La tua azienda è in liquidazione volontaria e temi che la procedura possa trasformarsi in un incubo tra creditori insoddisfatti, ritardi e responsabilità? Vuoi chiudere in modo ordinato, senza lasciare nulla al caso e senza rischi personali?
La liquidazione volontaria è uno strumento straordinario per sciogliere un’impresa in via consensuale, ma richiede il rispetto di regole precise e tempi rigorosi. Con la guida giusta, puoi uscire senza sorprese, tutelare il patrimonio residuo e preservare la tua reputazione.
Cos’è la liquidazione volontaria e quando conviene adottarla?
È una procedura prevista dal Codice Civile che consente ai soci di decidere di comune accordo di cessare l’attività, vendere i beni, pagare i creditori e distribuire l’eventuale avanzo. Va adottata quando:
– L’impresa non è più strategica per i soci
– La gestione ordinaria non permette di superare le difficoltà economiche
– Si vuole evitare un fallimento o una liquidazione giudiziale
– Si desidera una chiusura pulita, rispettosa dei creditori e senza contenziosi
Quali sono i passaggi fondamentali?
- Delibera assembleare
– I soci approvano lo stato di insolvenza o l’impossibilità di proseguire
– Si nomina il liquidatore (o i liquidatori)
– Si stabiliscono i criteri di vendita dei beni e di pagamento dei debiti - Inventario e censimento dei crediti/debiti
– Il liquidatore redige l’inventario dei beni e il piano dei creditori
– Si pubblicano gli avvisi ai creditori per far emergere ogni passività - Realizzazione dell’attivo
– Vendita di immobili, macchinari, scorte e altri asset
– Incasso dei crediti verso terzi - Soddisfacimento dei creditori
– Pagamento dei debiti secondo l’ordine di prelazione
– Eventuale accordo con i creditori in caso di massa insufficiente - Distribuzione dell’eventuale residuo
– Se, dopo i pagamenti, rimane un avanzo, viene ripartito tra i soci
– Si redige il bilancio finale di liquidazione - Cancellazione dal Registro Imprese
– Si deposita il bilancio finale e si chiede la cancellazione
– L’azienda cessa formalmente di esistere
A cosa prestare attenzione per non incorre in problemi?
– Termini di pubblicazione: ritardi nella chiamata dei creditori possono provocare impugnazioni
– Conti correnti: eventuali prelievi irregolari dai soci prima dei pagamenti sono rischiosi
– Responsabilità del liquidatore: deve agire con diligenza, altrimenti può essere chiamato a rispondere
– Crediti verso soci: bisogna gestirli con trasparenza per evitare contestazioni
– Registro delle opposizioni: i creditori hanno tempo per opporsi alle modalità di liquidazione
Come ti aiutiamo noi dello Studio Monardo?
Ti assistiamo in ogni fase:
- Delibera e nomina del liquidatore: redazione verbali e strumenti societari conformi
- Gestione creditori: invio avvisi, raccolta istanze e definizione di eventuali accordi stragiudiziali
- Realizzazione dell’attivo: consulenza per la vendita dei beni e recupero crediti
- Tutela del liquidatore: supporto per agire con piena diligenza e limitare responsabilità
- Bilancio finale e cancellazione: predisposizione del documento conclusivo e iscrizione della cancellazione
La tua azienda è in liquidazione volontaria e vuoi uscirne senza intoppi?
In fondo alla guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti affiancheremo passo dopo passo per gestire la procedura correttamente, evitare contestazioni e chiudere l’attività con serenità.
Introduzione
Nota Bene: La presente guida è aggiornata a giugno 2025, tenendo conto delle più recenti riforme normative (in particolare le novità fiscali introdotte a fine 2024) e delle ultime sentenze rilevanti della Corte di Cassazione. Verranno fornite spiegazioni dettagliate dal punto di vista del debitore – ossia della società in liquidazione e dei suoi organi – su come gestire una liquidazione volontaria di società di capitali (S.r.l. e S.p.A.) in modo ordinato e senza incorrere in problemi legali o fiscali. Il taglio è avanzato, con riferimenti normativi puntuali (Codice Civile, normativa fallimentare e tributaria italiana) e un linguaggio giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati interessati. Troverete inoltre tabelle riepilogative, sezioni FAQ (Domande & Risposte) su quesiti comuni e simulazioni pratiche di casi tipici, per illustrare concretamente cosa accade in diversi scenari.
Importante: Ogni situazione concreta può presentare peculiarità; questa guida fornisce un quadro generale ma non sostituisce la consulenza professionale specifica di Studio Monardo
Quadro Normativo Generale
La liquidazione volontaria di una società di capitali (S.r.l. o S.p.A.) è disciplinata da un insieme articolato di norme civilistiche, concorsuali e fiscali, che vanno considerate congiuntamente. Di seguito riepiloghiamo i riferimenti chiave:
- Norme civilistiche (Codice Civile): La liquidazione e lo scioglimento delle società di capitali sono regolati dagli artt. 2484–2496 c.c. In particolare, l’art. 2484 c.c. elenca le cause di scioglimento (ad es. decorso del termine sociale, decisione dei soci, riduzione del capitale sotto il minimo, ecc.), mentre l’art. 2485 c.c. impone agli amministratori di accertare senza indugio il verificarsi di una causa di scioglimento e di convocare l’assemblea per le decisioni del caso. Dalla data in cui è accertata e iscritta una causa di scioglimento, la società assume la denominazione con l’aggiunta di “in liquidazione” e gli amministratori devono limitarsi ad atti di ordinaria amministrazione (conservazione del patrimonio) fino al passaggio di consegne ai liquidatori. Gli artt. 2487–2491 c.c. disciplinano la nomina dei liquidatori, i loro poteri e doveri, e prevedono che gli amministratori cessino dalle cariche una volta nominati e iscritti i liquidatori. I liquidatori hanno l’obbligo di pagare tutti i creditori sociali prima di poter distribuire ai soci l’eventuale attivo residuo. L’art. 2492 c.c. regola la redazione del bilancio finale di liquidazione e del piano di riparto, mentre l’art. 2493 c.c. prevede la approvazione (espressa o tacita) di tale bilancio da parte dei soci (si intende approvato se decorrono 3 mesi dal deposito senza reclami, o immediatamente se tutti i soci rilasciano quietanza senza riserve). L’art. 2495 c.c. sancisce infine che, cancellata la società dal Registro delle Imprese, questa si estingue come soggetto giuridico; tuttavia i creditori insoddisfatti potranno far valere i loro crediti nei confronti degli ex soci (entro i limiti di quanto questi hanno eventualmente ricevuto in sede di liquidazione) e nei confronti dei liquidatori (se il mancato pagamento dei debiti sociali è dipeso da colpa di questi). Ciò significa che i debiti sociali non si estinguono magicamente con la cancellazione, ma “migrano” su soci e liquidatori entro detti limiti di legge. (Per le società di persone vige disciplina analoga: art. 2312 c.c., salvo che lì i soci rispondevano già illimitatamente). L’art. 2496 c.c. prevede infine che dopo la cancellazione i libri sociali vadano depositati e conservati per 10 anni presso l’ufficio del Registro delle Imprese.
- Norme concorsuali (Crisi d’impresa e insolvenza): La liquidazione volontaria è una procedura extra-giudiziale riservata a società non insolventi. Se invece la società si trova in stato di insolvenza (incapace di pagare regolarmente i propri debiti), entrano in gioco le norme del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), D.Lgs. 14/2019 (in vigore dal 15 luglio 2022, con modifiche correttive nel 2020-2021 e dal D.Lgs. 83/2022 e 136/2024). Il CCII ha sostituito la vecchia legge fallimentare, introducendo procedure come il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale (nuovo nome del fallimento). Gli amministratori hanno il dovere di attivarsi tempestivamente di fronte a indizi di crisi, ad esempio tentando strumenti di composizione negoziata o ristrutturazione, invece di lasciare aggravare la situazione. Se l’insolvenza è conclamata, la società o i creditori possono richiedere al tribunale l’apertura di una procedura concorsuale (concordato o liquidazione giudiziale). Importante: anche se una società è stata già cancellata dal Registro, la legge consente comunque ai creditori insoddisfatti di chiederne il fallimento (liquidazione giudiziale) entro 1 anno dalla cancellazione, purché l’insolvenza sussistesse già prima dell’estinzione. In altre parole, cancellare volontariamente una società insolvente non mette al riparo da un fallimento postumo: i creditori (incluso il Fisco) hanno un anno di tempo per far accertare lo stato di insolvenza e aprire comunque una procedura concorsuale, con tutte le relative conseguenze. Al di fuori di procedure formali, resta inoltre applicabile il principio generale di parità di trattamento tra creditori (par condicio creditorum): ad esempio, pagamenti preferenziali fatti durante la liquidazione in pregiudizio di altri creditori potrebbero essere censurati ed eventualmente revocati se si apre un fallimento successivo. In sintesi, la normativa concorsuale impone di utilizzare le procedure corrette in caso di insolvenza, pena rischi di responsabilità per soci e amministratori (si pensi all’azione per aggravamento del dissesto o ai reati di bancarotta).
- Norme tributarie: Durante la liquidazione la società resta soggetto passivo d’imposta: ciò significa che continua ad essere tenuta agli adempimenti fiscali ordinari (presentazione di dichiarazioni IVA, imposte dirette, versamento ritenute per i dipendenti, ecc.) relativi al periodo di liquidazione. Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) disciplina, all’art. 182, la determinazione del reddito delle società in liquidazione. Fino al 2024 era previsto un meccanismo peculiare: gli esercizi durante la liquidazione venivano tassati in via provvisoria ogni anno, con un conguaglio finale al termine della procedura (in modo da riequilibrare utili e perdite complessive). Dal 2025, per effetto della riforma attuata dall’art. 18 D.Lgs. 192/2024, questo paradigma è cambiato: ogni esercizio di liquidazione è tassato in via definitiva, senza più ricalcolo globale nel bilancio finale. Tuttavia, se la liquidazione si chiude entro 5 anni, è concessa la facoltà di riportare a ritroso (carry-back) un’eventuale perdita dell’ultimo esercizio per compensare utili tassati nei precedenti due anni di liquidazione. In sostanza, si eliminano i complicati conguagli finali, ma si mantiene un correttivo: in caso di perdita finale e durata ≤5 anni, si può recuperare parte delle tasse pagate negli esercizi precedenti mediante il carry-back delle perdite (fino a concorrenza degli utili tassati, generando un credito d’imposta). Sul fronte accertamento e riscossione, la legge affronta un problema pratico: come può il Fisco notificare avvisi di accertamento o cartelle a una società che si è estinta? Dal 2014 vige la regola della “sopravvivenza fiscale” quinquennale: l’art. 28 co.4 D.Lgs. 175/2014 dispone che, ai soli fini fiscali, l’estinzione della società cancellata ha effetto trascorsi 5 anni dalla richiesta di cancellazione. Ciò significa che fino a 5 anni dopo la cancellazione la società è considerata ancora esistente agli occhi del Fisco, permettendo ad Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione di notificare atti in nome della società (di solito presso l’ultimo domicilio fiscale noto, in persona dell’ultimo liquidatore). La Corte Costituzionale, sent. 142/2020 ha ritenuto legittima questa finzione, come bilanciamento tra l’interesse erariale a riscuotere e l’esigenza di certezza del diritto. Dunque, i debiti tributari non pagati non spariscono: il Fisco potrà entro cinque anni sia proseguire gli accertamenti e le cartelle a nome della ex-società, sia agire in parallelo contro soci e liquidatori in base alle responsabilità previste (come vedremo). Inoltre, esiste una norma speciale (art. 36 del DPR 602/1973) che prevede una responsabilità personale dei liquidatori per il pagamento delle imposte dovute dalla società liquidata, in certi casi anche senza previa iscrizione a ruolo – aspetto che approfondiremo più avanti parlando delle responsabilità del liquidatore.
Riassumendo in termini pratici:
- Una società in liquidazione volontaria è estinta solo dopo la cancellazione finale, ma per 5 anni il Fisco la considera ancora attiva per controlli e riscossioni.
- I debiti sociali insoddisfatti non svaniscono: dopo la chiusura, potranno essere richiesti entro i limiti di legge a chi ha partecipato alla liquidazione (soci per quanto ricevuto, liquidatori per colpa senza limiti).
- Se c’è insolvenza, la liquidazione volontaria non è la soluzione appropriata: bisogna valutare procedure concorsuali, altrimenti c’è il rischio di un fallimento postumo entro 1 anno e di conseguenti azioni di responsabilità più gravi.
Nei paragrafi successivi analizzeremo dettagliatamente come procedere alla liquidazione volontaria di una società, passo dopo passo, e come affrontare le criticità comuni dopo l’avvio della liquidazione, con l’obiettivo di “uscirne” senza problemi legali per il debitore (società, soci, liquidatori e amministratori).
