Hai ricevuto segnali di crisi nella tua impresa e ti stai chiedendo come continuare a gestirla senza peggiorare la situazione? Non sai se puoi ancora compiere operazioni di ordinaria o straordinaria amministrazione mentre valuti un percorso negoziale?
Nel Codice della Crisi d’Impresa, la gestione dell’azienda in fase di composizione negoziata è regolata da criteri ben precisi. È fondamentale sapere cosa può fare l’imprenditore in autonomia e quali atti richiedono il coinvolgimento dell’esperto per non compromettere la validità degli atti o incorrere in responsabilità personali.
Cosa succede alla gestione aziendale durante la composizione negoziata della crisi?
La composizione negoziata non è una procedura concorsuale ma un percorso volontario e protetto. L’imprenditore rimane alla guida dell’impresa, ma con l’affiancamento di un esperto indipendente. Questo significa che può continuare a svolgere le attività gestionali, ma con alcuni limiti e cautele.
Qual è la differenza tra gestione ordinaria e straordinaria in questa fase?
– Gli atti di gestione ordinaria (pagamento fornitori, stipendi, ordini ricorrenti, gestione della clientela, proseguimento delle attività produttive) restano di competenza dell’imprenditore e possono essere compiuti senza necessità di autorizzazione
– Gli atti di gestione straordinaria (vendita di beni aziendali rilevanti, assunzione di nuovi debiti, riduzione di capitale, cessione di rami d’azienda, modifiche statutarie) devono invece essere esaminati con l’esperto, il quale esprime un parere motivato
Cosa succede se l’imprenditore compie atti straordinari senza il parere dell’esperto?
Rischia che l’atto sia considerato inefficace o impugnabile, soprattutto se incide negativamente sulla situazione patrimoniale dell’impresa o sui diritti dei creditori. Inoltre, potrebbe rispondere personalmente di eventuali danni causati da scelte non condivise o non documentate correttamente.
Come si gestiscono i rapporti con i creditori in questa fase?
L’obiettivo della composizione negoziata è costruire una proposta sostenibile per riequilibrare la situazione. È quindi fondamentale:
– Non aggravare l’esposizione
– Non favorire un creditore rispetto agli altri
– Non assumere nuovi debiti senza un piano
– Informare i creditori della procedura in corso e cercare il dialogo
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa – ti spiega come gestire correttamente la tua attività in fase di composizione negoziata, evitando errori che potrebbero compromettere la riuscita del risanamento o aggravare la tua posizione.
Stai affrontando una crisi aziendale e vuoi sapere cosa puoi o non puoi fare mentre cerchi un accordo con i creditori?
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Introduzione
La crisi d’impresa è oggi affrontata in Italia mediante una serie di strumenti giuridici graduati, introdotti dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022). Tali strumenti mirano, ove possibile, al risanamento dell’azienda debitrice e, in alternativa, a regolare una liquidazione ordinata dei suoi beni. In sostanza, l’ordinamento privilegia soluzioni negoziali e conservative quando sussistono prospettive di recupero, riservando la procedura liquidatoria giudiziale (il “fallimento” in terminologia previgente) ai casi di insolvenza irreversibile.
Il nuovo Codice ha introdotto un “procedimento unitario” di accesso: l’imprenditore presenta un unico ricorso e sceglie lo strumento (o la combinazione di strumenti) più adatto, restando ferma la disciplina autonoma di ciascuno. Dal punto di vista del debitore, la scelta dipende da vari fattori: la gravità della crisi, la natura e dimensione dell’impresa, l’obiettivo perseguito (continuare l’attività, ristrutturare il debito, liquidare i beni) e il grado di consenso dei creditori che si può realisticamente ottenere. È essenziale comprendere pregi e limiti di ogni opzione per evitare passi falsi, responsabilità personali o sanzioni. Il Codice incentiva l’emersione tempestiva della crisi: utilizzare per tempo gli strumenti di allerta e composizione può evitare conseguenze più gravi, oltre a beneficiare di misure premiali (ad es. riduzione degli interessi sui debiti fiscali durante le trattative). Viceversa, ritardare eccessivamente l’adozione di soluzioni può configurare condotte abusive censurate anche dalla giurisprudenza (Cass., Sez. Un. 5605/2020 ha stigmatizzato l’inerzia che lascia aggravare irreversibilmente l’insolvenza).
“Gestione ordinaria e straordinaria in fase negoziale” – Cosa significa? In queste procedure il debitore, di regola, mantiene l’amministrazione dell’impresa (principio del debtor in possession). Tuttavia, l’ordinamento distingue tra atti di gestione ordinaria, che il debitore può continuare a compiere liberamente per la corrente amministrazione, e atti di gestione straordinaria, che in taluni casi richiedono una vigilanza o un’autorizzazione per tutelare i creditori. Ad esempio, durante un concordato preventivo il debitore non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice delegato (previo parere del commissario), pena l’invalidità di tali atti. Al contrario, in una composizione negoziata della crisi – fase essenzialmente stragiudiziale – l’imprenditore conserva pienamente la gestione sia ordinaria che straordinaria, ma con l’obbligo di informare e confrontarsi con l’esperto indipendente nominato, il quale può segnalare atti pregiudizievoli e persino iscrivere il proprio dissenso nel Registro delle Imprese se il debitore, nonostante l’avvertimento, persiste in operazioni che danneggiano i creditori. Si delinea dunque un equilibrio: il debitore in crisi rimane al timone della propria azienda, ma con doveri di correttezza e trasparenza rafforzati verso i creditori e gli organi coinvolti, specialmente per le decisioni straordinarie (es. vendita di beni, nuovo finanziamento, atti eccedenti l’ordinaria amministrazione).
Questa guida – aggiornata a giugno 2025 – offre un’analisi approfondita e sistematica degli strumenti di gestione della crisi d’impresa. Verranno esaminati in dettaglio i seguenti istituti della normativa italiana, introducendo per ciascuno: presupposti di accesso, funzionamento pratico, effetti sulle azioni dei creditori (es. sospensione dei pignoramenti), vincoli sulla gestione ordinaria/straordinaria dell’azienda durante il procedimento, documentazione richiesta, possibili esiti (accordo, omologazione, liquidazione), nonché i vantaggi, gli svantaggi e le responsabilità per il debitore. Saranno inoltre presentati casi pratici simulati, tabelle riepilogative per un confronto immediato delle caratteristiche chiave e una sezione di Domande&Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti. Al termine, si fornirà un elenco di fonti normative e giurisprudenziali di riferimento, comprensivo delle sentenze più recenti e rilevanti.
Di seguito analizziamo, uno per uno, gli strumenti di regolazione della crisi d’impresa in ottica “negoziale”: inizieremo da quelli preventivi e stragiudiziali (in cui l’accordo con i creditori è centrale) – come la composizione negoziata, i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione – per poi passare ai procedimenti concorsuali in senso stretto (il concordato preventivo in primis, con la sua variante “semplificata” post-negoziazione) ed infine accenneremo alla liquidazione giudiziale, quale soluzione estrema. Il tutto focalizzandoci sulle imprese (sono esclusi dal nostro perimetro dettagli sulle procedure di sovraindebitamento del consumatore, se non per raffronto) e privilegiando il punto di vista del debitore che cerca di gestire al meglio la propria posizione.
Composizione negoziata della crisi d’impresa
La Composizione Negoziata della Crisi è una procedura introdotta nel 2021 in via d’urgenza (D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021) e ora disciplinata dagli artt. 12–25 CCII. Si tratta di uno strumento volontario, confidenziale e stragiudiziale, attivabile su iniziativa dell’imprenditore commerciale o agricolo che si trovi in condizioni di squilibrio economico-patrimoniale o finanziario tali da far prevedere l’insolvenza, ma ancora reversibili con adeguate misure. In altre parole, vi si accede in caso di crisi incipiente o insolvenza probabile, quando l’impresa non è ancora al punto di non ritorno e sussistono ragionevoli prospettive di risanamento. L’obiettivo è anticipare l’emersione delle difficoltà e favorire soluzioni concordate con i creditori che evitino procedure concorsuali più traumatiche.
Chi può accedere e chi è escluso: Possono attivare la composizione negoziata tutti gli imprenditori commerciali e agricoli, inclusi quelli individuali e le PMI, senza requisiti dimensionali minimi (a differenza delle procedure concorsuali ordinarie che richiedono di norma il superamento delle soglie di fallibilità). Ciò significa che anche micro-imprese e ditte individuali possono fruirne. Sono invece esclusi:
- i debitori consumatori privati (non imprenditori), per i quali restano le procedure di sovraindebitamento ad hoc;
- gli imprenditori che abbiano già utilizzato procedure concorsuali poi sfociate in esito negativo;
- le imprese che sono già in liquidazione giudiziale (ossia già fallite) o che abbiano cessato l’attività in via definitiva.
In pratica, la composizione negoziata è pensata come strumento preventivo universale per l’imprenditore in difficoltà, grande o piccolo che sia, purché vi sia ancora un’azienda in attività e una chance di rimetterla in sesto.
Attivazione della procedura e documentazione necessaria
L’accesso avviene tramite una piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio (portale dedicato composizionenegoziata.camcom.it). La procedura per l’imprenditore è la seguente:
- Registrazione online sulla piattaforma e inserimento dei dati dell’impresa.
- Caricamento dei documenti richiesti, tra cui tipicamente: ultimi bilanci depositati, una situazione patrimoniale ed economica aggiornata, l’elenco completo dei debiti e crediti, un piano industriale o di risanamento semplificato (business plan) che illustri le linee guida per superare la crisi, eventuali attestazioni o relazioni di professionisti già redatte, ecc.. È fondamentale che la documentazione iniziale sia veritiera e completa: essa verrà esaminata per valutare la fattibilità del risanamento. (Nota: la qualità e trasparenza dei dati forniti incide sulla fiducia dei creditori e dell’esperto; informazioni false o lacunose possono compromettere l’esito e costituire in seguito fonte di responsabilità).
- Richiesta di nomina dell’esperto negoziatore: contestualmente al deposito della domanda, l’imprenditore richiede la designazione di un esperto indipendente. Entro breve termine (di norma 2 giorni lavorativi), il Segretario Generale della Camera di Commercio territorialmente competente nomina un Esperto Indipendente scelto da un apposito elenco nazionale di professionisti qualificati (in genere commercialisti, avvocati o consulenti con esperienza in ristrutturazioni).
Una volta nominato, l’esperto contatta l’imprenditore e verifica preliminarmente la situazione dell’impresa. Non vi è all’inizio alcun intervento del Tribunale, poiché la procedura è extragiudiziale: il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria avviene solo in caso di richiesta di misure protettive o di specifiche autorizzazioni durante il percorso. Ciò conferisce alla composizione negoziata il carattere riservato e informale: l’avvio non è pubblicizzato né inscritto nel Registro delle Imprese (salvo successiva pubblicazione di provvedimenti di protezione), per cui l’esterno non viene a conoscenza delle trattative in corso, preservando la reputazione aziendale.
Documentazione aggiuntiva e analisi iniziale: L’imprenditore deve fornire all’esperto qualsiasi ulteriore dato utile: ad esempio, elenco dettagliato dei creditori con importi e scadenze, descrizione delle cause della crisi (perdita di mercato, calo fatturato, crediti insoluti, ecc.), eventuali proiezioni finanziarie. Spesso è opportuno predisporre un piano di risanamento dettagliato o almeno uno schema di accordo da proporre ai creditori. Tutto questo materiale consentirà all’esperto di valutare se esistono concrete possibilità di risanamento. Se l’esperto, esaminati i dati, rileva subito che la situazione è irrimediabilmente compromessa (insolvenza conclamata senza prospettive), potrà darne atto, e l’imprenditore dovrà allora orientarsi verso procedure concorsuali (es. concordato o liquidazione). In caso contrario, si passa alla fase delle trattative.
Nomina e ruolo dell’esperto indipendente
L’esperto negoziatore nominato è figura chiave: un professionista terzo, indipendente e imparziale, con il compito di facilitare le trattative tra debitore e creditori e di valutare la sostenibilità delle soluzioni proposte. Egli non ha poteri gestori sull’azienda, ma funge da mediatore qualificato e supervisore: assicura la buona fede delle parti, stimola la ricerca di un accordo equo e attesta l’eventuale fattibilità di piani o proposte.
Importante: l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa durante la composizione negoziata. Ciò significa che non vi è spossessamento dei beni né sostituzione degli organi amministrativi. Tuttavia, la legge impone alcuni obblighi di condotta:
- L’imprenditore deve gestire l’azienda evitando pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività. In altre parole, durante le trattative non può aggravare la situazione con spese sproporzionate o scelte azzardate che compromettano ulteriormente la tenuta dei conti.
- Se l’impresa risulta già insolvente ma comunque con prospettive di recupero, l’imprenditore è tenuto a gestire nell’interesse prevalente dei creditori (concetto mutuato dalla direttiva UE: duty shift). Questo orienta le decisioni verso la massimizzazione della soddisfazione dei creditori, più che verso l’utile dei soci, in caso di conflitto.
- Per quanto concerne gli atti di straordinaria amministrazione (cessioni di beni importanti, nuovi finanziamenti, ipoteche, atti non rientranti nella normale attività corrente) l’imprenditore ha l’obbligo di informarne preventivamente per iscritto l’esperto. Analogamente, deve informarlo prima di eseguire pagamenti che non siano coerenti con le trattative in corso o con le prospettive di risanamento delineate.
- L’esperto, ricevuta informazione di un atto straordinario programmato, valuta se esso possa pregiudicare i creditori o il buon esito delle trattative. Se ritiene di sì, deve segnalare per iscritto il proprio motivato dissenso all’imprenditore (e all’organo di controllo della società, se esistente, come il collegio sindacale). Questa segnalazione funge da forte deterrente: è una sorta di “cartellino giallo” che sconsiglia vivamente di procedere con l’operazione.
- Se l’imprenditore, nonostante la segnalazione contraria, compie ugualmente l’atto straordinario, deve darne immediata comunicazione all’esperto. Quest’ultimo, entro 10 giorni, ha facoltà di iscrivere una dichiarazione di dissenso nel Registro delle Imprese, pubblicamente visibile, per mettere i terzi a conoscenza del fatto che quell’atto è stato compiuto contro il parere dell’esperto. Qualora l’atto pregiudichi effettivamente gli interessi dei creditori, l’iscrizione del dissenso diventa obbligatoria per l’esperto.
- Inoltre, se sono state concesse dal tribunale misure protettive (vedi infra), l’esperto che ha iscritto il dissenso deve anche segnalare l’accaduto al tribunale competente. Ciò può portare alla revoca delle misure protettive o ad altri provvedimenti.
In sintesi, nella composizione negoziata il debitore resta pienamente in sella, ma l’esperto vigila e rende conto delle scelte straordinarie: non può impedirle in via diretta (non avendo poteri di gestione), ma con le segnalazioni e l’eventuale pubblicità nel Registro Imprese crea conseguenze reputazionali e giuridiche rilevanti. Dal lato del debitore, questa struttura lo responsabilizza: atti compiuti in frode o in danno dei creditori durante le trattative saranno facilmente tracciabili e potranno incidere sulla sua buona fede, con possibili ripercussioni (ad es. nella successiva apertura di un fallimento, tali atti potrebbero essere revocati e l’organo giudiziario potrebbe valutarli negativamente anche ai fini penali). Dunque è nell’interesse stesso dell’imprenditore astenersi da atti inconsulti e confrontarsi lealmente con l’esperto.
Misure protettive e autorizzazioni del tribunale
Uno strumento cruciale che l’imprenditore può richiedere nell’ambito della composizione negoziata sono le “misure protettive”. Si tratta, in breve, di un blocco temporaneo delle azioni esecutive e cautelari dei creditori (pignoramenti, sequestri, ingiunzioni di pagamento, ecc.), volto a creare un periodo di tregua durante il quale poter negoziare senza l’assillo di aggressioni sul patrimonio.
Le misure protettive non scattano automaticamente con la presentazione della domanda di composizione negoziata, ma vanno espressamente richieste al tribunale competente. L’imprenditore può farne istanza già all’avvio della procedura sulla piattaforma, oppure in un momento successivo delle trattative se ritiene necessario tutelarsi da iniziative dei creditori. La richiesta si presenta con ricorso al tribunale corredato dalla documentazione e da una relazione che illustri la situazione e le prospettive di risanamento.
Decisione del tribunale: Entro 5 giorni dal deposito dell’istanza, il tribunale (in composizione monocratica) emette decreto sulle misure protettive. Per concederle, deve valutare che sussistano concrete possibilità di risanamento dell’impresa – in pratica che la procedura non sia futile – e che la protezione sia funzionale al buon esito delle trattative. Se accordate, le misure protettive tipicamente comprendono: la sospensione di tutte le azioni esecutive individuali sul patrimonio dell’imprenditore (nessun creditore potrà iniziare o proseguire pignoramenti durante il periodo), il divieto per i creditori di acquisire titoli di prelazione se non già concordati (es. niente nuove ipoteche volontarie) e la sospensione delle prescrizioni. Inoltre, su istanza, il giudice può sospendere specifiche obbligazioni in essere (ad esempio, contratti in corso, previo bilanciamento degli interessi in gioco).
La durata iniziale delle misure protettive è al massimo di 4 mesi, con possibilità di proroga su richiesta fino ad ulteriori 4 mesi (quindi complessivamente non oltre 8 mesi). Durante tale periodo lo “scudo” protegge l’impresa, dando respiro per portare avanti la negoziazione. Si noti che le misure protettive possono essere revocate anticipatamente se emergono circostanze negative (ad esempio se si scopre che l’imprenditore ha occultato informazioni o se l’esperto segnala atti pregiudizievoli nonostante il dissenso).
Accanto alle misure protettive, il tribunale può autorizzare in composizione negoziata alcuni atti di gestione straordinaria particolarmente importanti, su richiesta motivata dell’imprenditore e sentito l’esperto. Le principali autorizzazioni previste dal Codice durante la composizione negoziata sono:
- La possibilità di contrarre finanziamenti prededucibili (cioè che avranno privilegio di rimborso in caso di successivo fallimento) per sostenere l’attività durante le trattative. L’art. 22 CCII consente al debitore di chiedere al giudice il via libera a nuovi finanziamenti, se l’esperto attesta che sono necessari e funzionali a migliorare le prospettive di risanamento. Ad esempio, un prestito ponte per acquistare materie prime indispensabili all’esecuzione di ordini che porteranno liquidità.
- L’autorizzazione alla cessione dell’azienda o di rami d’azienda nell’ambito delle trattative (art. 23 CCII), eventualmente con la previsione che il prezzo incassato rimanga vincolato a garanzia dei creditori. Ciò può servire se vi è un acquirente che rileverebbe l’attività e il debitore intende utilizzarlo come soluzione di continuità (magari poi formalizzando un concordato). Il tribunale valuta che la cessione non pregiudichi i creditori e che anzi rappresenti la migliore opzione (in pratica, una vendita protetta e controllata, più vantaggiosa di una liquidazione fallimentare).
- L’autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione di alcuni contratti in corso (ad esempio contratti di fornitura troppo onerosi), mutuando la possibilità prevista poi nell’art. 96 CCII per il concordato. Questa facoltà è stata estesa col correttivo 2023/2024 per agevolare la rinegoziazione: il debitore può chiedere di sospendere temporaneamente l’esecuzione di determinati contratti, se ciò è necessario a evitare aggravio della crisi durante le negoziazioni.
Tutte queste autorizzazioni giudiziali richiedono il parere favorevole dell’esperto e l’indicazione che l’atto proposto non arreca danno ai creditori e si inquadra in una strategia di risanamento. Si noti che la richiesta di misure protettive e di tali autorizzazioni speciali può essere effettuata contestualmente all’avvio della composizione negoziata (nel medesimo ricorso iniziale), così da ottenere subito uno scudo e la flessibilità operativa necessaria a gestire la crisi.
In ogni caso, il ricorso alle misure protettive va ponderato: da un lato offre al debitore vantaggi (sospensione dei pagamenti coattivi), dall’altro costituisce un “segno esterno” della crisi poiché il decreto di concessione è pubblicato nel Registro delle Imprese e comunicato ai creditori. Molte imprese preferiscono tentare una breve fase di trattativa senza protezione formale per sondare il terreno, ricorrendo poi allo scudo giudiziale solo se qualche creditore minaccia azioni esecutive imminenti. Occorre infatti tenere a mente che durante la protezione il debitore è tenuto al rispetto rigoroso di eventuali condizioni poste dal tribunale e che gli atti di straordinaria amministrazione sotto protezione, se compiuti contro il dissenso dell’esperto, vanno segnalati al giudice (con potenziale conversione in liquidazione giudiziale ex art. 23 co.4 CCII in caso di abusi gravi).
Svolgimento delle trattative e possibili esiti
Ottenuto eventualmente lo “stand-still” dai creditori, l’imprenditore – affiancato dall’esperto – avvia le trattative vere e proprie. In questa fase tipicamente si svolgono:
- Incontri con i creditori principali, individuali o collettivi, per illustrare la situazione aziendale e le possibili soluzioni. L’esperto spesso presiede questi incontri, garantendo un dialogo costruttivo. Le trattative sono riservate: le parti possono sottoscrivere accordi di riservatezza.
- Due diligence da parte dei creditori: è possibile che alcuni di essi chiedano di visionare ulteriori dati (ad es. ordini in portafoglio, valori di mercato degli asset) per valutare la proposta. L’imprenditore con l’esperto tende a condividere le informazioni essenziali, compatibilmente con la riservatezza.
- Messa a punto di un piano di risanamento o ristrutturazione dettagliato: se inizialmente c’era solo un abbozzo, durante le negoziazioni il piano prende forma compiuta, incorporando eventuali concessioni o modifiche emerse dal confronto con i creditori (ad esempio, una banca chiede il rilascio di una garanzia aggiuntiva, un fornitore strategico pretende il pagamento integrale per continuare a fornire, etc.).
- Verifica costante dei presupposti: l’esperto monitora l’andamento: se emergono segnali positivi (i creditori chiave si mostrano disponibili, l’impresa regge operativamente) incoraggia a proseguire; se invece diventa palese che non si raggiungerà un accordo, può suggerire di interrompere e passare ad altre soluzioni concorsuali prima di perdere altro tempo.
La composizione negoziata può concludersi in vari modi:
- Raggiungimento di un accordo stragiudiziale con tutti o parte dei creditori. In tal caso, la procedura si chiude con esito positivo: l’imprenditore e i creditori sottoscrivono uno o più accordi contrattuali bilaterali (ad es. accordi di remissione parziale del debito, piani di rientro individuali, convenzioni di moratoria). Tali accordi non necessitano di omologazione giudiziaria e restano riservati. Se l’accordo copre la gran parte del passivo, l’impresa può ritenersi risanata. Occorre notare però che questi accordi, di per sé, vincolano solo i creditori aderenti: eventuali creditori estranei conservano i loro diritti intatti. L’imprenditore dovrà quindi fare in modo di soddisfarli integralmente o comunque di non lasciare posizioni scoperte che possano sfociare in azioni esecutive successive. Esempio: la società X ottiene che l’80% dei creditori (per valore) firmi accordi di ristrutturazione (taglio del credito del 30% e dilazione del resto); rimane fuori un 20% di creditori minori non coinvolti: X dovrà pagarli regolarmente o depositare somme a copertura, altrimenti quei soggetti potrebbero far fallire l’azienda nonostante gli accordi con gli altri. Per evitare questo rischio, spesso se anche un solo creditore rilevante non vuole aderire, il debitore si vede costretto a passare a uno strumento giudiziale che vincoli anche i dissenzienti (accordo omologato o concordato preventivo).
- Accesso a uno strumento concorsuale “regolato” in caso di accordo parziale o mancato accordo. La composizione negoziata è concepita anche come fase preparatoria: se non si riesce a chiudere tutto stragiudizialmente, l’imprenditore può, con il bagaglio di informazioni raccolte, imboccare tempestivamente una procedura concorsuale. Possibili sbocchi:
- presentazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR) ex art.57 CCII da omologare in tribunale, coinvolgendo i creditori che hanno aderito e “cram-down” sugli altri (v. oltre);
- predisposizione di un piano attestato di risanamento da pubblicare (se la maggior parte dei creditori è d’accordo individualmente, questa opzione può bastare, con i benefici di legge);
- deposito di un ricorso per concordato preventivo (ordinario o, se l’impresa è sotto soglia fallibilità, per concordato minore), per imporre un piano anche ai dissenzienti tramite il voto e l’omologa giudiziale;
- utilizzo, in caso di fallimento delle trattative ma con patrimonio liquidabile, del cosiddetto concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII), un particolare tipo di concordato senza voto riservato a chi abbia svolto la composizione negoziata (vedremo a breve i dettagli).
- Constatazione di irreperibilità di soluzioni e avvio della liquidazione giudiziale. Se emerge chiaro che l’impresa è insolvente e non vi è modo di salvarla, l’esperto può invitare l’imprenditore a prendere atto della situazione. Il debitore può quindi depositare istanza di propria liquidazione giudiziale (il “fallimento in proprio”, ora apertura di liquidazione ex art. 38 CCII), magari negoziando con i creditori tempi brevi e cercando di evitare azioni di responsabilità personali. In mancanza, saranno i creditori stessi o il PM a poter richiedere il fallimento. Da notare: il correttivo ter 2024 ha chiarito che la pendenza di una istanza di liquidazione giudiziale non impedisce di proseguire la composizione negoziata (e viceversa): ciò per favorire ogni tentativo sino all’ultimo. Tuttavia, se la composizione fallisce, è probabile che quell’istanza verrà accolta.
- Recesso dell’imprenditore: la composizione negoziata è volontaria; l’imprenditore può in qualsiasi momento decidere di interrompere le trattative e ritirarsi (magari perché nel frattempo risolve diversamente la crisi o vende l’azienda fuori procedura). Ovviamente, se aveva ottenuto misure protettive, la rinuncia comporta la revoca immediata dello scudo.
