Debiti Oltre 500.000€: Che Fare?

Hai accumulato debiti superiori a 500.000 euro e non sai da dove cominciare? Le richieste di pagamento si moltiplicano, i fornitori non ti danno più fiducia e temi il pignoramento dei beni?

Quando l’esposizione debitoria supera una certa soglia, la situazione può sembrare senza via d’uscita. Ma anche con debiti molto elevati, esistono strumenti legali e strategie concrete per ristrutturare, gestire o chiudere i debiti senza compromettere tutto il tuo patrimonio.

Quali sono i rischi se non intervieni tempestivamente?

Iscrizioni ipotecarie o fermi amministrativi
Pignoramenti su conti, immobili, stipendio o compensi
Segnalazioni alle banche in centrale rischi
– Azioni legali da parte di creditori privati e pubblici (compresa l’Agenzia delle Entrate)
– Per le imprese, rischio di perdita della continuità aziendale o procedura di liquidazione

Cosa puoi fare se hai debiti oltre 500.000 euro?

La legge prevede strumenti specifici per chi si trova in una situazione di grave squilibrio economico-finanziario. Agire per tempo ti permette di:

– Bloccare le azioni esecutive
– Trattare con i creditori in modo strutturato
– Ridurre gli importi dovuti o dilazionarli
– Evitare il fallimento personale o aziendale

Ecco le principali soluzioni possibili:

  1. Composizione negoziata della crisi
    È una procedura riservata e volontaria, con l’assistenza di un esperto nominato dalla Camera di Commercio. Consente di:
    – Sospendere pignoramenti, fermi, ipoteche
    – Continuare l’attività mentre si negozia un piano
    – Ottenere accordi sostenibili con banche, Fisco e fornitori
  2. Accordi di ristrutturazione dei debiti
    Si tratta di piani omologati dal tribunale con il consenso della maggioranza dei creditori. Permettono:
    – Taglio del debito
    – Pagamento dilazionato
    – Protezione dai creditori non aderenti
  3. Concordato preventivo o semplificato
    Se la crisi è avanzata, è possibile accedere a strumenti concorsuali che evitano la liquidazione giudiziale e prevedono:
    – Ristrutturazione o liquidazione ordinata
    – Liberazione parziale dai debiti
    – Protezione del patrimonio residuo
  4. Sovraindebitamento e liquidazione controllata
    In caso di persona fisica o professionista non fallibile, è possibile:
    – Richiedere un piano del consumatore o un accordo di composizione
    – Ottenere, al termine, l’esdebitazione, ovvero la cancellazione dei debiti residui

Come ti aiutiamo noi dello Studio Monardo?

Sappiamo che chi ha debiti elevati non ha bisogno di soluzioni standard, ma di una strategia personalizzata. Analizziamo in modo approfondito la tua posizione debitoria, le tue reali possibilità e i beni da tutelare. Ti assistiamo nella gestione dei creditori e nell’accesso agli strumenti più adatti per uscire dalla crisi, anche con debiti molto alti.

Hai debiti oltre i 500.000 euro e non sai come reagire? Vuoi evitare che il tuo patrimonio venga aggredito o che l’attività chiuda?

In fondo alla guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Studieremo insieme la tua situazione, valuteremo i margini di manovra e ti accompagneremo passo dopo passo per proteggere ciò che conta davvero e ripartire.

Debiti Oltre 500.000€: Che Fare?

Introduzione – Accumulare debiti per oltre mezzo milione di euro è una situazione di grave crisi finanziaria che può colpire privati, professionisti e imprenditori. Fortunatamente, l’ordinamento italiano offre oggi strumenti avanzati per gestire e risolvere anche esposizioni debitorie così ingenti, evitando il “fallimento perpetuo” del debitore. Negli ultimi anni, in particolare con il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022) e i suoi aggiornamenti (da ultimo il D.Lgs. 136/2024, c.d. “Correttivo-ter”), la normativa sul sovraindebitamento si è evoluta profondamente. Tali riforme – note anche come “legge Salva Suicidi” riferendosi alla L.3/2012 originaria – hanno ampliato le tutele per il debitore onesto ma incapace di far fronte ai propri debiti. Oggi è possibile proporre piani di rientro sostenibili e ottenere in molti casi la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione), persino senza pagare integralmente tutti i creditori.

Questa guida – aggiornata a giugno 2025 – analizza in dettaglio come affrontare debiti superiori a €500.000 dal punto di vista di chi deve pagarli (il debitore). Esamineremo le soluzioni legali italiane più recenti, con un taglio operativo e avanzato rivolto sia ai professionisti del diritto (avvocati, commercialisti) sia ai debitori stessi (privati e imprenditori). Verranno illustrate le procedure giudiziali disponibili in base al tipo di debitore (consumatore, piccolo imprenditore “non fallibile”, grande impresa), le strategie stragiudiziali di negoziazione, e gli strumenti di difesa contro le azioni esecutive (come pignoramenti e aste).

Una premessa importante: 500.000 € è una soglia significativa nell’ordinamento italiano. Da un lato, tale cifra richiama i limiti dimensionali oltre cui un imprenditore è soggetto alle procedure concorsuali ordinarie (fallimento/liquidazione giudiziale) invece che alle procedure di sovraindebitamento semplificate. Dall’altro, per un consumatore privato non esiste un tetto massimo di debito per accedere alle soluzioni da sovraindebitamento: persone fisiche con debiti anche di milioni di euro hanno usufruito di queste procedure con successo. Dunque, “oltre 500.000 €” non è un limite insuperabile, ma impone di valutare attentamente quale percorso intraprendere. Nei paragrafi seguenti distingueremo i vari profili di debitore e le rispettive opzioni previste dalla legge.

Tipologie di debitori e rimedi applicabili

Il primo passo è individuare che tipo di debitore si è, poiché le procedure disponibili dipendono dalla categoria in cui si rientra. La legge distingue infatti tra debitori “fallibili” (assoggettabili alle procedure concorsuali ordinarie, oggi liquidazione giudiziale, ex fallimento) e debitori “non fallibili” (che non possono essere dichiarati falliti e accedono invece alle procedure di sovraindebitamento). Vediamo le principali tipologie:

  • Debitore privato consumatore: persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa (es. spese familiari, mutuo casa, prestiti personali, bollette). Rientrano qui lavoratori dipendenti, pensionati, casalinghe, studenti o disoccupati indebitati, ma non gli imprenditori attivi. Il consumatore sovraindebitato è tipico destinatario del Piano del Consumatore, una procedura pensata per ristrutturare i debiti personali preservando quanto più possibile i beni essenziali. Nota: anche gli eredi di un imprenditore defunto, se gravati dai debiti dell’azienda ereditata, possono accedere come consumatori, purché i debiti abbiano natura personale/non imprenditoriale.
  • Piccolo imprenditore commerciale (“non fallibile”): titolare di impresa (anche individuale o società di persone/capitali) di dimensioni ridotte, che non supera determinati parametri di legge. I limiti attuali (art. 1 L.Fall., ora ripresi dal Codice della Crisi) sono: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi lordi annui ≤ €200.000, debiti totali ≤ €500.000 negli ultimi 3 esercizi. Se negli ultimi 3 anni l’impresa non ha superato almeno due di tali soglie, è esclusa dalla liquidazione giudiziale (fallimento) e qualificata come “non fallibile”. Questi piccoli imprenditori – dal negoziante sotto casa alla startup alle micro-imprese familiari – rientrano nelle procedure di sovraindebitamento****. In particolare, per loro è concepito il “concordato minore” (già chiamato accordo di composizione dei debiti), che consente di negoziare un saldo parziale con i creditori e ristrutturare l’attività evitando la chiusura. Esempio: un artigiano con debiti per €400.000 potrebbe proporre ai creditori un rimborso del 20% nell’arco di alcuni anni, conservando la sua azienda, se tale proposta è più conveniente della liquidazione e viene approvata come vedremo.
  • Professionisti e lavoratori autonomi: pur avendo partita IVA, non sono considerati imprenditori commerciali (es. avvocati, medici, consulenti, artigiani senza grande organizzazione). Costoro non possono essere dichiarati falliti in quanto tali, e quindi sono non fallibili; di conseguenza, se sopraffatti dai debiti (anche fiscali legati alla loro attività), possono accedere alle procedure di sovraindebitamento al pari dei consumatori. Prima della L.3/2012, un professionista sommerso dai debiti non aveva né il “beneficio” del fallimento (che estingue l’azienda) né alcuna procedura ad hoc: ora invece può presentare un piano o accordo per regolare la propria posizione. Nota: un avvocato indebitato, un tassista con licenza, un artigiano con P.IVA individuale rientrano in questa categoria (purché non oltre i limiti dimensionali di cui sopra se svolgono anche attività commerciale).
  • Imprenditore agricolo: per legge, gli imprenditori che esercitano attività agricola (coltivatori diretti, aziende agricole) non sono mai assoggettabili a fallimento, a prescindere dalle dimensioni. Dunque anche una grande azienda agricola con debiti milionari, se in crisi, non segue le procedure concorsuali ordinarie ma può accedere agli strumenti di sovraindebitamento. Questo è un caso peculiare: ad esempio, un imprenditore agricolo con debiti > €500.000 può comunque proporre un piano di accordo o una liquidazione controllata perché la legge gli preclude la strada del fallimento ordinario.
  • Start-up innovativa: altra eccezione voluta dal legislatore è quella delle startup innovative iscritte nell’apposita sezione del registro imprese. Durante il periodo in cui mantengono i requisiti di legge, anche se costituite come società di capitali, non sono soggette a fallimento e possono utilizzare le procedure di composizione della crisi. Lo scopo è favorire il rilancio o l’uscita pulita dal mercato di queste imprese ad alto rischio, senza passare per il fallimento tradizionale.
  • Enti non commerciali e ONLUS: anche enti non profit (associazioni, fondazioni) che abbiano debiti possono avvalersi delle procedure di sovraindebitamento, essendo anch’essi esclusi dal fallimento. Ciò copre, ad esempio, una ONLUS con debiti per contributi non versati, o un’associazione culturale indebitata dopo un evento andato male.
  • Fideiussori e coobbligati non imprenditori: chi ha garantito personalmente un debito altrui può ritrovarsi debitore di centinaia di migliaia di euro senza aver svolto impresa. Ad esempio, un privato che ha prestato fideiussione per il mutuo aziendale di un amico e viene escusso dalla banca. Se tale debito non riguarda una grande impresa, il fideiussore non è fallibile e può accedere al sovraindebitamento. Allo stesso modo, i soci illimitatamente responsabili di società di persone (snc, sas) rientrano come soggetti personali: se la società non fallisce (perché piccola) o dopo la chiusura del fallimento sociale restano debiti personali, i soci possono tentare la procedura come debitori non fallibili.
  • Imprenditore o società di maggiori dimensioni (“fallibile”): colui che esercita un’attività d’impresa superando anche uno solo dei parametri di non fallibilità (attivo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k) è soggetto alle procedure concorsuali ordinarie in caso d’insolvenza. In pratica rientrano qui le PMI medio-grandi e le grandi imprese. Tali debitori non possono accedere alla legge sul sovraindebitamento, ma hanno a disposizione strumenti diversi: in primis il Concordato Preventivo (piano di ristrutturazione con approvazione dei creditori), gli Accordi di ristrutturazione dei debiti (accordi extragiudiziali omologati con una maggioranza qualificata di creditori) e, come extrema ratio, la Liquidazione Giudiziale (il nuovo nome del fallimento) eventualmente seguita dall’esdebitazione del fallito persona fisica. Approfondiremo più avanti queste procedure. Esempio tipico: una s.r.l. con 2 milioni di debiti e insolvente potrebbe ricorrere a un concordato preventivo (se vuole tentare la continuità aziendale offrendo ai creditori, ad es., il 30%) oppure finire in liquidazione giudiziale su istanza dei creditori, con nomina di un curatore che liquiderà l’azienda.

Attenzione: la soglia di €500.000 citata come debito totale ha quindi rilevanza solo per distinguere i piccoli imprenditori dai grandi ai fini delle procedure applicabili. Non significa affatto che oltre tale cifra non vi siano tutele. Al contrario, un privato può avere debiti ben oltre 500mila euro e comunque presentare un piano di sovraindebitamento; viceversa, un’impresa con €600.000 di debiti rientra già nel perimetro fallibile e dovrà valutare soluzioni diverse dal sovraindebitamento semplificato. Di seguito analizzeremo le soluzioni per ciascuna categoria, partendo dai debitori non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori & co.) e poi passando ai soggetti di maggiori dimensioni.