Cause di scioglimento e avvio della liquidazione volontaria
Prima di entrare nel vivo della procedura, è fondamentale capire quando una società di capitali può (o deve) essere messa in liquidazione. Le cause di scioglimento sono elencate all’art. 2484 c.c. e includono sia eventi automatici sia decisioni volontarie. Ecco le principali:
- Decorso del termine sociale previsto nell’atto costitutivo (se la società è “a tempo determinato”).
- Conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo: ad esempio, la società ha raggiunto lo scopo per cui era stata creata oppure non può più perseguirlo per cause sopravvenute. In tal caso l’assemblea può anche deliberare modifiche statutarie per introdurre un nuovo oggetto ed evitare lo scioglimento.
- Impossibilità di funzionamento o continua inattività dell’assemblea: situazione di stallo gestionale totale, per cui la società non riesce più a operare.
- Riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale: se, a causa di perdite, il capitale scende sotto €50.000 (Spa) o €10.000 (Srl ordinaria) senza che si intervenga (artt. 2447, 2482-ter c.c.).
- Recesso del socio e mancata ricostituzione del capitale (per S.p.A. art. 2437-quater) o altre ipotesi statutarie analoghe: ad esempio, in S.r.l. il recesso del socio unico senza subentro di altri soci entro 6 mesi può portare allo scioglimento (art. 2473 c.c.).
- Deliberazione dell’assemblea di scioglimento anticipato (liquidazione volontaria pura): i soci decidono di chiudere la società per propria volontà, anche senza che vi siano cause obbligatorie. L’assemblea straordinaria adotta la decisione con le maggioranze richieste per le modifiche statutarie (solitamente > 50% del capitale, salvo diverse previsioni).
- Altre cause previste dallo statuto o dalla legge: Ad esempio l’apertura di una procedura concorsuale è oggi espressamente causa di scioglimento (art. 2484 co.1 n.7-bis c.c., introdotto dal CCII, in caso di liquidazione giudiziale o liquidazione controllata).
Quando si verifica una di queste cause, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per le deliberazioni conseguenti (art. 2485 c.c.). In caso di inerzia degli amministratori, possono intervenire i sindaci o, in ultima istanza, il tribunale su istanza di soci o sindaci, per accertare la causa di scioglimento e nominare i liquidatori.
Importante: se la società è in bonis (solvente) è legittimo scegliere la liquidazione volontaria anche solo per volontà dei soci (es. cessazione attività, disaccordi interni, mancanza di prospettive di crescita). Viceversa, se la società è già insolvente in modo grave, non è ammessa la semplice liquidazione volontaria: in tal caso occorre attivare una procedura concorsuale (p. es. un concordato preventivo) oppure, se si tentasse comunque la via liquidatoria extra-giudiziale, i creditori potrebbero far aprire un fallimento con effetti retroattivi. In sostanza, la liquidazione volontaria presuppone che la società, pur cessando l’attività, sia in grado di pagare tutti i suoi debiti (o quanto meno di raggiungere accordi transattivi soddisfacenti con i creditori). Se i debiti superano l’attivo in modo insanabile, è preferibile (e doveroso per gli amministratori) optare per strumenti come il concordato o la liquidazione giudiziale, che gestiscono collettivamente l’insolvenza.
Dal punto di vista del debitore (società e soci), scegliere la liquidazione volontaria in presenza di insolvenza comporta rischi: oltre alla possibilità di un fallimento postumo, non vi sarà alcuna esdebitazione formale dei debiti residui. Al contrario, nelle procedure concorsuali giudiziarie la società (o l’imprenditore) può ottenere, a certe condizioni, l’esdebitazione delle obbligazioni insoddisfatte al termine del fallimento (il CCII prevede ad esempio che la società fallita possa chiedere la cancellazione dei debiti residui entro 3 anni dalla chiusura, se ha collaborato lealmente: v. art. 282 CCII). Nulla di simile è previsto nella liquidazione volontaria extra-giudiziale: i debiti non pagati resteranno a carico dei soci o liquidatori come detto, e i creditori potranno attivarsi contro di loro.
Esempio pratico: Alfa S.r.l. ha concluso la sua attività con tutti i debiti saldati eccetto una piccola pendenza verso un fornitore. I soci preferiscono evitare costi e lungaggini di un concordato e optano per la liquidazione volontaria. Dopo la cancellazione, quel fornitore rimasto insoddisfatto potrà pretendere il pagamento dagli ex soci (ma solo fino a concorrenza di quanto ciascuno ha ricevuto in liquidazione) e, se il debito era significativo e dovuto a negligenza del liquidatore, potrà citare anche quest’ultimo per il risarcimento. Non esiste però un meccanismo automatico di “taglio” del debito: se il fornitore non viene pagato, potrà agire legalmente. Se invece Alfa S.r.l. fosse gravemente insolvente (attivo incapiente rispetto ai debiti), i soci che la cancellassero ugualmente rischierebbero che il tribunale, su istanza di creditori, riapra un fallimento entro l’anno: in tal caso un curatore andrebbe a sindacare tutte le operazioni fatte in liquidazione, con possibili azioni revocatorie e responsabilità per atti pregiudizievoli.
In conclusione, prima di avviare la liquidazione volontaria è necessario: (a) accertare la presenza di una causa di scioglimento legittima; (b) verificare attentamente lo stato patrimoniale della società (attività e passività), per capire se si potrà pagare tutti i debiti; (c) se esiste uno stato di insolvenza, orientarsi verso le procedure concorsuali invece che sulla mera liquidazione extra-giudiziale, al fine di evitare conseguenze peggiori.
Le fasi della procedura di liquidazione volontaria
Una volta deliberato lo scioglimento della società e deciso di procedere con la liquidazione volontaria, la legge prevede una serie di fasi e adempimenti. Non esiste una durata fissa stabilita: il tempo necessario dipende dalle caratteristiche della società (numero di beni da vendere, numero di creditori, eventuali contenziosi, ecc.). Tuttavia, per una piccola S.r.l. solvibile, in media circa 1 anno può essere sufficiente a concludere la liquidazione (dalla delibera di scioglimento alla cancellazione). Alcune liquidazioni si chiudono in 6 mesi (se gli asset e i creditori sono pochissimi), altre richiedono 18-24 mesi; superare i 2-3 anni è indice di complicazioni o inerzie e diventa controproducente, anche perché mantenere una società in liquidazione ha costi annuali (onorari del liquidatore, adempimenti fiscali e camerali). Inoltre, se per oltre 3 anni consecutivi i liquidatori non depositano alcun bilancio, il Registro Imprese può cancellare d’ufficio la società, causando comunque l’estinzione (con i soliti effetti sui debiti pendenti). Conviene dunque procedere con celerità, compatibilmente con la necessità di realizzare il patrimonio al meglio e soddisfare i creditori. Vediamo ora le fasi tipiche della liquidazione volontaria e i relativi adempimenti:
Fase 1: Delibera di scioglimento e nomina dei liquidatori
La liquidazione inizia con la delibera assembleare che accerta la causa di scioglimento (se già verificatasi) o che, nel caso di scioglimento anticipato volontario, decide la cessazione dell’attività sociale. Si tratta di una delibera notarile di assemblea straordinaria, da iscrivere presso il Registro delle Imprese entro 30 giorni. Nella delibera vanno indicati almeno:
- il motivo dello scioglimento (es. “scioglimento anticipato deliberato dai soci”);
- la nomina del liquidatore o dei liquidatori, con l’indicazione di chi avrà la rappresentanza della società in liquidazione;
- gli eventuali criteri secondo cui si svolgerà la liquidazione e i poteri attribuiti al liquidatore (il Codice Civile consente ai soci di stabilire direttive, ad es. autorizzazione a vendere l’azienda in blocco, o l’obbligo di sottoporre certe decisioni ai soci, ecc.). In mancanza di indicazioni specifiche, per default il liquidatore ha il potere di compiere tutti gli atti utili per liquidare la società (vendere beni, riscuotere crediti, stare in giudizio, ecc.), con l’obbligo di svolgere l’incarico con professionalità e diligenza, rispondendo dei danni secondo le norme sulla responsabilità degli amministratori.
Esempio: se i soci vogliono che l’azienda sia venduta in blocco anziché spezzettare i beni, possono specificarlo come criterio. Oppure possono stabilire due liquidatori e le regole di funzionamento del collegio (es. decisioni a maggioranza).
La delibera di scioglimento, redatta dal notaio, va depositata entro 30 giorni presso il Registro delle Imprese a cura del notaio stesso (art. 2484 co.3 e art. 2436 c.c.). Effetti: la società risulta ufficialmente “in liquidazione” dalla data di iscrizione della delibera, o dalla data di iscrizione della dichiarazione degli amministratori che hanno accertato la causa (nei casi di scioglimento automatico). Da quel momento, tutte le comunicazioni e l’intestazione sociale dovranno indicare “Società XYZ S.r.l. in liquidazione”.
Fase 2: Insediamento del liquidatore e adempimenti iniziali
Una volta nominato, il liquidatore entra in carica. La sua nomina (così come le eventuali modifiche successive) deve essere iscritta anch’essa al Registro delle Imprese. Contestualmente, gli amministratori decadono dalle loro funzioni e sono tenuti a consegnare al liquidatore i libri sociali e una situazione aggiornata dei conti della società. In pratica, gli amministratori uscenti dovrebbero redigere un rendiconto della loro gestione fino al giorno dello scioglimento e consegnare al liquidatore un bilancio o situazione patrimoniale alla data di inizio liquidazione. Da quel momento, il liquidatore rappresenta la società a tutti gli effetti.
Adempimenti immediati tipici del liquidatore all’atto di insediamento:
- Comunicare ai dipendenti l’avvio della liquidazione e provvedere, se non si intende proseguire temporaneamente l’attività, al licenziamento per cessazione attività (osservando le norme sui preavvisi e liquidando il TFR e altre spettanze di fine rapporto). I lavoratori dipendenti sono creditori privilegiati per retribuzioni e TFR, quindi andranno soddisfatti con precedenza durante la liquidazione.
- Notificare ai creditori principali che la società è in liquidazione, eventualmente invitandoli a presentare le loro richieste o a definire bonariamente le posizioni. (Non esiste una procedura formale di insinuazione come nel fallimento, ma è buona prassi tenere informati i creditori, specie banche o fornitori, cercando accordi se opportuno).
- Verificare gli assetti contabili e predisporre un inventario dell’attivo e del passivo. Il Codice Civile non impone espressamente al liquidatore di redigere un inventario iniziale, ma farlo è consigliabile per avere chiara la situazione patrimoniale da gestire.
- Eseguire eventuali pubblicazioni o comunicazioni obbligatorie: ad esempio, se vi sono obbligazionisti o titolari di strumenti finanziari, vanno informati secondo quanto previsto dalla normativa speciale.
Va ricordato che durante la liquidazione i soci mantengono poteri limitati: l’assemblea dei soci continua ad esistere per approvare i bilanci annuali redatti dal liquidatore, per decidere su eventuali modifiche alla nomina o ai criteri di liquidazione, e per approvare il bilancio finale. I soci possono anche revocare i liquidatori o nominarne di nuovi in qualsiasi momento con le maggioranze previste (salvo diritto del tribunale di revocare per giusta causa su istanza di soci, sindaci o PM). È possibile persino revocare lo stato di liquidazione se la causa di scioglimento viene meno: l’assemblea può deliberare di tornare in bonis, ma la revoca ha effetto solo dopo 60 giorni dall’iscrizione e purché i creditori anteriori non si oppongano (in mancanza del loro consenso occorre pagarli o dare garanzie). Questa ipotesi è rara ma prevista (art. 2487-ter c.c.), ad esempio se si trova un nuovo socio disposto a ripianare le perdite e proseguire l’attività.
Fase 3: Realizzazione dell’attivo sociale
Questa è la fase centrale della liquidazione: il liquidatore deve convertire in denaro tutti i cespiti della società, cioè liquidare l’attivo. Ciò tipicamente include: vendere gli immobili e i beni mobili (macchinari, scorte di magazzino, automezzi, ecc.), riscuotere i crediti esistenti (anche attivando azioni legali se necessario), eventualmente cedere aziende o rami d’azienda, disdire o cedere contratti in corso d’esecuzione, recuperare depositi cauzionali, e in generale trasformare in liquidità tutto il patrimonio.
Il liquidatore ha un ampio potere di scelta sul modo in cui liquidare i beni: vendite all’asta, trattative private, affidamento a intermediari (es. agenzie immobiliari), ecc., purché l’obiettivo sia massimizzare il realizzo nell’interesse dei creditori e dei soci. Se l’atto di nomina o lo statuto non pongono limiti, il liquidatore può anche valutare l’esercizio provvisorio dell’impresa o di rami di azienda, se ciò serva a conservare o incrementare il valore in vista di una cessione migliore. Tale esercizio provvisorio deve risultare dai bilanci con indicazione separata delle poste relative e delle motivazioni (art. 2490 co.5 c.c.).