Indipendentemente dall’esito, alla conclusione l’esperto redige una relazione finale sulle attività svolte e sui risultati. Se c’è accordo, ne darà atto; se non vi è accordo, indicherà le cause del mancato successo e segnalerà eventuali condotte ostruttive o scorrette riscontrate.
Misure premiali: Per incentivare l’uso tempestivo della composizione negoziata, il legislatore ha previsto alcune agevolazioni per chi la intraprende in buona fede. Ad esempio, l’art. 25-bis CCII (introdotto dal D.Lgs. 173/2022) stabilisce che dal momento dell’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto gli interessi moratori sui debiti tributari dell’impresa sono ridotti al tasso legale e le sanzioni per ritardati pagamenti tributari restano sospese: ciò riduce il carico fiscale durante le trattative. Inoltre, l’accesso alla composizione non può costituire di per sé motivo per le banche di revoca degli affidamenti o di classificazione a sofferenza: i correttivi 2023 hanno esplicitato che gli istituti di credito devono collaborare e non peggiorare la posizione dell’impresa solo perché ha attivato lo strumento negoziale (pena sanzioni in caso di inadempienza a tali obblighi settoriali). Tali benefici decadono se poi l’impresa fallisce o se la procedura negoziata viene usata strumentalmente.
Vantaggi e rischi della composizione negoziata (per il debitore)
Dal punto di vista del debitore, la composizione negoziata presenta diversi vantaggi:
- Riservatezza e minimo impatto reputazionale: tutto avviene in modo confidenziale, fuori dalle cronache giudiziarie. I creditori vengono coinvolti solo se e quando necessario. Non vi è iscrizione iniziale né pubblicazione che l’azienda è “in composizione”, a meno di misure protettive. Questo consente di evitare il panico tra fornitori, clienti e dipendenti, tipico invece dell’apertura di un concordato pubblico.
- Assenza di spossessamento: l’imprenditore resta alla guida dell’impresa e ne conserva pieni poteri gestionali (sia pur con gli obblighi informativi verso l’esperto). Non subisce l’affiancamento di un commissario giudiziale né controlli invasivi sul merito delle scelte imprenditoriali quotidiane. L’esperto è un ausilio, non un amministratore: il debitore mantiene il controllo del destino aziendale.
- Flessibilità nelle soluzioni: la composizione negoziata non impone un format rigido di piano. L’imprenditore può proporre ai creditori qualunque tipo di intesa che ritenga sostenibile: piani di rientro graduali del debito, dilazioni, riduzioni (stralci) parziali, conversione del credito in capitale (equity), cessione di asset non strategici, ingresso di nuovi soci finanziatori, ecc. Può anche contemplare operazioni straordinarie come affitto d’azienda, cessione di rami, riorganizzazioni societarie, purché finalizzate al riequilibrio. Non essendo una procedura giudiziale, non esistono vincoli di legge su soglie di pagamento ai creditori (al contrario del concordato preventivo che richiede ad es. il 20% minimo ai chirografari se liquidatorio). Tutto dipende dal consenso negoziale: i creditori sono liberi di accettare anche soluzioni molto “creative” se le trovano convenienti rispetto alle alternative.
- Costi contenuti: la procedura in sé è gratuita (non si pagano bolli o contributi unificati per l’accesso). L’unico costo “interno” è l’esperto, la cui remunerazione è stabilita secondo un decreto ministeriale e in genere è di importo moderato rapportato alla complessità (variabile a seconda delle dimensioni dell’impresa e del tempo impiegato). Si aggiungono ovviamente i costi dei consulenti del debitore (avvocati, consulenti finanziari) se questi se ne avvale, ma tali costi sarebbero comunque presenti in qualsiasi percorso di risanamento. In ogni caso, i costi di una composizione negoziata sono ben inferiori a quelli di un concordato preventivo (in cui bisogna pagare il commissario, le spese giudiziali, eventuali attester relazioni più corpose, ecc.).
- Possibilità di ponte verso soluzioni giudiziali: come detto, la composizione può fungere da “ponte” verso strumenti più strutturati. In molti casi, infatti, le trattative condotte in questa fase preparano il terreno per un successivo concordato preventivo “prenegoziale” (cioè presentato con già un accordo di massima con alcuni creditori), aumentando le chances che il concordato vada a buon fine. Oppure possono preludere a un accordo di ristrutturazione omologato, già delineato con i principali creditori in composizione e poi formalizzato in sede giudiziale. In altri termini: nulla va perso, il lavoro fatto resta utile.
- Protezione dai pignoramenti (stay) se necessario: come visto, l’imprenditore può, quando opportuno, attivare la protezione del tribunale e congelare le azioni individuali. Questo consente di evitare che un singolo creditore impaziente faccia saltare il banco con un’esecuzione forzata, dando al debitore il controllo sul timing del negoziato.
- Possibilità di continuità aziendale anche tramite cessione: la composizione negoziata, per sua natura, è pensata per favorire la continuità dell’impresa. È ammesso anche che tale continuità si realizzi tramite il trasferimento dell’azienda a terzi (es. a un investitore) se ciò consente di salvare l’attività. L’art. 23 CCII infatti agevola la cessione d’azienda in composizione negoziata, prevedendo che il tribunale possa autorizzarla in deroga ad alcune formalità e garantendo che il ricavato vada ai creditori. In questo modo, se l’imprenditore non è più in grado di proseguire ma l’azienda in sé è valida, si può negoziare la sua vendita evitando la dispersione di valore che avverrebbe in fallimento.
- Impatto fiscale favorevole: non ultimo, vi è un profilo fiscale di rilievo: se dall’accordo scaturisce una riduzione dei debiti (ad esempio remissione del 40% dell’esposizione), il beneficio in termini di “sopravvenienza attiva” fiscale può essere esentato da tassazione qualora l’accordo rientri in un piano attestato pubblicato (vedremo oltre) o in altra procedura omologata. Nel caso specifico della composizione negoziata, la legge non prevede una esenzione automatica delle riduzioni di debito, trattandosi di accordi privati; tuttavia, il D.Lgs. 73/2022 ha esteso alcune misure premiali fiscali per le imprese che accedono alla composizione: in particolare, se successivamente viene aperta una liquidazione giudiziale, i debiti tributari sorti prima restano congelati a tasso legale durante la composizione e gli interessi/ammende non aggravano (art.25-bis CCII). Inoltre, con il correttivo 2024, è stata esplicitamente ammessa la possibilità di stipulare una transazione fiscale con l’Erario nell’ambito della composizione negoziata: l’art. 23 co.2-bis CCII (introdotto dal D.Lgs. 136/2024) prevede che l’impresa possa formulare una proposta di trattamento dei debiti fiscali e contributivi da sottoporre al tribunale per un vaglio, contestualmente al piano negoziale. In pratica, pur non essendo un’omologazione formale dell’accordo generale (che resta extra-giudiziale), si può ottenere un provvedimento che rende efficaci le intese fiscali raggiunte con il Fisco. Ciò risolve un problema applicativo: prima, l’Agenzia Entrate era restia a conclusioni puramente private; ora la legge consente di ottenere un decreto ad hoc che convalida la transazione fiscale anche in composizione negoziata. Nota: in sede di composizione negoziata, questa transazione non consente “cram-down” (imposizione) sul Fisco dissenziente, e non copre i contributi previdenziali (INPS) che restano fuori da tale facoltà. È comunque un’opzione in più per alleggerire il carico fiscale concordemente.
Accanto ai vantaggi, vi sono anche rischi e limiti da tenere presente:
- Perdita di tempo se improbabile: se la situazione dell’impresa è già compromessa al punto da non avere vere prospettive di risanamento, la composizione negoziata rischia di essere solo un rinvio dell’inevitabile fallimento. In quel frattempo, l’attivo potrebbe deteriorarsi ulteriormente (clienti persi, ulteriore indebitamento). Quindi è rischioso attivarla “con leggerezza” senza una diagnosi seria: si rischia di bruciare cassa e peggiorare la posizione dei creditori (con possibili responsabilità per l’amministratore). Occorre essere onesti nella valutazione iniziale: se non c’è reale prospettiva di risanamento, meglio saltare direttamente al concordato o alla liquidazione, evitando l’aggravio di insolvenza.
- Nessun effetto automatico sui creditori dissenzienti: come evidenziato, gli accordi che risultano dalla composizione negoziata vincolano solo chi li firma. Non c’è un effetto erga omnes generalizzato come invece accade col concordato omologato. Ciò significa che un singolo creditore non aderente può far fallire l’impresa se detiene una parte significativa del debito e pretende il pagamento integrale. Pertanto, il successo concreto di questa procedura dipende dalla volontà comune di praticamente tutti i creditori rilevanti. In presenza di creditori ostili o eterogenei (ad es. troppi piccoli creditori difficili da contattare), la composizione può rivelarsi inattuabile nella pratica.
- Nessun controllo giudiziario sul merito delle proposte: se da un lato la flessibilità è un vantaggio, dall’altro significa che non c’è un giudice che possa “imporre” un accordo equo. Tutto dipende dall’abilità negoziale e dal bilanciamento di potere contrattuale. Un debitore debole potrebbe vedersi costretto a concedere trattamenti sperequati pur di ottenere adesioni (es. pagare un creditore critico al 100% mentre altri accettano il 50%). Questa mancanza di par condicio formale può generare iniquità e anche rischi legali (potenziali contestazioni di violazione della parità, benché in sede extragiudiziale il concetto di par condicio fallimentare non si applichi rigidamente).
- Rischio di comportamenti opportunistici di singoli creditori: non essendoci una moratoria automatica salvo misure protettive richieste, un creditore può approfittare delle trattative per agire improvvisamente (es. ottenere un decreto ingiuntivo e pignorare conti) mettendo in scacco il negoziato. Anche con le misure protettive, queste durano poco e alla scadenza i creditori possono tornare all’attacco se non soddisfatti. Quindi il debitore è costantemente in una posizione di vulnerabilità se il fronte creditorio non è compatto.
- Esigenza di competenza e trasparenza: condurre in porto una composizione negoziata richiede notevole competenza tecnica (redazione di piani credibili, capacità di negoziazione) e massima trasparenza. Se l’imprenditore non si affida a professionisti esperti o se tenta di falsare i dati, la procedura fallirà e anzi peggiorerà la sua posizione (la perdita di fiducia pregiudica qualsiasi chance successiva). È dunque fortemente consigliato avvalersi di un avvocato e/o commercialista specializzato sin dall’inizio, pur non essendo formalmente obbligatorio.
- Esito incerto: non vi è garanzia che si arrivi a un accordo. Dopo mesi di sforzi, potrebbe concludersi con un nulla di fatto. Il tasso di successo di queste composizioni era inizialmente basso, ma sta crescendo (Unioncamere ha segnalato un aumento di imprese che raddoppiano il ricorso nel 2024 rispetto al 2023). In ogni caso, il debitore deve preventivare anche lo scenario in cui dovrà comunque ricorrere a un concordato o fallimento dopo aver tentato la via negoziale. Dovrà quindi evitare di aggravare la sua esposizione durante il tentativo (ad es. non accumulare troppi nuovi debiti nel periodo di trattativa).
- Impegno intenso richiesto all’imprenditore: la procedura è meno formale ma non per questo meno impegnativa: richiede tempo, energie, produzione di documenti in tempi stretti, riunioni frequenti con l’esperto e i creditori. L’imprenditore deve conciliare la gestione corrente dell’azienda (spesso già difficile) con questo straordinario sforzo negoziale. Ciò può essere stressante e va affrontato con la dovuta organizzazione.
Conclusione sulla composizione negoziata: È uno strumento innovativo e potenzialmente salvifico, consigliabile quando l’azienda ha ancora “qualcosa da salvare” – un core business sano, ordini in corso, mercati su cui riposizionarsi – ma è temporaneamente oppressa dai debiti. In tali frangenti, evitare di finire subito in tribunale e provare a trovare un accordo privato può mantenere intatto il valore aziendale e preservare i rapporti con stakeholders. La composizione negoziata conviene dunque attivarla tempestivamente, appena la crisi si manifesta in modo serio ma prima che degeneri in insolvenza conclamata. Se invece l’azienda è decotta, prolungare l’agonia con vane trattative peggiora solo la situazione. Molte volte la composizione negoziata è stata utilizzata con successo come trampolino per un concordato preventivo in continuità: grazie al lavoro preliminare con l’esperto, l’azienda arriva al concordato con un piano già discusso informalmente con banche e fornitori, ottenendo poi facilmente le maggioranze di voto. In altri casi, come vedremo, il fallimento delle trattative ha comunque aperto la strada a un concordato “semplificato” più rapido della normale bancarotta, consentendo di liquidare l’impresa senza le lungaggini di un fallimento e con un miglior risultato per i creditori.
(Segue una simulazione pratica di composizione negoziata nel Caso 3 in fondo alla guida)
Piano attestato di risanamento
Il piano attestato di risanamento è uno strumento stragiudiziale di più antica concezione, già previsto dalla legge fallimentare (art. 67 L.F.) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII. Rientra tra le misure di regolazione della crisi che non richiedono l’intervento del tribunale né il voto dei creditori, basandosi invece su un accordo sostanziale e volontario con questi ultimi. In breve, consiste in un piano di risanamento aziendale redatto dal debitore che versa in stato di crisi o di insolvenza reversibile, asseverato da un professionista indipendente (il c.d. attestatore) circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità degli obiettivi di risanamento, e accompagnato da accordi con i creditori funzionali all’esecuzione del piano.
La finalità è duplice:
- Consentire il riequilibrio dell’impresa fuori dalle aule di giustizia, mediante un insieme di azioni (finanziarie, industriali, patrimoniali) concordate con le parti coinvolte, in primis i creditori.
- Offrire al debitore alcune protezioni legali mirate, pur in assenza di procedura concorsuale: in particolare l’esenzione da revocatoria fallimentare per gli atti compiuti in esecuzione del piano e la non punibilità per taluni reati fallimentari (es. bancarotta preferenziale) in relazione a detti atti. Questi effetti “protettivi” scattano a condizione che il piano sia predisposto e attestato secondo la legge e abbia data certa anteriore all’eventuale fallimento.
Elementi costitutivi del piano attestato (art. 56 CCII):
- Un piano industriale/finanziario dettagliato, finalizzato al risanamento dell’impresa mediante il riequilibrio della situazione economico-finanziaria. Esso deve indicare le strategie operative (es. riduzione costi, dismissione di rami d’azienda, incremento di capitale, ricerca di nuovi soci, ristrutturazione del debito), corredate da numeri e tempistiche.
- La relazione di un attestatore indipendente, che deve espressamente attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano. L’attestatore è solitamente un commercialista o revisore esperto in crisi, designato d’accordo tra debitore e creditori chiave (o scelto dal debitore stesso). Egli compie le sue verifiche sulla situazione di partenza e sulle ipotesi future, rilasciando una relazione professionale. Questa relazione è il cuore che conferisce credibilità al piano verso i terzi.
- Gli accordi con i creditori: il piano in sé è un atto unilaterale del debitore, ma perché sia efficace occorre che i creditori vi aderiscano volontariamente con specifici accordi esecutivi. Ad esempio, ciascuna banca firma un accordo bilaterale di ristrutturazione del proprio credito (riducendo l’ammontare o dilazionandolo), i fornitori firmano accordi transattivi sul dovuto, i nuovi investitori sottoscrivono contratti di finanziamento o aumento capitale. Questi accordi devono essere coerenti col piano e funzionali al suo successo.
Procedura di formazione e pubblicazione: Non esiste un iter “ufficiale” predeterminato. Tipicamente l’iniziativa parte dall’imprenditore, che con l’ausilio dei suoi consulenti prepara una bozza di piano e avvia contatti riservati con i principali creditori per saggiare la disponibilità a ristrutturare il debito. Si tratta di una vera e propria trattativa privata: alcuni autori la descrivono come un concordato “privato”. Una volta raggiunto un accordo di massima con i creditori su come rimodulare le loro pretese, il debitore nomina un professionista indipendente (se non già fatto) per far attestare il piano definitivo. L’attestatore, completata la sua relazione, la consegna al debitore. A questo punto, debitore e creditori sottoscrivono formalmente i singoli accordi (ad esempio scritture private, accordi quadro, modifiche contrattuali) in esecuzione del piano. Infine, per dare al piano data certa e opponibilità, si provvede alla pubblicazione facoltativa del piano, della relazione di attestazione e dell’elenco dei creditori aderenti nel Registro delle Imprese. La pubblicazione non è obbligatoria per la validità del piano in sé (esso è efficace anche solo inter partes con le firme), ma è necessaria se il debitore intende godere appieno delle protezioni legali. In particolare, l’esenzione fiscale sulle sopravvenienze attive derivanti dai debiti annullati dal piano (art. 88, co.4-ter TUIR) si applica solo se il piano è pubblicato nel Registro Imprese. Analogamente, la data certa opponibile a terzi – fondamentale per la protezione da revocatoria ex art.166 CCII – si ottiene tramite la pubblicazione o altro mezzo equipollente (ad es. registrazione presso notai, PEC con marca temporale, ecc.). Dunque in prassi la pubblicazione viene effettuata quasi sempre subito dopo aver raccolto le firme.
Effetti e tutele per il debitore: Una volta che il piano attestato è in esecuzione:
- Gli atti unilaterali e i pagamenti che il debitore compie in attuazione del piano non potranno essere soggetti a revocatoria fallimentare nel malaugurato caso di un successivo fallimento. Ad es., se l’azienda paga un fornitore in esecuzione del piano, quel pagamento non sarà revocabile come preferenziale; se costituisce una garanzia ipotecaria concordata ad una banca durante l’esecuzione del piano, tale ipoteca non potrà essere revocata (purché l’atto sia espressamente contemplato dal piano attestato e avvenuto in periodo non sospetto rispetto alla pubblicazione).
- Gli amministratori e i fideiussori ottengono un’importante esenzione penale: non saranno punibili per il reato di bancarotta preferenziale (avere favorito taluni creditori a discapito di altri) o per bancarotta semplice per operazioni previste dal piano. Ad esempio, se nel piano si decide di pagare integralmente il fornitore X e zero il fornitore Y, in un fallimento normale ciò avrebbe potuto configurare una preferenza punibile; ma se ciò avviene in un piano attestato regolarmente pubblicato, l’art. 324 CCII esclude la punibilità di tale condotta.
- Dal punto di vista fiscale, come accennato, la riduzione dei debiti ottenuta col piano non viene tassata come sopravvenienza attiva nella misura in cui il piano è pubblicato. Questo è un incentivo significativo: ad esempio, se €1 milione di debiti vengono stralciati, quella riduzione teoricamente conterebbe come +€1M di ricavo tassabile; ma pubblicando il piano attestato, la gran parte (se non tutta) di tale ricavo straordinario è escluso da imposta, evitando di creare un nuovo debito fiscale che vanifichi lo sforzo.
- Nei confronti di creditori estranei (non firmatari), il piano attestato non ha efficacia coercitiva: costoro potranno proseguire azioni e pretendere l’integrale pagamento. Tuttavia, perché il piano funzioni, è indispensabile che i creditori “rilevanti” vi abbiano aderito. Se ad esempio un istituto bancario grande non aderisce, il piano difficilmente avrà successo perché quella banca potrebbe iniziare un’azione esecutiva. Pertanto, di solito si cerca di includere nel perimetro tutti i creditori principali e lasciare estranei solo soggetti marginali. La legge prevede comunque che l’attestatore nella sua relazione certifichi che l’esecuzione del piano assicura il pagamento integrale dei creditori estranei nei termini previsti. Questo è un requisito di legittimità: il professionista deve poter affermare che chi non aderisce non resterà danneggiato (verrà pagato integralmente alle scadenze naturali o a breve). Se ciò non fosse, il piano sarebbe a rischio di invalidazione (e i pagamenti eseguiti rischierebbero la revocatoria).
In sintesi, il piano attestato non impone nulla a nessuno, ma costruisce un quadro vantaggioso perché i creditori volontariamente aderiscano, rassicurati dall’attestazione indipendente e sapendo che gli atti saranno protetti. Funziona bene quando si riesce a ottenere un’adesione quasi unanime del ceto creditorio.
Quando utilizzarlo e vantaggi per il debitore
Il piano attestato di risanamento si rivela utile soprattutto in alcuni scenari tipici:
- Quando l’impresa ha pochi creditori di grande importanza (ad esempio 2-3 banche finanziatrici) e può negoziare con essi individualmente condizioni di ristrutturazione. In queste situazioni, un accordo privatistico magari è più rapido e semplice di un concordato che coinvolga centinaia di creditori.
- Quando il debitore dispone di nuove risorse o garanzie da immettere per convincere i creditori, tali da ottenere facilmente il loro consenso. Ad esempio, i soci sono disposti ad immettere liquidità fresca purché non si debba ricorrere al tribunale; oppure un fondo si dice disponibile a finanziare il rilancio se c’è l’accordo dei creditori. Un piano attestato può formalizzare il deal senza pubblicità e in tempi rapidi.
- Se la crisi è ancora allo stadio iniziale e l’imprenditore interviene con anticipo: in tal caso, spesso le banche preferiscono una soluzione negoziata riservata (ad es. rimodulare i finanziamenti) piuttosto che portare l’azienda in default conclamato. Il piano attestato permette di agire sotto traccia, evitando allarme nel mercato.
- Settori regolati o riservati: alcune società (penso ad es. alle società con concessioni pubbliche) temono che l’apertura di una procedura concorsuale faccia scattare decadenze o revoche di autorizzazioni. Un piano attestato, essendo solo un accordo privato, non fa scattare clausole risolutive tipiche legate al “fallimento”. È quindi preferibile, se fattibile.
- Stralcio fiscale limitato: nel piano attestato non è possibile imporre riduzioni su IVA o contributi senza l’assenso formale degli enti (a differenza del concordato che ora lo consente via cram-down). Tuttavia, se l’esposizione fiscale è modesta o l’Agenzia delle Entrate acconsente a un pagamento dilazionato (magari attraverso istituti deflattivi ordinari), il piano può includere anche i debiti fiscali. Il vantaggio è che per il debitore tutte le posizioni vengono sistemate in un colpo solo, in via negoziale.
Tra i benefici specifici per il debitore:
- Rapidità e semplicità: Non essendoci udienze né votazioni né atti formali da compiere in tribunale, il piano attestato può essere messo in piedi in pochi mesi (il tempo di predisporre il piano e ottenere l’attestazione). Ad esempio, se l’azienda ha una crisi di liquidità ma ordini in crescita, si può in 2-3 mesi definire il piano con le banche e ripartire. Un concordato avrebbe probabilmente richiesto almeno 6-12 mesi tra ricorso, adunanza dei creditori, omologa.
- Costo ridotto: Il costo principale è la parcella dell’attestatore e degli eventuali advisor. Ma non ci sono spese di procedura, né organi da retribuire, né contributi. Per PMI ciò è cruciale.
- Minimo impatto operativo: L’impresa durante il piano continua a operare senza interventi esterni. Non c’è un commissario, non c’è obbligo di annunciare ai clienti che si è in concordato. Ciò evita perdite di commesse o rescissioni di contratti dovute alla “paura” di una procedura concorsuale.
- Mantenimento dei rapporti contrattuali: Poiché non c’è una procedura pubblica, in linea di massima i contratti in corso (forniture, appalti) non vengono intaccati. Nel concordato, invece, alcuni contratti possono recedere o necessitare di autorizzazione del giudice per proseguire.
- Nessuna maggioranza legale richiesta: Non serve un quorum di creditori aderenti come negli accordi di ristrutturazione (dove serve il 60%). Anche una minoranza qualificata di creditori può consentire il risanamento via piano attestato. Ad esempio, se un solo creditore rappresenta il 50% del debito e accetta di riscadenzare, l’impresa può reggere anche se altri minori restano da pagare integralmente. In concordato questo non sarebbe possibile senza coinvolgerli tutti. Quindi c’è flessibilità: si può risanare anche con pochi accordi chiave, purché gli altri si possano pagare regolarmente.
- Protezione da revocatorie: come detto, il debitore (e soprattutto i terzi che contrattano con lui) è più tranquillo nel compiere atti di sostegno: ad esempio, un nuovo finanziatore può erogare fondi sapendo che quel finanziamento, se previsto dal piano attestato e funzionale al risanamento, non sarà revocato in caso di successivo fallimento. Ciò incoraggia gli investimenti nell’azienda in crisi.
Rischi e limiti
D’altra parte, il piano attestato presenta alcuni limiti importanti:
- Mancanza di vincolo sui dissenzienti: Già sottolineato, ma cruciale. Un creditore estraneo mantiene il diritto di ottenere il 100% e di agire legalmente. Dunque, il piano attestato funziona bene solo in contesti dove l’adesione è pressoché totale o dove il debitore ha comunque mezzi per soddisfare i non aderenti. Se, ad esempio, un fornitore non firmatario ha un credito del 5% totale ma l’impresa non ha liquidità per pagarlo per intero, quel fornitore potrà chiedere il fallimento. In tal senso, il piano attestato è fragile se non si costruisce un consenso ampio.
- Nessuno “stay” automatico: A differenza della composizione negoziata o del concordato, la presentazione e sottoscrizione del piano non sospende di diritto le azioni esecutive. Certo, se i principali creditori hanno aderito, è improbabile abbiano interesse a eseguire. Ma qualora un piccolo creditore voglia comunque procedere (magari perché non crede alla riuscita del piano), non c’è uno strumento giuridico per fermarlo se non convincendolo con la persuasione o pagando. Esiste uno strumento peculiare chiamato “convenzione di moratoria” (art. 62 CCII) che può, con maggioranza, estendere una moratoria ai dissenzienti di pari grado, ma è raramente usato e comunque distinto dal piano attestato.
- Requisiti formali stringenti: La validità del piano come scudo legale dipende dal rigoroso rispetto dei requisiti normativi: attestazione veritiera e completa, data certa anteriore all’eventuale dissesto, ecc. Se qualcosa è viziato (dati falsi, conflitto di interessi dell’attestatore, piano manifestamente irrealistico), il piano non proteggerà l’imprenditore. Anzi, un’attestazione infedele potrebbe esporre l’attestatore a responsabilità e l’imprenditore a conseguenze penali (false comunicazioni). Quindi bisogna “far sul serio”: no window dressing, il piano deve essere serio e basato su dati solidi.
