La tua impresa sta affrontando una fase di crisi e stai valutando l’accesso alla composizione negoziata? Ti stai chiedendo quale ruolo abbia l’organo di controllo (collegio sindacale, sindaco unico o revisore) in questo percorso?
Nella procedura di composizione negoziata della crisi, l’organo di controllo assume un ruolo delicato e strategico. Non solo vigila sulla correttezza delle scelte dell’imprenditore, ma può anche essere parte attiva nella gestione della crisi, con precisi obblighi di legge.
Qual è il ruolo dell’organo di controllo nella composizione negoziata?
Secondo il Codice della Crisi (D.lgs. 14/2019), l’organo di controllo non è un semplice spettatore. Ha funzioni cruciali fin dalla fase preliminare, e in particolare:
– Segnala tempestivamente al consiglio di amministrazione i segnali di crisi
– Può proporre direttamente l’accesso alla composizione negoziata, se l’organo amministrativo non agisce
– Collabora alla predisposizione della documentazione necessaria per avviare la procedura
– Vigila sul comportamento degli amministratori durante la crisi
– Monitora l’evoluzione della trattativa con i creditori
Quando l’organo di controllo deve intervenire?
L’obbligo di attivazione scatta in presenza di squilibri patrimoniali o finanziari rilevanti, anche prima che si verifichi l’insolvenza. L’organo di controllo deve:
– Valutare i sistemi di allerta interna
– Analizzare indici e segnali previsti dalla normativa (es. DSCR negativo, perdite ricorrenti, esposizioni verso l’Erario)
– Sollecitare l’organo amministrativo ad adottare misure concrete per il risanamento
Cosa rischia chi non segnala o non interviene?
Se il collegio sindacale, il sindaco unico o il revisore non adempiono correttamente ai propri obblighi:
– Possono essere chiamati a rispondere personalmente dei danni subiti da creditori e soci
– Possono essere coinvolti in azioni di responsabilità civile o penale
– In caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale), l’omissione può aggravare la posizione dell’organo
Qual è la relazione con l’esperto della composizione?
Una volta avviata la composizione negoziata, l’organo di controllo:
– Collabora con l’esperto nominato dalla Camera di Commercio
– Fornisce elementi informativi sull’andamento dell’impresa
– Può proporre soluzioni conciliative o osservazioni al piano di risanamento
– Deve segnalare comportamenti anomali degli amministratori durante la procedura
Come ti aiutiamo noi dello Studio Monardo?
Assistiamo imprese, organi di controllo e professionisti nella gestione di crisi aziendali. Valutiamo l’opportunità di attivare la composizione negoziata, redigiamo la documentazione necessaria e forniamo supporto tecnico e legale al collegio sindacale o al revisore, affinché agisca correttamente e tuteli la propria posizione.
Fai parte di un organo di controllo e temi di incorrere in responsabilità? Oppure sei un imprenditore e vuoi capire se l’organo di controllo può avviare la composizione negoziata al tuo posto?
In fondo alla guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme la situazione e ti aiuteremo a scegliere la strada più sicura e conforme alla legge, per proteggere l’impresa e chi la amministra.
Introduzione
La composizione negoziata della crisi d’impresa è uno strumento introdotto nell’ordinamento italiano a fine 2021 per favorire la gestione anticipata e stragiudiziale delle difficoltà aziendali. Si tratta di un percorso volontario in cui l’imprenditore in situazione di squilibrio finanziario può richiedere la nomina di un esperto indipendente con il compito di agevolare trattative con i creditori, al fine di evitare l’insolvenza. In questo contesto innovativo, l’organo di controllo interno alle società di capitali (il collegio sindacale o il sindaco unico, e ora anche il revisore legale dei conti) assume un ruolo cruciale e proattivo, in una logica di allerta precoce e di cooperazione col debitore. Le recenti riforme normative – dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) fino ai decreti attuativi del 2021-2024 – hanno infatti ridefinito funzioni e obblighi dei sindaci e revisori, imponendo loro doveri di segnalazione tempestiva della crisi e attribuendo anche nuovi poteri nel procedimento di composizione negoziata.
Questo guida, pensata in ottica avanzata ma con linguaggio accessibile, esamina dettagliatamente il ruolo dell’organo di controllo nella composizione negoziata dal punto di vista del debitore (società in crisi). Saranno analizzati il quadro normativo di riferimento e le recenti modifiche legislative, gli obblighi dei sindaci e dei revisori legali, le funzioni specifiche nelle varie fasi del procedimento negoziato, nonché le possibili responsabilità in caso di omissioni. Verranno presentate sentenze aggiornate che evidenziano l’orientamento dei tribunali sulla responsabilità degli organi di controllo, insieme a esempi pratici e simulazioni per contestualizzare i comportamenti attesi. Alcune tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte (FAQ) faciliteranno la comprensione operativa. L’obiettivo è fornire una guida completa per professionisti (avvocati, commercialisti), imprenditori e stakeholder, chiarendo come un organo di controllo diligente possa aiutare l’impresa debitrice a intercettare per tempo la crisi e sfruttare al meglio la composizione negoziata per il risanamento.
Quadro normativo e riforme recenti in materia di crisi d’impresa
Il ruolo oggi richiesto all’organo di controllo nella gestione preventiva della crisi è il risultato di un percorso normativo avviato con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019) e affinato da interventi successivi. Il CCII – emanato in attuazione della L. 155/2017 – ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano un sistema organico di allerta e composizione assistita della crisi, con obblighi di predisposizione di adeguati assetti aziendali (art. 2086 c.c., comma 2) e meccanismi di segnalazione precoce sia interna (da parte degli organi sociali di controllo) sia esterna (da parte di creditori pubblici qualificati). In particolare, nel testo originario del Codice erano previste:
- una procedura di allerta interna attivabile dall’organo di controllo presso un apposito Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa (OCRI), ai sensi dell’art. 14 CCII previgente;
- una procedura di allerta esterna attivabile dai creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, ecc.) sempre avanti all’OCRI, ai sensi dell’art. 15 CCII previgente;
- una fase di composizione assistita innanzi all’OCRI per tentare la definizione concordata della crisi.
Tuttavia, l’entrata in vigore di queste misure di allerta è stata più volte rinviata e infine sostanzialmente sostituita da un diverso approccio, complici anche gli effetti della pandemia Covid-19 che hanno indotto il legislatore a soluzioni più flessibili. Con il D.L. 24 agosto 2021 n.118 (conv. in L. 147/2021) è stata introdotta la composizione negoziata della crisi, uno strumento volontario, riservato all’imprenditore commerciale o agricolo in condizioni di squilibrio economico-finanziario, assistito da un esperto indipendente. Contestualmente, l’art. 15 del D.L. 118/2021 ha affidato all’organo di controllo societario un compito di primo piano: segnalare per iscritto agli amministratori la sussistenza dei presupposti per presentare l’istanza di nomina dell’esperto e accedere così alla composizione negoziata. In sede di conversione (L. 147/2021) e poi con il D.L. 6 novembre 2021 n.152 (conv. in L. 233/2021, cosiddetto “Decreto PNRR”), tale disciplina è stata integrata prevedendo anche le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati dirette all’imprenditore e all’organo di controllo, con invito a perseguire la soluzione negoziata. In ogni caso, rimane fermo che l’iniziativa di avviare la composizione negoziata spetta esclusivamente all’imprenditore (organo amministrativo) – non potendo essere imposta dall’esterno – ma il sistema costruisce una rete di incentivi e doveri per favorire una sua attivazione tempestiva.
