Sovraindebitamento per l’Imprenditore Minore

Sei un imprenditore individuale, artigiano o piccolo commerciante e ti ritrovi sommerso dai debiti? Non riesci più a pagare fornitori, banche o il Fisco e temi di perdere tutto? Ti stai chiedendo se esiste una via d’uscita legale anche per chi, come te, non può fallire?

Sì, esiste. La legge oggi tutela anche gli imprenditori minori, cioè coloro che non rientrano tra i soggetti fallibili, permettendo loro di accedere a procedure di sovraindebitamento che consentono di ristrutturare i debiti o, nei casi più gravi, liberarsene completamente.

Chi è l’imprenditore minore?

È colui che esercita un’attività economica in forma individuale o familiare, senza raggiungere i limiti per la liquidazione giudiziale (ex fallimento). In genere rientrano in questa categoria:

– Commercianti al dettaglio
– Artigiani
– Piccoli imprenditori agricoli
– Liberi professionisti con partita IVA
– Ditte individuali

Quali sono le soluzioni per l’imprenditore minore sovraindebitato?

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore
    Se i debiti sono prevalentemente personali o familiari, puoi accedere a un piano che consente di:
    – Pagare una parte dei debiti in base alle reali possibilità
    – Rateizzare l’importo residuo
    – Liberarti da quanto non riesci a pagare
  2. Concordato minore
    È la procedura specifica per l’imprenditore minore che:
    – Vuole evitare la liquidazione dei beni
    – Ha creditori che possono accettare un piano di rientro
    – Intende mantenere l’attività in vita, compatibilmente con la sostenibilità del debito
  3. Liquidazione controllata
    Se non hai più entrate sufficienti o la tua attività è ferma, puoi scegliere di mettere a disposizione i tuoi beni e:
    – Chiudere in modo ordinato tutti i debiti
    – Evitare pignoramenti e sequestri disordinati
    – Accedere all’esdebitazione finale, cioè alla liberazione integrale dai debiti residui

Quali vantaggi offre la procedura?

– Blocca tutte le azioni esecutive e i pignoramenti
– Permette di concordare piani sostenibili con i creditori
– Evita la segnalazione per fallimento
– Offre una seconda possibilità, anche a chi ha avuto incidenti economici seri
– Prevede la possibilità, a determinate condizioni, di cancellare i debiti anche senza pagare nulla, se non ci sono beni o redditi disponibili

Come si avvia la procedura?

Serve:

– Una relazione particolareggiata da parte di un professionista indipendente
– L’elenco dei debiti, dei creditori e dei beni
– Una proposta ragionevole da sottoporre al giudice
– L’assistenza di un legale esperto in crisi d’impresa e procedure da sovraindebitamento

Come ti aiutiamo noi dello Studio Monardo?

Ti seguiamo in ogni fase: dall’analisi preliminare della tua posizione debitoria, alla scelta della procedura più adatta (piano, concordato o liquidazione), fino alla presentazione dell’istanza in Tribunale. Il nostro obiettivo è salvarti dai debiti e permetterti di ripartire, anche quando tutto sembra compromesso.

Sei un imprenditore minore schiacciato dai debiti? Vuoi sapere se puoi uscire legalmente dalla crisi senza perdere tutto?

In fondo alla guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo il tuo caso e costruiremo insieme il percorso più efficace per liberarti dai debiti e salvare ciò che conta davvero.

Introduzione

Il sovraindebitamento indica lo stato di crisi o insolvenza in cui può trovarsi un debitore civile o un piccolo imprenditore non assoggettabile alle ordinarie procedure concorsuali (fallimento o liquidazione giudiziale). In particolare, la legge italiana definisce sovraindebitato colui che, pur non potendo essere dichiarato fallito, non è più in grado di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, presenti o future. Questa condizione può riguardare i consumatori (persone fisiche con debiti personali estranei ad attività di impresa), i professionisti, gli imprenditori minori, gli imprenditori agricoli, le start-up innovative, nonché “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale [fallimento] o a liquidazione coatta amministrativa”.

La prima disciplina organica del sovraindebitamento è stata introdotta con la Legge 3/2012 (nota come “legge salva-suicidi”), la quale ha previsto tre strumenti per la composizione della crisi dei debitori civili e degli imprenditori non fallibili: il piano del consumatore, l’accordo di ristrutturazione con i creditori e la liquidazione del patrimonio. Tale legge, pionieristica nel fornire una “via d’uscita” ai piccoli debitori sommersi dai debiti, è rimasta in vigore fino all’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Quest’ultimo, emanato con D.Lgs. 14/2019 in attuazione di una legge delega, ha riorganizzato l’intera materia concorsuale, abrogando la legge 3/2012 e inserendo le procedure di sovraindebitamento all’interno di un sistema più ampio, armonizzato anche alle indicazioni europee in tema di insolvenza e “seconda opportunità”. Il Codice della Crisi, dopo vari rinvii (anche dovuti alla pandemia da Covid-19), è entrato definitivamente in vigore il 15 luglio 2022.

Le nuove norme hanno rinominato e parzialmente rimodulato le vecchie procedure di sovraindebitamento. In particolare:

  • L’accordo di composizione della crisi (detto anche accordo con i creditori) è divenuto il concordato minore, disciplinato ora dagli artt. 74 e ss. CCII.
  • Il piano del consumatore è ora la ristrutturazione dei debiti del consumatore, regolata dagli artt. 67 e ss. CCII (precedentemente indicati come 72-78 nel testo originario del Codice).
  • La liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato è stata ribattezzata liquidazione controllata del sovraindebitato, prevista agli artt. 268-277 CCII (originariamente 273-281, poi rinumerati dai correttivi).
  • È stato inoltre confermato e rafforzato l’istituto dell’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui a favore del debitore persona fisica meritevole, con un’importante novità: l’esdebitazione del debitore incapiente, introdotta per consentire ai debitori senza alcun patrimonio o reddito di ottenere la cancellazione dei debiti senza pagare nulla (art. 283 CCII).

Questa guida offre un’analisi avanzata e aggiornata a giugno 2025 delle procedure da sovraindebitamento dal punto di vista del debitore – in particolare dell’imprenditore “minore” – includendo i riferimenti normativi italiani più rilevanti, le novità giurisprudenziali recenti (sentenze 2024-2025), approfondimenti dottrinali, esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte. L’obiettivo è fornire a professionisti legali, piccoli imprenditori e privati cittadini uno strumento completo per orientarsi nel complesso quadro normativo, con un linguaggio tecnicamente accurato ma dal taglio divulgativo.

Quadro Normativo e Definizioni

Normativa vigente: la disciplina del sovraindebitamento è oggi contenuta principalmente nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). Le norme di riferimento vanno dagli artt. 65 a 83 CCII (che regolano il piano di ristrutturazione del consumatore e il concordato minore, nonché alcuni presupposti generali) fino agli artt. 268 a 283 CCII (che disciplinano la liquidazione controllata e l’esdebitazione del debitore incapiente). Tali articoli hanno subito modifiche integrative attraverso i decreti correttivi del Codice: il D.Lgs. 147/2020 (che ha recepito in anticipo alcune innovazioni, anticipando parti del Codice prima ancora della sua entrata in vigore), il D.Lgs. 83/2022 (correttivo “bis”) e il recente D.Lgs. 136/2024 (correttivo “ter” entrato in vigore il 28 settembre 2024). Quest’ultimo intervento del 2024 ha ulteriormente affinato alcune disposizioni, in particolare: ha esteso l’orizzonte delle moratorie per i pagamenti ai creditori privilegiati nei piani del consumatore (da 1 a 2 anni), ha introdotto esplicitamente il cram-down fiscale (omologazione forzata nonostante il dissenso del Fisco, se il trattamento offerto è conveniente) e ha chiarito la possibilità di accedere alla liquidazione controllata anche dopo la cessazione dell’attività d’impresa, superando alcuni limiti temporali preesistenti.

Definizione di sovraindebitamento

L’art. 2, comma 1, lett. c) CCII definisce il “sovraindebitamento” come «lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative […] e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale [fallimento] ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali». In altre parole, rientrano nel sovraindebitamento tutti i debitori “civili” o economici che non possono essere dichiarati falliti o soggetti a procedure concorsuali maggiori, pur versando in uno stato di insolvenza (incapacità di pagare i debiti alle scadenze) o di crisi grave.

Questa definizione molto ampia include persone fisiche non imprenditori, imprenditori individuali di piccole dimensioni, professionisti e lavoratori autonomi, enti non profit, imprese agricole, nonché società commerciali sotto determinate soglie dimensionali (che vedremo a breve). Sono invece esclusi i debitori di maggiori dimensioni, per i quali operano le tradizionali procedure concorsuali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.), nonché soggetti come banche, assicurazioni e altri enti per i quali sono previste procedure speciali.

L’imprenditore “minore” e le soglie di fallibilità

Fulcro di questa guida è la figura dell’imprenditore minore, ovvero il piccolo imprenditore non fallibile. La qualifica di “non fallibile” dipende dal superamento di soglie dimensionali fissate dalla legge. In base all’art. 2, comma 1, lett. d) CCII, si considera “impresa minore” l’impresa che nei tre esercizi antecedenti la domanda di liquidazione giudiziale (o dall’inizio attività se meno di tre anni) non ha superato congiuntamente i seguenti parametri:

  1. Attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000;
  2. Ricavi lordi annui ≤ €200.000;
  3. Debiti totali (anche non scaduti) ≤ €500.000.

Questi valori sono identici a quelli già previsti storicamente per definire il “piccolo imprenditore” non assoggettato a fallimento. Dunque, un imprenditore individuale o una società che contemporaneamente rimane entro tutte e tre le soglie (attivo, ricavi, indebitamento) non può essere dichiarato fallito né sottoposto a liquidazione giudiziale ordinaria – e rientra invece nella platea dei soggetti che possono accedere alle procedure di sovraindebitamento. Al contrario, se anche uno solo di questi limiti viene superato, l’impresa diviene “fallibile” (soggetta alle procedure concorsuali maggiori) e non può beneficiare degli strumenti riservati ai debitori minori.

Oltre all’impresa minore così definita, altri soggetti sono considerati non fallibili e dunque ammessi alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. In particolare:

  • Imprenditore agricolo: per legge escluso dal fallimento (art. 2135 c.c.); rientra tra i debitori sovraindebitati in virtù del rinvio espresso dell’art. 2 CCII.
  • Professionisti, artisti e lavoratori autonomi: non essendo imprenditori commerciali, non sono soggetti a fallimento; possono accedere alle procedure in esame.
  • Start-up innovative: la normativa speciale (D.L. 179/2012) ha previsto, per un periodo iniziale, l’esenzione delle start-up dal fallimento, rendendole eleggibili solo per le procedure di sovraindebitamento.
  • Enti collettivi non lucrativi o con scopo mutualistico (es. associazioni, fondazioni) non soggetti a fallimento.
  • Consumatori (persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa): categoria ammessa alle procedure di sovraindebitamento, ma come vedremo con percorsi dedicati.

Va sottolineato che anche le piccole società commerciali (es. S.r.l. di modeste dimensioni) possono essere “imprese minori” se rispettano i parametri sopra indicati. In tal caso, pur trattandosi di società di capitali, non sono assoggettate a liquidazione giudiziale e possono avvalersi degli strumenti di sovraindebitamento. Restano escluse, invece, le società di qualunque tipo che superino le soglie di fallibilità: queste ultime devono ricorrere alle procedure concorsuali ordinarie (fallimento/liquidazione giudiziale, concordato preventivo, ecc.).

Cessazione dell’attività: Un caso peculiare riguarda l’imprenditore che abbia cessato l’attività. La legge fallimentare prevedeva (e il CCII ha confermato) che un imprenditore, entro un anno dalla cancellazione dal registro imprese, potesse ancora essere dichiarato fallito se l’insolvenza risaliva a quando era in attività. Per le procedure di sovraindebitamento, invece, non vi è un termine fisso: un ex imprenditore può comunque accedervi, in linea di principio, purché si tratti di soggetto non fallibile. Tuttavia, occorre distinguere: una società già cancellata dal registro imprese e quindi estinta non può avviare una procedura di sovraindebitamento (eventualmente saranno i soci a rispondere dei debiti residui); un imprenditore individuale cessato rimane persona fisica in vita e può tentare le procedure, ma la legge originaria poneva limiti all’accesso al concordato minore oltre un anno dalla cessazione (in quanto il concordato minore presupponeva la continuità aziendale). Il decreto correttivo 136/2024 ha attenuato questi limiti, chiarendo che è possibile accedere alla liquidazione controllata anche dopo lungo tempo dalla cessazione dell’impresa, specialmente se si tratta di un imprenditore individuale, facilitando così l’accesso all’esdebitazione per ex imprenditori. In sintesi, oggi un ex piccolo imprenditore con debiti pregressi può almeno liquidare il proprio patrimonio residuo e ottenere la liberazione dai debiti (se meritevole), anche se l’attività è cessata da oltre un anno. Invece, proporre un concordato minore in assenza di un’attività in continuità resta problematico, salvo che vi siano apporti esterni (vedremo oltre).

Soglie di accesso e condizioni ostative

La normativa sul sovraindebitamento prevede alcune condizioni di accesso comuni e cause di esclusione volte a prevenire abusi:

  • Unicità e temporalità del beneficio: Il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) una sola volta ogni 5 anni. Inoltre, non può attivare procedure in modo reiterato: ad esempio, chi ha già usufruito di una procedura con esdebitazione non può ottenerne una seconda prima di cinque anni, e in nessun caso più di due volte in totale nella vita. Questa regola si riflette nell’art. 77 CCII per concordato minore e piani, e nell’art. 280 CCII per la liquidazione (negazione dell’esdebitazione al recidivo).
  • Assenza di atti in frode ai creditori: Il debitore che ha dissipato attivamente il patrimonio o compiuto atti diretti a frodare i creditori (es. simulare vendite, distrarre beni) non è ammesso alle procedure. L’art. 77 CCII esclude l’accesso al concordato minore in caso di atti in frode, analogamente a quanto faceva la L.3/2012. Similmente, anche per il piano del consumatore e la liquidazione, la scoperta di atti in frode comporta l’inammissibilità o la revoca.
  • Meritevolezza: Il concetto di “meritevolezza” permea la disciplina, soprattutto per i consumatori. Significa che il debitore non deve aver causato il proprio indebitamento con colpa grave, malafede o frode, né aver violato obblighi informativi. Nel piano del consumatore, la meritevolezza è un requisito esplicito: il giudice omologa il piano solo se ritiene che il consumatore versi effettivamente in una situazione di sovraindebitamento senza avervi colpevolmente contribuito (ad esempio contraendo debiti in modo irresponsabile). Nel concordato minore, la legge non parla espressamente di meritevolezza, limitandosi a richiedere l’assenza di frodi; ciononostante, la giurisprudenza ha chiarito che anche in tale procedura il comportamento pregresso del debitore va valutato, sia pure in termini di affidabilità e buona fede più che di merito etico. In concreto, un imprenditore che abbia sistematicamente violato obblighi fiscali o assunto debiti sconsiderati potrà vedersi negare l’omologazione di un concordato minore, come affermato dalla Cassazione. In liquidazione controllata, invece, la mancanza di meritevolezza non preclude l’accesso (che può avvenire anche per debitori colpevoli), ma influisce sul risultato finale: l’art. 280 CCII stabilisce che non si concede l’esdebitazione finale al debitore persona fisica che abbia tenuto comportamenti gravemente colposi o fraudolenti. In altri termini, il debitore non meritevole può liquidare i beni per soddisfare i creditori, ma non ottiene la liberazione dai debiti residui (restando esposto verso di essi anche dopo la chiusura della procedura). Viceversa, un debitore che dimostri di aver fatto tutto il possibile per onorare i propri impegni e che si trova in difficoltà per cause a lui non imputabili, sarà considerato meritevole e potrà aspirare all’esdebitazione – perfino immediata se incapiente.
  • Completezza e trasparenza: Il debitore ha l’obbligo di dichiarare e documentare tutta la propria situazione economica (attività, passività, redditi) all’OCC e al tribunale. L’omissione di beni o la presentazione di documentazione incompleta/inesatta costituiscono causa di inammissibilità o di revoca della procedura, oltre a poter integrare reati (falsa attestazione al tribunale). La “buona fede” e collaborazione del debitore sono dunque essenziali.

Chiariti i presupposti generali e chi sono i soggetti interessati, passiamo ad esaminare nel dettaglio i vari strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento previsti attualmente dal Codice della Crisi, con particolare attenzione alle implicazioni per l’imprenditore minore.