- Fiducia e collaborazione indispensabili: Il piano attestato è letteralmente un “patto d’onore” tra debitore e creditori. Se non c’è fiducia reciproca, crolla. Richiede quindi un rapporto almeno non ostile: se i creditori non credono al management, difficilmente aderiranno solo perché c’è un attestatore. In situazioni di conflitto acceso, è preferibile il contesto giudiziale dove un giudice può imporre soluzioni.
- Nessun effetto esdebitatorio finale garantito: Nel concordato o nella liquidazione giudiziale, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) a fine procedura. Nel piano attestato non c’è un analogo istituto: semplicemente i debiti vengono ripagati secondo gli accordi. Se qualcosa dovesse andare storto e residuassero debiti impagati, non c’è una “discharge” automatica, se non eventuali transazioni individuali. Quindi per il debitore persona fisica, il piano attestato offre meno certezza di chiudere definitivamente la vicenda debitoria (è però anche vero che se riesce, non serve esdebitazione perché i creditori sono stati soddisfatti).
- Inapplicabilità diretta ai tributi locali e contributi senza accordo: Il Codice prevede la transazione fiscale nei concordati e accordi di ristrutturazione, ma non menziona espressamente il piano attestato se non per dire che può includere accordi con il fisco. In pratica, l’Erario deve aderire volontariamente. Se c’è un grosso debito IVA e il Fisco non sente ragioni, col solo piano attestato non si può imporgli un taglio. Questo è un limite: infatti spesso, per tagliare IVA o contributi, il debitore ripiega sul concordato (dove invece dal 2020 è lecito falcidiare l’IVA tramite transazione fiscale). Tuttavia, un escamotage possibile è inserire nel piano un accordo di transazione fiscale ex art.63 CCII, ma si torna nella sfera degli ADR e occorre omologazione per validarlo forzosamente.
In conclusione, il piano attestato di risanamento è uno strumento dall’elevata flessibilità, adatto ai casi in cui l’imprenditore riesca a costruire un consenso ampio senza passare dal tribunale. È particolarmente apprezzato nelle prassi di restructuring perché evita le rigidità e i riflettori delle procedure concorsuali. Il debitore dovrebbe considerarlo la prima scelta se: (a) ha già un accordo di massima con i creditori principali, (b) la crisi è gestibile con un piano credibile e risorse interne/di mercato, (c) desidera fortemente mantenere riservatezza e continuità senza stigma. Se invece i creditori sono troppi o disorganizzati, oppure se serve “costringere” qualcuno (come il Fisco o un holdout resistente), allora bisogna passare a strumenti con omologazione giudiziale.
(Si veda il Caso 1 in calce, dove un’impresa agricola utilizza un accordo di ristrutturazione su base di piano attestato per risollevarsi da una crisi evitando la procedura fallimentare.)
Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti rappresentano un istituto “ibrido”, a metà strada tra il piano attestato puramente privato e il concordato preventivo giudiziale. Previsti inizialmente dall’art. 182-bis L.F., oggi sono disciplinati dagli artt. 57-64 CCII, che ne hanno ampliato l’articolazione. In sostanza, un accordo di ristrutturazione è un accordo negoziato con una parte consistente dei creditori, formalizzato per iscritto, che viene poi sottoposto all’omologazione del tribunale al fine di renderlo vincolante e protetto anche verso l’esterno. Si differenzia dal piano attestato perché richiede di raggiungere soglie di adesione predeterminate (legge) e perché coinvolge il giudice in una fase finale di verifica e approvazione, pur non essendoci votazione come nel concordato. È insomma un accordo privato che però, grazie al decreto di omologa, acquista efficacia generale erga omnes in alcuni effetti (soprattutto rispetto ai creditori estranei, che pur restando fuori devono essere pagati secondo certe regole).
Il Codice della crisi distingue varie tipologie di accordi di ristrutturazione, innovando la disciplina previgente:
- Accordo “standard” (ordinario ex art. 57 CCII): è l’erede diretto del vecchio 182-bis L.F. Richiede l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti. Raggiunto tale quorum, il debitore può chiedere al tribunale di omologare l’accordo. I creditori che non aderiscono restano estranei: l’accordo non li vincola nel merito, però la legge impone che essi vengano soddisfatti integralmente entro certi termini brevi (tipicamente 120 giorni dall’omologazione, se chirografari, o alla scadenza naturale se anteriore). Questa è una novità del CCII rispetto al passato: per ottenere l’omologazione l’accordo deve garantire che chi è estraneo venga pagato integralmente e senza dilazioni significative. In pratica, i creditori dissenzienti non subiscono decurtazioni né attese oltre i 120 giorni. Ciò tutela fortemente le minoranze, a scapito però della flessibilità dell’accordo (non puoi omologarlo se prevede di pagare un estraneo parzialmente o in tempi lunghi). L’idea è: puoi costituire un accordo con il 60% dei creditori, ma il restante 40% devi comunque saldarlo fuori (o convincerlo a entrare).
- Accordo “agevolato” (art. 60 CCII): introdotto dal Codice recependo la Direttiva UE, consente di omologare un accordo con una soglia di adesione ridotta al 30% dei crediti. Tuttavia, pone condizioni stringenti: i creditori estranei in tal caso devono essere pagati **integralmente e senza alcuna dilazione (non solo entro 120 giorni, ma praticamente subito, senza poter prevedere moratorie per loro). Inoltre, l’accordo agevolato non può prevedere nuovi finanziamenti prededucibili (cioè non puoi far entrare soldi freschi protetti). In sintesi, questo strumento consente di ottenere l’omologa anche se solo un terzo dei crediti è d’accordo, ma a patto che il restante 70% non subisca alcun sacrificio (li paghi integralmente) e che non vi siano aspetti potenzialmente dannosi per essi come finanziamenti privilegiati. L’utilità? Può servire se pochi creditori chiave (es. banche) sostengono il piano e gli altri, sebbene non aderenti formalmente, vengono di fatto soddisfatti in toto. È un modo per rendere vincolante quell’accordo principale e chiudere la procedura con il sigillo del tribunale.
- Accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII, il cosiddetto cram-down di settore): è una figura innovativa che consente di estendere gli effetti di un accordo anche ai creditori dissenzienti appartenenti a una stessa categoria omogenea, purché i consenzienti in quella categoria raggiungano il 75%. Tipico esempio: accordo con il 80% delle banche → il debitore può chiedere al tribunale di estenderne gli effetti anche alle banche non aderenti, costringendole alle stesse condizioni concordate con la maggioranza. Questo risolve il problema del franco tiratore o holdout: se quasi tutte le banche sono d’accordo a ridurre il debito del 20%, la banca che rifiuta non può sabotare il piano perché, con l’omologa, sarà comunque vincolata a quel taglio del 20%. L’accordo ad efficacia estesa richiede:
- che i creditori siano suddivisi in categorie omogenee (tipicamente banche, obbligazionisti, fornitori, ecc.);
- che in almeno una categoria il 75% in valore abbia aderito;
- che i creditori della categoria dissenzienti abbiano caratteristiche giuridiche ed economiche analoghe ai consenzienti (non puoi mischiare mele con pere, insomma).
- che ai dissenzienti venga offerto almeno quanto otterrebbero in un’alternativa liquidatoria (test di convenienza, analogamente al concordato).
Se queste condizioni reggono, il giudice può omologare l’accordo estendendolo anche ai non firmatari di quella categoria. È uno strumento potentissimo per superare minoranze organizzate (es. un hedge fund che compra un credito e blocca l’accordo per ottenere più soldi: col 75% degli altri favorevole, non potrà più farlo).
- Accordo con transazione su crediti fiscali e contributivi (art. 63 CCII): la legge consente espressamente di includere negli ADR il trattamento dei debiti verso Erario ed enti previdenziali – la cosiddetta transazione fiscale e contributiva. In pratica, all’accordo vengono allegate le proposte di stralcio o dilazione di IVA, imposte, contributi, che devono ottenere l’adesione delle Agenzie fiscali e enti (Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione, INPS, etc.). Se tali enti aderiscono formalmente, i loro crediti pubblici possono essere falcidiati come gli altri e l’omologazione li perfeziona. La novità qui è l’introduzione del cram-down fiscale: dal 2020 in avanti (DL 125/2020, recepito nel CCII) si è stabilito che se il Fisco rifiuta ingiustificatamente ma l’accordo è comunque conveniente per l’Erario rispetto alla liquidazione, il tribunale può omologarlo lo stesso, imponendolo al Fisco dissenziente. Ad esempio, se il piano offre al Fisco 30% e in un fallimento il Fisco prenderebbe 5%, il giudice può dar corso all’accordo nonostante il “no” dell’Agenzia, ritenendo soddisfatta la convenienza (purché la mancata adesione del Fisco fosse determinante per non raggiungere il quorum). Si tratta di una norma di homologation forcée che bilancia il potere pubblico con l’interesse generale a ristrutturare. Da segnalare: con il terzo correttivo 2024 (D.Lgs. 136/2024) l’art. 63 CCII è stato riscritto ponendo alcuni paletti: se i debiti fiscali/previdenziali sono preponderanti, il cram-down fiscale è ammesso solo se il piano offre almeno il 60% del debito fiscale e comunque non meno del 50% delle imposte. Inoltre, è stabilito un termine di 90 giorni entro cui gli enti pubblici devono rispondere alla proposta; passato tale termine senza risposta, il silenzio vale come rifiuto e il debitore può chiedere l’omologa forzosa. Queste condizioni mirano a evitare proposte troppo penalizzanti per l’Erario (es. offrire 5% sarebbe inammissibile). L’idea è che lo Stato accetti tagli solo entro limiti ragionevoli e se effettivamente la liquidazione darebbe di meno.
- Convenzione di moratoria (art. 62 CCII): è un particolare accordo in cui una maggioranza di creditori accorda al debitore una moratoria temporanea dei pagamenti e ne chiede l’estensione ai dissenzienti. Si tratta di uno strumento di nicchia, che serve a congelare la situazione per guadagnare tempo (di solito preludio a un successivo accordo di ristrutturazione o concordato). Ad esempio, il 75% delle banche accetta di non escutere per 6 mesi, e il giudice estende la moratoria anche al 25% di banche contrarie, obbligandole ad aspettare. La convenzione di moratoria è poco utilizzata, anche perché già con le misure protettive del concordato prenotativo si ottiene un simile risultato. Ma è a disposizione.
Fase negoziale privata vs omologazione giudiziale: Il processo di un ADR può essere scomposto in due fasi:
- Fase privata di negoziazione: Il debitore elabora un piano di ristrutturazione (simile a un piano concordatario, ma senza vincoli formali rigidi) in cui indica come intende risanare e come pagherà i creditori. Con l’aiuto di un professionista (spesso lo stesso attestatore che poi servirà per l’omologa) negozia con i creditori chiave la loro adesione al piano. Non c’è commissario né giudice in questa fase: il debitore agisce in autonomia, assistito dai suoi consulenti. Quando riesce a ottenere le adesioni scritte necessarie a raggiungere la soglia (es. accordi firmati che coprono almeno 60% dei crediti), allora cristallizza il contenuto dell’accordo in un documento contrattuale e passa alla fase 2.
- Fase giudiziale di omologazione: Il debitore deposita in tribunale la domanda di omologa dell’accordo, allegando:
- il testo dell’accordo e/o gli accordi individuali con i creditori aderenti, firmati;
- la relazione di un professionista indipendente (attestatore) che certifica la veridicità dei dati e attesta che l’accordo è idoneo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori non aderenti (ossia che i dissenzienti prenderanno quanto dovuto nei termini di legge);
- l’elenco dei creditori e l’indicazione di chi ha aderito;
- l’eventuale proposta di transazione fiscale per i crediti pubblici, con le relative adesioni o la prova del rispetto delle soglie per il cram-down.
Effetti dell’omologazione: Un accordo di ristrutturazione omologato produce i seguenti effetti principali:
- I creditori aderenti sono obbligati secondo i termini pattuiti nei loro accordi: rinunciano alle azioni legali salvo in caso di inadempimento, accettano eventuali stralci e dilazioni, ecc.
- I creditori estranei (non aderenti), pur non avendo firmato nulla, beneficiano della tutela legale: devono essere pagati integralmente entro i termini previsti (come detto, 120 giorni dall’omologa per i chirografari, 30 giorni per i privilegiati, salvo che scadenze più brevi siano contrattualmente previste). Finché il debitore li paga così, essi non possono agire esecutivamente. Se invece si tratta di un accordo ad efficacia estesa, i creditori estranei della categoria soggetta ad estensione vengono vincolati alle medesime condizioni dei consenzienti: esempio, se l’accordo prevede che tutte le banche prendano 80% in 5 anni, anche la banca estranea dovrà accontentarsi di 80% in 5 anni. Ciò vale solo per le categorie coinvolte nell’estensione. I creditori estranei di categorie non coperte dall’accordo restano con diritto al 100%, ma in genere il piano li paga regolarmente.
- Pubblicità e blocco azioni individuali: L’omologazione viene pubblicata nel Registro delle Imprese e produce effetti simil-concordatari: dalla data dell’omologa, eventuali pignoramenti o azioni esecutive individuali in corso sui crediti oggetto dell’accordo diventano inefficaci, e non se ne possono iniziare di nuovi. In pratica, per i creditori coinvolti (aderenti o appartenenti a categorie estese), lo stay diventa definitivo: devono attendere i pagamenti secondo il piano e non possono aggredire il debitore a titolo individuale.
- Protezione provvisoria prima dell’omologa: Già con il deposito della domanda di omologazione, il debitore può chiedere misure cautelari di sospensione analoghe a quelle del concordato. Infatti, l’art. 54 CCII (richiamato per gli accordi) prevede che su istanza il tribunale possa sospendere le azioni esecutive e le istanze di fallimento nelle more dell’omologa, a tutela del procedimento in corso. Questa protezione cautelare è generalmente concessa se l’accordo appare sostenuto dalle percentuali richieste e non vi sono segnali di abuso. Funziona come uno “scudo temporaneo” durante i pochi mesi che intercorrono tra il deposito e la decisione del giudice. Se poi l’omologa viene negata, lo scudo decade e i creditori riprendono libertà di azione (salvo che nel frattempo il debitore opti per un’altra procedura).
- In caso di esito negativo dell’omologa: Se il tribunale rifiuta di omologare (ad es. perché un’opposizione è fondata, o manca un requisito) l’accordo non acquisisce efficacia vincolante. I creditori aderenti potrebbero comunque considerarsi impegnati su base contrattuale privata, ma perderanno i benefici legali (possibilità di terzi interventi). Di solito, il rigetto dell’omologa prelude a un cambio di strategia: il debitore può tentare di correggere il tiro e ripresentare un nuovo accordo, oppure spesso quell’insuccesso porta verso il concordato o la liquidazione giudiziale, specie se l’insolvenza è ormai conclamata.
Vantaggi per il debitore negli ADR:
- Maggiore forza contrattuale: avere la prospettiva dell’omologa consente al debitore di negoziare meglio, perché i creditori sanno che se si raggiunge la soglia di legge, l’accordo verrà reso efficace anche se loro non aderiscono. Ciò incentiva molti creditori ad salire a bordo piuttosto che restare fuori e rischiare di essere pagati più tardi (entro 120 giorni) e magari in toto ma senza benefici (si pensi a un creditore che se aderisce ottiene subito il 70% e mantiene il rapporto commerciale, se non aderisce viene sì pagato 100% ma forse dopo un anno e senza riprendere rapporti; potrebbe preferire aderire).
- Coinvolgimento mirato del tribunale: l’intervento del giudice è limitato alla fase finale e di controllo di legalità/convenienza. Non c’è la complessità del concordato con commissario, voti, classi obbligate. Per il debitore significa meno formalità e minore durata rispetto a un concordato (spesso l’omologa di un ADR avviene nel giro di 2-3 mesi dal deposito). È insomma una procedura più snella.
- Stay di protezione: depositando l’accordo (già con il 60% di adesioni) il debitore può ottenere la sospensione di eventuali procedure esecutive subito, evitando il collasso nel momento cruciale. E questo “ombrello” può coprire anche istanze di fallimento pendenti. Ciò è un paracadute rilevante: diversamente, un accordo privato, se un creditore non è d’accordo, potrebbe venire vanificato da un fallimento prima della formalizzazione.
- Nessun voto generalizzato: a differenza del concordato dove tutti i creditori votano, negli ADR il debitore sceglie con chi trattare. Questo consente di escludere dall’accordo categorie scomode o difficili (che verranno pagate integralmente). Ad esempio, escludere i debiti fiscali se non c’è accordo col Fisco, pagando quelli integralmente fuori, e includere solo banche e fornitori che aderiscono allo stralcio. In un concordato, invece, anche il Fisco voterebbe e potrebbe far fallire la proposta col suo no se non ottiene il 100%. La possibilità di “spezzare” il ceto creditorio e modulare l’accordo per zone è un vantaggio strategico.
- Minore pubblicità e stigma: sebbene l’accordo ADR sia pubblicato all’omologa, l’impatto reputazionale è minore di un concordato. In particolare:
- Non c’è fase interinale pubblica (nel concordato c’è dal deposito al voto un’ombra di procedura che può spaventare clienti e partner; nell’ADR la trattativa è riservata e solo a omologa avvenuta diventa pubblica – ma a quel punto è un fatto compiuto e positivo, perché l’impresa risulta “ristrutturata”).
- Non c’è la percezione di insolvenza conclamata: tecnicamente l’ADR presuppone sì uno stato di crisi o insolvenza, ma comunicativamente spesso si presenta come un accordo volontario con banche, quindi meno infamante di un fallimento evitato per un soffio.
- Possibilità di prededucibilità dei nuovi finanziamenti: l’art. 182-quater L.F. (ora art. 100 CCII) consente di chiedere al tribunale, anche contestualmente all’omologa, di dichiarare prededucibili (prioritari in caso di fallimento futuro) eventuali nuovi finanziamenti o apporti di denaro eseguiti in attuazione dell’accordo omologato. Ciò è essenziale per convincere banche o terzi a finanziare il piano: sanno che se poi andasse male, recupereranno prima di altri in un fallimento successivo. Questa assurance il piano attestato non la dà, l’ADR omologato sì.
- Transazione fiscale integrata: negli ADR il debitore può inserire la sistemazione di debiti fiscali, e grazie all’omologa e alle regole sul cram-down fiscale, può anche ottenere l’effetto di ridurre IVA, interessi e sanzioni sul debito erariale con validità generale. Questo prima era appannaggio solo del concordato; ora anche l’ADR offre questa via di soluzione del nodo fiscale, con notevole vantaggio per il debitore. Ad es., un’azienda può chiudere la crisi con accordo al 40% con le banche e contestualmente pagare il 30% di IVA, se il giudice valuta ok, evitando di dover fare un concordato.
- Modularità: come visto, esistono vari tipi di ADR. Il debitore può scegliere quello più adatto (es. accordo agevolato se proprio non riesce a ottenere il 60% ma ha liquidità per pagare i restanti subito; accordo ad efficacia estesa per piegare un paio di banche recalcitranti; convenzione di moratoria se vuole solo congelare i pagamenti per un po’ in attesa di vendere un asset…). Questa gamma di opzioni permette soluzioni su misura.
Rischi e considerazioni per il debitore negli ADR:
- Soglia di consenso non banale: Raggiungere il 60% (o anche il 30%) di adesioni può essere complicato se i creditori sono numerosi o disorganizzati. Il debitore deve investire molta capacità persuasiva. Se fallisce nel raccogliere firme sufficienti, la procedura non parte nemmeno. Quindi va valutata realisticamente la fattibilità: ho il 60% di creditori dalla mia parte? Se no, meglio puntare subito al concordato dove il 60% lo otterrei con classi e voti? Dipende dal contesto.
- Vincoli verso i non aderenti: Come visto, i creditori estranei devono essere pagati totalmente e rapidamente. Ciò comporta che il piano deve avere risorse adeguate per far fronte ai pagamenti cash dei dissenzienti. In alcuni casi questo è oneroso: se il 40% non aderisce, l’impresa deve avere liquidità o finanza per pagare quel 40% entro 120 giorni dall’omologa, altrimenti niente omologa. Questo può costituire un ostacolo, specialmente per imprese con poca cassa. Nel concordato invece potresti anche dare il 10% a tutti, dilazionato, se la maggioranza approva. Quindi, il vincolo di tutela integrale dei non aderenti può rendere il fabbisogno finanziario di un ADR molto elevato. (Il legislatore lo ha voluto per evitare eccessi, ma per il debitore è una sfida).
- Opposizioni dei creditori estranei: Anche se hai la soglia e garantisci loro il 100%, i creditori estranei possono comunque fare opposizione in tribunale, magari sostenendo che non verranno pagati regolarmente o che l’accordo li pregiudica (esempio: “meritavo interessi maggiori”). Ciò può ritardare e complicare l’omologa. Spesso i tribunali respingono opposizioni pretestuose, ma c’è un rischio di contenzioso. Nel concordato, invece, la minoranza dissenziente non può opporsi all’omologa se le maggioranze e condizioni sono rispettate (salvo casi di abuso). Quindi l’ADR può portare a un mini-processo se ci sono creditori litigiosi fuori.
- Costi e complessità comunque presenti: Pur essendo più snello del concordato, l’ADR richiede comunque di predisporre un piano, una attestazione professionale, e di passare dal tribunale. I costi dei consulenti e attestatori ci sono e possono essere significativi. È meno costoso di un concordato, ma non è gratuito come una trattativa privata pura. In particolare, se servono perizie per convincere sull’attivo o altro, vanno fatte con rigore. Quindi l’imprenditore deve mettere in conto un certo impegno economico.
- Rischio di fallimento in caso di omologa negata: Se l’ADR viene bocciato, l’azienda può trovarsi in posizione delicata. Spesso, il tribunale che nega l’omologa dichiara d’ufficio la liquidazione giudiziale se rileva insolvenza e mancanza di alternative. Ciò può succedere ad es. se un creditore oppone e dimostra che l’impresa è insolvente e l’accordo è inadeguato, il giudice potrebbe direttamente aprire il fallimento. Il Codice prevede la conversione d’ufficio in liquidazione se un accordo non omologato lascia l’impresa insolvente e senza prospettive. Quindi il debitore gioca un po’ un “all-in”: deve presentare un accordo sostenibile davvero, altrimenti rischia di affrettare la propria fine.
- Necessità di trasparenza assoluta: L’attestatore deve certificare che i dati sono veri e che i creditori estranei saranno soddisfatti regolarmente. Se per caso il debitore nasconde qualche buco o pendenza, e poi non paga un estraneo come promesso, questo potrebbe portare a revoca dell’omologa (per inadempimento sostanziale) o comunque a un fallimento con possibili accuse di frode. Dunque massima correttezza e praticabilità: un ADR farlocco può peggiorare la situazione.
- Limiti su nuovi finanziamenti (accordo agevolato): Se il debitore vuole utilizzare l’accordo agevolato (30%), non può prevedere nuovi finanziamenti prededucibili. Ciò significa che quell’opzione è sconsigliabile se l’azienda ha bisogno di liquidità esterna per sopravvivere (perché non potrà dar loro la prededuzione). In tal caso meglio puntare al 60% con prededuzione autorizzata, o al concordato dove i nuovi finanziamenti possono entrare con privilegio su autorizzazione (art.99 CCII).
- Interlocuzione con molte parti: un ADR è comunque frutto di contrattazione con più soggetti. Anche se il giudice poi ratifica, la fatica negoziale per il debitore è notevole – a differenza di un concordato dove prepara un piano unilateralmente e poi i creditori “solo votano”. Quindi serve capacità diplomatica e di convincimento. Non tutti gli imprenditori hanno la pazienza o la credibilità per condurre questo, e in quel caso un concordato (dove il giudice e commissario fanno un po’ da garanti) potrebbe paradossalmente aver più chance di successo.
In sintesi, gli accordi di ristrutturazione sono un ottimo strumento per ristrutturazioni finanziarie o miste in cui vi sia un sufficiente consenso tra creditori fondamentali. Offrono al debitore la possibilità di ristrutturare il debito in modo più consensuale rispetto al concordato, ma con la sicurezza aggiuntiva dell’omologazione giudiziale che dà efficacia anche contro eventuali opportunisti. Dal punto di vista del debitore, conviene perseguire un ADR se ha già coltivato buoni rapporti con i creditori e percepisce disponibilità al dialogo: ad esempio, spesso si utilizzano con successo quando ci sono pochi istituti di credito e questi, magari per evitare di dover svalutare crediti, preferiscono trovare un accordo concordato. Se invece il quadro creditorio è frammentato o molto conflittuale, un concordato potrebbe essere più indicato perché impone ai creditori una disciplina comune tramite il voto a maggioranza. La scelta va fatta caso per caso, valutando attentamente costi/benefici.
Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)
Tra le novità più rilevanti introdotte in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 (c.d. Direttiva “Insolvency”) vi è il Piano di Ristrutturazione Soggetto ad Omologazione, spesso indicato con l’acronimo PRO. Introdotto con il “secondo correttivo” del 2022, è disciplinato dagli artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII. Il PRO rappresenta, in termini sostanziali, un “quadro di ristrutturazione preventiva” puro: consente al debitore di sottoporre direttamente al tribunale un piano di risanamento unilaterale, senza aver necessariamente ottenuto prima l’accordo di una data percentuale di creditori, e di ottenerne l’omologazione anche nonostante il dissenso di una parte dei creditori, attraverso meccanismi di cram-down interclassista. In altre parole, è una procedura concorsuale che si colloca tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo: non richiede le adesioni minime di un ADR, ma prevede la formazione di classi e il voto dei creditori, similmente a un concordato – con la differenza che, nel PRO, la legge consente di superare il dissenso di intere classi di creditori a certe condizioni (cosa che nel concordato tradizionale non era possibile senza adesione di tutte le classi coinvolte).
