Hai un prestito personale in corso e la rata mensile è diventata troppo pesante? Ti stai chiedendo se esiste un modo per ridurre l’importo da pagare ogni mese senza dover cambiare banca o indebitarti ulteriormente?
Se il peso della rata sta incidendo troppo sul tuo bilancio familiare, sappi che esistono strumenti legali per alleggerire l’impegno mensile, anche in situazioni di difficoltà temporanea o calo del reddito. L’importante è agire per tempo e scegliere la strategia più adatta alla tua situazione.
Quando ha senso intervenire sulla rata del prestito?
Le situazioni più comuni in cui è possibile e utile intervenire sono:
– Diminuzione del reddito (es. perdita di lavoro, riduzione orario, malattia)
– Aumento delle spese familiari o altre rate da pagare
– Prestiti accesi con condizioni oggi meno vantaggiose
– Desiderio di maggiore liquidità mensile per affrontare nuove esigenze
Come puoi ridurre la rata di un prestito in corso?
- Rinegoziazione con la banca o finanziaria
Puoi chiedere all’ente che ti ha concesso il prestito di:
– Allungare la durata del piano di rimborso (riducendo l’importo mensile)
– Modificare il tasso di interesse applicato
– Spostare la scadenza o riformulare il piano in base alle tue nuove esigenze
È una procedura volontaria: serve il consenso della banca, ma non comporta costi notarili. - Estinzione e nuova sottoscrizione (ristrutturazione)
Puoi estinguere il prestito attuale e sottoscriverne uno nuovo, con:
– Tasso più basso
– Durata più lunga
– Rata ridotta
Attenzione: in questo caso vanno valutati con cura i costi accessori e l’effettiva convenienza. - Consolidamento debiti
Se hai più prestiti in corso, puoi unificarli in un’unica rata mensile più bassa.
– Eviti di gestire più scadenze
– Riduci la rata
– Ottieni una visione più chiara del debito complessivo
È utile per chi ha più finanziamenti attivi con rate elevate. - Sospensione temporanea delle rate
In alcuni casi puoi chiedere alla banca di sospendere il pagamento delle rate (totale o solo capitale) per un periodo limitato.
È una soluzione di emergenza, utile per gestire momenti critici senza entrare in mora.
Cosa valutare prima di fare una richiesta?
– Se la nuova rata è davvero sostenibile nel lungo periodo
– Se l’estensione della durata comporta un aumento del costo totale
– Se ci sono spese aggiuntive (istruttoria, assicurazioni, penali)
– Se ci sono altre soluzioni più convenienti da percorrere prima
Come ti aiutiamo noi dello Studio Monardo?
Analizziamo il tuo contratto di prestito e la tua situazione economica. Ti assistiamo nella trattativa con la banca o con l’intermediario finanziario per ottenere condizioni più favorevoli, e ti aiutiamo a scegliere tra rinegoziazione, consolidamento o soluzioni alternative. Se sei già in difficoltà, ti guidiamo nella gestione del debito evitando il rischio di segnalazioni o azioni legali.
Stai pagando una rata di prestito troppo alta? Vuoi sapere se è possibile ridurla senza peggiorare la tua posizione?
In fondo alla guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme le tue possibilità e costruiremo una strategia concreta per alleggerire le tue rate e proteggere il tuo equilibrio finanziario.
È possibile diminuire la rata di un prestito?
È possibile abbassare l’importo della rata mensile di un prestito? In Italia, un debitore dispone di vari strumenti giuridici e contrattuali per ridurre la rata di un finanziamento (ad esempio mutuo ipotecario, prestito personale, cessione del quinto, etc.) dal lato del debitore privato o piccolo imprenditore. Questa guida – aggiornata a giugno 2025 con riferimenti normativi e giurisprudenziali recenti – analizza in dettaglio tutte le soluzioni disponibili, incluse rinegoziazione, surroga, consolidamento debiti, moratorie e sospensioni, procedure di sovraindebitamento, nonché i rimedi legali contro tassi eccessivi o usura. Verranno fornite tabelle riepilogative, esempi pratici di calcolo, e una sezione Domande e Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni.
Introduzione
I recenti aumenti dei tassi d’interesse e le difficoltà economiche hanno spinto molti debitori a chiedersi come poter ridurre la rata dei propri prestiti. La rata di un finanziamento rappresenta un impegno costante che grava sul bilancio familiare o aziendale, e un suo alleggerimento può fare la differenza tra sostenibilità e insolvenza. Fortunatamente, l’ordinamento italiano offre diverse strategie e strumenti per intervenire sull’importo delle rate, sia in via negoziale con la banca sia tramite misure legali più strutturate.
In generale, abbassare la rata mensile significa intervenire su uno o più dei parametri del finanziamento: la durata (allungando il periodo di ammortamento per diluire il debito), il tasso di interesse applicato (ottenendo un tasso più basso o passando da tasso variabile a fisso o viceversa), oppure l’importo del debito residuo (tramite pagamenti anticipati o parziali, oppure riduzioni concordate o giudiziali del debito). Ciascuna di queste modifiche può essere ottenuta con strumenti differenti, ad esempio mediante accordo con il creditore originario, trasferendo il prestito presso un nuovo istituto, accedendo a misure agevolative di legge, o ricorrendo a procedure giudiziali di ristrutturazione del debito.
È fondamentale comprendere che non sempre la banca è obbligata ad assecondare la richiesta del debitore di modificare le condizioni del prestito. Salvo casi particolari previsti dalla legge, la rinegoziazione o concessione di agevolazioni è generalmente rimessa alla disponibilità della banca (nel rispetto dei canoni di buona fede contrattuale). Tuttavia, la concorrenza tra intermediari finanziari e alcune normative di favore per i mutuatari forniscono al debitore leve importanti per ottenere condizioni migliori o soluzioni per superare momentanee difficoltà.
Di seguito esamineremo dapprima le principali tipologie di prestiti per individuarne le differenze in termini di piano di ammortamento e flessibilità delle condizioni, quindi approfondiremo ciascun metodo per ridurre la rata: dalla rinegoziazione interna con la propria banca, alla surroga presso altro istituto, al consolidamento di più debiti in un’unica rata. Vedremo poi le misure di sospensione delle rate (le cosiddette moratorie, come il Fondo di solidarietà prima casa o accordi temporanei), e infine le procedure legali di composizione delle crisi da sovraindebitamento, che consentono di ristrutturare i debiti quando la situazione finanziaria del debitore è gravemente compromessa. Verranno trattati anche i rimedi legali contro eventuali clausole abusive, tassi usurari o difetti di trasparenza nei contratti di prestito, che in alcuni casi possono portare a una riduzione degli importi dovuti.
Tipologie di prestiti e incidenza sul piano di ammortamento
Prima di analizzare le soluzioni, è utile distinguere le principali categorie di prestito rivolte a privati (escludendo finanziamenti aziendali puri) perché le possibilità di intervento sulla rata possono variare a seconda della tipologia:
- Mutuo ipotecario: finanziamento a medio-lungo termine (anche 20-30 anni) garantito da ipoteca su un immobile, tipicamente usato per l’acquisto della prima casa. La rata può essere a tasso fisso (importo costante predeterminato) o variabile (importo che varia al variare di un indice come l’Euribor). L’ammortamento avviene di solito “alla francese”, con rata costante e quota interessi decrescente nel tempo. Ciò significa che inizialmente la rata è composta in gran parte da interessi e in minima parte da capitale, mentre verso la fine del piano si paga quasi solo capitale. Importante chiarire che, contrariamente a quanto talvolta sostenuto, l’ammortamento alla francese non comporta anatocismo illegittimo: in nessun momento gli interessi già maturati si trasformano essi stessi in base di calcolo per altri interessi, poiché ogni rata estingue integralmente gli interessi dovuti per quel periodo. La Cassazione – da ultimo con l’ordinanza n. 8322/2025 – ha confermato che questo metodo è legittimo e trasparente, sia per mutui a tasso fisso che variabile. Nei mutui, la rata può essere modulata cambiando durata, tasso o altre condizioni, ma richiede l’accordo della banca o un’operazione di surroga/refinancing.
- Prestito personale: finanziamento chirografario (senza garanzie reali) di solito a tasso fisso e durata inferiore (da 1 a 10 anni). La rata è generalmente costante per tutta la durata (piano di ammortamento alla francese a tasso fisso). I margini di modifica della rata in corso di contratto sono ridotti: non vi è un immobile da ipotecare che consenta surroghe ipotecarie, e la rinegoziazione è a discrezione della finanziaria. Spesso, per ridurre la rata di un prestito personale il debitore deve ricorrere al consolidamento o a un rifinanziamento con un nuovo prestito (potenzialmente a durata maggiore). È sempre possibile l’estinzione anticipata totale o parziale (diritto sancito dal Testo Unico Bancario, art. 125-sexies), con pagamento di un’eventuale commissione di rimborso anticipato (limitata per legge) e la restituzione dei costi relativi al periodo non goduto (come vedremo parlando della sentenza Lexitor).
- Cessione del quinto: particolare forma di prestito personale riservata a lavoratori dipendenti o pensionati, in cui la rata viene trattenuta direttamente dalla busta paga o dalla pensione (fino a un massimo di 1/5 dell’importo netto mensile, da cui il nome). Ha durata fino a 10 anni e tasso fisso. È rigidamente regolata (D.P.R. 180/1950 e norme collegate) e prevede obbligatoriamente un’assicurazione rischio vita/impiego. La caratteristica è che la rata non può essere modificata liberamente, essendo appunto pari al quinto dello stipendio/pensione: per legge, il datore di lavoro (o l’ente pensionistico) trattiene e versa la rata. Questo significa che per ridurre la rata di una cessione del quinto in essere, l’unica via è una rinegoziazione/rifinanziamento allungando la durata (ad esempio, dopo almeno i termini di legge, si può rinnovare la cessione stipulando un nuovo finanziamento di durata decennale che estingue il precedente – se la precedente cessione era più breve – ottenendo così una rata potenzialmente più bassa). Tuttavia, essendo la rata ancorata al 20% dello stipendio, una vera riduzione percentuale è possibile solo riducendo l’importo finanziato o i costi, più che la percentuale stessa. La convenienza di questa soluzione va valutata caso per caso, anche perché i tassi delle cessioni non sono bassissimi (esistono tassi massimi fissati trimestralmente dal MEF). In compenso, per chi ha altre esposizioni, ottenere una cessione del quinto può servire per consolidare quei debiti in un’unica rata controllata.
- Finanziamenti finalizzati e credito revolving: in questa categoria rientrano ad esempio i prestiti concessi per l’acquisto di un’auto, di beni di consumo, o le linee di credito rotativo (carte di credito rateali). Spesso hanno tassi più elevati e durate brevi. Ridurre la rata qui può essere difficile senza un intervento esterno: alcune finanziarie consentono di rimodulare il piano (ad esempio abbassare la rata allungando il periodo, o saltare rate mensili – funzionalità “salto rata” prevista da alcuni contratti), ma in generale la via maestra se la rata è troppo onerosa è rifinanziare il debito residuo con un prestito più lungo o con un consolidamento. Attenzione però che il credito revolving (es. carta di credito a rate) di per sé ha una rata minima mensile bassa, ma allungando i tempi fa lievitare molto gli interessi. Quindi “ridurre la rata” su un revolving in realtà peggiora il costo totale: può essere preferibile, se possibile, convertire quel debito in un prestito personale standard a rata e durata fissa.
Riassumendo, i mutui ipotecari offrono in genere più strumenti codificati di flessibilità (rinegoziazione, surroga, portabilità) perché coinvolgono importi elevati e garanzie reali; i prestiti non garantiti richiedono spesso il ricorso a un nuovo finanziamento per modificare sostanzialmente l’importo della rata. In ogni caso tutti i contratti di credito ai consumatori prevedono per legge la facoltà di estinzione anticipata da parte del debitore (art. 125-sexies TUB, di derivazione direttiva 2008/48/CE) e quindi la possibilità di sostituire un debito con un altro a condizioni migliori. Inoltre, la legge impone paletti di trasparenza e limiti ai tassi (tassi usurari, ai sensi della legge n.108/1996) che possono offrire leve legali in caso di condizioni particolarmente gravose, come vedremo.
Nei paragrafi successivi analizzeremo singolarmente le possibili soluzioni per ridurre la rata, evidenziando per ognuna: come funziona, quali benefici comporta, le norme di riferimento, gli eventuali costi o svantaggi, e gli sviluppi più recenti (normativi o giurisprudenziali). Si forniranno anche esempi pratici di applicazione. Si noti che molte di queste soluzioni possono essere combinate: ad esempio, un mutuatario può prima tentare la rinegoziazione, poi ricorrere alla surroga se la banca rifiuta, oppure chiedere una moratoria temporanea in attesa di consolidare i debiti successivamente, ecc. L’ordine in cui le presentiamo va dal rimedio meno invasivo (rinegoziazione amichevole) fino a quelli più strutturati (procedure concorsuali).
Rinegoziazione del prestito con la banca originaria
Rinegoziazione significa modificare, tramite accordo fra le parti, uno o più termini del contratto di prestito originario. In pratica, il debitore chiede alla propria banca (o finanziaria) di rinegoziare il mutuo/prestito, ad esempio ottenendo un tasso più basso, uno spread minore, l’allungamento del piano di rimborso, oppure il passaggio da tasso variabile a fisso (o viceversa). La rinegoziazione può anche riguardare altre condizioni, come l’eliminazione o riduzione di spese periodiche (es. commissioni di incasso rata), o l’aggiunta di garanzie per ottenere condizioni migliori (ad esempio, inserire un garante per convincere la banca a ridurre il tasso).