Procedure di Composizione della Crisi da Sovraindebitamento

Il Codice della Crisi prevede tre tipologie di procedure per regolare la crisi da sovraindebitamento: due di natura concordataria (ossia basate su un accordo o piano negoziato, volontario, tra debitore e creditori) e una di natura liquidatoria (ossia basata sulla vendita dei beni del debitore e ripartizione del ricavato). A queste si aggiunge l’innovativa possibilità di esdebitazione “secca” per il debitore incapiente. In sintesi, gli strumenti a disposizione del debitore sovraindebitato sono:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “piano del consumatore” rinominato) – procedura concordataria riservata ai debitori consumatori.
  • Concordato minore (già “accordo di composizione con i creditori”) – procedura concordataria per debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti, ecc.).
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (già “liquidazione del patrimonio”) – procedura liquidatoria giudiziale, utilizzabile da qualsiasi debitore sovraindebitato.
  • Esdebitazione del debitore incapiente – beneficio di cancellazione dei debiti a favore del debitore persona fisica privo di beni e redditi, in presenza di specifiche condizioni.

Di seguito analizziamo ciascuna procedura nel dettaglio, evidenziandone caratteristiche, condizioni di accesso, fasi salienti, effetti e particolarità dal punto di vista del debitore, con un focus sulle esigenze dell’imprenditore minore quando applicabile.

Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore (Piano del Consumatore)

Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore è l’erede diretto del “piano del consumatore” della L.3/2012. Si tratta di una procedura destinata esclusivamente ai debitori consumatori, cioè alle persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale. Un piccolo imprenditore non può accedere a questa procedura per debiti inerenti alla sua attività economica; tuttavia, se egli ha anche debiti di natura strettamente personale (ad es. familiari, di consumo) distinti da quelli aziendali, e tali debiti sono preponderanti, potrebbe valutare l’accesso come consumatore. La giurisprudenza di merito ha infatti riconosciuto che la presenza di qualche debito “professionale” non impedisce il piano del consumatore, purché la natura prevalente del sovraindebitamento sia privata (si pensi a un ex imprenditore le cui passività maggiori derivino da mutui e credito al consumo). In generale però, l’imprenditore minore con debiti legati alla propria attività dovrà orientarsi sul concordato minore, mentre il piano del consumatore rimane la via dedicata alle famiglie e ai soggetti non imprenditoriali.

Caratteristiche salienti: nel piano del consumatore il debitore propone al tribunale un programma di ristrutturazione dei propri debiti, indicando come intende pagare (anche parzialmente e in forma dilazionata) i creditori. La proposta può prevedere le più varie soluzioni: ad esempio la dilazione di alcuni crediti, la falcidia (riduzione) di importi, la cessione o liquidazione di determinati beni con distribuzione del ricavato, ecc. Non vi sono limiti percentuali prestabiliti: il debitore può offrire di pagare solo una frazione dei debiti se il suo patrimonio/reddito non consente di più. La durata del piano può variare in base alle disponibilità del debitore (spesso si articola in alcuni anni di pagamenti periodici).

Un elemento chiave è che non è richiesta l’approvazione dei creditori: il piano del consumatore viene sottoposto direttamente al giudice per l’omologazione, prescindendo dal voto dei creditori. Questo è un tratto peculiare (differenziandolo dall’accordo/concordato, dove il voto è invece determinante): il legislatore ha voluto così favorire i debitori civili meritevoli, permettendo loro di ottenere una ristrutturazione anche senza il consenso della maggioranza dei creditori. Ciò non significa però che i creditori siano totalmente passivi: essi vengono informati del deposito del piano e possono presentare opposizioni in sede di omologazione, ad esempio contestando la convenienza della proposta o la sussistenza dei requisiti. In mancanza di opposizioni, il giudice valuta d’ufficio i presupposti; se vi sono opposizioni, il tribunale le esamina in contraddittorio prima di decidere se omologare.

Meritevolezza e omologazione: Il tribunale è chiamato a svolgere un duplice controllo sul piano: formale-economico da un lato (completezza della documentazione, fattibilità del piano, trattamento equo dei creditori) e sostanziale sulla condotta del debitore dall’altro. In particolare, viene valutata la meritevolezza del consumatore: l’art. 69 CCII (richiamando i criteri della vecchia legge) stabilisce che il giudice omologa il piano solo se: a) il debitore non ha colposamente determinato il proprio sovraindebitamento (ad es. con spese eccessive o azzardando credito senza possibilità di rimborso); b) il debitore non ha violato il dovere di buona fede e correttezza nella presentazione della proposta e delle informazioni. In pratica, se emerge che il sovraindebitato ha assunto obbligazioni in modo doloso o gravemente imprudente, oppure ha omesso informazioni rilevanti, il giudice può ritenere inammissibile o non omologabile il piano. Ad esempio, un consumatore che abbia accumulato debiti di gioco o di lusso difficilmente supererà il vaglio di meritevolezza. La valutazione è caso-specifica e discrezionale: spesso i tribunali considerano anche l’eventuale beneficio offerto ai creditori (un debitore che pur avendo colpe propone di pagare una buona parte dei debiti potrebbe vedersi omologare comunque il piano). In caso di dubbio sulla meritevolezza, taluni giudici preferiscono negare l’omologa del piano e instradare il debitore verso la liquidazione controllata, che è sempre esperibile e consente ai creditori di escutere il patrimonio senza concedergli benefici premiali.

Trattamento dei crediti privilegiati: Una questione delicata nel piano del consumatore è il trattamento dei crediti muniti di garanzia reale (ipoteche, pegni) o privilegi. La legge consente che il piano ritardi il pagamento di tali crediti e anche che ne preveda il soddisfacimento non integrale, ma con alcuni limiti. In base alla normativa (art. 67, comma 4 CCII, già art. 8 L.3/2012), il piano può disporre una moratoria fino a 2 anni dall’omologazione per iniziare i pagamenti dei creditori privilegiati, durante la quale sono dovuti gli interessi legali. Ciò significa che il debitore può prevedere di iniziare a pagare i creditori ipotecari/prelazionari anche dopo un anno o due dall’omologa, se necessario a riorganizzare le finanze, senza incorrere in decadenza – l’importante è che entro due anni i pagamenti abbiano inizio. La Cassazione ha chiarito che l’anno (ora due anni) indicato dalla norma va inteso come termine iniziale per avviare i pagamenti, non come termine finale entro cui esaurirli. Quindi, ad esempio, un piano omologato a gennaio 2025 potrebbe prevedere che il mutuo ipotecario riprenda a essere pagato a rate regolari solo da gennaio 2027, senza per questo violare la norma, purché nel frattempo maturino al più gli interessi legali.

Riguardo alla possibilità di falcidiare (ridurre) l’ammontare dei crediti privilegiati: è ammesso che il piano paghi i creditori privilegiati solo entro il valore dei beni dati in garanzia, degradando l’eventuale parte eccedente a chirografo (cioè trattandola come credito non garantito). Questo concetto, mutuato dall’art. 7, co.1 L.3/2012 e confermato dall’art. 69 CCII, consente ad esempio, se un immobile ipotecato vale meno del debito residuo del mutuo, di proporre di pagare solo fino a concorrenza di quel valore, tagliando il resto. Tale operazione non attribuisce diritto di voto al creditore ipotecario nel piano del consumatore (diversamente dal concordato preventivo): la Cassazione 2025/9549 ha escluso che si possano applicare analogicamente regole del concordato preventivo per concedere un voto al creditore ipotecario in caso di falcidia o moratoria lunga. Il legislatore, infatti, ha compiuto una precisa scelta di sbilanciare a favore del debitore questa procedura: nessun quorum di consensi è richiesto, bilanciando ciò con la facoltà per ciascun creditore di opporsi per contestare la convenienza del piano. In pratica, se un creditore ipotecario ritiene la proposta inaccettabile, può opporsi eccependo che, in caso di liquidazione del bene, otterrebbe di più: a quel punto il giudice potrà omologare il piano solo se lo ritiene più conveniente della liquidazione, cioè se quel creditore non prenderebbe comunque di più vendendo il bene rispetto a quanto offerto dal piano. Questa è la cosiddetta “cram-down giudiziale individuale” prevista dall’art. 70 CCII (già art. 12-bis, co.3 L.3/2012): il giudice può omologare il piano nonostante l’opposizione del creditore, ma solo se valuta che il trattamento economico proposto a quel creditore è almeno pari a quello che otterrebbe da una liquidazione. In caso contrario, l’omologa viene negata.

Ruolo dell’OCC e fasi procedurali: Il debitore consumatore, prima di presentare il piano in tribunale, deve rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o direttamente al tribunale per la nomina di un professionista gestore. L’OCC nominato assiste il debitore nella predisposizione del piano, verifica la documentazione e redige una relazione particolareggiata sui presupposti (cause dell’indebitamento, comportamento del debitore, valutazione sulla fattibilità). Tale relazione è un elemento essenziale: informa il giudice e i creditori sulla situazione e contiene l’attestazione di fattibilità del piano da parte del gestore della crisi. Ottenuta la relazione dell’OCC, il debitore deposita il ricorso per omologazione del piano al tribunale competente. Da quel momento:

  • Il deposito del ricorso produce (se richiesto e concesso dal giudice) le misure protettive: ossia la sospensione di eventuali azioni esecutive o cautelari in corso e il divieto di iniziarne di nuove. Ciò serve a congelare la situazione, impedendo ai creditori impazienti di aggredire il patrimonio mentre pende la procedura. Nel piano del consumatore il tribunale tipicamente emette un decreto di fissazione d’udienza e contestuale sospensione dei pignoramenti.
  • Segue l’udienza di omologazione, in cui – se non vi sono opposizioni – il giudice decide allo stato degli atti; se vi sono opposizioni, sente le parti. In assenza di votazione dei creditori, il tempo fino all’omologa dipende essenzialmente dai termini procedurali per eventuali contestazioni (indicativamente 30 giorni per opposizioni dalla comunicazione, come da art. 70 CCII).
  • Se il tribunale omologa il piano, la procedura entra nella fase di esecuzione del piano sotto controllo OCC. Il debitore dovrà quindi adempiere agli impegni presi: versare ai creditori le somme promesse nei tempi stabiliti, eventualmente liquidare i beni indicati nel piano (spesso con l’ausilio dell’OCC o di un liquidatore nominato ad hoc per vendere beni immobili, se previsti). L’OCC funge da supervisore e riferisce al giudice sullo stato di esecuzione.
  • Completamento e esdebitazione: se il debitore esegue regolarmente il piano fino al termine, egli ottiene l’adempimento della sua obbligazione concorsuale e la liberazione residua dai debiti oggetto del piano. In pratica, i creditori vengono soddisfatti nella misura prevista e non possono più avanzare pretese ulteriori per la parte di credito eventualmente falcidiata. L’omologazione stessa del piano comporta per i creditori chirografari aderenti la perdita della quota eccedente (salvo revoca del piano per inadempimento). Ad ogni modo, al termine il giudice verifica l’avvenuta esecuzione e dichiara l’esdebitazione completa. Va ricordato che alcuni debiti non possono essere cancellati neppure con il piano: in particolare le obbligazioni alimentari e di mantenimento e i debiti per risarcimenti derivanti da fatti illeciti non sono falcidiabili (restano estranei o vanno pagati integralmente a parte). Ad esempio, gli assegni di mantenimento al coniuge/figli o le multe per sanzioni penali non possono essere toccati dal piano.

Vantaggi e rilievi per l’imprenditore minore: In conclusione su questo istituto, occorre ribadire che esso non è in senso stretto pensato per l’imprenditore (bensì per il consumatore). Se l’imprenditore minore ha debiti soprattutto di natura personale (es. ha garantito con fideiussione un mutuo familiare, o contratto debiti privati), egli può accedere come consumatore per tali esposizioni. Un caso tipico è quello del socio illimitatamente responsabile di una società di persone: la legge (prima L.176/2020 e ora art. 66 e 270 CCII) gli consente di presentare un piano del consumatore per i suoi debiti personali estranei all’attività sociale. Tuttavia, i debiti derivanti da garanzie personali prestate a favore della società potrebbero essere considerati comunque legati all’attività d’impresa e non strettamente “consumer”. Pertanto un socio che garantì un debito sociale potrebbe dover ricorrere al concordato minore per sistemare quella posizione. In generale, l’imprenditore minore utilizzerà il piano del consumatore solo per debiti totalmente estranei alla sua attività (ad esempio debiti familiari) – mentre per la ristrutturazione dei debiti professionali dovrà guardare al concordato minore.

Un vantaggio della procedura di ristrutturazione del consumatore è l’assenza di voto dei creditori: il debitore meritevole può ottenere dal giudice l’omologazione anche contro il parere dei creditori (salvo la tutela sulla convenienza minima). Questo strumento è spesso utilizzato, ad esempio, per salvare la casa di abitazione da un pignoramento immobiliare: il debitore propone di pagare il mutuo residuo in forma ridotta e dilazionata, e se il giudice ritiene la proposta equa (e che la banca ottenga almeno quanto ricaverebbe dall’esecuzione forzata), può omologare anche senza il consenso della banca. Ci sono stati casi di successo in cui, grazie a un piano del consumatore presentato durante il pignoramento, il debitore ha evitato la vendita all’asta della casa pagando solo una percentuale del mutuo in molti anni.

Di contro, il piano del consumatore richiede la prova rigorosa della meritevolezza e una capacità reddituale/patrimoniale minima per offrire qualcosa di credibile ai creditori (se il consumatore non ha alcuna capacità di pagamento, non potrà proporre un piano utile e dovrà piuttosto ricorrere all’esdebitazione da incapiente). L’imprenditore minore, essendo normalmente un soggetto con debiti d’impresa, utilizzerà il piano del consumatore solo in situazioni particolari come quelle sopra descritte.

Concordato Minore

Il concordato minore è la procedura destinata ai debitori non fallibili diversi dal consumatore. Si tratta, in sostanza, dell’evoluzione del vecchio “accordo di composizione della crisi” ex L.3/2012, integrato da alcune regole mutuate dal concordato preventivo. È lo strumento tipico per l’imprenditore minore sovraindebitato, nonché per i professionisti, ditte individuali, start-up innovative e in generale per chi svolge attività economica sotto soglia. Anche i soci di società di persone possono accedervi per i debiti inerenti all’attività (compresi quelli derivanti da garanzie prestate per la società).

Finalità e continuazione dell’attività: Diversamente dal piano del consumatore, il concordato minore si fonda su un accordo con i creditori, cioè richiede il consenso di una maggioranza di crediti, ed è concepito per consentire al debitore di proseguire l’attività imprenditoriale o professionale nonostante la crisi. In linea di massima, infatti, la proposta di concordato minore prevede la continuità aziendale: il debitore rimane in sella alla propria impresa e ne utilizza i flussi futuri (in tutto o in parte) per pagare i creditori secondo un piano di rientro. È ammesso comunque che il concordato minore abbia anche una componente liquidatoria – ad esempio la cessione di beni non essenziali o di parte del patrimonio – ma solo a certe condizioni. Il Codice scoraggia l’uso di un concordato puramente liquidatorio da parte dei piccoli debitori: se l’imprenditore minore volesse semplicemente liquidare tutto senza proseguire l’attività, la via maestra dovrebbe essere la liquidazione controllata. Pertanto l’art. 74 CCII stabilisce che nel concordato minore la liquidazione dei beni del debitore è consentita solo se c’è un apporto di risorse esterne (denaro o beni di terzi, nuovi finanziamenti, ecc.) che aumenti in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. In altre parole, un “concordato minore liquidatorio” è possibile soltanto se, rispetto a una normale liquidazione, offre ai creditori un plus evidente grazie a risorse aggiuntive apportate (ad esempio un familiare del debitore conferisce una somma a beneficio dei creditori). Questa norma è volta a evitare che il concordato minore venga usato per liquidare senza vera convenienza per i creditori, bypassando la disciplina della liquidazione controllata.

Contenuto della proposta: Fatta salva la preferenza per la continuità, il contenuto del concordato minore è libero e può consistere in “qualsiasi forma” di ristrutturazione dei debiti, anche mediante cessione di crediti futuri, patrimoni destinati, ecc., purché si preveda di superare la condizione di sovraindebitamento. Il piano può contemplare pagamenti anche parziali ai creditori e secondo tempistiche differenziate. È possibile dividere i creditori in classi omogenee di trattamento (facoltà che diventa obbligo se vi sono creditori garantiti da terzi: ad es. banche con fideiussione di un coobbligato vanno in classe separata). Rispetto al passato, il concordato minore consente ora anche di prevedere il coinvolgimento (e perfino la liberazione) di coobbligati e garanti: l’art. 79 CCII recita che i diritti dei creditori verso i coobbligati e fideiussori non sono pregiudicati, “salvo che sia previsto diversamente”. Questa formulazione indica che la proposta di concordato minore può prevedere un trattamento dei crediti tale da coinvolgere i coobbligati, ad esempio liberandoli se i creditori lo accettano (innovazione notevole rispetto alla legge precedente, che tutelava sempre i garanti esterni). Ciò offre spazio a soluzioni concordate più ampie, magari con il contributo economico dei garanti in cambio della loro liberazione.