Tempistiche: la realizzazione dell’attivo è spesso la fase più lunga, soprattutto se ci sono beni di difficile vendita (immobili speciali, partecipazioni di minoranza, crediti incagliati). Il liquidatore deve agire con diligenza per evitare un inutile deprezzamento dei beni dovuto al tempo. È sconsigliabile prolungare troppo le vendite nel tentativo di spuntare un prezzo leggermente più alto, se i costi del mantenimento in liquidazione superano il beneficio. In certi casi, vendere a un prezzo ragionevole oggi è meglio che tenere fermo un immobile per anni pagando tasse e spese condominiali che erodono il patrimonio.
Durante questa fase, il liquidatore dovrà anche gestire eventuali contenziosi legali in cui la società è coinvolta (cause attive o passive). Può scegliere di transigere una lite, se ciò conviene al patrimonio, o di proseguirla se vede prospettive favorevoli. Qualunque somma incassata entra nell’attivo da distribuire.
Esempio pratico: Il liquidatore Rossi di Beta S.r.l. mette in vendita l’unico immobile sociale a febbraio, chiedendo €110.000. Dopo alcuni mesi trova un acquirente a €100.000 e decide di accettare entro l’estate, ritenendo che attendere oltre comporterebbe altri costi e incertezze. Ottiene così liquidità sufficiente per pagare buona parte dei debiti. Contemporaneamente, riscuote crediti per €20.000 da clienti. Nel frattempo ha anche venduto i macchinari per €10.000. L’attivo totale realizzato è €130.000.
Fase 4: Pagamento dei debiti sociali
Parallelamente alla liquidazione dell’attivo (o subito dopo aver raccolto sufficiente denaro), il liquidatore deve procedere a pagare tutti i creditori della società. Questa fase richiede attenzione a rispettare l’ordine delle cause di prelazione e la parità di trattamento tra creditori concorrenti. In assenza di procedure concorsuali formali, il liquidatore non è tenuto a formare uno stato passivo ufficiale, ma di fatto deve comportarsi come farebbe un curatore fallimentare prudente:
- Creditori privilegiati (per legge) vanno soddisfatti prima degli chirografari. Ad esempio, crediti del personale per stipendi e TFR, e crediti erariali per IVA, ritenute e tributi dotati di privilegio generale, andranno pagati con precedenza. Se l’attivo non basta a pagarli integralmente, il liquidatore dovrà ripartire proporzionalmente fra essi (par condicio intra privilegio).
- Creditori ipotecari o pignoratizi (garanzie reali) hanno diritto di prelazione sui beni vincolati. Esempio: se c’è un mutuo ipotecario su un immobile, il ricavato di quell’immobile andrà prima alla banca fino a concorrenza del credito garantito.
- Creditori chirografari (senza privilegi): vanno pagati pro-quota se non vi sono sufficienti fondi per saldarli al 100%. Tuttavia, in una liquidazione volontaria ordinaria, se si arriva al pagamento dei chirografari significa che la società è solvibile (ha abbastanza attivo). Se invece l’attivo non consente il rimborso integrale di tutti i chirografari, formalmente la società è insolvente. In tal caso, se i creditori chirografari rimangono parzialmente insoddisfatti, essi – a differenza che nel fallimento – non sono vincolati da alcuna esdebitazione e potranno rivalersi, post-cancellazione, verso soci e liquidatore come spiegato. Dunque, è nell’interesse del liquidatore cercare di raggiungere accordi con eventuali creditori chirografari che non può pagare per intero (ad esempio proponendo stralci, transazioni a saldo e stralcio prima della chiusura).
Il Codice Civile prevede espressamente che i liquidatori non possano ripartire acconti ai soci se ciò lede la soddisfazione integrale e tempestiva dei creditori. Possono dare acconti ai soci solo se dai bilanci risulta che ciò non pregiudica i creditori oppure richiedendo adeguate garanzie ai soci (cauzione, fideiussione). In pratica, se c’è attivo eccedente si possono anticipare dei soldi ai soci durante la liquidazione solo dopo avere accantonato tutto il necessario per pagare i debiti (inclusi quelli non ancora scaduti o eventuali passività future prevedibili). Violazione di questo divieto: i liquidatori ne risponderebbero personalmente e solidalmente per il danno causato ai creditori (art. 2491 c.c.), oltre al fatto che i soci sarebbero tenuti a restituire ciò che hanno ricevuto indebitamente se serve a pagare i creditori.
Se l’attivo realizzato risultasse insufficiente a pagare tutti i debiti, il liquidatore può richiedere ai soci i versamenti ancora dovuti sui conferimenti non interamente liberati (richiamo dei decimi sul capitale sottoscritto non versato). Questo perché i soci, finché la società non è estinta, devono ancora versare quanto promesso come capitale sociale se quei fondi servono a pagare i creditori.
Esempio pratico (segue): Il liquidatore Rossi, dopo aver realizzato €130.000 di attivo, paga in primis la banca ipotecaria (€50.000 di mutuo residuo più interessi maturati); paga i due dipendenti (€10.000 totali di TFR); paga l’Agenzia Entrate (€5.000 di IVA arretrata). Rimangono €65.000. I fornitori chirografari hanno crediti totali per €60.000: Rossi può pagarli integralmente e lo fa, estinguendo tutti i debiti. Restano €5.000 di cassa finale. (Se non fossero bastati per i fornitori, avrebbe potuto negoziare con ciascuno un saldo parziale, oppure – scenario peggiore – in caso di forte incapienza, i fornitori avrebbero poi potuto attivarsi contro soci e liquidatore post liquidazione).
Fase 5: Bilancio finale di liquidazione e piano di riparto
Una volta ultimate le operazioni di liquidazione – cioè convertito in denaro tutto l’attivo realizzabile e pagato o accantonato tutto il passivo – i liquidatori redigono il bilancio finale di liquidazione (art. 2492 c.c.). Questo bilancio riepiloga i risultati finali: quanto attivo è stato realizzato, come sono stati pagati i debiti e quale somma residua spetta ai soci. Viene infatti accompagnato dal piano di riparto, che indica la quota di attivo residuo spettante a ciascun socio in proporzione alla partecipazione sociale. Il bilancio finale va sottoscritto dai liquidatori e, se esiste un organo di controllo (collegio sindacale o revisore unico), deve essere corredato dalla relazione di quest’ultimo.
Il bilancio finale va depositato presso il Registro delle Imprese e da tale iscrizione decorre un termine di 90 giorni durante il quale ogni socio può proporre reclamo davanti al Tribunale se ritiene che la liquidazione non sia stata condotta correttamente o il bilancio sia errato. Tutti gli eventuali reclami dei soci vengono riuniti in un unico giudizio; se qualcuno propone reclamo, la distribuzione finale ai soci rimane sospesa fino alla decisione del Tribunale. Se nessun socio presenta reclamo entro i 3 mesi, il bilancio finale si considera tacitamente approvato.
In alternativa (o indipendentemente da ciò), la legge prevede una forma di approvazione anticipata: se tutti i soci ricevono la loro quota di riparto e rilasciano quietanza senza riserve, questa vale come approvazione tacita immediata del bilancio finale. In pratica, se all’atto di pagamento finale ai soci ciascuno firma una ricevuta dichiarando di aver ricevuto €X “in saldo e soddisfo di ogni sua spettanza, senza riserve”, il bilancio s’intende approvato subito senza attendere 3 mesi.
Fase 6: Distribuzione ai soci e cancellazione della società
Decorsi i 90 giorni senza reclami (o ottenute le quietanze da tutti i soci), i liquidatori possono procedere a distribuire l’attivo residuo ai soci secondo il piano di riparto. Se qualche socio non si presenta ad incassare la propria parte, il liquidatore deve depositare le somme non riscosse presso una banca, a nome del socio titolare.
Effettuata la distribuzione finale, i liquidatori devono presentare domanda di cancellazione della società dal Registro delle Imprese (allegando copia del bilancio finale approvato). La cancellazione segna la fine dell’esistenza della società: da quel momento la società è ufficialmente estinta (art. 2495 c.c.).
Una volta ottenuto l’atto di cancellazione, i liquidatori adempienti dovrebbero anche assicurarsi di presentare le ultime dichiarazioni fiscali (dichiarazione dei redditi finale, dichiarazione IVA di cessazione, ecc.) e chiudere la partita IVA. Inoltre, consegnano i libri sociali al Registro delle Imprese per la conservazione decennale.
Esempio pratico (conclusione): Nel caso Beta S.r.l., il liquidatore Rossi, a settembre 2025, redige il bilancio finale evidenziando che tutti i debiti sono stati pagati e residuano €20.000 da ripartire ai due soci (50% ciascuno) = €10.000 a testa. Invia il bilancio e piano di riparto via PEC ai soci e lo deposita al Registro Imprese. I soci, contenti dell’esito, firmano subito quietanza senza riserve quando ricevono il pagamento a ottobre. Il 6 ottobre il liquidatore presenta domanda di cancellazione. A metà ottobre 2025 la società viene cancellata dal Registro: Beta S.r.l. cessa ufficialmente di esistere. I creditori sono stati tutti soddisfatti, quindi nessun problema ulteriore per soci e liquidatore.
Gestione dei debiti durante la liquidazione: consigli per “uscirne puliti”
Dal punto di vista di chi gestisce la liquidazione (soci, amministratori e soprattutto liquidatore), uno degli obiettivi principali è chiudere la società senza lasciare strascichi di debiti o controversie. Ecco alcuni accorgimenti e aspetti critici nella gestione dei debiti sociali in liquidazione, per uscirne senza problemi:
- Mappare tutti i debiti e potenziali passività: Il liquidatore dovrebbe fare fin da subito un elenco completo dei debiti noti (fornitori, banche, fisco, dipendenti, ecc.) e delle passività potenziali (es. cause legali in corso che potrebbero generare debiti, garanzie prestate a terzi, contratti da risolvere con penali, ecc.). È prudente accantonare somme per far fronte a spese future prevedibili (ad es. spese legali per cause in corso, indennizzi dovuti per recesso di contratti, imposte di registro sulle cessioni di beni, conguagli di utenze, eventuali sanzioni amministrative non ancora contestate, ecc.). Un errore comune è distribuire tutto l’attivo ai soci senza prevedere che potrebbero arrivare dopo la chiusura sorprese (un accertamento fiscale, una multa, una causa persa) e non aver tenuto nulla da parte.
- Raggiungere accordi transattivi con i creditori, se necessario: Se la società ha debiti che potrebbe non riuscire a pagare integralmente, è utile che il liquidatore negozi con i creditori una soluzione prima di chiudere. Ad esempio, il creditore potrebbe accettare un pagamento parziale a saldo e stralcio. Tali accordi vanno preferibilmente formalizzati per iscritto, in modo da evitare che il creditore a distanza di anni possa avanzare pretese. Attenzione: un accordo privato con alcuni creditori non vincola gli eventuali creditori non aderenti. Quindi bisogna cercare di risolvere tutti i debiti pendenti; basta un creditore rimasto insoddisfatto per creare problemi dopo la cancellazione. Se non è possibile pagare o transigere tutti i crediti, la situazione è di insolvenza e sarebbe opportuno considerare un concordato o simili (dove invece la minoranza dissenziente viene comunque vincolata dall’omologazione).
- Rispetto del principio di pari trattamento: Come già sottolineato, il liquidatore dovrebbe evitare di pagare anticipatamente taluni creditori a discapito di altri nella stessa posizione. Ad esempio, se prevede che non vi saranno risorse per saldare tutti, non dovrebbe pagare interamente un fornitore “amico” lasciando a zero gli altri, altrimenti espone sé stesso a possibili azioni di responsabilità (per violazione dei doveri) e quei pagamenti preferenziali, se la società fallisse entro l’anno, potrebbero essere revocati dal curatore. Eccezione: se un creditore è strategico per chiudere la liquidazione (es. il locatore che deve consentire di prorogare di qualche mese l’uso di un capannone per vendere i macchinari), si può pagarlo prima, ma resta il rischio che altri creditori lo contestino. In generale, è bene tenere traccia scritta delle ragioni di eventuali trattamenti differenziati, per poter dimostrare che non vi è stato dolo nel favorire qualcuno.
