter del concordato emergono irregolarità gravi o viene accertato che il debitore ha occultato informazioni/beni, il tribunale può interrompere la procedura. È ammessa, dopo l’apertura, la possibilità per il debitore di modificare in melius la proposta prima della chiusura del voto (ad esempio offrendo percentuali maggiori grazie a sopravvenute risorse) per ottenere l’adesione dei creditori.
- Effetti ed esdebitazione: dal decreto di apertura fino all’omologazione, come detto, il debitore è protetto dalle iniziative esecutive individuali dei creditori (sospensione dei pignoramenti in corso e divieto di nuovi). Se il concordato è omologato, il piano diviene obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura: ciò significa che i creditori saranno soddisfatti nelle forme e misure previste dal piano, perdendo la facoltà di agire individualmente. I beni eventualmente destinati alla liquidazione secondo piano saranno venduti e ripartiti come da programma, mentre i beni che il piano lascia al debitore restano nella sua disponibilità libera da aggressioni (salvo che per debiti esclusi dalla procedura). Per la casa di abitazione, come evidenziato, il concordato minore può prevedere di salvaguardarla: se il piano omologato stabilisce che l’immobile non venga venduto e che il mutuo prosegua, la banca ipotecaria dovrà rispettare tale previsione (purché il debitore paghi le rate correnti) e gli altri creditori non potranno iscrivere ipoteche né pignorare l’abitazione per tutta la durata del concordato. Al termine, una volta eseguiti gli impegni del piano, il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione del residuo non pagato, analoga a quella del piano del consumatore. Quindi i crediti rimasti insoddisfatti oltre quanto previsto sono cancellati. Se però il debitore non adempie al piano omologato o commette inadempimenti rilevanti, su istanza dei creditori il tribunale può dichiarare la risoluzione del concordato: in tal caso i debiti non ancora pagati rivivono per intero e i creditori riacquistano il diritto di agire (salvo aprire una liquidazione postuma). È quindi interesse del debitore eseguire fedelmente quanto promesso. In caso di esito negativo (mancata omologazione o risoluzione successiva), come accennato, è comunque possibile che si apra la liquidazione controllata per distribuire il patrimonio residuo ai creditori.
Dal punto di vista del debitore, il concordato minore è uno strumento prezioso per negoziare con i creditori una soluzione sostenibile, evitando il default disordinato. Rispetto al piano del consumatore, qui il debitore deve convincere i creditori (almeno la metà del debito in valore) della convenienza della proposta. Ciò spesso implica offrire ai creditori una percentuale maggiore o altre garanzie rispetto a quanto si farebbe in un piano “unilaterale”. In compenso, il concordato minore può includere anche debiti di natura imprenditoriale e quindi si adatta a situazioni più complesse (come debiti fiscali ingenti, esposizioni bancarie aziendali, ecc.). Salvare la casa è possibile anche in questa procedura: grazie all’art. 75 co.2-bis CCII, il piccolo imprenditore che ha la propria abitazione gravata da mutuo può proporre di tenerla, continuando a pagare la banca, se ciò non danneggia gli altri creditori. Tuttavia, occorre l’attestazione dell’OCC e l’approvazione dei creditori (la banca inclusa): spesso l’istituto di credito sarà favorevole a un piano dove continua a incassare le rate anziché affrontare un’asta dall’esito incerto, ma molto dipende dai numeri. Un altro vantaggio del concordato minore è la possibilità di sfruttare risorse esterne o accordi transattivi: ad esempio, un familiare potrebbe mettere a disposizione una somma per pagare subito una parte dei creditori in cambio dello stralcio dei restanti importi (questo perché il concordato minore, a differenza del piano del consumatore, è frutto anche di una negoziazione con il ceto creditorio).
Esempio pratico: Anna è una piccola imprenditrice (titolare di un negozio) con debiti totali per €300.000: €50.000 di fornitori insoluti, €80.000 di debiti fiscali (IVA, INPS), €20.000 di bollette arretrate e scoperti vari, e un mutuo fondiario di €150.000 residui sulla casa di proprietà (abitazione principale). Non può accedere al piano del consumatore perché molti debiti sono legati alla sua attività. Presenta quindi un concordato minore, proponendo di pagare: integralmente il mutuo sulla casa continuando le normali rate (ha già ripreso a pagare quelle correnti, recuperando gli arretrati su autorizzazione del giudice), 20% ai fornitori e altri chirografari in 4 anni (grazie a un prestito familiare e ai futuri utili dell’attività), e 15% all’Erario in 6 anni (pari o superiore a quanto ricaverebbe il Fisco se Anna fosse costretta a liquidare tutto, considerando che la casa è già tutta assorbita dall’ipoteca). Il piano è attestato come conveniente dall’OCC. I creditori votano: la banca è d’accordo (preferisce continuare a incassare il mutuo), i fornitori e creditori vari che rappresentano 60% dei crediti chirografari approvano (molti di loro, clienti di Anna, preferiscono mantenere rapporti), mentre l’Agenzia delle Entrate rifiuta (per politica interna). Poiché oltre il 50% in valore dei crediti complessivi ha aderito, la maggioranza è raggiunta. In sede di omologa, il tribunale valuta il cram-down: constata che il 15% offerto al Fisco è comunque più di quanto quest’ultimo otterrebbe vendendo i beni di Anna (la casa non avrebbe surplus oltre l’ipoteca, e l’attività senza concordato fallirebbe con incasso modesto). Dunque omologa il concordato minore nonostante il voto contrario dell’Erario, ritenendo soddisfatta la condizione di convenienza. Con il decreto di omologa, tutte le azioni esecutive sono vietate: il pignoramento che Equitalia aveva avviato sui mobili del negozio viene dichiarato improcedibile. Anna continua l’attività, paga regolarmente le rate secondo il piano; dopo 6 anni, avendo adempiuto gli importi concordati, ottiene l’esdebitazione dei debiti residui (cioè l’Erario e gli altri creditori cancellano la parte non pagata). La casa di Anna non è mai stata toccata dall’esecuzione, e lei ne conserva la proprietà continuando a pagare il mutuo. Senza il concordato minore, probabilmente la casa sarebbe stata pignorata e venduta dalla banca, e la sua attività avrebbe chiuso: invece, grazie alla procedura, Anna ha salvato casa e impresa, onorando per quanto possibile i creditori in modo ordinato.
La Liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) è la procedura concorsuale liquidatoria riservata ai debitori sovraindebitati. Equivale, per chi non può essere dichiarato fallito, a quello che era la “liquidazione del patrimonio” nella L.3/2012 e, in termini generali, ricorda da vicino il fallimento (liquidazione giudiziale) applicato però a piccoli debitori. A differenza del piano e del concordato, qui non c’è un piano di rientro da concordare: si tratta di mettere a disposizione tutti i beni del debitore (salvo quelli impignorabili) affinché un liquidatore li venda e distribuisca il ricavato ai creditori, secondo le regole della parità di trattamento. Al termine, se il debitore persona fisica ha collaborato lealmente, potrà ottenere l’esdebitazione delle eventuali somme non pagate. In sintesi, la liquidazione controllata è l’ultima ratio per chi non è in grado di offrire un piano sostenibile o non ha consenso dei creditori – ma permette comunque di regolare la crisi in modo ordinato e di liberare il debitore dai debiti residui.
- Chi può accedere e chi la può chiedere: possono essere assoggettati a liquidazione controllata tutti i debitori sovraindebitati, sia consumatori che imprenditori minori o enti non fallibili. La liquidazione può essere chiesta dallo stesso debitore, oppure (novità importante) può essere richiesta anche da un creditore o dall’autorità in alcuni casi. Infatti il CCII prevede che, qualora il debitore sovraindebitato non proponga alcuna soluzione concordataria e vi sia insolvenza, i creditori (anche uno solo) possono istanziare al tribunale l’apertura della liquidazione controllata. Questo strumento funge da “fallimento civile”: ad esempio, un creditore che vanta un grosso credito verso un professionista potrebbe chiederne la liquidazione del patrimonio se questi non paga. Sono inoltre legittimati il Pubblico Ministero e il guarantee fund in certi frangenti. Cause ostative: a differenza delle procedure concordatarie, non vi sono stringenti preclusioni all’accesso della liquidazione: anche un debitore che ha già beneficiato di esdebitazione in passato o che ha agito con dolo può essere sottoposto a liquidazione. Questo perché la liquidazione mira innanzitutto a soddisfare i creditori con ciò che c’è; naturalmente, se il debitore ha frodato i creditori, ciò potrà semmai influire sul diniego dell’esdebitazione finale, ma non impedisce di aprire la procedura. In sostanza, chiunque sia sovraindebitato può finire in liquidazione controllata, volontariamente o su impulso altrui, come extrema ratio.
- Avvio della procedura e nomina del liquidatore: il tribunale, ricevuta l’istanza (del debitore o del creditore), se ritiene sussistente lo stato di sovraindebitamento e verificata l’assenza di atti in frode nei 5 anni precedenti, dichiara aperta la liquidazione controllata con apposito decreto. Con il medesimo provvedimento: nomina un liquidatore giudiziale (figura simile al curatore fallimentare), fissa i termini per le domande di credito dei creditori e dispone le misure interdittive. Effetti sulle esecuzioni: dal decreto di apertura, per legge non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né cautelari da parte dei creditori chirografari o privilegiati per crediti anteriori, né si possono acquisire nuove ipoteche o pegni. Ogni pignoramento in corso su beni compresi nella liquidazione diventa improcedibile (salvo quanto diremo sul creditore fondiario) e tutti i beni cadono sotto la gestione del liquidatore. L’ordine di “stay” è così forte che eventuali atti esecutivi compiuti in violazione di esso sono nulli. Dunque la casa del debitore, se rientra nell’attivo da liquidare, non può più essere messa all’asta dai singoli creditori, perché sarà il liquidatore semmai a occuparsene. Tuttavia, occorre fare attenzione a un aspetto cruciale: le banche con mutuo fondiario (ipoteca di primo grado sulla casa) hanno un privilegio processuale ex art. 41 TUB. La Cassazione ha di recente confermato che, se è già pendente un pignoramento immobiliare fondiario al momento dell’apertura della liquidazione controllata, la banca può proseguire autonomamente l’espropriazione nonostante la procedura concorsuale. In pratica, la liquidazione controllata non ferma la vendita dell’immobile da parte della banca mutuante, se questa aveva già avviato l’azione esecutiva: la banca rimane libera di arrivare all’asta, grazie al privilegio del testo unico bancario. Anzi, la Cassazione (sent. n. 22914/2024) ha affermato che il privilegio fondiario si applica anche alla liquidazione controllata al pari del fallimento, rappresentando “un duro colpo per i debitori che speravano di ottenere una sospensione dell’esecuzione immobiliare” avviando la procedura. Ciò significa che se la finalità è salvare la casa, arrivare alla liquidazione è rischioso: il debitore dovrebbe, prima dell’apertura, cercare di bloccare la vendita magari con un piano del consumatore o concordato. Se invece la liquidazione viene aperta, la casa ipotecata sarà normalmente venduta dal liquidatore oppure dal creditore fondiario procedente, e il ricavato andrà in primis alla banca ipotecaria. Solo se l’immobile è talmente sovraccarico di ipoteche da non generare alcuna utilità per i creditori chirografari, il liquidatore potrebbe rinunciare a liquidarlo lasciando la banca proseguire per conto suo.
- Svolgimento: vendita dei beni e riparto: una volta aperta la procedura, tutto il patrimonio del debitore (esclusi i beni impignorabili ex legge, ad esempio gli strumenti di lavoro essenziali o stipendi per la parte minima vitale) entra nella massa attiva. Il debitore non ne ha più la libera disponibilità: non può, ad esempio, vendere la casa privatamente né disporre dei conti correnti, perché subentra il liquidatore. Il liquidatore redige l’inventario dei beni, avvisa i creditori di presentare le proprie domande di ammissione al passivo, e predispone il programma di liquidazione, che il giudice delegato approva. Si procede quindi a vendere i beni: immobili tramite procedure competitive (aste), mobili e crediti similmente, oppure si possono trasferire i complessi aziendali in blocco se conviene. La casa di abitazione, se presente nel patrimonio, sarà normalmente posta in vendita all’asta dal liquidatore (salvo, come detto, che la venda direttamente la banca fondiaria). Il ricavato di tutte le vendite confluisce nell’attivo da distribuire. Si formano poi lo stato passivo dei crediti ammessi e le graduatorie: i creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi, prededucibili, ecc.) sono soddisfatti per primi nei limiti del valore dei beni su cui hanno prelazione; i creditori chirografari dividono l’eventuale residuo in proporzione ai loro crediti (par condicio). Questa fase dura in genere qualche anno, a seconda della difficoltà di liquidare i beni. Durante la liquidazione, il debitore può svolgere attività lavorativa e tenere per sé i redditi correnti, purché non eccedano il suo sostentamento e quello della famiglia: somme ulteriori potrebbero essere acquisite alla massa (il giudice può stabilire un importo mensile che il debitore deve versare se ha stipendio elevato, ad esempio). In generale però, il debitore in liquidazione conserva i beni e redditi impignorabili e ha diritto a mantenere/ricostituire un minimo di patrimonio necessario a ripartire la propria vita dopo la procedura. Se nel corso della liquidazione il debitore eredita dei beni o riceve proventi straordinari, anche questi in linea di principio possono essere attratti nella procedura, a tutela dei creditori (a meno che siano dopo la chiusura e con esdebitazione già ottenuta, come vedremo). La liquidazione controllata, benché più snella del fallimento, segue molti princìpi analoghi a quest’ultimo, garantendo l’accertamento del passivo (i creditori sono parificati e non possono agire individualmente) e la realizzazione dell’attivo nel modo più efficiente.