Nel luglio 2022 il Codice della Crisi, più volte posticipato, è entrato definitivamente in vigore, arricchito e modificato per recepire anche la Direttiva UE 2019/1023 (cd. Direttiva Insolvency). Il D.Lgs. 83/2022 (“correttivo” al CCII) ha coordinato la composizione negoziata all’interno del Codice, inserendola come procedura stabile (artt. 17-25 septies CCII) in luogo delle originarie misure di allerta. Sono state delineate espressamente nozioni come lo stato di crisi inteso come probabilità di insolvenza futura (art. 2, co.1 lett. a, CCII) e lo stato di insolvenza come incapacità attuale di adempiere (art. 2, co.1 lett. b). Inoltre è stato introdotto il concetto di “pre-crisi” per indicare situazioni prodromiche alla crisi vera e propria, caratterizzate da segnali di rischio da non sottovalutare. Il nuovo art. 3 CCII, in particolare, ha ribadito l’obbligo dell’imprenditore collettivo di adottare assetti organizzativi adeguati anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi (comma 3) e ha elencato alcuni segnali di allarme (comma 4) che costituiscono indici di probabile crisi, come ad esempio: significativi debiti scaduti verso dipendenti, fornitori o banche oltre determinate soglie temporali e quantitativi. Parallelamente, gli artt. 25-octies e 25-novies CCII (introdotti nel 2022) hanno regolato rispettivamente la segnalazione interna all’organo amministrativo da parte dell’organo di controllo e le segnalazioni esterne dei creditori pubblici, in termini molto simili a quelli già previsti dal D.L. 118/2021.
Da ultimo, va segnalato il recente D.Lgs. 12 settembre 2024 n.136 (c.d. “correttivo ter” del CCII, in vigore dal 28 settembre 2024), che ha ulteriormente rafforzato il ruolo proattivo dell’organo di controllo. In particolare, tale decreto ha modificato l’art. 25-octies CCII estendendo espressamente gli obblighi di segnalazione anche al soggetto incaricato della revisione legale dei conti, equiparando dunque i doveri del revisore a quelli del collegio sindacale. Inoltre, il nuovo art. 25-octies così come riformulato prevede che, decorso inutilmente il termine assegnato all’organo amministrativo, l’organo di controllo (collegio sindacale o sindaco unico) o il revisore debbano essi stessi attivarsi, presentando direttamente l’istanza di accesso alla composizione negoziata. Questa è una novità di grande rilievo, che supera il principio originario per cui solo l’imprenditore poteva avviare la procedura: oggi, a tutela del debitore stesso e dei creditori, si attribuisce ai controllori interni il potere-dovere di intervenire in supplenza qualora gli amministratori rimangano inerti di fronte a una crisi incipiente. Come vedremo, il mancato rispetto di tali obblighi da parte dell’organo di controllo può tradursi in responsabilità anche gravi, mentre l’adempimento diligente delle nuove funzioni di allerta costituisce un esonero o un’attenuante di responsabilità ai sensi del Codice.
Riassumendo, il quadro normativo attuale – risultante dal CCII e successive modifiche fino al 2024 – configura un vero e proprio “sistema di early warning” in cui l’organo di controllo societario è chiamato a cooperare attivamente con l’imprenditore in crisi. Di seguito si analizzeranno in dettaglio i compiti e le funzioni di tale organo nelle società di capitali, con particolare riguardo alla composizione negoziata e alla prospettiva del debitore che intende avvalersene.
L’organo di controllo nelle società di capitali: collegio sindacale e revisore legale
Nel diritto societario italiano, per organo di controllo si intende normalmente il collegio sindacale (organo collegiale composto da più sindaci) oppure il sindaco unico (organo monocratico) previsto nelle società di capitali di minori dimensioni. Il collegio sindacale è un organo sociale dotato di ampi poteri di ispezione e supervisione sulla gestione, disciplinato dagli artt. 2403 e seguenti del codice civile: vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei princìpi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e sul concreto funzionamento di tali assetti. Nelle società per azioni il collegio sindacale è obbligatorio (salvo sistemi di amministrazione dualistico o monistico, in cui le funzioni di controllo interno sono svolte rispettivamente dal consiglio di sorveglianza o dal comitato per il controllo di gestione). Nelle società a responsabilità limitata, invece, la nomina di un organo di controllo diventa obbligatoria al superamento di determinati parametri dimensionali, secondo quanto stabilito dall’art. 2477 c.c.: in particolare, se la società per due esercizi consecutivi supera almeno uno dei seguenti limiti – 4 milioni di euro di attivo patrimoniale, 4 milioni di euro di ricavi delle vendite e prestazioni, oppure 20 dipendenti occupati in media – deve nominare un collegio sindacale o un revisore legale dei conti. Al ricorrere di tali condizioni (o nei casi di controllo di società obbligata alla revisione o redazione di bilancio consolidato), l’assemblea dei soci deve provvedere alla nomina dell’organo di controllo; in difetto, vi può provvedere il Tribunale su segnalazione di qualsiasi interessato o del registro delle imprese (art. 2477, co.6 c.c.). In assenza di organo di controllo, peraltro, la legge prevede che siano applicabili comunque gli strumenti di tutela come la denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. in caso di gravi irregolarità gestionali. Ciò evidenzia l’importanza attribuita dal legislatore alla presenza di un soggetto terzo di controllo anche nelle realtà minori.
Accanto al collegio sindacale (o sindaco unico) – che è un organo societario con funzioni generali di vigilanza – l’ordinamento prevede la figura del revisore legale dei conti (persona fisica o società di revisione iscritta nell’apposito registro). Il revisore ha il compito specifico di effettuare la revisione legale del bilancio, secondo le norme del D.Lgs. 39/2010, ovvero di verificare la corretta tenuta della contabilità e l’attendibilità del bilancio d’esercizio. Nelle società di maggiori dimensioni (es. S.p.A. quotate o altre previste dalla legge) la revisione legale è affidata obbligatoriamente a un revisore esterno (società di revisione), distinto dal collegio sindacale. Nelle società a responsabilità limitata, invece, la legge consente – in alternativa al collegio sindacale – di nominare solo un revisore legale al ricorrere dei requisiti di cui sopra (art. 2477, co.2 c.c.), soprattutto nelle PMI: in tal caso il revisore svolge il controllo contabile, ma non esercita tutte le funzioni tipiche del collegio sindacale (che comprendono il controllo sull’amministrazione). In altri termini, il revisore ha un ruolo principalmente contabile e non partecipa di regola alle riunioni del consiglio di amministrazione né può intervenire attivamente nella gestione, a differenza del collegio sindacale che invece è parte integrante della governance societaria e interagisce costantemente con gli amministratori. Questa distinzione di ruoli è stata tradizionalmente netta: “al revisore non possono essere estese le attribuzioni dell’art. 2403 c.c.”, ricorda una massima del Consiglio notarile di Milano.