Trattamento dei crediti privilegiati: Analogamente al piano del consumatore, anche nel concordato minore è possibile proporre il pagamento parziale (falcidia) dei creditori privilegiati, a condizione che sia assicurato loro almeno quanto otterrebbero nella liquidazione dei beni su cui insiste la prelazione. In sostanza vale la regola del “best interest test” per i privilegiati: non si può offrire a un ipotecario meno del presumibile ricavato dalla vendita del bene ipotecato. Se la proposta li soddisfa in misura non inferiore alla liquidazione, essi possono subire una falcidia (che devono comunque accettare tramite voto). Un caso particolare disciplinato dall’art. 75 CCII riguarda il mantenimento in essere di mutui ipotecari su beni strumentali all’attività: è consentito che, nel concordato in continuità, il debitore continui a pagare alle scadenze originarie le rate a scadere di un mutuo garantito da ipoteca su un bene essenziale (es. l’immobile dove opera l’azienda). In tal modo quel bene non viene liquidato né il credito ipotecario falcidiato: si “stralcia” dal piano lasciando che il debitore onori regolarmente il mutuo. Ciò è però possibile solo se le rate scadute prima della domanda risultano pagate (o vengono pagate all’avvio su autorizzazione del giudice) e se l’OCC attesta che il credito ipotecario sarebbe interamente soddisfatto in caso di vendita del bene. In pratica bisogna dimostrare che tenere in piedi il mutuo non lede gli altri creditori, perché l’ipotecario è comunque coperto dal valore del bene; diversamente, se il mutuo fosse “sott’acqua” (bene di valore inferiore al debito), non si potrebbe mantenerlo nei termini originali senza intaccare gli altri creditori, a meno di consenso. Questa previsione risulta preziosa per l’imprenditore minore che voglia salvaguardare un cespite cruciale (es. il capannone o negozio di proprietà): pagando regolarmente il mutuo può tenerlo fuori dalla liquidazione, se la garanzia è capiente, evitando l’interruzione dell’attività. Inoltre, nel concordato minore non vige il limite di un anno per eventuali moratorie ai privilegiati (a differenza del piano del consumatore): qui tutto dipende dall’accordo coi creditori, per cui il debitore può proporre di pagarli quando vuole, anche oltre un anno, purché ottenga il loro assenso. In sintesi, nel concordato minore i vincoli temporali sono sostituiti dalla contrattazione con i creditori: ciò offre flessibilità, ma al contempo richiede convincere i creditori.

Accesso e condizioni: Per accedere al concordato minore il debitore deve: (i) appartenere alle categorie ammesse (imprenditore minore, professionista, ecc., comunque non consumatore); (ii) non aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti e non più di due volte in totale; (iii) non aver commesso atti in frode ai creditori; (iv) aver ottenuto dall’OCC l’attestazione di fattibilità del piano. Non è esplicitamente richiesto dal Codice un requisito di meritevolezza in termini generali (come visto sopra), ma di fatto la proposta verrà valutata anche sotto il profilo della buona fede. In particolare, l’OCC nella relazione deve riferire sulle cause dell’indebitamento e sulla diligenza con cui il debitore ha assunto le obbligazioni; inoltre in sede di omologa se emergono gravi violazioni o mala fede, il giudice potrebbe rigettare la domanda accogliendo eventuali opposizioni dei creditori. Possiamo dunque dire che, pur senza una “meritevolezza” codificata, anche nel concordato minore al debitore è richiesta correttezza e trasparenza (come sottolineato dalla Cassazione).

Procedimento: La presentazione di un concordato minore segue fasi analoghe a quelle già illustrate per il piano del consumatore, con alcune differenze:

  • Il debitore si rivolge all’OCC, che lo assiste nella predisposizione della proposta di concordato e del piano, raccoglie i documenti e redige la relazione particolareggiata e l’attestazione di fattibilità.
  • Il debitore deposita quindi il ricorso al tribunale chiedendo l’apertura della procedura di concordato minore (art. 76 CCII). Al ricorso sono allegate la proposta, il piano, la documentazione richiesta e la relazione OCC.
  • Misure protettive: Diversamente dalla L.3/2012 dove la sospensione dei procedimenti esecutivi era automatica, nel CCII il debitore deve richiedere espressamente le misure protettive e il tribunale le concede con decreto motivato, se ne ricorrono i presupposti (art. 54 CCII richiamato). In genere, insieme al ricorso il debitore chiede di sospendere eventuali pignoramenti in corso. Il decreto di apertura del procedimento, se emesso, dispone le misure protettive e nomina un giudice delegato.
  • Votazione dei creditori: Questa è la fase cruciale che distingue il concordato minore. Il tribunale, aperta la procedura, impartisce le direttive per l’adunanza dei creditori o la raccolta del voto in forma scritta. Tutti i creditori ammessi al voto (ossia quelli chirografari e privilegiati per l’eventuale parte non garantita) hanno diritto di esprimere il proprio voto favorevole o contrario alla proposta. Non votano i titolari di crediti impignorabili o di crediti molto particolari, e ovviamente i correlati/partecipanti alla proposta. È possibile che i creditori siano suddivisi in classi, ma ai fini dell’approvazione conta il quorum complessivo (non per classe, salvo forse specifiche tecniche). Il CCII ha abbassato il quorum richiesto rispetto alla legge previgente: la proposta si intende approvata se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. In altre parole, serve oltre il 50% in valore dei crediti (prima era il 60% con la L.3/2012). Inoltre, se un singolo creditore detiene più della metà dei crediti votanti (ad es. un grande creditore al 60%), la norma prevede che sia necessaria anche la maggioranza per teste dei creditori votanti. Questo accorgimento evita che un unico soggetto, da solo, possa decidere l’esito: se c’è un creditore ultramaggioritario che vota sì, occorre comunque che numericamente la maggior parte degli altri votanti (cioè almeno un altro, nel caso limite) sia favorevole. Viceversa, se quel grande creditore vota no, la maggioranza in valore non si raggiunge e il concordato non passa. Astensioni e mancato voto vengono conteggiati come dissenso ai fini del calcolo (si considera valore dei soli voti espressi o di tutti ammessi? Il CCII parla di “crediti ammessi al voto”, interpretato di solito come quorum sui presenti; per sicurezza, il debitore cerca di far esprimere quanti più voti favorevoli possibile).
  • Omologazione: Se la maggioranza necessaria viene raggiunta, il tribunale passa alla fase di omologazione. I creditori dissenzienti (o qualsiasi interessato) possono proporre opposizione all’omologa, sollevando questioni come: il piano viola norme imperative, oppure un creditore lamenta che riceverà meno di quanto avrebbe in liquidazione (concordato minore ha una regola di convenienza analoga: l’art. 80 CCII consente al creditore dissenziente di opporsi per far valere la mancata convenienza della proposta rispetto alla liquidazione). Il giudice, in presenza di opposizioni, fissa udienza e decide. Se non vi sono opposizioni (o dopo averle rigettate), il tribunale emette decreto di omologa del concordato minore. Da notare due importanti novità: (1) se il dissenso alla proposta proviene dall’Erario o dagli enti previdenziali (Agenzia Entrate, INPS) ma la maggioranza dei creditori privati è favorevole, il giudice può omologare d’ufficio il concordato nonostante il voto negativo del Fisco/INPS, esercitando il c.d. cram-down fiscale. Ciò è possibile però solo se l’Amministrazione ha ricevuto un trattamento non deteriore rispetto alle alternative (sostanzialmente almeno pari al dividend in liquidazione). Questa previsione, introdotta nel CCII e rafforzata dal correttivo 2024, è di enorme rilievo: evita che lo Stato possa bloccare la ristrutturazione del piccolo imprenditore per rigidità, permettendo al giudice di superare il veto quando la proposta è oggettivamente equa per il Fisco. (2) Può essere nominato un commissario giudiziale nel concordato minore in alcuni casi complessi (su decisione del giudice, art. 78 CCII), figura prima non prevista nella L.3/2012. Il commissario affianca l’OCC nei controlli, ma questa duplicazione ha destato perplessità per il possibile aggravio di costi e ruoli. In genere, per concordati minori semplici non viene nominato.
  • Se manca la maggioranza di voti, il concordato minore è respinto: la procedura si chiude con esito negativo. Il debitore a quel punto può trovarsi esposto di nuovo alle azioni esecutive individuali. In alcuni casi, egli potrebbe presentare una nuova proposta migliorativa entro un certo termine (la L.176/2020 per le procedure pendenti prevedeva la chance di depositare una nuova proposta entro 90 giorni dal diniego, e la Cassazione ha confermato che ciò è possibile ove concesso ai sensi di quella norma speciale). Nel regime attuale CCII, la presentazione di una nuova domanda dopo l’omologazione negata è astrattamente possibile, ma occorre evitare abusi e peggioramenti nel frattempo. In alternativa, il debitore potrà optare per la liquidazione controllata come ultima risorsa.
  • Esecuzione del concordato: Una volta omologato, il concordato minore diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, anche se dissenzienti (sono obbligati ad accettare i pagamenti parziali/dilazionati previsti e rinunciare al resto). L’OCC (e l’eventuale commissario) supervisiona l’attuazione del piano. Il debitore continua a gestire la sua attività (non c’è spossessamento dei beni come nel fallimento), ma deve attenersi al piano e viene controllato. Eventuali beni da liquidare sono venduti secondo il piano, con l’ausilio dell’OCC o di delegati. I creditori, durante l’esecuzione, non possono agire individualmente: le esecuzioni restano bloccate e si soddisfano solo nelle forme previste dal piano. Se il debitore è inadempiente o viola le obbligazioni, i creditori o il commissario possono chiedere la risoluzione del concordato (il tribunale la pronuncia e revoca i benefici). A quel punto, i creditori riacquistano libertà di azione sui debiti residui, salvo eventualmente aprire una liquidazione controllata.
  • Chiusura ed esdebitazione: Se il debitore esegue con successo il concordato minore, pagando quanto concordato, egli ottiene la liberazione dai debiti residui conformemente all’accordo. In pratica, la parte di credito stralciata si intende rinunciata dai creditori in forza dell’accordo omologato e dell’adempimento. L’art. 81 CCII disciplina anche il compenso dell’OCC (liquidato dal giudice a fine procedura). Nel concordato minore, a differenza della liquidazione, non è prevista una “sentenza di esdebitazione” separata: l’effetto liberatorio discende dall’accordo stesso. Tuttavia, se emergesse che un creditore non è stato soddisfatto come doveva, potrebbe far valere l’inadempimento. Anche qui restano impagabili eventuali debiti di natura personale esclusi (es. alimenti). Un aspetto introdotto dal CCII riguarda i creditori “puniti” per condotta scorretta: il concordato minore prevede che il creditore che ha colpevolmente causato o aggravato l’indebitamento non possa contestare la convenienza della proposta (art. 80, co.3 CCII). Prima, tali creditori non potevano proprio opporsi all’omologa; ora possono farlo, ma non sul parametro della convenienza economica. Ad esempio, una finanziaria che abbia concesso credito irresponsabilmente al fine di lucrare interessi da un debitore già in difficoltà, non potrà lamentare in omologa che riceve poco. Questa è una sorta di sanzione verso i creditori “imprudenti” o usurai, a tutela del debitore meritevole.

Vantaggi per il debitore imprenditore minore: Il concordato minore è pensato su misura per ristrutturare l’impresa e darle continuità. Il vantaggio principale è che consente di scongiurare la liquidazione e la perdita dei beni aziendali, attraverso un accordo sostenibile: il piccolo imprenditore può mantenere la titolarità dell’azienda, rinegoziare i debiti con una falcidia e proseguire l’attività, magari con un nuovo slancio. Inoltre, grazie alle recenti riforme, egli può beneficiare del cram-down fiscale (quindi non è più alla mercé di un eventuale diniego dell’Erario, se la proposta è valida). Può anche risolvere in modo coordinato la posizione di eventuali garanti e soci, includendoli nell’accordo se possibile.

Altro beneficio è la flessibilità: non c’è un limite minimo di soddisfazione imposto per legge (a differenza del concordato preventivo che impone il 20% ai chirografari se liquidatorio), né un limite fisso di durata o di moratoria (tutto dipende dall’accordo e dal voto dei creditori). Questo permette di modellare il piano sulle reali possibilità del debitore. Ad esempio, se un imprenditore agricolo prevede un ritorno economico solo dopo 3 anni (tempo per riportare a regime la produzione), può proporre pagamenti che iniziano a lunga distanza, ottenendo intanto respiro finanziario – purché i creditori comprendano e accettino che è la via migliore per recuperare qualcosa. La sospensione delle azioni esecutive protegge l’azienda durante la procedura, evitando la frammentazione del patrimonio.

Di contro, il concordato minore richiede di convincere i creditori: non basta l’ok del giudice, serve il loro consenso (anche se solo del 50% in valore). Quindi il debitore deve strutturare una proposta plausibile e attrattiva, spesso offrendo ai creditori assai di più di quanto otterrebbero dal fallimento (anche con l’aiuto di terzi apportatori se necessario). Se il debitore è inaffidabile o la proposta è debole, i creditori potranno bocciarla. In tal senso, l’attestazione di fattibilità dell’OCC gioca un ruolo: se un professionista indipendente certifica che il piano è realistico e conveniente rispetto all’alternativa, i creditori saranno più propensi a votare a favore.

In caso di insuccesso del concordato (mancanza di quorum o risoluzione per inadempimento), l’imprenditore minore dovrà affrontare quasi inevitabilmente la liquidazione dei propri beni (su istanza dei creditori o sua). Pertanto, questa procedura è un tentativo di salvataggio che conviene intraprendere se c’è ragionevole possibilità di risanamento parziale.

Liquidazione Controllata del Sovraindebitato

La liquidazione controllata è la procedura concorsuale di tipo liquidatorio prevista dal Codice per i debitori sovraindebitati. Corrisponde, con alcuni aggiustamenti, alla “liquidazione del patrimonio” della legge 3/2012. È una sorta di “piccolo fallimento” su base volontaria o giudiziale: attraverso la liquidazione controllata, infatti, tutti i beni del debitore vengono aggrediti in un’unica procedura, venduti e il ricavato ripartito tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Al termine, se il debitore è persona fisica meritevole, potrà ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti non pagati).

La liquidazione controllata può essere avviata su richiesta del debitore, oppure su istanza di un creditore o di un pubblico ministero (in tal caso è un procedimento forzoso). Si noti che questa è un’importante differenza rispetto alle procedure concordatarie: mentre piani e concordati minori sono attivabili solo dal debitore (per definizione volontari), la liquidazione può essere domandata anche dai creditori. Infatti, se un debitore non fallibile è insolvente e i creditori vogliono evitare di competersi i beni disordinatamente, possono chiedere al tribunale l’apertura di una liquidazione controllata d’ufficio. Questo era già previsto dalla L.3/2012 e confermato dal CCII (art. 268 prevede l’istanza del debitore o la ricorrenza di insolvenza su istanza dei creditori). Per l’imprenditore minore, ciò significa che – anche contro la sua volontà – potrebbe essere sottoposto a liquidazione controllata su iniziativa di creditori determinati. D’altra parte, spesso è lo stesso debitore a optare per questa procedura come “ultima spiaggia” per liberarsi dai debiti insostenibili quando non esistono i presupposti per un piano o un concordato.