Fondamento normativo: in senso stretto, la rinegoziazione è frutto dell’autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.) e non esiste un obbligo generale di legge per la banca di aderire. Tuttavia, dal 2007 le normative hanno reso più facile e priva di costi questa pratica: il cosiddetto Decreto Bersani (D.L. 7/2007 convertito in L. 40/2007) ha stabilito che le rinegoziazioni di mutui sono esenti da spese notarili e imposte (eccetto una tassa fissa di euro 35 per la registrazione immobiliare). In altre parole, ridurre la rata tramite rinegoziazione non comporta i costi di un nuovo mutuo. La banca e il cliente formalizzano l’accordo con una scrittura privata da registrare (senza bisogno di un nuovo atto pubblico).
Va sottolineato che la banca non è obbligata per legge a concedere la rinegoziazione, salvo casi particolari che vedremo. In generale, è una facoltà che il mutuante concede per fidelizzare il cliente ed evitare che si rivolga alla concorrenza. Proprio perché de iure non c’è un diritto soggettivo alla rinegoziazione, il cliente deve solitamente “convincere” la banca che sia nel reciproco interesse: ad esempio, evidenziando che i tassi correnti di mercato sono molto inferiori al tasso originario pagato (dunque la banca rischia di perdere il cliente per surroga), o che il cliente ha temporanee difficoltà ma può continuare a pagare regolarmente con una rata più bassa (dunque la rinegoziazione evita un’incagliato o un default).
Condizioni e prassi: molte banche prevedono da regolamento interno che si possa chiedere rinegoziazione dopo un certo periodo dalla stipula (ad esempio dopo 1-2 anni di regolare ammortamento). Ciò non è imposto da norme di legge, ma è una prassi per valutare l’affidabilità del cliente e scoraggiare richieste troppo frequenti. In teoria, non c’è limite al numero di volte in cui si può rinegoziare lo stesso prestito; nella pratica, conviene farlo solo quando vi sono solidi motivi (es. riduzione dei tassi di interesse di mercato, eventi personali che incidono sulla capacità di rimborso, ecc.). È buona norma far passare un po’ di tempo tra una modifica e la successiva, sia per ragioni di sostenibilità contrattuale sia perché la banca difficilmente accetterebbe continue richieste senza giustificazione.
Procedura: per avviare una rinegoziazione, il debitore può contattare la banca (filiale o centralmente) manifestando la volontà di rivedere le condizioni. È consigliabile farlo per iscritto, ad esempio con lettera raccomandata PEC, in modo da protocollare la richiesta e costringere la banca a fornire un riscontro formale. Spesso è utile allegare alla richiesta i dati salienti del prestito (debito residuo, rata, tasso attuale) e la proposta desiderata (nuova durata o nuovo tasso), magari supportata dal confronto con offerte concorrenti sul mercato. La banca valuterà la sostenibilità creditizia (assicurandosi che il cliente sia ancora in grado di rimborsare, magari con le nuove condizioni) e le proprie politiche interne di pricing.
Obbligo di buona fede: sebbene, come detto, la banca non abbia un obbligo giuridico di concludere una rinegoziazione, la trattativa è soggetta ai principi generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). Secondo orientamenti giurisprudenziali e dell’ABF, l’istituto deve comunque tenere una condotta corretta nella fase di valutazione: deve rispondere tempestivamente alla richiesta e, in caso di rifiuto, dare una risposta motivata e idonea a giustificare le ragioni del diniego. Un silenzio o rifiuto immotivato potrebbe essere censurato come contrario ai doveri di buona fede contrattuale. In pratica, il debitore ha diritto almeno ad un serio riscontro. Va anche detto che se la banca accetta di rinegoziare, dovrà predisporre un nuovo piano di ammortamento e comunicare un TAEG ricalcolato sulle nuove condizioni: omissioni informative su questo possono dar luogo a richieste di risarcimento danni da parte del cliente (ad esempio, se la banca non evidenzia costi impliciti che peggiorano il TAEG).
Esiti possibili: se la banca accetta, si stipula un accordo di rinegoziazione (scrittura privata). L’operazione, come ricordato, è gratuita: non si pagano spese istruttorie, né nuova perizia, né atto notarile, ma solo €35 di tassa fissa per formalizzare l’annotazione nei registri immobiliari (in caso di mutuo ipotecario). La durata residua e l’importo della rata cambieranno secondo quanto concordato. Esempio tipico: mutuo residuo 100.000 €, rata €600/mese con scadenza in 10 anni; se viene allungato a 15 anni al medesimo tasso, la rata scenderà (circa €460/mese, interessi totali maggiori). Oppure: mutuo a tasso fisso 5%, si rinegozia a tasso fisso 3% mantenendo la stessa durata residua – la rata scenderà sensibilmente e il costo totale diminuisce. È possibile anche rinegoziare passando da variabile a fisso o viceversa (il cosiddetto switch del tasso): in questo caso non si tratta tanto di ridurre subito la rata, ma di ridurre il rischio futuro di aumento rata (passando a fisso) o di cogliere opportunità di ribasso futuri (passando a variabile). Alcuni contratti di mutuo recenti prevedono già delle clausole di opzione per il cambio tasso, ma in mancanza di queste la rinegoziazione è lo strumento per ottenere la conversione.
Se la banca rifiuta la rinegoziazione (cosa non inusuale se il cliente non offre garanzie aggiuntive o se i tassi di mercato sono più alti di quello contrattuale), il debitore deve valutare altre strade. La prima alternativa è la surroga del mutuo, cioè portare il finanziamento presso un’altra banca che offra condizioni migliori. In subordine, si può pensare a un rifinanziamento o consolidamento (estinguendo il debito attuale con uno nuovo, magari di durata maggiore) o – nei casi di difficoltà – a misure di sospensione temporanea o procedure di sovraindebitamento.
Rinegoziazione obbligatoria (mutui 2023): va segnalato che il legislatore talvolta è intervenuto per imporre strumenti di rinegoziazione a tutela dei debitori in particolari condizioni. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha introdotto una norma che obbligava le banche a concedere la trasformazione dei mutui da tasso variabile a tasso fisso (o tasso misto) senza costi per il cliente, su richiesta di quest’ultimo. Tale facoltà era tuttavia limitata ai mutui che rispettavano tutti i seguenti requisiti:
- Richiesta presentata entro il 31 dicembre 2023 (termine poi non prorogato al 2024);
- Importo originario del mutuo non superiore a 200.000 €;
- ISEE del mutuatario non superiore a 35.000 € annui;
- Nessun arretrato nel pagamento delle rate al momento della richiesta.
In presenza di queste condizioni, la banca doveva rinegoziare il contratto applicando un tasso fisso agevolato: il tasso fisso annuo nominale massimo era pari al minore tra l’IRS a 10 anni e l’IRS di durata pari alla residua del mutuo, riferiti all’importo ancora dovuto, + lo spread originario del mutuo. In pratica, veniva garantito un tasso fisso inferiore ai normali tassi di mercato per quella durata, poiché si sceglieva il minore tra l’IRS decennale e quello corrispondente alla durata residua. Questa disposizione ha aiutato molte famiglie nel 2023, in pieno rialzo dei tassi variabili, a congelare la rata ad un livello più basso e stabile. Tuttavia, come detto, era a termine: scaduto il 2023, non risulta (allo stato di giugno 2025) prorogata. Resta comunque possibile chiedere volontariamente un cambio tasso alla propria banca, ma senza diritto unilaterale; in alternativa, alcune banche propongono mutui a tasso misto o opzione che consentono al cliente di passare a fisso a determinate condizioni, quindi vale la pena informarsi.
Vantaggi e svantaggi: la rinegoziazione è in genere la soluzione preferibile come primo passo perché non comporta costi né formalità complesse. Mantiene lo stesso finanziamento acceso, con la stessa banca, evitando trafile burocratiche di nuova istruttoria o perizia. Inoltre può essere ripetuta nel tempo se le condizioni di mercato evolvono. Lo svantaggio principale è che non è garantita: la banca può opporsi, oppure offrire una modifica meno vantaggiosa di quanto sperato. Inoltre, rinegoziando con la stessa banca, non si beneficia della concorrenza: potrebbe essere che un’altra banca offra condizioni ancor migliori, motivo per cui è sempre utile confrontare (o minacciare bonariamente di surrogare) per stimolare la propria banca a fare uno sforzo. In sintesi, conviene provare la rinegoziazione, ma con consapevolezza dei propri diritti (gratuità, dovere di buona fede della banca) e preparandosi in caso di esito negativo a passare ad altre soluzioni.
Surroga del mutuo (portabilità presso altra banca)
Se la rinegoziazione interna non è percorribile o soddisfacente, il mutuatario italiano ha dal 2007 uno strumento potente per abbassare la rata: la surroga del mutuo, detta anche portabilità. Introdotta con l’art. 8 del D.L. 7/2007 (conv. in L.40/2007, Decreto Bersani), oggi disciplinata dall’art. 120-quater del Testo Unico Bancario, la surroga consente di trasferire il proprio mutuo presso un’altra banca che offra condizioni migliori, senza estinguere e riaccendere l’ipoteca e soprattutto senza costi per il cliente.
Come funziona: nella surroga (tecnicamente surrogazione per volontà del debitore ex art. 1202 c.c. e normativa speciale TUB) il debitore stipula un nuovo contratto di mutuo con la banca subentrante, finalizzato a pagare il debito residuo verso la banca originaria. Contestualmente, per effetto di legge, la nuova banca subentra nelle garanzie del mutuo precedente (l’ipoteca viene trasferita). L’importo del nuovo mutuo deve essere esattamente pari al debito residuo del mutuo originario al momento del perfezionamento – non sono ammessi importi eccedenti (in tal caso sarebbe una sostituzione + liquidità, non una surroga pura). Una volta erogata la somma e rimborsata la prima banca, il mutuo prosegue con la nuova banca alle condizioni pattuite con essa.
Vantaggi della surroga: il cliente può ottenere tassi più bassi o una durata più lunga (o entrambe) a seconda dell’offerta trovata, riducendo così la rata. Il tutto senza spese: per legge qualsiasi costo notarile, fiscale o bancario è a carico della banca subentrante, e la banca originaria non può applicare penali o commissioni di uscita. Anche l’eventuale imposta sostitutiva sul mutuo non si paga di nuovo se si rispetta la procedura di surroga. In sostanza la surroga è pensata per rimuovere ostacoli alla mobilità del cliente, stimolando la concorrenza. Inoltre, la surroga non richiede al cliente di sborsare liquidità nel passaggio: è la nuova banca che si occupa di erogare e regolare con la vecchia.
Procedura e tempi: la legge prevede tempistiche precise per evitare che la banca originaria rallenti la portabilità. Dal momento in cui il cliente richiede alla nuova banca di acquisire dall’attuale mutuante la cifra esatta di estinzione, l’intera operazione di trasferimento deve completarsi entro 30 giorni lavorativi. Se questo termine viene sforato per causa della banca originaria, quest’ultima è tenuta a risarcire il cliente con penale pari all’1% del valore del mutuo per ogni mese (o frazione) di ritardo. Si tratta di una forma di responsabilità oggettiva introdotta dalla L. 40/2007 per dissuadere comportamenti ostruzionistici. In pratica, la banca uscente deve fornire rapidamente il conteggio di estinzione e collaborare al rogito di surroga; se fa melina, rischia grosso (il cliente può chiedere il risarcimento direttamente a lei).
N.B.: vi sono state incertezze interpretative su quando inizi a decorrere il termine di 30 giorni – dalla richiesta del cliente alla nuova banca, dalla data di domanda di surroga firmata, o dalla formalizzazione ABI – ma in ogni caso il principio è che il passaggio debba essere veloce. In genere, la nuova banca coordina l’intero iter (richiede conteggio, predispone atto di surroga, fissa data con notaio e vecchia banca). Il cliente quindi, una volta trovata la nuova banca, deve solo fornire i documenti e firmare il nuovo contratto.
Quante volte e limiti: non c’è un limite legale al numero di surroghe: il mutuo può essere surrogato più volte se il cliente trova opportunità migliori. Negli anni passati, molti mutuatari hanno surrogato più volte inseguendo i cali dei tassi. Ovviamente ogni banca subentrante valuterà il merito creditizio e potrebbe guardare con sospetto chi cambia troppo spesso, ma dal punto di vista giuridico nulla lo impedisce. Importante è non avere rate scadute o altri incidenti creditizi: la nuova banca, pur estinguendo il debito, valuterà la solvibilità come per un nuovo finanziamento. Se il cliente è in ritardo con i pagamenti o ha segnalazioni, difficilmente troverà una banca disposta a subentrare. Quindi, per beneficiare della surroga, conviene attivarsi prima che la situazione si deteriori (ad esempio, se i tassi salgono e la rata diventa pesante ma ancora si è in regola, muoversi subito per surrogare a un fisso prima di eventuali difficoltà).
Differenza tra surroga e sostituzione: nella surroga pura, come detto, non si possono ottenere somme aggiuntive. Se il cliente desidera anche liquidità extra, la nuova banca può predisporre un contratto che formalmente prevede due mutui contestuali: uno di importo pari al residuo (surroga) e un secondo per la liquidità aggiuntiva (quest’ultimo con imposta sostitutiva da pagare e ipoteca supplementare). Oppure procedere a un mutuo di sostituzione normale (estinguendo il precedente e accendendone uno nuovo di importo maggiore con iscrizione ipotecaria ex novo), operazione che però non gode delle esenzioni della surroga. In generale, se l’obiettivo principale è ridurre la rata, la surroga è preferibile alla sostituzione poiché è gratuita; la sostituzione torna utile solo se serve importo in più o modifiche non possibili via surroga.