Obblighi di nomina e composizione: Nelle S.r.l. che superano i limiti dimensionali, la società può scegliere se nominare un collegio sindacale ovvero un revisore unico. Se opta per il solo revisore, questi svolgerà esclusivamente la revisione legale dei conti, mentre le funzioni di vigilanza sul governo societario resteranno in capo agli amministratori stessi (salvo controlli esterni ex art. 2409 c.c.). Questa flessibilità tipica delle S.r.l. ha fatto sì che molte piccole società, obbligate dalla riforma a dotarsi di un controllo, abbiano preferito nominare un revisore legale anziché un collegio sindacale, magari percepito come più oneroso. Ciò ha però creato una zona d’ombra rispetto ai doveri di allerta: infatti il testo del D.L. 118/2021 (art. 15) e inizialmente anche del CCII (art. 25-octies ante 2024) attribuiva il dovere di segnalazione all’“organo di controllo societario”, espressione con cui si intendeva il collegio sindacale/sindaco unico, e non menzionava esplicitamente il revisore legale. Di conseguenza, nelle società in cui era stato nominato solo un revisore esterno, vi era il rischio di un vuoto nell’attivazione dell’allerta interna: il revisore, non essendo organo sociale con doveri ex art. 2403 c.c., non rientrava formalmente tra i destinatari dell’obbligo di segnalazione della crisi. Gli interpreti avevano sottolineato come questo esito fosse contrario alla ratio della riforma – che mira a intercettare tempestivamente le crisi – e come dunque il revisore dovesse in ogni caso attivarsi in presenza di evidenti segnali di allarme, pur in mancanza di una previsione espressa. Di fatto, già la normativa emergenziale aveva valorizzato la figura del revisore tra i soggetti coinvolti nella fase di composizione negoziata: il D.L. 118/2021 annovera il revisore legale tra i soggetti di cui l’esperto indipendente può avvalersi per ottenere informazioni sulla situazione dell’impresa.
Il legislatore è poi intervenuto a colmare esplicitamente la lacuna: come anticipato, dal 28 settembre 2024 l’art. 25-octies CCII include espressamente il revisore legale tra i soggetti obbligati alla segnalazione al pari dell’organo di controllo. Dunque oggi, in ogni società di capitali in cui sia presente un organo di controllo collegiale/monocratico o un revisore unico, vi è un soggetto tenuto per legge a svolgere le funzioni di allerta della crisi. La tabella seguente riepiloga le principali differenze e affinità tra collegio sindacale e revisore legale dei conti alla luce della disciplina vigente in materia di crisi d’impresa:
Profilo | Collegio sindacale / Sindaco unico | Revisore legale dei conti |
---|---|---|
Natura | Organo sociale interno, partecipa alla governance. | Soggetto esterno (o organo tecnico) incaricato della revisione contabile. |
Funzioni ordinarie | Vigilanza su amministrazione, adeguatezza degli assetti, controlli legali (2403 c.c.). Partecipa alle riunioni di CdA e assemblee. Può esercitare poteri d’ispezione e chiedere informazioni agli amministratori. | Controllo dei conti e del bilancio (D.Lgs. 39/2010). Verifica libri e documenti contabili. Esprime la relazione annuale sul bilancio. Non ha poteri gestori né intervento nelle decisioni sociali. |
Segnalazione crisi (allerta interna) | Obbligatoria: segnala per iscritto al CdA i presupposti per l’istanza di composizione negoziata (art. 25-octies CCII). Termine: entro 60 giorni dalla conoscenza della crisi. | Obbligatoria (dal 2024): stessi doveri di segnalazione verso il CdA, nell’esercizio delle sue funzioni di revisione. Prima del 2024, non esplicitamente previsto dalla legge, ma ora equiparato ai sindaci. |
Poteri se crisi ignorata | Se gli amministratori non adottano iniziative entro il termine assegnato (max 30 gg), l’organo di controllo può (ora deve) presentare esso stesso l’istanza di composizione negoziata (art. 25-octies novellato). In passato poteva al più denunciare le omissioni in assemblea o ex art. 2409 c.c. | Dal 2024, partecipa anch’egli all’istanza: l’inerzia degli amministratori legittima il revisore a presentare istanza di composizione negoziata, al pari del collegio sindacale. (Situazione innovativa, prima non prevista.) |
Obblighi su perdite di capitale | Controlla il rispetto degli artt. 2446-2447/2482-bis c.c.: se il capitale sociale è diminuito oltre il terzo o sotto il minimo legale, sollecita gli amministratori a convocare l’assemblea. In caso di inerzia, può convocarla direttamente e informare l’autorità giudiziaria. | Nessun potere di convocazione assemblea; se durante la revisione emergono rilievi su perdite rilevanti o continuità aziendale, ne dà conto nella relazione di revisione e può sollecitare l’amministrazione ad attivarsi, ma senza poteri diretti di intervento societario. |
Interazione con l’esperto | Durante la composizione negoziata, mantiene il dovere di vigilanza (2403 c.c.) e collabora con l’esperto fornendo informazioni sull’impresa. Può interfacciarsi regolarmente con l’esperto sull’andamento delle trattative. | Mette a disposizione dell’esperto la propria conoscenza dei dati contabili e della situazione finanziaria (es. eventuali rilievi su bilanci, indicatori di continuità). L’art. 17 CCII prevede che l’esperto consulti anche il revisore se in carica. |
Responsabilità | Responsabilità civile contrattuale verso la società (art. 2407 c.c.) e, in caso di fallimento, verso i creditori sociali (azione del curatore ex art. 146 L.F.). Valutazione della diligenza basata anche sull’aver fatto segnalazioni tempestive e vigilato sulla crisi. | Responsabilità civile verso la società per inadempimento dell’incarico di revisione (art. 15 D.Lgs. 39/2010). Può concorrere in responsabilità coi sindaci se omette di segnalare gravi irregolarità contabili che aggravano la crisi. Dal 2024, la (mancata) segnalazione tempestiva incide sulla sua responsabilità, con possibile esonero se adempie (art. 2407 c.c. richiamato in quanto compatibile). |
Nota: nelle società che nominano entrambi (collegio sindacale + revisore esterno), di norma il collegio sindacale vigila anche sull’operato del revisore e può condividere con esso le informazioni utili ai fini dei rispettivi controlli. In caso di composizione negoziata, collegio e revisore saranno entrambi coinvolti: il primo per la vigilanza generale e gli obblighi di segnalazione interna, il secondo per la verifica dei dati contabili e la collaborazione tecnica con l’esperto. Le norme di comportamento professionale emanate dal CNDCEC (aggiornate a dicembre 2023) incoraggiano un coordinamento stretto tra organo di controllo e revisore ai fini della crisi, prevedendo ad esempio scambi informativi periodici e un monitoraggio congiunto degli indicatori economico-finanziari dell’impresa.