Soluzioni per debitori non fallibili (privati e piccole imprese)

La Legge 3/2012 prima, e oggi il Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019 e s.m.i.), prevedono tre procedimenti principali per risolvere la crisi da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (detto comunemente Piano del Consumatore);
  2. Concordato minore (già Accordo di composizione della crisi);
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (già Liquidazione del patrimonio).

A questi, il Codice aggiunge una misura speciale di “clemenza” per i casi più disperati: l’Esdebitazione del debitore incapiente (o esdebitazione “senza utilità”). Inoltre, introduce la possibilità di presentare procedure familiari unitarie se più membri conviventi della stessa famiglia sono sovraindebitati. Esaminiamo in dettaglio ciascuno di questi strumenti.

Piano del consumatore

Il Piano del consumatore è una procedura riservata esclusivamente al debitore persona fisica “consumatore”, cioè non fallibile e con debiti contratti per scopi non professionali/imprenditoriali. Si tratta di un piano di pagamento dei debiti che il debitore propone ai creditori, tarato sulla sua capacità economica, con l’obiettivo di riequilibrare la sua situazione senza liquidare interamente il patrimonio. Punti chiave del Piano del consumatore:

  • Niente voto dei creditori: diversamente dalle procedure concorsuali classiche, qui non è previsto il voto dei creditori chirografari per approvare la proposta. Il piano viene valutato e omologato direttamente dal Tribunale, dopo aver verificato i requisiti di legge (in particolare la meritevolezza del debitore) e sentito il parere dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che redige una relazione. Questo consente al consumatore meritevole di superare l’eventuale veto di creditori ostili. Importante: Tuttavia, a seguito di orientamenti giurisprudenziali recenti, se il piano prevede trattamenti particolari per creditori privilegiati (es. pagamenti dilazionati molto a lungo), occorre comunque dare a tali creditori la possibilità di esprimersi sulla proposta. La Cassazione ha chiarito nel 2024 che il piano può prevedere il pagamento dilazionato dei creditori ipotecari/privilegiati anche oltre l’anno dall’omologazione, purché a questi creditori sia data voce (analogamente al voto in un accordo) in considerazione del pregiudizio da ritardo. In pratica, il giudice può omologare anche contro il volere di creditori dissenzienti, ma deve valutare la proposta nel merito e garantire il rispetto del principio di parità di trattamento e convenienza per tutti i creditori coinvolti.
  • Taglio dei debiti e sostenibilità: il piano può prevedere ristrutturazioni molto incisive, ad esempio pagare solo una percentuale dei debiti chirografari (saldo e stralcio) e/o dilazioni pluriennali, congelamento di interessi, etc. Ciò che conta è che quanto proposto sia sostenibile per il debitore rispetto al suo reddito e patrimonio, e al contempo più conveniente per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. Il giudice in sede di omologazione verifica proprio la fattibilità del piano (cioè che il debitore sia in grado di eseguire quei pagamenti) e la sua convenienza per i creditori, specie se qualcuno si oppone sostenendo di ricevere troppo poco. Se il piano offre ai creditori almeno quanto otterrebbero liquidando i beni del debitore, può essere omologato anche senza consenso unanime.
  • Conservazione dei beni essenziali: uno scopo del piano è consentire al consumatore di mantenere determinati beni, se ciò non danneggia i creditori. Ad esempio, spesso il debitore vuole salvare la prima casa. Nel piano del consumatore è possibile prevedere di continuare a pagare regolarmente il mutuo ipotecario sulla casa e non vendere l’immobile, mentre gli altri debiti (banche senza garanzie, carte di credito, fornitori, Fisco) vengono ridotti e rateizzati in base al reddito disponibile. Un caso reale: una debitrice proprietaria di alcuni immobili ha presentato un piano che prevedeva la vendita di alcuni beni per pagare integralmente i creditori ipotecari (garantiti da ipoteca) e il pagamento parziale, pari al 29,5%, dei crediti chirografari (non garantiti). Il tutto mediante il ricavato di vendite all’asta già avvenute e un nuovo mutuo di €40.000 ottenuto sull’abitazione principale (sottoposta a pignoramento) per pagare i creditori. Il Tribunale ha omologato il piano, ritenendo soddisfatte le ragionevoli aspettative dei creditori ipotecari (che recuperavano il capitale) e offrendo ai chirografari una percentuale non ottenibile altrimenti. In questo modo la debitrice ha evitato la liquidazione fallimentare e, pagando solo una parte dei debiti, potrà ottenere l’esdebitazione del residuo.
  • Sospensione delle azioni esecutive: dalla data di ammissione alla procedura e per tutta la durata fino all’omologazione, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti o altre esecuzioni individuali sul patrimonio del debitore in piano. Questo “automatic stay” consente al consumatore un po’ di respiro dalle pressioni e impedisce che, ad esempio, un creditore “aggressivo” pignori per intero lo stipendio mentre è in corso la trattativa. Anche i pignoramenti già in essere subiscono uno stop temporaneo (ad es., un’asta immobiliare viene sospesa in attesa dell’omologa del piano).
  • Meritevolezza e trasparenza: requisito fondamentale per l’accesso al piano (come a tutti gli strumenti di sovraindebitamento) è la buona fede del debitore. Il giudice deve valutare che il sovraindebitamento non sia dovuto a dolo o colpa grave del consumatore e che non vi siano stati atti in frode ai creditori. In pratica: il debitore non dev’essere un furbo che ha fatto spese pazze sapendo di non pagare, né deve aver dissipato o nascosto patrimonio prima di chiedere aiuto (es. vendere casa ai parenti per non farla pignorare, o fare nuovi debiti fraudolenti poco prima). Questo filtro di meritevolezza era implicito già nella L.3/2012 ma ora è esplicitamente previsto dal Codice. Ad esempio, contrarre debiti per gioco d’azzardo può essere indice di colpa grave; tuttavia la giurisprudenza ha riconosciuto in alcuni casi patologici di ludopatia una condizione non imputabile completamente al debitore, ammettendo comunque il piano. Ogni situazione è valutata caso per caso. Il Codice inasprisce tale principio ma nello stesso tempo introduce la responsabilizzazione del creditore: se banche o finanziarie hanno concesso prestiti spropositati a un soggetto già indebitato, questo comportamento viene sanzionato limitando i loro diritti nel piano. Ad esempio, una banca che ha continuato a erogare credito facile a un consumatore insolvente potrebbe vedersi decurtato il credito o limitato il diritto di voto, in quanto ha concorso a creare il sovraindebitamento. Ciò incoraggia gli enti finanziatori a valutare seriamente il merito creditizio prima di prestare denaro.

In sintesi, il Piano del consumatore è uno strumento potentissimo per il privato sommerso dai debiti: consente di ridurre l’ammontare dovuto, dilazionare i pagamenti e proteggere i beni primari, a patto di dimostrare onestà e di offrire ai creditori il meglio possibile nelle proprie condizioni. Se il piano viene eseguito con successo, il tribunale dichiara l’esdebitazione: il debitore viene liberato da tutti i debiti residui non pagati nel piano. La famiglia può così ripartire da zero sul piano finanziario. Nel prosieguo vedremo termini e condizioni dell’esdebitazione finale.

Concordato minore (accordo con i creditori)

Il Concordato minore è la nuova denominazione dell’accordo di composizione previsto dalla L.3/2012, pensato principalmente per i debitori non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, società sotto soglia). Si tratta di una procedura che ricorda da vicino il concordato preventivo delle imprese, ma in versione semplificata. Le caratteristiche principali:

  • Proposta e voto dei creditori: a differenza del piano del consumatore, qui il debitore presenta una proposta di accordo ai creditori chirografari e la stessa viene sottoposta al voto. Serve il consenso di almeno il 50% dei crediti chirografari per approvare l’accordo (soglia abbassata rispetto al 60% richiesto dalla vecchia legge). I creditori privilegiati (p.e. ipotecari) si considerano soddisfatti se la proposta prevede di pagarli per intero o secondo le regole di priorità, altrimenti partecipano anch’essi alla votazione (in pratica, anche i privilegiati votano se viene richiesta una falcidia del loro credito). Importante: se manca la maggioranza ma il tribunale ritiene la proposta comunque conveniente per i creditori, può omologarla nonostante il voto contrario (una sorta di cram-down), ma solo in situazioni specifiche previste dalla legge.
  • Destinatari: possono accedere al concordato minore tutti i debitori “non fallibili” diversi dai consumatori. Tipicamente, la piccola impresa commerciale indebitata che vuole evitare la liquidazione totale, oppure il professionista con debiti verso banche/fornitori, ecc. Anche le società di persone o capitali sotto soglia possono utilizzare il concordato minore. Esempio: una SRL semplificata con €450.000 di debiti (quindi non fallibile) potrebbe proporre un concordato minore offrendo ai creditori il pagamento del 30% in 5 anni, continuando però l’attività.
  • Continuità aziendale: diversamente dal piano del consumatore (che riguarda debiti personali), il concordato minore può essere in continuità – ovvero prevedere che l’impresa del debitore prosegua la propria attività durante e dopo la procedura, utilizzando i profitti futuri per pagare i creditori – oppure liquidatorio, se il debitore intende cessare l’attività e pagare i creditori con il ricavato della vendita dei beni. Il Codice della Crisi incoraggia la continuità quando possibile, anche qui richiedendo al giudice di valutare la fattibilità e la convenienza del piano rispetto alla liquidazione.
  • Ruolo dell’OCC e del tribunale: il debitore deve rivolgersi a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che lo assiste nel predisporre il piano/accordo e raccoglie le adesioni. L’OCC redige una relazione sulla proposta, evidenziando la situazione patrimoniale, le cause dell’indebitamento e l’eventuale convenienza del piano per i creditori. Il tribunale, ricevuta la proposta e la relazione, apre la procedura, nomina se del caso un gestore o commissario e fissa l’adunanza dei creditori per il voto. Se i creditori approvano la proposta (o comunque ne ricorrono i presupposti di legge), il tribunale procede all’omologazione, rendendo l’accordo vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissentienti.
  • Effetti e protezioni: anche qui, con l’apertura della procedura scatta il blocco dei pignoramenti individuali (salvo autorizzazioni del giudice per cause urgenti). Inoltre, il debitore subisce un parziale spossessamento: non può ad esempio alienare beni senza autorizzazione nel corso della procedura, similmente a quanto avviene nel concordato preventivo. Sono misure volte a preservare l’integrità del patrimonio a beneficio collettivo dei creditori.
  • Esdebitazione finale: se il concordato minore viene eseguito correttamente, il debitore ottiene la liberazione dai debiti residui non soddisfatti, analogamente al piano del consumatore. In caso di inadempimento grave, invece, l’omologazione può essere revocata e i creditori riacquistano i loro diritti per la parte non pagata.

In pratica, il concordato minore è la versione “small business” del concordato preventivo. Ad esempio, un ristoratore con €300.000 di debiti può proporre di pagarne €150.000 in 4 anni, ottenendo dai creditori una falcidia del 50% sull’insoluto. Se almeno la metà dei crediti vota a favore e il giudice omologa, il ristoratore ripagherà il 50% e sarà esdebitato dal restante 50%. Il vantaggio rispetto al piano del consumatore è che questa procedura può includere anche debiti d’impresa, consentendo di salvare attività economiche; lo svantaggio è dover gestire il voto dei creditori (convincendoli della bontà della proposta). Va detto che col nuovo Codice le differenze tra piano del consumatore e concordato minore si sono attenuate – entrambi sono considerati procedure concorsuali a tutti gli effetti – e la scelta dipende dallo status del debitore: il consumatore puro non può utilizzare il concordato minore (che è riservato alle imprese o partite IVA) e viceversa un debitore “non consumatore” non può accedere al piano del consumatore.

Procedura familiare congiunta: se i debiti riguardano una famiglia (ad es. marito e moglie coobbligati, o padre e figlio garanti l’uno dell’altro) è ora possibile presentare un unico piano/concordato familiare. I requisiti sono: essere conviventi e che l’origine dell’indebitamento sia comune. In tal caso, la situazione economica e patrimoniale familiare viene esaminata congiuntamente e il piano unico gestisce l’intero indebitamento. Ciò evita duplicazioni, riduce i costi (un solo OCC, un solo procedimento) e coordina le soluzioni. Questa novità introdotta nel 2020-2021 è molto utile, ad esempio, per coniugi entrambi indebitati per un mutuo cointestato: anziché due procedure separate, si fa un solo piano familiare.