Apertura della procedura: Il debitore (o il creditore istante) presenta ricorso al tribunale per l’apertura della liquidazione controllata. È necessario depositare la lista di tutti i creditori, l’inventario dei beni, i redditi, le spese, ecc., in modo simile alle altre procedure, oltre alla relazione dell’OCC se la domanda viene dal debitore. Se la richiesta viene da un creditore, il tribunale deve accertare lo stato di insolvenza del debitore e verificare che si tratti di soggetto non fallibile. Una volta soddisfatte le condizioni, il tribunale emette un decreto di apertura della liquidazione controllata, nominando un giudice delegato e un liquidatore (figura paragonabile al curatore fallimentare). Da quel momento:

  • Effetti patrimoniali: tutti i beni di proprietà del debitore (ad eccezione di quelli legalmente impignorabili, come gli stipendi entro i minimi vitali, la casa di abitazione se non ipotecata – ma attenzione: la prima casa non gode di esenzione automatica in queste procedure, se priva di ipoteca può essere ugualmente liquidata salvo accordi, a differenza di alcune giurisprudenze favorevoli al debitore in L.3/2012) entrano nella disponibilità della procedura. Il debitore persona fisica non viene completamente spossessato come nel fallimento (egli conserva la titolarità civile dei beni, ma ne perde la gestione e disponibilità in favore del liquidatore). Le azioni esecutive individuali cessano e i beni saranno liquidati solo dal liquidatore nell’interesse paritetico di tutti i creditori.
  • Formazione dello stato passivo: analogamente al fallimento, il liquidatore invita i creditori a presentare le domande di insinuazione entro un termine. Viene formato l’elenco dei crediti ammessi (stato passivo) con indicate le cause di prelazione, ecc. I creditori possono discutere su questo elenco e proporre reclamo se sono esclusi o se contestano l’altrui ammissione. La Cassazione ha di recente chiarito, ad esempio, che un creditore può proporre reclamo avverso lo stato passivo della liquidazione ex L.3/2012 entro un certo termine e che il liquidatore stesso è legittimato a resistere nel giudizio di reclamo, rappresentando gli interessi della massa. Questo per dire che la liquidazione controllata ricalca molti aspetti tecnici del fallimento tradizionale, sebbene in forma semplificata.
  • Liquidazione dei beni: il liquidatore procede a vendere i beni del debitore con modalità competitive (aste, ecc.) oppure a riscuotere i crediti, sciogliere i contratti pendenti secondo le regole, ecc. Il debitore deve collaborare, ma viene sostituito nella gestione del patrimonio. Se il debitore svolgeva un’attività, normalmente questa cessa salvo casi eccezionali: ad esempio, l’azienda può essere venduta in esercizio, oppure se c’è convenienza il liquidatore potrebbe temporaneamente proseguirla per venderla meglio. Tuttavia per l’imprenditore minore la liquidazione controllata di solito segna la fine dell’attività, diversamente dal concordato dove poteva continuare.
  • Distribuzione: una volta convertiti in denaro i cespiti, il liquidatore redige un piano di riparto: si soddisfano prima i creditori privilegiati (fino a concorrenza delle garanzie o prelazioni sui beni venduti), e poi con l’eventuale residuo i creditori chirografari in proporzione (spesso con percentuali modeste). Se il patrimonio è insufficiente, i chirografari possono non vedere nulla. I crediti aventi garanzia reale su beni non di proprietà del debitore (es. su beni di terzi) restano fuori per quella parte. I debiti impignorabili (alimenti, ecc.) non partecipano al concorso – il debitore dovrà continuare a pagarli a parte.
  • Durata: la liquidazione controllata ha una durata variabile a seconda della complessità, ma la legge prevede un orizzonte di 3 anni: in particolare, l’art. 277 CCII stabilisce che decorsi 3 anni dall’apertura (per le procedure aperte su istanza del debitore) il giudice su istanza deve dichiarare chiusa la procedura, anche se non tutte le attività sono liquidate. Questa norma incentiva una chiusura relativamente rapida, salvo eccezioni (può essere prorogata per giustificati motivi). Nella prassi molte liquidazioni ex L.3 duravano oltre 3 anni, ma con il CCII si vuole allineare al principio europeo che un debitore meritevole debba poter essere liberato dai debiti entro 3 anni.

Esdebitazione dopo liquidazione: Terminata la liquidazione, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione (art. 282 CCII). Il tribunale, verificato che il debitore ha cooperato e che non ricorrono circostanze ostative (comportamenti fraudolenti, violazioni, ecc.), emette un decreto che cancella tutti i debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali (ossia inclusi nella procedura). In sostanza, il debitore viene “riabilitato” economicamente, liberato dal peso dei debiti non soddisfatti. Questa è la finalità di favore che giustifica il sistema: dare al debitore onesto ma sfortunato la possibilità di ripartire pulito, dopo aver sacrificato tutto il suo patrimonio in favore dei creditori. Non ottiene esdebitazione invece il debitore persona fisica che sia stato dichiarato gravemente in colpa o fraudolento nella formazione dell’indebitamento (art. 280 CCII già menzionato). In tal caso i debiti residui restano comunque dovuti. Parimenti, non sono toccati dall’esdebitazione i debiti estranei al concorso (ad es. obblighi alimentari, risarcimenti per danni da dolo, multe penali, ecc., che per legge non si estinguono). Da rilevare: se la procedura di liquidazione è stata aperta d’ufficio su istanza di creditori e il debitore non era consenziente, egli ha diritto comunque di essere liberato dai debiti a fine procedura purché abbia cooperato lealmente (non sarebbe equo che un debitore, magari non meritevole per un piano ma comunque sottoposto a liquidazione forzata, resti per sempre esposto: tuttavia, se ha frodato o aggravato dolosamente, la legge nega la liberazione).

Impatto delle novità 2024: Il correttivo 136/2024 ha previsto esplicitamente che si può aprire la liquidazione controllata anche dopo la cessazione dell’attività imprenditoriale, senza limiti temporali stringenti. Questo garantisce che un imprenditore minore che abbia chiuso bottega (anche da anni) possa comunque regolare i propri debiti residui con una liquidazione concorsuale, accedendo così all’esdebitazione, invece di rimanere “bloccato” dai debiti a vita. Si tratta di un’estensione favorevole al debitore, che evita zone d’ombra.

Procedura residuale e obbligatoria: La liquidazione controllata è vista come la procedura residuale, in quanto vi si ricorre quando non è praticabile (o non riesce) una soluzione concordataria. Essa tutela l’interesse dei creditori a una esecuzione collettiva ordinata dei beni del debitore. Per il debitore, spesso è l’extrema ratio: comporta la perdita del patrimonio, ma è l’unica strada per uscire dal tunnel se non può permettersi un accordo. Non a caso la legge consente al debitore di attivarla volontariamente quando capisce di non farcela (dandogli anche alcuni vantaggi procedurali, es. un trattamento più mite di eventuali atti a revocatoria etc.).

Esempio pratico: Si consideri un imprenditore minore che abbia già chiuso la sua attività, con debiti complessivi per 400.000€. Nessun piano sarebbe approvabile perché non ha flussi di reddito per pagare se non in minima parte. Egli potrà allora mettere sul piatto i pochi beni personali rimasti (es. un’automobile e qualche risparmio, poniamo per tot €20.000) avviando la liquidazione controllata. I creditori riceveranno quel poco (in proporzione circa 5% del dovuto), ma alla fine – se l’uomo ha agito lealmente – il tribunale cancellerà il residuo €380.000 di debiti. Per il debitore è un fresh start, sebbene abbia perso i beni. Se il debitore in questione fosse invece incolpevole ma totalmente privo di beni (nemmeno l’auto o risparmi), potrebbe valutare di ricorrere direttamente all’esdebitazione da incapiente, di cui parliamo nel prossimo paragrafo, evitando la procedura di liquidazione formale.

Comparazione con il fallimento: Pur concettualmente simile, la liquidazione controllata è più snella e mirata rispetto al fallimento (liquidazione giudiziale). Ad esempio: i termini per insinuarsi sono più brevi; non c’è un vero comitato dei creditori se non in casi eccezionali; le spese di procedura sono ridotte; il debitore persona fisica non subisce conseguenze civili come l’inabilitazione o il divieto di attività commerciale che conseguivano al fallimento (il CCII peraltro ha attenuato anche questi aspetti nel fallimento). In sostanza, è un procedimento pensato per dimensioni ridotte, dove l’obiettivo principale è chiudere i conti e dare al debitore meritevole la possibilità di ripartire.

Esdebitazione del Debitore Incapiente

L’esdebitazione dell’incapiente è la grande novità introdotta in questa materia (anticipata nel 2020 e ora a regime nell’art. 283 CCII). Si tratta della possibilità per un debitore persona fisica sovraindebitato, che non possiede alcun patrimonio né capacità di reddito attuale o prospettica da offrire ai creditori, di ottenere comunque la cancellazione di tutti i debiti senza dover pagare nulla. In altri termini, il debitore totalmente “incapiente” può essere liberato dalle proprie obbligazioni come misura umanitaria ed economico-sociale, evitando l’inutile protrarsi di una condizione disperata.

Questa procedura è riservata ai soggetti che non hanno alcuna utilità da mettere a disposizione dei creditori, né immediatamente né nell’immediato futuro. È un beneficio eccezionale e “a costo zero” per il debitore, pertanto la legge pone requisiti stringenti per concederlo, al fine di evitare abusi:

  • Il debitore deve essere persona fisica (non società).
  • Deve essere meritevole: ciò implica assenza di frode, di colpa grave, di atti in malafede nell’indebitamento. Il parametro di meritevolezza qui è imprescindibile: solo chi si trova sovraindebitato per sventure o errori scusabili può aspirare a questo perdono integrale.
  • Non deve aver già ottenuto altra esdebitazione in passato recente (valgono gli stessi limiti: non nei 5 anni precedenti, e comunque non più di una volta nella vita – di fatto, l’esdebitazione incapiente può essere concessa una sola volta, essendo poco sensato un suo ri-utilizzo).
  • Deve dimostrare di non possedere alcun bene liquidabile, né di avere un reddito aggredibile (oltre il minimo vitale) né di poter ragionevolmente procurarsi risorse per pagare i creditori, nemmeno in futuro. In pratica occorre provare che anche nei prossimi anni la situazione reddituale presumibile non darà margini per soddisfare i creditori in misura apprezzabile. Questo si fa allegando la documentazione su entrate, spese di sostentamento, eventuali carichi familiari, ecc., e l’OCC nella relazione attesta l’assenza di utilità presenti o future.

Procedimento: Il debitore, tramite l’OCC, presenta al tribunale un’istanza di esdebitazione dell’incapiente. Deve allegare: l’elenco completo dei creditori e dei debiti, l’elenco di eventuali atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi 5 anni, le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni, l’indicazione di stipendi/pensioni/entrate proprie e familiari, e soprattutto la relazione particolareggiata dell’OCC. In questa relazione, oltre alle cause dell’indebitamento e alla diligenza del debitore nel contrarre debiti (come per le altre procedure), l’OCC deve indicare se eventuali finanziatori abbiano concesso credito senza valutarne il merito (aspetto rilevante per la colpa dei creditori). L’OCC, inoltre, deve dare atto espressamente che il debitore non può offrire alcuna utilità né ora né nel futuro prossimo ai creditori, tenuto conto di un tenore di vita dignitoso per sé e la famiglia. Questo implica anche la valutazione che eventuali risorse future prevedibili (stipendi, ecc.) non superino la soglia del minimo vitale (determinato di solito con riferimento all’assegno sociale aumentato della metà per ogni familiare a carico).

Ricevuta l’istanza, il tribunale fissa un’udienza e verifica i requisiti. Il giudice può assumere informazioni (ad es. chiedere chiarimenti su movimenti bancari, ecc.), e soprattutto valuta la meritevolezza e l’assenza di atti in frode. Se ritiene tutto in regola, emette un decreto di concessione dell’esdebitazione incapiente. Questo decreto:

  • Libera il debitore da tutti i debiti chirografari anteriori (e anche dalla parte non pagata di eventuali debiti privilegiati). È una cancellazione immediata. I creditori non riceveranno nulla, ma vengono privati per legge del diritto di pretendere oltre.
  • Può imporre al debitore di presentare annualmente una dichiarazione sulle sopravvenienze (entro un termine fissato). Infatti, la legge prevede una sorta di condizione risolutiva: se nei 4 anni successivi al decreto sopravvengono utilità rilevanti, il debitore ha l’obbligo di farlo sapere e di pagarle ai creditori fino a un certo limite. In particolare, se entro 4 anni il debitore ottiene redditi o cespiti tali da consentire di soddisfare i creditori in misura almeno del 10%, dovrà destinare quelle utilità al pagamento dei creditori fino a concorrenza (non sono considerate “utilità” i finanziamenti ricevuti, per evitare che chieda un prestito solo per questo). Il giudice nel decreto specifica le modalità di monitoraggio: l’OCC viene incaricato di effettuare verifiche periodiche sulle condizioni del debitore nei 4 anni.
  • Stabilisce che eventuali opposizioni possono essere proposte dai creditori entro un termine (30 giorni dalla comunicazione). Se vengono proposte opposizioni, il giudice le esamina in contraddittorio e poi conferma o revoca il decreto. Questo meccanismo consente ai creditori di contestare l’esdebitazione se ritengono, ad esempio, che il debitore non fosse sinceramente incapiente o meritevole. Se nessuno si oppone nei termini, il decreto diviene definitivo.

Durante i 4 anni successivi, l’OCC resta in funzione vigilando sulle entrate del debitore. Se scopre che il debitore ha avuto sopravvenienze significative e non le ha segnalate/pagate, riferisce al giudice: potrebbe allora revocarsi il beneficio. Diversamente, trascorsi i 4 anni, l’esdebitazione incapiente diventa definitiva e irretrattabile: i creditori non potranno più rivalersi neppure se il debitore in futuro dovesse arricchirsi (oltre quel quadriennio di “protezione” per i creditori). Dunque, la legge bilancia l’atto di clemenza con un periodo di sorveglianza, ma poi offre al debitore virtuoso una piena liberazione.

Esempio: un soggetto senza lavoro, senza case né auto, solo con modesti effetti personali e magari la mera pensione sociale, indebitato per 100.000€, potrà chiedere l’esdebitazione incapiente. Se concessa, subito i 100.000€ vengono azzerati. Se però entro 4 anni questo soggetto trovasse un buon lavoro o ricevesse un’eredità consistente, dovrà usarne una parte per pagare i vecchi creditori almeno fino al 10% (cioè 10.000€). Se invece resta nullatenente o comunque con redditi bassi, passati i 4 anni anche se poi diventasse ricco i vecchi debiti sarebbero ormai cancellati in via definitiva.

Importanza pratica: Questa misura costituisce di fatto una “grazia” per i debitori civili onesti ma sfortunati, in linea con il principio del fresh start promosso dall’UE. Prima, un debitore senza nulla restava comunque inseguito a vita dai creditori (che magari non riuscivano a prender nulla ma tenevano i debiti in bilancio, ostacolando di fatto la ripartenza del debitore). Ora, con l’esdebitazione incapiente, c’è uno strumento giuridico per “fare pulizia” e dare a queste persone la possibilità di rifarsi una vita fuori dall’economia sommersa. Ovviamente, viene applicato con estrema attenzione: i giudici scrutano la storia del debitore per scongiurare che un furbo approfitti della norma. Ad esempio, se emergesse che il richiedente ha anche solo minime risorse (una piccola proprietà vendibile, o un diritto da esercitare) la strada incapiente non è percorribile – in tal caso andrebbe piuttosto aperta una liquidazione per monetizzare quell’attivo, fosse pure poco. L’idea è che l’esdebitazione incapiente è concessa solo quando oggettivamente non c’è proprio nulla da liquidare.

Costi e aspetti procedurali: Per incoraggiare il ricorso, la legge prevede che i compensi dovuti all’OCC in caso di esdebitazione incapiente siano dimezzati rispetto al normale. Inoltre, l’OCC continua il lavoro nei 4 anni senza ulteriori compensi (oltre a quell’eventuale 50% ridotto). Questo rende la procedura poco onerosa. Il debitore deve comunque spesso farsi assistere da un professionista per preparare la domanda, ma molti OCC offrono sportelli di assistenza. Non sono dovute somme ai creditori (ovviamente, trattandosi di non pagamento). Se emergono utilità da destinare ai creditori, verranno ripartite dall’OCC secondo le regole generali.

Confronto con liquidazione controllata: Un debitore incapiente potrebbe teoricamente aprire una liquidazione controllata e poi vedersi esdebitato, ma ciò implicherebbe nominare un liquidatore, insinuare i crediti, etc., per poi accertare che nulla c’è. È uno spreco di tempo e risorse. L’istituto in esame evita questa trafila: salta direttamente alla fine, dando esdebitazione immediata. È stato definito una sorta di “fallimento personale nullatenente” lampo. Naturalmente, i creditori potrebbero preferire comunque la liquidazione se sospettano che qualcosa si cavi: per questo, in caso di dubbi, il tribunale potrebbe rigettare l’istanza incapiente suggerendo la liquidazione. Ad esempio, se il debitore ha in corso cause legali da cui potrebbe scaturire un risarcimento a suo favore, benché oggi nullatenente, non è davvero incapiente in prospettiva: meglio liquidazione così il curatore potrà incamerare quelle cause. Oppure, se il debitore appare non meritevole, il giudice può negare l’esdebitazione e lasciare i creditori liberi di perseguirlo individualmente (anche se ciò spesso è infruttuoso).

Considerazioni finali per il debitore: L’esdebitazione incapiente rappresenta la massima tutela del debitore incolpevole. Per l’imprenditore minore, può essere rilevante in casi limite: si pensi a un piccolo imprenditore fallito su tutti i fronti, che ha chiuso l’attività, venduto i macchinari per pagare qualcosa, e gli restano comunque debiti per centinaia di migliaia di euro a fronte di zero patrimonio – magari avanti con l’età e senza redditi significativi. Questa persona con la vecchia legge 3/2012 avrebbe dovuto comunque passare da una liquidazione (pur sapendo che non c’è nulla da dividere) per poi chiedere esdebitazione. Oggi può aspirare direttamente a un decreto che lo liberi da quel macigno, se convince il tribunale della propria buona fede.