Adeguati assetti e doveri di vigilanza preventiva
Alla base del nuovo ruolo attivo dell’organo di controllo vi è l’impianto normativo che impone agli amministratori di predisporre assetti organizzativi adeguati e di monitorare costantemente la continuità aziendale. L’art. 2086, comma 2, c.c., come modificato dal D.Lgs. 14/2019, stabilisce che l’imprenditore che opera in forma societaria ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato, “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale”. Questa disposizione chiave implica che la società si doti di strumenti e procedure per tenere sotto controllo la propria situazione economico-finanziaria (contabilità analitica, budgeting, indicatori di allerta interni, ecc.) e per reagire prontamente in caso di segni di difficoltà. Gli organi di controllo sono investiti di un ruolo di garanzia rispetto a tale obbligo: tra i loro compiti rientra infatti la verifica che gli amministratori abbiano approntato e utilizzino effettivamente tali assetti adeguati. L’art. 2403 c.c., nel definire i doveri del collegio sindacale, fa espresso riferimento alla vigilanza sull’adeguatezza degli assetti e sul concreto funzionamento degli stessi, proprio al fine di rilevare tempestivamente la crisi d’impresa.
In pratica, ciò significa che i sindaci devono porre attenzione a una serie di indicatori gestionali che possono segnalare un incipiente stato di difficoltà. Alcuni esempi di grande rilevanza, ora anche formalizzati nelle norme, includono: il deterioramento degli indici di bilancio (perdite ricorrenti, calo del fatturato, erosione dei mezzi propri), tensioni di liquidità evidenziate da ritardi nei pagamenti a fornitori o negli stipendi, incremento dell’indebitamento bancario oltre i limiti fidi o sconfinamenti prolungati, nonché inadempimenti verso Fisco ed enti previdenziali. Proprio questi ultimi sono considerati segnali di allarme oggettivi: il Codice della Crisi, all’art. 3 comma 4, elenca tra i segnali per la previsione della crisi l’esistenza di debiti scaduti per retribuzioni da oltre 30 giorni in misura superiore alla metà dell’importo mensile, debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni di ammontare superiore ai debiti non scaduti, e inadempimenti bancari su finanziamenti scaduti o sconfinanti da oltre 60 giorni per oltre il 5% delle esposizioni. Si tratta di soglie indicative che segnalano come l’impresa stia accumulando ritardi e squilibri. A questi si aggiungono – tramite il rinvio all’art. 25-novies CCII – gli indicatori legati ai debiti verso creditori pubblici qualificati (INPS, INAIL, Agenzia Entrate, Agente della Riscossione), di cui diremo oltre.
Il collegio sindacale deve quindi attuare un monitoraggio continuo, attraverso le verifiche periodiche e l’analisi dei flussi informativi che gli amministratori sono tenuti a fornirgli. Le Norme di comportamento del collegio sindacale del CNDCEC ribadiscono che i sindaci devono richiedere regolarmente informazioni sull’andamento economico-finanziario e verificare l’attuazione da parte del management di strumenti di controllo di gestione idonei. In particolare, la Norma 11.3 (aggiornata nel 2023) prescrive che, qualora i sindaci colgano indizi di crisi o di pre-crisi, ne informino immediatamente gli amministratori, sollecitandoli ad adottare provvedimenti e, se del caso, ad attivare la composizione negoziata. Questo dovere di stimolo rientra dunque nel più generale obbligo di vigilanza diligente: ai sensi dell’art. 2407 c.c., i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, e possono essere ritenuti responsabili dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri. Nel contesto della crisi, la diligenza professionale dei sindaci include la capacità di percepire tempestivamente i sintomi della crisi attraverso gli adeguati assetti e di attivare i canali di allerta previsti.
Per quanto riguarda il revisore legale dei conti, pur avendo un ruolo diverso, anch’egli è interessato dal tema della continuità aziendale: i principi di revisione (ISA Italia) richiedono al revisore di valutare se vi siano elementi che mettono in dubbio la capacità dell’impresa di continuare a operare come going concern. Se durante la revisione emergono significative incertezze sulla continuità (ad esempio perdite ingenti o gravi carenze di liquidità), il revisore deve segnalarlo nella propria relazione di revisione. Con le nuove norme, come visto, il revisore è ora chiamato anche ad agire attivamente e non solo constatare a posteriori: deve cioè farsi parte diligente nel segnalare la crisi incipiente agli amministratori, esattamente come farebbe un sindaco. In un certo senso, le riforme hanno “ibridato” le funzioni, attribuendo al revisore esterno un pezzo delle responsabilità che erano tipiche degli organi di controllo interni.
In sintesi, organo di controllo (sindaci) e revisore condividono oggi l’obbligo etico e giuridico di essere le “sentinelle” della continuità aziendale: devono utilizzare le informazioni a loro disposizione per prevenire l’aggravarsi delle difficoltà. Se l’impresa mostra segni di crisi, non possono limitarsi a prenderne atto passivamente, ma devono attivare i meccanismi di allerta e incoraggiare il debitore a percorrere le strade di risanamento offerte dalla legge, prima fra tutte la composizione negoziata.
La segnalazione dell’organo di controllo agli amministratori (allerta interna)
Fulcro delle riforme in ottica di emersione tempestiva è il dovere di segnalazione che grava sull’organo di controllo verso l’organo amministrativo. Tale obbligo, introdotto dall’art. 15 D.L. 118/2021 e ora trasfuso nell’art. 25-octies CCII, prevede che “l’organo di controllo societario segnala, per iscritto, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di composizione negoziata”. In altre parole, quando i sindaci (o il revisore) rilevano che vi sono indizi di una crisi tale da rendere opportuna la nomina di un esperto e l’avvio di trattative con i creditori, devono attivarsi inviando una comunicazione formale agli amministratori.
Forma e contenuto della segnalazione: La legge richiede che la segnalazione sia scritta e trasmessa con mezzi idonei a certificarne la ricezione (tipicamente PEC, posta elettronica certificata). Inoltre deve essere motivata, cioè indicare chiaramente quali sono le circostanze concrete che destano allarme – ad esempio: “persistenti perdite di esercizio che hanno eroso il patrimonio netto”, oppure “debiti verso fornitori e Fisco scaduti di importo elevato”, etc. – e deve contenere l’espresso invito a esaminare la situazione e ad adottare provvedimenti. In particolare, l’organo di controllo invita il CdA a valutare se esistono i presupposti per richiedere l’accesso alla composizione negoziata (ossia se vi è una ragionevole prospettiva di risanamento). La norma specifica anche un termine: nella segnalazione i sindaci devono fissare un congruo termine, non superiore a 30 giorni, entro il quale l’organo amministrativo “deve riferire in ordine alle iniziative intraprese”. Ciò significa che entro quel lasso di tempo gli amministratori dovrebbero, quantomeno, convocare un CdA per discutere la situazione e rispondere per iscritto ai sindaci indicando quali azioni intendono intraprendere (ad esempio: attivazione immediata della piattaforma per la composizione negoziata; oppure adozione di misure correttive alternative, come ricerca di nuovi capitali, rinegoziazione di debiti, ecc.). Questa tempistica stringente è pensata per evitare ulteriore inerzia: la crisi va affrontata senza indugi.