- Chiusura ed esdebitazione: al termine delle operazioni di liquidazione, il tribunale dichiara chiusa la procedura. Se si tratta di un debitore persona fisica, la chiusura (o, comunque, il decorso di un certo periodo) dà luogo alla possibilità di essere liberato dai debiti. Il CCII prevede infatti la “esdebitazione di diritto” per il debitore che ha subito la liquidazione controllata. In realtà, “di diritto” è forse improprio: il debitore deve presentare un’istanza (oppure il tribunale provvede d’ufficio dopo 3 anni dall’apertura) e verificare che sussistano i requisiti, dopodiché viene emanato un provvedimento che concede l’esdebitazione. I requisiti sono simili a quelli previsti in passato dall’art. 14-terdecies L.3/2012: il debitore dev’essere stato collaborativo e corretto durante la procedura, non deve aver occultato attivi, deve aver consegnato il ricavato di eventuali sopravvenienze, e non dev’esserci stata alcuna sua condotta fraudolenta o gravemente scorretta. Inoltre, non deve aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale. Se queste condizioni sono soddisfatte, il tribunale concede l’esdebitazione: ciò significa che tutti i debiti residui non soddisfatti nella liquidazione sono cancellati, e il debitore torna libero. Restano esclusi dall’esdebitazione come sempre i debiti di natura personale non eliminabili (alimenti, obblighi di mantenimento, risarcimenti per danni da fatto doloso, multe penali, etc.). Da notare: se il debitore ha provocato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, il giudice potrebbe negare l’esdebitazione per indegnità, anche dopo aver fatto svolgere la liquidazione. In tal caso il debitore rimarrebbe obbligato verso i creditori per l’eventuale insoddisfatto, sebbene questi ultimi abbiano già ricevuto tutto il suo patrimonio disponibile. Questo aspetto è a discrezione del giudice ed è previsto per evitare che chi ha truffato i creditori possa ripulirsi semplicemente svuotando il patrimonio (il “fresh start” è riservato ai debitori onesti ma sfortunati). Ad ogni modo, tranne casi di frode, l’esdebitazione viene solitamente concessa, coerentemente con la finalità della legge di dare sollievo al debitore.
In prospettiva del salvataggio della casa, la liquidazione controllata è chiaramente la via meno adatta: se la casa ha un valore per i creditori, finirà venduta. L’unico scenario in cui il debitore potrebbe conservarla è se nessun creditore ha interesse economico a venderla – ad esempio perché il suo valore è interamente coperto da un mutuo (quindi nessun beneficio per i creditori chirografari) e magari la banca preferisce continuare a ricevere le rate anziché ricavare poco dall’asta. In tal caso, può succedere che il liquidatore e la banca concordino di lasciare la casa fuori dalla liquidazione (la banca procede per conto suo se vuole). Tuttavia, formalmente una volta aperta la liquidazione, la casa è inclusa nell’attivo e il debitore non ne ha più disponibilità; perciò confidare di salvarla in questo contesto è un rischio enorme. Meglio sarebbe, potendo, percorrere un piano o concordato prima che si arrivi alla liquidazione forzosa. Va anche detto che la liquidazione controllata può essere conseguenza di un piano/concordato fallito: come visto, se il piano del consumatore non viene omologato o il concordato minore non ottiene voti, il debitore può chiedere in subordine l’apertura immediata della liquidazione (senza dover depositare un nuovo ricorso). Ciò evita perdita di tempo e consente almeno di puntare all’esdebitazione entro pochi anni.
Esempio pratico: Luca è un ex commerciante sovraindebitato che non possiede alcun bene di valore tranne la propria casa (su cui grava un’ipoteca della banca per mutuo). Ha debiti per €200.000, ma non ha entrate sufficienti per offrire un piano credibile e i creditori (in gran parte finanziarie e fisco) non avrebbero approvato un concordato. Luca opta dunque per la liquidazione controllata volontaria: chiede al tribunale di liquidare il suo patrimonio. La procedura si apre, viene nominato un liquidatore. La casa di Luca viene messa all’asta: poiché c’è un mutuo residuo di €120.000 e la casa vale circa €150.000, dalla vendita forzata si ricavano poniamo €140.000, di cui €120.000 vanno alla banca ipotecaria (che così chiude il mutuo) e i restanti €20.000 sono ripartiti fra gli altri creditori (ottenendo pochi centesimi per euro di credito). Luca deve lasciare l’abitazione una volta venduta e trova una soluzione abitativa diversa. Dopo due anni, la liquidazione si chiude. Luca ha perso la casa e tutti i beni cedibili; tuttavia ottiene dal tribunale l’esdebitazione: i debiti originari – poniamo rimasti insoluti per oltre €180.000 – sono cancellati. Luca è libero dai debiti, sebbene abbia dovuto sacrificare il suo immobile. Qualche anno dopo riesce a ricomprarsi un piccolo appartamento con i risparmi (il nuovo patrimonio post-esdebitazione è al sicuro rispetto ai vecchi creditori). Questo esempio mostra come la liquidazione, pur non salvando la casa, permette comunque di spezzare le catene debitorie; ma è chiaramente la soluzione da considerare solo se non esistono alternative negoziali e se il salvataggio dell’immobile non è più praticabile.
L’esdebitazione del debitore incapiente
Accanto alle tre procedure principali, il Codice della crisi prevede (all’art. 283 CCII) un quarto strumento, del tutto innovativo: l’esdebitazione del debitore incapiente, detta anche esdebitazione a zero. Si tratta di una misura straordinaria pensata per il debitore persona fisica totalmente privo di beni e di reddito, che non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno futura. In altri termini, è una sorta di condono giudiziale per chi si trova in insolvenza gravissima e non possiede nulla da mettere a disposizione. Introdotta in via transitoria nel 2020 e poi confluita nel CCII, questa procedura consente – a certe condizioni rigorose – di cancellare tutti i debiti senza pagare nulla ai creditori. È evidente la portata “sociale” dell’istituto: dare una via d’uscita a chi altrimenti resterebbe indebitato a vita, incentivandolo a tornare un soggetto economicamente attivo e non al margine della società.
- Requisiti per l’accesso: possono chiedere l’esdebitazione incapiente solo le persone fisiche (no società) in stato di sovraindebitamento che siano “incapienti”. Per debitore incapiente la legge intende il debitore meritevole che non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, neppure in prospettiva futura. Quindi i requisiti fondamentali sono: assenza di qualsiasi attivo (niente beni liquidabili né disponibilità di reddito aggredibile) e meritevolezza del debitore. In pratica, devono trattarsi di soggetti che non possono accedere ad alcuna delle altre procedure perché non dispongono neanche del minimo per proporre un piano o per attivare una liquidazione (ad esempio, non potrebbero pagare nemmeno le spese iniziali di procedura). La legge impone inoltre che l’esdebitazione incapiente sia concessa una sola volta nella vita. Sono previste cause ostative analoghe a quelle già viste: non può beneficiarne chi ha già ottenuto esdebitazioni nei 5 anni precedenti (o più di due in totale) né chi ha provocato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave. Inoltre, va da sé che se il debitore possiede anche un solo bene di valore o un reddito pignorabile, non è considerato “incapiente” e dovrebbe piuttosto aprire una liquidazione controllata. Ad esempio, se Tizio ha zero proprietà ma un piccolo stipendio che eccede il minimo vitale, potrebbe offrire quel margine in un piano: difficilmente sarebbe ammesso a esdebitazione a zero, perché qualcosa può dare. L’incapienza deve essere assoluta (es. disoccupato, nessuna proprietà, vive magari di sussidi minimi).
- Procedura di richiesta: il debitore incapiente presenta un ricorso al tribunale chiedendo di essere ammesso al beneficio dell’esdebitazione ex art. 283 CCII. Deve allegare un dettagliato resoconto della propria situazione economica, indicando l’elenco dei creditori, l’origine dei debiti, la totale mancanza di beni e redditi e, se possibile, le ragioni della propria insolvenza. Si allega tipicamente una relazione dell’OCC o di un professionista che attesti la condizione di incapienza. Il tribunale valuta la sussistenza dei presupposti: se accerta che il debitore non possiede nulla (né beni presenti né prospettive di guadagni futuri significativi) e che non vi sono elementi di malafede, può accogliere il ricorso. A differenza delle altre procedure, qui non c’è un patrimonio da gestire né creditori da soddisfare: è un procedimento perlopiù camerale e documentale. I creditori vengono comunque avvisati e possono presentare osservazioni (soprattutto sul punto della meritevolezza: ad es. potrebbero obiettare che il debitore ha sperperato denaro in passato e ora vuole farsi pulire i debiti). Il giudice, esaminate eventuali opposizioni, emette un decreto motivato con cui concede o nega l’esdebitazione. Se la concede, dichiara che tutti i debiti del ricorrente sono cancellati (anche quelli verso il Fisco, le banche, ecc., ad eccezione dei soliti debiti non eliminabili per legge come mantenimenti o risarcimenti per dolo). Effetti immediati: il debitore è immediatamente libero da azioni esecutive per quei debiti pregressi; se c’erano pignoramenti in corso, vengono meno (non c’è più il credito sottostante). Attenzione però: il beneficio è concesso sub condicione. Infatti, per tutelare i creditori, la legge impone che se entro 4 anni dalla concessione dell’esdebitazione il debitore consegue nuove utilità rilevanti (ad es. un’eredità sostanziosa, una vincita, un aumento di reddito notevole), egli ha l’obbligo di segnalarlo al tribunale e tali utilità dovranno essere in parte utilizzate per pagare (pro quota) i vecchi creditori soddisfatti a zero. In pratica: l’esdebitazione è definitiva dopo 4 anni, durante i quali il debitore rimane sotto una sorta di vigile attenzione. Se nei 4 anni post-decreto la sua situazione economica migliora in modo significativo, dovrà “restituire” ai creditori quanto dovuto nei limiti delle nuove capacità. Se invece la sua condizione resta precaria, dopo il quadriennio il beneficio diventa irrevocabile e i creditori non potranno più reclamare nulla.
- Controlli e revoca: il legislatore ha previsto meccanismi per prevenire abusi. Oltre all’obbligo di informare sulle sopravvenienze attive, il debitore beneficiato deve astenersi da comportamenti scorretti. Se ad esempio emergerà che aveva taciuto il possesso di un bene (contravvenendo all’obbligo di veridicità), o che entro i 4 anni dolosamente si è procurato ricchezza senza dichiararla (magari lavorando in nero per non condividere coi creditori), il tribunale potrà revocare l’esdebitazione. Sono previste anche sanzioni penali in caso di dichiarazioni mendaci. Va comunque sottolineato che il debitore incapiente, per definizione, non ha nulla da perdere: se venisse scoperto un bene occultato, non era vero incapiente e rischierebbe non solo la revoca del beneficio ma anche di finire in liquidazione coatta. Quindi l’istituto è calibrato per situazioni genuine di indigenza.
- Rapporto con le altre procedure: l’esdebitazione incapiente è pensata come ultima spiaggia. Non è necessario passare prima dalla liquidazione controllata (anzi, per definizione non ce ne sarebbe materia), e non c’è distribuzione ai creditori. È un provvedimento che incide sul rapporto obbligatorio eliminando il debito senza soddisfazione. Proprio per questo è circondato da molte cautele: ad esempio, il legislatore nel 2024 ha istituito un Fondo nazionale per i debitori incapienti (Legge di Bilancio 2024) volto a coprire i costi procedurali (come compensi OCC) di queste operazioni, altrimenti a carico dello Stato. Ciò evidenzia come lo Stato consideri di interesse pubblico agevolare tali esdebitazioni, affinché persone sovraindebitate senza colpa possano tornare a contribuire all’economia legale invece di rimanere sommerse dai debiti. Un debitore incapiente non paga nulla ai creditori – è un sacrificio per questi ultimi che viene giustificato solo in situazioni limite e una tantum. Se un soggetto fosse recidivo (due esdebitazioni già avute), non gli sarebbe concesso di nuovo.