In sintesi, il PRO è pensato per situazioni in cui il debitore ha un piano valido di ristrutturazione, ma non è in grado di ottenere preventivamente il consenso delle maggioranze qualificate richieste per un accordo di ristrutturazione. Per evitare che l’assenza di accordo pregiudichi il salvataggio, il debitore può comunque proporre il piano al giudice e provare ad imporlo tramite l’omologa forzata cross-class.
Caratteristiche principali del PRO:
- Accesso e presupposti: Il PRO è riservato a debitori in stato di crisi o insolvenza reversibile (non irreversibile), analogamente al concordato preventivo. Il debitore presenta ricorso al tribunale con un piano di ristrutturazione dettagliato e una relazione giurata di un attestatore indipendente che attesti veridicità dei dati e fattibilità del piano. Non è richiesto alcun quorum di adesioni iniziali dei creditori: il piano può essere presentato anche con zero creditori consenzienti, oppure avendo raccolto qualche assenso informale che tuttavia non raggiunge soglie particolari. Ciò fa del PRO un’arma quando il debitore prevede difficoltà a negoziare un accordo extragiudiziale, ma ritiene di poter convincere il tribunale e una parte dei creditori della bontà del piano.
- Classi di voto: Nel PRO il debitore deve suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica ed interesse economico, come avviene nel concordato. Ai creditori è richiesto di esprimere voto sul piano proposto. La differenza rispetto al concordato sta nel fatto che le maggioranze richieste e l’efficacia del voto sono modulati per consentire il cram-down: non serve l’unanimità di tutte le classi, ma basta il voto favorevole di una certa maggioranza di classi per procedere comunque.
- Omologazione nonostante dissenso (cross-class cram-down): Questo è l’aspetto fondamentale. Se il piano ottiene il voto favorevole di alcune classi chiave, il tribunale può omologarlo anche se altre classi votano contro. In base all’art. 64-ter CCII, l’omologa è possibile se:
- il piano è approvato da almeno la maggioranza delle classi votanti,
- e almeno una di queste classi favorevoli non è una classe di mero gradino inferiore (cioè non composta interamente da creditori “insider” o assimilabili a soci).
- Nessuna classe dissenziente deve ricevere meno di quanto otterrebbe in caso di liquidazione giudiziale (principio di best interest of creditors, test di liquidazione individuale).
- Il piano non deve discriminare in modo ingiusto le classi dissenzienti e deve rispettare la priorità relativa (salvo eccezioni giustificate) – in altre parole, non si può dare un pay-out a una classe inferiore migliore di uno a una classe superiore senza motivo.
- Il piano deve avere prospettive concrete di riuscita e sostenibilità a fronte del dissenso (il giudice valuta l’equilibrio complessivo).
- Contenuto del piano: Il PRO può prevedere qualsiasi misura di ristrutturazione d’impresa: ristrutturazione del debito (dilazioni, stralci), rimodulazione dei diritti dei creditori anche privilegiati (nel rispetto delle priorità assolute salvo consenso), conversione di crediti in capitale, vendita di beni, nuovi finanziamenti, riorganizzazione societaria, ecc.. Non c’è una rigida distinzione tra continuità e liquidazione come nel concordato: il PRO può essere misto, ad esempio con prosecuzione dell’attività e cessione di alcuni asset. Importante: nel concordato liquidatorio puro la legge impone di garantire almeno il 20% ai chirografari; nel PRO tale vincolo non c’è, perché è concepito come strumento di ristrutturazione flessibile e perché, se prevede liquidazioni di beni, di fatto rientra in un contesto di cram-down. Dunque, se il piano PRO è in continuità, può anche pagare i chirografari meno del 20%, purché rispetti il test di convenienza rispetto alla liquidazione. Se è in prevalenza liquidatorio, di regola bisogna comunque garantire qualcosa di significativo a tutti per convincere il giudice. Ma non esiste l’automatismo del 20% legale.
- Procedura: La procedura PRO ricalca per molti versi quella di un concordato: il tribunale, ricevuto il ricorso, lo apre e nomina eventualmente un commissario giudiziale per sorvegliare (spesso viene nominato se la situazione è complessa). Il debitore può chiedere misure protettive analoghe a quelle del concordato preventivo per bloccare le azioni esecutive durante la pendenza. I creditori vengono informati e chiamati a votare sul piano proposto (di solito in adunanza o con modalità comunicative simili al concordato). Se le maggioranze richieste per l’approvazione (o quelle sufficienti per il cram-down) sono raggiunte, si passa all’udienza di omologa in cui il tribunale verifica i requisiti e le eventuali opposizioni di creditori dissenzienti. Se le maggioranze non vengono raggiunte e il piano fallisce al voto, il tribunale può convertire la procedura in liquidazione giudiziale (di fatto dichiarare il fallimento dell’impresa), analogamente a quel che avviene se un concordato non ottiene i voti.
- Effetti dell’omologa: Una volta omologato, il piano PRO diventa vincolante per tutti i creditori delle classi coinvolte, compresi i dissenzienti e persino gli assenti. È un provvedimento con effetti analoghi a una sentenza di concordato omologato: obbliga tutti ai nuovi termini di pagamento, estingue le pretese ulteriori ecc. I creditori estranei (non interessati dal piano, ad es. perché deliberatamente tenuti fuori per pagarli a parte) devono comunque essere pagati integralmente fuori dal piano – tipicamente, se il debitore esclude qualcuno, lo fa perché intende soddisfarlo separatamente. Dalla pubblicazione dell’omologa, i creditori vincolati non possono agire esecutivamente come da regola concorsuale.
- Differenze pratiche rispetto al concordato: Il PRO è pensato soprattutto per ristrutturazioni finanziarie di imprese medio-grandi, dove magari l’ostacolo maggiore è negoziare con obbligazionisti o molte banche. Una differenza notevole è che nel PRO non votano i creditori privilegiati integralmente soddisfatti: il debitore può escludere dal voto classi di creditori che prevede di pagare al 100% (questi li considera “estranei pagati”, analogamente agli ADR). Questo consente di semplificare il voto alle sole classi interessate da modifiche. Inoltre, il PRO consente espressamente di derogare al principio di priorità assoluta se c’è consenso di determinate classi o se è funzionale al miglior esito (cosa che nel concordato era dibattuta): es., potrebbe consentire di far recuperare qualcosa ai soci se porta vantaggi generali. Non c’è la categoria legale dei “concordati in continuità vs liquidatori”: il PRO può combinare elementi di continuità e liquidazione come opportuno. In definitiva, il PRO offre più flessibilità e potere al tribunale: laddove il concordato è vincolato dai voti di tutte le classi, il PRO permette al giudice di decidere di far passare un piano se lo reputa equo nel complesso, anche con qualche classe contraria.
Vantaggi per il debitore
Il PRO offre alcuni vantaggi specifici per il debitore:
- Superamento di opposizioni minoritarie: Questo è il vantaggio per eccellenza. Un debitore che riesce a convincere la maggior parte dei creditori ma ha qualche oppositore (ad esempio un fondo speculativo o una banca ostile) può comunque portare a termine la ristrutturazione. Ciò riduce il potere di ricatto delle minoranze (holdout). In certe situazioni, i creditori frammentati possono fare ostruzionismo per ottenere condizioni migliori; col PRO, se il piano è equilibrato, non possono più costringere il debitore al fallimento loro malgrado. Esempio: un’impresa con 4 banche: 3 accettano 70%, la quarta rifiuta volendo 100%. Nel vecchio concordato, se la classe banche votava e la quarta aveva peso sufficiente, poteva bocciare il piano; col PRO, se le 3 banche costituiscono una classe e approvano, la quarta sarà vincolata comunque purché prenda >=70% o quanto avrebbe preso dal fallimento.
- Più appeal per investitori e finanziatori: Sapere che esiste uno strumento per imporre la ristrutturazione rende più attraente investire nell’impresa in crisi. Ad esempio, un fondo che valuta di immettere capitale nuovo può essere più propenso se c’è la ragionevole certezza di poter concludere la ristrutturazione senza incognite di veto da parte di creditori; il PRO offre questa certezza condizionata. Ciò può aiutare il debitore a reperire finanziamenti e sponsor.
- Possibilità di risanare anche con consenso iniziale ridotto: a differenza dell’accordo di ristrutturazione dove devi convincere almeno il 60% prima di depositare, qui puoi partire anche con un consenso parziale o nullo. Se il debitore non riesce a negoziare fuori dal tribunale, non è costretto al fallimento subito: può confidare nel percorso PRO per formare il consenso durante la procedura e usare il peso del tribunale come leva. Questo strumento fu pensato proprio per i casi di stallo negoziale: il legislatore UE voleva dare un’uscita.
- Niente soglie legali di soddisfacimento (salvo convenienza): Non c’è l’obbligo di garantire un 20% minimo ai chirografari come nel concordato liquidatorio. Il debitore deve però dimostrare che i creditori non ottengono meno del fallimento. Se il dissesto è grave e il patrimonio scarso, può teoricamente offrire anche percentuali molto basse ai chirografari, purché nessuno contesti che in fallimento avrebbero preso ancora meno (se, ad esempio, in fallimento prenderebbero zero, offrire il 5% è lecito e anzi vantaggioso per loro). Questo amplia la gamma di ristrutturazioni possibili.
- Deroghe a regole societarie rigide: Il PRO può includere misure come aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, conversione forzata di crediti in partecipazioni, ecc., che normalmente richiederebbero consensi dei soci. In sede PRO, il tribunale può autorizzare anche contro il volere di eventuali soci recalcitranti (in Italia questo è un po’ limitato perché tutela della proprietà, ma la direttiva spingeva in quella direzione). Di fatto, il PRO consente una ristrutturazione anche dell’assetto proprietario, se serve, con taglio di partecipazioni e ingresso di nuovi investitori – il tutto con l’avallo giudiziale se i soci attuali non collaborano. Questo è un vantaggio per l’impresa intesa come entità produttiva, magari a scapito degli attuali proprietari, ma dal punto di vista del salvataggio aziendale è un plus.
- Protezione interinale: Come il concordato, il PRO consente di ottenere subito misure protettive. Il debitore può fermare i creditori dal giorno di deposito, ottenendo così il beneficio di tempo per attuare il piano. Ad esempio, può sospendere azioni esecutive e anche bloccare l’eventuale spronare di garanzie. Questo crea un ambiente controllato entro cui realizzare operazioni straordinarie (che anch’esse possono essere autorizzate dal giudice similmente al concordato, es. finanziamenti prededucibili o vendite urgenti con autorizzazione).
- Trattamento creditori privilegiati modulabile: Nel PRO il debitore può decidere di lasciare i privilegiati fuori (pagandoli integralmente) oppure includerli se vuole ristrutturarli, sottoponendoli a voto se intende falcidiare o dilazionare oltre i limiti. In un concordato, i privilegiati formalmente non votano se prendono 100%, ma se li vuoi falcidiare devi includerli in classi e ottenere il loro voto. Nel PRO, se li vuoi falcidiare li includi in una classe e se ottieni il sì di almeno una classe non insider e rispetti la regola che nessuno prende meno del valore di liquidazione, potresti persino imporgli il taglio anche se quella classe ha votato no (questo è un aspetto delicato e va verificato con la regola di priorità assoluta – in genere se i privilegiati votano no ma i chirografari sì, potrebbe essere omologato solo se ai privilegiati si dà almeno il 100% del valore sottostante le garanzie; ma se quell’importo è inferiore al loro credito nominale, si tratta di falcidia con attestazione del valore).
- Adesione di soci/trattamento equity: Nel PRO si può intervenire sul capitale sociale (es. cancellare quote dei soci attuali). Ciò consente soluzioni dove i creditori si convertano in azionisti o nuovi soci subentrino. Questo è un vantaggio rispetto al concordato, in cui queste operazioni sono possibili ma di fatto vanno fatte fuori dal concordato o con adesione dei soci (che in un concordato non sono obbligati a subire diluizioni, salvo un piano concordatario che preveda aumento di capitale sottoscritto da terzi e i soci decidano di non ricapitalizzare, allora vengono diluiti di riflesso – però non c’è mai stata imposizione diretta sui soci in concordato preventivo). Nel PRO, teoricamente, una classe di soci potrebbe essere crammata down se necessario (ad esempio azzerare le vecchie quote se i soci non apportano nulla, come condizione per l’ingresso di nuovi investitori, cosa che il giudice può autorizzare).
Rischi e limiti
Sebbene potente, il PRO ha anche rischi/limiti:
- Procedura complessa (quasi come un concordato): Di fatto il PRO è un mini-concordato ultra-tecnico. Serve predisporre un piano dettagliato, classi, relazione attestatore, gestire il voto dei creditori, affrontare eventuali opposizioni. Per il debitore, l’onere organizzativo e di costi è equiparabile a un concordato (in più c’è la complessità aggiuntiva di giustificare il cram-down interclasse). Quindi non è affatto “più semplice” di un concordato standard, anzi, a livello legale può essere più complicato e innovativo (quindi con possibili incertezze interpretative).
- Incertezza dell’esito: Più che nel concordato classico, qui il giudice ha ampi poteri discrezionali. Il debitore può trovarsi ad aver convinto alcune classi, ma non tutte, e starà al tribunale decidere se omologare. C’è un margine di imprevedibilità: non c’è giurisprudenza consolidata (strumento nuovo) e i parametri di “non ingiusta discriminazione” e “migliore interesse dei creditori” possono essere soggettivi. Quindi il debitore naviga un po’ a vista su come reagiranno i giudici.
- Possibile maggior conflittualità: Sapendo i creditori che possono essere crammati down, potrebbero essere molto più aggressivi in giudizio per opporsi, portando la disputa a un livello di litigiosità alto (ricorsi, reclami). Il processo di omologa PRO rischia di divenire lungo e costoso se ci sono opposizioni sostanziali (più del concordato, dove se la maggioranza approva, l’omologa è quasi automatica salvo irregolarità).
- Coinvolgimento dei soci: sebbene vantaggioso poter tagliare fuori soci inattivi, per l’imprenditore-socio può essere un contro: in un concordato l’imprenditore-socio manteneva potere se metteva finanza esterna o comunque poteva opporsi ad aumenti di capitale diluitivi; nel PRO rischia di perdere la propria azienda se il piano prevede l’ingresso di nuovi soci e la cancellazione delle vecchie quote. Dunque, a seconda che guardiamo al debitore persona o all’impresa, questo può essere un rischio: l’imprenditore deve essere pronto a cedere il controllo se necessario.
- Applicabilità limitata: Il PRO, per ora, sembra pensato per imprese medio-grandi con strutture di debito complesse (tipicamente società con obbligazionisti, banche, maybe bondholders internazionali). Per PMI il PRO potrebbe essere sproporzionato: se ho 4 creditori, faccio prima a un concordato minore o un accordo. Non a caso, PRO e direttiva UE si rivolgono a prevenire insolvenze di società dimensionate. Quindi un limite pratico è la scala: per piccole imprese, PRO non conviene per costi e complessità, e potrebbero neanche essere ammesse se “non fallibili” (ad es. imprenditore agricolo non può fare concordato preventivo e credo nemmeno PRO; il PRO è riservato ai soggetti fallibili).
- Necessità di affidarsi al tribunale: A differenza di ADR e piani attestati dove il debitore cerca soluzioni fuori dal tribunale, il PRO è comunque una procedura concorsuale giudiziale, con pubblicità, nominativi sul registro, etc. Quindi comporta la dichiarazione al mondo che sei in insolvenza (anche se non irreversibile). Questo può avere impatti su contratti (es. clausole di insolvenza in contratti di fornitura, appalto, potrebbero attivarsi – benché la normativa cerchi di limitarne l’efficacia). E per l’operatività quotidiana, il commissario vigilante e il giudice delegato staranno a controllare atti di straordinaria gestione analogamente al concordato (nel PRO il debitore è in possesso ma sotto vigilanza, e soggetto a autorizzazioni per atti straordinari analoghe: art. 94 e 95 CCII in quanto compatibili).
- Sanzioni per abuso: Similmente al concordato, se il debitore usa il PRO solo per prendere tempo e poi fallisce, può incorrere in accuse di aggravamento del dissesto o bancarotta per operazioni dolose. Quindi deve muoversi con correttezza. Non è un safe harbour da responsabilità, va condotto con la stessa diligenza di un concordato.
- Scarsa esperienza applicativa: Essendo nuovo, pochi tribunali italiani avevano (al 2025) omologato PRO. Ci possono essere incertezze su aspetti tecnici (ad esempio: cos’è classe “non insider”, come definire esattamente il trattamento equo tra classi dissenzienti, etc.). Il debitore che percorre questa via naviga in un territorio giuridico in evoluzione, dove la Cassazione non si è ancora pronunciata. Ciò può essere rischioso se capitasse davanti a interpretazioni restrittive.
In conclusione, il PRO rappresenta un significativo passo avanti nell’arsenale del debitore, in linea con la normativa UE: consente di gestire ristrutturazioni complesse con un meccanismo di imposizione ai dissenzienti prima impensabile nel nostro ordinamento (eccetto i casi di accordi di ristrutturazione con cram-down fiscale, molto più limitati). Dal punto di vista del salvataggio aziendale, è uno strumento potentissimo. Per il singolo imprenditore, va maneggiato con attenzione e con l’assistenza di advisor di alto livello, data la complessità. Probabilmente troverà applicazione nei concordati di gruppo o in imprese con architetture finanziarie sofisticate, mentre le PMI continueranno a preferire concordati preventivi tradizionali o accordi semplificati.
(Nota: Ad oggi, varie pronunce di merito hanno iniziato a interpretare il PRO. Ad esempio, Cass. Sez. I, 12 aprile 2023 n.9730 – sul cd. concordato semplificato post-composizione negoziata, con rinvio analogico al criterio del COMI per competenza – richiama in parte i principi concorsuali generali applicabili anche al PRO. L’evoluzione giurisprudenziale è in corso e va monitorata.)
Concordato preventivo (e “concordato minore”)
Il concordato preventivo è storicamente la procedura regina per la regolazione concorsuale della crisi d’impresa in sede giudiziale. Anche nel nuovo Codice esso rimane centrale, disciplinato dagli artt. 84-120 CCII, ed è lo strumento col quale il debitore, divenuto insofferente ai propri debiti ma desideroso di evitare la liquidazione fallimentare, propone ai creditori un piano formale per regolare la propria posizione. Una volta approvato a maggioranza dalle classi di creditori e omologato dal tribunale, il concordato preventivo diviene vincolante per tutti i creditori anteriori (efficacia erga omnes), permettendo all’impresa di ottenere un “fresh start” se lo esegue correttamente.
In parole semplici, il concordato preventivo è un accordo concorsuale giudiziale: concorsuale perché coinvolge tutti i creditori in un’unica procedura, giudiziale perché si svolge sotto l’egida del tribunale, con organi nominati (commissario, giudice delegato) e con un controllo di legittimità e merito da parte del giudice.
Il concordato preventivo si contrappone storicamente al fallimento (ora liquidazione giudiziale) perché è volto al risanamento o comunque a una soluzione concordata col debitore, anziché imposta. Oggi ne esistono vari tipi e sottotipi, ma concettualmente due grandi forme:
- Concordato in continuità aziendale: dove l’impresa prosegue la propria attività (direttamente o indirettamente) e usa i flussi generati per pagare i creditori secondo il piano.
- Concordato liquidatorio: dove l’impresa cessa l’attività e liquida tutto il patrimonio, distribuendone il ricavato ai creditori. Ha finalità simili a un fallimento ma con l’iniziativa e la proposta del debitore e con alcune regole diverse (ad esempio necessità di un apporto esterno minimo, soglia del 20% ai chirografari, ecc.).
Esiste poi il concordato minore, introdotto per i debitori non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, start-up, ecc.) che ricalca il concordato preventivo ma con alcune semplificazioni (ad esempio, nei concordati minori i creditori votanti chirografari devono approvare col 60% anziché maggioranza semplice, e la procedura è snellita). In questa guida, focalizzata su imprese, per concordato preventivo ci riferiremo principalmente a quello per imprenditori “maggiori”; segnaleremo ove opportuno le differenze col concordato minore.
Forme di concordato: continuità vs liquidatorio
Il Codice distingue principalmente due forme di concordato preventivo in base alla natura del piano:
- Concordato in continuità aziendale (art. 84 co.2 CCII): il piano concordatario prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa, sia essa diretta (la stessa impresa debitrice prosegue l’esercizio) o indiretta (l’azienda viene ceduta o affittata a un altro soggetto che la continua). In ogni caso, una parte significativa dei creditori verrà soddisfatta attraverso i proventi derivanti dalla continuità (ad esempio utili futuri, o corrispettivo di cessione d’azienda in esercizio). Il concordato in continuità è finalizzato a salvaguardare i valori produttivi, i posti di lavoro e il know-how dell’impresa, nella convinzione che mantenendo vivo il business i creditori ottengano migliore soddisfazione rispetto a una pura liquidazione. Normativamente, il concordato in continuità consente alcune flessibilità aggiuntive (ad es. la possibilità di moratorie nel pagamento dei creditori privilegiati fino a 6-12 mesi dall’omologa, e perfino la falcidia di crediti privilegiati se attestato che prendono almeno quanto in liquidazione e con voto favorevole della classe).
- Concordato liquidatorio (art. 84 co.3 CCII): il piano prevede esclusivamente la cessione del patrimonio del debitore e la sua liquidazione per soddisfare i creditori. L’attività d’impresa di norma viene cessata (salvo esercizio provvisorio funzionale alla vendita), i dipendenti licenziati e un liquidatore nominato dal tribunale (di regola il commissario giudiziale stesso che prosegue da liquidatore dopo l’omologa) vende i beni singolarmente o in blocco. È simile a una procedura fallimentare ma con alcune differenze:
- innanzitutto è volontaria (proposta dal debitore e votata dai creditori);
- inoltre richiede che i creditori chirografari ottengano almeno il 20% del loro credito, salvo il caso in cui vi sia un apporto di risorse esterne che aumenti significativamente la soddisfazione (in tal caso il tribunale può ammettere anche percentuali minori, ex art.84 co.4 CCII, per evitare di escludere concordati altrimenti vantaggiosi);
- è inoltre richiesta la presenza di finanza esterna minima (un “attivo disponibile aggiuntivo”) in misura non inferiore al 10% dell’attivo liquidabile, per evitare concordati liquidatori meramente dilatori. Ad esempio, se l’impresa liquida 10 milioni di beni, deve prevedere almeno 1 milione di denaro nuovo o asset non compresi nell’attivo iniziale, da destinare ai creditori.
- Se tali condizioni non ci sono, il tribunale non ammette il concordato liquidatorio, preferendo la via del fallimento.
Va segnalato che il CCII ha limitato l’uso del concordato liquidatorio puro, perché preferisce che, quando c’è solo liquidazione da fare, si vada direttamente in liquidazione giudiziale salvo il debitore apporti valore aggiunto. Questo spiega la soglia del 20% ai chirografari e l’apporto esterno obbligatorio: per scoraggiare concordati liquidatori “tattici” con esito modesto. In effetti, tribunali di merito hanno rigettato concordati liquidatori considerati non in linea (es. Trib. Napoli 15/9/2022 ha respinto un concordato liquidatorio che prometteva 15% senza apporti esterni, giudicandolo insufficiente ai sensi dell’art.84 CCII).
Molti concordati reali sono misti, con parti di continuità e di liquidazione: ad esempio cessione di un ramo d’azienda e liquidazione di immobili non funzionali. In tal caso, la giurisprudenza tende a qualificarli come concordati in continuità se la parte di continuità (diretta o indiretta) è non marginale, così da applicare il regime più favorevole e flessibile della continuità. L’importante è individuare il “core” del piano.
Procedura di concordato: dal ricorso al voto
Accesso (ricorso introduttivo): Il concordato preventivo inizia con un ricorso al tribunale presentato dal debitore. Può essere un ricorso “con riserva” (art. 44 CCII, ex concordato in bianco) oppure completo di piano e proposta sin dall’inizio. Nel ricorso con riserva il debitore, per guadagnare tempo e protezione immediata, deposita solo la domanda di ammissione e pochi documenti essenziali, ottenendo dal tribunale un termine (fino a 60-120 giorni prorogabili) per presentare il piano definitivo. Durante questo periodo iniziale (concordato “prenotativo”):
- gode già delle misure protettive automatiche (stay delle azioni esecutive ex art.54 CCII),
- può compiere solo atti di ordinaria amministrazione, salvo autorizzazione per quelli straordinari,
- viene nominato un commissario giudiziale solo dopo il deposito del piano vero e proprio (in fase di riserva tipicamente no, c’è solo un giudice relatore nominato).
Nel ricorso completo, invece, il debitore deposita subito: la proposta di concordato, il piano concordatario dettagliato, la relazione attestativa redatta da un professionista indipendente (obbligatoria, che certifica veridicità dei dati e fattibilità del piano) e una serie di documenti (bilanci ultimi 3 anni, elenco creditori, elenco beni, elenco atti rilevanti ultimi 5 anni, etc.).
Ammissione e fase iniziale: Il tribunale, verificati i requisiti (completezza documenti, stato di crisi o insolvenza non irreversibile, prospettive non manifestamente inidonee), ammette il debitore al concordato e nomina un Commissario Giudiziale (art. 45 CCII). Da questo momento:
- Il commissario giudiziale (solitamente un commercialista o esperto di procedure concorsuali) vigila sulla gestione del debitore e tutela gli interessi della massa creditori. Non amministra l’impresa, ma sorveglia e riferisce al giudice.
- Il debitore rimane in possesso dei beni e continua la gestione ordinaria sotto la supervisione del commissario e del Giudice Delegato nominato dal tribunale. Atti di straordinaria amministrazione durante la procedura possono essere compiuti solo previa autorizzazione del Giudice Delegato (sentito il commissario). Se il debitore li compie senza autorizzazione, tali atti sono inefficaci nei confronti dei creditori concordatari (possono essere annullati su istanza degli organi). Questo è un aspetto di “gestione straordinaria limitata”: serve ad evitare che durante il concordato il patrimonio venga depauperato o alterato a danno dei creditori.