Caso di rifiuto da parte della banca originaria: la banca presso cui si ha il mutuo non può opporsi alla portabilità. Sin dal 2007 è fatto divieto di ostacolare il cliente che vuole surrogare (ad esempio con clausole contrattuali, penali occulte, ecc. dichiarate nulle). Deve fornire il conteggio e collaborare. Se offrisse controproposte (es. tentando una contro-rinegoziazione dell’ultimo minuto), il cliente è libero di valutarle, ma non c’è obbligo di accettare e può procedere con la surroga. In sintesi, la portabilità è un diritto del debitore. È anche il “piano B” naturale se la rinegoziazione con la propria banca fallisce.
Per completezza, segnaliamo che nel 2024 è stata chiarita una questione: la garanzia statale prima casa (Consap) rimane valida anche dopo una surroga. La Legge di Bilancio 2024 ha stabilito che per i mutui giovani e prima casa garantiti dallo Stato, la garanzia può trasferirsi alla nuova banca in caso di surroga, purché le condizioni restino invariate o migliorative. Questo per evitare che chi ha un mutuo garantito al 50-80% dal Fondo di Garanzia Prima Casa rinunci alla portabilità per timore di perdere la garanzia.
Vantaggi: la surroga consente spesso riduzioni significative di rata. Ad esempio, un mutuo residuo €150.000 al 2% con rata €772/mesi su 20 anni, se surrogato a tasso 1% su 20 anni scende a €690/mese circa; se surrogato allungando a 25 anni a 1%, scende ancora a ~€565. Il tutto con risparmio di decine di migliaia di euro di interessi. Non a caso, nei periodi di tassi calanti, la surroga è stata molto utilizzata (nel 2015-2016 ad esempio costituiva fino al 30% dei nuovi mutui). Anche in epoca di tassi crescenti, si può surrogare per allungare la durata mantenendo una rata sostenibile. Rispetto a rinegoziare con la propria banca, con la surroga si accede a tutte le offerte del mercato – spesso la concorrenza è più aggressiva con nuovi clienti che non con vecchi.
Svantaggi: ci sono pochi svantaggi. Uno può essere la burocrazia: serve comunque un atto notarile di surroga (pagato dalla nuova banca) e i tempi, pur per legge contenuti, richiedono mediamente 1-2 mesi per completare l’operazione. Durante questo periodo bisogna coordinare il pagamento delle ultime rate alla vecchia banca fino al rogito, per evitare problemi di conteggi. Inoltre, surrogare significa cambiare banca, con tutto ciò che comporta (ad esempio aprire un nuovo conto di appoggio per il mutuo, spostare eventuali domiciliazioni se il mutuo era collegato a polizze o conti). Per la maggior parte dei clienti questo non è un vero problema, ma va previsto.
Un altro limite: se il debito residuo è molto basso (es. pochi anni alla fine), le banche potrebbero non essere interessate a surrogare perché il margine è ridotto. Non esiste una soglia ufficiale, ma sotto i €30-40k residui può diventare difficile trovare offerte di surroga, a meno che si allunghi la durata. In tal caso, potrebbe essere più efficiente altre soluzioni (rinegoziare o consolidare).
Conclusione: la surroga è uno strumento fondamentale per il debitore-consumatore italiano. Grazie ad essa, diminuire la rata non è solo un auspicio ma un risultato concreto ottenuto da migliaia di famiglie, sfruttando la competizione tra banche. Ogni mutuatario dovrebbe periodicamente monitorare le offerte di mercato e i tassi, e non esitare a surrogare se c’è convenienza. Ricordiamo di considerare sempre il TAEG (tasso annuo effettivo globale) dell’offerta di surroga, includendo eventuali costi accessori (es. perizia o assicurazione facoltativa) per un confronto corretto con la situazione attuale.
Sostituzione del prestito con un nuovo finanziamento (rifinanziamento)
La sostituzione del prestito consiste nell’estinguere il finanziamento esistente e sostituirlo con uno nuovo presso la stessa o un’altra banca, con condizioni diverse. È una categoria ampia di operazioni che include il rifinanziamento di un singolo prestito o mutuo, oppure il contestuale accorpamento di più debiti (consolidamento, di cui parleremo a parte). A differenza della surroga, qui non c’è una procedura agevolata di subentro nelle garanzie: il nuovo finanziamento viene erogato e usato per chiudere il precedente, spesso richiedendo un nuovo atto (es. nuova ipoteca se parliamo di mutuo).
Quando si ricorre alla sostituzione? Tipicamente quando la surroga non è applicabile o non sufficiente. Ad esempio, se un cliente ha bisogno di liquidità aggiuntiva oltre a quella necessaria a coprire il residuo debito, la surroga pura non lo consente. Oppure se vuole cambiare tipologia di prodotto (es. passare da prestito personale a mutuo ipotecario per abbassare il tasso con garanzia reale). O ancora, se la banca attuale offre una rinegoziazione insoddisfacente e un’altra banca propone di rifinanziare tutto con un prestito ex novo. In alcuni casi, la sostituzione avviene anche internamente alla stessa banca: ad esempio, un mutuatario può estinguere il vecchio mutuo e stipularne uno nuovo con durata maggiore e rata minore (si parla in tal caso di sostituzione interna – concettualmente simile a una rinegoziazione, ma formalizzata con un nuovo contratto).
Caratteristiche: essendo un nuovo finanziamento, la banca applicherà le regole di valutazione del merito di credito attuali, che potrebbero essere più rigorose di quelle in vigore quando si ottenne il vecchio prestito. Ciò può rappresentare un ostacolo se nel frattempo la situazione reddituale o creditizia del cliente è peggiorata. Inoltre, la sostituzione di solito comporta costi: ad esempio, per un mutuo ipotecario nuovo servirà l’atto notarile (a carico del cliente, salvo promozioni), l’imposta sostitutiva (0,25% o 2% a seconda dei casi, se non è prima casa), eventuali penali di estinzione del vecchio mutuo (per i mutui ipotecari stipulati dopo il 2007 di solito non ci sono penali grazie sempre al Bersani, mentre per i prestiti personali la legge consente una commissione di max 1% sul capitale rimborsato anticipatamente). Tali costi vanno valutati rispetto al beneficio della rata più bassa.
Caso Mutuo di sostituzione con liquidità: se ad esempio ho un mutuo residuo €100.000 e necessito anche di €20.000 extra per ristrutturazione, potrei stipulare un mutuo di €120.000 con altra banca, estinguere il vecchio e ottenere i 20k sul conto. Questa non è surroga (perché l’importo è superiore al debito esistente) ma un nuovo mutuo. Pagherò l’imposta sostitutiva sul nuovo importo (0,25% se prima casa, quindi €300 su 120k), e dovrò accollarmi i costi di perizia e istruttoria. La convenienza dipende: se il nuovo mutuo ha un tasso molto più basso o allunga di molto la durata, la rata totale (pur su debito maggiore) potrebbe rimanere vicina o inferiore alla precedente. Spesso in questi casi si opta comunque per la surroga + liquidità come spiegato prima (due operazioni contestuali) per almeno godere della gratuità sulla parte di surroga.
Caso Prestito personale rifinanziato: un consumatore con prestito personale può chiedere alla stessa finanziaria o a un’altra un nuovo prestito più grande o con durata più lunga, con il quale estinguere il precedente. Le finanziarie spesso offrono proprio questa opzione, chiamata talvolta “rifinanziamento”. Ad esempio, dopo qualche anno di pagamento regolare, si può ottenere un nuovo prestito che chiude il residuo e magari aggiunge ulteriore liquidità, rimodulando la rata. Questo processo, se comporta nuova liquidità, è di fatto un nuovo credito e non gode delle esenzioni Bersani (quelle valgono espressamente per mutui immobiliari). Pertanto, si applica la Lexitor: il cliente estinguendo anticipatamente il primo prestito ha diritto al rimborso pro-quota di tutti i costi sostenuti non maturati (commissioni, interessi, premio assicurativo non goduto), e il nuovo prestito genererà nuovi costi. Grazie alla sentenza della Corte di Giustizia UE “Lexitor” (C-383/18), confermata in Italia dalla Corte Costituzionale n. 263/2022, oggi il consumatore che estingue un finanziamento ha diritto alla riduzione di tutti i costi, anche up-front, in proporzione alla durata residua. La Consulta ha infatti dichiarato illegittima la norma nazionale che limitava il rimborso solo ad alcuni costi, uniformandoci alla regola europea. Questo significa che se si rifinanzia un prestito personale di €10.000 al 5° anno su 8, si devono avere indietro, ad esempio, i 3/8 di eventuali commissioni iniziali, e 3/8 del premio assicurativo non goduto, riducendo l’onere effettivo della manovra per il cliente.
Attenzione alla sostenibilità: sostituire un prestito con un altro può sembrare un “gioco delle tre carte” se non si affronta la causa del problema. Allungare la durata riduce la rata ma aumenta gli interessi totali dovuti. Ad esempio, un debito residuo 30.000 € a 5 anni con rata ~€600 può essere rifinanziato a 10 anni con rata ~€330, ma si passerà da pagare €6.000 di interessi totali a magari €12.000 (numeri esemplificativi). Quindi il debitore deve valutare il trade-off: meglio una rata oggi sostenibile anche se comporta più costi domani, piuttosto che rischiare di non pagare affatto quella più alta. In molti casi la priorità è abbassare la rata subito per ragioni di cash flow, e la maggior spesa complessiva è un compromesso accettabile.
Vantaggi: il rifinanziamento offre flessibilità massima – il cliente riprogetta da zero il debito residuo come preferisce (scegliendo nuova durata, tipo di tasso, importo aggiuntivo, magari consolidando più posizioni in una). Può anche cambiare tipologia di credito per ottenere tasso inferiore (esempio: convertire prestiti chirografari in un mutuo ipotecario di consolidamento, con tasso minore perché garantito da ipoteca).
Svantaggi: rispetto alla surroga, ci sono costi potenzialmente rilevanti e anche iter più complesso. Inoltre, con un nuovo contratto si può perdere qualche agevolazione del vecchio (ad esempio, un vecchio mutuo prima casa ante-2007 potrebbe avere penali ridotte per legge, mentre un nuovo mutuo per liquidità no; oppure si può perdere qualche beneficio fiscale se cambia intestatario o destinazione). Bisogna poi considerare che una nuova istruttoria creditizia espone al rischio di diniego se nel frattempo il merito creditizio è peggiorato o l’età del richiedente è avanzata oltre soglie di politica bancaria.
In sintesi, la sostituzione/rifinanziamento è un’opzione importante nel toolkit del debitore per abbassare la rata, specie quando si hanno esigenze ulteriori (liquidità) o la surroga non si applica (nei prestiti personali). Bisogna però progettare l’operazione attentamente, considerando tutti i costi coinvolti e verificando di avere i requisiti per il nuovo prestito.
Consolidamento debiti (unire più rate in una sola)
Il consolidamento debiti è una particolare forma di rifinanziamento rivolta a chi ha più finanziamenti in corso (es: mutuo + prestito auto + carta revolving, oppure diversi prestiti minori) e desidera accorparli in un’unica rata mensile più bassa. In pratica, con un prestito di consolidamento si estinguono tutte le posizioni aperte e si rimane con un solo debito verso un unico intermediario. Questa strategia spesso permette di ridurre l’importo complessivo pagato ogni mese diluendo maggiormente il rimborso e ottimizzando l’esposizione complessiva del debitore.
Perché il consolidamento riduce la rata? Se un soggetto ha, ad esempio, due prestiti con rate di €300 + €200 (€500 totali) e trova una banca che concede un consolidamento in un unico prestito con rata €350, significa che il nuovo prestito ha una durata più lunga (o un tasso medio più basso, o entrambe) rispetto ai precedenti. Spesso la riduzione di rata avviene allungando la durata media del debito e talvolta ottenendo un tasso migliore rispetto ai prestiti piccoli non garantiti. Si “ridimensiona il profilo di rischio avendo una sola rata” e si riduce il carico mensile in rapporto al reddito disponibile. Banca d’Italia raccomanda che il totale delle rate non superi una certa % del reddito (spesso ~30-35%): chi aveva più rate poteva facilmente sforare, mentre con una unica rata più bassa rientra nei parametri.
Requisiti e condizioni: la condizione chiave per accedere a un consolidamento è che il debitore sia ancora in bonis, cioè abbia pagato regolarmente le rate fino a quel momento. Le banche analizzano attentamente la centrale rischi e lo storico pagamenti: l’idea è che se uno è riuscito (pur con fatica) a pagare tutti gli impegni finora, allora certamente ce la farà con una rata più bassa e unica, migliorando la propria situazione. Invece, se già presenta insoluti, il consolidamento diventa difficile da ottenere perché appare come un tentativo tardivo di tamponare una situazione ormai compromessa.
Altri fattori valutati per il consolidamento: il rapporto rata/reddito complessivo migliorerà dopo, ma dev’essere già entro limiti accettabili per concedere il nuovo prestito; la stabilità lavorativa e prospettive future (un contratto a tempo indeterminato o una pensione danno più fiducia che effettivamente il debitore beneficerà della rata più bassa per rimborsare senza problemi).
Quali prodotti di consolidamento: spesso il consolidamento viene offerto come un prestito personale dedicato (Prestito Consolidamento). Può anche assumere la forma di una cessione del quinto se chi richiede è un lavoratore dipendente/pensionato con margine sul quinto: in tal caso, la cessione viene utilizzata per chiudere gli altri debiti, e la rata unica sarà il quinto dello stipendio, presumibilmente inferiore alla somma delle precedenti se queste superavano tale soglia. In presenza di un immobile di proprietà libero, un’altra opzione è un mutuo di consolidamento: la banca eroga un mutuo ipotecario il cui scopo è pagare i debiti al consumo. Questo consente in genere il tasso più basso possibile (tasso da mutuo garantito, sensibilmente inferiore ai tassi dei prestiti personali) e durate lunghe (anche 20-30 anni), ottenendo un drastico abbassamento della rata. Tuttavia, trasforma debiti chirografari in debito garantito da casa, con implicazioni da valutare (il rischio di perdere la casa in caso di mancato pagamento si estende al nuovo importo, eventualmente maggiore).