Liquidazione controllata del patrimonio

La Liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio della L.3/2012) è la procedura indicata quando non è possibile o conveniente predisporre un piano di rientro. In altre parole, è l’analogo del fallimento per i soggetti non fallibili: il debitore mette a disposizione tutto il suo patrimonio liquidabile, che verrà venduto per distribuire il ricavato ai creditori, dopodiché potrà essere liberato dai debiti. Si ricorre alla liquidazione in genere se il debitore non ha entrate sufficienti per sostenere un piano o accordo, oppure se i creditori non approvano un concordato minore e si opta per la liquidazione come soluzione residuale.

Caratteristiche principali della liquidazione controllata:

  • Accesso volontario o forzato: il debitore può chiedere autonomamente la liquidazione controllata al tribunale, magari perché consapevole di non poter offrire pagamenti significativi (situazione disperata). Ma anche i creditori o il Pubblico Ministero possono richiederla, in presenza di insolvenza del debitore non fallibile, come alternativa all’esecuzione individuale. Questo strumento infatti convoglia tutti i creditori in un’unica procedura collettiva davanti al tribunale.
  • Nomina del liquidatore: il tribunale, ammessa la procedura, nomina un liquidatore (figura simile al curatore fallimentare) che prende in gestione il patrimonio del debitore, procede a vendere i beni, riscuotere crediti, impugnare eventuali atti di disposizione revocabili, e in generale a monetizzare tutto il possibile per pagare i creditori. Il debitore subisce un spossessamento pressoché totale dei beni (restano esclusi solo quelli impignorabili per legge, di cui diremo dopo) e perde la gestione del suo patrimonio durante la procedura.
  • Durata e redditi futuri: Il Codice della Crisi ha ridotto a 3 anni (salvo proroghe motivate) la durata standard della liquidazione controllata. Entro questo termine, il liquidatore completa le operazioni di realizzo. Durante la procedura, se il debitore ha un reddito da lavoro/pensione, ne viene prelevata la parte pignorabile (tipicamente il quinto o altra quota stabilita) per contribuire ai pagamenti ai creditori. Prima della riforma, si considerava un periodo di 4 anni di contributo sui redditi futuri; ora l’impegno del debitore è limitato a 3 anni. Trascorso questo periodo, si chiude la liquidazione anche se non tutti i beni sono stati venduti (salvo casi eccezionali in cui il giudice può prorogare, ad es. per completare la vendita di un immobile difficile da liquidare).
  • Sospensione delle azioni individuali: dall’apertura della liquidazione, tutti i creditori concorsuali (quelli con crediti sorti prima della procedura) non possono più iniziare né proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore. Eventuali pignoramenti in corso confluiscono nella liquidazione. I beni del debitore vengono venduti dal liquidatore con modalità simili alle vendite fallimentari (aste giudiziarie, ecc.) ma sotto il controllo del giudice della crisi.
  • Ordine di distribuzione: il liquidatore redige lo stato passivo (l’elenco dei crediti ammessi) e poi distribuisce il ricavato delle vendite secondo le cause di prelazione: prima si pagano i creditori privilegiati (per es. ipoteche fino al ricavato del bene ipotecato, stipendi arretrati dipendenti, crediti erario privilegiati, ecc.), poi proporzionalmente i creditori chirografari con l’eventuale residuo. Spesso in situazioni di sovraindebitamento grave, il realizzo è esiguo rispetto al debito totale – magari si ricava solo il 5-10% di quanto dovuto complessivamente. Ciò non impedisce la chiusura della procedura: una volta distribuito tutto il disponibile, la liquidazione si chiude e ciò che non è stato pagato rimane insoluto.
  • Esdebitazione automatica: enorme novità rispetto al passato, oggi il debitore è liberato dai debiti residui in automatico a chiusura della liquidazione, senza necessità di un’ulteriore istanza. In precedenza, con la legge 3/2012, il debitore doveva presentare separata domanda di esdebitazione e un giudice valutava se concederla; ora il Codice prevede che, se non emergono circostanze ostative, il provvedimento di chiusura della liquidazione contestualmente cancella i debiti insoddisfatti. In pratica il fresh start è più certo e spedito. Inoltre, come accennato, la durata ridotta a 3 anni accelera il momento in cui il debitore può ottenere questa liberazione.
  • Meritevolezza e cause di esclusione: anche nella liquidazione il debitore deve mantenere un comportamento corretto. Se durante la procedura si scopre che ha nascosto beni, o ha violato obblighi (es. non ha consegnato documenti, ha ostacolato il liquidatore) l’esdebitazione può essergli negata. Inoltre, se emergono atti in frode ai creditori (es. vendite simulate prima di aprire la procedura) il tribunale può escludere il debitore dai benefici. Le condizioni soggettive ricalcano quelle già viste: onestà, collaborazione, nessun reato fallimentare grave, etc.. Non è invece richiesto, ai fini dell’esdebitazione, che i creditori abbiano ricevuto una quota minima. Già la Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che anche se i creditori non ricevono nulla o quasi, l’esdebitazione può essere concessa, purché la mancanza di attivo non sia colpa del debitore. La riforma 2019 ha eliminato ogni riferimento a una soglia di pagamento, focalizzandosi solo sulla buona fede e sull’impegno profuso dal debitore. Questo principio è oggi consolidato: ad esempio, la Corte di Cassazione ha confermato che il beneficio dell’esdebitazione spetta anche nei casi di integrale omesso pagamento dei creditori chirografari, se il debitore merita clemenza.

In sintesi, la liquidazione controllata è la soluzione per chi non riesce a proporre alcun piano di pagamento sostenibile. È spesso l’ultima spiaggia ma garantisce comunque al debitore onesto di poter uscire dal tunnel in pochi anni. Un esempio pratico e reale: Lorenzo, tecnico informatico, sovraindebitato per circa €500.000 dopo il fallimento di alcune iniziative, ha avviato una procedura di liquidazione del patrimonio. Sono stati liquidati i (pochi) beni a disposizione, distribuendo ai creditori un ricavato modesto. Dopo 3 anni, Lorenzo ha ottenuto dal Tribunale l’esdebitazione totale di oltre mezzo milione di euro di debiti residui. Ciò gli ha permesso di ripartire da zero, economicamente riabilitato.

Ovviamente la liquidazione non è indolore: il debitore perde i suoi beni, deve adattarsi a vivere con il minimo indispensabile per alcuni anni e vede soddisfatti i creditori solo parzialmente. Tuttavia, a differenza di un pignoramento selvaggio a vita, è una soluzione ordinata e a termine, alla fine della quale la persona è libera dai debiti.

Confronto tra le procedure di sovraindebitamento: la tabella seguente riepiloga le differenze essenziali:

CaratteristicaPiano del ConsumatoreConcordato MinoreLiquidazione Controllata
Soggetti ammessiSolo consumatori (persone fisiche non imprenditori)Debitori non fallibili non consumatori (piccole imprese, professionisti, società sotto soglia)Tutti i debitori non fallibili (consumatori e non) in stato d’insolvenza
Voto dei creditoriNo (omologa giudiziale, sentiti OCC e eventuali opposizioni). Creditori privilegiati possono essere consultati se pagamento dilazionato oltre 1 anno. – serve 50% di crediti chirografari favorevoli (privilegiati votano se non soddisfatti integralmente). Omologa anche senza voto se ricorrono condizioni di legge.No voto (procedura concorsuale di tipo liquidatorio). Creditori partecipano al concorso presentando le domande di ammissione al passivo, non c’è approvazione di un piano.
ObiettivoRistrutturare i debiti mantenendo il patrimonio essenziale del consumatore (es. casa, auto necessaria, ecc.). Pagamenti parziali secondo sostenibilità reddito.Risanare l’impresa o l’attività professionale evitando la cessazione, oppure liquidare il patrimonio in modo concordato. Pagamento parziale concordato con i creditori, possibilità di continuare l’attività.Liquidare interamente il patrimonio disponibile per soddisfare i creditori in base alle prelazioni. Il debitore sacrifica i beni, con eventuale prelievo su redditi per la durata della procedura.
Durata impegno pagamentoVariabile in base al piano (spesso 4–5 anni, ma anche di più se prevedono vendite di immobili o rate lunghe – non c’è limite legale massimo, salvo sostenibilità).Variabile: in continuità può durare vari anni secondo il piano d’impresa; se liquidatorio spesso 1–2 anni per vendere i beni e pagare la % concordata.Fino a 3 anni per legge (salvo proroghe autorizzate). Il debitore collabora con il liquidatore per max 3 anni, poi si chiude comunque.
Spossessamento dei beniIl debitore mantiene l’amministrazione dei suoi beni sotto vigilanza OCC; può tenerli se compatibile col piano. Divieto di atti di straordinaria amministrazione senza ok (parziale spossessamento).Parziale spossessamento simile al concordato preventivo: il debitore conserva l’amministrazione in continuità ma sotto controllo; se liquidatorio, può prevedere cessione beni ai creditori o a un assuntore.Spossessamento totale: il liquidatore gestisce e vende tutti i beni del debitore. Al debitore resta solo il minimo vitale di reddito e i beni non pignorabili per legge.
Esdebitazione (cancellazione debiti residui)Al termine se il piano è eseguito correttamente, i debiti non pagati sono cancellati. Se il debitore non adempie, revoca dei benefici., a completamento dell’accordo omologato regolarmente eseguito. In caso di insolvenza del concordato, possibile conversione in liquidazione controllata., automatica a chiusura procedura (salvo comportamento fraudolento). Non occorre istanza separata; se nulla ostacola, il giudice contestualmente libera il debitore dai debiti rimasti.

Esdebitazione del debitore incapiente (“saldo e zero”)

Una delle innovazioni più dirompenti introdotte dal Codice della Crisi è la possibilità, in casi eccezionali, di ottenere l’esdebitazione (cancellazione di tutti i debiti) senza pagare nulla ai creditori. Questa procedura – prevista dall’art. 283 CCII – è informalmene detta esdebitazione dell’incapiente o “esdebitazione senza utilità”. Si rivolge al debitore persona fisica (anche consumatore) che si trova in assoluta mancanza di risorse: niente beni liquidabili, nessun reddito aggredibile, nessuna capacità di offrire un piano neppure minimo. In passato, tali debitori erano i più disperati, perché non potevano nemmeno avviare una procedura concorsuale (non c’era nulla da distribuire) e restavano perseguitati a vita dai creditori. Ora la legge prevede che una volta nella vita possano essere liberati dai debiti a fronte della loro condizione disastrosa.

Le condizioni per l’esdebitazione incapiente sono rigorose:

  • Il debitore deve dimostrare di non avere alcun patrimonio liquidabile e di non poter offrire ai creditori nessuna utilità, nemmeno in prospettiva. Deve insomma risultare “nullatenente” o quasi, e privo di redditi stabili oltre il minimo vitale.
  • Deve essere meritevole (ancor più che nelle altre procedure): niente frodi, niente atti in malafede, e aver collaborato pienamente con eventuali precedenti tentativi di soluzione. In pratica viene premiato solo il debitore onesto ma sfortunato.
  • È necessario rivolgersi al tribunale con ricorso, allegando una relazione dell’OCC che attesti la situazione e l’assenza di soluzioni alternative. I creditori vengono informati e possono eventualmente sollevare opposizioni (ad esempio contestando la meritevolezza).
  • Se il tribunale accoglie la domanda, emette il decreto di esdebitazione che cancella tutti i debiti immediatamente. Tuttavia, impone al debitore un obbligo per il futuro: per i 4 anni successivi, egli dovrà comunicare tempestivamente ai creditori (tramite l’OCC) qualsiasi sopravvenienza attiva rilevante. In particolare, se entro 4 anni il debitore riceve redditi o beni che gli permetterebbero di pagare almeno il 10% dei vecchi debiti, dovrà mettere a disposizione tale importo per i creditori. È una sorta di “condizione risolutiva”: se, ad esempio, il debitore vince alla lotteria 2 anni dopo l’esdebitazione, dovrà destinare ai creditori la parte necessaria a soddisfarli almeno in minima quota (10%). Passati i 4 anni di “quarantena”, qualunque miglioramento economico successivo resterà suo senza obblighi verso i creditori pregressi.
  • Questa esdebitazione speciale è concessa una sola volta nella vita. Ciò per evitare abusi: non si può azzerare i debiti a costo zero più volte.