Va però ribadito: non è un diritto automatico; è un beneficio eccezionale. Il debitore deve preparare bene la documentazione e la narrazione delle proprie vicende, perché il giudice valuterà con occhio severo se davvero merita la cancellazione dei debiti “a gratis”. Ogni traccia di possibile scorrettezza (ad esempio: “hai regalato la tua auto a tuo fratello l’anno scorso e ora dici di essere senza nulla?”) può portare al rigetto. In quelle situazioni, come già accennato, un debitore non meritevole potrà al più percorrere la liquidazione (pagando quel poco che si recupera) ma non ottenere l’esdebitazione – restando quindi tecnicamente indebitato a vita, a monito di comportamenti scorretti. È dunque uno strumento da maneggiare con sincerità e precisione.

Confronto riepilogativo delle procedure

Per riassumere le caratteristiche principali dei vari strumenti di sovraindebitamento dal punto di vista del debitore, utilizziamo la seguente tabella comparativa:

ProceduraSoggetti ammessiModalità e requisitiEsiti per il debitoreRiferimenti normativi
Ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore)– Solo Consumatore (persona fisica con debiti non professionali).– Esempio: privato, dipendente, pensionato con debiti bancari, familiari, ecc.Proposta unilaterale del debitore al Tribunale, senza voto creditori.– Meritevolezza necessaria: no colpa grave o frode nell’indebitamento.– OCC relazione e attestazione di fattibilità obbligatorie.– Possibile moratoria fino 2 anni per ipotecari; falcidia ipoteche nei limiti valore bene.– Creditori possono opporsi su convenienza (giudice verifica >= alternativa liquidatoria).– Se omologato, il piano viene eseguito sotto controllo OCC.– Sospende azioni esecutive (automatic stay su richiesta).– Debitore paga solo quanto previsto (spesso parziale).– Mantiene beni non destinati a liquidazione (es. può salvare casa pagando mutuo in piano).– Ottenuta l’esecuzione integrale del piano, i debiti residui sono cancellati (esdebitazione di fatto).– In caso di inadempimento, revoca piano e creditori possono agire per il saldo.– Durata tipica: omologa in pochi mesi; piano di pagamento in 4–5 anni (in media).Artt. 67–73 CCII (già 68–73).Artt. 2 c.1 lett. e (definiz. consumatore), 69 (meritevolezza), 70 (opposizione convenienza).D.Lgs. 136/2024 (moratoria 2 anni art. 67 c.4).
Concordato minore (Accordo di composizione)Debitori non fallibili non consumatori: es. Imprenditore minore, professionista, start-up, socio illimitato per debiti sociali.– Anche piccole società sotto soglia (s.n.c., S.r.l.) in attività o cessate (se cessata, procedura fattibile entro breve tempo per continuità).Piano e proposta ai creditori con % pagamento e modalità (continuità aziendale di regola).– Voto dei creditori decisivo: serve >50% crediti favorevoli (con testa se uno >50%).– Classi possibili, obbligatorie per crediti con garanzie di terzi.– Ammessa falcidia privilegiati (>= valore liquidatorio); possib. pagamento integrale mutuo essenziale (se rate scadute pagate).– Continuità richiesta salvo apporti esterni in caso di liquidatorio puro.– No accesso se esdebitazione ottenuta <5 anni o 2 volte già; esclusi atti in frode.– Meritevolezza non espressa ma necessaria in fatto (no comportamenti scorretti).– OCC e relazione attestante fattibilità indispensabili.– Con omologa, sospensione delle azioni esecutive e vincolo per tutti i creditori pregressi (dissentienti compresi).– Debitore mantiene gestione attività (salvo controlli OCC/commissario) e segue il piano.– Può preservare beni strumentali (es. immobili aziendali) se previsti in piano con pagamento mutuo.– Debiti stralciati: una volta eseguiti i pagamenti concordati, il residuo è cancellato (liberazione dai debiti omologati). Coobbligati eventualmente liberati se previsto.– Durata: dipende dal piano (spesso 3–5 anni di pagamento). Procedure di voto e omologa ~3-6 mesi.– In caso di mancata omologa (manca maggioranza o opposizione accolta), il debitore può tentare altra via (nuova proposta o liquidazione). Se risolto post-omologa per inadempimento, creditori riacquisiscono diritti su residuo.Artt. 74–83 CCII.Art. 74 (contenuto, continuità), 75 (trattamento crediti prelazionati), 77 (requisiti soggettivi/oggettivi), 78 (misure protettive, commissario), 79 (approvazione e coobbligati), 80 (opposizioni, convenienza, cram-down fiscale), 81 (compenso OCC).Art. 2 c.1 lett. d (impresa minore definizione).
Liquidazione controllata (del sovraindebitato)Tutti i debitori sovraindebitati (consumatori, imprenditori minori, ecc.) possono esservi assoggettati.– Procedura residuale o coattiva: avviabile dal debitore o dai creditori (se insolvenza conclamata).– Esempio: piccolo imprenditore cessato con debiti, consumatore non meritevole per un piano, ecc.Procedura giudiziale liquidatoria di tipo fallimentare semplificato.– Nomina liquidatore e giudice delegato; spossessamento del patrimonio del debitore (beni affidati al liquidatore).– Tutti i beni del debitore (presenti e futuri entro 4 anni) sono compresi, tranne quelli impignorabili per legge.– Creditori presentano domande di credito; liquidatore forma stato passivo; giudice lo rende esecutivo (reclami possibili).– Liquidatore vende i beni (aste, ecc.) e distribuisce secondo prelazioni legali.– Possibile apertura anche dopo cessazione attività (per imprenditore ex, grazie a correttivo 2024).– Durata: chiusura sollecita, idealmente entro ~3 anni.– Debitore perde i beni, l’attività cessa (in genere). Egli però colabora con liquidatore.– Sospese tutte le azioni individuali; creditori soddisfatti pro-quota dai riparti.– Al termine, se persona fisica e meritevole, può ottenere dal Tribunale la esdebitazione: cancellazione dei debiti non pagati. – Se il debitore ha tenuto condotta scorretta (dolo, frode, violazioni), il giudice nega l’esdebitazione (art. 280 CCII) e i debiti residui restano dovuti. – Debiti esclusi: restano obblighi alimentari, risarcimenti da illecito, multe, ecc. (non cancellabili).– In caso di beni sopravvenuti entro 4 anni dalla chiusura, non essendoci un “fallito” formalmente, non sono agganciati (eccetto se erano aspettative in essere – ma la procedura dovrebbe restare aperta 3 anni proprio per intercettare eventuali redditi futuri).Artt. 268–277 CCII (apertura, organi, effetti), 278–281 (chiusura).Art. 272 (impignorabilità crediti alimentari), 274 (revocatoria atti in pregiudizio creditori entro 2 anni pre-liquidazione), 280 (negazione esdebitazione per indegni), 282 (esdebitazione del debitore persona fisica).Art. 33 CCII (coord. con procedure soci e cessazione attività).
Esdebitazione del debitore incapientePersona fisica sovraindebitata che non possiede beni né redditi aggredibili e non prevede di conseguirne nel prossimo futuro.– Deve essere meritevole (no frodi, no colpe gravi).– Non più di una volta (unica “grazia” nella vita).Procedura di esdebitazione pura, senza pagamento.– Presentazione istanza tramite OCC con elenco debiti, redditi, cause insolvenza e attestazione zero utilità per creditori.– Tribunale valuta condotta debitore e insolvenza, sentiti creditori (possono opporsi).– Se tutto ok, emette decreto di esdebitazione immediata.– Il decreto impone al debitore obbligo di segnalare entro 4 anni eventuali sopravvenienze patrimoniali rilevanti (che consentano pagamento ≥10% ai creditori).– OCC incaricato di vigilare per 4 anni (richiede dichiarazioni annuali al debitore).Tutti i debiti pregressi chirografari annullati immediatamente dal decreto (salvo debiti esclusi per legge: alimenti, multe penali, ecc.).– Nessun pagamento ai creditori, a meno che entro 4 anni il debitore ottenga entrate significative: in tal caso deve versare ai creditori tali utilità extra fino a concorrenza di un 10% almeno (o maggiore se può).– Trascorsi 4 anni senza miglioramenti rilevanti, l’esdebitazione diviene definitiva: anche se poi il debitore divenisse facoltoso, i vecchi creditori non potrebbero più rivalersi.– Se invece il debitore occulta sopravvenienze o non rispetta l’obbligo, il beneficio può essere revocato (con ritorno dei debiti).– Effetto sociale: il debitore può ripartire da zero, uscendo dalla trappola debitoria, ma rimane segnalato nelle banche dati creditizie per qualche tempo (ciò però accade per ogni procedura concorsuale).Art. 283 CCII (esdebitazione incapiente).Art. 14-quaterdecies L.3/2012 (norma transitoria introdotta da L.176/2020, confluita nel CCII).Art. 69 CCII c.2 (rinvio a norme su opposizione creditori).Art. 282 (esonero debitore incapiente da pagare compenso OCC intero – ridotto 50%).

(Legenda: CCII = Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs.14/2019. Laddove si parla di percentuale di soddisfazione, si intende in termini di riparto ai creditori chirografari.)

Come si evince dalla tabella, la scelta tra le procedure dipende dalla natura del debitore e dalla sua situazione:

  • Un consumatore meritevole preferirà la ristrutturazione dei debiti (nessun voto creditori, possibilità di tenere alcuni beni come l’abitazione, ecc.), salvo che abbia davvero zero risorse e opti per l’esdebitazione incapiente.
  • Un imprenditore minore in attività cercherà di accedere al concordato minore per salvare l’azienda e ristrutturare il debito continuando la sua impresa. Ciò richiede convincere i creditori e spesso comporta offrire il massimo possibile (compresi eventuali nuovi apporti).
  • Un imprenditore minore cessato o un soggetto con troppi debiti per un accordo, potrebbe dover andare in liquidazione controllata: in tal caso si spoglierà di tutto, ma potrà uscire pulito dai debiti (se non ha colpe gravi).
  • Un debitore senza alcun bene e con situazione disperata punterà all’esdebitazione incapiente come via diretta, se riesce a soddisfare le condizioni di legge.

È importante sottolineare che queste procedure non sono alternative l’una all’altra in modo libero, ma seguono piuttosto una logica di progressione: si prova prima una soluzione di ristrutturazione (piano del consumatore o concordato minore) se c’è la possibilità di soddisfare parzialmente i creditori e conservare valore, e solo se questa fallisce o è impossibile si ricorre alla liquidazione; infine, l’esdebitazione incapiente è il rimedio estremo per chi non ha davvero nulla da offrire. Nulla vieta tuttavia, in teoria, che un debitore scelga volontariamente subito la liquidazione (magari per chiudere più in fretta la vicenda) o l’incapiente se ne ha i requisiti, saltando tentativi di piani che sarebbero inutili.

Giurisprudenza Recente (2024-2025) e Novità Interpretative

L’entrata in vigore del Codice della Crisi e le modifiche intervenute fino al 2024 hanno dato luogo a vari interventi giurisprudenziali significativi, che aiutano a chiarire l’interpretazione delle norme sul sovraindebitamento. Di seguito si segnalano le pronunce più rilevanti degli ultimi tempi:

  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30538: ha affermato che anche nel concordato minore (ed ex accordo L.3/2012) il tribunale deve valutare la condotta pregressa del debitore. Pur non essendoci un requisito espresso di “meritevolezza” nell’accordo, la Corte ha rilevato che la relazione dell’OCC richiede comunque di indicare le cause dell’indebitamento e la diligenza del debitore, segno che un giudizio sull’affidabilità e la buona fede del proponente è implicito. Nel caso concreto, la Cassazione ha cassato l’omologa di un accordo perché il giudice di merito non aveva tenuto conto della reiterata violazione degli obblighi fiscali da parte del debitore (anche per importi esigui, ma ripetutamente evasi) e del fatto che aveva aggravato l’indebitamento acquistando un immobile. Ciò è stato ritenuto indice di inaffidabilità tale da precludere l’accesso alla procedura. In sintesi, “la diligenza o meno del debitore nel contrarre i debiti va sempre considerata” ai fini dell’ammissibilità, anche se formalmente l’accordo (ora concordato minore) non elenca cause di inammissibilità come la legge prevedeva per il piano del consumatore. Questa pronuncia mette in guardia i debitori: comportamenti come evasione fiscale continuativa possono costare il diniego del concordato, perché indicativi di malafede.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30538 (parte seconda): la medesima sentenza ha chiarito un dubbio pratico: chi esprime il voto per i crediti tributari in sede di accordo/concordato? Ha stabilito che titolare del diritto di voto è l’Ente impositore (es. Agenzia delle Entrate), non l’Agente della Riscossione. Infatti, se nella proposta è prevista una falcidia o dilazione dei tributi, a decidere sulla convenienza dev’essere l’ente creditore (AE), mentre l’Agente della riscossione (ADER, ex Equitalia) è solo un gestore della riscossione e non può disporre del credito. Quindi, nelle votazioni degli accordi o concordati minori, il voto relativo ai debiti fiscali va richiesto all’Agenzia delle Entrate, non ad ADER, evitando equivoci. Questo per il debitore significa che dovrà trattare e coinvolgere direttamente l’ente impositore nella negoziazione del proprio piano per sperare in un assenso (sapendo però che ora il giudice può scavalcare un diniego ingiustificato per legge).
  • Cassazione Civile, Sez. I, 11 aprile 2025, n. 9549: ha affrontato un tema dibattuto sul piano del consumatore, confermando un’interpretazione estensiva in favore del debitore. La Corte ha chiarito che la norma (art. 8, co.4 L.3/2012, ora art. 67, co.4 CCII) che consente una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori prelatizi non implica che tutti i pagamenti debbano concludersi entro un anno. Al contrario, quel termine è solo l’inizio entro cui il debitore deve iniziare a pagare ratealmente i crediti privilegiati. Dunque, un piano del consumatore può ben prevedere una dilazione dei crediti ipotecari oltre un anno, purché inizi almeno i pagamenti entro l’anno dall’omologa. La Cassazione ha inoltre escluso l’analogia col concordato preventivo: se un piano del consumatore prevede moratoria lunga e anche una falcidia dei crediti ipotecari, non per questo bisogna dare ai creditori prelatizi un diritto di voto, poiché il legislatore ha scelto consapevolmente di non subordinarne l’omologa al consenso dei creditori. Invece, come visto, i creditori possono tutelarsi contestando la convenienza e, in caso di opposizione, il giudice omologa solo se reputa l’offerta almeno pari all’alternativa liquidatoria. Questa sentenza conferma la natura spiccatamente “protettiva” del piano del consumatore: anche in presenza di dilazioni molto lunghe (oltre l’anno) e tagli ai privilegiati, rimane la regola speciale del piano e non si importano surrettiziamente obblighi di consenso creditori. Ciò ovviamente ha ricevuto la ratifica legislativa col correttivo 2024 che ha portato la moratoria a 2 anni e mantenuto invariato il meccanismo (niente voto, solo controllo giudiziale).
  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 febbraio 2025, n. 5157: ha statuito un principio di carattere processuale: può opporsi all’omologazione (o proporre reclamo) solo il creditore che abbia effettivamente partecipato al giudizio, ovvero sia stato messo in condizione di intervenire. Il caso riguardava un reclamo presentato da un creditore contro l’omologa di un piano del consumatore: la Cassazione ha dichiarato inammissibile il reclamo di un creditore che non si era attivato né era comparso in sede di omologa. In sostanza, “chi ha avuto la possibilità di far valere le proprie ragioni prima, non può intervenire solo dopo a cose fatte”. Questo incoraggia i creditori a vigilare tempestivamente: se un creditore riceve notizia del ricorso di sovraindebitamento ma resta silente, non potrà poi impugnare l’omologa lamentando vizi che poteva dedurre prima. Per il debitore, ciò significa che superato lo scoglio dell’omologa senza opposizioni rilevanti, l’accordo/piano diventa più solido e difficilmente attaccabile tardivamente da creditori “dormienti”.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 23 dicembre 2024, nn. 34133 e 34164 (non massimate qui ma segnalate in riviste): hanno chiarito due punti relativi alla fase successiva all’omologa. La prima, n. 34133, ha confermato che – per le procedure aperte sotto la vigenza della L.3/2012 – il debitore poteva beneficiare della norma transitoria (art. 4-ter L.3 introdotto da L.176/2020) che consente di presentare una nuova proposta entro 90 giorni dal diniego di omologa senza ricominciare da capo il procedimento, purché il tribunale avesse fissato tale possibilità in sede di rigetto. Questo era riferito a un caso di accordo non omologato e l’opportunità di depositare proposta modificata nei 3 mesi (oggi, nel CCII, simile flessibilità non è espressa, ma si può ricorrere a un nuovo ricorso). La seconda pronuncia, n. 34164, ha sancito che se dopo l’omologazione di un accordo (concordato minore) il piano viene modificato in fase esecutiva, occorre interpellare nuovamente tutti i creditori, anche quelli già soddisfatti, prima di approvare la modifica. In pratica, non è consentito al debitore (né al giudice) alterare i termini concordati di soddisfacimento senza il consenso dell’intera platea creditoria, poiché ciò violerebbe la parità di trattamento e la base contrattuale dell’accordo. Quindi, se un debitore in corso di piano si accorge che non riesce a rispettare certe scadenze e vuole dilatare i tempi, dovrà passare per un accordo formale con i creditori, non basta l’assenso di alcuni. Questo mette in guardia dal considerare l’omologa come un traguardo definitivo: l’esecuzione deve avvenire secundum pacta, altrimenti la protezione cade.
  • Tribunale di Mantova, decreto 6 ottobre 2022 (citato da dottrina) e altri provvedimenti di merito hanno affrontato il tema dei “debiti misti” (parte consumer, parte business) e della qualificazione soggettiva del debitore. L’indirizzo emerso è che la presenza di debiti di natura mista non preclude l’accesso al concordato minore, né al piano del consumatore se la componente personale prevale. In particolare, un imprenditore individuale che abbia debiti sia per la sua impresa che per esigenze familiari può includerli tutti in un’unica procedura: se opta per il concordato minore, tratterà anche i debiti personali in esso (nessun problema, perché il concordato minore è aperto a ogni debito del soggetto non fallibile); se invece vuole il piano del consumatore e riesce a qualificarsi come tale, può includere anche qualche debito originato dall’attività, purché accessorio rispetto all’indebitamento complessivo e preferibilmente derivante da garanzie personali piuttosto che da esercizio d’impresa in senso stretto. Ad esempio, un ex artigiano che ha chiuso l’attività e i cui debiti consistono per il 70% in finanziamenti personali e per il 30% in scoperti di conto dell’ex bottega, alcuni giudici gli consentono di fare un piano del consumatore (ritenendo che l’obiettivo della norma sia di non escludere chi è di fatto oggi un consumatore solo perché residuano debiti “misti”). Questo approccio pragmatico evita di frammentare le posizioni: un unico individuo dovrebbe preferibilmente avere un’unica procedura concorsuale, non due parallele.
  • Tribunale di Catanzaro, 14 marzo 2025: in tema di transitorietà e coordinamento normativo, ha affrontato il caso di esdebitazione post-liquidazione L.3/2012 intervenuta dopo l’entrata in vigore del CCII. Ha chiarito quale disciplina applicare: se la liquidazione si è aperta sotto la vecchia legge ma la richiesta di esdebitazione è post-15 luglio 2022, prevale la nuova norma (art. 282 CCII) salvo quanto di più favorevole già maturato. Queste questioni sono tecniche ma ormai si esauriranno con l’assorbimento delle procedure pendenti nel nuovo regime. Per il debitore, è importante sapere che se ha aperto una procedura prima del 2022, comunque beneficerà delle nuove regole sull’esdebitazione (che in genere sono migliorative, es. riduzione termini).