Quando scatta l’obbligo? La legge parla di “presupposti per la presentazione dell’istanza” di composizione negoziata. Tali presupposti, nel CCII, si identificano con lo stato di crisi o di insolvenza reversibile dell’impresa (art. 2, co.1, lett. a) e b) CCII) unito alla ragionevole perseguibilità del risanamento (art. 17 CCII). In pratica, i sindaci devono attivarsi quando ritengono che l’impresa si trovi in condizioni di squilibrio talmente serie da poter evolvere in insolvenza, ma non ancora irreversibili, e che esista uno spiraglio realistico di recupero dell’equilibrio mediante trattative. Non è sempre semplice stabilire il momento esatto, ma certamente indici come quelli citati (arretrati significativi, perdite consistenti, tensioni di cassa) sono segnali che la situazione è compromessa e richiede intervento. I sindaci non devono attendere che l’insolvenza sia conclamata (quando sarebbe troppo tardi), né tantomeno l’ultimo bilancio d’esercizio: il dovere di vigilanza costante implica che possano e debbano agire “in ogni momento” dell’anno sociale se la situazione lo esige. Le norme indicano un orizzonte temporale di riferimento di 60 giorni dalla conoscenza del fatto: una segnalazione è considerata tempestiva se avviene entro 60 giorni da quando l’organo di controllo ha avuto (o avrebbe dovuto avere, usando l’ordinaria diligenza) contezza delle condizioni di crisi. L’inerzia colpevole non è scusata: la legge esclude la possibilità per i sindaci di invocare a propria discolpa una “ignoranza colpevole” dei fatti indicativi di crisi. Ciò sprona i controllori a mantenere alta l’attenzione e ad agire prontamente senza aspettare oltre il ragionevole.
Destinatari e procedimento interno: Nelle società con collegio sindacale, la segnalazione viene deliberata dall’intero collegio e inviata a cura del Presidente (figura di riferimento nei rapporti con il CdA). Se vi è un sindaco unico, naturalmente sarà costui a firmare la comunicazione. Gli amministratori, ricevuta la segnalazione, dovrebbero riunirsi e discuterne formalmente a verbale, dando poi riscontro ai sindaci. È importante sottolineare che tale scambio di corrispondenza ha natura riservata all’interno della società e non comporta di per sé pubblicità verso l’esterno: l’obiettivo è stimolare una reazione interna, non creare allarme pubblico. Il legislatore infatti ha evitato all’inizio di coinvolgere subito autorità esterne (come il tribunale) per non aggravare la posizione del debitore, puntando piuttosto su una moral suasion qualificata da parte dei sindaci. Solo in caso di mancata risposta o inerzia protratta si passerà a fasi successive eventualmente anche con soggetti terzi.
Effetti della segnalazione: La comunicazione dell’organo di controllo sortisce diversi effetti virtuosi nell’economia della crisi d’impresa. In primo luogo, instaura un confronto formale tra controllori e gestione aziendale sulla gravità della situazione, creando un verbale e una “traccia” documentale dell’avvertimento lanciato. Questo può spingere gli amministratori meno consapevoli a prendere atto dei problemi e a mettere in atto rimedi. In secondo luogo, la segnalazione protegge i sindaci stessi sotto il profilo della responsabilità: la legge prevede espressamente che l’aver effettuato tempestivamente la segnalazione e l’aver vigilato sull’andamento delle trattative (se attivate) saranno elementi valutati per escludere o attenuare la responsabilità dei sindaci in caso di successivo default. Si crea dunque una sorta di “scudo” per l’organo di controllo diligente: se la crisi si conclude con un fallimento, i sindaci potranno difendersi mostrando di aver fatto il possibile per evitarlo, attivando gli strumenti offerti dall’ordinamento. In terzo luogo – ed è l’effetto più rilevante – la segnalazione è spesso il primo passo concreto verso la composizione negoziata. Infatti, qualora gli amministratori condividano l’analisi dei sindaci sulla presenza di una crisi gestibile, con ogni probabilità delibereranno di presentare l’istanza per la nomina dell’esperto indipendente. Si pensi a una situazione in cui la società ha debiti scaduti con banche e fornitori ma può ancora risanarsi ristrutturando il debito: la sollecitazione del collegio sindacale può convincere il CdA a intraprendere subito il percorso negoziale, evitando così azioni esecutive disordinate da parte dei creditori o perdite ulteriori di fiducia sul mercato. La segnalazione interna quindi può letteralmente scongiurare il tracollo, orientando l’impresa verso una soluzione ordinata della crisi.
Va poi ricordato che la segnalazione dell’organo di controllo si inserisce in un flusso più ampio di allerta “a cerchi concentrici”. Prima di essa, idealmente, dovrebbero attivarsi gli stessi amministratori (allerta autodetect): il dovere ex art. 2086 c.c. impone al CdA di non attendere la spinta dei sindaci ma di muoversi autonomamente. In parallelo, i creditori pubblici possono far scattare la propria segnalazione (allerta esterna) se certi debiti superano soglie critiche – situazione esaminata nella prossima sezione. Tutte queste segnalazioni sono coordinate: ad esempio, se arriva una segnalazione dall’INPS per contributi non versati, essa viene inviata sia all’imprenditore che al presidente del collegio sindacale, il quale a sua volta sarà ulteriormente motivato a emettere la propria segnalazione interna se non l’avesse già fatta. In definitiva l’allerta interna del collegio sindacale rappresenta il perno centrale: è la voce “dall’interno” che consiglia formalmente al debitore di attivare la composizione negoziata.
Novità 2024 – obbligo di attivazione sostitutiva: Con il correttivo 2024, come anticipato, si è compiuto un ulteriore passo: se gli amministratori ignorano la segnalazione o comunque non avviano alcuna misura adeguata entro il termine assegnato (massimo 30 giorni), l’organo di controllo deve farsi parte attiva presentando esso stesso l’istanza di composizione negoziata. Questa disposizione rende l’organo di controllo non più soltanto una “sentinella” che suona l’allarme, ma un vero attivatore in seconda battuta del processo di risanamento. In pratica, se trascorso un mese dalla PEC dei sindaci, il consiglio di amministrazione non ha deliberato di accedere alla piattaforma di composizione negoziata (né ha adottato altri provvedimenti risolutivi convincenti), i sindaci non possono archiviare la questione: spetta a loro, con una propria deliberazione, presentare tramite il sistema telematico l’istanza di nomina dell’esperto (art. 25-octies, co.1 come novellato). L’istanza sarà formalmente a nome della società, ma promossa dall’organo di controllo. Si tratta di una forte ingerenza positiva nella gestione: di fatto i controllori sostituiscono gli amministratori in un atto fondamentale. Questa innovazione era stata a lungo auspicata in dottrina per evitare che amministratori inerti o in conflitto d’interessi trascinassero la società al dissesto; ora è realtà. È evidente che un simile potere-dovere va esercitato con grande senso di responsabilità: i sindaci dovranno essere certi che sussistono i presupposti di legge (squilibrio attuale e prospettiva di risanabilità) e documentare la propria iniziativa. Non vi sono ancora molte esperienze pratiche di applicazione (dato che la norma è recente), ma è prevedibile che l’organo di controllo agirà in sinergia con eventuali soci o creditori preoccupati, al fine di salvaguardare l’azienda.