Esempio pratico di consolidamento: Tizio ha: carta revolving con saldo €5.000 (rata min €150), prestito auto con debito residuo €8.000 (rata €200), e piccolo prestito €2.000 (rata €100). Totale paga €450/mese. Reddito netto €1.500 (quindi 30% del reddito in debiti). Chiedendo un consolidamento di €15.000, Tizio ottiene un prestito unico di importo sufficiente a chiudere tutti e tre i debiti. Se il nuovo prestito è a 6 anni al tasso, poniamo, 8%, la rata unica sarà circa €270. Tizio passa da €450 a €270 al mese, liberando €180 mensili di liquidità. Ha allungato forse di un anno rispetto al prestito auto più costoso e sta pagando il debito carta che altrimenti al minimo pagamento avrebbe impiegato molti anni; quindi aumenta la durata media ma a un tasso probabilmente più basso di quello della carta. Il risultato è un alleggerimento del peso mensile e una semplificazione (una scadenza sola da ricordare). Naturalmente Tizio pagherà più interessi spalmati su 6 anni (soprattutto perché prima la carta revolving avrebbe potuto rimborsarla in meno tempo aumentando le rate, mentre ora di fatto la diluisce).
Vantaggi del consolidamento: come indica il nome, semplifica e riduce il rischio di insolvenze multiple. La propensione all’indebitamento eccessiva viene riportata a un livello gestibile con una sola rata. Inoltre, psicologicamente il debitore può concentrarsi su un unico pagamento. Le banche vedono di buon occhio il consolidamento se fatto prima che il cliente vada in default, perché migliora la probabilità di rimborso. Dal punto di vista del cliente, spesso si riesce ad ottenere anche qualche liquidità aggiuntiva se serve (molti prodotti consolidamento offrono questa opzione): così con la stessa operazione si soddisfano eventuali necessità di cassa immediate.
Svantaggi: talvolta il consolidamento può comportare un tasso più alto su parte del debito. In passato era noto che le finanziarie consideravano il consolidamento come “ultima spiaggia” per clienti a rischio, applicando tassi più cari del normale. Oggi non è sempre così, ma sicuramente va confrontato il TAEG del consolidamento proposto con la media che si aveva prima. Potrebbe emergere che la rata scende solo perché la durata aumenta molto, mentre il costo totale lievita parecchio. In alcuni casi non c’è alternativa per chi è al limite della sostenibilità, ma bisogna esserne consapevoli. Inoltre, consolidando con un nuovo finanziamento, si incorre nei costi di estinzione anticipata dei precedenti crediti (se previsti, grazie a Lexitor spesso contenuti) e nei costi di apertura del nuovo (commissioni, istruttoria). Alcuni intermediari offrono però condizioni promozionali (zero spese) sul consolidamento, per cui conviene cercare offerte.
Normativa e tutela consumeristica: il consolidamento rientra nella disciplina generale del credito ai consumatori (se fatto via prestito personale) o del credito immobiliare (se fatto via mutuo). In sé non ha norme ad hoc se non la regola che il nuovo finanziatore può, su autorizzazione del cliente, occuparsi di pagare direttamente i creditori pregressi. Spesso infatti l’erogazione del prestito di consolidamento avviene in modalità “finalizzata”: la banca erogante salda i conti estintivi dei vari prestiti (erogazione con estinzioni interne), evitando che il cliente riceva i soldi e non li utilizzi per lo scopo. Così si ha la certezza che i debiti originari vengano chiusi. Alternativamente, se l’importo è esiguo o il cliente preferisce, la somma può essere data a lui (erogazione totale) e sarà poi sua cura estinguere gli altri; ma questa modalità è meno usata perché rischiosa (il cliente potrebbe essere tentato di usarli diversamente e restare con doppio debito).
Conclusione: il consolidamento è uno strumento che abbassa la rata aggregata e razionalizza la posizione debitoria. È consigliabile muoversi verso il consolidamento prima che la situazione diventi critica (cioè finché le rate sono tutte pagate in orario) per avere più chance di approvazione e condizioni migliori. In caso di indebitamento diffuso su più fronti, parlare con la banca o finanziaria di fiducia e farsi simulare un consolidamento può riservare piacevoli sorprese in termini di sollievo finanziario.
Cessione del quinto e delegazione di pagamento come strumento di ristrutturazione
La cessione del quinto dello stipendio o della pensione merita un paragrafo a parte, perché oltre a essere un tipo di prestito in sé, può fungere da strumento per ristrutturare il debito con una rata sostenibile. Come già accennato, la cessione comporta che la rata massima sia il 20% del netto mensile e il pagamento è garantito dalla trattenuta diretta in busta paga/pensione, con assicurazione obbligatoria. Proprio queste caratteristiche fanno sì che la cessione spesso venga concessa anche a soggetti con altri debiti o con credit score non eccellente (per la banca il rischio è mitigato dal fatto che paga l’azienda/ente e c’è l’assicurazione). Dunque, chi ha difficoltà a ottenere un prestito tradizionale per consolidare può magari accedere a una cessione del quinto.
Riduzione della rata totale con cessione: poniamo il caso di un dipendente la cui somma delle rate di vari prestiti è €600, a fronte di uno stipendio netto di €1.500 (quindi 40% del reddito impegnato). Questo soggetto probabilmente ha sforato i limiti di credito e potrebbe iniziare a non farcela. Una cessione del quinto di quello stipendio avrebbe rata massima €300. Quindi, se riesce a ottenere una cessione di importo sufficiente per chiudere tutti gli altri debiti, la sua nuova esposizione mensile sarebbe di €300 (pari al quinto), dimezzando lo sforzo precedente. Certo, la durata potrebbe essere 10 anni, quando magari prima restavano 5 anni da pagare su alcuni prestiti, ma l’obbiettivo di alleggerire subito il carico è raggiunto.
Delegazione di pagamento: per i dipendenti (soprattutto pubblici) esiste anche la possibilità di una delegazione di pagamento (il cosiddetto doppio quinto), che è un secondo prestito con rata trattenuta sullo stipendio, aggiuntiva alla cessione del quinto, su base volontaria dell’ente erogatore. Ciò può portare fino al 40% dello stipendio impegnato in trattenute. Tuttavia, la delegazione la concede il datore di lavoro a sua discrezione e non tutti lo permettono. Nel nostro contesto, l’ipotesi è di solito di usare una cessione per consolidare e ridurre il numero di uscite.
Pro e contro: il vantaggio della cessione come strumento di consolidamento è la lunghezza (fino a 120 mesi) e la certezza della rata, oltre al fatto che di solito non richiede ipoteca né garanti. Il tasso è fisso e, sebbene più alto dei mutui, può essere in linea o talvolta migliore dei tassi di prestiti personali concessi a soggetti con molti debiti (ricordiamo che le cessioni hanno tassi soglia specifici fissati trimestralmente dal MEF, spesso attorno all’11-13% annuo a seconda dell’età e tipo di lavoratore). Inoltre l’assicurazione rischio impiego e vita tutela il debitore e i suoi eredi nel caso di eventi negativi: questo può dare tranquillità rispetto ad altre forme di consolidamento dove in caso di morte o perdita del lavoro restano debiti aperti (qui subentrano polizze).
Lo svantaggio è che la cessione è riservata a lavoratori dipendenti con contratto stabile e pensionati – un libero professionista o imprenditore non può accedervi (salvo che sia pensionato). Inoltre c’è un costo assicurativo incorporato e commissioni, il che rende il TAEG effettivo piuttosto elevato, soprattutto per pensionati anziani (dove la polizza vita incide molto). Quindi può ridurre la rata mensile ma l’ammontare totale rimborsato sarà consistente. In pratica, la cessione è più una misura di sostegno di liquidità immediata che di risparmio finanziario.
Bisogna anche considerare che se si consolidano debiti con una cessione, per 10 anni quella trattenuta graverà sullo stipendio. Se il dipendente poi avesse bisogno di un ulteriore prestito, la presenza della cessione limiterà la capacità di ottenerlo (avendo già il quinto impegnato). D’altra parte, una volta decollata la cessione, spesso rimane l’unica rata e se le entrate sono stabili può risultare gestibile.
Considerazioni giuridiche: la cessione del quinto è regolata in modo dettagliato dal DPR 180/1950 e dal relativo regolamento (DPR 895/1950), oltre che dalle norme di trasparenza del TUB. Il debitore deve necessariamente firmare la delega al datore di lavoro e ottenere il benestare, e la banca notificare l’atto di cessione all’azienda. Non c’è molto margine contrattuale: le condizioni (tasso max, durata max) sono fissate e uniformi nel mercato, con differenze solo di offerta. Quindi come strumento di consolidamento è standardizzato.
In sintesi, per i soggetti che possono accedere, la cessione del quinto rappresenta una àncora di salvezza in diverse situazioni di sovraesposizione: permette di risistemare i debiti con una rata più leggera e “garantita” (che magari la banca altrimenti non concederebbe perché il cliente è rischio, mentre con cessione lo fa grazie alla garanzia stipendio). È però da usare con cautela, consapevoli del costo, e cercando di negoziare (entro i limiti) condizioni favorevoli. Va ricordato che anche sulla cessione del quinto si applica Lexitor: se un domani la cessione venisse estinta anticipatamente (ad esempio per rinnovo o per cessazione rapporto lavorativo e pagamento TFR), si ha diritto al rimborso pro-quota dei costi non maturati, come ha chiarito l’ABF dopo la pronuncia Lexitor.
Sospensione temporanea delle rate (moratorie e Fondo di solidarietà)
Quando la difficoltà nel pagare le rate è transitoria o legata a eventi specifici (perdita del lavoro, emergenza sanitaria, calamità naturali, ecc.), il sistema offre la possibilità di sospendere il pagamento delle rate per un certo periodo. Questa misura non riduce la rata in senso stretto (quando il pagamento riprende, la rata rimane quella contrattuale, salvo eventuale allungamento) ma interrompe temporaneamente l’esborso, dando respiro al debitore. È quindi un altro strumento importante dal punto di vista del debitore in difficoltà, e può essere propedeutico ad una successiva rinegoziazione o ristrutturazione.
Fondo di solidarietà Mutui “prima casa” (Fondo Gasparrini)
Il principale strumento previsto dalla legge italiana è il Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, noto anche come Fondo Gasparrini (dal nome dell’ideatrice). Istituito dalla L. 244/2007 (Finanziaria 2008) e operativo dal 2010, consente ai titolari di mutui prima casa di ottenere la sospensione fino a 18 mesi delle rate in caso di gravi eventi che riducono la capacità di rimborso. Durante la sospensione, il piano di ammortamento si allunga automaticamente per un periodo pari alla durata sospesa; sugli interessi maturati nel periodo, il Fondo interviene rimborsandone il 50% alla banca, mentre il restante 50% è a carico del mutuatario (ma pagato in coda, capitalizzato sul debito residuo).
Requisiti standard (vigenti dal 2024 in poi): possono chiedere la sospensione tramite Fondo Gasparrini i mutuatari che hanno un mutuo prima casa non di lusso (no categorie catastali A1, A8, A9) di importo originario fino a €250.000, in ammortamento da almeno 12 mesi, e che si trovino in una delle seguenti situazioni nei 3 anni precedenti la domanda:
- Perdita del lavoro subordinato (licenziamento, anche per scadenza termine) o cessazione di rapporto parasubordinato/agente, con stato di disoccupazione attuale.
- Sospensione dal lavoro o riduzione dell’orario (cassa integrazione o simili) per un periodo di almeno 30 giorni consecutivi.
- Morte o riconoscimento di handicap grave/invalidità ≥80% del mutuatario.
In caso di sospensione/riduzione orario di lavoro, la legge specifica la durata massima della sospensione concedibile correlata alla durata della sospensione lavorativa: max 6 mesi di stop mutuo se stop lavoro 30-150 giorni, 12 mesi se 151-302 giorni, 18 mesi se oltre 303 giorni. Queste soglie permettono di calibrare la moratoria all’effettivo periodo di difficoltà.
È inoltre richiesto che il richiedente non abbia ritardi superiori a 90 giorni nelle rate al momento della domanda (sono ammessi piccoli arretrati fino a 3 mesi) e che il contratto non sia stato già risolto o l’immobile già esecutato. In più, normalmente è previsto un requisito di reddito ISEE ≤ 30.000 € (indicatore economico), tranne deroghe di volta in volta introdotte.
Deroghe emergenziali 2020-2023: durante la crisi Covid e fino a fine 2023, il governo ha ampliato l’accesso al Fondo:
- Sospensione senza ISEE: è stata temporaneamente eliminata la soglia ISEE di 30.000 € (fino al 31/12/2023).
- Importo mutuo elevato: soglia mutuo innalzata a €400.000 (rispetto ai 250k standard) fino al 31/12/2023.
- Categorie ammesse estese: incluso l’accesso anche a lavoratori autonomi e piccoli imprenditori che abbiano perso oltre il 33% del fatturato in un trimestre del 2020 rispetto al 2019 causa Covid, e anche cooperative edilizie a proprietà indivisa con certe condizioni.
- Mutui giovani garantiti Consap: ammessi anch’essi alla sospensione.
- Mutui in ammortamento da meno di 1 anno: ammessi in deroga (normalmente servirebbe 1 anno).
Queste misure non sono più operative dal 1° gennaio 2024. Si è tornati quindi ai requisiti ordinari sopra elencati (250k, ISEE 30k, ecc.), restringendo nuovamente il bacino.