In generale, la giurisprudenza sta consolidando principi di equilibrio tra tutela del debitore onesto e garanzie per i creditori. Da un lato, si tende a agevolare l’accesso alle procedure (interpretando estensivamente i requisiti, v. debiti misti, accesso soci illimitati, ecc.), dall’altro però i giudici scrutinano rigorosamente la condotta del debitore (meritevolezza effettiva) e pretendono trasparenza assoluta. Inoltre, le novità normative del 2024 – come il cram-down fiscale e le maggiori possibilità per ex imprenditori – sono in linea con un approccio pragmatico: facilitare soluzioni concrete di composizione della crisi, evitando vuoti normativi.

Per un imprenditore minore debitore, i messaggi principali delle sentenze recenti sono:

  1. Non nascondere nulla e giustificare le proprie scelte: se hai evaso tasse o dilapidato beni, spiega bene il contesto o preparati a conseguenze (es. rigetto del piano).
  2. Coinvolgi il Fisco in buona fede: con le nuove norme puoi anche vincere il dissenso fiscale, ma devi comunque offrire almeno il valore liquidabile e dimostrare fattibilità.
  3. Se il tuo piano fallisce, puoi tentare di modificarlo rapidamente (entro 90 gg per proposte L.3/2012, mentre nel CCII si può presentare nuova domanda subito) ma devi farlo prima che la situazione precipiti o i creditori perdano fiducia.
  4. Dopo l’omologa, rispetta rigorosamente gli impegni: non contare su modifiche unilaterali, altrimenti rischi la risoluzione e addio esdebitazione.
  5. Approfitta delle aperture sulle procedure familiari: se hai debiti insieme a tuo coniuge (es. prestito cointestato), valutate una procedura unitaria per gestirli con un unico piano. Il CCII consente a membri della stessa famiglia conviventi o con debiti comuni di presentare un unico piano/concordato, semplificando e riducendo costi.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento?
R: Possono accedere tutti i debitori che non possono essere soggetti a fallimento o ad altre procedure concorsuali “maggiori”. In particolare: le persone fisiche consumatrici, i professionisti e lavoratori autonomi, gli imprenditori minori (cioè quelli con attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000 e debiti ≤ €500.000), gli imprenditori agricoli, le start-up innovative nel periodo di esenzione da fallimento, le piccole società sotto soglia, enti non commerciali, etc. In sostanza, tutti i debitori civili o economici non fallibili possono utilizzare questi strumenti. Restano esclusi invece gli imprenditori sopra soglia (che devono ricorrere a concordato preventivo o liquidazione giudiziale), le grandi imprese, le banche, assicurazioni e altri soggetti con discipline speciali. Anche un socio illimitatamente responsabile di società di persone può accedere per i debiti personali e da fideiussioni (grazie alle integrazioni normative del 2020 ora nel CCII). In generale, se siete sommersi dai debiti ma non potete essere dichiarati falliti, queste procedure fanno al caso vostro.

D: Qual è la differenza tra il piano del consumatore e il concordato minore?
R: Il piano del consumatore (oggi ridenominato “ristrutturazione dei debiti del consumatore”) è riservato alle persone fisiche consumatrici, ossia che hanno debiti contratti per scopi non professionali. La caratteristica principale è che non richiede l’approvazione dei creditori: viene deciso tutto in tribunale, valutando la meritevolezza del debitore e la fattibilità del piano. Il giudice può omologare il piano anche se i creditori sono contrari, purché ritenga che il debitore sia in buona fede e che i creditori ricevano almeno quanto riceverebbero dal fallimento. Il concordato minore, invece, è la procedura per imprenditori minori, professionisti e altri debitori non consumatori. Qui serve il consenso dei creditori: la proposta dev’essere approvata da oltre il 50% dei crediti votanti. Il debitore rimane in continuità aziendale di solito, e l’accordo ha natura contrattuale. Inoltre nel piano del consumatore il punto focale è la meritevolezza del debitore (il giudice può negare l’omologa se il consumatore ha colpe gravi), mentre nel concordato minore la valutazione etica è meno stringente formalmente (basta assenza di frodi) anche se in pratica un debitore disonesto difficilmente otterrà il voto favorevole dei creditori o l’omologa. In sintesi: piano del consumatore = no voto creditori, riservato a privati, deciso dal giudice con criterio di meritevolezza; concordato minore = accordo con i creditori per piccoli imprenditori/professionisti, necessita maggioranza di assensi e mira a risanare l’attività.

D: Quali debiti si possono inserire nelle procedure? Ci sono debiti esclusi?
R: Nelle procedure di sovraindebitamento si possono inserire praticamente tutti i debiti del soggetto, sia verso creditori privati (banche, finanziarie, fornitori, familiari) sia verso il Fisco e gli enti pubblici (Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione per cartelle, INPS, Comuni per tributi locali, ecc.). I debiti fiscali e contributivi possono essere ristrutturati (dilazionati o parzialmente falcidiati) nel piano o concordato – per alcuni tributi come l’IVA una falcidia richiede particolari condizioni, ma le recenti norme hanno introdotto la possibilità di cram-down fiscale: il giudice può omologare anche senza adesione del Fisco se il trattamento proposto è pari o superiore a quanto il Fisco prenderebbe in una liquidazione. Ci sono però alcune categorie di debiti che la legge esclude espressamente dalla falcidia o dall’esdebitazione: in particolare, le obbligazioni alimentari e di mantenimento (es: assegno di mantenimento a coniuge e figli) e le obbligazioni risarcitorie da fatti illeciti (specialmente se derivanti da dolo, come multe penali, risarcimenti per reati) non possono essere toccate. Ad esempio, non si può inserire nel piano un “taglio” dell’assegno di mantenimento dovuto all’ex coniuge: quello va pagato integralmente fuori dalla procedura. Ugualmente, una multa derivante da una condanna penale o un risarcimento per lesioni volontarie non verranno cancellati: il debitore rimarrà obbligato per essi anche dopo. A parte queste eccezioni, tutti gli altri debiti (finanziamenti, mutui, scoperti conto, leasing, fornitori, bollette non pagate, canoni, ecc.) sono normalmente inclusi e soggetti alla ristrutturazione o cancellazione secondo la procedura.

D: Cosa succede ai debiti fiscali (tasse, cartelle esattoriali) in queste procedure?
R: I debiti verso il Fisco possono far parte a pieno titolo di un piano di sovraindebitamento o concordato minore. In passato c’erano rigidità (ad esempio l’IVA per disposizione UE doveva essere pagata integralmente salvo casi di incapienza del debitore), ma oggi la normativa permette una gestione flessibile. Il debitore può proporre di dilazionare il pagamento delle imposte e contributi oppure anche di stralciare una parte di essi se la sua situazione non consente integrale soddisfazione. Naturalmente bisogna rispettare la graduazione dei crediti privilegiati: ad esempio, le imposte con privilegio (come l’IVA, contributi INPS) vanno trattate almeno al pari di altri privilegiati e comunque non peggio di quanto otterrebbero dalla liquidazione del patrimonio. Se si propone di non pagarle integralmente, serve dimostrare che vendendo quei beni il Fisco prenderebbe comunque solo quello. Con il “cram-down” fiscale introdotto nel 2021-2022 e confermato, il giudice può omologare il piano/concordato anche senza l’assenso dell’ente pubblico, purché la proposta sia conveniente (ovvero l’Erario riceve una somma non inferiore rispetto all’alternativa liquidatoria). Inoltre, col correttivo 2024 si favoriscono gli accordi transattivi col Fisco: il debitore può negoziare – tramite l’OCC – un trattamento concordato delle cartelle (ad esempio, pagamento del 50% a saldo e stralcio) e se l’ente acconsente, il giudice recepisce. Se l’ente rifiuta ma l’offerta era equa, interviene il giudice forzando l’omologa. Quindi in sintesi: sì, è possibile gestire anche le cartelle esattoriali nel sovraindebitamento, magari pagando solo parzialmente tasse e contributi, ma serve convincere che è il meglio ottenibile. Le uniche eccezioni sono eventuali multe penali o sanzioni per reati: quelle per legge non si possono ridurre. I tributi locali (es. IMU, TARI) seguono lo stesso regime – non c’è un veto a includerli, anche se la decisione di accettare spetta all’ente locale; pure qui il cram-down pubblico potrebbe applicarsi. Il vantaggio per il debitore è che con queste procedure può liberarsi dai debiti fiscali pregressi (anche ingenti) pagando solo una quota commisurata alle sue possibilità – cosa altrimenti impossibile al di fuori, perché le cartelle di norma vanno saldate per intero (salvo condoni occasionali).

D: Posso mantenere la mia casa o la mia attività durante la procedura?
R: Dipende dalla procedura scelta e dalla situazione:

  • Nel piano del consumatore, l’obiettivo tipico è spesso proprio salvare la casa di abitazione. Se il debitore ha un mutuo e rischia la casa pignorata, può proporre un piano in cui ad esempio paga le rate arretrate e riprende il mutuo regolarmente, oppure vende l’immobile a un prezzo concordato superiore a quello d’asta e paga i creditori. Spesso i tribunali tutelano l’abitazione principale se c’è un piano credibile (in alcuni casi sospendono la vendita all’asta durante la procedura, poi omologano il piano che prevede di soddisfare la banca in modo alternativo). Quindi sì, col piano del consumatore è possibile tenere la casa, a condizione di poter sostenere il mutuo residuo o di trovare un accordo sostenibile con la banca. Anche altri beni, come un’auto indispensabile per recarsi al lavoro, possono essere mantenuti: l’importante è che il piano offra ai creditori un vantaggio complessivo.
  • Nel concordato minore, il debitore imprenditore mira a continuare l’attività. Egli mantiene la gestione dell’azienda sotto la vigilanza dell’OCC o di un commissario. I beni strumentali all’impresa (macchinari, locali) di solito non vengono liquidati, ma rimangono in uso. Se c’è un immobile aziendale ipotecato, il concordato può prevedere di non venderlo e continuare a pagare il mutuo come da contratto (a patto che le rate scadute siano regolate e che il valore dell’immobile copra il debito – così gli altri creditori non subiscono pregiudizio). Quindi sì, nel concordato minore il piccolo imprenditore può mantenere la sua azienda e i beni necessari ad essa, purché il piano lo consenta e i creditori accettino. Alcuni beni non essenziali potrebbero dover essere venduti se servono risorse per pagare i creditori; ma l’idea è evitare la chiusura.
  • Nella liquidazione controllata, invece, in linea generale il debitore perde la disponibilità di tutti i beni. Se ha una casa di proprietà, verrà verosimilmente venduta dal liquidatore (a meno che non sia di valore irrilevante rispetto a mutuo/ipoteca e convenga lasciarla). L’attività imprenditoriale cessa: il liquidatore può al massimo proseguirla temporaneamente se serve a vendere l’azienda come un going concern, ma il debitore non la gestisce più. Quindi in liquidazione non ci si può attendere di conservare la casa o altri asset: è come un fallimento, tutto il possibile viene liquidato. Fa eccezione solo ciò che è impignorabile per legge (ad esempio stipendi minimi, beni di stretta necessità, ecc.).
  • Nell’esdebitazione incapiente non c’è proprio patrimonio da discutere: per definizione il debitore non ha né casa né altri beni di valore; se li avesse, non sarebbe incapiente ma andrebbe in liquidazione. Quindi la domanda sulla casa/attività qui di solito non si pone: se il debitore incapiente possiede ancora una casa, l’istanza sarebbe rigettata e dovrebbe passare per la liquidazione controllata per liquidarla.

Riassumendo: nelle procedure concordatarie (piano e concordato minore) c’è ampio margine per conservare beni e proseguire attività, modulando il piano in tal senso, mentre nella liquidazione no, si perde tutto. È per questo che il debitore preferisce sempre tentare prima un piano o concordato: per evitare la dispersione del patrimonio, specie se vi tiene (come la casa di famiglia o l’azienda costruita in anni di lavoro).

D: Cosa succede se non riesco a rispettare il piano una volta omologato?
R: Se il debitore manca di adempiere agli obblighi stabiliti dal piano del consumatore o dal concordato minore omologati, le conseguenze possono essere gravi: innanzitutto, i creditori possono chiedere la risoluzione del piano/concordato per inadempimento. In genere, i provvedimenti di omologa prevedono che un ritardo o mancato pagamento sopra una certa soglia faccia scattare la risoluzione. Una volta dichiarata la risoluzione dal Tribunale, l’accordo perde efficacia: i creditori riacquistano il diritto di agire singolarmente per l’intero importo originario dei loro crediti (dedotto solo quanto eventualmente hanno incassato durante il piano). Quindi il debitore si ritrova praticamente al punto di partenza (o peggio, perché nel frattempo potrebbe aver pagato parzialmente qualcuno ma dover ancora tutti gli altri debiti). Inoltre, con la risoluzione decade anche la protezione dell’esdebitazione: il debitore non verrà liberato dai debiti residui. A quel punto, l’unica opzione rimasta spesso è aprire una liquidazione controllata per evitare l’aggressione disordinata dei creditori. In alcuni casi, la legge punisce il debitore inadempiente vietandogli temporaneamente nuove procedure: ad esempio, se il piano è stato revocato per dolo del debitore, potrebbe non essere ammesso a un nuovo piano per quegli stessi debiti.

Va detto che i tribunali, prima di risolvere, guardano se c’è la possibilità di modificare il piano di comune accordo: se l’inadempimento è lieve o giustificato (es. ritardo di qualche settimana per problemi temporanei di liquidità), a volte viene concessa una chance al debitore di rientrare in carreggiata. Ma se risulta che il piano era infattibile o il debitore non ha mantenuto gli impegni in modo rilevante, la risoluzione è pressoché inevitabile. Un caso tipico: il debitore doveva versare ai creditori €500 al mese ma dopo pochi mesi smette; è chiaro che il concordato verrà risolto su istanza dei creditori. Non c’è automatico passaggio a liquidazione, ma i creditori a quel punto possono chiederla (e quasi sicuramente verrà aperta, vista l’insolvenza conclamata). E attenzione: in liquidazione post-accordo risolto, l’esdebitazione potrà essere negata se l’inadempimento era dovuto a condotta scorretta. L’art. 280 CCII infatti dice che non ha esdebitazione il debitore che ha determinato la risoluzione del concordato con dolo o colpa grave (questo perché la risoluzione viene equiparata a un abuso).