In sostanza, l’istituto mira a dare un’ultima chance ai cosiddetti “debitori civili incalliti”, quelli che non pagheranno mai comunque (perché nullatenenti) e per i quali mantenere all’infinito i crediti in sofferenza non ha senso nemmeno per il mercato. Li si libera dai debiti, ma con un vincolo temporaneo: se entro pochi anni la loro situazione migliora per un colpo di fortuna, i creditori recupereranno almeno qualcosa.

La Cassazione ha sottolineato come questo meccanismo vada applicato con prudenza per evitare che diventi scappatoia per furbi: il debitore deve dimostrare serietà e trasparenza nell’affrontare la crisi. Una recente ordinanza (Cass. 27562/2024) ha evidenziato che, pur non essendoci soglie di pagamento obbligatorie, un gesto di soddisfacimento anche simbolico verso i creditori è indice di buona fede e sarà tenuto in considerazione dal giudice. Ciò incoraggia i debitori a versare ciò che possono (anche se pochissimo) prima di chiedere di essere totalmente esonerati. In ogni caso, resta fermo che reati tributari o frodi impediscono di accedere a questo beneficio: ad esempio, un evasore totale con condanna per frode fiscale difficilmente verrà reputato “meritevole” di veder cancellati i suoi debiti erariali.

Esempio: Tizio, disoccupato cronico senza beni intestati, ha €200.000 di debiti verso banche e finanziarie derivati da prestiti non pagati. Nessuna banca lo escute perché è nulla tenente, ma i debiti permangono (se trovasse un lavoro verrebbe pignorato il quinto). Tizio può rivolgersi all’OCC e tentare l’esdebitazione incapiente. Se il giudice accerta che davvero non possiede nulla e che Tizio non ha colpe gravi, può emanare un decreto che cancella tutti i €200.000 di debiti. Per i successivi 4 anni, però, Tizio dovrà “rigare dritto”: se ad esempio erediterà una piccola casa o inizierà a guadagnare bene, dovrà destinare parte di queste sopravvenienze ai vecchi creditori (fino al 10% dei debiti originari). Se dopo 4 anni Tizio ancora vivrà con poco, i creditori non potranno più pretendere nulla nemmeno in caso di guadagni futuri.

Nota: l’esdebitazione incapiente non comprende eventuali debiti per il mantenimento familiare o da risarcimenti specifici non falcidiabili (vedi oltre). Inoltre, se il debitore ha tenuto comportamenti dolosi nell’ultimo anno prima della domanda (es. ha volontariamente aggravato la propria insolvenza), può essere respinto. Si tratta comunque di un istituto di clemenza estrema, applicato con parcimonia e solo quando tutte le altre strade (piano, accordo, liquidazione) siano impraticabili.

Soluzioni per debitori fallibili (imprese sopra soglia e grandi debiti)

Se il debitore è un imprenditore commerciale o una società che supera i limiti di fallibilità (es. debiti oltre €500.000, come ipotizzato nel titolo), non potrà accedere alle procedure descritte sinora. Ciò non significa che non abbia strumenti per affrontare la crisi, ma questi rientrano nella disciplina concorsuale ordinaria, anch’essa oggetto di riforma con il Codice della Crisi. In questa sede, ne daremo un quadro sintetico, focalizzandoci sulle opzioni dal punto di vista del debitore imprenditore che vuole gestire o risolvere oltre €500.000 di debiti.

Le principali procedure concorsuali per soggetti fallibili (imprese medio-grandi) sono:

  • Concordato Preventivo: è una procedura giudiziale tramite cui l’imprenditore insolvente propone ai creditori un piano di risanamento che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e/o la continuità aziendale. Il concordato preventivo richiede normalmente il voto favorevole dei creditori (maggioranza dei crediti ammessi al voto) e l’omologazione da parte del tribunale. Può essere:
    • in continuità aziendale: l’impresa prosegue l’attività durante e dopo la procedura, utilizzando i ricavi futuri per soddisfare i creditori in percentuale. Tipico il caso di concordato “in bianco” o con riserva iniziale, seguito da un piano industriale di rilancio.
    • liquidatorio: l’impresa cessa l’attività e i beni vengono liquidati sotto il controllo del commissario giudiziale, distribuendo il ricavato ai creditori in percentuale.
    Il Codice della Crisi ha introdotto varianti come il “concordato semplificato” per la sola liquidazione attivabile dopo composizione negoziata, ma trattasi di eccezioni procedurali. In generale, dal punto di vista del debitore, il concordato preventivo è un modo per evitare la liquidazione giudiziale coatta, avendo un ruolo proattivo: l’imprenditore formula una proposta (es: pagare il 40% ai chirografari, mantenendo in vita l’azienda), mette sul piatto eventuali risorse aggiuntive (nuova finanza, apporti dei soci, ecc.) e cerca l’accordo dei creditori. Se questi approvano e il tribunale ritiene il piano fattibile e conveniente, si omologa. Effetto per il debitore: mantiene solitamente la gestione (sotto vigilanza) durante il concordato e, se il piano riesce, salva l’impresa e paga solo parzialmente i debiti restanti, venendo esdebitato per la parte eccedente (nel caso sia imprenditore individuale; se è società di capitali, la società si estingue a seguito dell’adempimento e i debiti residui restano senza debitore).
  • Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ARD): sono accordi stragiudiziali tra il debitore e una parte consistente dei creditori, che vengono però omologati dal tribunale per acquisire efficacia erga omnes. Lo standard è l’accordo con almeno il 60% dei crediti (esclusi alcuni come erario per cui è richiesta anche l’adesione se si vuol ridurre il credito oltre certe soglie). Con il recepimento della Direttiva UE 2019/1023, l’ordinamento ha introdotto anche accordi ad efficacia estesa e agevolata (dove basta il 30% se certe condizioni), ma in sintesi per il debitore ciò rappresenta un tentativo di negoziazione mirata: ci si siede con i principali creditori (banche, fornitori strategici) e si formalizza un accordo di ristrutturazione (ad esempio: allungamento scadenze, riduzione tassi, stralcio di parte dei crediti). Se si raggiunge la massa critica di consensi, il tribunale omologa e l’accordo diventa vincolante anche per eventuali creditori dissenzienti minoritari (salva la tutela di questi ultimi, che non possono essere trattati in modo deteriore rispetto agli altri). Vantaggi per il debitore: procede più snella del concordato, mantenimento pieno della gestione, riservatezza (si può chiedere l’omologa e contestualmente misure protettive temporanee). Svantaggio: richiede negoziare attivamente con i creditori e ottenerne il consenso; inoltre non consente di imporre coattivamente tagli ai creditori non aderenti che non siano almeno il 60% (tranne i meccanismi nuovi di cram-down fiscale su cui sorvoliamo qui).
  • Piani attestati di risanamento (ex art. 56 CCII, già art. 67 LF): non sono procedure concorsuali, ma strumenti di allerta/ristrutturazione puramente privatistici. Un piano attestato è un accordo di ristrutturazione che coinvolge anche meno del 60% creditori, accompagnato da una relazione di un professionista che attesta la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Se concluso e registrato, consente al debitore di ottenere protezione da azioni revocatorie fallimentari se poi qualcosa andasse male. È insomma un accordo stragiudiziale protetto, utile ad evitare insolvenza conclamata. Dal punto di vista del debitore, è totalmente volontario: si tratta di convincere creditori (in genere banche) a risanare fuori dai tribunali tramite rischedulazione del debito, nuovi finanziamenti, ecc. Se funziona, l’impresa evita la procedura concorsuale formale. Se fallisce, potrà sempre ripiegare su concordato o liquidazione giudiziale.
  • Composizione negoziata della crisi: introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. L.147/2021, ora nel Codice), è un percorso volontario e confidenziale in cui l’imprenditore in crisi viene affiancato da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, per tentare una trattativa con i creditori. Dura alcuni mesi e può portare a vari esiti: un accordo stragiudiziale, un accordo di ristrutturazione, un concordato “semplificato” o, se fallisce, la necessità di concorsuale classica. Per il debitore è uno strumento di gestione assistita della crisi, che dà alcuni benefici (ad es. può ottenere misure protettive temporanee sui beni come il blocco dei pignoramenti, mantenendo la riservatezza). Se ha debiti oltre 500k, sicuramente val la pena tentarla, specie se l’impresa ha possibilità di risanamento con l’accordo di banche e soci. Non prevede di per sé esdebitazione o similari – è un procedimento stragiudiziale di aiuto, non una procedura concorsuale.
  • Liquidazione Giudiziale (ex fallimento): se non si trova alcuna soluzione concordata, o se i creditori lo chiedono, l’impresa insolvente viene assoggettata a liquidazione giudiziale. Il Tribunale nomina un curatore che liquida l’azienda e i beni, secondo regole simili a quelle viste per la liquidazione controllata (ma con formalità e portata maggiori). Il debitore imprenditore perde la gestione e l’impresa viene chiusa/venduta. Alla fine della liquidazione, se il debitore è una persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) può chiedere l’esdebitazione del fallito. Questo istituto, previsto sin dal 2006 e confermato dal Codice, consente all’ex fallito onesto di essere liberato dai debiti rimasti insoddisfatti dopo la chiusura della procedura. Le condizioni sono analoghe a quelle già discusse: collaborazione, assenza di frodi, etc., e in particolare la nuova normativa richiede che tali requisiti di meritevolezza sussistano anche per gli amministratori e gli eventuali soci illimitatamente responsabili di una società che chiede esdebitazione. Per le società di capitali, in verità, l’esdebitazione formale ha scarso rilievo perché la società, una volta liquidata, viene cancellata e i crediti insoddisfatti si estinguono con essa. Ma il Codice prevede persino la possibilità che, qualora una società abbia ancora un valore residuo (ad es. un marchio, o la possibilità di continuare l’attività), possa “uscire” dalla liquidazione giudiziale esdebitata e continuare senza il fardello del debito (ipotesi più teorica che pratica finora).

In sintesi per l’imprenditore con debiti > 500k:

  • Se c’è ancora possibilità di salvataggio dell’attività, conviene esplorare un accordo negoziato con i creditori (composizione negoziata, accordo di ristrutturazione o concordato preventivo in continuità). Ciò permette di preservare il valore aziendale, magari riducendo parzialmente i debiti e allungando i termini di pagamento. I creditori bancari spesso preferiscono recuperare ad esempio il 40-50% su 5 anni piuttosto che innescare una liquidazione giudiziale dove recupererebbero meno.
  • Se l’azienda non è più viabile, il debitore può proporre ai creditori un concordato liquidatorio, offrendo ad esempio di vendere certi beni e distribuire il ricavato secondo un piano. Questo può includere anche la cessione dell’azienda a terzi (affitto d’azienda con successiva vendita) massimizzando il realizzo rispetto a un fallimento “a pezzi”.
  • In qualunque caso, ottenere l’omologazione di un accordo o concordato ha il beneficio di rendere non imponibili fiscalmente le rinunce dei creditori. Infatti, per le imprese debitrici, il TUIR (Testo Unico Imposte) prevede la non tassabilità delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti se avvengono nell’ambito di una procedura concorsuale omologata. Quindi se una banca taglia 200k di credito in un concordato, quella somma non verrà conteggiata come ricavo tassabile per l’impresa debitrice. Questo è un aspetto fiscale fondamentale da considerare nei risanamenti.
  • Se invece si arriva alla liquidazione giudiziale, l’imprenditore individuale o il garante personale potrà confidare nella successiva esdebitazione del fallito. La Corte di Cassazione ha consolidato che anche i debiti tributari (es. IVA) non sono esclusi dall’esdebitazione, quindi anche un ex fallito con cartelle esattoriali non pagate può esserne liberato. Ovviamente restano esclusi atti illeciti gravi: ad esempio l’esdebitazione non sarà concessa se il fallito ha commesso reati fallimentari (bancarotta fraudolenta, ecc.) salvo riabilitazione.