Dal punto di vista del debitore, ottenere l’esdebitazione da incapienza significa ripartire da zero sul piano finanziario, pur partendo già da zero sul piano patrimoniale. Non tutti i debiti sono sanabili: restano esclusi, come detto, quelli per obblighi di mantenimento, e restano ovviamente in piedi eventuali sanzioni penali pecuniarie (che non possono essere condonate tramite procedure concorsuali). Inoltre, va chiarito che se il debitore incapiente è proprietario della casa in cui abita – caso raro ma possibile se ad esempio la casa è gravata da ipoteca così pesante da non avere equity – non può ottenere l’esdebitazione senza liquidare quella casa. Infatti, l’art. 283 CCII parla di assenza di utilità, “nemmeno futura”: un immobile, anche se attualmente con valore netto nullo, è comunque un’attività che in futuro potrebbe generare utilità (ad esempio se si libera dall’ipoteca o il mercato sale). Per cui la presenza di una casa di proprietà esclude lo stato di incapienza integrale. Diverso è il caso di chi possiede solo beni di valore trascurabile (mobili usati, effetti personali): questi non contano come utilità realizzabili e non ostano al beneficio (non si costringe certo a liquidare l’armadio o la vecchia auto se tanto non risolvono nulla per i creditori). In sintesi, l’incapiente tipico è colui che non ha immobili, non ha risparmi, non ha redditi stabili, e i cui debiti sono magari derivati da garanzie prestate o da eventi sfortunati (fallimento di un’attività, spese mediche, ecc.).
Esempio pratico: Giuseppe aveva avviato un’attività poi fallita; si ritrova con €250.000 di debiti personali (fideiussioni bancarie, debiti verso fornitori, ecc.) e nessun bene intestato (vive in affitto, l’auto gli è stata pignorata, nessun conto in attivo) e attualmente è disoccupato cinquantenne, mantenuto in parte dai parenti. Giuseppe non possiede nulla da liquidare e nessun reddito per offrire un piano, ma è stato sostanzialmente sfortunato più che colpevole (ha chiuso per crisi di mercato, non per frodi). Nel 2025 Giuseppe può ricorrere all’esdebitazione dell’incapiente: presenta domanda al tribunale, che accerta l’assenza totale di patrimonio aggredibile e la buona fede (Giuseppe ha documentato il fallimento dell’impresa e il fatto che lui stesso ha perso tutto). Il tribunale cancella tutti i suoi debiti con decreto. I creditori (banche, fornitori) devono rinunciare definitivamente a qualsiasi pretesa nei suoi confronti. Giuseppe potrà ricominciare a lavorare senza la paura che il primo stipendio gli venga subito pignorato per vecchi debiti. Se entro 4 anni dovesse, poniamo, trovare un ottimo lavoro che gli frutta entrate elevate, dovrà comunicare al giudice le sue nuove disponibilità: verosimilmente potrebbe essere chiamato a versare qualcosa ai vecchi creditori, ad esempio una parte del surplus di reddito rispetto al necessario, ma comunque entro il limite massimo di quanto deve. Trascorsi 4 anni senza miglioramenti economici rilevanti, l’esdebitazione diventerà definitiva e Giuseppe sarà libero da vincoli. In questo esempio, non c’era alcuna casa da salvare: Giuseppe l’aveva già perduta col fallimento dell’attività. Tuttavia, l’esdebitazione incapiente gli evita di restare perseguitato a vita per debiti che non avrebbe mai potuto pagare, dandogli la chance di ricostruirsi una stabilità (magari un domani potrà comprare un piccolo appartamento con un mutuo, cosa impossibile se avesse ancora le segnalazioni dei debiti pregressi in sospeso).
Come bloccare pignoramenti e vendite all’asta in corso
Uno degli obiettivi immediati per chi vuole “salvare la casa” è sospendere un’eventuale esecuzione immobiliare già avviata dai creditori. Come visto nelle singole procedure, il sovraindebitamento offre strumenti per bloccare i pignoramenti e le aste, ma con modalità e tempi diversi a seconda del caso:
- Deposito della domanda e misure protettive: né il piano del consumatore né il concordato minore prevedono uno stop automatico delle esecuzioni al solo presentarsi del debitore in tribunale. È necessario che il debitore formuli un’istanza di sospensione al giudice della crisi, motivandola. Il giudice, con il decreto di apertura/fissazione udienza, può concedere la sospensione delle procedure esecutive pendenti che rischiano di pregiudicare la fattibilità del piano. Questa sospensione è selettiva: riguarda solo le esecuzioni indicate dal debitore che incidono sul patrimonio oggetto del piano. Ad esempio, se è in corso il pignoramento della casa, il debitore indicherà quello; se c’è anche un pignoramento di stipendio ma che viene comunque previsto nel piano, potrebbe anche non chiederne la sospensione. Il giudice valuta caso per caso e decide. Importante: finché il giudice del sovraindebitamento non si pronuncia, il debitore non può chiedere al giudice dell’esecuzione di sospendere l’asta solo sulla base della domanda di sovraindebitamento. Non esiste infatti una norma che consenta al giudice dell’esecuzione di sospendere il processo esecutivo pendente semplicemente perché è stata depositata una proposta di piano. La giurisprudenza maggioritaria esclude questa “sospensione atipica” – salvo che ovviamente arrivi il provvedimento esplicito del giudice concorsuale. Ciò significa che il tempismo è fondamentale: il debitore deve attivarsi per tempo. Se l’asta è imminente, come nel caso visto del Tribunale di Lodi, serve depositare il piano almeno qualche settimana prima e sollecitare il provvedimento di sospensione urgente. In assenza di provvedimento, l’asta si terrà regolarmente. Dunque, per bloccare un pignoramento in corso occorre: preparare rapidamente un ricorso ben fatto, depositarlo chiedendo la sospensione, e notificare tempestivamente l’eventuale decreto di sospensione al Giudice dell’Esecuzione (il quale, ricevuto l’ordine del giudice concorsuale, prende atto e sospende la vendita). Se la sospensione viene negata, è possibile fare reclamo al tribunale collegiale entro 10 giorni, ma ciò potrebbe non evitare che intanto l’asta si compia.
- Sospensione automatica post-omologazione: sia nel piano del consumatore che nel concordato minore (e nella liquidazione), dal momento in cui il provvedimento di omologazione/div apertura diventa definitivo, le azioni esecutive individuali sono vietate per legge. In particolare, nell’art. 12-ter della vecchia legge (ora trasfuso nelle norme del CCII) si stabilisce che dall’omologazione del piano i creditori anteriori non possono iniziare né proseguire esecuzioni o cautelari. Quindi, se anche un pignoramento era pendente e magari per qualche motivo non era stato sospeso prima, con l’omologa esso non può più andare avanti: tutti i beni sono “congelati” nella procedura. Ovviamente, se un’asta si è già tenuta e il bene è stato aggiudicato prima dell’omologa, quella vendita rimane valida (gli atti esecutivi compiuti prima non sono travolti dalla successiva sospensione). Ma per fortuna spesso le procedure concorsuali arrivano in tempo per bloccare le vendite future: ad esempio, se la casa era pignorata ma l’asta ancora non c’era stata, l’omologa del piano la impedirà definitivamente.
- Esecuzioni e liquidazione controllata: come già sottolineato, l’apertura della liquidazione controllata comporta il blocco delle esecuzioni da parte dei creditori ordinari, ma non frena la banca fondiaria. Quindi se il nostro scopo è evitare che la banca venda la casa, non possiamo fare affidamento sulla liquidazione. Conviene tentare un piano o concordato. Solo se questi falliscono e la casa è comunque destinata a perdersi, la liquidazione sarà l’approdo inevitabile ma a quel punto la vendita è praticamente certa (gestita o dal liquidatore o dalla banca stessa).
- Chiusura delle procedure esecutive: quando un piano/concordato è omologato o una liquidazione si apre, occorre comunicare formalmente agli eventuali ufficiali giudiziari o tribunali delle esecuzioni l’esistenza di tale provvedimento. Il giudice dell’esecuzione, preso atto dell’omologa o del decreto di apertura con divieto di prosecuzione, dichiara estinto o sospeso il procedimento esecutivo in corso. Tecnicamente, il provvedimento concorsuale non “annulla” quanto già fatto (ad es. un pignoramento già trascritto rimane, ma diventa inefficace per il futuro), però impedisce qualsiasi ulteriore atto esecutivo. I creditori dovranno presentare le loro pretese nella procedura concorsuale invece che proseguire in proprio.
- Caso di più debitori (coobbligati): attenzione, il blocco delle azioni esecutive riguarda il patrimonio del debitore sovraindebitato che accede alla procedura. Se per esempio il debito riguarda più coobbligati (es. marito e moglie entrambi debitori sul mutuo), ma solo uno presenta il piano, la banca potrà concentrare l’azione esecutiva sull’altro coobbligato rimasto fuori. In simili situazioni, conviene far accedere congiuntamente entrambi i condebitori ad una procedura (il CCII consente i piani familiari o procedure connesse in caso di sovraindebitamento di membri dello stesso nucleo familiare, art. 66 CCII). In tal modo il blocco si estende a entrambi. Se invece uno rimane escluso, i creditori potranno rivalersi su di lui per l’intero importo (salva la successiva possibilità per quel condebitore di rivalersi a sua volta, il che però può condurre a circoli viziosi). Il punto è: per proteggere un bene in comunione o un debito cointestato, l’approccio di squadra è preferibile.
In conclusione, bloccare pignoramenti e aste tramite il sovraindebitamento è possibile ma richiede tempestività e completezza: il debitore deve arrivare prima che il danno sia irreparabile (ossia prima che l’asta si tenga) e presentare un piano credibile. La legge fornisce la sponda legale per fermare le esecuzioni, ma sta alla diligenza del debitore e del suo legale sfruttarla bene.
D’altro canto, i creditori – specialmente le banche – non restano del tutto privi di tutela: come abbiamo visto, certe normative (es. il privilegio fondiario) permettono loro di agire comunque in liquidazione; inoltre, se il piano non dà sufficienti garanzie, il giudice può negare la sospensione preventiva. La recente giurisprudenza appare comunque orientata a favorire la composizione della crisi: ad esempio, il Tribunale di Lodi 2024 ha mostrato un approccio “problem solving”, collaborativo nel dare al debitore una chance all’ultimo momento. Ma altri tribunali potrebbero essere più rigorosi.
Consiglio pratico: se la casa è già pignorata e l’asta fissata, occorre agire immediatamente: preparare un ricorso ben articolato, contattare l’OCC senza indugio, eventualmente informare il giudice dell’esecuzione che è in corso la procedura di sovraindebitamento (anche se non può formalmente sospendere senza provvedimento, almeno sarà più cauto nel portare avanti la vendita). Nei limiti del possibile, è meglio non arrivare all’ultimo minuto: l’ideale è muoversi quando iniziano i primi pignoramenti, così da avere il tempo di elaborare con calma la soluzione più adatta (piano o concordato) e ottenere la sospensione prima che compaia un aggiudicatario.
Domande frequenti (FAQ) sul sovraindebitamento e la casa
Di seguito rispondiamo ad alcuni quesiti frequenti in materia di sovraindebitamento, con un focus sulla tutela dell’abitazione e sui diritti del debitore.
D: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento?
R: Possono accedere tutte le persone fisiche (consumatori, professionisti, imprenditori minori) e anche alcuni enti non fallibili (es. start-up innovative) che si trovino in stato di sovraindebitamento, ossia incapaci di pagare regolarmente i debiti. Le procedure sono calibrate a seconda del soggetto: il piano del consumatore è solo per la persona fisica “consumatore” (debiti personali, non d’impresa); il concordato minore per debitori non consumatori (piccole imprese, ditte individuali, professionisti); la liquidazione controllata per qualsiasi debitore sovraindebitato (è la soluzione residuale per tutti). Inoltre esiste l’esdebitazione incapiente per la persona fisica che non ha beni né redditi da offrire. Sono esclusi invece i soggetti assoggettabili alle procedure concorsuali maggiori (società o imprese di dimensioni medio-grandi, che devono ricorrere a concordato preventivo, ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, liquidazione giudiziale, ecc.). In più, singole situazioni personali possono precludere l’accesso (ad es. aver già ottenuto una esdebitazione di recente, o aver causato i debiti con frode), come dettagliato in precedenza.
D: Cosa si intende per stato di sovraindebitamento?
R: È la condizione di insolvenza o crisi del debitore non fallibile, in cui i debiti superano la capacità di pagarli nei tempi previsti. La legge lo definisce come la situazione in cui il debitore non è in grado di far fronte alle obbligazioni con mezzi ordinari e i flussi di cassa prospettici dei prossimi 12 mesi sono insufficienti. In pratica, se una persona non paga più mutuo, bollette, finanziamenti ed è sommersa di arretrati senza prospettiva concreta di rientro, si trova in sovraindebitamento. Non occorre essere nullatenenti: basta l’incapacità strutturale di adempiere (anche se ha un patrimonio, magari è illiquido). Ad esempio, una famiglia con una casa ma nessun reddito e molti debiti è sovraindebitata. Il concetto include sia la crisi temporanea sia l’insolvenza conclamata.
D: Qual è la differenza tra Piano del consumatore e Concordato minore?
R: Riassumendo, il piano del consumatore è unilaterale (non richiede il voto dei creditori) ed è riservato alle persone fisiche con debiti da consumatore. Viene omologato dal giudice se equo e fattibile, valutando anche la meritevolezza del debitore. Il concordato minore, invece, è negoziale: coinvolge i creditori che devono approvarlo a maggioranza (oltre il 50% dei crediti). È rivolto a imprenditori minori, professionisti e in generale debitori non consumatori. Nel piano del consumatore non c’è voto ma solo eventuali opposizioni; nel concordato minore c’è il voto scritto e l’omologazione dipende anche dal raggiungimento del quorum (salvo cram-down su fisco come spiegato). Entrambi congelano le azioni esecutive e portano all’esdebitazione finale se completati, ma il piano del consumatore consente molta flessibilità (anche trattamenti differenziati tra creditori), mentre il concordato minore richiede di convincere una platea di creditori (quindi di norma offrire condizioni appetibili in generale). In sintesi: piano del consumatore = solo per consumatori, deciso dal giudice, nessun voto creditori; concordato minore = per debitori “business” o misti, deciso dai creditori a maggioranza + giudice.