Quindi, in sintesi: non rispettare il piano significa farlo saltare, perdere i benefici e trovarsi probabilmente costretti alla liquidazione senza remissione dei debiti. È fondamentale, se emergono difficoltà, attivarsi subito: coinvolgere l’OCC, vedere se si può modificare il piano con il consenso dei creditori (tutti devono essere d’accordo su modifiche sostanziali), oppure – se proprio non è sostenibile – valutare di passare volontariamente alla liquidazione per massimizzare la buona fede e preservare almeno la possibilità di esdebitazione a fine liquidazione (se meritevole).

D: Le procedure sospendono i pignoramenti e le altre azioni dei creditori?
R: Sì, tutte le procedure di sovraindebitamento prevedono una forma di “automatic stay”, ovvero di sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori, per evitare che l’iniziativa di uno pregiudichi la parità di trattamento durante la procedura. In dettaglio:

  • Nel piano del consumatore e nel concordato minore, dal momento in cui il debitore deposita il ricorso in tribunale egli può chiedere al giudice di emettere un decreto di sospensione di eventuali procedure esecutive in corso (pignoramenti immobiliari o mobiliari, ecc.) e di inibitoria di nuovi procedimenti. Il giudice di solito concede queste misure protettive contestualmente all’ammissione della procedura (art. 54 CCII). Ad esempio, se la casa del debitore è all’asta, il giudice può sospendere l’asta fino all’esito dell’omologa del piano. Durante questo periodo i creditori non possono iniziare nuovi pignoramenti né proseguire quelli esistenti. Questa protezione dura inizialmente 30 giorni, ma può essere prorogata dal tribunale fino all’omologazione (tipicamente lo fa per evitare che la procedura venga vanificata).
  • Nella liquidazione controllata, gli effetti protettivi sono ancora più automatici: il decreto di apertura della liquidazione disposto dal tribunale blocca tutte le azioni esecutive individuali (i pignoramenti pendenti vengono chiusi o riassorbiti nella procedura, i beni pignorati confluiscono nella liquidazione; non è possibile promuovere nuove esecuzioni su beni del debitore). Anche le eventuali ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti possono decadere (c’è una norma che le rende inefficaci come per i fallimenti). Il liquidatore diventa l’unico soggetto legittimato a gestire il patrimonio, quindi i creditori devono presentare domanda nella procedura e non possono fare altro. Anche i provvedimenti cautelari (sequestri conservativi) perdono efficacia salvo rare eccezioni.
  • Nell’esdebitazione incapiente non c’è patrimonio da tutelare, ma la presentazione dell’istanza potrebbe comportare la sospensione di eventuali esecuzioni in corso su iniziativa del giudice, se appare che il debitore è incapiente e l’istanza verrà accolta. In pratica, però, un debitore contro cui ci sono pignoramenti difficilmente sarà considerato “incapiente assoluto” (perché se non avesse nulla, i creditori non starebbero pignorando, a meno che non fosse pignoramento infruttuoso). In ogni caso, una volta emesso il decreto di esdebitazione incapiente, tutti i creditori chirografari non possono più agire: i pignoramenti in corso decadono perché il debito è stato estinto con efficacia ex lege. Se c’erano creditori privilegiati (es. ipoteca su casa) teoricamente il loro diritto sulla garanzia rimane ma, essendo incapiente il debitore, di solito neanche c’erano beni ipotecati o pegni (altrimenti, di nuovo, doveva farsi liquidazione non incapiente).

In sintesi: sì, il sovraindebitamento blocca i pignoramenti, a patto di attivare formalmente la richiesta di protezione al tribunale e di essere ammessi alla procedura. È uno degli aspetti più importanti e immediati: il debitore respira perché nessun creditore può portargli via i beni mentre è in corso la composizione della crisi (salvo eccezioni per alcuni atti dovuti, ma rare). Attenzione: le misure protettive cessano se la procedura viene rigettata o chiusa anticipatamente. Se il piano viene omologato, le esecuzioni sono definitivamente inibite (poi seguirà l’esecuzione del piano stesso). Se invece il piano non viene omologato, trascorso eventualmente un breve periodo residuale, i creditori riprendono piena libertà di azione.

D: Quanto dura una procedura di sovraindebitamento?
R: La durata varia a seconda dello strumento e della complessità del caso, ma possiamo delineare alcuni orizzonti temporali indicativi:

  • Un piano del consumatore tipicamente richiede qualche mese per l’omologa (diciamo 3–6 mesi dal deposito in tribunale, dipende dagli arretrati del tribunale e se ci sono opposizioni). Dopo l’omologa, la durata del piano stesso (fase di pagamento) dipende da come è congegnato: molti piani prevedono pagamenti in 4–5 anni, alcuni più brevi (2–3 anni) se il debitore usa liquidazione di beni immediata, altri più lunghi se il debitore diluisce il rimborso (la legge non impone un tetto massimo, ma di solito non si va oltre 7 anni salvo eccezioni, per mantenere credibilità e rispettare un ragionevole fresh start). Quindi un piano del consumatore potrebbe durare in totale intorno ai 5 anni (tra iter iniziale e completamento pagamenti).
  • Un concordato minore può essere un po’ più lungo nell’istruttoria pre-omologa, perché bisogna raccogliere i voti dei creditori: dall’istanza all’omologa solitamente passano 6 mesi circa (bisogna dare 30-45 giorni per votare ai creditori, poi eventuale udienza di omologa). Se tutto fila liscio, in pochi mesi si ha l’omologa. La successiva esecuzione del concordato può variare: se prevede la vendita di un immobile o altri atti, ci vuole il tempo tecnico (magari un anno per vendere un immobile bene); se è solo dilazioni di pagamento, può estendersi su 4–5 anni di rate. Insomma, la fase di adempimento potrebbe essere simile a quella di un piano del consumatore, nell’ordine di alcuni anni. Non c’è un limite fisso: potrebbero essere anche 10 anni se i creditori accettano, ma realisticamente raramente oltre 5–7 anni. Alla fine, c’è la chiusura con relazione finale OCC.
  • Una liquidazione controllata di solito viene aperta e in 3-4 anni dovrebbe chiudersi (il CCII spinge per 3 anni, prevedendo la chiusura “di diritto” decorsi tre anni dall’apertura su istanza del debitore). Se molti beni da vendere, potrebbe prorogarsi oltre, ma l’idea è di chiudere entro pochi anni. Ad esempio: vendere un immobile può richiedere 1-2 anni di aste, incassare e ripartire; insinuazioni di crediti e cause eventuali forse 1 anno; quindi 3 anni spesso bastano. Se creditori o debitore chiedono, il giudice può prorogare, ma tende a non farlo se non per giustificato motivo. Dopo la chiusura, la domanda di esdebitazione viene decisa in tempi brevi (qualche mese al massimo con eventuale udienza). Quindi un debitore in liquidazione può aspirare ad essere esdebitato in circa 3,5–4 anni dal giorno in cui la chiede, salvo intoppi.
  • L’esdebitazione incapiente è in sé la procedura più rapida: se la documentazione è completa, il tribunale può emettere il decreto in poche settimane (anche un paio di mesi). A volte viene fissata un’udienza per sentirlo e i creditori, quindi diciamo 2–4 mesi dall’istanza. Dopodiché scatta il periodo di 4 anni di monitoraggio delle sopravvenienze. Durante questi 4 anni il debitore è già libero dai debiti, tranne l’obbligo di segnalare e destinare eventuali nuove utilità. Dopo i 4 anni, l’OCC fa un ultimo controllo e tutto finisce definitivamente. Quindi la durata formale è 4 anni (di condizionale), ma la vera durata “percepita” dal debitore è brevissima perché i debiti sono annullati subito.

Chiaramente, i tempi indicati possono variare molto a seconda del tribunale (alcuni tribunali hanno carichi di lavoro che allungano le udienze, altri sono più svelti) e delle eventuali opposizioni (un’opposizione in Cassazione può far slittare un’omologa di un anno o più). Ma come regola generale, il secondo chance per un debitore sovraindebitato si realizza entro qualche anno, certamente molto prima rispetto all’alternativa di restare inseguito dai debiti sine die. Ad esempio, la legge espressamente vuole che entro 3 anni un debitore che liquida tutto sia, se meritevole, fuori dai debiti. In passato sotto L.3/2012 c’erano casi di piani decennali o liquidazioni interminabili; con il CCII e la vigilanza dei giudici su efficacia e tempi, tali situazioni dovrebbero ridursi.

D: Ci sono costi da sostenere? Vale la pena economicamente?
R: Le procedure concorsuali di sovraindebitamento hanno certamente dei costi, ma in molti casi valgono la pena rispetto al beneficio di liberarsi dai debiti. I costi principali sono:

  • Il compenso dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi): è il “gestore” nominato che redige la relazione e assiste alla procedura. Il suo compenso è stabilito dal giudice alla fine, di solito in percentuale sull’attivo o sul passivo gestito. Per piccoli debiti, gli importi possono essere contenuti (qualche migliaio di euro); per casi complessi possono salire (ma raramente superano il 5-10% dell’attivo movimentato). In caso di esdebitazione incapiente, il compenso OCC è dimezzato per legge. Inoltre, se la procedura non produce liquidità (es. piano dove paga rate con reddito), spesso l’OCC viene pagato in parte con un fondo ministeriale o con dilazione. In concordati o liquidazioni, l’OCC o liquidatore viene pagato preferibilmente coi beni ricavati prima di distribuire ai creditori. Quindi il debitore di rado deve tirare fuori grossi importi di tasca propria per il compenso: o li include nel piano come spesa prededucibile, o li paga alla fine se rimane attivo.
  • Le spese legali: il debitore di solito si avvale di un avvocato o di un professionista per predisporre la domanda. Alcuni OCC includono l’assistenza legale, altri richiedono che il debitore abbia un proprio consulente. I costi possono variare: alcuni professionisti praticano tariffe agevolate per sovraindebitati, altri no. Indicativamente qualche migliaio di euro potrebbe essere richiesto, magari in parte anticipato e in parte a buon esito. Anche questo dovrebbe essere valutato rispetto al totale dei debiti: spesso, pagare il 2-3% del debito in spese per cancellarne il 100% è un ottimo affare!
  • I contributi unificati e bolli: la domanda di nomina OCC e le procedure concorsuali richiedono un contributo unificato (attualmente €98) e marca da bollo (€27). Quindi spese vive < €150 in avvio. Per l’eventuale fase di omologa, potrebbero esserci ulteriori bolli, ma poca cosa.
  • Eventuali perizie o relazioni tecniche: se il piano prevede la stima di un immobile da vendere, magari l’OCC chiederà una perizia giurata (costo alcune centinaia di euro). Se servono certificati o visure, qualche decina di euro. Tutte spese moderate.

In molti casi gli OCC chiedono al debitore un fondo spese iniziale (ad esempio €500-1000) per cominciare, specie per estrarre documenti, notifiche ai creditori, ecc. Questo perché spesso il debitore non ha liquidità e il professionista anticipa molto lavoro; qualche OCC vuole un piccolo anticipo per impegnarsi. Altri OCC pubblici (es. presso Camere di Commercio) non chiedono anticipi se non il rimborso costi vivi. Insomma dipende dalle prassi locali.

Vale la pena? Se il debitore ha debiti enormemente superiori alle capacità di pagamento, la procedura vale assolutamente la pena. Esempio: 100.000€ di debiti, il debitore con un piano ne paga 20.000 in 4 anni e si libera del resto – anche se spende magari 3-4 mila euro in compensi e spese, è comunque uscito con l’80% di debiti condonati. Considerando anche il beneficio psicologico e sociale di tornare solvibile (niente più telefonate dei creditori, niente pignoramenti, possibilità di lavorare e investire senza paura che il guadagno gli venga portato via), i costi sono ben spesi. Naturalmente, se il debito è minore, tipo 10.000€, forse la procedura può costare quasi quanto il debito e quindi conviene altri tipi di accordi stragiudiziali. Le procedure sono pensate per situazioni più gravi di insolvenza, dove la ratio è che i creditori di certo non otterranno tutto comunque, e allora accettano che parte dei soldi vadano a pagare l’OCC e l’organizzazione concorsuale, pur di avere una soluzione equa e definitiva.

In conclusione: i costi esistono, ma sono proporzionati e spesso in parte “invisibili” al debitore perché coperti nell’economia del piano o della liquidazione. Nessuno lavora gratis: l’OCC e i professionisti vanno remunerati, però il sistema di regola fa sì che il debitore versi ciò che può in funzione del risultato. Inoltre lo Stato con la L.176/2020 ha creato un fondo per finanziare i compensi OCC nei casi di incapienza (questo per evitare che i professionisti rifiutino i casi difficili non paganti). Quindi non bisogna farsi bloccare dalla paura dei costi: in situazioni di vero sovraindebitamento, è quasi sempre conveniente procedere, perché l’alternativa è restare indebitati a vita pagando magari solo interessi su interessi senza mai uscirne.

D: Posso accedere più volte a queste procedure?
R: La legge mira ad evitare abusi e accessi reiterati. In generale, si prevede che il debitore possa ottenere l’esdebitazione una sola volta ogni 5 anni e al massimo due volte nella vita. Questo significa:

  • Se hai già beneficiato di una cancellazione dei debiti (esdebitazione) da meno di 5 anni, non puoi ottenerne un’altra subito. Ad esempio, se hai fatto un piano del consumatore concluso con esdebitazione nel 2023, non puoi depositare un’altra procedura fino almeno al 2028.
  • Inoltre, in totale, anche a distanza di oltre 5 anni, la seconda volta è l’ultima: dopo di che non c’è una terza chance. La ratio è che il sovraindebitamento è un rimedio straordinario, non un meccanismo ricorrente di pulizia periodica.
  • Per l’esdebitazione incapiente, essendo “a gratis”, si prevede sostanzialmente solo una volta nella vita.
  • C’è anche una regola più stringente per il concordato minore: non vi può accedere chi ha già usufruito dell’esdebitazione nei 5 anni precedenti, ma anche chi ha già fatto due procedure di sovraindebitamento in qualsiasi tempo (anche senza esdebitazione) ne è escluso. Questo per evitare che uno faccia accordi a ripetizione per frodare. Ad esempio, chi ha fatto due accordi L.3/2012 in passato, non può presentare un terzo concordato minore ora.
  • Per la liquidazione controllata, la situazione è un po’ diversa: tecnicamente potresti essere sottoposto a liquidazione ogni volta che re-incappi nell’insolvenza. Però l’esdebitazione finale (liberazione) dopo liquidazione, anche quella soggiace al limite dei 5 anni e 2 volte. Significa che se finisci in liquidazione a 10 anni di distanza, potresti ottenere di nuovo l’esdebitazione (rispettato il quinquennio) ma se l’hai già avuta due volte in passato, la terza liquidazione non prevede esdebitazione, quindi i debiti residui rimangono.
  • Infine, chi ha fatto un accordo/piano poi risolto per inadempimento colpevole, potrebbe essere escluso da un nuovo piano: l’art. 69 CCII stabilisce che un consumatore non meritevole può essere escluso dall’omologazione, dunque se prima era risultato inadempiente per colpa, la seconda volta il giudice glielo negherà per mancanza di meritevolezza. In pratica, se “bruci” la fiducia del tribunale, difficilmente avrai un’altra opportunità a breve.

In conclusione: meglio giocarsi bene la propria carta, perché è in gran parte una tantum. Se però la prima procedura fallisce senza esdebitazione (ad es. accordo non omologato o risolto presto), in teoria potresti ripresentare relativamente presto un’altra domanda (non essendoti stato concesso il beneficio finale, forse il giudice consente di riprovare). La L.176/2020 aveva anzi previsto per il periodo Covid la possibilità di replicare una proposta respinta entro 90 giorni. Oggi, con il CCII, formalmente devi iniziare ex novo, ma non c’è un divieto assoluto se la prima volta non hai consumato l’esdebitazione. Il giudice valuterà caso per caso.