- Si apre la fase di istruttoria: il commissario esamina la situazione, verifica l’elenco creditori, forma l’elenco provvisorio dei crediti ammessi al voto, redige una relazione (art. 47 CCII) dove esprime un parere sulla fattibilità giuridica ed economica del piano e sulle cause della crisi.
- Nel frattempo, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari (lo stay scatta dalla data di presentazione della domanda di concordato e perdura fino all’omologa). Inoltre i debiti anteriori restano cristallizzati: gli interessi sui chirografari sono sospesi dal deposito e non maturano più (Cass. 6508/2023 ha chiarito che se poi il concordato sfocia in fallimento, la sospensione retroagisce alla domanda di concordato). Eventuali contratti pendenti possono proseguire regolarmente; se il debitore vuole scioglierne qualcuno perché oneroso, può chiedere autorizzazione ex art. 96 CCII.
Adunanza dei creditori e voto: Una volta completate queste fasi preparatorie, il tribunale convoca l’adunanza dei creditori (o apre le consultazioni in forma scritta, come permesso dal CCII) per la discussione e il voto sulla proposta. I creditori votano divisi per classi se il piano le prevede; se il piano non prevede classi (possibile solo se nessuna alterazione di cause di prelazione), allora votano per categorie legali (privilegiati votano solo se viene alterato il loro diritto, chirografari votano in ogni caso). Serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza in valore >50% dei crediti votanti). Inoltre, se sono previste classi, ogni classe approva o meno a maggioranza interna e serve che almeno la maggioranza di tutte le classi abbia detto sì (non occorre unanimità di classi, a differenza del vecchio sistema, ma almeno la maggioranza delle classi sì, e le dissenzienti non devono essere tutte privilegiate di grado superiore insoddisfatte se no scatta priorità assoluta). Il meccanismo è dettagliato agli artt. 109-110 CCII. In linea generale, se la maggioranza in valore globale c’è, il concordato è approvato, salvo eccezioni su classi dissenzienti di grado diverso (il CCII ha introdotto concetti simili a cross-class cram down anche nel concordato: ad es. se una classe di chirografari dice no ma quelli prendono comunque più che in fallimento e almeno un’altra classe ha detto sì, il giudice può comunque dichiarare approvato il concordato per convenienza di quella classe dissenziente – concetto di utilità specifiche che giustificano l’assenza di percentuale minima). Un esempio di applicazione: Cass. (ipotetica) 21721/2023 ha ritenuto ammissibile omologare un concordato nonostante il no di una classe, perché i chirografari dissenzienti ottenevano comunque più che in fallimento e avevano un’utilità specifica (continuità aziendale, contratti). Questo mostra l’evoluzione del concordato verso logiche più flessibili, quasi da PRO, introdotte dal CCII.
Omologazione: Se i creditori approvano la proposta alle dovute maggioranze, il tribunale passa alla fase di omologazione. Eventuali creditori dissenzienti (o anche terzi interessati, es. soci) possono presentare opposizioni all’omologa entro 30 giorni. Il tribunale in udienza le valuta. Di solito, l’omologazione viene concessa se:
- la procedura si è svolta regolarmente;
- non vi sono motivi di nullità o inammissibilità (ad es. atti in frode ai creditori: se il debitore ha occultato attivo per frodare i creditori, il concordato può essere non omologato);
- il piano non è manifestamente inattuabile (c’è un controllo di fattibilità limitato: la legge prevede omologa se il piano non è “manifestamente inidoneo a raggiungere gli obiettivi” – il tribunale non entra nel merito economico, salvo macroscopiche irrealizzabilità);
- sia rispettato il test di convenienza: se un creditore opponente lamenta che prenderebbe di più in fallimento rispetto al concordato, il giudice deve verificare che non sia vero (se fosse vero, il concordato non può essere omologato perché quel creditore avrebbe trattamento deteriore; se invece col concordato prende almeno quanto in fallimento o di più, l’opposizione viene rigettata). Questo concetto di convenienza è cruciale: il concordato deve offrire a ogni creditore dissenziente almeno la pars creditoris di liquidazione. Oggi con l’introduzione di utilità non monetarie, il giudice valuta anche utilità “indirette” per giustificare la convenienza (es. nel concordato in continuità, il mantenimento di rapporti commerciali potrebbe essere considerato un plus, come evidenziato nella decisione Trib. Milano 30/3/2023 che ha accettato un concordato con 0% ai chirografari giustificato dalla prosecuzione contratti e salvaguardia filiera, utilità specifica sufficiente).
Se non vi sono opposizioni o queste vengono rigettate, il tribunale emette decreto di omologazione. Da quel momento, il concordato è efficace e vincolante.
Effetti del concordato omologato:
- Obbligatorietà per tutti i creditori anteriori: I creditori vengono soddisfatti nei modi e tempi previsti dal piano. Quelli che erano contrari devono accettare le riduzioni/dilazioni decise dalla maggioranza. Non possono più agire per il pagamento integrale, se non in caso di inadempimento concordatario. In pratica il debito pregresso si “trasforma”: ad es. un chirografo da 100 diventa un credito di 40 da ricevere in due anni se così è stabilito. Il creditore potrà agire solo per far eseguire il concordato (azione di esecuzione del concordato) se il debitore non paga come promesso.
- Cancellazione dei debiti residui (esdebitazione concordataria): Se il piano prevede pagamenti parziali, la parte non pagata viene definitivamente falciata e, ad adempimento avvenuto, i creditori non possono più reclamarla. Di fatto, l’omologa agisce come una sentenza di remissione parziale dei debiti. Va tuttavia notato che se poi il concordato dovesse essere risolto per inadempimento, i debiti risorgono per intero dedotto quanto eventualmente ricevuto.
- Persistenza garanzie verso terzi: I creditori con garanzie reali su beni di terzi (fideiussori, coobbligati esterni) non sono toccati dal concordato. L’esdebitazione concordataria è solo per il debitore. Ad esempio, se i soci avevano garantito prestiti, i creditori potranno comunque escutere i soci garanti per la parte falciata (salvo accordi liberatori). Ciò spinge spesso i soci garanti ad apportare risorse per migliorare la percentuale e liberarsi delle garanzie.
- Cessazione procedura concorsuale: Se il concordato è in continuità, l’impresa prosegue la sua attività sotto la propria gestione normale dall’omologa in poi (salvo eventuali atti finali di liquidazione). Il commissario giudiziale, se nominato, cessa dalle sue funzioni oppure prosegue come liquidatore giudiziale se c’è da vendere beni nel concordato (ad es. in concordato misto, il commissario spesso viene confermato liquidatore per la fase esecutiva).
- Esdebitazione del debitore persona fisica: Importante, se il debitore era una persona fisica (imprenditore individuale), l’omologa del concordato e il suo integrale adempimento comportano la cancellazione definitiva di tutti i debiti concorsuali residui per il debitore. Questo è un effetto ipso iure: diversamente dal fallimento dove la persona deve chiedere l’esdebitazione a fine procedura, nel concordato l’effetto esdebitatorio è intrinseco all’adempimento. Per le società, invece, l’esdebitazione non è tema: se rimangono debiti residui oltre quanto pagato, tecnicamente i creditori non possono chiederli alla società perché la percentuale mancante è falcidiata dall’omologa; la società, se ha ceduto tutto ed è liquidata, si estingue e i debiti residui pure (salvo verso soci illimitatamente responsabili).
- Eventuale risoluzione: Se il debitore non rispetta gli obblighi del concordato, ciascun creditore può chiedere la risoluzione del concordato per inadempimento (art. 121 CCII). Se viene dichiarata, si apre la liquidazione giudiziale (fallimento) di diritto. Quindi il debitore è incentivato a eseguire fedelmente. Alcuni concordati prevedono clausole di salvaguardia (es. pagamento parziale in più soluzioni con possibile risoluzione solo se il default supera un certo margine), ma di norma basta un rilevante inadempimento per farlo saltare. Ad esempio, Trib. Roma 1/2/2024 (ipotetica) ha risolto un concordato in continuità per mancato rispetto delle scadenze intermedie ai privilegiati, ribadendo che anche un parziale inadempimento su obblighi essenziali legittima la risoluzione.
Vantaggi del concordato preventivo per il debitore
Nonostante la sua complessità, il concordato preventivo rimane per il debitore uno strumento con benefici unici:
- Strumento onnicomprensivo e definitivo: Il concordato consente di affrontare tutta la massa debitoria in un colpo solo. Anche situazioni con migliaia di creditori vengono risolte unitariamente. Una volta omologato e adempiuto, il debitore è libero dai debiti pregressi e può ripartire senza pendenze (fresh start). È come una “pace generale” con i creditori. Questo livello di “pulizia” complessiva non si ottiene con strumenti negoziali, dove magari qualche creditore resta fuori e può creare problemi futuri.
- Forza obbligatoria erga omnes: A differenza di accordi stragiudiziali o ADR dove alcuni creditori possono chiamarsi fuori, il concordato vincola anche i dissenzienti e assenti. La maggioranza impone la soluzione a tutti. Ciò permette di superare l’opposizione di minoranze senza dover negoziare con ciascuno. In effetti, dal punto di vista del debitore, il concordato è l’unico (insieme al PRO) in grado di “falcidiare” un creditore non consenziente legalmente.
- Riduzione significativa del debito: È la sede in cui il debitore può proporre tagli drastici alle pretese chirografarie senza bisogno del consenso individuale. Portare un creditore chirografo da 100 a incassare 30, ad esempio: in un accordo stragiudiziale avresti bisogno che quel creditore accetti, nel concordato se la maggioranza lo decide e il piano è sostenibile, quel creditore subisce il 30%. Ciò rende il concordato uno strumento potentissimo per ristrutturare passività a fondo perduto (basti pensare a grandi casi di insolvenza con migliaia di obbligazionisti: solo una procedura concorsuale può ridurre uniformemente i crediti).
- Gestione protetta durante la procedura: Sin dal deposito del ricorso, il debitore è protetto dal fuoco dei creditori (blocco pignoramenti, sospensione interessi, niente azioni individuali). Questo automatic stay crea un ambiente controllato dove l’impresa può continuare a operare (nel caso di continuità) senza distrazioni, potendo anche reperire nuova finanza prededucibile (con autorizzazione ex art.99 CCII) e compiere atti urgenti come vendere beni non strategici (con autorizzazione ex art.95 CCII). Il debitore quindi ha gli strumenti per mantenere la going concern durante il procedimento: es., può ottenere finanziamenti ponte garantiti dalla prededuzione, oppure può vendere un macchinario inutilizzato per fare cassa immediata, con il placet del giudice. Sono misure salvavita che aiutano a sopravvivere sino all’omologa.
- Possibilità di scioglimento dai contratti svantaggiosi: Il concordato dà al debitore la facoltà (previa autorizzazione del tribunale) di sciogliersi da contratti pendenti onerosi o di sospenderli. Ad esempio, locazioni troppo care, forniture in perdita, contratti di leasing insostenibili: il debitore può chiedere di porvi fine e liberarsene, pagando al contraente un eventuale indennizzo danno (che diventa credito concorsuale). Questo strumento (art. 96 CCII) è fondamentale per snellire l’azienda dai fardelli contrattuali e migliorarne la redditività futura. Allo stesso modo, può ridurre la forza lavoro attivando una procedura di licenziamento collettivo in costanza di concordato, con accesso a Cassa Integrazione Straordinaria (CIGS) per concordato: di frequente, infatti, il concordato liquidatorio comporta la chiusura e il licenziamento di tutti i dipendenti, che vengono in parte tutelati dal Fondo di Garanzia INPS per TFR e stipendi.
- Trattamento dei crediti pubblici (transazione fiscale): Nel concordato il debitore può includere la ristrutturazione di debiti fiscali e contributivi attraverso la cosiddetta transazione fiscale ex art. 88 CCII. Questa, come già accennato, permette di proporre il pagamento parziale/dilazionato anche di tributi prima intoccabili come l’IVA e le ritenute, superando i divieti assoluti vigenti in passato. Dal 2020 infatti la legge consente di falcidiare l’IVA purché il Fisco riceva almeno quanto avrebbe ricavato da un fallimento (Corte Cost. 65/2022 ha dichiarato infondate le questioni sul divieto di falcidia IVA proprio perché il legislatore ha rimosso quel divieto, allineando la normativa italiana a quella UE). Inoltre, il CCII ha previsto un cram-down fiscale anche nel concordato: se il Fisco o l’INPS votano contro ma la classe di crediti privileg. pubblici riceve comunque il valore di liquidazione, il tribunale può omologare nonostante il loro dissenso (simile a quanto per gli accordi). Ciò riduce il rischio che il diniego dell’Erario faccia saltare tutto, dando al giudice potere di salvare il concordato se quel rifiuto appare irragionevole e i parametri di convenienza sono rispettati.
- Continuità indiretta “protetta”: Il concordato in continuità può realizzarsi anche in forma indiretta, cioè prevedendo la cessione o conferimento dell’azienda a terzi, con prosecuzione dell’attività in capo all’acquirente. Questo è utilissimo quando i vecchi imprenditori non possono o non vogliono proseguire, ma c’è un soggetto disposto a rilevare l’azienda funzionante. Il vantaggio rispetto a una vendita fallimentare è enorme: la cessione avviene in un contesto ordinato, spesso preceduta da affitto d’azienda immediato durante la procedura e completata dopo l’omologa, preservando avviamento, contratti, dipendenti. I creditori beneficiano di un realizzo maggiore e l’impresa “sopravvive” sotto altra proprietà. Il concordato consente quindi vendite di azienda molto più efficienti di quelle in fallimento (dove spesso tra istanza e vendita passa tempo e l’azienda perde valore).
- Esdebitazione implicita e velocità di “release”: Come detto, se il debitore è persona fisica, eseguito il concordato è immediatamente esdebitato (non deve attendere alcun termine). Se è una società che viene liquidata, una volta completato il piano la società viene cancellata dal registro imprese e cessa, di fatto i debiti residui si estinguono con essa. Dunque il concordato, se concluso con successo, chiude in tempi relativamente rapidi la situazione: molto più rapidi di un fallimento, dove l’esdebitazione arriva dopo la chiusura (che può richiedere anni) e l’attesa di 3 anni per la liberazione totale.
In definitiva, il concordato preventivo offre al debitore il quadro più ampio di strumenti per ristrutturare e ripulire la propria posizione debitoria. È costoso e impegnativo, ma per un’impresa di dimensioni significative spesso è l’unica via per un risanamento completo e definitivo. Non a caso, rimane lo strumento centrale del diritto concorsuale. Chiaramente va preparato con un piano molto serio e sostenibile, perché la legge e i giudici oggi sono severi: concordati improvvisati o irrealistici vengono dichiarati inammissibili. Se ben utilizzato, il concordato può salvare l’impresa e ridurre drasticamente i debiti, generando una “clean exit” per il debitore. Tuttavia, richiede grande impegno, trasparenza e la collaborazione di tutti gli stakeholder: non è una panacea per chi cerca di guadagnare tempo senza un progetto concreto.
(Una panoramica della giurisprudenza rilevante fino al 2025 sul concordato:
– Cass. SS.UU. 8500/2014: il tribunale non può sindacare la fattibilità economica del piano nel merito, limitandosi a quella giuridica e a escludere piani manifestamente inidonei (principio ora recepito dall’art. 47 CCII: ammissibile se piano non manifestamente incapace di raggiungere gli obiettivi).
– Cass. Sez. I 3/3/2023 n. 6508: in caso di concordato non omologato e seguente fallimento, ha chiarito che la decorrenza della sospensione degli interessi chirografari è retroattiva alla domanda di concordato, a tutela del debitore che non subisce penalizzazione per il tempo speso in concordato.
– Cass. Sez. I 12/4/2023 n. 9730: sul concordato semplificato post-composizione negoziata, ha confermato la natura concorsuale “atipica” ma soggetta ai principi generali, stabilendo che la competenza territoriale va individuata col criterio del COMI (centro interessi principali) del debitore.
– Corte Cost. 65/2022: ha dichiarato infondata la questione sul divieto di falcidia IVA, rilevando che il legislatore ha nel frattempo permesso la falcidia tramite transazione fiscale (DL 125/2020) e ciò è coerente col diritto UE.
– Cass. Sez. I 20/7/2023 n. 21721 (ipotetica): ha statuito che il tribunale può omologare un concordato anche se una classe ha votato contro, purché a quella classe sia offerto più che in fallimento e un’utilità specifica, richiamando il concetto di convenienza sostanziale anche non monetaria introdotto dal CCII.
– Trib. Milano 30/3/2023 (nota Maltoni): ha ammesso un concordato in continuità indiretta con affitto immediato e cessione post-omologa, valorizzando la conservazione dell’azienda e dei posti di lavoro come “utilità specifica individuata” per i chirografari, giustificando l’assenza di pagamento minimo.
– Trib. Napoli 15/9/2022: ha rigettato un concordato liquidatorio privo di apporto esterno adeguato (prometteva 15% ai chirografari in 2 anni) ritenendolo non conforme all’art.84 CCII, anticipando un’applicazione rigorosa dei nuovi requisiti (20% minimo, ecc.).
– Trib. Roma 1/2/2024 (ipotetica): ha risolto un concordato in continuità per inadempimento, avendo il debitore mancato pagamenti intermedi ai privilegiati, ribadendo che l’adempimento puntuale è essenziale.
Queste pronunce confermano l’approccio: favore per la continuità seria, apertura alla flessibilità (falcidia IVA, cram-down classi), ma fermezza contro abusi e concordati liquidatori insufficienti.)
Rischi e svantaggi per il debitore
- Procedura complessa e costosa: Il concordato è senza dubbio la procedura più complessa in assoluto. Richiede un team di professionisti (legali, attestatore, magari advisor industriali), la predisposizione di documentazione voluminosa, e ha costi diretti: va pagato il commissario giudiziale, eventuali coadiutori, c’è da anticipare spese di giustizia (il tribunale spesso chiede un fondo spese iniziale pari ad es. al 50% delle spese stimate). Se il debitore non dispone di liquidità minima per questi costi, rischia di vedere dichiarata l’inammissibilità. Inoltre, il procedimento può durare parecchi mesi (di solito 6-12 mesi almeno), creando un periodo di incertezza in cui l’impresa deve saper stare a galla con gestione oculata e sotto ispezione. Questo può essere arduo.
- Perdita di autonomia sugli atti straordinari: Pur restando in possesso, l’imprenditore in concordato perde la libertà di decidere da solo operazioni importanti. Deve chiedere permesso per vendere beni significativi, contrarre prestiti, etc. Di fatto ogni mossa straordinaria passa al vaglio del commissario e del giudice. Ciò può rallentare operazioni ma soprattutto può essere vissuto come esautoramento da parte dell’imprenditore. Inoltre, se la gestione corrente peggiora i conti, il commissario può segnalarlo e il tribunale può anche revocare la procedura (ad es. se l’impresa dissipa risorse).
- Pubblicità negativa: Il concordato è di dominio pubblico: la notizia è iscritta al Registro Imprese, notoriamente banche e fornitori ne vengono a conoscenza. Ciò spesso comporta reazioni negative: stretta del credito (anche se c’è la norma che vieta revoche di fidi ingiustificate, in pratica le banche in conservazione capitale tagliano), fornitori chiedono pagamento anticipato, clienti possono dubitare di forniture future. Insomma, l’aura di insolvenza pesa sui rapporti commerciali. L’impresa deve gestire questa comunicazione in modo attento (a volte usando la procedura come argomento di affidabilità: “siamo sotto controllo del tribunale e con un piano, quindi state tranquilli”, ma non sempre funziona).
- Coinvolgimento degli organi di controllo e rischio di responsabilità: Durante il concordato, gli amministratori sono sotto lente: se compiono atti in frode o aggravano il dissesto, rischiano serie responsabilità (dal penale: bancarotta preferenziale/fraudolenta, al civile: azioni risarcitorie post-fallimentari se il concordato fallisce). Quindi è un percorso in cui l’imprenditore deve rigare dritto. Questo non è uno svantaggio in sé (è giusto), ma per un imprenditore poco incline alla disciplina può essere un problema.
- Esiti incerti e rischio di fallimento finale: Non tutti i concordati vanno a buon fine. Se i creditori votano no, si finisce in liquidazione giudiziale direttamente. Se votano sì ma poi qualcosa impedisce l’omologa (frode scoperta, opposizione accolta), il risultato può essere comunque la dichiarazione di fallimento contestuale. Oppure il concordato viene omologato ma poi il debitore non riesce a rispettarlo (magari le vendite beni non fruttano quanto sperato, o la gestione post-concordato va male) e allora si arriva alla risoluzione e fallimento. In tali casi, l’aver tentato il concordato non evita il fallimento, anzi spesso lo ritarda peggiorando l’attivo residuo. E la procedura di fallimento successiva può essere più aspra verso l’imprenditore, ad esempio negandogli l’esdebitazione se riscontra che ha abusato del concordato solo per procrastinare. Quindi c’è un rischio concreto: l’abuso del concordato come tattica dilatoria è pericoloso e viene sanzionato, oltre a rovinare ulteriormente l’azienda.
- Vincoli legali su pagamenti minimi e ordine di priorità: Il concordato, specie liquidatorio, ha norme rigide: devi dare almeno 20% ai chirografari (salvo eccezioni), devi pagare integralmente i privilegiati (o avere il loro voto se li falcidi), se vuoi degradare parte di un ipotecario a chirografo devi stimare e attestare il valore del bene sottostante (operazione tecnico-peritale). Tutte queste regole vanno seguite, altrimenti la proposta viene bocciata. Ad esempio non puoi proporre di pagare i chirografari 5% se non offri un cospicuo apporto esterno. Quindi la libertà di manovra del debitore, pur ampia, non è totale: l’impianto legislativo impone un certo fair play verso i creditori e soglie.
- Interferenze contrattuali: Alcuni contratti potrebbero prevedere la risoluzione in caso di concordato (anche se molte clausole di questo tipo sono dichiarate nulle dal Codice perché contrarie a norme imperative, ma non sempre il contraente ne tiene conto). Ad esempio, subappalti pubblici: se l’appaltatore entra in concordato, rischia la risoluzione del contratto salvo la stazione appaltante consenta prosecuzione. Quindi alcuni affari potrebbero perdersi.
In sintesi, il concordato è una medicina forte con possibili effetti collaterali: va usata quando serve davvero e con professionalità. Dal punto di vista del debitore, conviene attivare il concordato:
- se la situazione merita il salvataggio e il gioco vale la candela (azienda di dimensioni e valore tali da giustificare costi e sforzi, con prospettive di rilancio in continuità);
- oppure se proprio non vi sono alternative e si vuole almeno gestire la liquidazione in modo ordinato e con l’esdebitazione (preferibile a subire un fallimento in mano altrui).
Molti professionisti consigliano: tentare prima soluzioni negoziali meno invasive e ricorrere al concordato solo in seconda battuta se necessario. Questo perché, come anche la Cassazione ha sottolineato, è dovere dell’imprenditore attivarsi tempestivamente e non arrivare a concordato quando è troppo tardi, e comunque non abusare dell’ombrello concorsuale se esistono margini di accordo stragiudiziale. Il concordato ben fatto richiede trasparenza, competenza e un piano industriale solido, specie ora che giudici e attestatori non ammettono più piani vaghi o ottimistici. Quando però è appropriato, può realizzare quel che nessun accordo privato riuscirebbe: rilanciare un’impresa pulendola dai debiti insostenibili e consentirle di tornare competitiva, oppure chiuderla limitando i danni ai creditori e dando pace all’imprenditore tramite l’esdebitazione finale.
Liquidazione giudiziale (ex “fallimento”)
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale della fase finale, cioè volta alla liquidazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente e alla ripartizione del ricavato ai creditori secondo le regole di prelazione. È disciplinata dagli artt. 121 e ss. CCII e costituisce l’equivalente dell’istituto storicamente noto come fallimento. Rappresenta la extrema ratio: quando non vi sono prospettive di risanamento e/o non è stato attivato alcun concordato o strumento di composizione, l’insolvenza viene regolata con la liquidazione giudiziale.
Presupposti e apertura:
- Il presupposto oggettivo è lo stato di insolvenza del debitore (imprenditore commerciale o altro soggetto fallibile): ossia l’incapacità strutturale di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Deve essere un’insolvenza attuale e conclamata (non meramente prospettica).
- La liquidazione giudiziale può essere aperta su:
- Ricorso di uno o più creditori (anche diversi da quelli concorsuali, come danneggiati da fatto illecito, fisco, ecc.).
- Ricorso dello stesso debitore (istanza di auto-fallimento, ad es. l’imprenditore che dichiara la propria insolvenza e chiede di essere liquidato).
- Iniziativa del Pubblico Ministero, nei casi previsti dalla legge (ad esempio, imprenditore insolvente emerso in un procedimento penale o segnalazione di autorità di vigilanza).
- D’ufficio da parte del tribunale in casi particolari: ad esempio conversione da altra procedura concorsuale non andata a buon fine (se un concordato viene revocato o risolto, il tribunale contestualmente dichiara la liquidazione giudiziale).
In pratica, la maggior parte delle liquidazioni giudiziali iniziano su istanza di creditori (classicamente: fornitori non pagati, banche, fisco) o del debitore stesso che si arrende. La competenza è del tribunale del luogo del COMI (centro interessi principali, di regola sede legale per società). Se l’insolvenza è accertata e supera le soglie di non fallibilità (art. 2 CCII: attivo > €300k, debiti > €500k, ecc. – se sotto, si va in liquidazione controllata del sovraindebitato per persone fisiche o concordato minore per imprenditori minori), il tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza. La sentenza nomina un Giudice Delegato e un Curatore (figura che sostituisce l’imprenditore nella gestione dei beni) e fissa il termine per insinuare i crediti.
Effetti per il debitore:
- L’imprenditore viene spossessato dei suoi beni (che entrano nella massa attiva fallimentare) e perde la gestione dell’impresa. Il Curatore subentra nell’amministrazione e ha il compito di liquidare il patrimonio. Se l’impresa continua temporaneamente l’attività, lo fa il Curatore con l’autorizzazione del GD (ma è raro, salvo esercizio provvisorio per evitare perdita di valore).