In definitiva, la gestione di debiti > €500.000 per un imprenditore richiede un’analisi case-by-case: soluzioni concordate (piani, accordi) se c’è margine e convenienza per i creditori, oppure in mancanza, la resa alla liquidazione giudiziale confidando poi nell’azzeramento dei debiti per ripartire personalmente pulito. Nel dubbio, è consigliabile attivarsi tempestivamente, magari avviando una composizione negoziata che, se fallisce, consente comunque l’accesso a un concordato semplificato di liquidazione (una procedura speciale che consente di chiudere in concordato anche senza voto creditori, ma dietro cessione integrale dei beni). Il punto di vista del debitore dev’essere pragmatico: più si tarda e più i creditori (banche, Fisco, fornitori) perdono fiducia e intraprendono azioni individuali distruttive (pignoramenti, sequestri) che possono ridurre la “posta in gioco” per una soluzione concordata.

Difendersi dai creditori: pignoramenti, ipoteche e tutele del debitore

Un debitore gravato da oltre 500 mila euro di esposizioni probabilmente dovrà fare i conti con creditori agguerriti pronti a rivalersi su beni, stipendi e conti correnti. È fondamentale capire come funzionano le procedure esecutive in Italia e quali limiti e strumenti di difesa la legge offre al debitore, in particolare quando questi sta cercando di risolvere la propria situazione attraverso le procedure di cui sopra.

Limiti al pignoramento di stipendio e pensione

Molti debitori, pur insolventi, hanno un reddito da lavoro o pensione. La legge italiana tutela il minimo vitale del debitore e pone dei tetti massimi alla quota di stipendio/pensione pignorabile, così da evitare che la persona resti senza mezzi di sostentamento. In particolare, l’art. 545 c.p.c. prevede che, salvo casi speciali, lo stipendio netto mensile sia pignorabile al massimo nella misura di 1/5 (20%). Ciò vale per i creditori ordinari (banche, privati). Quindi, ad esempio, su €1.500 netti mensili, al più €300 possono essere trattenuti ogni mese per i creditori.

Se però il creditore è l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (per debiti fiscali), si applicano soglie ancora più favorevoli al debitore:

  • Se lo stipendio < €2.500, la quota pignorabile è 1/10 (10%).
  • Se lo stipendio tra €2.500 e €5.000, pignorabile 1/7 (~14,3%).
  • Oltre €5.000, torna 1/5 massimo.

Ad esempio, con stipendio di €2.000 netti e debiti col Fisco, l’Agente di Riscossione potrà prendersi solo €200 al mese (il 10%), mentre un creditore bancario potrebbe prenderne €400 (il 20%). Queste soglie speciali si applicano solo al Fisco, non ai creditori privati.

Per le pensioni, esiste l’ulteriore garanzia di un minimo impignorabile assoluto, pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Nel 2025 l’assegno sociale è circa €538 mensili, dunque €807 circa sono totalmente impignorabili sulla pensione. La parte eccedente tale soglia è pignorabile secondo le stesse percentuali viste (1/5 ordinario, 1/10-1/7-1/5 per Fisco a seconda importo). Ad esempio, su una pensione da €1.200: €807 intoccabili, restano €393 pignorabili al 20% = circa €79 mensili massimo per creditori ordinari.

Un punto spesso frainteso: nessuno stipendio è totalmente impignorabile, neppure se basso. La Corte Costituzionale ha chiarito che anche redditi modesti (es. part-time) possono essere pignorati, purché si lasci almeno il 80% al lavoratore. In pratica, la soglia di impignorabilità per stipendi coincide col concetto di “minimo vitale” pari a circa 4/5 del netto. Chi guadagna €800 mensili, potrà subire un pignoramento di €160 (20%) lasciandogliene €640 (80%). La regola del minimo vitale fisso (1,5 assegni sociali) vale solo per pensioni già accreditate in banca.

Conto corrente e TFR: se lo stipendio/pensione è già stato accreditato in conto corrente prima del pignoramento, la legge tutela un importo pari al triplo dell’assegno sociale (circa €1.500 nel 2025) lasciandolo al debitore, e solo l’eccedenza è pignorabile. Ad esempio, se sul conto ci sono €2.000 il giorno in cui arriva il pignoramento, i primi ~€1.616 non si toccano e solo €384 vanno al creditore. Questa protezione vale però solo per somme da stipendio/pensione e solo per il primo pignoramento (le somme versate dopo la notifica subiscono la trattenuta standard). Il TFR (trattamento di fine rapporto), liquidazione spettante al lavoratore, è pignorabile anch’esso con il limite di 1/5.

Cumulo di pignoramenti: se un debitore ha più creditori di natura diversa (es. uno stato, uno privato, uno alimentare), possono coesistere più prelievi. La legge però impone che complessivamente al lavoratore resti almeno il 50% dello stipendio. Quindi, nella peggiore ipotesi di tre pignoramenti contemporanei (uno per alimenti, uno fiscale, uno banca), il totale prelevato non potrà mai superare il 50%. Il giudice dell’esecuzione coordina i pignoramenti multipli per rispettare questo tetto.

Simulazione: Mario ha stipendio netto €3.000 mensili e subisce:

  • un pignoramento per credito bancario,
  • uno per cartelle esattoriali,
  • uno per assegno di mantenimento arretrato.

Il pignoramento bancario può prendere 1/5 = €600. Quello fiscale, essendo €3.000 >2.500, può prendere 1/7 ≈ €428. Quello per alimenti ha priorità e può arrivare fino a 1/5 (€600) ma in genere il giudice modula per garantire il minimo. In totale teorico sarebbero €1.628, che è il 54% dello stipendio – eccessivo. Il giudice dovrà ridurre il cumulo in modo che Mario conservi almeno €1.500 (50%). Quindi, ad esempio, potrebbe limitare il prelievo fiscale o privato per rientrare nel limite di legge.

Per il debitore queste regole significano che una parte del reddito è sempre salva, e che anche con molti creditori almeno metà stipendio è garantito. In contesti di sovraindebitamento, talvolta il debitore preferisce subire il pignoramento del quinto come “soluzione di fatto” (specialmente se ha un solo stipendio e nessun bene): in 5 anni il quinto erode l’equivalente del debito iniziale, dopo di che, non potendo pignorare oltre, molti creditori rinunciano. Tuttavia restano iscrizioni e interessi, e comunque il pignoramento prosegue finché il debito (aumentato di interessi legali/moratori) non risulta estinto, potenzialmente anche oltre 10 anni. Senza contare che se il debitore cambia lavoro, il creditore deve ripetere l’atto sul nuovo datore.

Un vantaggio delle procedure di sovraindebitamento è che bloccano i pignoramenti in corso e sostituiscono al prelievo del quinto un piano più organico (magari con rate minori). Ad esempio, presentando un piano del consumatore, Mario del caso sopra potrebbe proporre: “restituirò €900 al mese complessivi per tutti i creditori per 5 anni”, invece di subire ~€1.500 mensili di pignoramenti multipli. Se il piano è omologato, il giudice sospende i pignoramenti e Mario versa secondo il piano (in OCC o ai creditori come stabilito). Ciò rende la soluzione concorsuale spesso preferibile al pignoramento selvaggio, perché consente di rimodulare il pagamento in modo equilibrato.

Pignoramento di beni mobili, immobili e tutele sulla prima casa

Quando i debiti superano mezzo milione, è probabile che i creditori cerchino di attaccare beni di valore: immobili (case, terreni) o beni mobili registrati (auto, macchinari). Ecco le regole principali:

  • Beni mobili (non registrati): mobili in casa, gioielli, ecc. Il pignoramento mobiliare presso il domicilio è raro oggi (si recupera poco). Inoltre oggetti indispensabili al debitore e alla famiglia, abiti, letti, elettrodomestici di base, ricordi di famiglia, ecc. non sono pignorabili per legge (art. 514 c.p.c.). Pertanto, un creditore difficilmente insisterà su pignorare mobilio, a meno di pezzi di pregio (quadri d’autore, collezioni) noti.
  • Veicoli: autovetture, moto e simili possono essere pignorate tramite notifica al PRA. In realtà, la prassi comune per i debiti fiscali è il fermo amministrativo: l’Agente Riscossione iscritto fermo su un veicolo, impedendone l’uso legale (niente circolazione né passaggio di proprietà) finché non si paga il dovuto. Il fermo è preavvisato 30 giorni prima; scatta per debiti > €1.000. Non è una espropriazione, ma costringe il debitore a pagare se vuole riutilizzare/vendere l’auto. Il pignoramento vero e proprio dell’auto è più complesso e spesso antieconomico (vende all’asta auto usate rende poco). Dunque molti creditori preferiscono iscrivere ipoteche o aggredire conti/stipendi.
  • Immobili (case, terreni): qui entrano in gioco i valori maggiori. Qualunque creditore munito di titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo definitivo, cartella esattoriale) può iscrivere ipoteca giudiziale su un immobile del debitore e procedere a pignoramento immobiliare per metterlo all’asta. Esistono però alcune tutele specifiche sulla prima casa:
    • Un creditore privato (banca, fornitore, condominio) può pignorare anche la prima casa del debitore senza limiti. Non esiste nel codice civile un’esenzione per l’abitazione principale verso creditori ordinari. Se il debitore è proprietario di un immobile, questo è garanzia generica ex art. 2740 c.c. e può essere espropriato. L’unico limite per i privati può essere la convenienza: spesso una casa gravata da mutuo ipotecario viene pignorata solo dal creditore ipotecario; gli chirografari valutano costi/benefici. Inoltre il condominio ha privilegio sulle quote condominiali non pagate e frequentemente agisce sulle case.
    • Il Fisco invece ha restrizioni precise: per legge (D.L. 69/2013, “Decreto del Fare”) Agenzia Entrate-Riscossione non può pignorare l’unica casa di proprietà del debitore se vi risiede anagraficamente e se non è di lusso (cat. A/1, A/8, A/9 escluse). Questo significa che l’abitazione principale non di lusso, unica proprietà del contribuente è impignorabile dal Fisco. Tuttavia, ci sono condizioni:
      • Se il debito fiscale supera €120.000, l’Agente Riscossione può comunque iscrivere ipoteca sull’immobile. L’ipoteca su prima casa è ammessa (anche se non pignorabile), e serve a garantire il credito per il futuro.
      • Se il debitore possiede altri immobili oltre alla prima casa, la protezione salta: il Fisco potrà pignorare e vendere anche la casa di abitazione, non essendo più “unica”. Ad esempio, se Tizio ha due appartamenti (pur risiedendo in uno) e un debito fiscale, l’AdER può ipotecare e avviare esecuzione su entrambi (purché il debito > €120k per procedere alla vendita).
      • Anche quando la casa è unica e protetta, resta ferma la possibilità per il Fisco di agire su altri beni (stipendi, conti) e di iscrivere ipoteca come detto. L’ipoteca è un forte vincolo: impedisce di vendere la casa se non si paga il debito, e crea priorità per il Fisco su eventuale prezzo di vendita volontaria. Però finché il divieto di esproprio sussiste, l’AdER non può mettere all’asta la casa.
    Dunque, il debitore con grossi debiti fiscali che ha solo la prima casa ha un margine di sicurezza: il Fisco lo ipotecherà ma non potrà sfrattarlo e vendere la casa (salvo che il debito sia astronomico e ricorrano eccezioni di legge). Invece, se i debiti sono verso banche o altri, la prima casa non gode di quello scudo: la banca può pignorare casa (anzi lo farà certamente se c’è un mutuo impagato o una fideiussione rilevante).
  • Procedura del pignoramento immobiliare: il creditore che pignora casa notifica l’atto al debitore e deposita in tribunale. Si apre l’esecuzione e viene nominato un custode e un perito (per stimare il valore). Dopo eventuali istanze di conversione (vedi sotto) e tempi tecnici, si indice l’asta. Il ricavato d’asta, detratte spese, va ai creditori secondo grado (ipoteca 1°, ipoteca 2°, ecc., poi chirografari se avanza). Se il prezzo d’asta non copre tutti i debiti, il debitore rimane comunque obbligato per la differenza (nelle esecuzioni ordinarie non esiste automatica liberazione dal debito residuo come in alcuni ordinamenti esteri).