D: Le procedure di sovraindebitamento coprono anche i debiti fiscali e con l’Agenzia delle Entrate?
R: Sì, tutte le procedure (piano, concordato, liquidazione) possono includere i debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali. I debiti tributari sono trattati come crediti privilegiati (per la parte di imposte con privilegio) o chirografari (sanzioni e interessi, o imposte prive di privilegio) e possono subire stralci o dilazioni come gli altri, nei limiti della convenienza rispetto alla liquidazione. Un vincolo è che l’IVA e le ritenute non versate devono essere soddisfatte almeno al 20% (nelle procedure concorsuali maggiori c’è questo obbligo; nel sovraindebitamento, se il piano offrisse meno, il giudice potrebbe rifiutare l’omologa per non conformità alla direttiva UE). Comunque è possibile proporre, ad esempio, di pagare solo una parte delle cartelle esattoriali: se ciò è più di quanto lo Stato incasserebbe pignorando i beni, il piano/concordato potrà essere omologato anche senza adesione dell’Erario. Nella liquidazione controllata, i debiti fiscali concorrono con gli altri e ricevono quanto ottenuto dalla vendita dei beni secondo l’ordine dei privilegi (lo Stato di solito ha privilegi su beni mobili e immobili per imposte come IMU, IVA, IRPEF, fino a capienza). Dopo l’esdebitazione, anche il debito fiscale residuo viene cancellato, tranne eventuali multe penali o somme assimilate a sanzioni non condonabili. Quindi, il sovraindebitamento è uno strumento utilizzabile anche per debiti con Agenzia Entrate Riscossione, che spesso sono i più ingenti nei casi reali.
D: Posso salvare la prima casa dal pignoramento?
R: Sì, è possibile. Le procedure di sovraindebitamento sono state spesso utilizzate proprio per evitare la vendita all’asta della casa di abitazione. In particolare, con un piano del consumatore il debitore può mantenere la casa se prevede di continuare a pagare il mutuo (o di soddisfare l’eventuale creditore ipotecario in modo concordato). Il giudice di norma non impone la vendita della prima casa se il piano offre un’alternativa ragionevole e non penalizzante per i creditori. Anche nel concordato minore ora vi è una norma ad hoc che consente di proseguire il mutuo sulla casa principale senza liquidarla, se ciò non lede gli altri creditori. Quindi, sia consumatori che piccoli imprenditori possono strutturare la proposta in modo da tenere l’abitazione. Il presupposto è che la casa sia già gravata da ipoteca (mutuo) e che il suo valore di mercato sia coperto in gran parte dal credito della banca: in tal caso gli altri creditori non avrebbero comunque vantaggio dalla vendita forzata dell’immobile, per cui lasciare la casa al debitore e proseguire il pagamento del mutuo non li danneggia. Se invece la casa è libera da ipoteche o vale molto di più del mutuo residuo, allora i creditori potrebbero pretendere di liquidarla per ricavare il surplus: in un simile scenario il giudice difficilmente approverebbe un piano che lascia intatta la casa a scapito dei creditori chirografari (bisognerebbe forse prevedere la vendita o la messa a reddito). In liquidazione controllata, come detto, non c’è modo di proteggere la casa: verrà venduta. Quindi la strada maestra per salvare l’immobile è presentare un piano o concordato prima che la casa venga aggiudicata all’asta o coinvolta definitivamente in una liquidazione. In molti casi reali, il piano del consumatore ha consentito al debitore di tenere la casa e continuare a viverci, pagando progressivamente i creditori secondo le sue possibilità.
D: Presentare la domanda di sovraindebitamento sospende automaticamente il pignoramento della casa?
R: No, non in automatico. La sola presentazione del ricorso non comporta la sospensione immediata delle esecuzioni. È necessaria una decisione del giudice della crisi che accordi le misure protettive (sospensione) su richiesta del debitore. Pertanto, depositato il ricorso, occorre sollecitare il giudice a emettere un decreto che blocchi i pignoramenti pendenti (indicati nominativamente nell’istanza). Fino a quando il giudice non firma tale provvedimento, il creditore procedente può teoricamente andare avanti. Non c’è una norma che consenta al debitore di ottenere una sospensione “automatica” dal giudice dell’esecuzione solo mostrando la ricevuta di deposito della domanda – bisogna attendere il provvedimento del giudice concorsuale. In pratica però molti tribunali riescono a intervenire rapidamente se vedono che c’è un’asta imminente e un piano plausibile: come nel caso citato, il giudice di Lodi ha ammesso il piano e sospeso l’esecuzione la mattina stessa dell’asta. Questo dipende dalla celerità sia del tribunale che del professionista che presenta l’istanza. Dunque de facto conviene agire contestualmente su due fronti: fare la richiesta al giudice concorsuale e informare subito il giudice dell’esecuzione che è in corso la procedura (in qualche caso il GE potrebbe rinviare l’asta di qualche settimana in attesa, pur senza un obbligo di legge). Dopo l’omologazione invece il blocco è totale e automatico: omologato il piano, il pignoramento non può più proseguire e dev’essere chiuso. Ma arrivare all’omologa richiede tempo (mesi), mentre la sospensione cautelare può scattare subito con il decreto di ammissione.
D: Che succede se ho già in corso una procedura esecutiva immobiliare e il giudice non sospende il pignoramento?
R: Potrebbe accadere che il giudice del sovraindebitamento ritenga di non sospendere l’esecuzione (ad esempio, se giudica il piano manifestamente inammissibile o se il pregiudizio per i creditori sarebbe maggiore a sospendere). In tal caso, purtroppo, la procedura esecutiva può andare avanti. Il debitore può proporre reclamo contro il diniego di sospensione entro 10 giorni, ma se nel frattempo l’asta viene celebrata e la casa aggiudicata, sarà difficile tornare indietro. Se l’omologazione del piano arriva dopo la vendita ma prima del decreto di trasferimento, qualche spiraglio giuridico potrebbe esserci (ad es. sostenere che il trasferimento non vada emesso perché i creditori sono soddisfatti nel piano), ma è un terreno incerto e conflittuale. In genere, se la sospensione non è concessa e si prospetta la vendita, il debitore potrebbe considerare di rinunciare alla procedura di sovraindebitamento prima che si compia inutilmente (magari tentare altre strade, come vendere la casa privatamente a un prezzo migliore e poi procedere a un concordato con liquidazione di quel ricavato – strategia alternativa). Ogni caso è a sé, ma è fondamentale la valutazione iniziale: se il piano ha solide basi e il pregiudizio nel lasciare la vendita è evidente (di solito la vendita all’asta produce ricavi minori per tutti), di regola la sospensione viene data. Statisticamente, la maggior parte dei tribunali concede la sospensione richieste nei piani del consumatore, salvo situazioni di abuso. Se proprio ciò non avviene, rimane come ultima risorsa chiedere un termine al giudice dell’esecuzione ex art. 624-bis c.p.c. (sospensione concordata con i creditori, che se intravedono la possibilità di una maggior soddisfazione col piano potrebbero acconsentire). È una evenienza rara ma da non escludere: ad esempio, l’istituto di credito procedente potrebbe essere persuaso a chiedere un rinvio dell’asta se vede che il debitore sta seriamente procedendo col piano.
D: Cosa succede se, dopo l’omologazione del piano/concordato, non riesco a pagare le rate previste?
R: Se il debitore non adempie agli obblighi del piano omologato o del concordato, possono aprirsi due scenari. Nel piano del consumatore, non essendoci i creditori di mezzo in decisioni, sarà il tribunale su istanza dei creditori (o d’ufficio) a dichiarare la risoluzione del piano per inadempimento. La risoluzione comporta che cessano gli effetti dell’omologazione: i creditori riacquisiscono il diritto di agire individualmente per l’intero importo originario (deducendo eventualmente quanto hanno ricevuto). Cioè i debiti “resuscitano” e i creditori possono pignorare nuovamente i beni. Nel concordato minore, similmente, se il debitore non esegue il piano, i creditori possono chiedere la risoluzione e il tribunale la pronuncia, con effetti analoghi (revoca della protezione e possibilità di aprire una liquidazione su istanza di parte). Pertanto l’inadempimento grave vanifica tutti i benefici: la casa potrebbe tornare pignorabile, i debiti tornano esigibili per intero. Esiste però la possibilità, talvolta, di modificare il piano in corsa (soprattutto nel concordato minore) se emergono difficoltà sopravvenute ma temporanee: ad esempio il debitore potrebbe chiedere al giudice di approvare una modifica del piano per allungare i termini di qualche mese, con consenso dell’OCC e magari dei creditori. Questo per evitare una risoluzione formale. Tuttavia la legge non disciplina chiaramente modifiche post-omologa nelle procedure minori (lo fa per il concordato preventivo maggiore ma non qui esplicitamente, anche se qualche tribunale lo ha ammesso in via analogica). In ogni caso, l’impegno di pagamento preso nel piano va rispettato rigorosamente. Un lieve ritardo o un inadempimento di importo marginale spesso non porta subito alla risoluzione – i giudici tendono a dare un minimo di elasticità se vedono buona fede. Ma se il debitore non ce la fa proprio, è bene che lo segnali all’OCC o al giudice prima che la situazione precipiti. Può valutare, in extrema ratio, di convertire la procedura in una liquidazione controllata: la legge consente infatti, su richiesta del debitore, che in caso di fallimento del piano/concordato si passi alla liquidazione del patrimonio. Così i creditori saranno comunque soddisfatti con quel che c’è e il debitore potrà ottenere almeno l’esdebitazione. Certo, a quel punto la casa verrebbe presumibilmente venduta. Quindi l’obiettivo primario dev’essere proporre un piano realistico, con margine di sicurezza, per evitare di incorrere nell’inadempimento.
D: Quali debiti non vengono cancellati dall’esdebitazione?
R: In tutte le procedure, anche dopo l’esdebitazione, permangono alcuni debiti che per legge non possono essere condonati. Si tratta principalmente di: obblighi alimentari e di mantenimento (es. assegni dovuti all’ex coniuge o ai figli), debiti da risarcimento danni per fatti illeciti derivanti da dolo (es. se il debitore deve risarcire un danno per truffa o lesioni volontarie, quel debito non viene perdonato), multe, ammende e sanzioni penali (che lo Stato vuole rimangano, trattandosi di pena pecuniaria). Queste categorie restano escluse dall’esdebitazione automatica. Inoltre non sono mai toccati dalla procedura gli debiti verso eventuali fideiussori o coobbligati: mi spiego, se Tizio viene esdebitato dal suo debito verso la Banca X, un fideiussore Caio che aveva garantito Tizio rimane obbligato per intero verso la banca (l’esdebitazione libera solo Tizio). L’eventuale codebitore potrà a sua volta tentare una procedura per liberarsi, ma la banca potrà agire nei suoi confronti separatamente. In generale, l’esdebitazione rimuove i debiti civili e commerciali tipici (prestiti, mutui, fatture, tasse, ecc.), ma non cancella doveri personali come gli alimenti né punizioni pecuniarie.
D: Quante volte si può beneficiare di una procedura di sovraindebitamento?
R: La legge mira ad evitare che la gente vi ricorra in modo reiterato. Perciò sono state inserite delle limitazioni temporali. In particolare, se il debitore ha già ottenuto una esdebitazione (liberazione dai debiti) da meno di 5 anni, non può accedere a una nuova procedura che gliene conceda un’altra. Inoltre, a prescindere dal tempo, non può ottenere più di due esdebitazioni nella vita. Questo vale sia che l’esdebitazione precedente sia avvenuta dopo liquidazione, sia a seguito di piano/concordato, sia l’esdebitazione “incapiente”. Ad esempio, se una persona ha fatto un piano del consumatore nel 2020 e ha avuto l’esdebitazione nel 2024, non potrà presentare un nuovo piano prima del 2029 (5 anni dopo). Se l’avesse fatto due volte già, la terza gli sarebbe preclusa. Queste restrizioni servono a scongiurare abusi del tipo “faccio debiti, li cancello, poi li rifaccio”. Naturalmente, nulla vieta di aprire una seconda procedura prima di aver avuto esdebitazione: il divieto è sull’esdebitazione pregressa. Se uno ha fatto un concordato minore ma non ha portato a esdebitazione perché è stato risolto, potrebbe riprovarci con un altro concordato (salvo valutazione del giudice sulla buona fede). Ma ottenere il beneficio di legge più di due volte è impossibile. In pratica, la norma vuole che il debitore abbia al massimo due “nuove partenze” nella vita, e comunque non ravvicinate. Per l’esdebitazione del debitore incapiente, addirittura è una tantum: solo una volta mai più. Quindi è un jolly da giocare bene.
D: Che ruolo ha l’OCC e come si individua?