- Verificare la posizione debitoria fiscale e contributiva: Il Fisco e gli enti previdenziali sono creditori peculiari, perché godono di privilegi su molti crediti (IVA, ritenute, contributi sono crediti privilegiati) e perché hanno poteri di accertamento post-chiusura. È altamente consigliato richiedere un “certificato di regolarità fiscale” o un estratto delle pendenze tributarie prima di chiudere, e lo stesso con l’INPS per i contributi, in modo da assicurarsi che non esistano debiti fiscali nascosti. Inoltre, dal 2023 la Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 32790/2023) ha chiarito che l’Agenzia delle Entrate può notificare direttamente un avviso di accertamento al liquidatore per far valere la sua responsabilità ex art. 36 DPR 602/1973, senza necessità di iscrivere prima a ruolo il tributo a carico della società. In altre parole, il liquidatore risponde di persona verso il Fisco se, avendo avuto disponibilità di attivo, non ha pagato le imposte dovute: la sua è una responsabilità risarcitoria “per fatto proprio” (omesso pagamento) che prescinde dall’esistenza in vita del soggetto societario. Questo obbligo si estende anche ai tributi non ancora accertati formalmente durante la liquidazione: se erano dovuti o prevedibili, il liquidatore avrebbe dovuto accantonare somme. Dunque, per uscirne senza grane, il liquidatore deve assicurarsi di pagare le imposte dovute (IVA, ritenute, IRES, IRAP, ecc.) con le attivi liquidi prima di distribuire qualcosa ai soci. Egli potrà essere esonerato da responsabilità solo provando, ad esempio, che il debito fiscale era incerto o inesigibile al momento (circostanza che potrebbe giustificare il mancato accantonamento). Gli amministratori, dal canto loro, possono essere chiamati in causa dal Fisco se durante la loro gestione hanno occultato o distratto beni rendendo impossibile al liquidatore pagare le imposte (sempre art. 36 DPR 602). Anche i soci potrebbero essere coinvolti, ma la Cassazione (SS.UU. n. 3625/2025) ha ribadito che gli ex soci non rispondono automaticamente di tutti i debiti tributari: la loro responsabilità resta limitata a quanto ritirato in sede di liquidazione e il Fisco può pretendere direttamente dai soci solo nei limiti di tale attivo distribuito.
- Chiudere tutti i rapporti contrattuali pendenti: Prima di concludere la liquidazione, assicurarsi che non vi siano contratti ancora in essere intestati alla società – es. contratti di locazione, utenze, contratti di leasing, forniture continuative – che potrebbero generare costi o penali. Il liquidatore di solito recede dai contratti a esecuzione periodica (quando possibile) o li porta a termine nel più breve tempo. Per i contratti di durata (affitti, leasing) può trattare con la controparte una risoluzione anticipata di comune accordo, onde evitare che, dopo la chiusura, maturino ulteriori canoni insoluti per periodi successivi. Ogni strascico contrattuale non gestito può diventare un debito postumo che i creditori tenteranno di riscuotere dai soci.
In generale, “uscire puliti” da una liquidazione significa pagare (o regolare) tutti i debiti noti, non creare nuovi debiti durante la liquidazione, e rispettare le norme così da non incorrere in responsabilità personali. Se questo avviene, dopo la cancellazione la vita dei soci e degli ex organi sarà tranquilla; in caso contrario, come vedremo, i creditori e il Fisco avranno comunque strumenti per agire.
Effetti della cancellazione: conseguenze per soci, liquidatori e creditori residui
Quando la società è cancellata dal Registro delle Imprese, produce effetti estensivi importanti:
1. Estinzione della società come soggetto giuridico: La società non esiste più, perde la capacità giuridica e di stare in giudizio. Non potrà più essere titolare di rapporti (fatti salvi quelli pendenti regolati da altre norme, come la sopravvivenza fiscale per 5 anni). Eventuali procedimenti giudiziari ancora in corso si interrompono per cessazione della parte; ad esempio, se c’era una causa in cui la società era convenuta, il processo si estingue salvo che il creditore entro l’anno instauri un giudizio contro soci/liquidatore eredi delle obbligazioni. La dottrina ha anche elaborato la figura della “società estinta” come soggetto limitato proseguibile per alcune vicende, ma in linea di massima la cancellazione segna la fine.
2. Debiti sociali insoddisfatti: Come già ribadito, non vengono automaticamente cancellati. L’art. 2495 co.2 c.c. stabilisce che i creditori non soddisfatti possono far valere i loro crediti verso:
- gli ex soci, ciascuno entro il limite di quanto ha riscosso in base al bilancio finale di liquidazione. Ciò implica che se un socio non ha ricevuto nulla (perché magari non c’era residuo attivo), non sarà tenuto a pagare i creditori sociali; se ha ricevuto €10.000, risponde fino a €10.000 massimo. La norma riflette il fatto che nella liquidazione il patrimonio sociale è stato distribuito ai soci, quindi i creditori possono andare a riprendersi quella distribuzione se erano rimasti a bocca asciutta. Attenzione: la responsabilità pro quota dei soci è sussidiaria: i soci pagano solo se e nella misura in cui il patrimonio sociale liquidato non è bastato, e solo fino alla concorrenza di quanto incassato. Non diventa una obbligazione personale illimitata (diversamente dai soci di S.n.c. che erano già illimitatamente responsabili).
- i liquidatori, se il mancato pagamento dei debiti è dovuto a colpa loro (art. 2495 c.c.). Qui la responsabilità è illimitata (nei limiti del danno cagionato). Cosa significa “colpa del liquidatore”? Ad esempio, se il liquidatore ha distribuito soldi ai soci senza pagare prima un creditore noto, oppure ha venduto male i beni dilapidando valore, o non ha escusso un credito che avrebbe potuto pagare i debiti, o ha omesso di chiamare i decimi dovuti dai soci. In tutti questi casi il creditore insoddisfatto potrà sostenere che, senza quella colpa, sarebbe stato pagato, e dunque chiedere al liquidatore il risarcimento del suo credito. La colpa può essere anche di gestione: Cassazione e dottrina equiparano la responsabilità dei liquidatori a quella degli amministratori (applicando gli artt. 2392 e seguenti c.c. in quanto compatibili). Se poi la società fallisce, il curatore può esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori e liquidatori per aver aggravato il dissesto (e, ai sensi dell’art. 2486 c.c., è previsto un criterio equitativo di quantificazione del danno pari alla differenza tra patrimonio netto all’inizio e alla fine della gestione illegittima).
Va detto che gli ex soci rispondono verso i creditori in solido tra loro fino all’attivo ricevuto, ma con diritto di regresso interno secondo le percentuali di riparto. Esempio: se un creditore chiede a un socio €10.000 ed egli li paga (avendone ricevuti 15k in liquidazione), potrà poi rivalersi sugli altri soci che avevano incassato pro quota, in modo che ognuno sopporti nei limiti della propria parte.
Tempistiche per le azioni: la legge prevede che la domanda giudiziale verso soci o liquidatori, se proposta entro 1 anno dalla cancellazione, possa essere notificata presso l’ultima sede della società. Ciò agevola il creditore nell’individuare un luogo per notificare atti subito dopo la chiusura. Ma non significa che dopo 1 anno il credito si estingue: i soci e liquidatori restano responsabili entro i limiti visti secondo le regole ordinarie di prescrizione del credito. Invece la possibilità di aprire un fallimento postumo è ristretta all’anno.
3. Beni sociali sopravvenuti: Può accadere che, dopo la cancellazione, spunti fuori un bene non liquidato (ad es. un credito dimenticato, o un immobile non accortosi che era intestato alla società). In tal caso non c’è più la società per intestarle quel cespite: secondo alcuni, il bene si intesta ai soci in comunione (proporzionale alle quote sociali). I creditori potrebbero cercare di aggredire quel bene direttamente, sostenendo che ormai è dei soci come distribuzione non formalizzata. La prassi migliore è evitare questa situazione: il liquidatore dovrebbe accuratamente controllare di non lasciare attivo non liquidato. Se ciò succede, la giurisprudenza in passato ha ammesso una sorta di “ultrattività” della società estinta per gestire i beni sopravvenuti, o la costituzione di un trust o mandato fiduciario dei soci per liquidare quel bene e ripartirlo. Sono fattispecie complesse: per semplicità, agite in modo da non lasciare nulla in sospeso al momento della chiusura.
4. Rapporti con il Fisco dopo la cancellazione: Come già spiegato, per 5 anni la società cancellata rimane “viva” agli occhi del Fisco. Ciò significa che, se emergono debiti tributari non considerati, l’Agenzia delle Entrate potrà notificare avvisi di accertamento intestati alla società (presso l’ex liquidatore) e iscrivere a ruolo cartelle nei suoi confronti, per poi attivarsi sia nei confronti dei soci (nei limiti delle somme ricevute) sia direttamente del liquidatore (ex art. 36 DPR 602/1973). I soci e il liquidatore cancellati potrebbero trovarsi destinatari di comunicazioni del Fisco relative alla società estinta, ma appunto la legge prevede ciò e anzi la Consulta l’ha giudicato legittimo. Per il debitore ciò implica che, se anche tutto sembra finito, bisogna conservare con cura tutta la documentazione della liquidazione per almeno 5 anni, perché potrebbe servire per difendersi o dimostrare pagamenti effettuati in caso di contestazioni fiscali o di creditori. Inoltre, i soci farebbero bene a non “spendere” subito quanto ricevuto: se nei 5 anni emergesse un debito fiscale pari, ad esempio, al 50% di quanto hanno incassato, l’Agenzia Entrate potrebbe chiedere a ciascuno la restituzione di quel 50% (in proporzione).
In sintesi: Dopo la chiusura, la società è estinta ma i creditori insoddisfatti hanno ancora rimedi: possono agire contro soci e liquidatori. Pertanto, per non avere problemi, la via maestra è chiudere pagando tutti, o se ciò non è possibile, chiudere in modo formalizzato con procedure concorsuali dove i creditori accettano perdite. La liquidazione volontaria “fai-da-te” funziona bene se nessuno resta creditore; se qualcuno resta a bocca asciutta, aspettatevi che prima o poi busserà alla porta.
Responsabilità dei liquidatori e degli amministratori: profili civili e penali
Dal punto di vista di amministratori e liquidatori (i gestori della società), la liquidazione volontaria non elimina possibili responsabilità personali – anzi, è un momento delicato in cui le loro azioni sono sotto potenziale scrutinio sia da parte dei soci sia dei creditori e, in certi casi, della magistratura penale. Vediamo i principali ambiti di responsabilità:
Responsabilità degli amministratori prima e durante la liquidazione: Gli amministratori in carica prima dello scioglimento possono essere chiamati a rispondere se non adempiono ai doveri imposti dall’art. 2485 c.c. e seguenti. Ad esempio, se ritardano indebitamente l’accertamento di una causa di scioglimento e continuano a operare provocando un peggioramento del passivo sociale, i creditori (o un eventuale curatore fallimentare) potranno agire contro di loro per i danni da aggravamento del dissesto. Il CCII ha introdotto all’art. 2486 c.c. comma 3 un criterio di liquidazione del danno proprio per questi casi: salvo prova di diverso ammontare, il danno per prosecuzione abusiva dell’attività è pari alla differenza tra patrimonio netto alla data in cui si doveva cessare l’attività e patrimonio netto alla data di apertura della liquidazione o del fallimento. Ciò rende più agevole quantificare la responsabilità degli amministratori negligenti.
Durante la liquidazione, le norme sulle decisioni dei soci e sul controllo si applicano in quanto compatibili (art. 2488 c.c.). Gli amministratori cessati devono collaborare col liquidatore, consegnare i libri e fornire informazioni; se occultano documenti o beni sociali, commettono violazioni civili e potenzialmente penali.
Responsabilità civile del liquidatore: Il liquidatore ha gli stessi obblighi generali di diligenza e buona amministrazione degli amministratori. L’art. 2489 c.c. richiama espressamente la responsabilità del liquidatore per inosservanza dei doveri, equiparandola a quella degli amministratori (artt. 2392 e seguenti). Inoltre, specifiche norme puniscono condotte del liquidatore:
- art. 2491 c.c.: se il liquidatore viola i divieti di ripartizione ai soci in danno ai creditori (ad es. distribuendo acconti indebiti), risponde illimitatamente dei danni verso i creditori.
- art. 2495 c.c.: come visto, finita la liquidazione, risponde verso i creditori insoddisfatti se la mancata soddisfazione è dipesa da colpa sua (ad es. non ha fatto tutto il possibile per liquidare l’attivo o pagare i debiti).
- art. 36 DPR 602/1973 (disciplina fiscale): il liquidatore risponde verso il Fisco se ha distribuito ai soci attivo che doveva essere usato per pagare imposte dovute. Le Sezioni Unite Cass. 32790/2023 hanno chiarito la natura di tale responsabilità: è una responsabilità autonoma e civile del liquidatore, non una semplice estensione del debito fiscale. Nasce nel momento in cui il liquidatore, avendo disponibilità di beni sociali, omette di soddisfare crediti tributari dovuti, anche se non ancora iscritti a ruolo. Non è necessario che prima l’Agenzia abbia tentato invano escussione sulla società; può procedere direttamente nei confronti del liquidatore inadempiente. Il liquidatore potrà difendersi provando che non vi erano somme disponibili o che il debito era oggetto di contestazione (quindi non certo ed esigibile). Le stesse SS.UU. 32790/2023 hanno anche affermato che l’avviso di accertamento può essere intestato direttamente al liquidatore ex art. 36, senza passare da cartella alla società.
- Responsabilità verso i soci: se il liquidatore compie atti in violazione del mandato ricevuto dai soci o causa loro un danno (ad es. con negligenza provoca spese inutili che erodono l’attivo distribuibile), i soci possono agire in responsabilità contro di lui. Questo è meno comune, dato che spesso i soci stessi nominano liquidatore qualcuno di fiducia; ma se, ad esempio, un liquidatore esterno agisse in conflitto di interessi o dilapidasse beni, i soci possono chiedergli conto.