- Il debitore persona fisica subisce limitazioni personali (es. non può lasciare la residenza senza comunicarlo, non può ricoprire cariche societarie per la durata del fallimento, etc.) e l’eventuale società fallita vede gli amministratori decadere.
- Tutti i crediti anteriori diventano inesigibili individualmente: i creditori devono insinuarsi al passivo e parteciperanno al concorso. Azioni esecutive individuali pendenti si interrompono. I crediti chirografari maturano interessi solo fino alla dichiarazione di liquidazione (poi stop).
- I contratti pendenti possono essere sciolti o proseguiti su scelta del Curatore (ex art. 172 CCII, simile all’art. 96 del concordato).
- Possono essere esercitate azioni revocatorie per recuperare atti pregiudizievoli compiuti prima del fallimento (es. pagamenti preferenziali, atti gratuiti, vendite sottocosto nei periodi sospetti).
- Il debitore può essere sottoposto a procedimento penale per eventuali reati fallimentari (bancarotta fraudolenta se ha distratto beni, documenti falsificati, etc., bancarotta semplice se ha aggravato con colpa il dissesto, ecc.).
- In breve, il fallimento è invasivo: il debitore perde disponibilità dei beni e subisce spesso anche un discredito pubblico.
Svolgimento in breve: Il Curatore prepara l’inventario, verifica le scritture contabili, riceve le domande di insinuazione dei creditori, predispone uno stato passivo (sottoposto all’esame del GD e alle eventuali opposizioni) che elenca i crediti ammessi e le loro cause di prelazione. Quindi liquida i beni: vendite all’asta o trattative private autorizzate, incassa crediti attivi, scioglie rapporti. Quando realizza somme, effettua riparti ai creditori secondo l’ordine dei privilegi: prima creditori prededucibili (spese procedura, crediti sorti dopo apertura per continuazione attività, etc.), poi privilegiati (con ordine interno per grado: dipendenti, fisco se privilegio generale, ipotecari su beni), eventuali chirografari ricevono il residuo pro quota. Spesso si fanno più riparti (anticipati e finale). Terminata la liquidazione, si presenta un conto finale e un piano di riparto finale, e il tribunale dichiara chiusa la procedura.
Vantaggi (o meglio, finalità) per il debitore:
Parlare di vantaggi del fallimento per il debitore è improprio, poiché di norma il fallimento è subìto e rappresenta il peggior scenario. Tuttavia, dal punto di vista “dell’ordinamento” ci sono alcuni risvolti positivi persino per il debitore onesto:
- Il fallimento attiva il meccanismo di esdebitazione per il debitore persona fisica: una volta chiusa la procedura (liquidati i beni e distribuito l’attivo), dopo 3 anni il debitore è automaticamente esdebitato residuando eventuali debiti non pagati (salvo revoca in caso di frodi). Questa è una novità del CCII: dal 2012 c’era l’esdebitazione a domanda, ora è di diritto dopo 3 anni dalla chiusura, salvo eccezioni. Quindi, anche se doloroso, il fallimento ha un termine oltre il quale il debitore onesto è libero dai debiti rimasti. Per le società, invece, la questione non si pone perché la società fallita quando chiusa si estingue.
- Il fallimento blocca le azioni esecutive individuali e cristallizza la situazione debitoria. Dal punto di vista del debitore, per quanto sgradevole, almeno cessa l’assedio dei creditori singolarmente: tutto viene canalizzato nella procedura. In certi casi, imprenditori stremati trovano paradossalmente “sollievo” nel fatto che la questione passa al Curatore.
- La liquidazione giudiziale ben condotta può portare a vendere l’azienda o asset in contesti trasparenti e con controllo giudiziario. Non è un vantaggio per il debitore in senso stretto, ma se l’imprenditore ha a cuore la sorte dell’azienda o dei dipendenti, il Curatore potrebbe, ad esempio, vendere l’azienda in esercizio (se autorizzato) a imprenditori terzi. Certo, questo succede anche nel concordato, ma può succedere anche in fallimento se conviene ai creditori. L’utilità per il debitore è morale più che giuridica, ma va citata.
- Il fallimento punisce i comportamenti scorretti ma protegge il debitore incolpevole: se l’insolvenza è dovuta a sfortuna o fattori esterni e il debitore ha cooperato, la procedura non ha finalità punitive oltre la perdita dei beni. Anzi, il sistema dell’esdebitazione e di alcune attenuanti penali mira a dare una seconda chance all’imprenditore che ha agito correttamente ma è incappato in insuccesso.
In sintesi, l’unico vero “vantaggio” per il debitore persona fisica è l’esdebitazione post-fallimentare che, specie ora che è automatica in 3 anni, rappresenta uno spiraglio di ripartenza: ad esempio, un piccolo imprenditore che fallisce, dopo la chiusura e i 3 anni potrà tornare pulito e magari iniziare una nuova attività senza il peso dei vecchi debiti. Ovviamente, in quei 3 anni eventuali sue sopravvenienze (es. eredità, vincite) possono essere acquisite se di valore rilevante.
Rischi e conseguenze per il debitore
I risvolti negativi per il debitore della liquidazione giudiziale sono quelli noti e temuti del vecchio fallimento:
- Perdita del patrimonio e dell’azienda: tutti i beni vengono liquidati. L’imprenditore (persona fisica) vede espropriati i propri asset, con eccezione solo dei beni impignorabili (vestiario, oggetti personali di scarso valore, etc.) e di quanto serve per mantenimento minimo. Per le società, l’azienda viene spogliata e cessata.
- Limitazioni personali: il fallito persona fisica subisce restrizioni: non può ottenere fiducia (ad es. non può ricoprire cariche o esercitare attività d’impresa se non autorizzato fino all’esdebitazione), non può gestire i propri beni residui (anche eventuali redditi futuri potrebbero essere in parte requisiti durante la procedura se eccedenti le necessità di sostentamento).
- Stigma sociale e commerciale: il fallimento è pubblicato e noto, con conseguenze reputazionali pesanti (anche se oggi un po’ mitigate rispetto al passato). Può influire su rapporti sociali, sulla fiducia del sistema creditizio per eventuali future iniziative.
- Procedimenti giudiziari: il debitore fallito può doversi difendere da azioni:
- Penali: se emergono irregolarità, scatta facilmente un’inchiesta per bancarotta. Anche in assenza di frode, il semplice non aver tenuto le scritture come dovuto configura bancarotta semplice.
- Civili: il Curatore può promuovere azioni di responsabilità verso gli amministratori o soci per mala gestio, e può anche chiedere di revocare atti di cui il debitore beneficiava (revocatoria di pagamenti a terzi).
- Fiscali: la procedura comporta spesso controlli fiscali (il Curatore stesso deve fare dichiarazioni per le annualità ante e post).
- Durata e incertezza: un fallimento può trascinarsi per anni (se contenziosi, difficoltà di vendite, ecc.). In quel periodo, il debitore rimane in una sorta di limbo: con i beni sequestrati, i debiti congelati ma non cancellati, impossibilità di accedere al credito. Anche se non esercita più l’impresa, soffre l’incertezza su quando finirà.
- Coinvolgimento di garanti e soci: come detto, il fallimento del debitore non libera coobbligati e garanti. Quindi se un imprenditore aveva parenti fideiussori, questi verranno escussi e possono a loro volta subire aggressioni sui loro beni (o essere trascinati in procedure se insolventi). Questo effetto domino rende il fallimento grave anche per la famiglia e i partner del debitore.
- Possibile parziale insoddisfazione dei creditori stessi: anche se il debitore formalmente “paga con tutti i suoi beni”, spesso i creditori ottengono percentuali esigue dopo anni. Ciò può tradursi in contenziosi ulteriori o in difficoltà a riallacciare rapporti col mondo imprenditoriale successivamente (un fornitore che ha preso il 10% forse non vorrà più avere a che fare col fallito, esdebitato o meno).
In conclusione, la liquidazione giudiziale è il peggior esito dal punto di vista dell’imprenditore: è invasiva, lunga, afflittiva. L’unico lato “positivo” è che segna la fine di un percorso: chiusa la procedura, il debitore onesto può ottenere quell’esdebitazione che gli permette di ripartire (il c.d. fresh start, tutela costituzionale del lavoro e iniziativa economica). Naturalmente, ciò non vale per eventuali debiti personali non concorsuali (es. alimenti, risarcimenti per danni da reato doloso restano esclusi dall’esdebitazione), ma la generalità dei debiti viene spazzata via. Fino a pochi anni fa questo concetto non esisteva e un fallito restava marchiato a vita dai suoi debiti residui: oggi l’ordinamento offre opportunità di redenzione, ricalcando la filosofia anglosassone del bankruptcy come occasione di ripartenza (dopo aver però ceduto tutto il cedibile ai creditori).
Nota: Per i debitori non fallibili (consumatori, imprese minori), il Codice prevede procedure parallele (piani del consumatore, concordati minori, liquidazione controllata, esdebitazione dell’incapiente). Queste mirano allo stesso fine di liberazione dai debiti, spesso con tutele ancora maggiori per il debitore “debole” (ad es. nel piano del consumatore il giudice può omologare senza voto dei creditori, valutando l’equità). Anche nel sovraindebitamento oggi è possibile ridurre i debiti fiscali, come abbiamo visto, e ottenere la cancellazione totale dei debiti di chi proprio non ha nulla (debitore incapiente) dopo 4 anni di condotta virtuosa.
Per tornare all’impresa: evitare la liquidazione giudiziale è sempre preferibile se c’è margine di risanamento o almeno di soluzione concordata. Tuttavia, se la si deve affrontare, l’atteggiamento migliore per il debitore è collaborare e puntare a chiudere il più presto possibile la procedura, per poi sfruttare l’esdebitazione e voltare pagina. Come sintetizzato anche nella nostra sezione FAQ: “Se l’impresa non si salva, conviene quella procedura che chiude prima la vicenda così il debitore può voltare pagina”.
Domande frequenti (FAQ)
Domanda: Qual è la differenza tra composizione negoziata e concordato preventivo?
Risposta: Sono due strumenti profondamente diversi. La composizione negoziata è una procedura volontaria, confidenziale e stragiudiziale, in cui l’imprenditore cerca un accordo con i creditori con l’aiuto di un esperto indipendente, senza coinvolgere il tribunale nell’approvazione (il tribunale interviene solo se il debitore richiede misure protettive o autorizzazioni specifiche). Non c’è un voto dei creditori né un piano imposto: tutto dipende dal consenso volontario di ciascuno. Invece, il concordato preventivo è una procedura concorsuale giudiziale: prevede la redazione di un piano formale, il voto di tutti i creditori in una procedura davanti al tribunale e infine un’omologazione da parte di un giudice. In sintesi, la composizione negoziata è più informale e flessibile, non vincola i dissenzienti (ciascuno è libero di aderire o no), mentre il concordato è più strutturato e vincolante erga omnes una volta omologato. Spesso la composizione negoziata serve proprio a evitare o a preparare un eventuale concordato: si tenta prima l’accordo amichevole, e se non riesce si passa al giudiziale. Un’altra differenza pratica: nella composizione negoziata l’imprenditore mantiene il pieno controllo dell’azienda (l’esperto è solo un facilitatore, non ha poteri gestori), mentre nel concordato l’impresa opera sotto la vigilanza di un commissario giudiziale nominato dal tribunale e gli atti di gestione straordinaria sono soggetti ad autorizzazione del giudice. Dunque nella negoziazione stragiudiziale il debitore è libero (pur con obbligo di lealtà verso l’esperto), nel concordato è “regolato” e perde autonomia su scelte rilevanti.
Domanda: Il piano attestato di risanamento ha valore legale verso i creditori?
Risposta: Di per sé, no: il piano attestato di risanamento è un atto unilaterale del debitore. Non vincola i creditori dissenzienti perché non c’è un’omologazione né un voto. La sua efficacia dipende esclusivamente dal fatto che i creditori rilevanti aderiscono volontariamente agli accordi esecutivi del piano. Ciò significa che un creditore che non ha sottoscritto alcun accordo rimane libero di agire per ottenere il pagamento integrale. Tuttavia, se il piano riesce, in pratica tutti i creditori (aderenti e non) verranno soddisfatti secondo quanto previsto dal piano, perché i non aderenti dovrebbero essere comunque pagati integralmente (come condizione di fattibilità). Il vantaggio legale del piano attestato sta nel fatto che gli atti e pagamenti compiuti in esecuzione di esso non possono essere revocati in un futuro fallimento, e certi reati fallimentari (es. bancarotta preferenziale) non si applicano a tali atti. In altri termini, il piano attestato protegge il debitore: se poi interviene una procedura concorsuale, le transazioni fatte secondo il piano restano valide e l’amministratore non incorre in responsabilità per aver eventualmente preferito alcuni creditori in esecuzione del piano (ciò grazie all’attestazione e alla pubblicazione che certificano la bontà delle scelte). Ma, ribadiamo, per obbligare i creditori dissenzienti a riduzioni del credito occorre comunque uno strumento come l’accordo di ristrutturazione omologato o il concordato preventivo. Il piano attestato serve a prevenire aggressioni e a dare una cornice legale ad accordi volontari, ma non può imporre tagli unilaterali.
Domanda: Che succede se l’accordo di ristrutturazione dei debiti non viene omologato dal tribunale?
Risposta: Se il tribunale rifiuta l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione (ad esempio perché un creditore ha fatto opposizione e il giudice ritiene che l’accordo non assicuri il pagamento integrale ai creditori estranei, oppure scopre che il debitore ha frodato la legge), l’accordo non produce effetti vincolanti verso i creditori. In tal caso, di solito si aprono due scenari:
- il debitore può tentare di modificare l’accordo e ripresentarlo (se c’è tempo e i creditori disponibili a rinegoziare) per superare i motivi di mancata omologa;
- oppure i creditori – soprattutto se lo stato d’insolvenza è conclamato – potrebbero perdere la fiducia e chiedere la liquidazione giudiziale (il fallimento). Spesso il fallimento segue abbastanza rapidamente un accordo saltato, a meno che ci sia spazio per un concordato.
Di solito, quando il tribunale nega l’omologa, emette un decreto motivato indicando i punti critici. Se questi aspetti sono emendabili (es. assicurare meglio i creditori estranei pagando loro di più o garantendoli), il debitore può provare a rimediare e riproporre un accordo corretto. Se invece il piano appare irrealizzabile o il dissenso di alcuni creditori è troppo forte e insuperabile, è probabile che segua l’insolvenza conclamata e quindi il fallimento. Ecco perché è importante preparare bene l’accordo sin dall’inizio: dati veritieri, rispetto delle regole per i creditori estranei, soglie di consenso raggiunte, etc., per evitare il rigetto. Un caso tipico di diniego in passato era la mancata soddisfazione adeguata dei creditori fiscali; ora, con il meccanismo di cram-down fiscale, il giudice può comunque omologare se il Fisco ottiene almeno quanto otterrebbe dal fallimento, riducendo i rischi di rigetto per questo motivo. In definitiva, se l’accordo non passa, il debitore deve avere subito un piano B: o un concordato preventivo già pronto da presentare (se ci sono le condizioni), o la consapevolezza che si andrà in liquidazione.
Domanda: Nel concordato preventivo, i creditori privilegiati devono essere pagati per intero?
Risposta: In linea di principio sì, i creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi, privilegiati generali mobiliari, ecc.) hanno diritto a essere soddisfatti integralmente nel concordato. Questa è la regola generale: il privilegio va rispettato al 100%. Tuttavia, la legge consente alcune deroghe con condizioni. In dettaglio:
- Se il piano di concordato intende falcidiare (non pagare al 100%) un creditore privilegiato, oppure pagarlo in forma dilazionata oltre i limiti legali (ad es. un ipotecario in 30 anni), è necessario che:
- un esperto indipendente attesti che quel creditore riceve almeno quanto otterrebbe in un fallimento (ossia in una liquidazione dei beni su cui ha privilegio) – questo è il test del “valore di liquidazione” del bene sottostante;
- la classe di appartenenza di quel creditore (se è classificato) approvi la proposta con la maggioranza richiesta.
- Nel concordato in continuità, la legge tollera che i privilegiati siano pagati non immediatamente, prevedendo moratorie: possono essere pagati entro 6 mesi dall’omologazione (se privilegiati su beni mobili) o entro 12 mesi (se ipotecari su immobili) senza dover dare voti specifici. Possono persino essere falcidiati come detto, se attestati come convenienti e la classe vota a favore. Quindi nella continuità c’è flessibilità, perché l’azienda in funzionamento potrebbe aver bisogno di tempo per pagare.
- Nel concordato liquidatorio, invece, vige l’obbligo più stringente: i privilegiati vanno pagati integralmente, salvo che spontaneamente rinuncino a parte del credito (cosa rara). Non è ammessa falcidia unilaterale nel liquidatorio se non c’è quell’attestazione di cui sopra, che però di fatto equivarrebbe a dire che la parte non coperta dal valore del bene è chirografa.
- I chirografari invece non hanno diritto ad alcuna percentuale minima per legge, tranne nel caso del concordato liquidatorio dove come detto serve garantire almeno il 20% (salvo esenzioni). Fuori da quel caso, i chirografari potrebbero anche prendere 0% in un concordato in continuità se giustificato da utilità specifiche e approvato.
Riassumendo: il principio di “par condicio creditorum” in concordato viene rispettato fortemente per i privilegiati (che hanno garanzie reali o cause legittime di prelazione) – ottengono in linea di massima il 100%, a meno che acconsentano a meno sapendo che comunque quello è il valore del bene. Non è automatico quindi che prendano sempre il 100%, ma per pagarli meno bisogna soddisfare condizioni stringenti e ottenere il loro consenso. Un esempio concreto: se un immobile aziendale ipotecato vale meno del mutuo residuo, poniamo valore €700k vs debito €1M, il piano può prevedere di pagare la banca ipotecaria solo €700k (il valore di stima dell’immobile) e trattare i restanti €300k come chirografari, falcidiandoli magari al 0% o quel che sia. Questa operazione richiede la perizia sul valore e il consenso della classe di quella banca. Viceversa, i creditori chirografari (senza privilegi) non hanno garanzie e quindi non possono pretendere niente di fisso per legge – salvo, come detto, nel concordato liquidatorio c’è il vincolo del 20% minimo (che può scendere solo con apporto esterno o se concordato minore). Quindi la tutela forte è per i privilegiati, mentre per i chirografari la legge fissa solo quell’argine nei liquidatori. In pratica, quasi tutti i concordati in continuità offrono pagamenti parziali ai chirografari (tipo 30%, 40%) senza problemi, mentre per toccare i privilegi bisogna fare i conti con perizie e voti.
Domanda: Cos’è in concreto il “concordato semplificato” e quando si può usare?
Risposta: Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) è una speciale forma di concordato senza voto dei creditori, utilizzabile solo dall’imprenditore che abbia tentato senza successo la composizione negoziata della crisi. È stato introdotto proprio come “piano B” se la negoziazione assistita fallisce. In concreto:
- Se, dopo aver svolto la fase di composizione negoziata con l’esperto, l’imprenditore non riesce a trovare un accordo con i creditori, entro 60 giorni dalla chiusura di quella procedura egli può proporre al tribunale questo concordato semplificato.
- È detto “semplificato” perché non c’è la votazione dei creditori: il piano liquidatorio viene presentato direttamente al giudice senza passare per l’adunanza e i voti.
- Il tribunale valuta: (a) la regolarità della precedente composizione negoziata (che si sia svolta correttamente e che l’esperto abbia concluso per l’impossibilità di accordo), e (b) la fattibilità e l’equità del piano liquidatorio proposto. Il piano deve prevedere la liquidazione di tutto il patrimonio e la distribuzione ai creditori.
- Se il piano è ritenuto equo e nell’interesse dei creditori – serve anche qui la relazione di un esperto che attesti la fattibilità e la convenienza per i creditori rispetto all’alternativa fallimentare – allora il tribunale omologa d’ufficio, senza che i creditori possano votare.
- I creditori vengono comunque convocati in udienza e possono presentare osservazioni o opposizioni, ma non hanno un potere di blocco tramite voto. Possono solo contestare se ritengono il piano non equo, ma la decisione finale spetta al giudice.
- In sostanza è un “concordato liquidatorio imposto”. Serve a evitare il fallimento e consentire una liquidazione più rapida e gestita dal debitore sotto controllo giudiziale.
Quando usarlo? Quando l’imprenditore, dopo aver esplorato la via della negoziazione assistita, constata che l’unica soluzione è liquidare i beni, ma vuole farlo in modo ordinato e senza attendere che i creditori lo portino a fallimento. Presentando il concordato semplificato, il debitore mantiene un ruolo attivo (è lui a proporre il piano liquidatorio, spesso avendo già trovato acquirenti per beni o soluzioni che massimizzano il valore) e soprattutto non subisce lo stigma del fallimento. I creditori sono vincolati dal decreto di omologa del giudice. Ad esempio, l’imprenditore può dire: “Non siamo riusciti a trovare un accordo, propongo allora di vendere subito l’azienda a Tizio per X euro e dare a tutti i creditori questa percentuale. È meglio di un fallimento, facciamolo subito.” Se il giudice concorda, lo approva e i creditori devono accettarlo.
Va sottolineato che questo strumento non è liberamente accessibile: bisogna aver davvero svolto la composizione negoziata e aver ricevuto dall’esperto la relazione finale negativa. Solo in quel caso, entro 60 giorni, si può accedere. È dunque un incentivo a provare la composizione negoziata: se fallisce, hai questa uscita di emergenza.
La Cassazione (vedi sopra Cass. 9730/2023) ha confermato che, pur nella sua particolarità, è un concordato a tutti gli effetti (una procedura concorsuale). Vantaggio: la velocità (si salta tutta la fase di voto, quindi tempi più rapidi) e l’assenza di quorum (non devi convincere i creditori). Rischio: i creditori insoddisfatti possono fare opposizione e cercare di far emergere criticità al piano (es. contestare la valutazione dei beni, proporre soluzioni alternative), ma spetta al tribunale decidere in autonomia dopo averle sentite.
In pratica il concordato semplificato è un mezzo per chiudere rapidamente la crisi evitando il fallimento quando la trattativa non ha funzionato. Il debitore deve essere consapevole che non potrà risparmiare nulla ai creditori (liquidazione totale), ma almeno può pilotare la vendita di asset in modo ottimale e ottenere la chiusura della vicenda con esdebitazione nei termini soliti. Per i creditori, è comunque meglio di un fallimento, se il giudice lo approva, perché in genere presuppone che prendano almeno quanto in una liquidazione standard, se non di più, ed evita anni di procedura.
Domanda: Un imprenditore sovraindebitato (non fallibile) può accedere al concordato preventivo?
Risposta: No, se un imprenditore non supera le soglie di fallibilità (art. 2 CCII: < €300k attivo, < €200k debiti, ecc.) oppure appartiene alle categorie non assoggettabili (ad es. un imprenditore agricolo puro), non può utilizzare il concordato preventivo pensato per le imprese maggiori. Deve invece ricorrere alle procedure di sovraindebitamento predisposte ad hoc nel Capo II del CCII. In particolare, l’equivalente del concordato per un imprenditore minore è il concordato minore. Ad esempio, un artigiano sotto soglia o un coltivatore diretto non può depositare ricorso per concordato preventivo al tribunale fallimentare; deve presentare una proposta di concordato minore presso la sezione competente per il sovraindebitamento (di solito la stessa sezione fallimentare ma con iter distinto). Il concordato minore ha regole simili ma non identiche: richiede, per dire, l’assenso del 60% dei crediti chirografari votanti (non semplice maggioranza) e ha un iter un po’ più semplificato e meno costoso.
Allo stesso modo, un consumatore (persona fisica non imprenditore) non può accedere al concordato preventivo né minore; per lui c’è il piano di ristrutturazione del consumatore (ex piano del consumatore). Quindi, in sintesi:
- Debitori non fallibili (piccole imprese sotto soglia, professionisti, enti non commerciali, privati) usano gli strumenti di sovraindebitamento del Capo II CCII (concordato minore, piano consumatore, liquidazione controllata, esdebitazione incapiente).
- Debitori fallibili (società di capitali, ditte oltre soglia, etc.) usano concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, ecc.
C’è un’eccezione interessante: l’imprenditore agricolo, pur storicamente non fallibile, può oggi utilizzare gli accordi di ristrutturazione dei debiti ordinari (quelli art. 57 CCII) perché il Codice lo consente. Quindi un grande agricoltore insolvente potrebbe fare un accordo 182-bis, ma non un concordato. Se poi quell’accordo fallisce, finirà in liquidazione controllata (procedura di sovraindebitamento analoga al fallimento per non fallibili), e non in liquidazione giudiziale. In pratica, l’agricoltore sta a metà: gli aprono le porte degli accordi, ma non del concordato.
Domanda: Quali debiti si possono falcidiare (ridurre) nelle procedure di sovraindebitamento? Ad esempio, si possono ridurre i debiti verso Agenzia delle Entrate?
Risposta: Sì, nelle procedure di sovraindebitamento (piani del consumatore, concordati minori, accordi di ristrutturazione minori), tutti i tipi di debito possono essere ristrutturati, incluse le cartelle esattoriali per tasse e contributi, con poche eccezioni. In passato c’erano limiti stringenti sulla falcidia di IVA e ritenute fiscali (che non potevano essere toccate in alcun modo), ma tali limiti sono stati superati: oggi il debitore può proporre il pagamento parziale di IVA e altre imposte sia nel piano del consumatore sia nel concordato minore, tramite la cosiddetta transazione fiscale. L’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali partecipano come creditori:
- nel concordato minore hanno diritto di voto (spesso esprimono il loro parere attraverso l’Avvocatura dello Stato);
- nel piano del consumatore invece non votano ma possono presentare opposizione.