R: L’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) è un ente terzo preposto ad assistere il debitore e a svolgere le attività ausiliarie nella procedura. Gli OCC sono istituiti presso Ordini professionali, Camere di Commercio o enti pubblici; ogni tribunale ha un elenco di OCC abilitati. Quando il debitore decide di avviare la procedura, di solito deve rivolgersi a un OCC competente per territorio (ad esempio, nel circondario del proprio tribunale). L’OCC nomina un gestore della crisi, tipicamente un professionista (commercialista, avvocato, consulente) esperto in materia, che seguirà il caso. Il ruolo dell’OCC/gestore è: aiutare a raccogliere i dati e redigere la proposta di piano/concordato, elaborare la relazione particolareggiata (documento obbligatorio che descrive cause dell’indebitamento, condotta del debitore, analisi della fattibilità), svolgere le comunicazioni ai creditori, raccogliere i voti (nel concordato), controllare il rispetto del piano omologato nel tempo e riferire al giudice eventuali problematiche. Insomma, è un organo di ausilio tecnico sia per il debitore (lo aiuta materialmente a predisporre il piano) sia per il tribunale (garantisce un monitoraggio e una professionalità nel gestire la crisi). Il compenso dell’OCC è stabilito dal giudice in base a parametri ministeriali ed è a carico del debitore, ma può essere pagato nell’ambito del piano stesso (dilazionato) o, se il debitore è incapiente, viene coperto dal Fondo statale istituito di recente. Quindi il costo non deve spaventare: se la procedura va avanti, è prevista la maniera di retribuire l’OCC senza oneri immediati insostenibili per il debitore. È importante contattare un OCC appena si decide di intraprendere la procedura, perché senza la relazione OCC non si può presentare il ricorso. Molti OCC offrono una prima consulenza e poi nominano il gestore che lavorerà con il debitore e magari con il suo avvocato nel formulare la proposta ottimale.
D: I creditori possono opporsi? Possono far fallire la procedura?
R: Dipende dal tipo di procedura. Nel piano del consumatore, i creditori non votano e non hanno un vero potere di veto, ma possono presentare opposizione all’omologazione se ritengono che il piano li danneggi ingiustamente o sia viziato (es. perché il debitore ha tenuto comportamenti maliziosi). Il giudice valuterà queste opposizioni e, se le ritiene fondate (ad esempio perché effettivamente il piano non rispetta il criterio di offrire almeno quanto la liquidazione), potrà non omologare. Ma se il piano è equo, i creditori non possono impedirlo solo perché non vogliono la decurtazione: il loro dissenso “di convenienza” viene superato dal giudice, salvo il caso limite di convenienza negativa (piano peggiorativo rispetto all’alternativa). Quindi in sintesi, nel piano del consumatore i creditori non possono “bocciare” il piano, ma solo sollevare obiezioni tecniche o di abuso. Nel concordato minore, invece, i creditori votano e se non si raggiunge la maggioranza richiesta la procedura non viene omologata. Quindi qui i creditori hanno un ruolo attivo: una maggioranza può far fallire la proposta. Tuttavia, come visto, se a dire di no sono solo l’Erario o enti pubblici, il tribunale può omologare lo stesso se la proposta è conveniente per loro. Ma se a non aderire è la maggioranza dei creditori privati, non c’è omologa possibile. Dunque nel concordato minore i creditori possono bloccare la procedura negando la loro adesione (eccetto l’ipotesi di cram-down fiscale). Nella liquidazione controllata, i creditori non possono opporsi all’apertura (possono chiederla loro stessi anzi) – essendo una procedura per loro vantaggiosa in teoria, non avrebbero ragione di farlo. Potranno contestare semmai la successiva esdebitazione se ritengono il debitore indegno, ma la liquidazione in sé avviene anche senza il loro consenso. Nell’esdebitazione incapiente, i creditori possono presentare osservazioni al giudice, ad esempio per contestare la meritevolezza: se convincono il giudice che il debitore sta abusando (es. aveva risorse che ha di recente regalato per apparire nullatenente), il giudice rigetterà l’istanza e quindi in pratica i creditori avranno “vinto”. Ma se non vi sono tali elementi, i creditori subiscono la decisione. In generale, quindi, i creditori hanno più peso nel concordato minore (voto decisivo), ne hanno meno nel piano del consumatore (solo opposizioni giudiziarie), e non ne hanno affatto nella liquidazione volontaria (che possono anzi provocare loro) né nell’esdebitazione incapiente (possono solo segnalare malafede).
D: È vero che con il sovraindebitamento i debiti vengono cancellati al 100%?
R: No, attenzione: il sovraindebitamento non è un condono integrale senza condizioni, tranne che nel caso particolare dell’incapiente onesto. Nelle procedure standard, i debiti vengono ridotti e ristrutturati, e l’eventuale parte non pagata viene cancellata solo a fine procedura e solo se il debitore ha rispettato tutto quanto doveva. Ciò significa che il debitore paga comunque una parte dei debiti – quanta parte dipende dalla sua situazione. Può essere anche bassa (es. 10-20%) se il patrimonio/income è modesto, ma raramente è zero. L’idea è che i creditori ottengono il massimo possibile compatibilmente con la dignità e il rilancio del debitore. Ad esempio, se uno ha un reddito disponibile di €300 al mese, potrà pagare circa €18.000 in 5 anni e quella sarà la percentuale disponibile per i creditori; il resto verrà cancellato. Ma se uno ha un reddito maggiore, pagherà di più. Insomma, il beneficio per il debitore c’è, ma non è regalato: occorre o pagare una quota (piano/concordato) o liquidare i beni (liquidazione) o dimostrare assoluta indigenza (incapiente) per avere lo fresh start. Chi promette cancellazioni miracolose al 100% senza esborso alcuno (salvo i casi di autentica miseria) non rappresenta correttamente la legge. In alcuni casi, certo, la percentuale effettivamente pagata può essere minima. Ad esempio, con la liquidazione se il patrimonio è molto inferiore ai debiti, i creditori recupereranno magari un 5-10% e il restante 90-95% sarà cancellato. Ma ciò avviene dopo aver venduto tutto. Con un piano, se i creditori accettano, potrebbe succedere di stralciare un’ampia fetta di debito. Ad esempio, accordarsi per pagare solo il 30% con un immobile da vendere e poi stop. Ciò significa il 70% cancellato. Esdebitazione significa proprio che il residuo non pagato viene perdonato. Quindi il 100% di cancellazione accade solo se il debitore non aveva effettivamente niente da dare (incapiente). Negli altri casi si parla più realisticamente di riduzione consistente del debito, proporzionata alle risorse del debitore.
D: Quali benefici concreti trae il debitore sovraindebitato, oltre alla protezione della casa?
R: I benefici sono molteplici:
- Sospensione delle azioni legali: niente più telefonate di recupero crediti, niente pignoramenti sul conto o stipendio, blocco delle procedure esecutive in essere (come visto, previa ammissione).
- Riduzione dell’importo dovuto: il debitore paga solo quanto stabilito nel piano o quanto si ricava dalla liquidazione. Le somme rimanenti dei debiti originari vengono condonate. Esempio: debito totale €100k, piano prevede pagamento €30k – se eseguito, €70k vengono annullati.
- Rateizzazione sostenibile: nel piano, i pagamenti vengono calibrati sulle reali capacità al netto delle spese familiari. La legge impone di tenere conto delle esigenze di vita dignitosa del debitore, dunque la rata del piano sarà commisurata al reddito disponibile. Non ci si riduce alla fame per pagare.
- Unico interlocutore: invece di dover trattare con decine di creditori e gestire mille scadenze, la procedura permette di unificare il debito in un unico contesto giudiziale. Il debitore fa i pagamenti predisposti (spesso su un conto gestito dall’OCC) e poi l’OCC/liquidatore li distribuisce ai creditori secondo le regole. Questo toglie stress gestionale e azzera gli interessi di mora futuri (dal momento dell’ammissione, gli interessi cessano di maturare, salvo forse quelli dei crediti ipotecari entro il valore del bene in alcuni casi).
- Sospensione delle procedure concorsuali maggiori: se un creditore avesse chiesto il fallimento (liquidazione giudiziale) di un imprenditore minore per errore, l’apertura della procedura minore la prevale. Ma in realtà un imprenditore minore non può essere dichiarato fallito in primis, quindi il punto è che grazie al sovraindebitamento il debitore evita di dover “scappare” da esecuzioni plurime e ottiene un percorso ordinato e sotto controllo giudice per risolvere la crisi.
- Cancellazione dalle banche dati: dopo la conclusione della procedura e l’esdebitazione, il debitore può ottenere la riabilitazione anche nei confronti delle centrali rischi e CRIF. I segnalazioni di insolvenza pregresse vengono rimosse o annotate come soddisfatte per procedura concorsuale. Questo permette in futuro di riavere accesso al credito (con cautela). Non è automatico e immediato, ma con la documentazione di esdebitazione si può far aggiornare il proprio profilo creditizio.
- Sollievo psicologico e sociale: uscire dall’ansia dei debiti impagabili, poter risollevarsi e magari investire in una nuova attività senza la spada di Damocle dei pignoramenti arretrati è forse il beneficio più grande. È l’essenza del fresh start, riconosciuta come fondamentale anche a livello europeo.
D: Cosa sono le “procedure familiari” nel sovraindebitamento?
R: Il CCII all’art. 66 prevede che più membri della stessa famiglia sovraindebitati possano presentare un’unica procedura familiare, se lo stato di crisi ha un’origine comune. Ad esempio marito e moglie entrambi indebitati (magari per mutuo cointestato, finanziamenti fatti insieme) possono proporre un piano comune o concordati coordinati. Ciò consente di ridurre costi e trattare la famiglia come un tutt’uno. Il piano familiare è essenzialmente un piano del consumatore congiunto per coniugi o conviventi, oppure un concordato minore congiunto se entrambi sono coimprenditori, ecc. Il correttivo 2024 ha chiarito che se nella famiglia uno è consumatore e l’altro ha debiti d’impresa (debiti misti), la procedura da utilizzare sarà quella unitaria non-consumeristica (concordato minore), per attrazione. Quindi non si spezzano in due procedure separate, ma si fa un concordato minore familiare, salvaguardando comunque la posizione del membro consumatore (che però si adegua alle regole del concordato, ossia voto dei creditori ecc.). La procedura familiare è utile proprio nel caso di casa in comunione dei coniugi: se la casa è gravata da debiti di entrambi, conviene un piano unico famigliare così la casa viene trattata unitariamente. In definitiva, le procedure familiari permettono di risolvere con un unico procedimento la crisi di più soggetti legati in famiglia, evitando duplicazioni.
D: Se la banca ha già messo all’asta la casa col mutuo fondiario, posso fare qualcosa?
R: Dipende dallo stadio. Se l’asta non si è ancora tenuta, puoi attivare un piano del consumatore o concordato e chiedere la sospensione immediata come abbiamo discusso, e impostare il piano prevedendo di continuare a pagare il mutuo. Se la banca è ragionevole, potrebbe cooperare (spesso le banche stesse preferiscono un rientro concordato piuttosto che un’asta che può andare deserta o realizzare poco). Se invece l’asta si è già tenuta e c’è un aggiudicatario, siamo praticamente alla fine: il decreto di trasferimento potrebbe essere emesso a breve, togliendo definitivamente la proprietà al debitore. In quel caso, a procedura esecutiva conclusa purtroppo non c’è modo di “riavvolgere il nastro” con il sovraindebitamento. Il massimo che si può fare è includere l’eventuale debito residuo nel piano (es: se la casa è stata venduta a meno del debito, resta un residuo mutuo da pagare alla banca – quel residuo può essere esdebitato con la procedura, ma la casa è persa). Se la casa è stata venduta a un prezzo molto inferiore al mercato e c’è un sospetto di irregolarità nell’asta, il debitore potrebbe tentare opposizioni esecutive o incidenti di sospensione ex art. 586 c.p.c., ma sono rimedi specifici del processo esecutivo, non attinenti al sovraindebitamento. Quindi il momento limite è l’aggiudicazione: prima di essa il sovraindebitamento può salvare la casa, dopo purtroppo no. Per i mutui fondiari, come ricordato, anche in liquidazione la banca può continuare, quindi l’unica ancora di salvezza è presentare un piano/concordato tempestivamente.
D: Se ho solo debiti personali ma molto elevati, posso scegliere tra piano del consumatore e liquidazione, e quale conviene?