Strumenti di difesa del debitore nell’esecuzione:

  • Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): il debitore esecutato, prima che inizi la vendita, può chiedere di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro pari al credito azionato + spese. In pratica, può evitare l’asta pagando il dovuto. Può anche chiedere al giudice di pagare quella somma a rate (massimo 18 mesi). Deve però versare subito una cauzione di almeno 1/5 dell’importo. Questo strumento è utile se, ad esempio, il debitore riesce a ottenere liquidità vendendo privatamente un bene o ricevendo aiuti: evita il deprezzamento dell’asta giudiziaria.
  • Opposizione all’esecuzione (artt. 615, 617 c.p.c.): se il debitore contesta il titolo esecutivo (per esempio ritiene il debito prescritto, o che non deve nulla) può opporsi davanti al giudice dell’esecuzione. Ciò può sospendere o bloccare la procedura, se ci sono motivi fondati. Anche vizi formali nell’atto di pignoramento o nella notifica possono essere eccepiti con opposizione.
  • Istanza di vendita all’asta in perdita (art. 586 c.p.c. ultimo comma): dopo tre aste deserte, se il prezzo scende sotto certi limiti, il debitore può chiedere la chiusura anticipata dell’esecuzione per “eccessiva onerosità”. Questo per evitare che un bene venga svenduto a valori irrisori senza estinguere il debito (scenario che danneggerebbe sia debitore che creditori chirografari). La legge consente al giudice di chiudere l’esecuzione se il valore di mercato scende oltre un certo punto e su istanza motivata.
  • Interazione con procedure concorsuali: come più volte detto, se il debitore avvia una procedura di sovraindebitamento o un concordato preventivo, può ottenere la sospensione o l’estinzione dei pignoramenti in corso. Ad esempio, un pignoramento immobiliare viene dichiarato improcedibile se il debitore è ammesso al concordato preventivo (art. 168 L.F.) o alla liquidazione controllata (art. 270 CCII). Questo strumento può essere usato tatticamente: se la casa sta per essere messa all’asta e il debitore vuole salvarla offrendo un piano ai creditori, depositare la domanda di omologazione del piano del consumatore farà scattare la sospensione dell’asta ipso iure.

Protezione della prima casa – in sintesi: per i debiti fiscali la legge impedisce l’esproprio dell’unica casa non di lusso. Per i debiti privati, invece, l’unico scudo può essere costituire la casa in fondo patrimoniale o trust prima dei debiti, ma queste mosse se fatte in prossimità dell’insolvenza possono essere revocate come atti in frode. Non esiste in Italia una dichiarazione di “homestead” come in USA. Dunque, un privato molto indebitato che ha una prima casa libera da ipoteche rischia seriamente il pignoramento (es. da una finanziaria o da un creditore personale). Spesso, in situazioni del genere, la via del piano del consumatore può risolvere: si ottiene la sospensione, e si può prevedere nel piano di tenere la casa pagando gradualmente i creditori (magari offrendo loro la parte di valore eccedente il minimo). Se il piano però non è fattibile, e i creditori insistono, la casa potrà essere venduta in liquidazione controllata, ma con l’accortezza che, in sede concorsuale, il debitore può chiedere di riconoscere al proprio nucleo familiare un diritto di abitazione temporaneo nell’immobile, oppure utilizzare altre leve di giustizia equitativa (ad es. ottenere una parte del ricavato per affittare altra casa). Queste soluzioni non sono garantite, ma un buon OCC/gestore le può valutare.

In ogni caso, quando vi è un immobile di mezzo, la pianificazione è cruciale: agire per tempo, non aspettare l’asta imminente. A volte negoziare direttamente col creditore ipotecario (banca) è possibile: ad esempio, vendere privatamente l’immobile a un prezzo equo e usare il ricavato per pagare la banca e stralciare il residuo, rende più del 50% delle aste dove i prezzi sono ribassati. Molte banche accettano piani di “short sale” (vendita breve) dove il debitore cooperando evita la procedura e la banca rinuncia a parte del credito. Anche Agenzia Entrate-Riscossione se il debito è alto ipotecario può valutare soluzioni di saldo e stralcio soprattutto se l’immobile è invendibile (ma formalmente avrebbe bisogno di uno strumento quale la transazione fiscale in concordato).

Caso reale emblematico: un contribuente con cartelle esattoriali per €130.000 aveva come unico bene la casa di residenza. L’AdER iscrisse ipoteca (debito > €120k), ma non poté pignorarla essendo prima casa e unico immobile. Tuttavia, il contribuente possedeva anche un 25% di una seconda casa ereditata: per quel cespite, essendoci altro immobile, l’AdER avviò pignoramento dell’intera quota. Il debitore, per evitare la vendita della quota, avviò un accordo di composizione con i creditori (tra cui AdER stessa) offrendo il pagamento del 50% del debito in 36 rate, garantito dalla futura vendita volontaria della quota immobiliare. L’AdER aderì (anche perché preferiva incassare 65k senza aste né lungaggini) e l’accordo fu omologato. Il pignoramento fu sospeso e infine revocato con l’esecuzione dell’accordo. Questo mostra come anche il Fisco sia disposto a transigere nelle sedi opportune, benché formalmente non possa per legge pignorare la prima casa, potrebbe farlo su altre proprietà creando pressione sul debitore.

Debiti fiscali e contributivi: “saldo e stralcio” col Fisco, transazione e prescrizione

Un capitolo importante per chi ha grandi debiti è spesso costituito dalle cartelle esattoriali verso Agenzia Entrate-Riscossione (ex Equitalia) o debiti verso l’INPS. Questi debiti seguono regole proprie, ma possono essere inclusi nelle procedure di sovraindebitamento e nei concordati preventivi tramite lo strumento della transazione fiscale (art. 63 CCII).

Punti chiave:

  • Inclusione nel piano/accordo: la legge e la stessa Agenzia delle Entrate confermano che imposte, tasse e contributi possono essere ristrutturati all’interno delle procedure di composizione della crisi. Ciò significa che un piano del consumatore può prevedere, ad esempio, di pagare solo il 20% di una cartella esattoriale e stralciare il resto, purché vi sia rispetto delle regole concorsuali (principio di par condicio e convenienza rispetto alla liquidazione). Non esistono a priori crediti “intangibili” se si esclude l’IVA per cui in passato c’erano dubbi (risolti in senso favorevole al debitore dall’UE). Oggi anche l’IVA e le altre imposte rientrano nell’esdebitazione. La Corte di Giustizia UE ha espressamente vietato agli Stati di escludere intere categorie di debiti dall’esdebitazione (sentenza 08/05/2024, causa C-20/23) perché ciò contravverrebbe ai principi della direttiva europea sulle ristrutturazioni. Quindi niente veto su tributi: un debitore sovraindebitato onesto può essere liberato anche dai debiti fiscali e contributivi.
  • Transazione Fiscale (Concordati/Accordi grandi imprese): nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione c’è un istituto ad hoc – la transazione fiscale – che regola come trattare i debiti verso Erario e enti previdenziali. La transazione fiscale consente di proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, ma richiede l’adesione dell’ente o comunque il rispetto di certe soglie (ad esempio, nei concordati liquidatori puri si richiede almeno il 5% di pagamento sui tributi chirografari, sotto il quale l’AdE normalmente vota contro). Con le novità normative, ora l’Erario può anche rinunciare a parte dell’IVA in un concordato se ciò è conveniente, superando vecchie rigidità. Per il debitore questo significa che anche con il Fisco si tratta: non è più vero che “le tasse vanno pagate sempre al 100%”. Diversi concordati recenti hanno visto il Fisco accettare stralci del 40-50% su IVA e imposte, quando la relazione dell’attestatore dimostrava che in caso di fallimento avrebbe recuperato meno. Anche l’INPS accetta falcidie analoghe sui contributi (fermo restando che i contributi pensionistici dei dipendenti hanno privilegio ex art. 2751-bis c.c. e vanno soddisfatti almeno per la parte privilegiata se c’è attivo).
  • Definizioni agevolate (“rottamazioni”): negli ultimi anni il legislatore ha varato misure straordinarie, le cosiddette “rottamazione delle cartelle” e “saldo e stralcio”. Questi istituti consentono a tutti i contribuenti di chiudere i debiti con AdER pagando solo l’imposta senza sanzioni e con interessi ridotti (rottamazione) o addirittura solo una percentuale dell’imposta (saldo e stralcio, riservato a persone in difficoltà economica con ISEE basso). Ad esempio, la Rottamazione-quater (L.197/2022) in corso consente di pagare cartelle 2000-2017 senza sanzioni né interessi dilazionando in 18 rate fino al 2027. Un debitore con grossi debiti fiscali dovrebbe sempre verificare se rientra in queste agevolazioni. Al 2025 sono in chiusura le adesioni alle rottamazioni passate; si parla di una possibile “Rottamazione-quinquies” con piani fino a 120 rate (10 anni), ma al momento non ancora attiva. In parallelo, la Legge di Bilancio 2023 ha introdotto uno stralcio automatico dei debiti minori (<€1.000) affidati fino al 2015. Insomma, l’arsenale del Governo è ampio: chi ha debiti fiscali enormi dovrebbe valutare con un professionista se attendere eventuali “pace fiscali” future o sfruttare quelle attuali. L’adesione a una definizione agevolata non preclude le procedure concorsuali, ma ovviamente se si intende presentare un piano del consumatore e nel frattempo si è aderito a una rottamazione, bisognerà coordinarle (il piano dovrà rispettare quel pagamento, oppure si può recedere dalla rottamazione).
  • Rateizzazioni ordinarie: un’altra arma per alleggerire la pressione del Fisco è chiedere la rateazione amministrativa dei debiti. AdER concede piani fino a 72 rate (6 anni) per importi fino a €120.000 senza nemmeno documentare la difficoltà, e piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) per importi superiori, provando una situazione di grave crisi temporanea. Basta una PEC o istanza online per attivare la dilazione, che blocca nuove azioni esecutive finché si pagano le rate. La dilazione può coesistere con una procedura di sovraindebitamento (il debito dilazionato rientra nel piano, ma almeno temporaneamente non si subiscono pignoramenti). Spesso, prima di imboccare la via concorsuale, è sensato prendere tempo con una rateazione: ciò evita ipoteche e fermi e dà modo al debitore di organizzare un eventuale piano più strutturato.
  • Prescrizione dei debiti fiscali: un aspetto che un debitore (o il suo avvocato) dovrebbe sempre verificare è se parte dei debiti è prescritta. Le cartelle esattoriali hanno termini di prescrizione diversi a seconda del tributo (generalmente 10 anni per imposte erariali, 5 anni per multe e contributi, salvo atti interruttivi). Capita che su grosse esposizioni ci siano annualità ormai “vecchie” non più esigibili legalmente. Se così, si può ricorrere contro AdER per far dichiarare l’estinzione di quelle somme. Ciò ridurrebbe il monte debitorio. Ad esempio, su €500k di debiti di un imprenditore può darsi che €100k siano sanzioni INPS di oltre 5 anni fa mai notificate correttamente: un’opposizione potrebbe annullarle, e si resta con €400k. La prescrizione è tecnica e non sempre facile da far valere (AdER spesso contesta sostenendo che è decennale), ma soprattutto non c’è esdebitazione automatica per prescrizione: deve essere eccepita in giudizio. Quindi, un debitore oculato controlla ogni cartella con un esperto.
  • Sanzioni e interessi: nelle procedure concorsuali e nel sovraindebitamento, sovente si azzerano le sanzioni amministrative e si riducono gli interessi. Il Fisco tende a chiedere almeno il pagamento del tributo in sé (capitale), ma su sanzioni e aggi c’è più flessibilità. Ad esempio, un piano consumatore potrebbe prevedere: “saldo al 100% dell’IVA dovuta, stralcio integrale di sanzioni e interessi di mora”. Questo è generalmente accettabile. La Circolare 8/2021 dell’AdE invita i funzionari a valutare positivamente proposte in cui “il debitore offre tutto il valore liquidabile eccetto la parte necessaria a garantire il sostentamento proprio e della famiglia”: in pratica, se la falcidia è inevitabile, AdE preferisce prendere quel che c’è piuttosto che niente in un fallimento successivo.