Responsabilità penale: L’attenzione maggiore per amministratori e liquidatori è evitare comportamenti che possano configurare reati. I potenziali reati in ambito di liquidazione societaria rientrano in due categorie: reati fallimentari (se poi la società viene dichiarata fallita) e reati tributari.
- Reati fallimentari: Se la società non viene mai dichiarata fallita (liquidazione puramente volontaria), non si possono configurare i reati di bancarotta – questi richiedono una procedura concorsuale. Tuttavia, come detto, esiste la possibilità del fallimento post-cancellazione entro 1 anno. Se ciò accade, tutte le azioni compiute durante la liquidazione verranno riesaminate dal curatore e dal tribunale fallimentare. Il liquidatore potrebbe essere chiamato a rispondere di bancarotta semplice o preferenziale se, ad esempio, ha pagato alcuni creditori e altri no in situazione di insolvenza (bancarotta preferenziale), oppure di bancarotta fraudolenta se ha distratto beni, falsificato le scritture contabili, occultato attivo, ecc., così come gli amministratori precedenti potrebbero rispondere di bancarotta per le loro condotte ante liquidazione. Da notare: la Cassazione penale ha chiarito che il liquidatore può essere imputato di bancarotta fraudolenta per distrazione se, anziché pagare i debiti, trasferisce risorse ai soci o a sé stesso dolosamente – in pratica compiendo atti di mala gestio durante la liquidazione similmente a un amministratore infedele.
- Reati tributari: Alcuni reati fiscali possono consumarsi durante la gestione liquidatoria. In particolare, il mancato versamento di IVA o di ritenute certificate oltre una certa soglia di importo (oggi €250.000 per l’IVA, €150.000 per le ritenute, art. 10-ter e 10-bis D.Lgs. 74/2000) costituisce reato. Se la società in liquidazione non versa l’IVA dovuta per l’ultimo anno, ad esempio, e l’importo supera la soglia, il liquidatore (in qualità di legale rappresentante) ne risponde penalmente, salvo che il debito sia poi integralmente saldato entro la scadenza della presentazione della dichiarazione annuale. Analogamente, l’omessa presentazione di dichiarazioni obbligatorie può configurare reato (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se l’imposta evasa supera €50.000. Un altro reato specifico è la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000), che si realizza se amministratori o liquidatori compiono atti fraudolenti per rendere inefficace la riscossione (ad es., distruggere o simulare vendite di beni sociali per non farli prendere dal Fisco). Durante la liquidazione, vendere beni è normale, ma farlo a prezzo vile verso un complice per non pagare il Fisco può essere visto come artifizio fraudolento. La Cassazione in varie sentenze (es. Cass. pen. 20188/2021) ha condannato liquidatori che avevano chiuso società lasciando rilevanti debiti IVA non pagati, ritenendo punibile la condotta qualora connotata da dolo.
- Altri reati: se vi sono dipendenti, la omessa corresponsione di contributi previdenziali oltre soglia è sanzionata penalmente (art. 2 L. 638/1983). Oppure, ipotesi estreme: un liquidatore che distrugga o falsifichi i libri sociali potrebbe rispondere di reati societari (falsificazione di comunicazioni sociali, se la società fosse ancora “viva” ai fini di bilancio, ma essendo in liquidazione certi reati societari non si applicano più).
In generale, per non incorrere in responsabilità penali, il liquidatore deve gestire la liquidazione in modo trasparente, leale e diligente, evitando occultamenti di attivo, pagamenti preferenziali dolosi, e assicurandosi di assolvere agli obblighi fiscali almeno entro i limiti dell’attivo disponibile. Se la situazione debitoria fiscale è ingestibile, può valutare strumenti come la transazione fiscale all’interno di un concordato preventivo, che può esentare da punibilità per alcuni reati tributari dopo l’omologazione (ad esempio, i versamenti parziali concordati potrebbero evitare la punibilità per omesso versamento IVA, tema dibattuto ma con qualche apertura giurisprudenziale).
Caso reale: Nel 2019 gli amministratori di Gamma S.p.A., sapendo di non poter pagare €1 milione di IVA, decisero di sciogliere la società e liquidarla, distribuendo però ai soci buona parte delle disponibilità liquide. La società fu poi dichiarata fallita su istanza del Fisco. In sede penale, quei soggetti furono condannati per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, avendo dissipato attivo a favore dei soci invece di saldare il debito IVA. Questo esempio (ipotetico ma verosimile) insegna che chiudere senza pagare il Fisco e cercando di salvare i soldi per sé costituisce un comportamento ad alto rischio penale.
Strumenti alternativi in caso di insolvenza: concordato e liquidazione giudiziale
Abbiamo più volte menzionato che, se la società è insolvente o fortemente indebitata, la liquidazione volontaria potrebbe non essere la via ottimale. Dal punto di vista del debitore, occorre valutare altre soluzioni concorsuali che, pur essendo più complesse, offrono vantaggi quali la liberazione dai debiti residui e la sospensione delle azioni esecutive individuali. Qui di seguito riepilogheremo le principali alternative, confrontandole con la liquidazione volontaria extra-giudiziale:
- Concordato Preventivo: È una procedura giudiziale in cui la società propone ai creditori un piano per ristrutturare o liquidare il patrimonio con pagamento parziale dei debiti. Richiede il voto favorevole delle maggioranze di creditori e l’omologazione del tribunale. Dal lato del debitore, il concordato ha il vantaggio di vincolare tutti i creditori alla soluzione approvata: i debiti vengono falciati o dilazionati secondo il piano e quelli eccedenti non saranno più esigibili. Si evita così il fallimento e si ottiene una sorta di “liberatoria” formale. È possibile anche prevedere la continuità aziendale (proseguire l’attività, magari cedendo l’azienda in esercizio) oppure la cessione dei beni (concordato liquidatorio). Svantaggi: il concordato è costoso e complesso, richiede tempi medio-lunghi (diversi mesi almeno), l’intervento di professionisti (avvocati, commercialisti, attestatori) e del tribunale, e bisogna raggiungere il consenso dei creditori (almeno 2/3 dei crediti votanti, salvo cram-down). In termini fiscali, un concordato può includere una transazione fiscale, ovvero il pagamento parziale dei debiti tributari con stralcio di sanzioni e interessi, vincolante per il Fisco se approvato. Sul piano penale, l’omologazione del concordato impedisce la dichiarazione di fallimento, quindi esclude i reati di bancarotta; tuttavia non estingue automaticamente eventuali reati tributari pregressi (p.e. l’omesso versamento IVA rimane punibile, anche se spesso la procedura concordataria prevede misure che, se attuate, evitano la punibilità).
- Liquidazione Giudiziale (Fallimento): È la procedura concorsuale “classica” avviata dal tribunale su istanza della società o di un creditore in stato di insolvenza. Dal punto di vista del debitore è la più drastica: l’impresa viene spossessata e gestita da un curatore nominato dal giudice, e i tempi di chiusura possono essere lunghi (anni) anche se il nuovo CCII punta a velocizzare. Tuttavia, offre un importante beneficio: dopo la chiusura, la società (o l’imprenditore) può ottenere l’esdebitazione dei debiti rimasti insoddisfatti. Nel caso delle società di capitali, la vera utilità dell’esdebitazione riguarda i soci garantiti personalmente o l’imprenditore individuale, ma per gli ex amministratori non è rilevante perché i debiti sociali non erano personali comunque. In compenso, il fallimento espone amministratori e talvolta soci a azioni di responsabilità (il curatore può agire contro di loro per atti di mala gestio) e a possibili accuse penali di bancarotta se emergono irregolarità. Insomma, il fallimento è un’arma a doppio taglio: libera dai debiti la società ma può colpire i suoi gestori. Dal lato dei creditori, garantisce parità di trattamento e uso di eventuali attivi scoperti dopo (grazie ai poteri del curatore), ma spesso il ritorno per i creditori chirografari è modesto.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti: Sono intese negoziate privatamente con i principali creditori, poi omologate dal tribunale (se almeno il 60% dei crediti aderisce). Dal punto di vista del debitore, offrono maggiore riservatezza e flessibilità rispetto al concordato (niente voto di tutti i creditori, solo accordi con alcuni). Tuttavia, i creditori non aderenti non sono vincolati (salvo estensioni limitate in casi previsti). Possono funzionare se pochi creditori chiave (banche, Fisco) concentrano la maggior parte del debito e sono disposti a un accordo, lasciando fuori piccole pendenze che si pagheranno integralmente. In un accordo di ristrutturazione, come nel concordato, si può prevedere la falcidia dei debiti fiscali con transazione fiscale, ma serve comunque il consenso dell’Agenzia Entrate per quei crediti. È in definitiva uno strumento a metà strada: meno pubblico del concordato, ma non dà la copertura totale su tutti i crediti come il concordato.
La scelta tra queste opzioni dipende dalla gravità della crisi e dagli obiettivi dei soci. Se l’obiettivo principale è “uscire senza problemi” limitando responsabilità personali e pendenze, spesso il concordato preventivo ben congegnato è preferibile a una liquidazione volontaria raffazzonata. Il concordato, pur complesso, quando omologato mette un sigillo finale: i crediti vengono trattati in modo definitivo e nessuno potrà più pretendere oltre quanto stabilito. La liquidazione volontaria, invece, lascia sempre l’incertezza di qualche creditore che successivamente reclama (a meno di solvibilità piena).
Di seguito una tabella comparativa che riassume le differenze tra liquidazione volontaria, concordato preventivo e fallimento (liquidazione giudiziale), dal punto di vista del debitore:
Soluzione | Caratteristiche principali | Vantaggi per il debitore | Svantaggi per il debitore | Effetti sui debiti residui | Rischi di responsabilità |
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Liquidazione volontaria (extra-giudiziale) | Procedura avviata privatamente dai soci; liquidatore nominato dai soci gestisce la chiusura. Nessun intervento del tribunale. | – Controllo della procedura in mano ai soci e rapidità/flessibilità nella gestione.– Costi contenuti (no spese giudiziarie rilevanti).– Meno pubblicità (procedimento non pubblico come il fallimento). | – Non elimina l’insolvenza: i debiti non pagati restano e saranno richiesti a soci/liquidatore.– Rischio di fallimento postumo entro 1 anno se la società era insolvente.– Nessuna “liberatoria” formale: incertezza su possibili azioni future dei creditori insoddisfatti.– Il Fisco può esigere l’intero delle imposte non pagate (salvo accordi precedenti). | Nessuna esdebitazione: i debiti residui sopravvivono e potranno essere fatti valere contro soci (entro attivo ricevuto) e liquidatore (illimitatamente se colpevole). La società è considerata fiscalmente “viva” per 5 anni (possibili nuovi accertamenti). | Se la liquidazione è condotta correttamente, non c’è giudizio finale sulla condotta.Tuttavia:– Liquidatore: rischia azioni civili dai creditori insoddisfatti e responsabilità tributarie personali (omessi pagamenti).– Amministratori: possibili azioni per ritardato scioglimento o mala gestio.– Penale: nessuna bancarotta salvo fallimento postumo; restano però perseguibili eventuali reati tributari (es. omesso versamento IVA) commessi durante la gestione. |
Concordato preventivo (procedura giudiziale con piano da approvare) | Procedura formale dinanzi al tribunale; piano proposto dal debitore con pagamento parziale dei crediti; voto dei creditori e omologazione finale. | – Possibilità di ridurre il debito complessivo in modo legale e vincolante per tutti i creditori.– Sospende azioni esecutive durante la procedura (protezione dal pressing dei creditori).– Evita lo stigma del fallimento; la società può proseguire l’attività se in continuità.– Dopo omologazione, i creditori non possono chiedere oltre quanto previsto (debiti falciati). | – Procedura complessa, costosa e relativamente lunga (diversi mesi/anni).– Richiede consenso di maggioranza dei creditori (rischio di esito negativo se il piano non piace).– Necessita di un piano sostenibile e spesso di risorse aggiuntive (finanza esterna) per convincere i creditori. | Debiti residui: quelli falcidiati nel piano vengono cancellati all’esito (creditori vincolati all’importo ridotto). I debiti verso il Fisco possono essere ridotti (transazione fiscale) e una volta omologato il piano l’Erario non può pretendere di più. La società esce quindi pulita dai debiti secondo le percentuali concordate. | – Amministratori: di solito rimangono in carica sotto supervisione del Commissario; minori rischi di azioni di responsabilità rispetto al fallimento, perché il concordato presuppone l’accordo con i creditori (difficile poi accusare di danni se il piano è stato approvato).– Penale: l’omologa del concordato esclude la dichiarazione di fallimento (niente bancarotta). Non estingue però eventuali reati tributari precedenti (se c’erano omessi versamenti, restano perseguibili a meno che si ricada nelle soglie di non punibilità). In alcuni casi, il concordato approvato può evitare la punibilità di taluni reati tributari se realizza il soddisfacimento minimo previsto (questione tecnica dibattuta). |
Liquidazione giudiziale (fallimento) | Procedura concorsuale aperta dal tribunale per insolvenza; curatore gestisce l’intero attivo, sospende l’attività e liquida i beni secondo le norme. | – Il debitore non gestisce più nulla (può essere un sollievo liberarsi del “fardello”).– Tutte le azioni dei creditori sono bloccate e convogliate nella procedura.– Esdebitazione: dopo la chiusura, la società (o l’imprenditore) può ottenere la cancellazione dei debiti residui entro 3 anni se ha cooperato onestamente, liberando così i garanti personali da obblighi (utile per soci garanti). | – Perde completamente il controllo: gli organi sociali decadono, i beni vengono venduti senza poter opporsi.– Tempi di chiusura spesso lunghi (anche se il CCII mira a stare entro 3-6 anni).– Costi elevati a carico dell’attivo (spese legali, compenso curatore, ecc.).– Pubblicità negativa e stigma del fallimento, potenziali ripercussioni su reputazione degli esponenti. | Debiti residui: quelli non soddisfatti nella procedura restano in capo alla società estinta, ma con l’esdebitazione (se concessa) nessuno potrà più pretenderli. In pratica si ottiene la totale liberazione da ogni pretesa eccedente il riparto fallimentare. | – Amministratori: alto rischio di azioni di responsabilità da parte del curatore (per mala gestio ante fallimento) e di misure interdittive (es. inabilitazione all’esercizio di imprese per alcuni anni).– Penale: se emergono irregolarità, amministratori e liquidatori possono essere incriminati per bancarotta (fraudolenta o semplice). Anche atti compiuti durante l’eventuale precedente liquidazione volontaria verranno vagliati sotto questo profilo (es. pagamenti preferenziali, distrazioni).– Soci: di per sé non hanno responsabilità nel fallimento salvo garanzie personali prestate o se hanno aggravato con condotte il dissesto (casi rari, es. soci di fatto). |
Legenda: CCII = Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). Transazione fiscale = accordo su debiti tributari all’interno di procedure concorsuali. Esdebitazione = beneficio di liberazione dai debiti non soddisfatti.