R: Se sei un consumatore (solo debiti personali, niente di aziendale), hai due vie principali: piano del consumatore oppure liquidazione controllata. La scelta dipende dalla tua volontà di conservare eventuali beni e dalla tua capacità reddituale. Il piano del consumatore conviene se: hai un reddito o altre risorse per pagare almeno in parte i debiti nel tempo, oppure vuoi salvare dei beni (es. la casa) offrendo pagamenti dilazionati. In tal caso, col piano puoi evitare di liquidare tutto e tenerti ad esempio l’abitazione, pagando le rate ai creditori secondo il piano. Il vantaggio è mantenere i beni essenziali; lo svantaggio è che devi comunque sostenere i pagamenti per diversi anni, vivendo in modo controllato. La liquidazione controllata conviene se: non riesci a sostenere un piano perché non hai redditi sufficienti e magari hai qualche bene sacrificabile. In liquidazione ti spogli dei beni (perdi la casa se ce l’hai) però dopo 3 anni ottieni l’esdebitazione senza dover pagare rate per anni. Diciamo che il piano è uno sforzo di ristrutturazione (tengo i beni, pago qualcosa col mio lavoro), la liquidazione è un taglio netto (vendo i beni, chiudo tutto in tempi relativamente brevi, poi riparto da zero senza più nulla ma libero). Per un consumatore con molti debiti ma anche uno stipendio decente, spesso il piano è la strada preferibile, perché consente di evitare situazioni traumatiche come vendere la casa. Per un consumatore senza reddito e magari con debiti mostruosi, se ha un bene di valore, può optare per la liquidazione e farlo vendere, liberandosi di tutto il debito in eccesso. Va valutato caso per caso con l’OCC. Importante: se scegli il piano e poi fallisce, puoi sempre convertire in liquidazione in seguito, ma avrai perso tempo e forse peggiorato la situazione (più interessi maturati, etc.). Viceversa, se fai subito liquidazione perdi la chance di salvare beni. Quindi, si tende a consigliare: tenta un piano se c’è anche minima chance di sostenibilità, tieni la liquidazione come riserva estrema.
Tabelle riepilogative delle procedure
Di seguito presentiamo alcune tabelle riassuntive che confrontano le caratteristiche delle diverse procedure di sovraindebitamento dal punto di vista del debitore.
Tabella 1: Tipologie di procedure e soggetti ammessi
Procedura | Soggetti ammessi | Soggetti esclusi | Riferimenti normativi |
---|---|---|---|
Piano di ristrutturazione del consumatore (ex Piano del consumatore) | – Persona fisica “consumatore” (debiti contratti per scopi personali/familiari).– Ammessa anche se ex imprenditore o socio illimitato, purché i debiti residui siano solo personali. | – Chi ha anche un solo debito da attività d’impresa/professionale (debito “non consumeristico”).– Imprese, società, enti (diversi dalla persona fisica).– Debitori con cause ostative ex art. 69 CCII (esdebitazione <5 anni, >2 esdebitazioni totali, frode/dolo). | Artt. 65-73 CCII (Cod. Crisi)(prima: L.3/2012 art. 6-16)Definizione consumatore: art. 2 lett. e) CCII |
Concordato minore (ex Accordo di composizione) | – Debitore sovraindebitato non consumatore: imprenditore sotto soglie fallimento, professionista, start-up, ente non profit, socio illimitato per debiti residui sociali, ecc..– Anche famiglie/persone fisiche con debiti misti (in tal caso si utilizza concordato minore in luogo del piano). | – Consumatori puri (devono usare il piano).– Imprese soggette a liquidazione giudiziale (fallibili) – queste devono ricorrere a procedure concorsuali ordinarie.– Debitori con cause ostative analoghe (esdebitazione <5 anni, >2 volte, frode grave) (art. 77 CCII). | Artt. 74-83 CCII(prima: L.3/2012 art. 7-12) |
Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex Liquidazione patrimonio) | – Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no).– Attivabile sia su richiesta del debitore che su istanza di creditori (anche uno) o del PM. | – (Nessuna categoria esclusa per legge, purché non soggetto a fallimento: se un soggetto fosse fallibile e insolvente verrebbe avviata liquidazione giudiziale, non controllata).– Debitore deceduto (in tal caso i creditori agiscono sull’eredità, ma non c’è procedura concorsuale post mortem se non accettata con beneficio). | Artt. 268-277 CCII(prima: L.3/2012 art. 14-ter ss.) |
Esdebitazione del debitore incapiente (“a zero”) | – Persona fisica sovraindebitata, meritevole, totalmente priva di beni e redditi attuali e futuri (prospettici).– Ammessa anche se debiti d’impresa purché persona fisica (es. imprenditore che ha già liquidato tutto de facto). | – Chi possiede anche minime utilità distribuibili ai creditori (in tal caso dovrebbe percorrere un piano o liquidazione controllata).– Una sola volta per persona: chi ne ha già beneficiato in passato non può accedere di nuovo.– Cause ostative: esdebitazione nei 5 anni, >2 esdebitazioni vita, sovraindebitamento con dolo o colpa grave (art. 280/283 CCII). | Art. 283 CCII(introdotto in L.3/2012 come art. 14-quaterdecies L.176/2020) |
Tabella 2: Caratteristiche principali delle procedure (dal punto di vista del debitore)
Caratteristica | Piano del consumatore | Concordato minore | Liquidazione controllata | Esdebitazione incapiente |
---|---|---|---|---|
Finalità | Ristrutturazione dei debiti con mantenimento dei beni essenziali (es. casa) se possibile. | Ristrutturazione dei debiti per evitare liquidazione, con eventuale continuità aziendale. | Realizzazione di tutto il patrimonio per soddisfare i creditori (procedura liquidatoria). | Cancellazione dei debiti senza alcun pagamento (misura eccezionale). |
Necessità del voto dei creditori | No. I creditori non votano; il giudice decide sull’omologa valutando convenienza e meritevolezza. | Sì. Serve >50% dei crediti ammessi al voto. No voto per categorie; possibile cram-down su Fisco se maggioranza privata c’è. | Non c’è voto. I creditori presentano domande di insinuazione; il liquidatore elabora piano di riparto approvato dal GD. | Non c’è voto. I creditori possono fare osservazioni; il giudice decide se concedere il beneficio. |
Ruolo del giudice | Controlla ammissibilità, può sospendere esecuzioni, omologa il piano se requisiti ok (anche contro il volere creditori). | Decreta apertura e misure protettive; verifica il raggiungimento della maggioranza; omologa se tutto regolare e piano conveniente. | Dichiara apertura, nomina liquidatore; sovrintende alla formazione del passivo; autorizza atti di vendita principali; dichiara chiusura. | Valuta meritevolezza e incapienza; emette decreto di esdebitazione oppure rigetta. Può revocare se emergono beni nei 4 anni successivi. |
Trattamento dei creditori | Possibile differenziare il pagamento tra creditori (no obbligo di par condicio salvo rispetto ordine prelazione per privilegati su valore beni). No voto, ma eventuali opposizioni. Chirografari possono essere pagati parzialmente in qualunque % purché il piano sia equo. | Deve garantire par condicio all’interno delle classi di crediti o, se non vi sono classi formali, rispettare graduazioni legali (privilegiati vs chirografari) nel senso che i privilegiati vanno soddisfatti almeno per valore di realizzo su beni gravati. Possibile pagamento parziale chirografari; eventuali classi facoltative. | Par condicio creditorum: i creditori sono soddisfatti in base ai privilegi e proporzionalmente i chirografari. Il liquidatore segue le regole della liquidazione concorsuale (artt. 2740 cc e 2777 cc per privilegi). | Non c’è pagamento. I creditori non ricevono nulla (se non forse utilità sopravvenute entro 4 anni). Il decreto cancella i crediti chirografari e quelli privilegiati insoddisfatti; restano diritti verso eventuali coobbligati e fideiussori. |
Durata massima dei pagamenti | Flessibile: il piano può prevedere dilazioni anche lunghe (5-6 anni o più), soprattutto dopo Cass. 34150/2024 che ha ammesso dilazioni ultra-annuali per ipotecari. In generale i piani consumatore spesso vanno da 4 a 6 anni, ma possono essere più estesi se necessario (es. 10-15 anni includendo mutui). | Flessibile ma di solito più contenuta: i piani di concordato minore in continuità possono durare alcuni anni (3-5 anni tipicamente per pagamenti, anche 6 come indicato dal legislatore). Se in liquidazione dei beni, il tempo dipende da vendite ma in genere entro 4 anni. La legge non impone un tetto, ma tempi troppo lunghi potrebbero rendere il piano non credibile per i creditori. | Dipende dalla complessità della liquidazione: mediamente 2-4 anni per vendere beni e ripartire. La legge prevede che dopo 3 anni dall’apertura, se non è già chiusa, il tribunale può pronunciarsi sull’esdebitazione anche in corso, ma la procedura prosegue finché tutti beni liquidati (può durare di più se attivo difficile da vendere). | Procedimento abbastanza rapido: il tempo di istruirlo (qualche mese). Una volta ottenuto il decreto, c’è il periodo di 4 anni di condizionamento per eventuali sopravvenienze. Decorso quello, la procedura si considera definitivamente chiusa. |
Effetti sulle azioni esecutive dei creditori | – Misure protettive: su istanza del debitore, sospensione selettiva dei pignoramenti pendenti che ostacolano il piano, disposta dal giudice fino all’omologazione. – Dall’omologazione: divieto generale di iniziare o proseguire esecuzioni individuali per crediti anteriori. Pignoramenti in corso estinti; niente nuove ipoteche su beni del debitore. | – Misure protettive: simili al piano, il decreto di apertura sospende tutte le azioni esecutive su richiesta debitore fino all’omologa (in pratica un automatic stay su istanza). – Dall’omologa: conferma divieto di esecuzioni individuali (i creditori devono attenersi al piano). Se previsto cessione di beni, eventuali pignoramenti su quei beni decadono per concentrarsi nella procedura concorsuale. | – Dall’apertura: automatic stay (salva banca fondiaria): nessun creditore (causa/titolo anteriore) può iniziare/proseguire esecuzioni, pena nullità atti. Pignoramenti in corso sospesi/improcedibili. – Eccezione: creditore fondiario (banca mutuo ipotecario) può proseguire pignoramento immobiliare nonostante apertura liquidazione. – Dopo chiusura: eventuali riprese esecuzioni solo se esdebitazione negata. | – Dalla presentazione della domanda: il debitore può chiedere la sospensione di singole esecuzioni? (Norma non chiarissima, ma il giudice in genere sospende le esecuzioni in corso perché di fatto i crediti verranno annullati, quindi proseguire sarebbe inutile). Comunque, con il decreto di esdebitazione il debitore è liberato dai debiti pregressi, quindi de iure i creditori non possono più eseguire. Se c’erano pignoramenti pendenti su stipendi o conti, vanno cessati. |
Esdebitazione (liberazione debiti residui) | – Al termine dell’esecuzione del piano: cancellazione di tutti i debiti concorsuali residui (art. 14 CCII equivalente a vecchio art. 12-ter L.3/2012). – Revoca esdebitazione se emergono atti in frode entro 6 mesi dall’omologa (art. 72 CCII). | – Al termine dell’esecuzione del piano concordatario: esdebitazione per il debitore persona fisica (art. 81 CCII). – Se concordato riguarda società, la società si estingue con omologa (ma soci garanti persone fisiche possono chiedere esdebitazione per obbligazioni personali se del caso). – Revoca se frodi scoperte entro 1 anno da scoperta (norme generali). | – Decorsi 3 anni dall’apertura (o alla chiusura se prima): tribunale pronuncia su esdebitazione del debitore persona fisica (art. 282 CCII). – Concessa se debitore cooperativo e nessuna frode. Effetto: debiti chirografari cancellati, debitore liberato dai residui. – Negabile se grave frode/dolo (creditori possono opporsi). – Se negata, debitore resta obbligato verso residui per 10 anni poi prescrivono (ma comunque ha perso beni). | – Immediata con il decreto: i debiti sono cancellati subito (salvo eccezioni legali). – Condizionata 4 anni: se emergono utilità in 4 anni, vanno destinate ai creditori (riapertura procedura). – Revoca se scoperta malafede/frode del debitore (dissimulazione di patrimonio). – Se tutto ok trascorsi i 4 anni, beneficio definitivo. |
Esempi pratici di sovraindebitamento – simulazioni
Vediamo ora tre scenari pratici, rappresentativi di situazioni frequenti, e come l’applicazione delle procedure di sovraindebitamento consenta di gestire i debiti e proteggere la casa dal punto di vista del debitore.
Caso 1: Famiglia con mutuo e debiti al consumo
Situazione: Marco e Silvia sono una coppia con due figli. Hanno un mutuo residuo di €180.000 sulla casa di abitazione (valore immobile ~€200.000) e rate mensili di €750. Negli ultimi anni, a causa di spese mediche impreviste e della perdita temporanea del lavoro di Marco, hanno accumulato altri debiti: €50.000 su carte di credito e prestiti personali, €20.000 di bollette arretrate e €15.000 di debiti con fornitori dell’attività autonoma di Silvia (che ha una piccola ditta individuale cessata). Le rate del mutuo sono in arretrato di 6 mesi e la banca ha avviato la procedura di pignoramento immobiliare mettendo all’asta la casa. L’asta è fissata tra 3 mesi. Marco nel frattempo ha trovato un nuovo impiego con stipendio netto €1.600, Silvia lavora part-time (€800). Non riescono però a far fronte ai crediti pregressi perché le richieste dei vari creditori superano abbondantemente il loro reddito disponibile.
Obiettivo: evitare la vendita della casa all’asta e trovare una soluzione sostenibile per pagare i debiti in base al loro reddito familiare, liberandosi di quelli eccessivi.