Prima del 2024, in assenza di tale previsione, i sindaci che si fossero trovati di fronte a un CdA inerte avevano strumenti più indiretti: potevano sollecitare un’assemblea dei soci per esporre la situazione, oppure – in casi estremi – presentare una denuncia ex art. 2409 c.c. al tribunale segnalando gravi irregolarità (ad esempio, la omessa adozione di provvedimenti obbligatori di fronte a perdite rilevanti può integrare un’irregolarità grave). In alcuni casi avrebbero potuto dimettersi per smuovere le acque, attirando l’attenzione dei soci. Tuttavia, nessuno di questi mezzi garantiva l’effettivo avvio della composizione negoziata. Ora invece la legge dà un mandato chiaro: il percorso negoziato va attivato anche senza il consenso degli amministratori, se necessario. È un potere eccezionale perché incide sulla gestione, ma proporzionato all’interesse generale di evitare insolvenze dannose. Dal punto di vista del debitore, ciò può essere visto come un’ultima chance: se il CdA per inerzia o sottovalutazione non muove passi, i sindaci (o il revisore) possono “salvarlo da sé stesso” avviando la procedura che, ricordiamo, è confidenziale e finalizzata al risanamento. Resta fermo che gli amministratori conserveranno il controllo della società durante la composizione negoziata, ma dovranno confrontarsi con l’esperto e sotto la sorveglianza di un organo di controllo che ha dimostrato grande attivismo.
Segnalazione e misure protettive: È utile notare che la segnalazione interna in sé non attiva alcuna misura protettiva né comporta l’automatico differimento di obblighi (come ad es. quelli sulle perdite di capitale). Solo la presentazione dell’istanza di composizione negoziata presso la piattaforma genera – su richiesta dell’imprenditore – effetti protettivi come la sospensione delle azioni esecutive (art. 18 CCII) o lo stop alle cause. La segnalazione dei sindaci è quindi un atto endosocietario che precede l’eventuale ingresso nel percorso negoziale, e che mira a far scattare quest’ultimo nei tempi più brevi possibili quando necessario.
In conclusione, l’allerta interna attivata dall’organo di controllo rappresenta il primo, fondamentale tassello del nuovo sistema. È un dovere stringente per sindaci e revisori, pensato per canalizzare la crisi dell’impresa verso una soluzione concordata prima che degeneri. La correttezza formale e sostanziale di tale segnalazione (tempestività, chiarezza, completezza) è essenziale sia per offrire una reale chance di risanamento al debitore, sia per mettere l’organo di controllo al riparo da futuri addebiti. Nel prossimo paragrafo passeremo alle segnalazioni dei creditori pubblici, che agiscono in parallelo e spesso innescano a loro volta l’intervento dei sindaci.
Le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, ecc.)
Allo scopo di potenziare l’emersione tempestiva delle crisi, il legislatore ha coinvolto nel sistema di allerta anche alcuni enti pubblici creditori, dotati di una posizione privilegiata per accorgersi dei segnali di difficoltà finanziaria delle imprese. In particolare, l’Agenzia delle Entrate, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS), l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) sono definiti “creditori pubblici qualificati” e hanno l’obbligo di segnalare all’imprenditore (e al suo organo di controllo, se esiste) il superamento di determinate soglie di debito scaduto. Questa previsione, inizialmente contenuta nel Codice della Crisi (artt. 14-15 previgenti), è stata poi ripresa e modulata dal D.L. 152/2021 e oggi figura nell’art. 25-novies CCII. Le segnalazioni in questione non equivalgono ad un’azione esecutiva o ad una denuncia di insolvenza, ma sono piuttosto un “avviso” formale che invita il debitore ad attivarsi volontariamente nella composizione negoziata.
Soglie di inadempimento: Le norme individuano soglie specifiche per ciascun ente, superate le quali scatta l’obbligo di segnalazione. Di seguito una tabella riepilogativa delle principali soglie attualmente vigenti (art. 25-novies CCII):
Creditorе pubblico qualificato | Condizione di segnalazione (soglia di debito scaduto) | Termine di tolleranza |
---|---|---|
INPS (contributi previdenziali) | – Imprese con dipendenti: debiti contributivi > 30% dei contributi dovuti l’anno precedente e > €15.000.– Imprese senza dipendenti: debiti contributivi > €5.000. | Oltre 90 giorni dal termine di versamento previsto. |
INAIL (premi assicurativi) | Debiti per premi assicurativi > €5.000, scaduti da oltre 90 giorni. | (Stessa regola dei 90 giorni di ritardo) |
Agenzia delle Entrate (IVA) | Debito IVA risultante dalle liquidazioni periodiche > €5.000 e superiore al 10% del volume d’affari dell’anno precedente; oppure comunque > €20.000 (in ogni caso si segnala se oltre €20.000). | Dopo la scadenza per il versamento dell’IVA periodica (trimestrale/mensile) se il debito rimane non versato oltre 60 giorni. |
Agente della Riscossione (cartelle esattoriali) | Crediti affidati alla riscossione, autodichiarati o accertati in via definitiva, scaduti da oltre 90 giorni, di importo superiore a:– €100.000 per imprese individuali;– €200.000 per società di persone;– €500.000 per altre società (es. Srl, Spa). | Oltre 90 giorni dalla scadenza delle cartelle/avvisi (quindi 90 gg dopo la notifica e mancato pagamento). |
Modalità e contenuto della segnalazione: Quando rileva il superamento di una di queste soglie, l’ente creditore invia una comunicazione via PEC all’indirizzo risultante dal registro imprese/anagrafe tributaria, indirizzata sia all’imprenditore (legale rappresentante della società) sia – ove esistente – all’organo di controllo societario (attenzione: viene indicato proprio il presidente del collegio sindacale, o il sindaco unico, come destinatario). Nella comunicazione, l’ente segnala il dato oggettivo dell’inadempimento (es: “risultano contributi INPS per €20.000 scaduti da oltre 3 mesi non versati”) e contiene l’invito esplicito a presentare l’istanza di composizione negoziata entro un breve termine, “se ne ricorrono i presupposti”. In pratica, l’ente dice: “attenzione, la tua esposizione debitoria verso di noi ha superato la soglia di allarme; ti invitiamo a rivolgerti alla composizione negoziata per sistemare la tua crisi”. Questa formulazione suggerisce che l’ente non valuta la sussistenza di una concreta prospettiva di risanamento (non ne avrebbe competenza), ma sollecita il debitore a prendere atto del serio campanello d’allarme e a considerare la procedura negoziale come via d’uscita.