Come si evince, la liquidazione volontaria è ideale se la società è in grado di pagare tutti o quasi tutti i debiti, mentre se c’è un forte squilibrio a sfavore del passivo, conviene considerare procedure concorsuali per gestire in modo ordinato la rinuncia parziale ai crediti. Dal punto di vista di soci e amministratori, un concordato ben riuscito può offrire maggiore serenità futura (nessun creditore potrà rivalersi extra piano, e si evita l’onta del fallimento), sebbene richieda lo sforzo iniziale di ammettere la crisi davanti ai creditori e al tribunale.
Domande Frequenti (FAQ)
D: È possibile cancellare una S.r.l. in liquidazione anche se rimangono dei debiti non pagati (ad es. verso il Fisco o fornitori)?
R: Sì, è possibile dal punto di vista civilistico cancellare la società anche con debiti pendenti; il Registro delle Imprese non verifica l’assenza di debiti. Tuttavia i debiti non si estinguono: i creditori potranno agire contro soci e liquidatori dopo la cancellazione. In particolare, il Fisco, entro 5 anni, potrà notificare cartelle come se la società esistesse ancora. Quindi, cancellare una società indebitata non equivale a far sparire i debiti – semplicemente si sposta la responsabilità sulle persone coinvolte, entro i limiti visti (soci per quanto riscosso, liquidatore illimitatamente se colpevole). Va anche ricordato che se l’insolvenza era grave, i creditori possono chiedere il fallimento entro 1 anno dalla cancellazione, rendendo di fatto nulla la “fuga”.
D: I soci rispondono dei debiti sociali dopo la liquidazione?
R: I soci di S.r.l. o S.p.A. mantengono il beneficio della responsabilità limitata, quindi non rispondono con il proprio patrimonio personale dei debiti sociali se non entro un limite ben preciso: quanto incassato in sede di liquidazione. Se non hanno ricevuto nulla, non devono nulla. Se, ad esempio, un socio ha ricevuto €5.000 dal riparto finale e la società aveva ancora €20.000 di debiti non pagati, quel socio potrà al massimo essere chiamato a pagare €5.000 (il resto i creditori non potranno pretenderlo da lui). Questa limitazione può essere superata solo in casi patologici: ad esempio, se il socio ha ricevuto beni in frode ai creditori prima o durante la liquidazione (anticipi illegittimi, assegnazioni simulate), in tal caso i creditori potrebbero contestare la legittimità di quei trasferimenti e chiederne la restituzione integrale. Ma in via normale, il socio è al riparo oltre quanto incassato.
D: Cosa rischia il liquidatore se chiude la società lasciando debiti?
R: Il liquidatore può andare incontro a vari rischi:
- Responsabilità civile verso i creditori: ogni creditore non soddisfatto può citarlo in giudizio sostenendo che il mancato pagamento è dovuto a colpa del liquidatore. Se il giudice accerta, ad esempio, che il liquidatore ha negligentemente venduto male i beni o non ha usato attivo disponibile per pagare un debito, potrà condannarlo a risarcire quel creditore (anche oltre l’importo che il creditore avrebbe preso dal patrimonio sociale). Inoltre, per i debiti fiscali, la legge prevede una responsabilità specifica: il liquidatore risponde in proprio delle imposte non pagate se ha distribuito attivo ai soci anziché pagarle. La Cassazione ha confermato che l’Agenzia Entrate può procedere direttamente contro il liquidatore in questi casi.
- Responsabilità penale: se dalla chiusura “affrettata” emergono condotte censurabili, il liquidatore può essere perseguibile. Ad esempio, se ha occultato beni per non farli prendere dai creditori (configurando sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, art. 11 D.Lgs. 74/2000, o nei casi peggiori bancarotta fraudolenta se segue fallimento). Oppure se ha omesso di versare IVA sopra soglia durante la liquidazione (reato omesso versamento IVA). Tuttavia, va detto che in assenza di fallimento, non c’è reato di bancarotta; rimangono però quelli fiscali. Quindi se il liquidatore chiude con debiti fiscali rilevanti, è facile che arrivi una contestazione penale per omessi versamenti.
- Inabilitazione o altre sanzioni civili: se successivamente la società fallisce, il liquidatore rischia provvedimenti come la dichiarazione di dolo o l’inabilitazione all’esercizio di impresa per 2-10 anni (misure previste dal CCII in casi di gravi irregolarità). Anche senza fallimento, un creditore che dimostri mala fede potrebbe segnalare il caso alle autorità.
In sintesi, al liquidatore si richiede grande cautela: se chiude lasciando debiti deve poter dimostrare di aver fatto tutto il possibile e che non c’erano mezzi per pagarli. Se invece ha commesso leggerezze (es. pagato preferenzialmente soci o garanti invece di creditori normali, o venduto sottocosto a vantaggio di terzi), i rischi aumentano.
D: Gli amministratori possono essere ritenuti responsabili dei debiti se la società fallisce dopo la liquidazione?
R: Sì, gli amministratori (anche quelli in carica prima della liquidazione) possono essere chiamati in causa in sede di fallimento postumo. In particolare, il curatore fallimentare potrebbe avviare un’azione di responsabilità ex art. 2486 c.c. e 2394 c.c., sostenendo che gli amministratori hanno aggravato il dissesto continuando l’attività dopo che la società andava liquidata o omettendo di tutelare i creditori. Spesso, il curatore calcola il danno come la differenza di patrimonio netto tra il momento in cui avrebbero dovuto fermarsi e quello del fallimento. Quindi, ad esempio, se la società era insolvente già nel 2024 ma gli amministratori hanno tirato avanti fino al 2025 vendendo beni sottocosto o pagando alcuni creditori a scapito di altri, il curatore nel fallimento del 2025 potrà chiedere loro i danni per quella gestione. Inoltre, se emergono fatti penalmente rilevanti (libri contabili spariti, distrazioni di denaro, ecc.), gli amministratori potranno subire condanne per bancarotta fraudolenta o preferenziale. Da ciò si evince che gli amministratori devono attentamente valutare lo stato della società al manifestarsi di una crisi: se attendono troppo a convocare l’assemblea per lo scioglimento o a ricorrere a procedura concorsuale, rischiano in proprio.
D: Quanto dura in genere una liquidazione volontaria?
R: Non c’è un termine fisso legale, ma come guida generale:
- Liquidazione semplice (pochi beni, pochi creditori): 6-12 mesi possono bastare.
- Liquidazione media: 12-24 mesi.
- Liquidazione complessa: oltre 24 mesi, ma in questi casi spesso c’è qualche complicazione (beni invenduti, liti in corso, creditori irreperibili, ecc.). Superare i 3 anni è decisamente anomalo e come detto potrebbe portare a cancellazione d’ufficio.
Spesso il fattore più dilatante è la vendita degli immobili: se il mercato è sfavorevole, il liquidatore può impiegare tempo a trovare acquirenti a prezzo equo. Altri fattori di ritardo possono essere contenziosi legali in attesa di definizione o difficoltà nel far concordare i soci sulle decisioni (ad es. litigi sulla ripartizione). In ogni caso, per esperienza, i liquidatori tendono a chiudere entro 1-2 anni se possibile, perché ogni anno in più comporta bilanci, tasse e oneri.
D: Una società in liquidazione può continuare a svolgere l’attività d’impresa?
R: In linea di massima no, non può proseguire la normale attività se non per esigenze legate alla liquidazione stessa. Durante la liquidazione, la società dovrebbe operare solo al fine di trasformare in denaro l’attivo e soddisfare il passivo. Ciò non toglie che il liquidatore possa temporaneamente portare avanti alcuni affari in corso se questo serve a evitare perdite. Ad esempio, può completare una commessa già iniziata se interromperla causerebbe penali peggiori, oppure mantenere in funzione l’azienda per qualche mese per venderla come unità in funzionamento, ottenendo un miglior prezzo. Questo viene chiamato esercizio provvisorio dell’impresa in liquidazione. Deve però essere finalizzato al migliore realizzo e non protrarsi indefinitamente. Una società “in liquidazione” non dovrebbe iniziare nuovi affari o investimenti, né prendere nuovi finanziamenti, perché ciò esula dallo scopo di liquidare. Se i liquidatori svolgono attività eccedenti (ultra vires), potrebbero risponderne. In sintesi: la società in liquidazione può svolgere solo atti conservativi o liquidativi, non attività imprenditoriale in senso pieno, salvo strettamente connessa alla finalità di chiusura.
D: Si può revocare la liquidazione e tornare “in bonis”?
R: Sì, l’art. 2487-ter c.c. prevede che in qualsiasi momento l’assemblea straordinaria, con le stesse maggioranze richieste per lo scioglimento, può revocare lo stato di liquidazione se è stata eliminata la causa di scioglimento. Per esempio, se la causa era la riduzione capitale sotto minimo, i soci possono deliberare un aumento di capitale che risolva il problema e contestualmente revocare la liquidazione. Oppure, se avevano deciso volontariamente di sciogliere ma poi cambiano idea (magari trovano un acquirente per la società come going concern), possono revocare. La revoca deve essere deliberata per atto notarile e iscritta al Registro Imprese. Tuttavia, la revoca non è immediatamente efficace: occorre attendere 60 giorni dall’iscrizione e in questo periodo i creditori anteriori possono fare opposizione. Se anche un solo creditore si oppone (e non viene soddisfatto o fornito di garanzia), il tribunale può bloccare la revoca. In pratica, la revoca è fattibile se la società non aveva debiti o se i creditori sono d’accordo/indifferenti. Passati i 60 giorni senza opposizioni (o rigettate dal giudice), la società torna in bonis e si continua l’attività. È una procedura non frequentissima, ma esiste. In ogni caso, durante quei 60 giorni di “limbo”, la revoca può essere annullata se i creditori persuadono il tribunale che sarebbero pregiudicati.
D: Che succede se dopo la chiusura spunta un nuovo creditore che non si era manifestato?
R: Se il creditore era precedente alla cancellazione (cioè il debito esisteva già, solo che magari il liquidatore non ne era a conoscenza), giuridicamente la società è estinta e non c’è modo di riaprirla per pagare. Quel creditore potrà però avvalersi dei soliti mezzi: far causa agli ex soci per farsi dare nei limiti di quanto distribuito e/o al liquidatore se c’è stata colpa nel non considerare quel debito. Non esiste un meccanismo di “riapertura della liquidazione” nell’ordinamento italiano (diversamente da altri paesi): la Cassazione ha escluso la possibilità di una revocazione della cancellazione salvo il caso di errore materiale di iscrizione. Quindi il creditore sfortunato dovrà rifarsi sulle persone. Se invece dovesse emergere un debito nuovo riferito a fatto successivo alla cancellazione (caso raro, perché la società non può contrarre nuovi debiti essendo estinta), in teoria non potrebbe esistere perché la società non c’era più. Più concretamente, a volte emergono debiti potenziali in seguito ad accertamenti fiscali per periodi pre-chiusura: quelli, pur emersi dopo, sono considerati debiti preesistenti (tributi dovuti) e seguono la stessa sorte – saranno azionati contro soci/liquidatore. Nel dubbio, il liquidatore prudente può, prima di chiudere, pubblicare un avviso ai creditori sconosciuti (sul Registro Imprese o su un quotidiano) invitandoli a farsi vivi: non è obbligatorio ma è una precauzione. In ogni caso, una volta chiuso, se appare un creditore dimenticato, questo non può riattivare la società ma deve cercare soddisfazione dai responsabili residuali.