Soluzione: Marco e Silvia possono ricorrere a una procedura familiare di sovraindebitamento. Poiché vi sono debiti sia personali che d’impresa (le fatture della ditta di Silvia), dovranno presentare un concordato minore congiunto (procedura unitaria familiare, con attrazione nella procedura “non consumeristica” per via dei debiti d’impresa). Con l’aiuto di un OCC, preparano una proposta di concordato familiare che prevede:
- Regolarizzazione del mutuo sulla casa: utilizzando parte del TFR di Marco e un prestito dai genitori, versano subito alla banca gli arretrati di 6 mesi (ca. €4.500) e propongono di riprendere il pagamento regolare delle rate da lì in avanti. Chiedono al tribunale di autorizzare la continuazione del mutuo ex art. 75 co.2-bis CCII, mantenendo l’ipoteca inalterata. L’OCC attesta che, vendendo la casa, la banca recupererebbe al massimo l’80-90% e gli altri creditori nulla; continuando il mutuo, la banca verrebbe comunque pagata integralmente col tempo, quindi ciò non danneggia i chirografari.
- Pagamento parziale dei creditori chirografari: propongono di pagare il 30% del totale (circa €25.000 su €85.000 di debiti chirografari complessivi, escluso mutuo) in 5 anni, mediante rate mensili di ~€420. Questa cifra deriva dal fatto che, facendo il budget familiare, possono destinare €420 al mese ai debiti, mantenendo il resto dello stipendio per spese correnti. I €25.000 così raccolti saranno suddivisi proporzionalmente: a carte di credito, fornitori, ecc. ciascuno prenderà circa il 30% del proprio credito.
- Trattamento del debito IVA di Silvia: dentro quei €15.000 di fornitori c’erano €5.000 di IVA non versata dall’ultimo anno di attività. Essendo un debito privilegiato, propongono di soddisfarlo anch’esso al 30% (cioè €1.500) il che però è meno del 100%. L’Agenzia delle Entrate votante come creditore privilegiato sarà contraria in linea di principio. Tuttavia, l’OCC calcola che se liquidassero la casa, all’Erario non arriverebbe niente comunque (valore ipoteca banca copre tutto), quindi anche €1.500 è meglio di zero. Nel piano evidenziano che il cram-down fiscale potrà permettere l’omologa anche senza il voto favorevole dell’Erario, essendo soddisfatto in misura non inferiore alla liquidazione.
- Misure protettive immediate: non appena depositato il ricorso, chiedono al giudice di sospendere il pignoramento immobiliare in corso. Il giudice, visto che il piano è serio (prevede di pagare la banca interamente, quindi la banca non è lesa), emette decreto di apertura del concordato minore familiare e dispone la sospensione di tutte le azioni esecutive, compresa l’asta sulla casa. La vendita è quindi congelata.
Esito: i creditori vengono invitati dall’OCC a esprimere voto. La banca (ipotecaria) di fatto non vota in quanto soddisfatta fuori dal piano (continuerà a ricevere rate, la proposta verso di lei è neutra se non le arretrate già versate). I creditori chirografari votano: molte finanziarie su piccoli crediti non rispondono (conta come dissenso), alcuni fornitori amici votano sì, altri no. Alla fine, risultano favorevoli creditori per il 60% del totale dei crediti. L’Erario non ha aderito formalmente. Si supera comunque il 50% richiesto. Il tribunale tiene conto dell’opposizione dell’Agenzia Entrate, ma constatando che il piano versa a quest’ultima €1.500 mentre dalla vendita coattiva non avrebbe ricavato nulla (poiché l’ipoteca esauriva il valore), dichiara omologato il concordato minore familiare. Gli effetti: la casa è definitivamente salva dal pignoramento; Marco e Silvia riprendono serenamente le rate del mutuo (che ora possono permettersi, avendo ristrutturato gli altri debiti). Nei 5 anni successivi versano mensilmente €420 all’OCC, il quale ogni sei mesi distribuisce ai creditori chirografari le somme previste. Si attengono scrupolosamente al piano di rientro, riducendo le spese non essenziali. Al termine dei 5 anni, avendo corrisposto esattamente €25.000 totali, adempiono la proposta al 100%. Il tribunale pronuncia l’esdebitazione di tutti i residui: restano quindi definitivamente liberati da circa €60.000 di debiti non pagati. La coppia mantiene la propria abitazione, i figli non hanno dovuto cambiare casa o città, e la famiglia ha imparato a gestire con prudenza il bilancio familiare. I creditori hanno avuto una soddisfazione parziale, ma probabilmente migliore di quella che avrebbero ottenuto vendendo la casa all’asta (in cui la banca avrebbe preso quasi tutto e agli altri sarebbero rimaste briciole).
Caso 2: Piccolo imprenditore con debiti fiscali e ipoteca sulla casa
Situazione: Paolo è un imprenditore individuale (ditta edile) che a causa di vari problemi (fallimento di un importante cliente che non lo ha pagato, crisi settore) si trova con debiti per €400.000: include €150.000 di debiti bancari (scoperti di conto e leasing insoluti), €100.000 di debiti verso fornitori di materiali, e ben €150.000 di debiti fiscali tra IVA non versata, contributi dipendenti e ritenute. Possiede una casa del valore di circa €250.000, su cui grava un’ipoteca di primo grado da parte di una banca (diversa dalle banche fornitrici di scoperto) per un mutuo residuo di €120.000, e un’ipoteca di secondo grado dell’Agente della Riscossione (Equitalia) per €80.000 di tributi. La casa è la sua abitazione principale dove vive con la moglie (che non ha debiti) e due figli. A seguito del mancato pagamento delle cartelle, Equitalia ha già avviato il pignoramento immobiliare sulla casa, che però essendo ipotecata anche dalla banca, vede quest’ultima intervenuta in procedura. L’asta non è ancora fissata, ma lo sarà a breve. Paolo ha chiuso formalmente la ditta e ora lavora come dipendente presso un’impresa edile terza, con stipendio €1.500; la moglie percepisce €1.000 come impiegata part-time. Il reddito familiare è €2.500 mensili, sufficiente a vivere ma impossibile per pagare anche solo gli interessi dei vecchi debiti.
Obiettivo: evitare che la casa di famiglia venga venduta all’asta (cosa che lascerebbe comunque molti debiti scoperti, dato che l’immobile non copre l’intero debito), e trovare una soluzione per regolare i debiti di impresa (in particolare quelli col Fisco) senza aprire fallimento, visto che Paolo è sotto soglia di fallibilità.
Soluzione: Paolo può accedere al concordato minore in quanto imprenditore minore sovraindebitato. Poiché la moglie non è coobbligata nei debiti, procederà da solo (non serve procedura familiare). Con l’aiuto di un OCC, elabora una proposta di concordato minore imperniata sui seguenti punti:
- Liquidazione parziale dei beni, mantenendo la casa: Paolo possiede anche due mezzi aziendali (furgoni) e un piccolo magazzino/terreno. Propone di cedere volontariamente questi beni: venderà i due furgoni (valore complessivo €30.000) e un piccolo terreno (€20.000), e conferirà il ricavato nella procedura per pagare i creditori. Invece la casa propone di non venderla: dato che sopra c’è l’ipoteca della banca e di Equitalia, la casa se venduta all’asta frutterebbe forse €200.000 netti, con cui si pagherebbe per primo la banca (€120k), poi in parte Equitalia (€80k se basta il prezzo). I fornitori e le banche chirografarie non vedrebbero nulla. Paolo suggerisce che sia più efficiente lasciargli la casa e far proseguire il mutuo con la banca ipotecaria: egli si impegna a pagare regolarmente le rate (€700/mese) fino ad estinzione (ha ancora 15 anni di mutuo). L’OCC attesta che la banca ipotecaria verrebbe soddisfatta integralmente dal mutuo (ancorché nei 15 anni) e che, siccome il valore della casa è grosso modo pari alla somma delle ipoteche (€200k circa), gli altri creditori non avrebbero comunque ricavato nulla dalla vendita. Quindi non sono pregiudicati se la casa resta al debitore. La moglie di Paolo, disponibile ad aiutarlo, compartecipa al piano offrendo la sua firma che consente di consolidare la garanzia ipotecaria della banca (essendo in comunione).
- Pagamento dei debiti chirografari con finanza esterna e dilazione fiscale: una volta venduti furgoni e terreno, Paolo disporrà di circa €50.000 liquidi. Propone di destinarli interamente ai creditori chirografari (fornitori e banche senza garanzie) che vantano €150.000: riceverebbero quindi circa il 33% a saldo e stralcio. Ciò avverrebbe entro pochi mesi dall’omologazione (il tempo di liquidare i beni). Per i debiti fiscali (€150.000) di cui €80.000 coperti da ipoteca di secondo grado e il resto chirografari: Equitalia otterrebbe già dall’incasso dei beni €0 perché la banca ipotecaria assorbe la casa, ma Paolo propone comunque di destinare una parte del suo reddito futuro (dopo aver finito di pagare i chirografari) a pagare qualcosa anche al Fisco. In particolare, propone di pagare €300 al mese per 5 anni all’Erario, totalizzando ulteriori €18.000 (pari a circa il 12% del debito fiscale totale). Sommato ai €50k dati ai chirografari privati, in totale dal piano si ricavano €68.000 di cui 50 ai creditori privati e 18 al Fisco. L’Erario in confronto alla liquidazione normale (dove sulla casa forse prendeva 80k ma poi restava comunque un altro 70k scoperto) ottiene meno, ma quell’80k era teorico perché se la casa non veniva venduta all’asta per cifra adeguata, avrebbe potuto recuperare anche meno. In ogni caso, l’OCC evidenzia che i creditori pubblici dissenzienti potranno subire il cram-down se il piano dimostra convenienza (in questo caso convenienza discutibile, perché 18k è meno di ipoteca 80k; tuttavia, quell’ipoteca di secondo grado avrebbe avuto capienza solo se il prezzo d’asta superava la prima ipoteca e spese: ipotesi incerta).
- Misure protettive: Paolo deposita il ricorso di concordato minore e chiede immediata sospensione del pignoramento immobiliare in corso ad istanza di Equitalia. Il tribunale emette decreto di apertura, sospende l’esecuzione sulla casa e nomina l’OCC come ausiliario per raccogliere i voti. L’asta che Equitalia minacciava viene così congelata.
Esito: i creditori vengono consultati. La banca ipotecaria è favorevole perché preferisce continuare a incassare il mutuo (evita perdita in asta). I fornitori (33% proposto) – molti di essi votano sì perché temono che altrimenti nella liquidazione prenderebbero zero (non essendoci altri beni, e la casa andrebbe a ipoteche). Le banche chirografarie (scoperti) anch’esse per lo più aderiscono al 33%, meglio di niente. L’Erario/Agenzia Entrate esprime voto contrario (ritiene troppo poco il 12%). Tuttavia, conti alla mano: se la casa fosse venduta all’asta, ipotesi ottimistica a €210.000, Equitalia prenderebbe €90.000 (dopo banca primo grado). Con il piano prende €18.000: certo è inferiore. Ma l’OCC sottolinea che la casa difficilmente in asta supererebbe i €180.000 (valore di mercato non pieno), quindi Equitalia forse non avrebbe incassato nulla (perché ipoteca1+spese saturavano). In mancanza di perizia aggiornata non è certo, ma Paolo spinge su questo argomento. Il voto favorevole totale raggiunge il 55% dei crediti. Il tribunale, all’udienza di omologa, esamina l’opposizione del Fisco. Decide di omologare ugualmente il concordato minore, applicando il cram-down: motiva che, data la difficoltà di vendita dell’immobile e la lunga durata, i €18k immediati più i proventi futuri offerti sono da considerarsi non inferiori rispetto alla prospettiva liquidatoria (valutazione discrezionale, in bilico ma possibile). Inoltre nota la buona fede di Paolo (che apporta tutto il possibile, inclusi beni personali). Con l’omologazione, la casa di Paolo esce dal pignoramento e viene liberata (restano solo le ipoteche che però sono come “congelate” finché il mutuo è pagato). Paolo vende i furgoni e il terreno in pochi mesi, ricavando €50.000 versati all’OCC che li distribuisce secondo il piano: i fornitori e banche ricevono i loro 33%, estinguendo quei crediti; Equitalia riceve una prima quota pro-rata (diciamo €5.000) dai beni venduti e poi comincia a ricevere €300 al mese dall’OCC. Paolo e la sua famiglia mantengono la casa; con i due stipendi riescono a pagare la rata mutuo €700 + €300 per il Fisco = €1.000 totale, restando con €1.500 per vivere (un po’ stretti ma ce la fanno per 5 anni). Dopo 5 anni di puntuale adempimento, hanno versato gli €18.000 all’Erario come promesso. Il tribunale dichiara esdebitati tutti i debiti residui di Paolo: in particolare, il residuo del debito Equitalia (~€130.000 non pagati) viene cancellato, così come le eventuali parti non soddisfatte dei crediti dei fornitori (che avevano accettato il 33%). Paolo rimane solo con il mutuo da finire (che però non è un debito concorsuale residuo, è un debito “rifinanziato” che paga regolarmente). L’ipoteca Equitalia verrà cancellata perché il loro credito è estinto per concordato. La sua casa è salva e libera da ipoteche secondarie. Certo, Paolo ha perso gli altri beni aziendali (furgoni, terreno), ma era disposto a questo sacrificio per tenere la casa. I creditori privati hanno incassato qualcosa subito; l’Erario meno di quanto sperato, ma la norma gli ha imposto di accettare in questo contesto. Paolo può così dedicarsi al suo nuovo lavoro dipendente senza più l’assillo di milioni di cartelle, e la sua famiglia non è stata sradicata dalla propria abitazione.