Tempistica: Le segnalazioni non sono immediate allo scadere del debito, vi è un minimo di tolleranza. Ad esempio, l’INPS aspetta che trascorrano 90 giorni di ritardo; l’Agenzia delle Entrate invia la PEC dopo aver verificato il mancato versamento dell’IVA periodica ed entro 60 giorni dalla scadenza del pagamento dovuto; l’Agente della riscossione procede se la cartella rimane inevasa per oltre 90 giorni. Questo per evitare segnalazioni eccessivamente frequenti o “automatiche” per minimi scostamenti. In ogni caso, le prime segnalazioni dei creditori pubblici sono partite dal 2022 in poi, una volta entrato in funzione il sistema informativo dedicato (la piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio). I dati mostrano che queste segnalazioni stanno aumentando di numero e rappresentano spesso il “primo contatto” dell’azienda con il nuovo istituto: molte imprese scoprono l’esistenza della composizione negoziata proprio ricevendo una PEC dall’Erario o dall’INPS. Secondo un rapporto Unioncamere aggiornato a fine 2024, una percentuale significativa di istanze di composizione negoziata è stata presentata a seguito di segnalazione di un creditore pubblico qualificato, indice del fatto che questo strumento sta avendo efficacia.
Coordinamento con l’organo di controllo: Come si accennava, la segnalazione dell’ente è inviata in copia al collegio sindacale (quando presente). Questo crea una sinergia importante: i sindaci, venuti a conoscenza ufficialmente di un rilevante debito scaduto, sono tenuti a loro volta ad attivarsi immediatamente. Anzi, la legge prevede espressamente che i sindaci, ricevuta la segnalazione dal creditore pubblico, la “inoltrino senza indugio all’organo amministrativo” sollecitando l’adozione delle iniziative conseguenti (in primis la composizione negoziata). In sostanza, il flusso è: l’INPS (o altro ente) manda l’allerta a imprenditore e sindaci; i sindaci a loro volta formalizzano un richiamo verso gli amministratori (“Abbiamo ricevuto dall’INPS questa segnalazione: vi invitiamo a valutare immediatamente la composizione negoziata e nel frattempo a riferirci sulle misure che intendete adottare”). Questa procedura è stata inserita anche nelle Norme di comportamento del CNDCEC: si vuole evitare che la segnalazione dell’ente cada nel vuoto. Il coinvolgimento dell’organo di controllo funge da amplificatore: un conto è un sollecito dell’ente creditore, che potrebbe essere percepito dall’imprenditore come “routine” amministrativa; un altro conto è quando anche il proprio collegio sindacale fa presente ufficialmente la gravità della situazione. Inoltre i sindaci possono dare spiegazioni e consigli al management sulle implicazioni della segnalazione, chiarendo che essa non è ancora un’azione legale ma è un serio monito da non ignorare.
Effetti e conseguenze: La segnalazione dei creditori pubblici non determina automaticamente l’apertura di alcuna procedura, ma ha alcune conseguenze rilevanti:
- Innanzitutto, interrompe quella sorta di “buio informativo” che spesso circonda l’impresa in crisi. Molti imprenditori tendono a sottovalutare o nascondere (anche a sé stessi) l’aggravarsi dei debiti verso Fisco e previdenza; ricevere una comunicazione ufficiale in cui si quantifica il debito e si suggerisce di intervenire può fare emergere la consapevolezza del problema.
- In secondo luogo, segna un punto di non ritorno: se l’imprenditore non reagisce nemmeno dopo questo avvertimento, ed eventualmente non dà seguito all’invito a negoziare, difficilmente potrà in futuro invocare buona fede o ignoranza. Agli occhi di un tribunale fallimentare o di un curatore, la segnalazione PA è una prova che la situazione di crisi era conclamata in quella data e che da lì in avanti eventuali inerzie sono colpevoli.
- In terzo luogo, spesso spinge i professionisti che assistono l’impresa (es. il commercialista) ad allertare l’imprenditore sulle possibili conseguenze e a suggerire di aderire alla composizione negoziata per evitare provvedimenti peggiori (pignoramenti, istanze di fallimento).
- Dal lato dell’organo di controllo, come detto, la segnalazione esterna attiva/imprime accelerazione all’allerta interna. Non di rado i sindaci possono venire a conoscenza di certi debiti solo tramite l’ente (si pensi a contributi non versati, che i sindaci rilevano solo se controllano i modelli F24; l’INPS invece ne ha contezza diretta). Quindi la cooperazione pubblico-privato è essenziale per un quadro informativo completo.
È interessante osservare che il legislatore, per incoraggiare le imprese a reagire positivamente a queste segnalazioni, ha previsto anche alcune misure premiali. Ad esempio, l’adesione alla composizione negoziata consente di accedere a piani di rateazione agevolati per i debiti fiscali e contributivi: durante le trattative l’Agenzia delle Entrate e gli enti possono concedere dilazioni fino a 120 rate e riduzione di sanzioni interessi come previsto dall’art. 23 CCII (già D.L. 118/2021). Inoltre, se l’esito è un accordo di ristrutturazione o un piano attestato, sono previste esenzioni dalle revocatorie fallimentari e altre agevolazioni. Ciò significa che l’imprenditore, rispondendo prontamente alle sollecitazioni dei creditori pubblici e dei sindaci, può beneficiare di condizioni migliori per risanare la propria posizione debitoria. Dal punto di vista del debitore, quindi, la segnalazione di Agenzia Entrate o INPS non va vista come un atto ostile, ma come un’occasione per prendere in mano la situazione prima che degeneri. D’altronde, le stesse PA hanno interesse a favorire il recupero ordinato dei crediti piuttosto che provocare fallimenti che spesso portano a incassi minimi.
In conclusione, il sistema delle segnalazioni esterne completa e rafforza quello delle segnalazioni interne: se queste ultime sono l’innesco principale dall’interno dell’impresa, le prime fungono da rete di sicurezza attivata dall’esterno. L’organo di controllo è il punto di collegamento tra i due: riceve le segnalazioni dei creditori pubblici e le utilizza per alimentare la propria azione di pressing sugli amministratori. L’obiettivo comune è far sì che, in presenza di squilibri evidenti, l’impresa per lo meno tenti la strada della composizione negoziata invece di accumulare debiti fiscali/previdenziali (che poi genererebbero sanzioni e interessi, aggravando il dissesto). Dalla prospettiva del debitore, questo significa avere più “campanelli d’allarme” ma anche più possibilità di salvarsi se li ascolta in tempo.
L’accesso alla composizione negoziata: deliberazione e funzione consultiva dell’organo di controllo
Come evidenziato, sia le segnalazioni interne che quelle esterne convergono nel sollecitare l’imprenditore a presentare l’istanza di composizione negoziata. Ma come avviene in concreto l’accesso a tale procedura e quale ruolo gioca l’organo di controllo in quel frangente?