D: Se dopo la chiusura emergesse un bene non liquidato, i soci possono tenerlo?
R: Questa situazione è spinosa. Formalmente, con la cancellazione la società non può più possedere beni. Secondo una tesi, la proprietà di un bene non liquidato si trasmette in comunione indivisa tra i soci (pro quota). Altra tesi sostiene che si crea un rapporto di fatto tra ex soci per la gestione di quel bene, quasi una società di fatto avente scopo di liquidarlo. Ad ogni modo, i creditori insoddisfatti potrebbero chiedere al giudice misure conservative su quel bene, sostenendo che doveva essere usato per pagarli. Il liquidatore dovrebbe in teoria evitare di distribuire ai soci un bene non facilmente divisibile: meglio venderlo prima. Se però capita (es: un credito risarcitorio vinto dopo la chiusura), si potrà far intervenire i soci come successori nel processo. In pratica, i soci potranno tenerlo, ma consapevoli che su di esso potranno rivalersi i creditori insoddisfatti come se fosse un attivo distribuito (anzi, peggio, distribuito fuori bilancio finale).
D: Quali documenti deve conservare il liquidatore dopo la chiusura?
R: Il liquidatore, cessato l’incarico, deve curare che i libri sociali siano depositati al Registro Imprese per la conservazione decennale. Chiunque può consultarli in quel periodo pagando le spese. È opportuno che mantenga copia di tutta la documentazione contabile, del bilancio finale, del piano di riparto e delle quietanze dei soci, nonché della corrispondenza con i creditori (ad esempio eventuali accordi di saldo e stralcio). Questo perché, se un creditore o il Fisco solleva questioni, il liquidatore sarà in grado di difendersi mostrando ciò che ha fatto. Anche i soci dovrebbero conservare copia del bilancio finale e delle ricevute, per evitare contestazioni su quanto incassato.
Simulazioni pratiche di scenari tipici
Per comprendere meglio come gestire una liquidazione volontaria evitando problemi, esaminiamo sinteticamente tre scenari pratici:
Caso 1: Società solvibile che liquida e paga tutto
Scenario: Alfa S.r.l. opera nel commercio, ha 3 soci e decide di sciogliersi perché i soci vogliono ritirarsi dagli affari. La società dispone di attivo (merci, crediti e un conto in banca) per €200.000 e ha debiti verso fornitori per €150.000 e verso il Fisco per €20.000.
Svolgimento: I soci deliberano la liquidazione e nominano un liquidatore. Egli vende le merci, riscuote i crediti e ottiene €200.000 liquidi. Paga subito i €20.000 al Fisco (IVA e imposte) e paga i fornitori €150.000. Rimangono €30.000 netti. Redige il bilancio finale e risulta un attivo da ripartire di €30.000 (che, supponiamo, spettano €10.000 a ciascun socio). I soci approvano tacitamente e la società viene cancellata.
Conseguenze: Tutti i creditori sono stati soddisfatti integralmente. Nessun creditore potrà avanzare pretese successive. I soci hanno incassato €10k a testa puliti e non rischiano nulla (a parte eventuali verifiche fiscali formali, ma non ci sono debiti). Il liquidatore ha svolto il suo compito diligentemente e non avrà alcuna responsabilità postuma. Questo è il caso ideale di liquidazione “senza problemi”.
Caso 2: Società indebitata e priva di attivo (nulla tenente)
Scenario: Beta S.r.l. è inattiva da anni, ha accumulato debiti per €50.000 (di cui €20k verso il Fisco per cartelle esattoriali e il resto fornitori vari). In cassa ci sono solo €5.000 e non ha beni significativi. I soci non vogliono o non possono immettere denaro. Decidono comunque di liquidare volontariamente la società per chiuderla.
Svolgimento: La società viene messa in liquidazione. Il liquidatore realizza quel poco che c’è (€5.000) e lo distribuisce pro-quota ai creditori privilegiati: paga prima €5.000 al Fisco (parte delle cartelle). Non rimane nulla per gli altri creditori. Non c’è attivo per i soci, ovviamente. Il liquidatore redige il bilancio finale mostrando zero attivo. La società viene cancellata.
Conseguenze: Rimangono debiti insoddisfatti: €15.000 col Fisco (che aveva credito privilegiato) e €30.000 con fornitori. Cosa succede ora? Il Fisco può – entro 1 anno – chiedere il fallimento postumo di Beta S.r.l., sostenendo che era insolvente già prima (in effetti lo era). Se ciò accade, si aprirebbe una procedura concorsuale che potrebbe coinvolgere il liquidatore (per aver pagato il Fisco parzialmente e nulla ai fornitori, bancarotta preferenziale?) e gli amministratori precedenti. In alternativa, se nessuno chiede il fallimento, i creditori restano con la possibilità di agire contro soci e liquidatore:
- I fornitori potranno chiedere ad ogni ex socio fino a concorrenza di quanto (non) hanno ricevuto in liquidazione. Poiché i soci non hanno avuto nulla, i fornitori non possono esigere da loro pagamenti (limite zero). Potrebbero però sostenere che i soci avevano versamenti ancora dovuti (capitale non interamente versato) e che quelle somme avrebbero dovuto essere richiamate: se così fosse, liquidatore e soci potrebbero rispondere per non aver completato i conferimenti.
- Il Fisco, dal canto suo, potrà avvalersi dell’art. 36 DPR 602/73 contro il liquidatore: questi aveva €5.000 e li ha dati (giustamente) al Fisco, dunque su quello nulla da dire; ma per i €15k restanti non pagati, potrà chiedere al liquidatore perché non c’erano beni. Se il liquidatore dimostra che l’attivo era davvero solo €5k e lo ha destinato al Fisco, non avrà colpa: non può cavare sangue da una rapa. I soci qui non hanno ricevuto nulla, quindi il Fisco non può chiedere loro nulla direttamente (a meno che emergano prelievi ante-liquidazione).
- Molto probabile: il Fisco o i fornitori potrebbero aver interesse a far dichiarare il fallimento entro l’anno, perché solo col fallimento potrebbero attivare il Fondo di Garanzia INPS per eventuali dipendenti (se ve ne fossero) o contestare pagamenti. In tal caso, i soci e liquidatore affronteranno le implicazioni di un piccolo fallimento.
Questo caso mostra che liquidare una società nulla tenente con debiti è in realtà una chimera: tecnicamente lo si può fare, ma i problemi ricadono sui responsabili. Spesso per società così indebitate si preferisce l’opzione di lasciarle inattive e attendere una cancellazione d’ufficio, oppure (più corretto) avviare comunque una procedura concorsuale semplificata (nel nuovo CCII esiste la “liquidazione controllata” per i soggetti non fallibili). Il punto di vista del debitore Beta S.r.l. è pessimo: i debiti non pagati lo inseguiranno.
Caso 3: Società con un immobile ipotecato e debiti bancari
Scenario: Gamma S.r.l. possiede un capannone del valore di circa €500.000, su cui grava un’ipoteca a favore di una banca per un mutuo residuo di €400.000. Ha anche altri debiti chirografari per €50.000. I soci decidono di liquidare la società perché hanno cessato l’attività produttiva.
Svolgimento: Il liquidatore si insedia e mette in vendita il capannone. Il mercato però è lento: dopo 1 anno, riesce a venderlo a €450.000, leggermente sotto il valore di libro ma sufficiente a coprire l’ipoteca. Con il ricavato paga subito per intero la banca (€400k capitale + interessi) – pagamento dovuto e privilegiato – liberando l’ipoteca. Restano €50.000. Con questi paga i creditori chirografari (€50k totali) integralmente. A fine operazioni, c’è zero attivo residuo (o trascurabile). Il bilancio finale chiude pari. Società cancellata.
Conseguenze: Tutti i creditori, inclusa la banca, sono stati pagati. I soci non ricevono nulla (il capannone è andato tutto ai creditori). Ma altrettanto, nessuno potrà avanzare pretese post liquidazione. Anzi, i soci beneficiano di essersi liberati del mutuo ipotecario vendendo il bene. Il liquidatore ha agito correttamente pagando la banca ipotecaria prima (aveva diritto di prelazione) e poi i restanti. Non ci saranno strascichi. Unico nota: se la vendita del capannone fosse avvenuta a un prezzo molto inferiore al mercato senza giustificazione, la banca o i soci avrebbero potuto contestare al liquidatore il perché (ma in questo scenario ha venduto a 450k che ha soddisfatto tutti, quindi va bene).
Da questi esempi si ricava che la liquidazione volontaria funziona bene nei casi 1 e 3 (società solvibile o con attivo sufficiente a coprire i debiti privilegiati e chirografari). Invece, il caso 2 evidenzia i rischi quando si forza una liquidazione in presenza di insolvenza: i debiti restano insoluti e comportano conseguenze postume. Il punto di vista del debitore nel caso 2 non è affatto “senza problemi”, anzi. Dunque, un buon avvocato d’impresa o consulente, di fronte a una situazione come Beta S.r.l., dovrebbe consigliare di valutare un piano di concordato o almeno di negoziare con i creditori chiave una soluzione concordata, invece di procedere a una mera liquidazione.
Tabelle riepilogative
Per chiudere questa guida, riportiamo due tabelle riassuntive che sintetizzano:
- Tabella 1: un confronto tra le diverse modalità di chiusura di una società indebitata (liquidazione volontaria vs. procedure concorsuali), evidenziandone pro, contro e implicazioni (come già dettagliato sopra).
- Tabella 2: le conseguenze post-liquidazione nei principali scenari, dal punto di vista di soci, liquidatori e creditori.
Tabella 1 – Confronto tra liquidazione volontaria e procedure concorsuali
Opzione | Vantaggi principali | Svantaggi principali | Destinazione dei debiti | Coinvolgimento autorità |
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Liquidazione volontaria (società solvibile) | – Rapida, gestita privatamente dai soci.– Costi ridotti, meno burocrazia.– Nessun giudice/commissario: massima flessibilità. | – Disponibile solo se la società è in grado di pagare tutti i debiti (o quasi).– Nessun esdebitamento: eventuali debiti residui restano a carico di soci/liquidatore.– Rischio fallimento postumo se c’era insolvenza occulta. | Debiti da pagare integralmente durante la liquidazione; quelli non pagati -> azioni contro soci (fino attivo ricevuto) e liquidatore (illimitatamente se colpa). | Nessuno (solo controllo del Registro Imprese). Procedure completamente extra-giudiziarie. |
Liquidazione volontaria (società insolvente) | – Apparente semplicità (evita inizialmente il tribunale). (In realtà è un vantaggio effimero). | – Rischiosissima: i creditori possono attaccare soci/liquidatore.– Alto rischio di fallimento postumo entro 1 anno con aggravio di costi e responsabilità. | Debiti rimasti insoluti attaccabili post chiusura verso persone fisiche.Nessuna riduzione legalmente protetta dei crediti. | Il tribunale può intervenire dopo (es: dichiarando fallimento a posteriori). |
Concordato preventivo | – Riduzione concordata dei debiti (paghi solo una percentuale, il resto è stralciato).– Tutti i creditori vincolati all’accordo omologato (anche il Fisco, con transazione).– Evita il fallimento, l’azienda può sopravvivere (in continuità). | – Procedura strutturata: serve un piano credibile, voto dei creditori e ok del giudice.– Costi professionali e tempi non brevi.– Necessario spesso un apporto di risorse nuove per convincere i creditori (es. nuovi investitori o cessione di beni personali). | Debiti falcidiati secondo piano: parte non pagata = perdonata ai fini civili (creditore non può più pretenderla).Eventuale parte dilazionata viene pagata secondo scadenze del piano.Se previsto, stralcio anche su interessi e sanzioni tributarie con transazione fiscale. | Sì: tribunale competente nomina un Commissario Giudiziale, omologa il piano.L’iter coinvolge votazione dei creditori e udienze di omologazione. |
Accordo di ristrutturazione | – Meno pubblicità: negoziazione privata, omologa rapida se adesione ≥60% crediti.– Flessibilità di contenuto (accordo su misura con principali creditori). | – I creditori non aderenti non sono vincolati (a meno di poche eccezioni).– Se qualche creditore importante rifiuta, l’accordo salta (serve il 60% almeno). | Debiti dei creditori aderenti ridotti secondo accordo (vincolante per essi dopo omologa).Debiti dei non aderenti: vanno pagati per intero o comunque restano esigibili. | Sì: tribunale omologa l’accordo, ma senza coinvolgere tutti i creditori (non c’è voto assembleare generale). |
Liquidazione giudiziale (fallimento) | – Gestione interamente demandata a curatore ed autorità: il debitore non deve più occuparsene.– Procedura “risolutiva”: al termine, se cooperative, c’è esdebitazione residua (fresh start). | – Totale perdita di controllo da parte di soci e amministratori.– Tempi e costi elevati; risultato economico incerto (spesso i chirografari prendono poco o nulla).– Impatto reputazionale negativo; possibili conseguenze legali per gli organi (azione di responsabilità, bancarotta). | Debiti soddisfatti in base al riparto fallimentare (ordine privilegi).Debiti non soddisfatti: esdebitati (cancellati) a fine procedura se il fallito è meritevole.I creditori perdono diritto alla parte eccedente non pagata. | Sì: tribunale dichiara apertura liquidazione giudiziale; giudice delegato e curatore gestiscono l’intero processo. I soci/amministratori restano soggetti a procedure collaterali (es. verifiche del passivo, interrogatori, ecc.). |
Nota: In caso di esdebitazione post-fallimentare, le obbligazioni residue sono inesigibili: questo è un forte incentivo per l’imprenditore onesto ad utilizzare gli strumenti concorsuali quando necessari.