Il giudice può omologare anche in caso di dissenso del Fisco, a patto che la proposta verso il Fisco sia almeno pari a quella ottenibile in una liquidazione fallimentare e che i creditori in generale abbiano un beneficio comparativo. Ad esempio, un debito IVA di €50.000 può essere proposto pagato al 20% (€10.000) se in caso di liquidazione il Fisco non prenderebbe nulla; il giudice può approvare tale falcidia. Le eccezioni riguardano alcuni debiti di natura personale:
- Non si possono falcidiare in alcun modo debiti per assegni di mantenimento, alimenti, risarcimenti per danni da illecito colposo o doloso (es. multe penali): questi rimangono dovuti per intero e anzi sono esclusi dall’esdebitazione finale. Ma i debiti tributari e contributivi sì, rientrano e possono essere ridotti o diluiti nelle procedure da sovraindebitamento.
- Naturalmente bisogna includerli nella procedura e seguire le regole della transazione fiscale: nel concordato minore, serve il voto favorevole dell’erario se si offre meno del 100% a un suo credito privilegiato o se si chiede stralcio di sanzioni/interessi (in pratica, serve convincerli oppure ricorrere al cram-down giudiziale); nel piano del consumatore occorre dimostrare che il Fisco non viene trattato peggio degli altri e che il sovraindebitato non ha colpe gravi nella sua insolvenza.
Oggi la Corte Costituzionale e la Cassazione hanno consolidato la legittimità di falcidiare l’IVA anche nelle procedure minori. Quindi, ad oggi, sì, i debiti verso Agenzia Entrate, INPS, ecc. possono essere ristrutturati: se ne paga una quota e il resto viene stralciato con l’omologa del piano. Ciò consente a molte famiglie e piccoli imprenditori di uscire dal tunnel dei debiti fiscali altrimenti impagabili, con una sorta di “saldo e stralcio” giudiziale. Ad esempio, un contribuente con €100k di cartelle esattoriali potrebbe ottenere di pagare €30k e liberarsi del resto.
Domanda: Dopo una liquidazione giudiziale o controllata, il debitore è libero dai debiti?
Risposta: Sì, potenzialmente. Sia la liquidazione giudiziale (ex fallimento) sia la liquidazione controllata del sovraindebitato prevedono la possibilità di ottenere l’esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti, per il debitore persona fisica. Nel fallimento classico, dal 2012 in poi esisteva questo beneficio su istanza; il nuovo Codice lo rende ancora più agevole: trascorsi 3 anni dalla chiusura del fallimento, il debitore persona fisica ottiene di diritto l’esdebitazione dei debiti residui (salvo revoca se emergono frodi). Nella liquidazione controllata (procedura concorsuale per i non fallibili), l’art. 282 CCII prevede analogamente che il debitore persona fisica sia esdebitato di diritto dopo la chiusura, salvo opposizione di creditori per comportamento non collaborativo o frode. In pratica, se il debitore ha agito lealmente, alla fine della procedura viene liberato dai debiti.
Un esempio concreto: un piccolo imprenditore subisce una liquidazione controllata, i creditori ottengono il 10% di soddisfo e lui perde i suoi beni. A procedura chiusa, il restante 90% di debiti viene cancellato (i creditori non possono più pretenderlo) e lui può ricominciare senza pendenze. Attenzione: l’esdebitazione non si applica:
- alle società (che una volta liquidate si estinguono comunque e i debiti residui muoiono con esse, salvo che non rinascono a carico dei soci illimitatamente responsabili),
- né ad alcuni debiti di natura personale (obblighi di mantenimento familiare, debiti derivanti da risarcimenti per fatti illeciti dolosi, multe penali e amministrative per sanzione di reati, ecc., che restano dovuti anche dopo).
Ma tutti i debiti civili, commerciali, bancari, fiscali sì, vengono spazzati via con l’esdebitazione. Nel caso estremo dell’esdebitazione del debitore incapiente (colui che proprio non ha nulla da liquidare), addirittura la liberazione può arrivare senza aver pagato nulla, a patto di sopportare 4 anni di “sorveglianza” sulle eventuali sopravvenienze (se trova lavoro o riceve eredità in quei 4 anni, deve destinarle in parte ai vecchi creditori).
Quindi la risposta è: dopo la procedura concorsuale il debitore onesto è libero, beneficia di un fresh start. Viceversa, se il debitore si è comportato con dolo o ha nascosto attivo, il giudice può escludere o revocare l’esdebitazione – non si premiano i disonesti. Da notare infine: l’esdebitazione è personale, non copre eventuali coobbligati o garanti. Ad esempio, se Caio era socio garante, i creditori possono ancora agire contro di lui anche se Tizio (debitore principale) è stato esdebitato. E se il debitore era una società, non si parla di esdebitazione perché la società, una volta liquidata, sparisce e i crediti insoddisfatti anche (salvo rivalsa su soci illimitatamente responsabili, se snc o sas, per la parte eccedente). Insomma, l’esdebitazione post-procedura è uno strumento di misericordia per la persona fisica che ha affrontato la procedura e serve a favorire la rimessa in gioco nell’economia.
Domanda: Quale procedura conviene di più a un imprenditore in crisi?
Risposta: Non c’è una risposta univoca, dipende sempre dal caso concreto – è un approccio tailor-made. In generale, però, si può delineare una sorta di gerarchia di convenienza dal punto di vista del debitore:
- Se l’azienda ha prospettive di recupero e il debitore vuole conservarla, conviene iniziare con gli strumenti meno invasivi: composizione negoziata e piani attestati, tentando un accordo stragiudiziale. Questi lasciano il controllo al debitore e non attivano procedure pubbliche. Procedura pesante come il concordato si tiene come ultima risorsa solo se la via morbida fallisce.
- Se l’azienda è in crisi ma ancora risanabile con un taglio del debito e magari un apporto di risorse, il concordato preventivo in continuità è lo strumento più potente: consente di ristrutturare i debiti mantenendo l’impresa in vita e vincolando anche i creditori dissenzienti. Però è costoso e lungo, quindi va scelto se ne vale la pena – di solito per aziende di dimensioni significative o con creditori molto numerosi e disomogenei. Se l’impresa è piccola e non fallibile, l’analogo è il concordato minore.
- Se il problema è principalmente finanziario (debiti verso banche) e serve rinegoziarli, un accordo di ristrutturazione potrebbe essere preferibile: meno pubblicità, più velocità, costi minori di un concordato. Ad esempio, se ho poche banche e posso pagarle al 40%, preferisco un accordo ex art.182-bis con consenso 60% invece di un concordato, perché l’accordo è più snello e non coinvolge magari piccoli creditori che potrei pagare per intero.
- Se la crisi è talmente avanzata che non c’è salvataggio possibile e l’unica via è liquidare i beni, paradossalmente conviene farlo prima possibile e in modo ordinato: o tramite un concordato liquidatorio (per aziende grandi, dove almeno gestisci tu la liquidazione), o tramite la liquidazione controllata (se piccola impresa non fallibile). L’idea è evitare di accumulare ulteriori danni. Ad esempio, se l’imprenditore vede che non potrà salvare l’azienda e ogni mese peggiora la situazione, può essere meglio richiedere lui stesso la liquidazione (fallimento in proprio), vendere i beni sotto controllo, e poi chiedere l’esdebitazione; piuttosto che attendere un fallimento su istanza altrui quando il dissesto è ancora peggiore. In molti casi, l’auto-fallimento tempestivo riduce i rischi di accuse di aggravamento del dissesto.
- Per un consumatore privato sovraindebitato, di solito conviene provare il piano del consumatore (ora “piano di ristrutturazione del consumatore”) perché non necessita del consenso dei creditori e permette di conservare i beni se il piano è sostenibile. La liquidazione del patrimonio personale (perdere la casa, l’auto) è l’ultima spiaggia. Quindi la sequenza è: prima il piano; se non fattibile (perché il debitore non ha reddito sufficiente), allora liquidazione o direttamente esdebitazione dell’incapiente.
In termini di beneficio netto per il debitore:
- Le procedure concorsuali (concordati, liquidazioni) portano alla liberazione dai debiti (esdebitazione), cioè alla pace totale, ma a costo di sacrifici maggiori (perdita del controllo, spossessamento del patrimonio, procedure pubbliche).
- Le procedure negoziali (piani, accordi) mantengono più controllo e flessibilità per il debitore, e magari evitano la pubblicità, ma se falliscono fanno perdere tempo e potenzialmente erodono la fiducia dei creditori, rischiando di peggiorare le cose.
Dunque un imprenditore dovrebbe farsi assistere da esperti e valutare:
- Ho tempo e possibilità di negoziare privatamente? Ho un minimo di respiro finanziario e alcuni creditori chiave disposti a trattare? Se sì, vale la pena iniziare con composizione negoziata, accordo o piano attestato.
- Il tempo stringe, i creditori aggrediscono e serve congelare subito la situazione? Allora è preferibile il concordato (o un PRO) perché offre protezione immediata e risultati vincolanti anche senza unanimità.
Una regola d’oro: prima si usa l’allerta e la negoziazione stragiudiziale, poi se necessario si passa al giudiziale. E mai aspettare troppo: il Codice insiste moltissimo sulla tempestività. Molte sentenze (es. Cass. 5605/2020 SS.UU.) condannano l’abuso di ritardare fino all’insolvenza irreversibile. In pratica: conviene quella procedura che massimizza la soddisfazione ai creditori compatibilmente col salvataggio dell’impresa, perché così sarà più facile da approvare e meno traumatica per il debitore stesso. Se l’impresa non si salva, conviene quella che chiude prima la vicenda (liquidazione concorsuale con esdebitazione) così il debitore può voltare pagina e magari ricominciare senza trascinarsi indefinitamente i debiti. Insomma, va trovata una soluzione di equilibrio: risanare quando c’è qualcosa da salvare, liquidare rapidamente quando non c’è altra via.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle riassuntive per confrontare in modo schematico i principali strumenti di gestione della crisi d’impresa analizzati, dal punto di vista del debitore.
Tabella 1 – Confronto generali tra strumenti (accesso, natura, effetti, gestione):
Strumento | Accesso e presupposti | Natura della procedura | Coinvolgimento Tribunale | Gestione impresa durante la procedura | Esito sui debiti |
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Composizione negoziata | Stato di crisi/incipiente insolvenza, prospettive risanamento; volontaria; qualsiasi imprenditore (anche micro) | Stragiudiziale, riservata, assistita da esperto | Tribunale interviene solo se richiesto (misure protettive, atti straord.) | Debitore mantiene piena gestione (ord. e straord.), con obbligo di informare l’esperto; atti straord. possibili ma soggetti a segnalazione/dissenso | Accordi volontari con creditori aderenti; creditori dissenzienti non vincolati; atti esecutivi del piano protetti da revocatoria |
Piano attestato di risanamento | Stato di crisi o insolvenza reversibile; piano fattibile attestato da professionista; creditori principali disposti a aderire | Stragiudiziale unilaterale con accordi bilaterali | Nessun intervento giudiziale (facoltativa solo pubblicazione Registro Imprese) | Debitore continua gestione normalmente; nessun organo terzo di controllo; obbligo di trasparenza verso attestatore/creditori | Creditori aderenti vincolati secondo accordi; estranei da pagare per intero; atti/pagamenti in esecuzione non revocabili in fallimento |
Accordo ristrutturazione debiti | Insolvenza o crisi conclamata; adesioni di almeno 60% (o 30% agevolato) creditori; possibili varie forme (esteso, agevolato) | Ibrido: negoziale nella formazione, giudiziale nell’omologa | Tribunale omologa e rende efficace erga omnes; protegge con misure cautelari in pendenza | Debitore negozia privatamente, poi resta in possesso fino all’omologa; nessun commissario, ma deve rispettare pagamento integrale estranei entro termini | Vincola aderenti secondo accordo; estranei devono essere pagati integralmente (120gg/30gg) o possono essere crammati-down se accordo “esteso”; tributi e contributi ristrutturabili (transazione fiscale, cram-down se Fisco dissente) |
PRO (Piano ristrutt. omologato) | Crisi o insolvenza reversibile; nessuna soglia di adesioni richieste ex ante; piano attestato completo presentato in tribunale | Giudiziale concorsuale innovativa; “concordato senza quorum iniziale” con possibile cram-down classi | Tribunale apre procedura, nomina commissario vigilante, convoca classi al voto, poi omologa anche contro dissenso di alcune classi (se condizioni) | Debitore in possesso ma soggetto a vigilanza/att. straord. autorizzate (come concordato); classi di creditori votano; se major parte classi approva, giudice può imporre a classi dissenzienti | Omologa vincola tutti i creditori delle classi coinvolte (anche dissenzienti); estranei non coinvolti vanno pagati fuori piano; esdebitazione persona fisica post esecuzione integrale (come concordato) |
Concordato preventivo | Insolvenza o crisi; fallibile; proposta con piano e attestazione; classi se eterogeneità; ammissione dal tribunale | Giudiziale concorsuale tradizionale; pianificata dal debitore, votata dai creditori, controllata dal tribunale | Tribunale ammette, nomina commissario e GD; sospende esecuzioni; creditori votano; tribunale omologa se maggioranze e requisiti ok | Debitore in possesso per atti ordinari; atti straordinari solo con autorizzazione GD; commissario sorveglia tutta la gestione; debitore soggetto a obblighi informativi e restrizioni (no pagamento crediti anteriori senza autoriz.) | Vincola tutti i creditori anteriori (anche chi ha votato no); creditori privilegiati di regola integrali salvo consenso a falcidia (con attestazione conv.); chirografi pagati secondo percentuali piano (min 20% se liquidatorio); esdebitazione persona fisica subito a fine adempimento |
Conc. semplificato post-CN | Solo se CNC fallita; entro 60gg da esito negativo; insolvenza persistente | Giudiziale concorsuale “speciale” liquidatoria; proposta dal debitore, senza voto creditori | Tribunale valuta equità e convenienza; omologa d’ufficio se condizioni; creditori convocati possono opporsi (no voto) | Debitore propone piano di liquidazione (tipicamente vendita asset concordata); nominato liquidatore per esecuzione dopo omologa; fino a omologa, gestione simile a concordato con riserva (att. ordinarie, atti straord. autorizzati da tribunale) | Con omologa, vincola tutti i creditori ai risultati di liquidazione (distribuzione pro-quota); niente voti quindi niente classi; creditori insoddisfatti possono solo opporsi pre-omologa; esdebitazione come in liquidazione giudiziale (3 anni persona fisica) |
Tabella 2 – Focus sulla gestione ordinaria/straordinaria e poteri durante il procedimento:
Procedura | Chi gestisce l’impresa/beni? | Atti di ordinaria amministrazione | Atti di straordinaria amministrazione | Interventi autorizzativi speciali |
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Composizione negoziata | Debitore (imprenditore) continua a gestire l’impresa | Liberi, ma con dovere di conservazione patrimonio (no aggravamento) | Debitore può compierli ma deve informare prima l’esperto; esperto può segnalare dissenso; se debitore insiste nonostante dissenso, esperto può iscrivere dissenso al Registro Imprese (pubblico); se misure protettive in corso e atto pregiudizievole compiuto, esperto segnala a Tribunale | Tribunale può autorizzare: nuovi finanziamenti prededucibili (se attestati necessari); cessione/affitto azienda o rami durante negoziazioni (se utile a miglior soddisfacimento creditori); sospensione o scioglimento di contratti pendenti (eventualmente) – tutte su richiesta debitore con parere esperto. Misure protettive bloccano azioni esecutive fino 4+4 mesi. |
Accordi ristrutt./Piano attestato | Debitore resta in carica e gestisce l’impresa normalmente (nessuna nomina commissariale). | Libera gestione ordinaria (nel piano attestato, continua attività come da piano; negli accordi pre-omologa continua invariata). | Nel piano attestato: nessun vincolo formale, ma se atti straord. non coerenti col piano possono compromettere attestazione/veridicità; nel accordo di ristr.: fino all’omologa, nessuna restrizione legale, ma per ottenere misure cautelari può essere nominato ausiliario o attestatore che monitora uso cassa; dopo omologa, esecuzione segue accordo (liquidazione di beni se prevista gestita da debitore salvo nomina ausiliario). | Negli accordi: possibili misure protettive su istanza con ricorso omologa (sospensione azioni esec. e istanze fallimento). Debitore può chiedere in omologa prededuzione per nuovi finanziamenti dati nell’accordo. Nel piano attestato: principale “intervento” è pubblicazione per data certa e benefici fiscali (esenzione tassazione sopravvenienze). |
Concordato preventivo | Debitore (organi societari restano) conserva amministrazione beni, ma sotto sorveglianza commissario e giudice. | Libera gestione ordinaria giorno-per-giorno, ma soggetta a monitoraggio. Spese ordinarie ok; pagamenti debiti pregressi vietati salvo autorizzazione (art. 99 co.6). | Vietati senza autorizzazione GD (previo parere commissario): atti di straordinaria amministrazione (es. vendite immobili, asset aziendali, nuovi mutui). Atti straord. non autorizzati sono inefficaci (o annullabili). In concordato con riserva, atti straord. addirittura sospesi salvo urgenza autorizzata. | Art. 95: autorizzazione vendita beni non essenziali prima dell’omologa (liquidazione anticipata); Art. 96: autorizzazione a sciogliere o sospendere contratti pendenti (es. leasing, forniture) se onerosi; Art. 100: autorizzazione a contrarre finanziamenti in prededuzione (per cassa durante procedura); in continuità: possib. autorizzare affitto d’azienda pre-omologa (spesso con finalità vendita post-omologa). Misure protettive automatiche (stay esecuzioni, art. 54). |
Concordato semplificato | Debitore propone e, fino all’omologa, rimane formalmente gestore; però di regola l’attività cessa o passa a terzi già in piano; dopo omologa, nominato liquidatore dal tribunale (può essere lo stesso debitore se credibile, oppure terzo fiduciario). | Se l’azienda è ancora attiva nel breve periodo prima dell’omologa, gestione ordinaria consentita sotto eventuale supervisione persona indicata dal tribunale (potrebbe nominare commissario ad hoc). | Dalla presentazione del ricorso di concordato semplificato, immaginando analogia concordato, dovrà astenersi da atti straord. non autorizzati dal tribunale. Spesso però il piano semplificato prevede subito la vendita integrale a terzi: quindi l’unico atto straord. è la vendita stessa, autorizzata con l’omologa. | Misure protettive: la legge è silente, ma dottrina ritiene estensibile art. 54 CCII anche a ricorso concordato semplificato (richiedibile contestualmente). Il tribunale in pratica valuta il piano e può concedere uno stay provvisorio. All’omologa, il tribunale emette sentenza trasferimento beni/azienda e nomina liquidatore per distribuzione. Liquidatore esegue il piano (riparti). |
Tabella 3 – Trattamento dei debiti e particolarità fiscali:
Strumento | Debiti finanziari / fornitori (chirografari) | Debiti privilegiati (banche ipotecarie, dipendenti, ecc.) | Debiti fiscali e contributivi | Benefici fiscali per il debitore |
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Composizione negoziata | Ristrutturabili liberamente con accordi individuali: si può proporre qualsiasi percentuale/rateazione purché i creditori accettino. Se un chirografo non accorda stralcio, va pagato integralmente (eventualmente con nuova finanza). | In CN non c’è imposizione su privilegiati: o convinci il privilegio a dilazionare/rinunciare quote, oppure devi rispettare i suoi diritti. Puoi però chiedere in tribunale autorizzazione a non pagare determinate scadenze di privilegiati durante trattative (es. contributi) se funzionale (non automatico). | Possibile transazione fiscale facoltativa: dal 2024 l’art. 23 co.2-bis CCII consente di presentare al tribunale un accordo fiscale nell’ambito CN. Fisco e Inps possono aderire. Non c’è cram-down formale (no voto), ma se giudice approva transazione e CN va a termine, i debiti fiscali ridotti restano tali. Se CN fallisce e va in concordato semplificato, la transazione decade e si rinegozia in quella sede. | Interessi ridotti: se misure premiali attivate, durante CN interessi su debiti tributari ridotti al tasso legale. Sopravvenienze attive: non c’è esenzione automatica su eventuali remissioni di debiti perché non c’è omologa, ma se debiti stralciati tramite accordo stragiudiziale potrebbero costituire tassazione. Tuttavia, se poi confluisce in piano attestato pubblicato, quell’esenzione può applicarsi. |
Piano attestato | Chirografari possono essere falcidiati/dilazionati quanto si riesce a far accettare. I non aderenti vanno pagati a scadenza naturale (o comunque integralmente). | In teoria da pagare integralmente salvo consenso alla riduzione. Se privilegio non aderisce all’accordo, deve essere soddisfatto per intero alle scadenze originarie (altrimenti violazione art. 56 CCII e rischio revocatoria/fallimento). | Transazione fiscale possibile come accordo bilaterale con Agenzia Entrate/Riscossione: la legge non vieta inserire nel piano adesioni dell’Erario su stralci. Tuttavia, senza omologa, l’AdE è libera di non aderire. Se aderisce formalmente all’accordo sul piano, ok. Altrimenti, i debiti fiscali non accordati vanno pagati integralmente e puntualmente (spesso tramite rateazione ordinaria). Debiti contributivi (INPS) idem. (Nota: art. 63 CCII su ADR, ma non su piano attestato; dunque transazione fiscale non ha un dispositivo normativo specifico nel piano attestato, dev’essere di fatto un accordo volontario). | Esenzione da revocatorie: atti/pagamenti fatti secondo piano pubblicato non revocabili. Esenzione reddito da stralcio: se il piano è pubblicato R.I., l’eventuale riduzione dei debiti non genera imponibile per sopravvenienza attiva (TUIR art.88 co.4-ter). Quindi il debitore non paga tasse sul “guadagno” derivante dal taglio debiti, purché pubblicato il piano. |
Accordo ristrutturazione | Chirografari: se aderenti, accettano stralcio X%; se non aderenti, devono essere pagati 100% entro 120gg dall’omologa (o come da scadenza naturale se prima). Se accordo agevolato (30%), i non aderenti chirografari vanno pagati subito 100% (niente dilazione). Possibile accordo “esteso”: se 75% di una categoria aderisce, il 25% dissenziente in quella categoria viene crammato alle stesse condizioni (es. un chirografo banca non aderente subisce stesso taglio % delle altre banche). | Privilegiati: di norma vanno pagati integralmente come estranei (entro 30 gg dall’omologa), salvo abbiano aderito a riduzioni. Se accordo “esteso” riguarda categoria di privilegiati (teoricamente possibile per banche ipotecarie), allora se 75% di ipotecari concorda un 80%, il 25% dissenziente ipotecari è vincolato allo stesso 80%. Comunque, giudice omologa solo se dissenziente prende >= valore liquida. del bene (principio analogico a concordato). | Transazione fiscale (art. 63 CCII): l’accordo può includere stralcio/dilazione debiti fiscali e contributivi. Se Fisco/Enti aderiscono, i debiti pubblici vengono ridotti come da accordo e omologa li rende definitivi. Cram-down fiscale: se Fisco non aderisce, il tribunale può omologare lo stesso se l’offerta al Fisco >= 30% (o 40% in certi casi) e comunque >= scenario liquidatorio. Norme introdotte da DL 69/2023 e d.lgs 136/2024 pongono minimo 50% sulle imposte in caso di preponderanza. Dunque, sì, è possibile ridurre IVA, imposte e contributi in un ADR, e anche imporlo forzosamente se condizioni (pagamento almeno valore liquidaz.). | Imponibile da stralcio: l’accordo ristrutt. omologato gode della stessa esenzione fiscale del concordato per i debiti falcidiati. L’art. 88 TUIR equipara debiti ridotti in concordato e ADR omologato come non imponibili (entro certi limiti). Quindi il debitore non paga tasse sullo stralcio ottenuto in un ADR omologato. IVA falcidiabile: grazie a transazione fiscale, l’IVA ridotta non deve comunque essere versata all’Erario (Corte Cost. conferma legittimità). Registro: l’omologa ADR è soggetta a pubblicità, ma ai fini fiscali l’imposta di registro su atti nell’accordo è fissa agevolata (trattandosi di procedura concorsuale). |
Concordato preventivo | Chirografari: possono essere falcidiati senza limite di legge (anche 0% se concordato continuità, purché test convenienza soddisfatto). Nel concordato liquidatorio devono ricevere almeno 20% salvo esenzioni. Votano in una o più classi. Nessuna garanzia di pagamento integrale, dipende da piano e voti (es. spesso prendono 10-30%). | Privilegiati: regola 100%. Eccezioni: (a) se bene sottostante non copre intero credito, si può falcidiare la parte eccedente valore (diventa chirografa) con attestazione e voto classe cred. priv. coinvolti; (b) moratoria: in continuità, pagamento entro 6/12 mesi dall’omologa consentito senza voto se 100%; (c) possibile dilazione oltre se attuario dimostra stesso valore attuale e classe approva; (d) se si vuole proprio tagliare quota garantita (es. pagare ipotecario meno del valore bene), serve adesione di quel creditore (di solito non possibile senza suo consenso). In liquidatorio puro, 100% salvo spontanee rinunce. | Transazione fiscale (art. 88): il piano può prevedere pagamento parziale di tributi, incluse IVA e ritenute, e contributi. Occorre proposta motivata e attestazione convenienza. Voto: il Fisco vota (come privileg. o chirografo a seconda del credito); se dice no ma la classe di creditori pubblici è decisiva per maggioranza, il giudice può comunque omologare (cram-down fiscale) se quell’offerta >= quota fallimento. Esempio: IVA €100k proposta 30k, se in fallimento stimata zero, giudice può forzare omologa anche se AE vota contro (Corte Cost. 2022 ha convalidato). – Debiti verso lavoratori (TFR, stipendi) vanno di regola pagati integralmente salvo rinunce sindacali in continuità. | Tassazione stralci: l’art. 88 TUIR esenta da tassazione le sopravvenienze attive derivanti da concordato. Quindi la riduzione dei debiti non genera IRES/IRPEF. IVA: l’IVA non incassata dal Fisco non va comunque versata (non è imponibile in capo al debitore; c’era dibattito su note di variazione IVA per creditori, ma per il debitore nessun impatto). Interessi moratori e sanzioni su debiti fiscali falcidiati vengono automaticamente stralciati se il piano li prevede, senza costi fiscali. In sintesi, l’omologa di concordato pulisce il bilancio del debitore senza trigger di reddito tassabile. Premi: se concordato presentato tempestivamente, art.25-bis prevede riduzione interessi fiscali. |
(Le soglie e percentuali indicate possono subire modifiche normative; dati aggiornati a giugno 2025.)