Conclusione su debiti fiscali: sono spesso i più onerosi (per via di sanzioni e interessi) ma il quadro normativo attuale dà al debitore molti assi nella manica: dalla rottamazione, alla transazione nel concordato, fino alla possibilità di esdebitazione completa anche per l’IVA sancita da giurisprudenza ed UE. Il messaggio per un debitore con grossi debiti fiscali è che non esiste più il “debito eterno col Fisco”: con gli strumenti giusti può essere ridotto o addirittura cancellato in sede concorsuale, purché il debitore sia leale e realmente incapiente. Lo stesso vale per i debiti verso le banche: un accordo di ristrutturazione o un piano ben congegnato può convincere la banca a rinunciare a parte del credito (magari quello non coperto da garanzie) se vede che altrimenti incasserebbe meno in una liquidazione.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Si possono cancellare tutti i debiti senza pagarli?
R: Sì, in casi eccezionali. La esdebitazione è proprio la liberazione dai debiti residui non pagati nelle procedure concorsuali. Dopo aver completato un piano, un concordato o una liquidazione controllata, il giudice cancella il debito rimanente verso i creditori concorsuali. Inoltre, esiste la speciale esdebitazione “incapiente” in cui il debitore meritevole nullatenente ottiene subito la cancellazione di tutti i debiti senza pagare nulla, salvo l’obbligo di contribuire nei 4 anni successivi se sopraggiunge qualche entrata significativa. Fuori da queste procedure giudiziali, non c’è un meccanismo automatico per “annullare” i debiti: restano finché il creditore non li riscuote o li prescrive. Quindi occorre passare attraverso la legge: o un accordo con i creditori o le procedure sopra descritte.

D: Cosa succede ai debiti se muore il debitore?
R: I debiti si trasmettono agli eredi (salvo questi rinuncino all’eredità o la accettino con beneficio d’inventario per non rispondere oltre il valore dei beni ereditati). Se il debitore avvia una procedura di sovraindebitamento e poi muore in corso, la legge consente agli eredi di subentrarvi: il giudice può sospendere e dare tempo agli eredi di decidere se proseguire la procedura. Se essi continuano (per esempio per chiudere un concordato minore già impostato), beneficeranno dell’esdebitazione per i debiti del de cuius. Se invece non c’è procedura e il debitore muore, i creditori potranno rifarsi sugli eredi che hanno accettato. Attenzione: se l’erede è coniuge in comunione dei beni, i debiti contratti dal defunto durante il matrimonio potrebbero gravare sui beni comuni; la materia è complessa e va valutata caso per caso.

D: Posso finire in carcere per non aver pagato i debiti?
R: In generale no, il nostro ordinamento – come tutti i sistemi democratici – esclude la detenzione per debiti civili. L’art. 2740 c.c. prevede che il debitore risponde solo con i suoi beni, non con la libertà personale. Anche la Costituzione e le norme europee vietano la prigionia per debiti (salvo casi di obblighi alimentari o multe penali). Dunque il fallimento o il sovraindebitamento non portano il debitore in galera. Tuttavia, ci sono reati legati ai debiti: ad esempio, la bancarotta fraudolenta (distrazione di beni prima del fallimento) o l’evasione fiscale sopra soglie rilevanti sono reati che possono portare a condanne penali. Quindi, se il debitore insolvente commette atti illeciti (occultare beni ai creditori, frodi fiscali, truffe ai creditori, ecc.), può essere perseguito penalmente e in tali casi anche incarcerato a seguito di condanna. Ma non esiste una pena per il semplice fatto di “non aver pagato” un prestito o un mutuo.

D: I creditori possono pignorarmi la prima casa in cui vivo?
R: Dipende dal tipo di creditore. Se il creditore è un privato/banca, purtroppo sì: la legge non prevede esenzioni generali per la prima casa verso creditori privati. Quindi una banca con mutuo impagato può pignorare e far vendere all’asta la casa (anzi è il caso più frequente). Il Fisco, invece, non può pignorare la prima casa se è l’unico immobile di proprietà e vi risiedi anagraficamente (purché non sia casa di lusso). Questa tutela però non vale se possiedi altri immobili: in tal caso, anche la casa di abitazione diventa aggredibile dal Fisco. In ogni caso, il Fisco può iscrivere ipoteca sulla casa per debiti > €20.000, anche se non la pignora. Dunque, l’immobile rimane vincolato finché non saldi quelle imposte. Nel contesto di procedure concorsuali, c’è da aggiungere che se la casa è strumentale all’attività (es. un imprenditore agricolo con casa colonica) o se è necessario lasciarla al debitore per un periodo per favorire la sua riorganizzazione, il giudice può prendere provvedimenti ad hoc (ad esempio sospendere la vendita nel concordato). Ma in linea di massima, la prima casa non è intoccabile verso banche e finanziarie. Solo una trattativa, un piano o un rifinanziamento potrà salvarla se i creditori sono già al pignoramento.

D: Ho una cessione del quinto sullo stipendio: se faccio il piano, si blocca la trattenuta?
R: , il Codice equipara i prestiti contro cessione del quinto agli altri debiti chirografari. Pertanto, l’avvio di una procedura di sovraindebitamento sospende la trattenuta in busta paga del quinto e include il debito residuo nel piano. Questo può sorprendere, perché la cessione del quinto è un contratto irrevocabile per il datore di lavoro; però la legge speciale prevale: il giudice può disporre la cessazione della trattenuta per far confluire anche quel credito nel concorso generale. In pratica, il creditore della cessione diventa uno dei creditori chirografari nel piano/accordo, e prenderà la quota prevista come per gli altri (spesso subendo un taglio). Ciò è un grande vantaggio per il debitore: significa liberare immediatamente il 20% dello stipendio in più, da utilizzare magari per offrire un piano sostenibile a tutti i creditori. Dopo l’omologa, dunque, la rata del quinto non verrà più detratta. Se poi il piano dovesse decadere, il creditore potrà eventualmente chiedere di ripristinarla.

D: Quanto dura una segnalazione in CRIF/Centrale Rischi?
R: Le posizioni “a sofferenza” nei database creditizi (CRIF per i privati, Centrale Rischi Bankitalia per importi >30k) di norma permangono per un certo periodo anche dopo la definizione. In CRIF, una morosità grave resta 36 mesi dalla data di aggiornamento per mancato pagamento, ma se viene saldata (o chiusa tramite piano o esdebitazione) viene poi registrata come chiusa e rimane visibile per altri 24 mesi come “sofferenza risolta”. Nella Centrale Rischi Banca d’Italia, le sofferenze segnalate cessano al mese successivo a quello in cui la banca comunica la regolarizzazione o la perdita definitiva. Se i debiti sono cancellati per esdebitazione, la banca dovrebbe segnalarli come estinti a saldo zero (può aggiungere note interne di “stralcio”). In ogni caso, dopo 2-3 anni dall’azzeramento dei debiti, il debitore tipicamente torna “pulito” nelle banche dati creditizie. Attenzione: durante la procedura concorsuale, si viene segnalati come in procedura di composizione, il che blocca l’accesso al credito finché non si esce (con omologa e successiva esdebitazione).

D: I debiti verso ex coniuge per assegni di mantenimento o i debiti per multa penale possono essere esdebitati?
R: No, certi debiti di natura personale e pubblicistica sono esclusi dall’esdebitazione. In particolare:

  • Gli obblighi di mantenimento familiare (assegni di divorzio, alimenti a figli, ecc.) non rientrano nelle procedure: vanno pagati integralmente e non possono essere falcidiati. Se hai arretrati del genere, i creditori (es. ex coniuge) potranno sempre pretendere il dovuto per intero, anche dopo un piano.
  • Le sanzioni penali (ammende, multe derivanti da condanne) e in generale le sanzioni per reati non vengono di regola cancellate. Su questo il Codice non è esplicito ma l’interpretazione comune e la ratio inducono a escluderle: la punizione pecuniaria per un reato non può essere elusa con la procedura concorsuale.
  • Altre sanzioni amministrative (multe stradali, sanzioni per violazioni amministrative) in teoria rientrano e sono falcidiabili come normali crediti chirografari (il Codice non le esclude). Infatti le “multe” compaiono tipicamente tra i debiti ammessi. Quindi una multa stradale, se non pagata, può subire uno stralcio. Ma una multa penale no.

D: Cosa succede se non rispetto il piano o l’accordo omologato?
R: Se, dopo l’omologazione, non paghi le rate o le obbligazioni previste, entri in inadempimento. Piccoli ritardi o lievi scostamenti di solito non fanno decadere immediatamente, ma se l’inadempimento è significativo, il tribunale (su istanza dei creditori) può dichiarare la risoluzione del piano/accordo. A quel punto:

  • Nel piano del consumatore, la risoluzione comporta che i creditori riacquistano i diritti originari per la parte non pagata. In altre parole, torni debitore come prima (dedotto quanto versato) e i creditori potranno agire esecutivamente. Non c’è esdebitazione. Potresti però chiedere di convertire la procedura in una liquidazione controllata come ultima risorsa.
  • Nel concordato minore, la risoluzione viene dichiarata se non hai adempiuto regolarmente. Segue la possibile apertura d’ufficio di una liquidazione controllata oppure i creditori agiscono singolarmente. Anche qui niente esdebitazione per i residui, salvo successiva liquidazione.
  • Nella liquidazione controllata, se non collabori o nascondi beni durante i 3 anni, rischi la revoca dell’esdebitazione a fine procedura. Ossia, potresti concludere la liquidazione ma il giudice negarti la cancellazione dei debiti per comportamento malizioso.
    In ogni caso, l’omologa di un piano non ti protegge per sempre se poi non rispetti i patti: la procedura può essere annullata se risultano falsità o frodi (ad es., hai dolosamente gonfiato passività o nascosto attivi), oppure risolta per inadempimento. Quindi è cruciale proporre piani realistici e sostenibili. Meglio promettere di pagare il 20% e riuscirci, che il 50% e poi fallire.

D: Chi paga le spese dell’OCC e dell’avvocato? Quanto costa la procedura?
R: Le spese delle procedure di sovraindebitamento comprendono:

  • un compenso al Gestore/OCC (Organismo di Composizione) che ti assiste e predispone la relazione. Di solito è parametrato ai debiti e all’attività svolta, ma spesso l’OCC richiede un fondo spese anticipato di qualche migliaio di euro, specie per liquidazioni. Nelle linee guida ministeriali ci sono tariffe: ad es., per patrimoni modesti l’OCC prende poche migliaia di euro. In liquidazione controllata, il liquidatore è pagato come un curatore fallimentare, cioè a percentuale sul ricavato.
  • le spese legali del tuo avvocato: anche queste variano in base a complessità, ma aspettati almeno qualche migliaio di euro per essere seguito dall’inizio all’omologa.
  • spese procedurali (bolli, contributo unificato se dovuto – ma in sovraindebitamento non c’è contributo unificato, a differenza del concordato preventivo – ed eventuali spese vive per notifiche, ecc.).
    Spesso il debitore non ha liquidità per pagare upfront questi costi. La legge consente che gli importi vengano pagati nell’ambito del piano con precedenza. Cioè, l’OCC e i professionisti possono essere soddisfatti come crediti prededucibili all’interno del piano/accordo. Molti OCC accettano di essere pagati a esito, includendo il loro onorario tra le somme da reperire (ad es., con la vendita di un bene). Quindi è possibile avviare la procedura con un anticipo minimo (per spese vive) e poi remunerare i professionisti a omologazione avvenuta. Questo dipende dalla politica del singolo OCC locale. Ci sono fondi di solidarietà? La L.3/2012 prevedeva la possibilità di un fondo statale per sostenere i debitori meritevoli nelle spese di procedura, ma non è mai stato realmente attivato su larga scala. In pratica, il debitore deve in qualche modo trovare le risorse minime per avviare la pratica (anche chiedendo aiuto a familiari) – ma rispetto al passato, il costo è divenuto più abbordabile grazie alla procedura unificata e all’automaticità dell’esdebitazione.