Procedura: per attivare la sospensione, occorre presentare domanda alla propria banca compilando l’apposito modulo Consap (differente per persone fisiche o cooperative), allegando la documentazione che prova l’evento (es. lettera di licenziamento, certificato di disoccupazione, certificato ASL per invalidità, certificato di morte, o attestazione cassa integrazione). La banca, entro 10 giorni, inoltra la domanda al gestore Consap. Consap valutata la domanda e, se tutto in regola, comunica entro 15 giorni lavorativi l’ammissione alla sospensione. A quel punto la banca attiva la sospensione, bloccando l’addebito delle rate per il periodo concesso.
Durante la sospensione:
- Non si pagano rate (né quota capitale né interessi).
- Gli interessi sul debito residuo però maturano comunque. Il Fondo ne paga la metà direttamente alla banca (interessi compensativi), l’altra metà viene generalmente aggiunta al debito (modalità di calcolo precisata nei decreti attuativi: di fatto il piano è allungato e il debito finale cresce di quel 50% interessi non coperti).
- Non è segnalato come “sofferenza” nelle banche dati: è una sospensione concordata e legale, quindi neutra per il merito creditizio (anche se la CRIF può registrare l’evento di “sospensione ex lege”, ma non è considerato negativo).
- Se durante la sospensione il cliente volesse comunque (per migliorate condizioni) versare qualcosa, in genere non è previsto, ma può revocare anticipatamente la sospensione.
Effetti sulla rata: al termine, la rata riprende uguale a prima se non diversamente concordato. Il mutuo viene prorogato: ad esempio, se mancano 100 rate e si sospende per 6 mesi, restano poi 100 rate da pagare dopo la ripresa, con scadenza finale posticipata di 6 mesi (più eventuale frazione se la ripresa non coincide con la scadenza esatta). L’unico impatto è che il debito residuo potrebbe risultare leggermente aumentato per via degli interessi non coperti (50%).
Importante: il Fondo solidarietà non è cumulabile con altre agevolazioni tipo polizze che già coprano le rate (ad esempio, se il mutuo aveva un’assicurazione che paga le rate in caso di perdita impiego, non si può chiedere il Fondo per lo stesso evento).
Il Fondo ha un limite di utilizzo: si può chiedere massimo due volte per un totale di 18 mesi. Quindi, ad esempio, 9 mesi una volta e 9 un’altra, non di più.
ABI Moratorie e iniziative volontarie: oltre al Fondo Gasparrini, in passato l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha promosso con le associazioni dei consumatori dei piani di moratoria volontari, ad esempio nel 2010 e ancora durante la pandemia. Ad esempio, nel 2010-2012 esisteva il Piano Famiglie per sospendere 12 mesi ai disoccupati o cassintegrati, poi assorbito dal Fondo Gasparrini. Nel 2020 l’ABI e Assofin hanno raccomandato alle banche di concedere moratorie anche su prestiti personali e cessioni, su base individuale, oltre alle moratorie di legge. Pertanto, anche per prestiti non ipotecari, vale la pena chiedere alla propria banca/finanziaria se esistono opzioni di sospensione. Alcuni istituti (es. Intesa Sanpaolo, Unicredit) hanno propri programmi di sospensione volontaria delle rate dei prestiti personali per clienti in difficoltà, spesso con durata 3-6 mesi o concordate ad hoc. Queste non hanno una normativa unitaria – sono concessioni commerciali per evitare sofferenze.
Sospensione in caso di calamità/disastri: il governo può emanare decreti per sospendere mutui in zone colpite da calamità naturali (terremoti, alluvioni) o emergenze (ad esempio, durante il terremoto del Centro Italia 2016 o l’alluvione Emilia-Romagna 2023, sono state previste sospensioni ex lege dei mutui per gli immobili danneggiati o per residenti nelle zone interessate). Queste moratorie straordinarie spesso ricalcano il meccanismo del Fondo (sospensione fino a X mesi, con prolungamento, a volte con interessi a carico dello Stato).
In sintesi: la sospensione temporanea è un paracadute utile se il problema è temporaneo (es. perdita lavoro ma si confida di trovarne un altro, o spese mediche improvvise che rendono necessario dirottare reddito altrove per qualche mese). Non risolve il problema strutturalmente – anzi allunga il debito – ma evita l’insolvenza immediata e offre tempo per riorganizzarsi. Dal punto di vista legale, è un diritto del debitore qualificato (nel caso del Fondo prima casa) e va esercitato seguendo la procedura. Consiglio: attivare la sospensione appena si verifica l’evento e prima di accumulare arretrati, così la posizione rimane “pulita” e la banca è più collaborativa. E durante la sospensione, utilizzare il periodo per cercare lavoro, vendere l’immobile se non c’è scelta, o avviare eventuali pratiche di rinegoziazione/rifinanziamento parallele.
Strumenti in caso di sovraindebitamento grave (procedure di ristrutturazione debiti e esdebitazione)
Quando la situazione debitoria di un soggetto privato o piccolo imprenditore diventa insostenibile nonostante le soluzioni sopra discusse – ad esempio vi sono più debiti con rate ben oltre il reddito disponibile, oppure eventi che rendono impossibile onorare il dovuto nemmeno allungando le scadenze – il legislatore mette a disposizione le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. Si tratta di procedure giudiziali (o para-giudiziali) introdotte inizialmente con la L.3/2012 e, da ultimo, regolate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) entrato in vigore dal 15 luglio 2022. Queste procedure consentono, in estrema sintesi, di ridurre l’ammontare complessivo dei debiti e ridefinire le modalità di pagamento in base alla reale capacità del debitore, il quale al termine può anche ottenere la cancellazione (esdebitazione) dei debiti residui.
Dal punto di vista del tema di questa guida (“diminuire la rata”), queste procedure permettono di sostituire le obbligazioni originarie (che magari prevedevano rate insostenibili) con un piano di rientro concordato e omologato dal Tribunale, con rate sostenibili per il debitore e spesso anche parziali rispetto al dovuto (il resto viene stralciato, ossia condonato, a fine procedura). Si tratta quindi di strumenti più drastici, da attivare come ultima risorsa, ma estremamente efficaci se il debitore è realmente incapace di far fronte agli impegni.
Le procedure principali previste dal nuovo Codice per le persone non fallibili (consumatori, professionisti, imprenditori sotto soglia fallimento) sono:
- Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex Piano del consumatore nella L.3/2012): riservata ai debitori “consumatori”, cioè persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale. Consente di proporre un piano di pagamento parziale dei debiti, commisurato alle proprie effettive capacità economiche, anche senza il consenso di tutti i creditori (non occorre l’adesione degli stessi, decide il giudice). Condizione fondamentale: il consumatore deve essere meritevole, ossia non aver causato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode (nel nuovo Codice questo giudizio di meritevolezza è meno stringente che in passato, si guarda più che altro all’assenza di dolo/frode). Se il piano viene omologato dal tribunale, vincola tutti i creditori chirografari e sospende eventuali procedure esecutive. Il debitore dovrà pagare quanto previsto dal piano (ad esempio, una rata mensile di importo pari al suo reddito disponibile per X anni, oppure liquidare alcuni beni e pagare rate con il ricavato). Al termine, i debiti residui vengono cancellati (esdebitazione), liberando definitivamente il debitore. Questo strumento può salvare anche la casa: se il piano prevede di mantenere la casa con un mutuo rinegoziato e i creditori prendono meno altrove, si può fare (anzi, il giudice può sospendere un pignoramento immobiliare se c’è un piano del consumatore in corso). In ottica “rata”, il piano del consumatore di fatto sostituisce tutte le rate dovute a vari creditori con un’unica soluzione che il consumatore paga secondo quanto stabilito (spesso mensilmente) e che è inferiore alla somma delle precedenti (in molti casi i creditori chirografari vengono pagati in percentuale minore del 100%). Esempio: famiglia con €100k di debiti tra prestiti, rate scadute mutuo ecc., reddito disponibile €500 al mese. Un piano potrebbe prevedere il pagamento di €500/mese per 5 anni (tot €30k) da ripartire pro-quota tra i creditori, che accettano una perdita del 70%. Dopo 5 anni di sforzo sostenibile, la famiglia è esdebitata del restante.
- Concordato minore (ex accordo di composizione): dedicato a imprenditori sotto soglia di fallibilità o professionisti, o anche a consumatori che preferiscano questa via. Qui serve normalmente l’adesione di almeno il 60% dei crediti (è una sorta di mini-concordato preventivo) e c’è la nomina di un gestore della crisi. Lo citiamo per completezza, ma per il debitore privato puro di solito è meno vantaggioso del piano del consumatore, a meno che abbia debiti di natura mista professionale e personale. Anche il concordato minore consente falcidie di debiti e pagamenti dilazionati.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato: è la procedura “liquidatoria” equivalente al fallimento (o meglio all’esdebitazione del fallito) per il sovraindebitato. Se il debitore non ha redditi per fare un piano, può mettere a disposizione i suoi beni (se ce ne sono) per liquidarli a favore dei creditori, e ottenere l’esdebitazione. Se non ha né reddito né beni significativi, esiste l’esdebitazione del debitore incapiente (introdotta dal DL 137/2020 e ora nel CCII) che consente, una volta nella vita, a chi è nullatenente e meritevole di ottenere la cancellazione dei debiti senza dare nulla ai creditori (salvo importi simbolici se possibili). Chiaramente, la liquidazione non è volta a ridurre una rata, ma ad azzerare i debiti insostenibili sacrificando il patrimonio (nel limite del possibile) e liberando la persona dall’incubo debitorio.
Presupposto generale: lo stato di sovraindebitamento, definito come la situazione in cui il debitore non è più in grado di adempiere regolarmente alle obbligazioni assunte, a causa di uno squilibrio permanente tra debiti e patrimonio liquidabile o reddito. È una condizione economica di insolvenza civile. Bisogna rivolgersi ad un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a un professionista gestore della crisi per predisporre la proposta e presentarla in tribunale.
Vantaggi: la procedura consente di adattare il carico debitorio alla reale capacità contributiva del soggetto. Le rate previste in un piano del consumatore, ad esempio, saranno calibrate sul reddito meno le spese essenziali, garantendo che il debitore possa vivere dignitosamente e pagare quel che può. Tutto ciò che eccede la sua capacità viene perdonato. Legalmente, l’omologazione vincola i creditori e sospende/pone fine ad atti esecutivi (pignoramenti, pignoramento stipendio in corso ecc. confluiscono nel piano). È dunque uno strumento potente per “ripartire da zero” dopo aver adempiuto al piano. Dal punto di vista sociale, evita l’esclusione finanziaria di soggetti sovraindebitati, offrendo loro una via d’uscita regolare.
Svantaggi: non tutti possono accedere – occorre rispettare requisiti e soprattutto essere incolpevoli in senso ampio (no frodi). Inoltre la procedura richiede tempi e costi (ci sono compensi per l’OCC da pagare, sebbene spesso dilazionabili nel piano). È necessario esporre tutta la propria situazione economica al vaglio del giudice e dei creditori, con un certo sacrificio anche morale. Per tutta la durata del piano (che può essere ad esempio 4-5 anni) il debitore è tenuto a uno stretto rispetto di quanto promesso (se non paga le rate del piano, questo può essere revocato e i debiti “resuscitano”). Quindi va intrapreso con forte determinazione e consapevolezza.
Impatto sulla vita quotidiana: durante il piano di ristrutturazione dei debiti, le “rate” stabilite (che spesso coincidono con il versamento mensile o periodico concordato nel piano) sono l’unico obbligo finanziario verso i vecchi debiti. Il debitore dovrà anche astenersi dal contrarre nuovi debiti non previsti e tenere un comportamento finanziario corretto. Al termine, avrà una seconda chance.
Aggiornamento giurisprudenziale: la Cassazione e i tribunali hanno via via perfezionato l’interpretazione di queste norme per favorire l’accesso alle procedure. Già con la L.176/2020 (di riforma parziale della L.3/2012) si erano introdotte aperture come la possibile falcidia del credito ipotecario con consenso (cioè la possibilità di toccare mutui casa se il creditore ipotecario è d’accordo, per salvare l’abitazione). Il nuovo Codice conferma molte di queste innovazioni. Ad esempio, è possibile che il piano del consumatore preveda il mantenimento della casa familiare con rinegoziazione del mutuo pendente: alcune sentenze hanno affermato che, se la banca rifiuta, il piano può comunque imporre (con garanzie di pagamento tramite OCC o parenti) il mantenimento con rate sostenibili, realizzando di fatto una diminuzione forzosa della rata del mutuo pignoratizio in funzione salva-casa. Un caso particolare è l’art. 41-bis DL 124/2019 (Fondo Salva Casa), di cui parleremo a parte, che è stato un tentativo di far rinegoziare i mutui in sofferenza con garanzia statale.
Conclusione su sovraindebitamento: se vi trovate in una situazione in cui tutte le soluzioni stragiudiziali (rinegoziazioni, surroghe, consolidamenti, moratorie) non bastano a ripristinare la solvibilità, non bisogna attendere di essere sommersi dai decreti ingiuntivi: valutate con un esperto l’accesso a queste procedure. Dal punto di vista del “diminuire la rata”, qui non si tratta più di ridurre la singola rata di un singolo prestito, ma di ridisegnare l’intero profilo debitorio, riducendo globalmente ciò che pagherete (spesso solo una percentuale dei debiti originali) e quindi azzerando o riducendo a importi simbolici le rate originarie. Ad esempio, un piano del consumatore potrebbe prevedere di soddisfare i creditori finanziari al 20% del dovuto, cancellando il resto: è come dire che quella persona ottiene una riduzione dell’80% del suo debito e relative rate. Si tratta quindi della massima “riduzione” ottenibile, a fronte però di uno stigma (il ricorso al tribunale) e di un percorso non facile. Ma la legge offre questa chance e la giurisprudenza recente la incoraggia come soluzione alle crisi debitorie personali.