D: Un socio di società di persone fallita può usare il sovraindebitamento per i debiti personali?
R: Sì. Questa è stata una novità introdotta nel 2020 e mantenuta: i soci illimitatamente responsabili (snc, sas accomandatari) storicamente venivano coinvolti nel fallimento della società. Col CCII, se la società è sotto soglia (non fallibile) possono tutti accedere a sovraindebitamento; se la società è fallibile e fallisce, i soci illimitati sono falliti anch’essi per estensione. Ma la L.176/2020 ha aggiunto (trasfuso poi nell’art. 66 e art. 270 CCII) che il socio illimitatamente responsabile può accedere alle procedure di composizione per i debiti estranei all’attività sociale. In pratica, se la società di persone non fallisce perché piccola, e i soci hanno anche debiti personali (o garanzie prestate), questi soci-consumatori possono fare un piano del consumatore per i propri debiti individuali. Oppure, se la società è fallita e genera debiti in capo ai soci (perché patrimonio sociale incapiente), c’è un po’ di discussione: alcuni ritengono che il socio, divenuto debitore civile verso i creditori sociali, potrebbe avviare un concordato minore personale. In generale, la riforma vuole coordinare le procedure: l’art. 33 CCII prevede che le procedure di sovraindebitamento possano estendersi al socio illimitato parallelamente a quella della società, per gestire tutto in modo coordinato. Dunque un socio di SNC con patrimonio personale insufficiente a coprire i debiti sociali può chiedere un concordato minore o liquidazione controllata per se stesso, in parallelo. Se il socio invece ha solo debiti da garanzia (tipo ha garantito un debito sociale con ipoteca su casa sua), quell’obbligazione tecnicamente non è “estranea all’attività” quindi in un piano del consumatore puro potrebbe essere discussa (come dicevamo, è un debito misto). Ma più probabile andrà in concordato minore con la società o liquidazione. Insomma, sì il socio può, ma la strategia dipende dal contesto. Nota: se la società è stata cancellata dal registro delle imprese da oltre un anno e ha ancora debiti, la giurisprudenza dice che non può attivare lei la procedura perché estinta, quindi devono essere i soci ad attivarsi per i debiti rimasti (per la parte di loro competenza). In ogni caso, conviene farsi seguire da un legale esperto per muovere società e soci in modo coordinato ed evitare buchi.

D: Come vengono trattati eventuali coobbligati o garanti nel sovraindebitamento?
R: Una novità del Codice è che potenzialmente anche i coobbligati (fideiussori, co-firmatari di prestiti, etc.) possono beneficiare degli effetti della procedura, ma solo se ciò è previsto nel piano o accordo e accettato dai creditori. Prima, con la legge 3/2012, vigeva il principio che “i diritti dei creditori verso i coobbligati e obbligati in via di regresso non sono intaccati”, quindi il creditore anche se accettava un taglio del debito con il debitore principale, poteva rivalersi sul garante per l’intero. Ora, l’art. 80 CCII per il concordato minore (richiamato anche per piani) dice: “i diritti verso i coobbligati non sono pregiudicati, salvo che la proposta disponga diversamente”. Questo significa che se nella proposta di concordato/piano il debitore prevede espressamente un certo trattamento anche per i garanti (ad esempio: “il garante X paga il 10% e viene liberato”), e i creditori approvano (o il giudice omologa nel piano del consumatore), allora il garante viene liberato secondo quanto stabilito. In pratica i creditori rinunciano a rivalersi oltre su di lui. Questo è molto importante ad esempio nei casi di famiglie indebitate: si può proporre un piano familiare in cui entrambi i coniugi (uno debitore principale, l’altro garante magari) partecipano e la liberazione è contestuale. Naturalmente, se non è previsto nulla in proposta, vale il principio generale: il creditore riduce il suo credito verso il debitore principale, ma può ancora pretendere il resto dai garanti. E nel caso di liquidazione controllata, la legge continua a prevedere che l’esdebitazione del debitore non si estende ai coobbligati (quindi se Tizio viene esdebitato, la banca può ancora chiedere a Caio garante il dovuto intero, poi Caio semmai potrà rivalersi su Tizio – ma Tizio è esdebitato, quindi Caio resta con il cerino, come avveniva in passato con l’esdebitazione post-fallimentare). Quindi solo con piani/accordi negoziati si può includere la sorte dei garanti. Per il debitore è un’opportunità: può coinvolgere un garante (spesso un familiare) nelle trattative in modo da risolvere tutto insieme. Esempio: genitore garante di prestito del figlio – col piano familiare, magari il genitore versa una somma e sia il figlio che il genitore vengono liberati dal residuo. Oppure in concordato minore, l’imprenditore propone che un terzo (il garante) pagherà una quota a stralcio e chiede liberatoria. Se i creditori accettano, ottimo. Se rifiutano, rimane la responsabilità integrale del garante. Quindi il coinvolgimento dei coobbligati è possibile ma non automatico.

D: Come incide la procedura sul “credito” e la vita economica del debitore in futuro?
R: Questa è una domanda lecita: fare sovraindebitamento significa che poi non potrò più chiedere prestiti? In linea di massima, le procedure concorsuali (compreso sovraindebitamento) vengono registrate nelle banche dati creditizie e nei registri pubblici (il registro delle procedure concorsuali tenuto presso i tribunali e l’OCC). Quindi le finanziarie e banche potranno vedere che il soggetto ha fatto un piano o è stato esdebitato. Questo ovviamente incide sulla loro valutazione se concedere nuovo credito: molto probabilmente, almeno per qualche anno, sarà difficile ottenere prestiti significativi perché il debitore ha un “record” di insolvenza. Tuttavia, col tempo e dimostrando di aver migliorato la situazione, non è precluso per sempre. Legalmente, non c’è un divieto di ottenere nuovo credito (in alcuni paesi c’è un period di probation in cui l’esdebitato non può indebitarsi di nuovo, ma in Italia no esplicitamente – c’è solo buon senso). Ci sono comunque alcune restrizioni normative: ad esempio, se l’esdebitazione è stata ottenuta con frode, può essere revocata se scoperta successivamente. Oppure, un imprenditore esdebitato può aprire una nuova impresa? Sì, può, ma se chiederà affidamenti bancari le banche vedranno il pregresso e saranno caute. Comunque, l’alternativa era restare pieno di debiti – in quel caso nessuno presterebbe comunque soldi, anzi peggio. Dopo l’esdebitazione, il soggetto è pulito legalmente: può tornare a intestarsi beni senza paura di pignoramenti sui vecchi debiti, può lavorare con tranquillità. E anzi, uno scopo della legge è proprio reinserire il debitore nell’economia legale, farlo tornare produttivo e magari bancabile in futuro. In conclusione: nel breve termine l’accesso al credito sarà limitato (il nome sarà nelle centrali rischi almeno per qualche anno), ma nel medio-lungo termine la situazione si normalizza e il debitore avrà comunque una migliore reputazione di uno che rimane insolvente e con pignoramenti a carico. Molti considerano le procedure concorsuali come un “bollino nero”, ma in realtà nel mondo degli affari è visto anche come segno di trasparenza aver gestito la crisi in tribunale. Inoltre, se un domani il debitore volesse contrarre un mutuo, potrà spiegare di essersi liberato dai debiti e di avere ora capacità di rimborso – cosa che se non avesse fatto la procedura, sarebbe invece ancora formalmente pieno di debiti e certamente nessuna banca lo toccherebbe.


Come abbiamo esaminato, il sovraindebitamento per l’imprenditore minore (e per gli altri debitori civili) offre una serie di strumenti di tutela e di soluzione della crisi. La chiave di successo è la buona fede, la collaborazione con l’OCC e la predisposizione di un piano realistico. Il piccolo imprenditore deve capire che queste procedure sono fatte per aiutarlo a ripartire, ma esigono trasparenza assoluta e – se si vuole tenere in vita l’azienda – anche qualche sacrificio (ad esempio pagare almeno in parte i crediti privilegiati, apportare risorse fresche se possibili, etc.). Dal punto di vista del debitore, è fondamentale affidarsi a professionisti esperti e non scoraggiarsi: la legge oggi è molto più favorevole che in passato verso chi vuole onestamente risolvere la propria esposizione debitoria. Con gli aggiornamenti fino al 2025, le maglie si sono allargate (cram-down fiscale, esdebitazione incapiente, maggioranze più semplici), quindi l’imprenditore minore in difficoltà ha strumenti concreti per uscire dal tunnel dei debiti e riemergere economicamente, mantenendo ove possibile la propria attività o quantomeno azzerando le pendenze e potendo ricominciare da zero.

Fonti e Riferimenti

Normativa

  1. Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – Disposizioni in materia di usura e di sovraindebitamento (cosiddetta “legge salva-suicidi”). Introdusse gli strumenti originari di composizione della crisi da sovraindebitamento: accordo con i creditori, piano del consumatore, liquidazione del patrimonio. Abrogata dal D.Lgs. 14/2019 all’entrata in vigore del Codice della Crisi (15/07/2022), ma ancora applicabile alle procedure pendenti avviate prima di tale data.
  2. D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Artt. 2 (definizioni, tra cui sovraindebitamento e impresa minore); 65-83 (Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento: piano del consumatore, concordato minore, disposizioni comuni); 268-277 (Liquidazione controllata del sovraindebitato); 278-283 (Esdebitazione del debitore sovraindebitato). In vigore dal 15 luglio 2022, ha riordinato e rinominato gli istituti della L.3/2012.
  3. Legge 18 dicembre 2020, n. 176 – Conversione D.L. 137/2020, cosiddetto “Decreto Ristori”. Ha anticipato l’applicazione di varie norme del CCII modificando la L.3/2012: nuova definizione di consumatore includendo il socio illimitato per debiti extra-sociali; introduzione dell’esdebitazione del debitore incapiente (art. 14-quaterdecies L.3/2012); abbassamento maggioranza accordo al 50%; possibilità di nuova proposta entro 90 gg in caso di mancata omologa (art. 13, co.1-quater L.3); altre innovazioni recepite poi nel Codice.
  4. D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Primo decreto correttivo al CCII post-entrata in vigore. Ha recepito la direttiva UE 2019/1023 (insolvency & second chance) e integrato varie disposizioni, consolidando tra l’altro le norme sull’esdebitazione e i requisiti di accesso (ad es. ha inserito art. 33 commi 1 e 1-bis CCII per coordinare l’accesso dei soci illimitati).
  5. D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – Terzo decreto correttivo del CCII (“Correttivo-ter”). Entrato in vigore il 28/09/2024, ha apportato numerose modifiche tra cui: estensione da 1 a 2 anni della moratoria per pagare i creditori prelatizi nei piani del consumatore (modifica art. 67, co.4 CCII); introduzione esplicita del cram-down fiscale nei concordati minori (art. 80 CCII); possibilità di apertura della liquidazione controllata dopo cessazione attività oltre l’anno (deroga art. 33 CCII); rafforzamento ruolo OCC e qualifiche professionisti; altre disposizioni di coordinamento.

Giurisprudenza

  1. Cass. civ. Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30538 – Massima ufficiale su sovraindebitamento (accordo ex L.3/2012): necessità di valutare il comportamento pregresso del debitore ai fini dell’ammissibilità, anche in assenza di esplicita “meritevolezza” nell’accordo. Nel caso concreto, cassata l’omologa perché ignorata la condotta fiscale scorretta e l’aggravamento del debito tramite acquisto immobiliare. Inoltre, ha stabilito che per i crediti tributari il diritto di voto spetta all’ente titolare (Agenzia Entrate) e non all’Agente della Riscossione, essendo quest’ultimo mero esattore privo di potere dispositivo sul credito.
  2. Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 2025, n. 9549 – Questione di moratoria e falcidia dei crediti ipotecari nel piano del consumatore: l’anno previsto dall’art. 8, co.4 L.3/2012 (ora 2 anni in art. 67 CCII post D.Lgs.136/24) è termine iniziale, non finale, per il pagamento dei creditori prelatizi. Il debitore può iniziare a pagare entro un anno dall’omologa, proseguendo oltre l’anno per completare il pagamento. Non si applicano per analogia le regole del concordato preventivo: anche con moratoria >1 anno e falcidia dei privilegiati, il piano del consumatore rimane senza voto dei creditori. I creditori prelatizi possono tutelarsi solo contestando la convenienza ex art. 12-bis L.3 (ora art. 70 CCII), ma niente voto o quorum analogico.
  3. Cass. civ. Sez. I, 27 febbraio 2025, n. 5157 – Principio in tema di opposizione all’omologa: la legittimazione a proporre reclamo contro il decreto di omologa (nel regime L.3/2012) spetta solo a chi ha assunto la qualità di parte nel procedimento di omologa, ossia ai creditori che sono comparsi ed hanno potuto interloquire. Un creditore rimasto inattivo, pur avendo avuto comunicazione della proposta, non può poi impugnare l’omologa. Ciò sottolinea l’onere per i creditori di partecipare attivamente se vogliono far valere le proprie ragioni, e offre certezza al debitore una volta decorso il termine di possibili opposizioni.
  4. Cass. civ. Sez. I, 23 dicembre 2024, n. 34164 – Trattando un accordo ex L.3/2012 già omologato, ha stabilito che ogni modifica sostanziale della proposta in fase di esecuzione richiede il coinvolgimento di tutti i creditori, anche quelli soddisfatti. In pratica, se post-omologa il debitore propone una modifica del piano (es. proroga termini di pagamento), va riconvocata l’adunanza o comunque acquisito il consenso unanime, altrimenti non è possibile alterare l’accordo omologato. Viene quindi confermata la natura negoziale vincolante dell’accordo: il tribunale non può modificarlo d’ufficio né su istanza unilaterale senza consenso collettivo.
  5. Cass. civ. Sez. I, 23 dicembre 2024, n. 34133 – In materia transitoria: ha precisato il presupposto perché il debitore sovraindebitato possa beneficiare del termine fino a 90 giorni per presentare una nuova proposta (previsto dall’art. 13, co.1-quater L.3/2012 introdotto da L.176/2020). Occorre che il diniego di omologa sia avvenuto dopo l’entrata in vigore di tale legge e che il giudice, nel rigettare l’omologa, assegni espressamente il termine al debitore per il deposito di nuova proposta. Questo chiarimento riguarda le procedure L.3/2012 pendenti nel 2021-22, e consente ai debitori un “secondo tentativo” rapido ove previsto dalla norma di favore temporanea. Nel CCII attuale, una nuova proposta implica un nuovo ricorso, poiché non c’è analoga disposizione, ma la prassi potrebbe ispirarsi a tale principio in casi di rigetto non definitivo.
  6. Corte d’Appello di Venezia, 10 ottobre 2024 (nota su IlCaso.it 32350) – Caso di trattamento dei debiti fiscali nel concordato minore: ha confermato la possibilità di applicare il cram-down dell’Erario. Se la maggioranza dei creditori ha approvato il concordato minore ma il Fisco è dissenziente, il tribunale può omologare comunque, previa verifica che la soddisfazione proposta al Fisco sia ≥ a quella ricavabile da liquidazione. Questa pronuncia, sulla scia dell’art. 80 CCII, rassicura i debitori che un veto dell’Erario può essere superato e non impedirà l’omologa di un concordato minore quando c’è convenienza economica per il Fisco nella proposta.
  7. Tribunale di Mantova, 6 ottobre 2022 – Decreto innovativo sui debiti misti: ha ammesso un piano del consumatore presentato da un soggetto che originariamente aveva debiti sia personali che d’impresa, valutando la prevalenza dell’aspetto “consumer”. Il Tribunale ha ritenuto che la presenza di alcune obbligazioni derivanti da precedente attività commerciale non precludesse l’accesso alla procedura da consumatore, in quanto cessata l’attività e considerata marginale rispetto all’indebitamento complessivo. Questa interpretazione estensiva è in linea con altri provvedimenti di merito e con lo spirito della L.176/2020, che puntava a includere anche ex imprenditori (divenuti di fatto consumatori) nelle tutele del piano consumer.
  8. Tribunale di Milano, 24 gennaio 2023 (Prot. Op. Sovraindebitamento) – Protocollo operativo post-CCII: tra le varie indicazioni pratiche, ha evidenziato il ruolo attivo dell’OCC nel verificare la condotta del debitore e nell’attestare la fattibilità delle proposte. Sottolinea come l’OCC debba certificare di aver dato notizia all’Agente della Riscossione della presentazione della procedura, garantendo così la corretta informazione degli enti pubblici creditori e facilitando il meccanismo di voto/cram-down. Inoltre, il protocollo milanese ha rimarcato la necessità, nelle procedure familiari unitarie, di specificare i legami di convivenza o di coobbligazione per giustificare un unico procedimento, uniformandosi all’art. 66 CCII.
  9. Tribunale di Trapani, 15 luglio 2022 – Primo Decreto di esdebitazione del debitore incapiente ex art. 14-quaterdecies L.3/2012 (ora art. 283 CCII). Ha concesso l’esdebitazione a un debitore senza patrimonio né reddito, ritenuto meritevole, che aveva fornito tutte le informazioni richieste e soddisfaceva i requisiti di legge. Nel decreto si dà atto: a) che il debitore non ha fatto ricorso ad altre procedure nei 5 anni precedenti; b) che è incapace di offrire utilità neppure future; c) che non risultano atti in frode né dolo o colpa grave nell’indebitamento. È uno dei primi esempi applicativi del nuovo istituto, che ha aperto la strada a molti altri nel 2023-2024. Il decreto trapanese impone al debitore di presentare le dichiarazioni annuali sulle sopravvenienze e incarica l’OCC delle verifiche per 4 anni. Ciò conferma operatività concreta della liberazione immediata dai debiti per i casi più disperati.

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