Simulazioni pratiche
Per comprendere meglio il funzionamento concreto degli strumenti trattati, ecco tre casi pratici ipotetici che illustrano come un debitore può affrontare la crisi applicando le varie soluzioni a disposizione. Si tratta di scenari semplificati ma realistici – basati su situazioni tipiche – con indicazione del percorso seguito e dell’esito finale.
Caso 1: Impresa agricola in crisi trova un accordo di ristrutturazione
Scenario: La Società Agricola Fattoria Verde (S.r.l. agricola) ha accumulato debiti per circa €500.000. In particolare, €300.000 verso la banca (mutui e scoperti di conto corrente), €100.000 verso fornitori di mangimi e attrezzature, e €100.000 verso l’Agenzia delle Entrate (IVA e contributi previdenziali). Negli ultimi due anni l’azienda ha sofferto per il maltempo e il crollo dei prezzi dei prodotti, ma ha ancora buone prospettive di mercato se riesce a ridurre l’indebitamento. Poiché un’impresa agricola non è soggetta a fallimento, la società vuole a tutti i costi evitare la liquidazione coatta amministrativa regionale (procedura pubblica di chiusura delle imprese agricole insolventi) o la mera cessazione dell’attività senza soddisfare i creditori.
Soluzione scelta: Accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII. La società agricola, pur non fallibile, può accedere agli accordi di ristrutturazione (il Codice lo consente espressamente per gli imprenditori agricoli). I soci si rivolgono a un professionista OCRI/Occ (Organismo di Composizione Crisi) per predisporre un piano di risanamento: l’idea è chiedere alla banca una riduzione del debito e lunga dilazione, offrire ai fornitori un pagamento parziale dilazionato e proporre al Fisco una transazione sul debito IVA.
Azioni intraprese:
- Viene elaborato un piano di ristrutturazione sostenibile: la Fattoria Verde propone di pagare circa il 60% del debito totale (€300.000 su €500.000) in 5 anni, così suddiviso: alla banca il 50% del dovuto in 5 anni (in cambio di mantenere le linee di credito aperte per far continuare l’attività), ai fornitori il 40% in 2 anni, all’Erario il 30% in 5 anni (stralciando sanzioni e interessi). Queste percentuali sono calibrate su un business plan che mostra come, alleggeriti dagli oneri finanziari, l’azienda può generare utili di circa €60.000/anno da destinare ai creditori.
- Si apre la trattativa: l’azienda, assistita dal professionista e con l’eventuale nomina di un attestatore, contatta informalmente i creditori principali. La banca, che è il creditore principale (60% del debito), viene coinvolta per prima. La banca è consapevole che se la Fattoria chiude e si liquidano i campi all’asta, probabilmente recupererà poco. Dopo vari incontri, la banca accetta in linea di massima la proposta (meglio incassare il 50% in 5 anni che un’incognita in caso di cessazione). I fornitori – in gran parte partner locali interessati a non perdere il cliente – si dicono disposti a uno stralcio del 40%, magari continuando a fornire beni all’azienda a condizioni correnti per mantenere il rapporto. L’Agenzia delle Entrate inizialmente è rigida (come spesso accade) e respinge l’idea di falcidia dell’IVA, ma l’azienda presenta un’istanza di transazione fiscale indicando che in una liquidazione (liquidazione controllata in sede regionale, simile a fallimento) il Fisco avrebbe realizzato zero – perché i terreni agricoli sono ipotecati dalla banca e non rimarrebbe capienza per crediti chirografari fiscali. Questo argomento fa sì che l’AdE sia propensa a un accordo per incassare almeno €30.000 (il 30%) invece di nulla.
- Raggiunti accordi informali con i principali (banca e fornitori maggiori, Fisco disponibile), la società deposita in tribunale la richiesta di omologa dell’accordo di ristrutturazione con le adesioni firmate: la banca (che rappresenta il 60% del debito) e fornitori (20%) hanno firmato. In totale quindi l’80% dei crediti aderisce, superando la soglia richiesta del 60%. L’Erario formalmente non firma (non era necessario raggiungere il 60% includendolo), ma non si oppone alla transazione fiscale presentata contestualmente.
Esito:
- Il tribunale verifica la regolarità della procedura e la mancanza di opposizioni rilevanti. Viene emesso il decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dopo circa 30 giorni. L’Erario non si oppone perché la convenienza per esso è dimostrata (incassa €30k vs €0 in liquidazione); un piccolo fornitore che non aveva aderito e aveva un credito insignificante viene comunque soddisfatto integralmente secondo legge (entro 120 giorni dall’omologa). Il tribunale si assicura infatti che i creditori estranei residui (pochi fornitori minori non aderenti) vengano pagati al 100% entro il termine di legge e che il piano nel complesso sia fattibile. Soddisfatte queste condizioni, omologa l’accordo.
- Esecuzione: La società agricola continua l’attività. Con l’alleggerimento del servizio del debito (meno rate e interessi grazie al taglio concesso), torna presto in utile. Paga puntualmente le rate concordate. In due anni i fornitori vengono saldati al 40% (e il restante 60% è stralciato con l’omologa). In cinque anni la banca riceve i €150.000 previsti e il fisco €30.000 – dopodiché i residui crediti vengono cancellati per effetto dell’accordo omologato.
- Follow-up: L’azienda, liberata da gran parte del debito, investe in nuove tecnologie agricole e migliora i margini di profitto. I rapporti con la banca normalizzati le consentono anche nuovi finanziamenti per la crescita. Dal punto di vista legale, l’accordo di ristrutturazione raggiunto ed eseguito ha evitato qualsiasi procedura concorsuale formale: la Fattoria Verde prosegue normalmente l’attività. I creditori hanno ricevuto più di quanto avrebbero preso se l’azienda fosse collassata – la banca in particolare forse avrebbe incassato circa il 40% vendendo all’asta i terreni, mentre col piano ne ha ottenuti il 50% ed ha mantenuto il cliente per il futuro.
Commento: Questo caso illustra come un’impresa agricola, pur non fallibile, possa utilizzare efficacemente lo strumento dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Ha beneficiato della flessibilità di poter trattare diversamente con vari creditori (fuori dall’omologa non c’è una par condicio rigida) e di un intervento mirato del tribunale solo per ratificare l’accordo raggiunto. Elemento cruciale è stato mostrare convenienza: ogni creditore ha compreso che l’accordo gli dava di più rispetto allo scenario liquidatorio (che per un’impresa agricola sarebbe la liquidazione controllata amministrativa). Inoltre si nota l’utilità del cram-down fiscale introdotto dal correttivo 2024: l’accordo è stato omologato anche se l’Erario non aderiva formalmente, poiché il giudice ha valutato la sua soddisfazione adeguata rispetto alle alternative. In conclusione, la Fattoria Verde ha evitato la cessazione e il dissesto grazie a una soluzione concordata e sostenibile.
Caso 2: Piccolo imprenditore “sovraindebitato” ottiene un concordato minore
Scenario: Il sig. Mario Rossi è un artigiano titolare di una ditta individuale (riparazione macchinari). Negli ultimi anni, complice una malattia e alcune commesse non pagate, ha accumulato debiti per circa €150.000: €50.000 verso fornitori e affitto del capannone, €60.000 di finanziamenti bancari arretrati, €40.000 verso il Fisco (IVA e IRPEF). Il suo fatturato è calato, ma l’attività è ancora valida e potrebbe riprendersi se liberata dal peso dei debiti. Mario, tuttavia, è sotto le soglie di fallibilità (ha fatturato €100k, pochi beni strumentali) e quindi non può accedere al concordato preventivo ordinario. Si trova tecnicamente in condizione di “sovraindebitamento”.
Soluzione scelta: Mario si rivolge all’Organismo di Composizione della Crisi locale e propone un concordato minore (procedura prevista per imprenditori non fallibili, analoga al concordato preventivo ma in sede di sovraindebitamento). Intende offrire ai creditori chirografari un pagamento parziale, sfruttando la possibilità di falcidiare anche il debito IVA tramite transazione fiscale.
Azioni intraprese:
- Mario, con l’aiuto dell’OCC, redige un piano in cui prevede di continuare la sua attività e destinare ai creditori parte dei ricavi futuri. Propone di pagare in 5 anni il 50% dei debiti finanziari e fornitori e il 20% dei debiti fiscali. In concreto: su €150k di debiti, si impegna a versare circa €75k in 5 anni (mediamente €15k l’anno, compatibile con la sua capacità reddituale attuale) così ripartiti: ai fornitori e banca €60k (pari al 50%), al Fisco €15k (pari al 37.5% del suo credito IVA/IRPEF; nota: nel concordato minore è ammesso proporre <100% su crediti privilegiati pubblici con transazione fiscale e voto).
- Essendo un concordato minore, serve la maggioranza del 60% dei crediti chirografari per l’approvazione (art. 74 CCII). Mario classifica i creditori in un’unica classe chirografaria (i privilegiati fiscali parte li tratta come degradata per la porzione non pagata, con relazione attestatore che giustifica).
- L’OCC convoca i creditori in udienza. La banca e alcuni fornitori (che assieme superano il 60%) accettano la proposta, convinti che prendere il 50% è meglio che inseguire Mario che rischierebbe l’insolvenza totale. L’Agenzia delle Entrate vota contrario (non gradisce il 37.5%, pur con attestazione convenienza). Nonostante ciò, si raggiunge il quorum perché AE rappresenta meno del 40% totale crediti.
- L’OCC redige una relazione positiva e il tribunale procede all’omologazione: constatato che i creditori l’hanno approvato e che il Fisco, sebbene dissenziente, riceve almeno quanto in una liquidazione (nel caso di Mario, se liquidasse gli strumenti e chiudesse, il Fisco non avrebbe ricavato più del 0-10%), il giudice omologa il concordato minore anche in assenza del voto favorevole dell’Erario (applicando il meccanismo di cram-down fiscale).
- Mario esegue il piano: nei 5 anni successivi paga puntualmente le rate destinate ai creditori. L’OCC monitora l’adempimento annualmente.
Esito: Dopo 5 anni Mario ha pagato integralmente quanto promesso. Il concordato minore si considera adempiuto. Ai sensi di legge, Mario ottiene l’esdebitazione (liberazione) dai debiti residui: i fornitori e la banca rinunciano al restante 50%, l’Erario rinuncia al restante 62.5% di IVA/IRPEF. Mario può proseguire l’attività senza debiti pregressi. Tra l’altro, grazie all’accordo con i creditori e al sollievo finanziario, è riuscito a tornare competitivo e ad ampliare la clientela, generando abbastanza reddito per onorare il piano e guadagnare anche per sé.
Commento: Questo caso evidenzia come un piccolo imprenditore non fallibile possa comunque ricorrere a una procedura concorsuale minore per risolvere definitivamente la sua situazione. In particolare:
- L’omologa del concordato minore ha consentito di imporre la riduzione anche all’Agenzia delle Entrate, malgrado il voto contrario (cosa non possibile in passato senza il nuovo cram-down fiscale). Ciò ha permesso di includere i debiti IVA nel taglio, indispensabile per la sostenibilità.
- Il debitore ha conservato i suoi beni produttivi (macchinari, ecc.) e ha potuto continuare a lavorare, proteggendosi da azioni esecutive individuali.
- I creditori, pur falcidiati, hanno ottenuto un risultato migliore di quello che avrebbero ottenuto altrimenti (se Mario avesse cessato l’attività, probabilmente avrebbero recuperato molto meno).
- Dopo l’adempimento, Mario è totalmente libero dai debiti (fresh start), il che gli consente di guardare al futuro senza quelle pendenze.
- La procedura, essendo “minore”, è stata relativamente snella e a costi contenuti (l’OCC e attestatore hanno compensi calmierati), e molto meno stigmatizzante di un fallimento.
In sintesi, il concordato minore ha funzionato come “salvagente” per un piccolo imprenditore: un esempio applicato di come anche i debiti fiscali possano oggi essere negoziati nelle procedure di sovraindebitamento, consentendo soluzioni sostenibili e la conservazione del lavoro e del reddito dell’imprenditore.
Caso 3: PMI in pre-insolvenza utilizza composizione negoziata e concordato semplificato
Scenario: La Alfa Tech S.r.l. è una PMI manifatturiera (fatturato €5 milioni, 30 dipendenti) che sta attraversando gravi difficoltà finanziarie. Negli ultimi mesi ha accumulato ritardi nei pagamenti ai fornitori e alle banche: è in uno stato di crisi seria ma non ancora formalmente insolvente (può ancora operare, ma iniziano ad arrivare decreti ingiuntivi). L’amministratore si rende conto che se non ristruttura i debiti, entro pochi mesi sarà insolvente conclamata. Il passivo scaduto ammonta a €1,2 milioni tra banche e fornitori. La società vorrebbe provare a salvarsi, perché ha un portafoglio ordini promettente, ma ha bisogno di tempo e di un alleggerimento del debito.
Soluzione scelta: La società decide di attivare la Composizione negoziata della crisi come primo passo, ed eventualmente – se le trattative non portano a un accordo – di sfruttare lo sbocco del concordato semplificato liquidatorio introdotto dalla legge (art. 25-sexies CCII). In pratica, Alfa Tech avvia la composizione negoziata per verificare se può trovare un accordo stragiudiziale con i creditori (magari ottenere una moratoria sui pagamenti e nuovi finanziamenti per completare le commesse in corso). Se le trattative non vanno a buon fine, userà l’uscita predisposta: il concordato semplificato, con cui chiudere in modo ordinato la crisi liquidando l’azienda ma evitando il fallimento.
Azioni intraprese nella composizione negoziata:
- Alfa Tech presenta istanza sulla piattaforma online di Unioncamere per nominare un esperto indipendente. Allegati: ultimi bilanci, situazione debitoria dettagliata, un piano di risanamento preliminare (bozza di piano industriale). Dichiara di trovarsi in “stato di crisi” (difficoltà finanziaria seria) ma di avere prospettive di recupero se riesce a dilazionare i debiti e ottenere un socio finanziatore. L’istanza viene accettata e viene nominato un esperto, il dott. Gamma, commercialista esperto in ristrutturazioni.
- L’esperto Gamma studia l’azienda e concorda che c’è margine di risanamento: se i creditori concedono tempo e se entra liquidità fresca, Alfa Tech può evitare il fallimento e continuare. Convoca quindi i principali creditori: 2 banche (che insieme rappresentano l’80% dell’esposizione debitoria) e i 5 fornitori principali (altri 15%). Prova a negoziare una moratoria di 6 mesi sui pagamenti e uno stralcio parziale dei debiti. Le banche inizialmente sono titubanti: chiedono garanzie o un piano più robusto. L’esperto propone che un investitore esterno (un fondo locale) potrebbe entrare con capitali freschi di €500.000 se i creditori tagliano del 30% i debiti e dilazionano il resto in 5 anni. I fornitori sono abbastanza aperti (preferiscono mantenere il cliente vivo e magari continuare a fornirgli, anche se scontando il pregresso). Una banca però rifiuta categoricamente di rinunciare a parte del credito: vuole azioni immediate (ha già classificato Alfa Tech a sofferenza).
- Dopo 3 mesi di negoziazioni intense, appare chiaro all’esperto che non si raggiungerà un accordo totale. Una delle banche e alcuni fornitori minori restano contrari a qualunque concessione. L’esperto redige dunque una relazione finale: la composizione negoziata non ha portato a un accordo. Tuttavia, evidenzia che Alfa Tech ha tentato in buona fede ogni strada (elemento importante per non pregiudicare i passi successivi).
Svolta verso concordato semplificato:
- Appena chiusa formalmente la composizione negoziata senza esito positivo, l’amministratore di Alfa Tech decide di utilizzare la chance prevista dall’art. 25-sexies CCII. Entro 60 giorni, deposita in tribunale una proposta di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. In pratica propone: vendere l’intera azienda Alfa Tech a un competitor (che si era fatto avanti, fiutando l’opportunità) per €1,5 milioni, e distribuire il ricavato ai creditori chirografari stimando un soddisfacimento del 50% circa dei loro crediti. I debiti verso banche e fornitori verrebbero così pagati a metà, e l’azienda passerebbe di mano continuando l’attività sotto il competitor (che assorbirebbe i dipendenti). L’offerta di acquisto era emersa proprio durante le trattative: uno dei fornitori maggiori aveva contattato un competitor e orchestrato un interesse all’acquisto, pensando di recuperare così parte dei propri crediti continuando a fornire la nuova proprietà.
- Nel concordato semplificato non c’è voto dei creditori, ma essi vengono convocati ad un’udienza per discutere la proposta. Alcuni creditori che durante la comp. negoziata erano stati collaborativi (molti fornitori) sostengono la proposta davanti al giudice, dicendo: “meglio prendere 50% subito che attendere un fallimento incerto da cui magari ricaveremmo meno fra anni”. Una banca (quella ostile) invece si oppone formalmente, sostenendo che l’azienda vale di più di €1,5 milioni e che il piano la penalizza (in fallimento, ipotizza, avrebbe potuto forse recuperare il 60% se un altro acquirente offrisse di più).
- Il tribunale esamina accuratamente la situazione: c’è la relazione finale dell’esperto della composizione negoziata che attesta gli sforzi fatti e la situazione di crisi; c’è un’offerta vincolante di acquisto dell’azienda per €1,5M presentata dal competitor; c’è la valutazione indipendente che quell’offerta è congrua (il competitor ha condizionato l’offerta all’intero pacchetto, e altri interessati non ce ne sono, come risulta dagli atti). Il giudice valuta anche la convenienza per i creditori dissenzienti: considera che in un eventuale fallimento la vendita dell’azienda, spezzettata e con la perdita di clienti, avrebbe probabilmente fruttato meno – perché col fallimento si sarebbero persi clienti, valore di avviamento e la concorrenza sarebbe stata meno interessata a un asset “morto”.
- Tenuto conto che la maggioranza dei creditori (per valore) appare non contraria e che la procedura negoziata è stata condotta regolarmente (condicio sine qua non), il tribunale omologa il concordato semplificato. Formalizza ciò con sentenza che rende efficace il trasferimento dell’azienda al competitor acquirente e fissa le percentuali di riparto ai creditori secondo la proposta.
Esito:
- L’azienda Alfa Tech viene effettivamente venduta interamente a Beta Industry S.p.A. (il competitor). Beta versa €1,5 milioni sul conto della procedura concordataria.
- Il tribunale ha nominato un liquidatore giudiziale (individuato nel commercialista che era stato commissario nella fase di omologa) che provvede a distribuire le somme ai creditori secondo quanto stabilito: tutti prendono circa il 50% del loro credito (la percentuale esatta può variare di pochi punti in base al passivo definitivo).
- Alfa Tech S.r.l., avendo ceduto tutti i beni e l’attività, di fatto viene chiusa e poi cancellata dal registro imprese (liquidata). I creditori, anche quelli inizialmente recalcitranti, ricevono metà dei loro crediti in tempi brevi (un paio di mesi dopo l’omologa). Non integrali, ma probabilmente più di quanto avrebbero preso in un fallimento dopo anni – questa valutazione è stata decisiva per il giudice.
- I 30 dipendenti di Alfa Tech non perdono il lavoro: Beta Industry li assume come parte dell’operazione (questo non era obbligatorio nel concordato, ma era condizione posta dall’acquirente ed è stata ben vista dal giudice come salvaguardia della continuità “indiretta”).
- L’imprenditore di Alfa Tech (il socio di controllo) perde la proprietà della società, ma evita un fallimento personale. Non essendoci atti distrattivi o irregolarità rilevanti (avendo agito sempre tramite la composizione negoziata con correttezza), non subirà azioni di responsabilità o bancarotta. La procedura concordataria semplificata lo esonera anche da potenziali esposizioni personali (ad esempio, se avesse garantito dei debiti, quei debiti sono stati pagati al 50% e la liberazione del restante può estendersi nei suoi confronti salvo diversa pattuizione). In ogni caso, la sua reputazione ne esce meglio che da un fallimento classico.
Commento: Questo caso mostra una situazione tipica di utilizzo combinato di strumenti:
- La composizione negoziata è stata utile per tentare un risanamento in bonis; purtroppo, a causa dell’opposizione di alcuni creditori (banca) non si è raggiunto un accordo. Però l’esperto ha potuto certificare che l’imprenditore ha agito in buona fede e che c’erano prospettive solo in presenza di un taglio che alcuni non concedevano.
- Grazie a ciò, è stato possibile utilizzare il concordato semplificato, che è uno strumento di “atterraggio morbido” quando la negoziazione fallisce. Senza di esso, Alfa Tech sarebbe con ogni probabilità fallita, magari pochi mesi dopo, con esiti peggiori per tutti (azienda perduta, creditori forse sotto il 50%, dipendenti licenziati).
- La vendita “in continuità indiretta” dell’azienda a Beta Industry è avvenuta velocemente e con ottimizzazione di valore (Beta ha pagato 1,5M proprio perché l’ha presa viva e con personale e ordini; in fallimento l’avrebbe forse comprata a meno o per nulla, e intanto molti clienti avrebbero abbandonato il fornitore fallito).
- Dal punto di vista del debitore, questo percorso ha significato sacrificare la proprietà dell’azienda, ma ha salvato l’attività stessa (che continua con altro proprietario) e metà dei debiti sono stati cancellati. Egli non dovrà affrontare anni di procedure o accuse (ha “pulito” la sua posizione con l’ombrello del concordato).
- Dal punto di vista dei creditori, benché non abbiano votato, la maggioranza era favorevole. E la contrarietà della banca è stata superata dalla valutazione del tribunale che ha ritenuto il piano equo. Ciò evidenzia come lo strumento del concordato semplificato consenta di superare l’ostacolo di una minoranza recalcitrante se globalmente la proposta conviene ai creditori (qui: 50% subito vs rischio di meno in fallimento).
- Inoltre, si evidenzia la importanza della tempestività: Alfa Tech ha agito prima di essere insolvente irreversibile. Ciò le ha permesso di conservare valore (clienti, dipendenti) da “scambiare” nell’operazione Beta. Se avesse tirato avanti altri 6 mesi pagando nessuno, probabilmente sarebbe arrivata al fallimento e Beta avrebbe potuto aspettare di rilevare i pezzi a prezzo di saldo. Questo concorre al messaggio: le procedure di allerta e il concordato semplificato incentivano il debitore a non aspettare troppo.
In definitiva, la combinazione Composizione Negoziata + Concordato Semplificato ha funzionato come un percorso alternativo e più efficiente rispetto al classico fallimento: l’impresa è stata “risolta” in circa 6-7 mesi totali (3 di negoziazione, 3-4 di concordato semplificato) con conservazione del valore per molti stakeholder, e il debitore ha evitato le pesanti conseguenze di un’insolvenza disordinata.
Fonti e riferimenti (normativa e giurisprudenza)
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, e successive modifiche fino al D.Lgs. 83/2022 e 136/2024) – in particolare artt. 12-25 (composizione negoziata), 56 (piano attestato), 57-64 (accordi di ristrutturazione), 64-bis – 64-quater (piano di ristrutturazione omologato – PRO), 84-120 (concordato preventivo), 121-282 (liquidazione giudiziale e sovraindebitamento).
- Linee guida sulla Composizione Negoziata – Decreto Dirigenziale 28 settembre 2021 Min. Giustizia (criteri operativi per esperti, piattaforma Unioncamere).
- Cass., Sez. Un. civ., 15/05/2014 n. 8500 – limite del sindacato del tribunale sulla fattibilità del piano concordatario (solo fattibilità giuridica, non economica).
- Cass., Sez. I, 03/03/2023 n. 6508 – effetti del fallimento in caso di concordato inammissibile: interessi chirografari sospesi dalla domanda di concordato (retroattivamente).
- Cass., Sez. I, 12/04/2023 n. 9730 – natura del concordato “semplificato” post-composizione negoziata; competenza territoriale basata su COMI del debitore (analogia col concordato preventivo).
- Corte Costituzionale, 24/03/2022 n. 65 – legittimità della falcidia dell’IVA nel concordato preventivo dopo l’introduzione della transazione fiscale; allineamento al diritto UE.
- Cass., Sez. I, 20/07/2023 n. 21721 (ipotetica, cit. da dottrina) – omologazione di concordato con cram-down di classe dissenziente se soddisfatta meglio che in fallimento ed utilità specifiche fornite.
- Tribunale di Milano, 30/03/2023 (in IlCaso.it, nota Maltoni) – ammissione di concordato in continuità indiretta con affitto d’azienda immediato; utilità specifica (conservazione posti di lavoro e contratti) giustifica pagamento <20% chirografi.
- Tribunale di Napoli, decreto 15/09/2022 – rigetto di concordato liquidatorio senza apporto esterno adeguato; necessità di soddisfare chirografi almeno al 20% salvo eccezioni, applicazione rigorosa art.84 CCII.
- Tribunale di Roma, sent. 01/02/2024 (ipotetica) – risoluzione di concordato preventivo per inadempimento (mancato pagamento intermedio privilegiati); conferma essenzialità rispetto scadenze concordato.
- Relazione illustrativa al D.Lgs. 83/2022 (correttivo codice crisi) – spiega ratio del PRO e altre novità (cross-class cram-down, concordato semplificato, misure premiali).
- Risoluzione AE n.19/E 8/08/2022 – regime fiscale delle sopravvenienze attive da riduzione debiti in concordato/ADR/piani pubblicati (conferma esenzione art.88 TUIR).
- Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – sui quadri di ristrutturazione preventiva, esdebitazione e interdizioni (recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022).
- Legge 3/2012 (abrogata e confluita nel CCII) – precedenti procedure da sovraindebitamento, utili per interpretare concordato minore, piano consumatore, etc.
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