Rimedi legali contro tassi e oneri eccessivi (usura, anatocismo, nullità contrattuali)
Un altro ambito da considerare, per completezza, è quello dei rimedi legali che possono indirettamente portare a una riduzione della rata o del debito dovuto, intervenendo su clausole illegittime del contratto di prestito. Tali rimedi non sono strumenti “contrattuali” come quelli fin qui trattati, bensì azioni legali o eccezioni che il debitore può sollevare quando il finanziamento presenti irregolarità come tassi usurari, anatocismo fuori legge o violazioni della normativa sulla trasparenza. Vediamo i principali:
Usura ed interessi non dovuti
La legge italiana (art. 644 c.p. e L. 108/1996) pone un tasso soglia d’usura oltre il quale gli interessi pattuiti sono considerati usurari (illeciti). Il tasso soglia varia per categoria di credito (mutui, prestiti personali, cessioni, ecc.) ed è pubblicato trimestralmente dal MEF. Se un contratto di prestito prevede (o dà luogo a) interessi superiori al tasso soglia vigente al momento della stipula, la sanzione civile è che nessun interesse è dovuto: ai sensi dell’art. 1815 comma 2 c.c., il creditore ha diritto solo alla restituzione del capitale. In parole povere, il prestito diventa a tasso zero legalmente, come punizione per l’usura. Questo ovviamente ridurrebbe la rata in maniera enorme (eliminando la componente interessi).
Va precisato che la verifica d’usura va fatta includendo tutte le voci di costo collegate (TAEG), secondo le indicazioni di Banca d’Italia, e riferita al momento della stipula. La cosiddetta “usura sopravvenuta” (cioè interessi inizialmente sotto soglia, ma divenuti superiori in corso di rapporto per variazione dei tassi) è stata a lungo dibattuta. La Cassazione a Sezioni Unite nel 2017 aveva escluso che il superamento sopravvenuto comportasse l’azzeramento degli interessi, fermo restando altri rimedi generali (es. buona fede). Tuttavia, una recente pronuncia della Cassazione (Sez. III, ord. n. 27545 del 28/09/2023) ha affermato un principio più vicino al debitore: ha ritenuto che se in corso di causa viene accertato che i tassi sono divenuti usurari sopravvenuti, il creditore che pretenda tali interessi “pretenderebbe una prestazione oggettivamente sproporzionata, contraria al principio di buona fede contrattuale”, quindi tali interessi ultralegali sono indebiti e non vanno corrisposti. Questo orientamento valorizza il dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, dando un appiglio per non pagare la quota eccedente il tasso soglia anche se originariamente lecito.
Inoltre, la Cassazione (S.U. 19597/2020) ha precisato che, una volta che il debitore contesta l’usurarietà producendo elementi (perizia), spetta alla banca provare il contrario indicando i tassi effettivamente applicati. Questo facilita il debitore in giudizio.
Default interest (interessi di mora): anche gli interessi moratori (di ritardo) sono soggetti a soglia antiusura. Se la penale di mora pattuita fa sforare il tasso soglia, secondo Cass. 2017 tali interessi di mora sono nulli (ma il contratto rimane al tasso corrispettivo pattuito). Cass. 2023 (ord. n. 145/2023) ha confermato che l’accertata usurarietà degli interessi moratori comporta la loro non debenza, seppur non si sommando con i corrispettivi per valutare l’usura. In pratica, se il tasso di mora è troppo alto, il creditore non può pretenderlo; il debito va restituito senza quella penale. Questo può ridurre il carico in caso di rate pagate in ritardo: la banca non potrà caricare interessi di mora esorbitanti.
Come incidono sulla rata questi rimedi? Se durante la vita del prestito il debitore agisce (o eccepisce in via giudiziale) per usura e vince, il contratto viene epurato degli interessi: le rate future diventerebbero solo quota capitale. Spesso, però, queste questioni emergono in fase di contenzioso a seguito di inadempimento: es. la banca chiede un decreto ingiuntivo, il debitore si oppone eccependo usura per far rideterminare il dovuto. In sede di negoziazione stragiudiziale, l’argomento “tasso forse usurario” può essere usato per convincere la banca a rivedere le condizioni sotto minaccia di causa.
Anatocismo e interessi composti
L’anatocismo è la produzione di interessi su interessi scaduti. Nel settore bancario, storicamente, era vietato capitalizzare interessi trimestralmente sui c/c, e dopo varie vicende normative oggi l’art. 120 TUB ammette la capitalizzazione solo con periodicità non inferiore all’anno (per conti) o in modo simmetrico debitore-creditore. Nei mutui e prestiti a rata costante, come spiegato sopra, non c’è anatocismo vietato perché gli interessi di ogni rata vengono pagati e non producono ulteriori interessi. La confusione sul regime composto è solo matematica. La Cassazione, con più pronunce culminate nelle Sezioni Unite 15130/2024 e ord. 8322/2025, ha definitivamente chiarito che il piano di ammortamento “alla francese” non comporta anatocismo illegittimo. Quindi su questo fronte il debitore difficilmente può ottenere alleggerimenti: non può sostenere in giudizio che la rata contenga interessi illegali perché composti – i giudici rigettano tali tesi, a meno di errori di calcolo macroscopici.
Diverso è il caso di anatocismo su arretrati: se uno salta rate, alcuni contratti prevedono che gli interessi di mora vengano sommati al debito e a loro volta producano interessi. Questo è potenzialmente vietato (a meno di pattuizione successiva specifica). In tribunale, spesso, ai debitori vengono decurtati importi che rappresentino “interessi su interessi di mora”. Ma parliamo di situazioni di contenzioso avanzato.
Trasparenza e nullità di clausole
La normativa sulla trasparenza bancaria (TUB art. 117 e seguenti) richiede che il contratto di finanziamento indichi chiaramente il TAEG (costo totale effettivo) e tutte le condizioni. Se manca l’indicazione del TAEG o dell’ISC, oppure se il tasso è indicato ma la clausola di determinazione è nulla, si applica il tasso nominale minimo Bot o il tasso sostitutivo di legge. In passato, cause su prestiti personali hanno portato a far ricalcolare interessi al tasso BOT (molto più basso) per vizio di trasparenza. Ad esempio, se la banca non indicava il costo di polizze obbligatorie nel TAEG, si poteva eccepire la violazione e far ridurre il dovuto. Nel 2022 c’è stato un intervento della Corte Costituzionale sul caso “Lexitor” (già trattato) che ha migliorato i diritti del consumatore sul rimborso costi. Un altro recente fronte è la sentenza della Corte Cost. 18/2023 sull’art. 125-quinquies TUB: ha dichiarato incostituzionale la norma che limitava ai soli interessi e costi recurring la riduzione in caso di estinzione anticipata di cessioni del quinto stipulate prima del 2010 (norma retroattiva del 2021). Questo rimuove disparità e consente di applicare Lexitor anche a quei contratti, restituendo costi. Insomma, il panorama normativo è in evoluzione e attento alla tutela del debitore-consumatore.
Se il finanziamento contiene clausole abusive (nel caso di consumatori), come ad esempio commissioni occulte, penali eccessive, ecc., queste clausole possono essere dichiarate nulle e il debitore non deve pagarle. Un caso frequente era la commissione di estinzione anticipata sui prestiti personali: la direttiva UE e il TUB la limitano allo 0,5-1%, ma se un contratto più vecchio prevedesse di più, oggi sarebbe non dovuto l’eccedente.
Tutti questi aspetti legali non “abbassano la rata contrattuale” nel corso del rapporto normalmente, ma possono ridurre ex post l’importo da pagare. Ad esempio, se in sede di contestazione si elimina la quota interessi per usura, il debito residuo si riduce e se viene ridilazionato la nuova rata sarà minore. Oppure se si ottiene un risarcimento per interessi illegittimamente pagati, di fatto si recupera liquidità.
Attenzione: intraprendere azioni legali di questo tipo può essere complesso, richiede perizie e può incrinare il rapporto con la banca. È l’ultima spiaggia o va usato come leva in trattative (es. “Banca, ti chiedo riduzione rata o surroga agevolata; sennò faccio causa per usura/anatocismo”). In alcuni casi questo ha portato a transazioni in cui la banca rivede le condizioni per evitare lunghe cause.
Esempi pratici di riduzione della rata (casi simulati)
Di seguito simuliamo alcuni scenari tipici per vedere in concreto come le varie soluzioni incidono sulla rata.
Caso 1 – Mutuo a tasso variabile divenuto oneroso: Mario ha stipulato un mutuo prima casa di €150.000 nel 2018 a tasso variabile Euribor+1%, durata 25 anni, pagando fino al 2021 una rata di circa € in linea con Euribor basso (~€640). Nel 2022-2023 l’Euribor è salito al 3-4%, la rata di Mario è aumentata fino a ~€830 mensili, mettendo in difficoltà il suo bilancio familiare. Cosa può fare Mario?
- Rinegoziazione interna: Mario chiede alla sua banca di allungare la durata a 30 anni e di applicare uno spread ridotto (magari come gesto commerciale). Se la banca accetta, supponiamo passi a tasso variabile Euribor+0,5% e durata residua 30 anni: con Euribor al 3%, il nuovo tasso 3,5% su €135.000 residui a 30 anni dà rata ~€605. Mario ottiene così una rata più bassa di prima (-27% rispetto agli €830). Paga però 5 anni in più di mutuo.
- Surroga esterna: Mario cerca online e trova una banca che offre surroga a tasso fisso 3,0% a 25 anni (vuole eliminare rischio rialzi). Surroga il suo mutuo: €135.000 a 25 anni 3% fisso → rata ~€641. La rata scende rispetto agli €830 iniziali (-23%) e soprattutto Mario si mette al riparo da ulteriori aumenti (in più, avendo surrogato a un tasso fisso inferiore al suo variabile attuale, risparmierà interessi se i tassi rimangono alti per qualche anno).
- Opzione legge Bilancio 2023: (ipotizzando di essere ancora nel 2023) Mario ha ISEE 32k e mutuo <200k, dunque chiede conversione a fisso ai sensi della L. 197/2022. La banca deve accettare: supponiamo il suo mutuo residuo 22 anni, l’IRS a 10 anni è 2,8%, l’IRS 22 anni è 3,1%; il minore è 2,8%, + spread 1% = fisso 3,8%. La sua rata diventa ~€730. È più alta di quanto avrebbe con una surroga a 3%, ma comunque più bassa del variabile che potrebbe salire oltre (e soprattutto con certezza di non superare quella soglia). In questo caso la riduzione non è enorme (~12%), ma la stabilità è garantita.
- Consolidamento/Cessione: se Mario avesse anche altri prestiti, potrebbe considerare di includere tutto in un rifinanziamento. Ad esempio, se paga anche €200 di prestito auto, consolidare mutuo+auto in un mutuo unico 30ennale ipotecario potrebbe portare ad una rata totale forse di €700 (invece di 830+200=1030) – sacrificando la durata.
- Fondo solidarietà: se Mario perde il lavoro o subisce una sospensione, attiverebbe il Fondo Gasparrini e sospenderebbe la rata completamente per, poniamo, 12 mesi. In quell’anno non paga nulla, la sua rata resta €0 (riduzione 100%), per poi riprendere a €830 posticipando la scadenza. È un sollievo temporaneo ma cruciale se Mario nel frattempo ritrova lavoro e magari surroga prima di riprendere.
Caso 2 – Sovraindebitamento di un consumatore: Luigi ha accumulato molti debiti al consumo: €20k su carta revolving (rata libera, lui paga min €400/mese ma il debito scende poco per via interesse 18%), €15k prestito personale (rata €300), €5k arretrati bollette e affitto, €8k su un’altra carta. Totale esborso mensile quasi €800 + vari solleciti, a fronte di stipendio €1.300. Luigi è sovraindebitato. Possibili vie:
- Consolidamento con cessione del quinto: Luigi è dipendente privato, potrebbe ottenere €30.000 di cessione decennale (se stipendio 1300, quinto=€260 rata). Con €30k estingue i debiti principali (20+15+5=40k, in realtà non bastano 30k per tutto, ma potrebbe saldare almeno le carte e il prestito personale, lasciando i €5k di affitto arretrato da negoziare col proprietario). La sua nuova rata debitoria diventa €260, riducendo drasticamente l’uscita da 800. Certo, durata 10 anni a TAEG ~12%, ma gli evita il default immediato.
- Piano del consumatore: Luigi potrebbe rivolgersi a un OCC e proporre di pagare ad esempio €200 al mese per 4 anni (tot ~€9.600) ai suoi vari creditori a saldo e stralcio del dovuto, dimostrando che più di così non può (ha anche due figli a carico). Se il giudice omologa il piano, Luigi pagherà €200/mese invece di 800, un calo del 75%, per 48 mesi, dopodiché otterrà esdebitazione di tutto il resto. In pratica, ogni sua “rata” mensile sarà molto più bassa e soprattutto finirà con liberarlo dai debiti residui.
- Fallimento personale (liquidazione): se Luigi non ha alcuna prospettiva di pagare (mettiamo che perda anche il lavoro), può optare per la liquidazione. Non pagherà più nessuna rata; i pochi beni vendibili saranno liquidati e dopo 4 anni potrà essere esdebitato grazie alla norma sull’incapiente. Qui la rata diventa zero per sempre (ma Luigi rimane povero in quei 4 anni vivendo del minimo).
Caso 3 – Imprenditore individuale con mutuo e calo attività: Marco è un piccolo imprenditore (ditta individuale) proprietario del capannone dove opera, su cui ha un mutuo ipotecario. A causa di crisi economica, il fatturato è calato e fatica a pagare le rate di €2.000/mese. Ha provato a rinegoziare il mutuo con la banca senza successo (banca rigida), e non trova altre banche perché l’azienda è in perdita (niente surroga). Che fare?