Caso 3: Persona senza redditi né beni (incapiente) travolta dai debiti
Situazione: Lucia, 50 anni, ex commerciante, ha chiuso la sua attività 3 anni fa dopo un fallimento. Si ritrova personalmente con circa €120.000 di debiti rimasti insoluti (finanziamenti personali per sostenere l’attività, fideiussioni bancarie escusse, tasse non pagate). Ha perso la casa di proprietà anni fa vendendola per pagare alcuni creditori prima del fallimento, ma non è bastato. Attualmente non possiede alcun immobile, vive in affitto in un piccolo appartamento. Non ha auto (gliel’hanno pignorata), né risparmi. Dal punto di vista reddituale, è disoccupata da due anni e sopravvive con lavoretti precari saltuari e grazie all’aiuto del fratello. Ha cercato nuove opportunità, ma la situazione economica non è favorevole e la sua età complica le assunzioni. Ha diritto a un modesto reddito di cittadinanza (o misura sostitutiva) di €500 al mese, con cui a malapena copre affitto e spese vive. Con l’accumulo di interessi e more, i creditori (banche, Agenzia Entrate Riscossione, fornitori) continuano a notificarle solleciti e decreti ingiuntivi. Ci sono alcune procedure esecutive pendenti: un pignoramento presso terzi verso il suo conto (vuoto) e uno mobiliare (con esito negativo perché non possiede nulla di valore in casa). In sostanza, i creditori non hanno più cosa aggredire, però i debiti rimangono formalmente e la tormentano (le arrivano avvisi, comunicazioni di cessione crediti, etc.). Lucia è depressa e vive in uno stato di indigenza, temendo di non potersi mai liberare di quei debiti, che per lei equivalgono a una condanna a vita.
Obiettivo: ottenere la cancellazione totale dei debiti residui, dato che Lucia non ha alcuna possibilità reale di pagarli. Ciò le permetterebbe di cercare un lavoro senza il timore che le pignorino subito lo stipendio e di riprendere una vita normale (attualmente lavora in nero per paura delle esecuzioni sul reddito).
Soluzione: Lucia può richiedere l’esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII. Questa è esattamente la situazione per cui l’istituto è stato pensato: una persona onesta ma completamente priva di mezzi e schiacciata dai debiti. Con l’aiuto di un avvocato (o di un OCC volontario), Lucia presenta un ricorso al tribunale evidenziando:
- Di trovarsi in stato di sovraindebitamento senza colpa grave (il fallimento dell’attività non è derivato da frodi, è documentato che fu causato da condizioni di mercato e insolvenze subite).
- Che è priva di qualsiasi patrimonio: nessuna proprietà, nessuna automobile, mobilio di modico valore, saldo di conto zero.
- Che il suo reddito attuale è insufficiente persino a vivere dignitosamente (€500 sussidio). Non c’è alcuna prospettiva concreta futura di poter offrire utilità ai creditori, se non forse l’eventualità di trovare un lavoro che comunque le servirebbe per la sussistenza.
- Elenca tutti i creditori e gli importi, mostrando come non sarebbe possibile nemmeno un piccolo piano di rientro (ad es. anche pagando €100 al mese – cosa che nemmeno può permettersi ora – ci vorrebbero 100 anni per coprire il debito).
- Dichiara di non aver già ottenuto esdebitazioni in passato e di non aver attuato frodi (anzi, ricorda che ha venduto la casa per pagare in parte i debiti, quindi ha fatto sacrifici).
- Chiede dunque l’esdebitazione immediata di tutti i suoi debiti ex art. 283 CCII, impegnandosi a rispettare le condizioni di legge (se nei prossimi 4 anni le arrivasse un’eredità o trovasse un ottimo lavoro, ne informerà il tribunale per dare qualcosa ai creditori).
Esito: il tribunale nomina un gestore OCC per verificare la situazione. L’OCC redige una breve relazione confermando che Lucia è nullatenente (ha controllato registri immobiliari, PRA, conto corrente: zero proprietà, zero liquidità) e che la situazione reddituale è quella dichiarata. Accerta anche che Lucia non ha colpe particolari: ad esempio, non risultano atti in frode negli ultimi anni (non ha donato beni a parenti, l’unica vendita fu fatta a prezzo di mercato per pagare creditori, quindi non è considerabile frode). I creditori vengono informati della richiesta di esdebitazione incapiente: alcuni di essi inviano memorie segnalando che Lucia aveva un tenore di vita alto prima e che forse avrebbe potuto risparmiare di più, ma sono obiezioni generiche. Non emergono elementi di dolo (non ha dilapidato soldi in gioco o lusso, semplicemente l’impresa è fallita e l’ha travolta). Il giudice quindi, tenuto conto di:
- incapacità totale di pagamento,
- importanza sociale di togliere Lucia dalla soglia di povertà per renderla magari di nuovo attiva,
- assenza di comportamento malizioso,
accoglie la domanda. Viene emesso un decreto di esdebitazione dell’incapiente, che dispone che “Lucia è liberata da tutti i suoi debiti chirografari restanti alla data della domanda”. Viene precisato che se entro 4 anni Lucia dovesse acquisire una capacità reddituale, dovrà mettere a disposizione dei creditori l’eventuale surplus.
Gli effetti immediati: i €120.000 di debiti di Lucia sono cancellati. I creditori non possono più pretendere nulla da lei. Le procedure esecutive in corso vengono chiuse per cessata materia del contendere (il credito non esiste più legalmente). Lucia non è più segnalata come cattiva debitrice nelle banche dati (presenterà il decreto a CRIF e altri per far aggiornare lo stato a “esdebitata – debiti estinti per provvedimento”): questo migliorerà in parte il suo merito di credito col tempo. Più che altro, se ora trova un lavoro regolare da €1.200 al mese, nessuno potrà pignorarglielo per i vecchi debiti, perché non ci sono più. Ciò la spinge ad uscire dal sommerso: infatti, poco dopo trova un impiego come commessa part-time da €800 al mese e sa che quell’intero importo resterà a lei (salvo eventualmente dover versare qualcosa ai creditori in proporzione se supera certe soglie, ma a €800 è sotto il minimo vitale, quindi nulla). Dopo 2 anni, riesce a ottenere un lavoro migliore a €1.300/mese. A questo punto, in coscienza, avverte il liquidatore nominato (o il giudice) del miglioramento. Viene valutato che con €1.300 e un affitto da pagare, Lucia non ha comunque molto margine – forse €200 al mese di potenziale contributo. Si decide pertanto che per i rimanenti 2 anni del periodo quadriennale Lucia versi spontaneamente €200 mensili in un fondo per i creditori. Così in 24 mesi aggiunge circa €4.800 che saranno distribuiti (proporzionalmente, è poco ma un gesto di buona fede). Allo scadere dei 4 anni dal decreto iniziale, Lucia ha versato quel possibile contributo. Dopodiché l’esdebitazione diventa definitiva e irrevocabile. I creditori (che originariamente vantavano 120k) alla fine incassano solo quei €4.800 complessivi (poco meno del 4% del dovuto), ma realisticamente non avrebbero mai ottenuto nulla di più (anzi, molto probabilmente zero assoluto) se l’esdebitazione non ci fosse stata, perché Lucia sarebbe rimasta nullatenente e in nero. Paradossalmente, grazie all’esdebitazione, hanno ricevuto qualcosa (minimo) perché Lucia è tornata a lavorare regolarmente senza paura.
Soprattutto, dal punto di vista di Lucia, la vita è cambiata: non ha più i fantasmi dei debiti, può ricominciare a costruire un futuro. Con stipendio e nessuna pretesa arretrata, riesce anche a ottenere un piccolo prestito per comprare un’auto usata (le serviva per andare al lavoro). Pian piano ricostruisce la propria dignità economica. La casa in affitto non gliela possono pignorare (non è sua). Fra qualche anno, con risparmi e senza debiti, potrà magari pensare a chiedere un mutuo per un piccolo appartamento: se il suo credit score sarà riabilitato e il reddito stabile, potrà farlo, cosa impossibile se avesse avuto ancora segnalazioni negative. Insomma, Lucia ha ottenuto il fresh start completo, come previsto dallo spirito della legge. Naturalmente, sa di non poter abusare di questa seconda chance: un’altra esdebitazione non le sarebbe concessa. Quindi sarà prudente nel contrarre eventuali nuovi debiti. Per i creditori, è stata una perdita dover rinunciare alle loro pretese; ma erano crediti inesigibili comunque, e la società nel suo complesso ci guadagna perché una cittadina torna a essere economicamente attiva e non assistita in eterno.
Fonti e riferimenti normativi
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (in vigore dal 15 luglio 2022) – Artt. 65-83 (procedimenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento: piano del consumatore e concordato minore) e Artt. 268-283 (liquidazione controllata e esdebitazione del debitore).
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – “Legge sul sovraindebitamento” (abrogata dall’entrata in vigore del CCII) – articoli originari sulle procedure (utili per riferimento storico: es. art. 7 L.3/2012 su condizioni di ammissibilità, art. 12-ter su omologa piano consumatore, art. 14-terdecies su esdebitazione dopo liquidazione).
- D.L. 137/2020 conv. L. 176/2020 – Riforma “Decreto Ristori” che ha anticipato nel 2020 alcune norme del CCII: introduzione esdebitazione incapiente (art. 14-quaterdecies L.3/2012, ora art. 283 CCII); estensione definizione di consumatore.
- D.Lgs. 13 ottobre 2022, n. 169 – “Correttivo al Codice della Crisi” – ha modificato alcuni aspetti tecnici del CCII dopo la prima attuazione (es: regime transitorio, concordato semplificato).
- D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – “Correttivo-ter” – ha apportato ulteriori modifiche al CCII recependo la Direttiva UE 2019/1023 (Insolvency) e migliorando la disciplina del sovraindebitamento: in particolare nuova definizione di consumatore (art. 2 lett. e CCII) che esclude accesso al piano se debiti non consumeristici, e art. 75 co. 2-bis CCII che consente di mantenere il mutuo sulla casa nel concordato minore.
- Cass., Sez. I civ., 23 dicembre 2024, n. 34150 – Massima: “In tema di sovraindebitamento, è legittimo prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi, nei piani del consumatore o negli accordi di ristrutturazione, anche oltre un anno dall’omologazione, purché ai titolari di tali crediti sia data la possibilità di esprimersi sulla proposta, poiché la dilazione incide solo sulla convenienza; viceversa, una moratoria infrannuale non è soggetta a contestazione di convenienza né a vaglio giudiziale”. (Conferma possibilità di pagare i mutui ipotecari con piano di ammortamento post-omologa, superando vincolo ex art. 8 co.4 L.3/2012.)
- Cass., Sez. I civ., 27 novembre 2024, n. 30538 – Principio: Il comportamento del debitore e le cause del suo indebitamento rilevano in tutte le procedure di sovraindebitamento. Anche nell’accordo di composizione (concordato minore), pur non essendovi un requisito espresso di meritevolezza, il giudice deve valutare come il debitore è giunto all’insolvenza e la sua affidabilità; ad esempio, reiterate violazioni fiscali seguite da acquisti che aggravano il debito devono essere considerate ai fini dell’omologazione, specie se contestate dai creditori. (Ribadisce che, sebbene il piano del consumatore preveda meritevolezza espressa, anche nel concordato minore il debitore “scorretto” può vedersi negare l’omologazione.)
- Cass., Sez. I civ., 19 agosto 2024, n. 22914 – Pronuncia sul privilegio processuale del creditore fondiario (art. 41 TUB): la banca con mutuo fondiario può iniziare o proseguire l’esecuzione ipotecaria sull’immobile anche dopo l’apertura di una procedura concorsuale minore (liquidazione controllata). (Conferma applicabilità art.41 TUB alle procedure di sovraindebitamento, quindi la banca può ignorare il blocco concorsuale in liquidazione per pignorare/vendere la casa ipotecata.)
- Cass., Sez. I civ., 17 luglio 2023, n. 22699 – Conferma definizione di consumatore abilitato al piano: persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei ad attività imprenditoriale/professionale, anche se imprenditore cessato, purché non residuino obbligazioni da detta attività. (Riprende Cass. 1869/2016, chiarendo che un ex imprenditore può accedere al piano solo per i debiti personali, non per quelli imprenditoriali.)
- Tribunale di Lodi, decreto 19 marzo 2024 (Ristrutturazione dei debiti del consumatore) – Ha disposto la sospensione di una procedura esecutiva immobiliare pendente (asta fissata) in conseguenza dell’ammissione di un piano del consumatore, vietando fino a conclusione della procedura l’inizio o prosecuzione di azioni esecutive sul patrimonio del debitore. (Caso concreto in cui un’asta è stata bloccata a poche ore dall’inizio grazie all’ammissione del piano.)
- Tribunale di Bari, decreto 26 giugno 2025 (Piano del consumatore) – Esempio di omologazione di piano del consumatore R.G. 227/2025 pubblicato sul sito del Tribunale di Bari (fonte: tribunale.bari.giustizia.it). (Non citato nel testo ma come riferimento di prassi recente).
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