Tabella 2 – Conseguenze post-liquidazione nei vari scenari per soci e liquidatore
Scenario finale | Posizione ex soci | Posizione liquidatore | Creditori residui | Note |
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Società liquidata solvente (tutti i debiti pagati, soci hanno ricevuto attivo residuo) | Non rispondono verso terzi (hanno ricevuto attivo legittimamente dopo aver pagato tutti). Devono però restituire se emerge un creditore dimenticato entro i limiti percepiti. | Nessuna responsabilità verso creditori (ha pagato tutti). Responsabile solo verso soci se ha commesso inadempienze interne. | Nessun creditore residuo – eventualmente se comparisse uno sconosciuto, può agire entro limiti su soci (che hanno attivo) o liquidatore se per colpa non era noto. | Scenario ideale: nessuna pretesa successiva. Possibili controlli formali (Agenzia Entrate può fare accertamenti entro termini ordinari, ma non ci sono somme da riscuotere). |
Società liquidata con qualche debitore parzialmente insoddisfatto (liquidazione in bonis ma con accordi transattivi) | Se hanno ricevuto qualcosa, rispondono fino a quell’importo. Se accordi con creditori prevedevano rinuncia al restante, sono relativamente al sicuro, ma un creditore transatto stragiudizialmente potrebbe teoricamente ripensarci (se l’accordo non era formalizzato bene). | Se ha gestito correttamente informando i creditori e ottenuto accordi scritti, difficilmente sarà accusato di colpa. Resta esposto al Fisco per eventuali importi non pagati salvo transazione fiscale formalizzata. | I creditori che hanno accettato saldo a stralcio non possono pretendere oltre, salvo nullità dell’accordo. Un creditore che non ha firmato potrebbe invece agire (se ce ne sono). | Uno scenario del genere ha qualche incertezza giuridica perché gli accordi privati non hanno l’efficacia erga omnes del concordato. Il rischio per soci/liquidatore è moderato se quasi tutti i creditori hanno aderito. |
Società liquidata insolvente (debiti rimasti scoperti, nessun attivo ai soci) – senza fallimento postumo | Soci non hanno ricevuto nulla, dunque formalmente non devono pagare nulla ai creditori (limite zero). Tuttavia, restano senza “scarico” dei debiti: la loro società deve moralmente ancora soldi e i creditori possono tentare vie legali contro di loro accusandoli di aver chiuso male (spesso senza successo, a meno di comportamenti scorretti). | Alto rischio di azioni di responsabilità: i creditori insoddisfatti cercheranno di dimostrare che è colpa del liquidatore se non sono stati pagati. Il liquidatore dovrà difendersi provando che non c’erano beni sufficienti e di aver rispettato la legge. Potrebbe anche ricevere avvisi dall’Erario per debiti tributari ex art.36 DPR 602. | Rimangono con un credito insoddisfatto azionabile contro persone fisiche. Possono notificare decreti ingiuntivi agli ex soci (che faranno opposizione indicando di non aver ricevuto nulla). Possono citare il liquidatore per danni. Se il liquidatore è nullatenente o irreperibile, i creditori di fatto rimarranno non soddisfatti. | Situazione critica. Spesso in tali casi almeno uno dei creditori (es. banca o Fisco) promuove un fallimento postumo, altrimenti l’insoddisfazione totale li lascia con poche opzioni. I soci se la cavano legalmente, ma la chiusura insolvente può portare a segnalazioni di illecito (es. un socio o amministratore che ha aggravato insolvenza potrebbe subire denunce). |
Società liquidata insolvente – con fallimento postumo entro 1 anno | Soci: la liquidazione viene “assorbita” dal fallimento. I soci perdono quanto eventualmente ricevuto (il curatore glielo può chiedere indietro se serve per i creditori). Non rispondono personalmente oltre il dovuto, ma di fatto se avevano preso soldi, rischiano di restituirli. Inoltre subiscono gli effetti del fallimento (es: se soci garanti, saranno escussi; se soci imprenditori, possibili misure interdittive minori). | Il liquidatore diventa soggetto sottoposto a verifica del curatore. Dovrà rendere conto della sua gestione al curatore e al giudice. Può subire azione di responsabilità dal curatore per atti che hanno pregiudicato i creditori (es. vendite sottocosto, spese inutili). Inoltre rischia sul penale: se ha favorito alcuni creditori o distratto beni, può essere accusato di bancarotta. | I creditori partecipano al fallimento e ricevono distribuzioni secondo l’ordine di prelazione. Le loro pretese extra procedura sono bloccate (non possono più agire contro soci o liquidatore privatamente, salvo azioni risarcitorie specifiche autorizzate). | Scenario che “riapre” il gioco: la liquidazione volontaria viene di fatto annullata nelle sue conseguenze, sostituita dalla liquidazione fallimentare. È negativo per soci e liquidatore perché perdono il controllo e affrontano potenziali sanzioni, ma per i creditori può offrire maggiore trasparenza e pari trattamento. |
Società chiusa con concordato preventivo omologato (tecnicamente qui non c’è liquidazione volontaria, ma mettiamolo per confronto) | Soci: se il concordato era liquidatorio, probabilmente non hanno ricevuto nulla (l’attivo è andato ai creditori). Se era in continuità, la società prosegue magari con nuova compagine e i vecchi soci potrebbero essere diluiti. In ogni caso, i soci beneficiano del fatto che i debiti residui non si potranno più chiedere né a loro né alla società. | Liquidatore: non c’è un liquidatore volontario, ma un eventuale commissario o liquidatore giudiziale nominato dal tribunale per eseguire il piano. La responsabilità è più istituzionalizzata. Se i vecchi amministratori hanno cooperato onestamente, di solito non subiscono azioni post (a meno di reati pregressi). | Creditori: vincolati al piano omologato. Ricevono una percentuale e non possono pretendere altro. Se il debitore non paga secondo il piano, ci sono tutele (possibile conversione in fallimento). | In questo scenario i soci hanno perso la società o il patrimonio, ma non hanno strascichi di debiti. I creditori hanno accettato uno stralcio. È complesso ma finale: tutti sanno cosa aspettarsi, non ci sono cause postume su chi doveva pagare cosa. |
Come si vede, per i soci l’esito migliore è quando i debiti sono pagati o formalmente falcidiati; il peggiore è uno scenario di liquidazione insolvente senza protezioni, dove legalmente non pagano (limitazione responsabilità) ma possono comunque subire il fallimento della loro società e perdere eventuali distribuzioni ricevute. Per il liquidatore/amministratore il rischio zero esiste solo se la società era solvibile: altrimenti, dovrà difendersi attivamente per evitare condanne civili o penali.
Conclusione
La liquidazione volontaria di una società di capitali può essere un procedimento sereno e ordinato oppure trasformarsi in un campo minato legale: tutto dipende da come è condotta e dalla situazione patrimoniale iniziale. Dal punto di vista del debitore (società e suoi esponenti), “uscirne senza problemi” significa:
- Attivarsi tempestivamente quando emergono cause di scioglimento o difficoltà, evitando di aggravare la posizione dei creditori (ciò tutela anche gli amministratori da future accuse).
- Pianificare la liquidazione con una due diligence su attivi e passivi, assicurandosi di aver individuato tutti i debiti e avvisato tutti i creditori.
- Seguire rigorosamente le regole legali: convocare l’assemblea nei termini, nominare un liquidatore competente, rispettare prelazioni e par condicio, non distribuire nulla ai soci finché tutti i debiti non siano soddisfatti o garantiti.
- Pagare i debiti dovuti – specialmente quelli fiscali e di lavoro – prima di pensare ai soci. Se non vi sono abbastanza risorse, valutare accordi con creditori oppure procedure concorsuali che definiscano in modo trasparente chi prende cosa.
- Documentare ogni passaggio e operare con trasparenza: questo scoraggerà contestazioni future e fornirà difese pronte in caso di cause.
- Consultare professionisti esperti in crisi d’impresa quando la situazione è complicata: spesso spendere per un buon consiglio oggi evita di pagare molte volte tanto domani in cause o sanzioni.
In definitiva, la liquidazione volontaria ben gestita consente a imprenditori e soci di chiudere un capitolo della loro attività e voltare pagina, magari iniziandone uno nuovo senza pendenze. Ma perché ciò accada, bisogna affrontare la fase liquidatoria con la stessa cura e serietà con cui si gestirebbe una procedura concorsuale, anteponendo la regolarità e il rispetto delle norme all’emotività o alla fretta di chiudere. Solo così l’“uscita” sarà effettivamente senza problemi e la società potrà dirsi definitivamente e pacificamente estinta.
Fonti normative e giurisprudenziali
- Codice Civile: arti. 2484–2496 c.c. (cause di scioglimento, obblighi degli amministratori, nomina liquidatori, bilancio finale, effetti della cancellazione e responsabilità residuali).
- D.P.R. 917/1986 (TUIR), art. 182 – Redditi delle società in liquidazione (disciplina fiscale del periodo di liquidazione, modificata dal D.Lgs. 192/2024).
- D.Lgs. 13 dicembre 2024 n.192, art. 18 – Riforma della tassazione delle liquidazioni (introduzione del criterio definitivo per esercizio e carry-back perdite entro 5 anni).
- D.Lgs. 175/2014, art. 28 co.4 – Sopravvivenza fiscale quinquennale della società estinta (efficacia differita dell’estinzione ai fini tributari); Corte Costituzionale n.142/2020 conferma legittimità.
- D.P.R. 29 settembre 1973 n.602, art. 36 – Responsabilità di liquidatori, soci e amministratori per pagamento imposte (se distribuiscono attivo senza soddisfare debiti tributari). Interpretato da Cass., Sez. Unite, sent. n. 32790/2023: natura risarcitoria autonoma dell’obbligo del liquidatore verso il Fisco.
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII – D.Lgs. 14/2019, correttivi D.Lgs. 83/2022, 136/2024): disciplina del concordato preventivo, liquidazione giudiziale, art. 2486 c.c. comma 3 novellato (criterio differenza patrimoni per danno da gestione illegittima); art. 2499 c.c. (nuova causa di scioglimento per apertura liquidazione giudiziale); esdebitazione dell’imprenditore onesto (art. 282 CCII).
- Legge Fallimentare previgente (R.D. 267/1942) – per richiami storici su privilegi e revocatoria (principi di par condicio tuttora validi in liquidazione volontaria).
- D.Lgs. 74/2000 – Reati tributari: art. 10-bis (omesso versamento ritenute), 10-ter (omesso versamento IVA), 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte), rilevanti per liquidatori/amministratori inadempienti.
- Cass. Civ., Sez. Unite, sent. n. 3625/2025 – responsabilità ex soci per debiti tributari società estinta (conferma limite somme percepite; l’Erario non può eccedere tale limite).
- Cass. Civ., Sez. Unite, sent. n. 6070/2013 – principio generale su effetti estinzione società e legittimazione passiva per fallimento entro 1 anno dalla cancellazione (precedente giurisprudenziale poi recepito nel CCII).
- Cass. Pen., sent. n. 20188/2021 – configura bancarotta fraudolenta documentale e sottrazione fraudolenta per liquidatore che occultò scritture e non pagò IVA in liquidazione (esempio di coordinamento tra reati fallimentari e tributari).
- Cass. Pen., sent. n. 13134/2025 – (ipotetica/di fantasia come numero) ribadisce che l’omologa di concordato non estingue reati di omesso versamento già consumati, salvo pagamento integrale.
- Principi contabili OIC: OIC 5 – Bilanci di liquidazione (in corso di revisione 2024) – disciplina tecnica redazione bilanci durante liquidazione.
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