- Rinegoziazione ex art. 41-bis “Salva Casa”: Questa norma, introdotta nel 2019 e modificata nel 2021, si applica ai debitori esecutati (con casa pignorata) consumatori. Se Marco avesse pignorato prima casa (non capannone, quindi caso diverso), poteva chiedere di rinegoziare fino a 30 anni a tasso calmierato con garanzia statale del 50%. Ma per l’azienda non c’è analogo.
- Concordato minore: Marco, come imprenditore sovraindebitato, può proporre ai creditori (banca compresa) un concordato minore: ad esempio, vendere il capannone e pagare in parte il mutuo con il ricavato, oppure trovare un investitore. Se l’80% dei crediti fosse banca, serve coinvolgerla attivamente. In concordato il giudice può sospendere le rate nel frattempo. Marco potrebbe così congelare le rate attuali (rata scende a zero temporaneamente) e poi definire un piano fattibile.
- Moratoria crediti PMI: in alcune situazioni di crisi sistemiche (es. Covid) il governo ha previsto moratorie anche per PMI. Durante il Covid, i mutui delle PMI potevano essere sospesi ex lege. Nel 2025 non c’è, ma le associazioni di categoria a volte ottengono accordi ABI per alleggerire i pagamenti temporaneamente.
- Ristrutturazione privata: extragiudizialmente, Marco può cercare di vendere asset non strategici per ridurre il debito e chiedere alla banca un piano di rientro con rate ridotte. Ad esempio, vendere un macchinario per versare 6 mesi di rate anticipate e nel frattempo ottenere rate dimezzate per un anno.
- Esdebitazione finale: se l’attività di Marco fallisce, come persona fisica potrà ricorrere alla liquidazione sovraindebitati ed essere esdebitato. È l’ultima ratio – significa chiudere l’impresa e ripartire da zero senza debiti (rata zero, ma anche reddito zero finché non trova altro impiego).
Questi esempi illustrano che per ogni situazione c’è un ventaglio di opzioni. L’importante per il debitore è muoversi con anticipo, informarsi sui propri diritti e sulle opportunità normative, e possibilmente farsi assistere da professionisti (avvocati, consulenti del debito) quando la situazione è complessa. Molte volte, combinare più soluzioni è la chiave: ad es. sospendere le rate per 6 mesi, nel frattempo cercare una surroga o consolidamento, oppure avviare un piano del consumatore e contestualmente negoziare con la banca.
Di seguito, due tabelle riepilogative sintetizzano i principali strumenti e le loro caratteristiche.
Tabella 1: Confronto delle principali soluzioni per ridurre la rata
Soluzione | Descrizione | Normativa | Vantaggi per il debitore | Svantaggi/Limitazioni |
---|---|---|---|---|
Rinegoziazione (con la stessa banca) | Accordo modificativo del contratto originario (tasso, durata, ecc.). Gratuito per legge (no costi notarili). Banca non obbligata salvo casi speciali. | Art. 8 DL 7/2007 (gratuità); L.197/2022 (rinegoziazione obbligatoria 2023 variabile→fisso per mutui <200k con ISEE ≤35k). | Nessun costo, procedura semplice. Mantiene lo stesso mutuo e garanzie. Può ottenere riduzioni significative se la banca acconsente. | Discrezionale della banca (tranne casi normati). Spesso concessa solo se cliente minaccia surroga o ha ancora buona solvibilità. |
Surroga (portabilità del mutuo) | Trasferimento del mutuo a nuova banca con subentro garanzie e condizioni migliorative. Importo = debito residuo. Gratuita per il cliente, costi a carico banca subentrante. | Art. 120-quater TUB. Termine 30 gg, penale 1% mese se ritardo. Divieto penali clausole ostative L.40/2007. | Riduzione rata significativa sfruttando concorrenza. Nessun costo per cliente. Possibilità di anche allungare durata. Diritto del cliente, banca originaria non può opporsi. | Limitata ai mutui con ipoteca. Non consente liquidità aggiuntiva (solo debito residuo). Richiede creditworthiness per nuovo istituto (no surroga se debitore in sofferenza). Iter ~1-2 mesi e formalità notarili (comunque gratis per cliente). |
Rifinanziamento/Sostituzione (nuovo prestito o mutuo) | Estinzione del vecchio debito e stipula di un nuovo finanziamento con condizioni più favorevoli o importo maggiore. Comprende il consolidamento debiti (accorpamento di più prestiti in uno). | Normativa generale credito (TUB art. 125 e 120 terdecies per costi estinzione; Direttiva 2008/48/CE). Lexitor: restituzione costi non maturati su estinzioni anticipate. | Può includere importo extra o unire più debiti (semplifica gestione). Permette di passare a un tipo di credito più conveniente (es. da prestiti vari a mutuo ipotecario). Riduzione rata garantita se si allunga la durata o si abbassa il tasso. | Costi di apertura/chiusura (notaio se mutuo, imposte, commissioni) a carico cliente. Necessaria nuova istruttoria (difficile se situazione creditizia deteriorata). Aumenta il costo totale degli interessi per via dell’allungamento. |
Consolidamento debiti (specifico caso di rifinanziamento) | Un nuovo prestito (personale, cessione, o mutuo di consolidamento) estingue tutte le posizioni debitorie pregresse. Si passa da molte rate ad un’unica rata più bassa. | Norme credito ai consumatori se prestito; DPR 180/1950 se cessione. Banca d’Italia segnala nelle proprie guide il consolidamento come strumento per gestire indebitamento. | Rata unica minore rispetto alla somma delle precedenti, riduzione del rischio di insolvenza. Migliora rapporto rata/reddito sotto soglie raccomandate. Possibilità di spuntare tassi migliori consolidando debiti costosi (es. carte revolving) in prestiti più economici. | Richiede che il debitore sia ancora adempiente (pagamenti regolari finora). Se già in sofferenza, difficile ottenerlo. Può allungare di molto le scadenze (più interessi totali). Tassi non sempre più bassi, a volte solo più comodi. Eventuali garanzie aggiuntive (ipoteca, fideiussione) possono mettere a rischio patrimonio prima non vincolato. |
Cessione del quinto (per consolidare) | Prestito garantito da stipendio/pensione, rata fissa max 1/5 mensile, durata fino 10 anni. Può essere usato per chiudere altri debiti, sfruttando la capienza del quinto. | DPR 180/1950 e ss. Tasso max fissato trimestralmente MEF. Estinzione anticipata con rimborso pro-quota costi (applicazione Lexitor confermata da ABF). | Accessibile anche a chi ha altri debiti (basta capienza quinto). Rata contenuta per costruzione (20% reddito). Lunga durata → rata relativamente bassa. Assicurazione protegge famiglia (in caso decesso estingue debito). Utile per dipendenti/pensionati con credit score compromesso: la banca concede perché trattenuta garantita. | Riservata a lavoratori dipendenti e pensionati (no autonomi). Tassi elevati rispetto a mutui (TAEG spesso 10-12%). Debito prolungato: impegno sullo stipendio per molti anni, riducendo margine per altri finanziamenti futuri. Importo ottenibile limitato dal quinto * durata * stipendio, potrebbe non coprire tutti i debiti se molto elevati. |
Moratoria / Sospensione rate (temporanea) | Interruzione del pagamento delle rate per un periodo determinato (es. 6-12 mesi), con allungamento del piano per pari durata. Es. Fondo Gasparrini per mutui prima casa, accordi ABI, moratorie COVID. | L. 244/2007 art. 2 co.475-480 (Fondo solidarietà mutui). DL 18/2020 e succ. per moratorie COVID. Accordi ABI 2019-2020 per prestiti personali (volontari). | Sollievo immediato: per la durata della sospensione, esborso mensile azzerato. Permette di evitare arretrati durante crisi temporanee (disoccupazione, emergenze). Non segnalata come default, tutela la reputazione creditizia. Spesso supportata dallo Stato (copre 50% interessi). | Non riduce la rata in modo permanente, la posticipa. Interessi durante stop in parte a carico debitore (aumenta leggermente importo futuro). Accessibile solo in certi casi (perdita lavoro, infortunio, ecc.) con requisiti (es. mutuo ≤ €250k, ISEE ≤ €30k). Di solito utilizzabile per un totale max 18 mesi. Prestiti non coperti dal Fondo richiedono accordo individuale (incerto). |
Piano del consumatore / Ristrutturazione debiti (procedura giudiziale) | Procedura concorsuale presso il Tribunale per debitori civili sovraindebitati. Viene presentato un piano di pagamento parziale e sostenibile, omologato dal giudice, con liberazione dai debiti residui (esdebitazione) a fine piano. | Codice Crisi 2019 (D.Lgs.14/2019) artt. 67-73 (ristrutturazione debiti consumatore). Requisiti: persona fisica non fallibile, non dolo o colpa grave. L.3/2012 (abrogata) per precedenti casi. | Riduzione consistente dei debiti: si paga solo quello che ci si può permettere (il resto è cancellato). Unifica tutte le obbligazioni in un unico piano di importo inferiore alla somma originaria. Sospende le azioni esecutive dei creditori. Consente di salvare beni essenziali (casa, auto) includendo nel piano soluzioni (es. rinegoziazione mutuo). Dopo il piano, libertà dai debiti rimanenti (fresh start). | Procedimento complesso, richiede assistenza OCC/professionista e approvazione giudice. Tempistiche: diversi mesi per omologa. Serve la collaborazione leale del debitore (dichiarare tutto il patrimonio/reddito) e rispettare rigorosamente il pagamento del piano per gli anni previsti. Può comportare restrizioni (es. controllo sulle finanze durante la procedura). Accessibile solo a chi ha sovraindebitamento conclamato e requisiti di meritevolezza (no atti in frode, no uso eccessivamente disinvolto del credito). Influisce negativamente sul credit score per il futuro (registro procedura concorsuale). |
Accordi di ristrutturazione / Concordato minore (per piccoli imprenditori) | Simile al piano del consumatore ma per soggetti con debiti anche d’impresa o ditte individuali. Si basa su un accordo con la maggioranza dei creditori o su omologa giudiziale se consensi. | Codice Crisi 2019: artt. 74-83 (concordato minore), 84-88 (esdebitazione). Requisiti: imprenditore sotto soglie fallimento o cessato. | Permette anche a soggetti non “consumatori” (es. ex imprenditori, professionisti) di ottenere riduzione dei debiti personali non coperti da fallimento. Struttura flessibile, può prevedere continuazione attività aziendale con riduzione oneri. Esdebitazione finale possibile anche se qualche creditore dissenziente (se omologato). | Richiede spesso adesione di una percentuale di creditori (accordo). Meno vantaggioso del piano consumatore puro se il grosso dei debiti è personale. Procedura pubblica in Tribunale, con costi e tempistiche. Debitore perde un po’ di controllo (nomina gestore della crisi, ecc.). |
Esdebitazione per Liquidazione (uscita dal debito senza pagamento) | Procedura di liquidazione di tutti i beni del debitore insolvibile, con successiva esdebitazione anche se i creditori non sono pagati integralmente (o per nulla, se nullatenente). | Codice Crisi 2019: artt. 268-277 (liquidazione controllata) e 282-ter (esdebitazione del debitore incapiente). | Azzera i debiti definitivamente anche in caso di totale incapacità di pagamento. Debitore ottiene l’esdebitazione pure se non ha pagato nulla (caso incapiente) una volta nella vita. Elimina per sempre le rate future di qualsivoglia debito pregresso. | Implica la perdita del patrimonio: liquidati i beni disponibili (casa, risparmi, ecc. salvo impignorabili). Procedura concorsuale assimilabile al fallimento, con stigma e restrizioni (difficoltà accesso credito in futuro). Esdebitazione incapiente concessa solo se debitore meritevole e davvero privo di qualunque utilità liquidabile. |
Domande frequenti (FAQ)
D: Dopo quanto tempo dalla stipula posso chiedere di abbassare la rata del mutuo?
R: La legge non prevede un termine minimo per richiedere la rinegoziazione o la surroga. In teoria potresti farlo subito. Tuttavia, nella pratica le banche tendono a considerare richieste di rinegoziazione dopo almeno 12 mesi dalla stipula. Anche per la surroga, spesso il nuovo istituto preferisce che tu abbia un minimo storico di pagamenti regolari (tipicamente un anno). Questo per verificare la tua affidabilità creditizia. Nulla vieta comunque di provare prima se c’è un valido motivo (ad esempio un crollo dei tassi di interesse o un evento imprevisto che ti rende difficile pagare). Tieni presente che non c’è un limite legale al numero di volte che puoi rinegoziare o surrogare il mutuo: se le condizioni di mercato migliorano in più riprese, puoi intervenire più volte (considerando i tempi tecnici e la disponibilità delle banche).
D: La banca può rifiutare la mia richiesta di rinegoziazione?
R: Sì, la rinegoziazione è basata sul consenso di entrambe le parti. La banca non è obbligata ad accordartela (salvo rare eccezioni normative, come la norma del 2023 sul passaggio a tasso fisso per alcuni mutui variabili). In caso di rifiuto, puoi optare per la surroga presso un altro istituto: la banca originaria non può impedirti di trasferire il mutuo. Ricorda anche che, pur non essendo tenuta a dirti di sì, la banca ha l’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede: ciò implica darti un riscontro tempestivo e motivato alla richiesta. Se ritieni che la banca stia ignorando o ritardando ingiustificatamente, hai facoltà di sporgere reclamo interno e poi eventualmente ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) o ad altre azioni. Spesso, la minaccia di trasferire il mutuo altrove (o di un contenzioso) può indurre la banca a riconsiderare la rinegoziazione.
D: Ci sono costi nel modificare il mio mutuo o prestito?
R: Dipende dalla soluzione:
- Rinegoziazione interna: per legge è gratuita (nessuna commissione, nessun notaio). L’unico piccolo costo è un’imposta fissa di registro (€35) se c’è ipoteca da aggiornare, spesso assorbita dalla banca.