D: Se ho un garante o un coobbligato (es. un amico ha firmato con me), la mia esdebitazione libera anche lui?
R: No, la liberazione dai debiti vale solo per il debitore che ha fatto la procedura. Un garante rimane obbligato in solido verso il creditore, e la sua obbligazione è distinta. Quindi, se tu ottieni un piano che paga il 30% dei debiti e poi vieni esdebitato, il creditore non potrà più chiedere nulla a te, ma potrebbe – in teoria – chiedere a chi ha garantito il tuo debito di pagare il restante 70%. Questo è chiarito espressamente dal Codice: i coobbligati e i fideiussori non sono liberati dall’esdebitazione del debitore principale. Infatti loro non sono parte della procedura. L’unica attenuante è: se il creditore ha partecipato alla procedura e incassato una percentuale, ovviamente chiederà al fideiussore solo la parte non ottenuta. Se il creditore non ha partecipato, la legge gli vieta poi di pretendere più di quanto avrebbe avuto partecipando. Esempio: hai un debito di €100k con garante; col piano paghi €20k (20%) al creditore, ed esdebitazione sul resto. Il creditore potrà chiedere al garante al massimo gli altri €80k. Se però il creditore non si è neppure presentato nella procedura e avrebbe avuto diritto al 20%, adesso può chiedere al garante solo quel 20% (perde l’80% come sanzione per non aver partecipato). Ma in generale, il garante rimane esposto. Soluzione: se possibile, includere anche il garante nella procedura – ad esempio se è un familiare convivente, fare una procedura familiare congiunta. Oppure, il garante potrebbe a sua volta avviare una procedura sua se viene escusso e non riesce a pagare.

D: Dopo l’esdebitazione, i creditori possono ancora infastidirmi o segnalarmi?
R: No, una volta ottenuto il decreto di esdebitazione, i creditori concorsuali non hanno più alcuna pretesa legale nei tuoi confronti. Il provvedimento va comunicato a tutti (di solito è notificato dall’OCC o dal cancelliere). Se un creditore tentasse ancora un recupero, potrai opporre il decreto. Da quel momento, i debiti si considerano estinti verso di te. Attenzione: se avevi dei debiti garantiti da ipoteca su beni di terzi (es. casa di un parente data in garanzia) o pegni su beni di terzi, l’ipoteca/pegno resta valido sulla cosa del terzo. Ad es., se tuo padre aveva ipotecato la sua casa per un tuo mutuo, la tua esdebitazione ti libera dal debito verso la banca, ma l’ipoteca sulla casa paterna resta e la banca potrebbe escutere l’ipoteca (agire contro il bene del terzo garante) finché il debito non viene pagato – anche se tu personalmente sei salvo. È una situazione particolare: la giurisprudenza sta valutando gli effetti dell’esdebitazione su tali garanzie; in fallimento ad esempio l’ipoteca rimane ma il creditore non può più agire contro il debitore, solo contro il bene ipotecato. Si tratta di casistiche tecniche. In generale, per il debitore persona fisica esdebitato, la vita torna normale: i vecchi creditori non possono più iscrivere ipoteche, né pignorare nulla, e l’esdebitato può anche tornare ad avere patrimoni senza timori (salvo, per l’incapiente, i 4 anni di possibili sopravvenienze da segnalare).

D: Dopo quanto tempo posso chiedere un’altra esdebitazione se ricado nei debiti?
R: Il Codice prevede un limite temporale: non si può ottenere l’esdebitazione se se n’è già beneficiato nei 10 anni precedenti. Quindi, se ad esempio sei stato esdebitato nel 2025, fino al 2035 non potrai accedere di nuovo alle procedure di sovraindebitamento. Questo per evitare un uso seriale. Fa eccezione il caso dell’esdebitazione incapiente: quella è concessa una sola volta in assoluto, senza possibilità di replica. Se hai azzerato tutto senza pagare nulla, non potrai mai più chiedere un beneficio simile. Mentre se hai fatto un piano con pagamento parziale e poi, sfortunatamente, dopo 12-15 anni ti ritrovi di nuovo sovraindebitato (può succedere per eventi avversi), trascorsi almeno 10 anni dalla precedente esdebitazione potresti accedere di nuovo.

D: Se ho creato i debiti per un comportamento “scellerato” (es. gioco d’azzardo, speculazioni), posso comunque accedere?
R: La legge richiede la meritevolezza, ossia di non aver causato il dissesto con colpa grave o dolo. Il gioco d’azzardo patologico è stato molto dibattuto: inizialmente i giudici negavano i piani a chi aveva dilapidato soldi al gioco (ritenendo fosse colpa grave). Più di recente, però, c’è un orientamento comprensivo: la ludopatia è riconosciuta come malattia che compromette la volontà, quindi in alcuni casi il debitore ludopatico è stato considerato non pienamente colpevole. Ci sono stati piani del consumatore approvati per debitori rovinati dal gioco, a patto che dimostrassero di aver intrapreso percorsi di cura (es. terapia) per non ricadere e che la famiglia fosse coinvolta nel monitoraggio. Invece, debiti contratti per speculazioni azzardate volontarie (es. investimenti finanziari ad alto rischio, shopping compulsivo di lusso senza basi) possono far dubitare della meritevolezza. Non c’è una regola rigida: se mostri di aver agito con superficialità ma non con intento fraudolento, e magari hai tentato in buona fede di rimediare (vendendo già dei beni, riducendo le spese), potresti comunque essere ammesso. La Cassazione ha detto chiaramente che va fatta una valutazione prognostica e globale: importa capire se dopo la procedura il debitore è in grado di gestirsi responsabilmente. Ad esempio, se uno continua a giocare durante il piano, certamente verrà giudicato non meritevole. Se invece ha reciso col passato e i debiti derivano da un periodo buio ora superato, c’è speranza di accesso.

D: Quali sono le sentenze più importanti recenti su questi temi?
R: Segnaliamo alcuni riferimenti giurisprudenziali di rilievo:

  • Cass. civ. Sez. I, 21 febbraio 2024 n.4622: ha stabilito che anche i creditori ipotecari possono essere pagati con significativa dilazione oltre 1 anno nei piani/accordi di sovraindebitamento, purché abbiano diritto di esprimersi sulla proposta. Ciò ha di fatto reso più flessibili le soluzioni, avvicinando il piano del consumatore al concordato preventivo quanto a possibilità.
  • Cass. civ. Sez. I, 19 luglio 2024 n.19964: ha chiarito che per l’esdebitazione del fallito (liquidazione giudiziale) non è ostativa la circostanza che certi creditori abbiano già ricevuto un pagamento parziale. Si discuteva se, avendo uno dei creditori recuperato qualcosa, ciò impedisse l’esdebitazione (interpretazioni restrittive volevano negarla se il fallito non aveva pagato “almeno qualcosa a tutti”). La Cassazione ha invece confermato l’orientamento che nessuna soglia minima di pagamento è richiesta per concedere l’esdebitazione, se il debitore è meritevole.
  • Cass. Sez. Unite 14 giugno 2018 n.15586: ha sancito in materia fallimentare il principio che l’esdebitazione spetta anche se i creditori chirografari non hanno ricevuto nulla, smontando vecchie prassi di merito che la negavano in casi di realizzo zero. Questo principio ora è pacifico e traslato anche nel Codice della Crisi.
  • Corte Giustizia UE (Seconda Sez.) 8 maggio 2024, causa C-20/23: ha dichiarato che gli Stati membri non possono escludere categorie di debiti dall’esdebitazione oltre a quelle tassativamente previste dalla Direttiva (cioè debiti alimentari, risarcimenti da illecito extracontrattuale e poche altre eccezioni). Ciò rafforza la tesi che debiti IVA e fiscali non possano essere esclusi per legge da piani o esdebitazioni. In Italia già la giurisprudenza l’aveva affermato (richiamando anche CGUE C-546/14 “Di Pinto”), ma questa sentenza aggiornata nel 2024 pone un paletto definitivo pro-debitore europeo.
  • Cass. 27 ottobre 2024 n.27562: ordinanza (menzionata prima) sul concetto di meritevolezza e “soddisfacimento simbolico”. La Suprema Corte, in relazione a un debitore incapiente, ha suggerito che un pagamento anche simbolico ai creditori denota buona fede e responsabilità. Ciò non significa che è obbligatorio pagare qualcosa, ma evidenzia l’aspettativa che il debitore non usi l’esdebitazione come un “colpo di spugna” senza alcuno sforzo. È una linea interpretativa che bilancia i diritti dei creditori: in casi futuri, i tribunali potrebbero condizionare l’esdebitazione pura alla presenza di un minimum (fosse anche il 1% del debito) salvo impossibilità assoluta.

D: Conviene affrontare la situazione da soli o farsi assistere da un professionista?
R: Dato l’alto tecnicismo e le implicazioni legali, è fortemente consigliato farsi assistere da professionisti esperti in crisi da sovraindebitamento. L’accesso stesso alle procedure richiede il coinvolgimento di un OCC (Organismo di Composizione) iscritto al Ministero, a cui normalmente ci si rivolge tramite un professionista (avvocato o commercialista) che prepara l’istanza. Un avvocato specializzato può aiutare a:

  • Valutare se esistono appigli per ridurre il debito (prescrizioni, nullità contrattuali, usura nei tassi, etc.).
  • Scegliere la procedura più adatta (piano vs liquidazione, concordato vs fallimento).
  • Negoziare eventualmente in modo stragiudiziale con alcuni creditori chiave prima di avviare la procedura (a volte convincere la banca a un saldo e stralcio bilaterale risolve molto).
  • Assistere nel predisporre il piano e raccogliere i documenti necessari (che sono molti: elenchi di debiti, di beni, certificati, attestati di valore, ecc.).
  • Rappresentare il debitore in eventuali udienze o cause (ad es. opposizioni dei creditori).
    Considerando che la posta in gioco è la libertà finanziaria futura, vale la pena investire in una buona consulenza. Gli OCC stessi spesso sono composti da commercialisti/avvocati che operano in sinergia col legale del debitore. Insomma, non affrontare un sovraindebitamento di 500k in solitaria: le chance di successo aumentano di molto con una strategia legale ben calibrata.

Conclusione: trovarsi con debiti oltre 500.000€ è una situazione grave ma non senza uscita. L’ordinamento italiano offre oggi soluzioni avanzate, frutto di un’evoluzione legislativa che riconosce come “il fallimento economico non è sempre colpa del debitore” e che dare una seconda chance ai debitori onesti è nell’interesse di tutti (debitori, creditori e sistema Paese). Il punto di vista del debitore deve essere improntato alla proattività e alla trasparenza: prima si affronta il problema, maggiori sono le opzioni. Ignorare i creditori, accumulare ritardi e sperare che “non facciano nulla” è comprensibile psicologicamente ma spesso controproducente – porta solo a pignoramenti e stress aggiuntivo. Al contrario, affrontare di petto la crisi rivolgendosi a professionisti, valutando un piano o un accordo, magari coinvolgendo i creditori stessi in una trattativa, può condurre a soluzioni sorprendenti.

Molti debitori hanno testimoniato che la procedura di composizione – per quanto impegnativa – è stata salvifica: si passa dalla disperazione di vedere i debiti crescere, le telefonate minatorie delle agenzie di recupero e l’angoscia per la casa o lo stipendio, a un percorso ben definito con l’aiuto di un organismo terzo (OCC) e la prospettiva concreta di uscire puliti in pochi anni. Come visto in casi reali (Lorenzo, Maria, ecc.), anche 500 mila euro di debiti possono essere azzerati con gli strumenti giusti. Non è facile né indolore, ma è possibile: occorre volontà da parte del debitore di cambiare rotta e fiducia nelle tutele offerte dalla legge. Questa guida, attraverso normativa, tabelle, sentenze e FAQ, ha cercato di offrire un quadro completo e aggiornato a giugno 2025 per orientare chiunque – privato cittadino, piccolo imprenditore o professionista – si trovi schiacciato da oltre mezzo milione di euro di debiti sul da farsi. La parola d’ordine è “non disperare”: informarsi, farsi assistere e agire razionalmente può trasformare una situazione apparentemente senza speranza in un percorso di ritorno alla solvibilità e alla serenità.

Hai accumulato debiti superiori a 500.000€? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Quando i debiti superano i 500.000 euro, il rischio di insolvenza, pignoramenti e responsabilità personali diventa concreto.
Che si tratti di debiti bancari, fiscali, verso fornitori o INPS, l’importante è non restare fermi: esistono strumenti legali efficaci per affrontare anche situazioni molto gravi.

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) prevede procedure mirate per ristrutturare il debito, bloccare azioni esecutive e salvaguardare la continuità dell’attività o il patrimonio personale.
Con il giusto supporto, è possibile negoziare, rateizzare, ridurre e in certi casi azzerare il debito residuo.

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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato specializzato in crisi da sovraindebitamento e diritto della crisi d’impresa
✔️ Iscritto come Gestore della crisi presso il Ministero della Giustizia
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Conclusione

Avere debiti oltre 500.000€ non significa che tutto sia perduto.
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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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