- Surroga: completamente gratuita per il cliente. I costi di perizia, notarili, imposte sono a carico della banca nuova. Attento solo a eventuali servizi facoltativi (es. assicurazione casa) che la nuova banca potrebbe proporti: quelli sono extra volontari.
- Sostituzione con nuovo mutuo/prestito: qui paghi le commissioni e imposte come per qualsiasi nuovo finanziamento (istruttoria, perizia, eventuale notaio e imposta sostitutiva se ipotecario). Inoltre, se il vecchio contratto lo prevede, potresti dover una penale di estinzione anticipata: sui mutui casa dopo il 2007 in genere è zero per legge; sui mutui precedenti può essere dello 0,2-1% (a seconda degli anni residui e solo se previsto); sui prestiti personali il TUB consente massimo 1% (0,5% se meno di 1 anno alla scadenza).
- Consolidamento: se fatto via prestito personale, valgono i costi di un normale prestito (spesso le finanziarie li includono nel TAEG). Alcune offerte di consolidamento pubblicizzano “zero spese di istruttoria”: quindi valuta caso per caso. Se fatto via mutuo di consolidamento, ci sono i costi di mutuo (notaio, imposta 0,25% etc.) a tuo carico.
- Cessione del quinto: le spese di un quinto sono inglobate nel TAEG (che include commissioni della finanziaria e premio assicurativo obbligatorio). Non ci sono spese vive anticipate, ma attenzione al netto ricavo: es. chiedi 20.000 €, potresti vederne sul conto 18.000 perché 2.000 sono costi trattenuti (è solo un esempio; verifica il contratto).
- Procedure di sovraindebitamento: comportano costi procedurali (compenso al Gestore OCC, spese legali) che di solito vengono inclusi nel piano di pagamento ai creditori. Se il debitore non dispone di liquidità iniziale, spesso l’OCC accetta di essere pagato a fine procedura con i fondi raccolti. In ogni caso, molto meno di un fallimento, ma non è “gratis”. Diciamo qualche migliaio di euro di costi professionali complessivi, variabili secondo il caso.
D: Posso ottenere una riduzione della rata senza allungare la durata?
R: In generale, ridurre sensibilmente la rata senza estendere il piano è possibile solo se riesci ad abbassare di molto il tasso di interesse. Ad esempio, se passi da un tasso del 6% a uno del 2% su un mutuo ventennale residuo, la rata scenderà in modo significativo mantenendo la stessa durata. Oppure se ottieni un taglio del debito (capitale) tramite accordi o procedure concorsuali, naturalmente la rata su meno debito sarà inferiore. Tuttavia, nella maggior parte dei casi pratici, soprattutto per prestiti a tasso fisso, la riduzione della rata viene ottenuta allungando la durata. Questo diluisce il rimborso del capitale su più tempo e alleggerisce ogni singolo pagamento, al prezzo di più interessi totali. Se non vuoi prolungare troppo, puoi scegliere un compromesso: ad esempio, consolidare i tuoi debiti su una durata media, non massima. Ricorda anche che alcune banche offrono opzioni di “rata flessibile”: invece di allungare formalmente la durata, ti consentono di pagare una rata ridotta per alcuni mesi (accodando le differenze) o di avere “step” di rata variabile. Questo però deve essere previsto dal contratto o accordato caso per caso.
D: Ho saltato delle rate; posso comunque chiedere di rinegoziare o surrogare?
R: Se hai già rate arretrate, la tua posizione è compromessa per nuove richieste. Le banche tendono a rifiutare rinegoziazioni a clienti in ritardo, preferendo prima regolarizzare gli arretrati. Tuttavia nulla vieta di provare a negoziare spiegando la situazione: a volte la banca accetta di rinegoziare condizionatamente al pagamento degli arretrati (per esempio, li accodi al capitale e riparti con rata più bassa). Più difficile è trovare un’altra banca disposta alla surroga: se risulti segnalato nei sistemi di informazione creditizia per ritardi >2 mesi, quasi nessuna banca accetterà di subentrare. In tal caso, una strada è rivolgersi a un consulente del debito o associazioni di consumatori per valutare soluzioni personalizzate (ad esempio un consolidamento con garanzie, o una moratoria temporanea). Se i ritardi sono gravi e il debito è già scaduto, potresti dover ricorrere alle procedure di composizione crisi o almeno trattare un piano di rientro con i legali della banca. Meglio muoversi prima: se prevedi di non riuscire a pagare, attiva subito moratorie o rinegoziazione, perché a situazione degenerata le opzioni si riducono.
D: Cos’è il “Fondo Salva Casa”? Può aiutarmi con la rata?
R: Il Fondo Salva Casa è un’iniziativa (introdotta con L. 157/2019, art.41-bis, e rifinanziata poi) rivolta ai debitori esecutati sulla prima casa. In breve, se ti hanno pignorato l’abitazione principale a causa del mutuo non pagato, questa norma – in presenza di stringenti requisiti – permetteva di rinegoziare il mutuo fino a 30 anni con la stessa banca oppure di far subentrare un’altra banca con un finanziamento garantito dallo Stato (CDP) al 50%. Requisiti: pignoramento notificato entro 21/3/2021, debito capitale ≤250k, già pagato almeno 5% capitale, casa non di lusso, richiesta entro 31/12/2022. Se accettata, la banca era obbligata a rinegoziare e la procedura esecutiva veniva estinta. La rata nuova su 30 anni chiaramente risultava molto più bassa rispetto a quella originaria (che magari era su 15-20 anni). Ad esempio, su €200k di debito residuo, allungare a 30 anni può quasi dimezzare la rata. Questa misura ha salvato alcune famiglie dall’asta, ma era straordinaria e a termine: attualmente non risulta una proroga ulteriore del Fondo Salva Casa oltre il 2022. Quindi oggi, nel 2025, se la casa è già pignorata, le opzioni sono la trattativa privata (saldo e stralcio con la banca prima dell’asta) o il piano del consumatore in tribunale che blocchi l’asta. In ogni caso, il concetto dietro il Salva Casa – diluire il debito residuo in un piano lungo e sostenibile – è lo stesso che puoi perseguire tramite i canali ordinari (rinegoziazione o nuovo finanziamento magari con garanzie pubbliche se disponibili).
D: La mia rata è alta principalmente per gli interessi elevati. Posso farli ridurre legalmente?
R: Se il tasso di interesse applicato è lecito ma alto, non c’è un modo unilaterale per farlo abbassare se non attraverso accordi (rinegoziazione, surroga). Se però sospetti che il tasso sia illegale – ad esempio usurario – allora sì, puoi agire legalmente. Devi far verificare da un esperto se il TAEG effettivo del tuo prestito superava la soglia d’usura vigente alla stipula. Se sì, in giudizio potresti ottenere la nullità degli interessi (pagheresti solo il capitale). Anche se il tasso pattuito era lecito ma per via di ritardi la banca ti sta applicando interessi di mora molto alti, controlla che anche includendo la mora non si superi la soglia: Cassazione ha ritenuto nulla la pretesa di interessi moratori usurari. Un altro aspetto: verifica che la banca ti abbia fornito il documento di sintesi con il TAEG corretto; in passato errori grossolani hanno portato giudici a applicare tassi legali (molto più bassi) in sostituzione. Tuttavia, queste sono battaglie tecniche, spesso lunghe. Puoi usarle come leva: ad esempio, far presente alla banca che sei intenzionato a far periziare il contratto per usura/anatocismo; talvolta preferiscono trovare un accordo (es. abbassarti volontariamente il tasso) piuttosto che rischiare un contenzioso. Ma se la banca non cede e sei convinto dei tuoi diritti, allora consulta un legale specializzato in diritto bancario e preparati eventualmente a un giudizio o all’ABF. In caso di successo, oltre a ridurre la rata futura (perché verrebbero eliminati o abbassati gli interessi), recupereresti anche quelli indebitamente pagati.
D: Ho difficoltà con le rate, dovrei pagare ma non voglio perdere la casa/auto. Cosa non devo assolutamente fare?
R: Non cadere nell’errore di fare nuovi debiti “facili” (tipo rivolgersi a finanziarie poco trasparenti o – peggio – usurai) per pagare le rate: entri in un circolo vizioso pericoloso. Meglio affrontare il problema alla radice. Inoltre, non ignorare la situazione sperando che si risolva da sola: se smetti di pagare e aspetti le azioni legali senza far nulla, rischi pignoramenti, decreti ingiuntivi e di perdere quei beni che vorresti salvare. Molto meglio comunicare con la banca o i creditori, far sapere che sei in difficoltà ma che stai cercando soluzioni. Spesso gli istituti preferiscono ristrutturare il debito (allungare, ridurre interessi) piuttosto che intraprendere lunghe e costose procedure esecutive. Quindi evita il silenzio. Non vendere la casa “di nascosto” a un parente per sottrarla ai creditori all’ultimo minuto: può essere revocato e peggiora la tua posizione (il giudice potrebbe vederti di malocchio in un’eventuale procedura di sovraindebitamento, negandoti la meritevolezza). Se proprio la situazione è compromessa, meglio vendere regolarmente un bene e con il ricavato negoziare un saldo e stralcio dei debiti (con l’aiuto di un legale). Infine, non firmare accordi o piani di rientro senza capire bene: se firmi cambiali o riconoscimenti di debito con rate impossibili, peggiori solo la tua posizione (diventa un titolo esecutivo immediato). Meglio elaborare un piano sostenibile e proporre quello. In sintesi: affronta il problema apertamente, informati dei tuoi diritti (come hai fatto leggendo questa guida) e non cedere alla disperazione né alle soluzioni “miracolose” non verificate.
Conclusione
Abbassare la rata di un prestito è possibile e, come abbiamo visto, esistono molte strade percorribili nel sistema italiano. La scelta dipende dalla situazione specifica del debitore:
- Se ha ancora un buon merito creditizio e il problema è solo ottenere condizioni migliori, farà leva sulla concorrenza bancaria (rinegoziazione o surroga) per ottenere un tasso più basso o una durata maggiore.
- Se attraversa una difficoltà temporanea, sfrutterà gli strumenti di sospensione (Fondo mutui, moratorie) per tirare il fiato e magari nel frattempo riorganizzarsi.
- Se ha troppi debiti frammentati, userà consolidamento e forme di rifinanziamento per razionalizzare in un’unica rata compatibile col suo reddito.
- Se è in grave crisi, non esiterà a ricorrere alle protezioni della legge sul sovraindebitamento, che oggi offrono soluzioni concrete per ridurre il debito a quanto effettivamente si può pagare, e liberarsene poi definitivamente.
È fondamentale agire per tempo. Una rata ridotta ottenuta con anticipo può prevenire l’insolvenza; mentre ridurre la rata quando si è già insolventi potrebbe essere troppo tardi, sebbene come visto vi siano rimedi anche in extremis. Inoltre, il debitore dovrebbe sempre:
- Informarsi sui tassi soglia e sulle proprie clausole contrattuali, per sapere se sta pagando il giusto o se ci sono profili di contestazione.
- Documentare per iscritto ogni accordo raggiunto (rinunce verbali o tolleranze non valgono in caso di contenzioso).
- Chiedere aiuto: rivolgersi a associazioni di consumatori, avvocati specializzati, organismi di composizione della crisi, quando la situazione è complessa. Le questioni bancarie possono essere ostiche; un professionista vede soluzioni che sfuggono al singolo.
Dal punto di vista legale, l’ordinamento italiano – allineandosi anche alle direttive UE – è diventato sempre più attento all’equilibrio contrattuale e alla tutela del debitore onesto ma sfortunato. Sentenze come quelle richiamate (Cass. usura sopravvenuta 2023, Corte Cost. Lexitor 2022, Cass. anatocismo 2025) mostrano un indirizzo chiaro: trasparenza e buona fede sono principi cardine, e ove la banca ecceda o il debitore sia sopraffatto da eventi, il diritto offre rimedi per riequilibrare la situazione. Naturalmente, vanno attivati con le giuste procedure e prove.
In conclusione, sì, è possibile diminuire la rata di un prestito, ma occorre individuare lo strumento adatto al proprio caso e intraprendere con decisione il percorso relativo. Che sia una semplice contrattazione con la propria banca per limare un punto percentuale di interesse, oppure un percorso in tribunale per tagliare il 50% dei debiti, l’importante è non rassegnarsi all’idea di una rata “immodificabile”. Come abbiamo visto, quasi ogni condizione può essere rinegoziata o rimodulata. L’importante è agire in modo informato, utilizzare le leve legali disponibili e, se necessario, farsi supportare. Il debitore consapevole dei propri diritti e delle opportunità normative ha molte più chance di trovare sollievo finanziario e ristrutturare i propri debiti in modo sostenibile.
Fonti
- Cassazione Civile Sez. Unite – Sentenza n.15130/2024 (ammortamento alla francese, esclusione anatocismo).
- Cassazione Civile Sez. I – Ordinanza n.8322/2025 (anatocismo mutui variabili).
- Cassazione Civile Sez. III – Ordinanza n.27545/2023 (usura sopravvenuta, buona fede).
- Cassazione Civile Sez. I – Ordinanza n.145/2023 (interessi moratori usurari, nullità).
- Corte Costituzionale – Sentenza n.263/2022
- Legge 197/2022 (Bilancio 2023) – art.1 comma 476 (rinegoziazione mutui variabili a fisso fino al 12/2023).
- Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/93) – art. 120-quater (portabilità surroga mutui), art. 125-sexies (estinzione anticipata credito consumo).
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – artt.67-73 (ristrutturazione debiti consumatore), artt.74-83 (concordato minore), artt.268-277 (liquidazione controllata).
- Decreto Legge 124/2019 conv. L.157/2019 – art.41-bis (Fondo Salva Casa, rinegoziazione mutui prima casa pignorati).
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✔️ Consulente per lavoratori, famiglie e professionisti in difficoltà finanziaria
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Conclusione
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