Istanza di nomina dell’esperto: La composizione negoziata si avvia formalmente con la presentazione di un’istanza telematica per la nomina di un esperto indipendente, attraverso la piattaforma unica nazionale gestita dalle Camere di Commercio (art. 17 CCII). Legittimata a presentare l’istanza è solo l’impresa debitrice, nella persona del suo rappresentante legale, previa idonea deliberazione o determinazione dell’organo amministrativo. Nelle società di capitali, dunque, il consiglio di amministrazione (o l’amministratore unico) deve deliberare l’adesione alla composizione negoziata e conferire mandato al legale rappresentante per la predisposizione dell’istanza sulla piattaforma. Lo statuto potrebbe eventualmente prevedere particolari maggioranze o competenze (ad esempio, in alcune S.p.A. potrebbe richiedersi il placet del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico), ma in genere è un atto di gestione straordinaria di competenza del CdA. Non è invece richiesta una delibera assembleare dei soci, trattandosi di un procedimento che non incide immediatamente sui diritti dei soci (diversamente dal concordato preventivo, che prevede il passaggio assembleare ex art. 152, co.2 L.F. solo per le S.p.A.). Pertanto l’iniziativa è sostanzialmente rimessa agli amministratori.
Ruolo “consultivo” dei sindaci prima dell’istanza: Pur non avendo potere deliberativo sull’accesso alla procedura, l’organo di controllo può svolgere una preziosa funzione consultiva e di indirizzo al momento della decisione. Se la segnalazione interna è partita da loro, come spesso accade, i sindaci avranno già motivato per iscritto perché ritengono che vi siano i presupposti per l’istanza. Ciò significa che essi hanno implicitamente (o esplicitamente) formulato un giudizio sulla perseguibilità del risanamento: difficilmente i sindaci suggerirebbero la composizione negoziata se ritenessero l’impresa palesemente insolvente e non recuperabile. Quindi, di fatto, nel momento in cui il CdA discute se aderire o meno alla procedura negoziata, il parere dei sindaci risulta determinante. In molte situazioni i sindaci parteciperanno a quella riunione del CdA (ricordiamo che hanno diritto/obbligo di assistere alle adunanze consiliari, art. 2405 c.c.) e potranno esprimere il proprio avviso. Ad esempio, potrebbero dichiarare: “A nostro giudizio sussistono significativi segnali di crisi ma anche elementi che fanno ritenere possibile un salvataggio (un portafoglio ordini ancora consistente, possibilità di nuovi finanziatori, ecc.), pertanto riteniamo doveroso tentare la composizione negoziata”. Oppure, al contrario: “Abbiamo riscontrato che la società è probabilmente insolvente (incapace di far fronte regolarmente alle obbligazioni correnti) e non ha prospettive concrete di risanamento – in tal caso la composizione negoziata rischia di essere inutile e potrebbe essere opportuno valutare direttamente soluzioni liquidatorie”. Insomma, i sindaci svolgono un ruolo di consiglieri tecnici: grazie alla loro posizione neutrale e informata sugli affari sociali, possono indirizzare gli amministratori verso la scelta più consona. Questa consulenza informale, benché non codificata da una norma, è nella logica di collaborazione tra organi sociali. Del resto, se gli amministratori ignorassero il parere qualificato dei sindaci e non attivassero la procedura pur in presenza dei presupposti, si esporrebbero a responsabilità per aggravamento del dissesto, e i sindaci avrebbero l’obbligo di intervenire (come visto, dal 2024 anche sostituendosi a loro nell’istanza).
Documentazione e preparazione dell’istanza: L’istanza di composizione negoziata non è un semplice modulo, ma richiede l’inserimento nella piattaforma di una serie di documenti e informazioni: ultimi tre bilanci d’esercizio depositati, una relazione sulla situazione aggiornata con un piano finanziario per i successivi 6 mesi, un progetto di piano di risanamento (secondo una lista di controllo ministeriale), l’elenco dei creditori con indicazione dei debiti scaduti, un certificato sui debiti fiscali e contributivi e un estratto della Centrale Rischi di Banca d’Italia, oltre a dichiarazioni sull’assenza di istanze di fallimento pendenti. Si tratta di un corredo documentale complesso, che richiede il coinvolgimento dei consulenti aziendali (tipicamente il CFO, il commercialista, l’avvocato). L’organo di controllo, in questa fase, può fornire un contributo rilevante: ad esempio, verificando che i bilanci messi a disposizione siano aggiornati e veritieri, che la situazione patrimoniale di dettaglio non presenti omissioni, che il piano di risanamento predisposto sia almeno ragionevole nei suoi assunti. Non è formalmente compito dei sindaci redigere tali documenti (è responsabilità degli amministratori), ma essi possono agire come certificatori indiretti della loro attendibilità. Spesso il collegio sindacale collabora con i consulenti nel reperire le informazioni e nell’effettuare verifiche incrociate, forti della propria conoscenza della società. Tutto ciò migliora la qualità dei dati che verranno presentati all’esperto, con beneficio per il buon esito delle trattative. Inoltre, è interesse dei sindaci assicurarsi che l’istanza sia completa, poiché una domanda incompleta o carente potrebbe venire archiviata o rallentare la procedura.
Delibera consiliare e coinvolgimento dei soci: In genere l’organo di controllo non ha un ruolo diretto con i soci su questa decisione. Tuttavia, nulla vieta che – specie nelle PMI a ristretta base proprietaria – i sindaci vengano consultati informalmente anche dai soci o che partecipino eventualmente a un’assemblea informativa. In alcune circostanze i soci stessi potrebbero essere parte attiva del risanamento (ad esempio disponibili a ricapitalizzare sotto condizioni), per cui è fondamentale che sindaci e amministratori tengano allineati gli stakeholder chiave. La composizione negoziata, ricordiamo, è riservata: finché è in corso, né i creditori né il pubblico sono informati (salvo le comunicazioni volontarie ad alcuni creditori per coinvolgerli nelle trattative). Quindi la platea ristretta dei soci e degli organi è l’unica realmente a conoscenza. Il collegio sindacale deve rispettare la riservatezza, ma all’interno della società può e deve favorire una circolazione delle informazioni: ad esempio assicurandosi che tutti gli amministratori abbiano coscienza piena del contenuto dei documenti caricati sulla piattaforma, o che eventuali consiglieri non esecutivi e soci di maggioranza siano aggiornati sul passo intrapreso. Questo perché spesso il successo delle trattative dipende dall’appoggio dell’ownership (si pensi all’eventualità di dover fornire garanzie personali o nuova finanza). Un approccio trasparente e collaborativo da parte dei sindaci rafforza la coesione interna nel momento delicato dell’ingresso in procedura.
Il decreto di nomina dell’esperto: Una volta presentata l’istanza, il Segretario Generale della Camera di Commercio designa un esperto tra quelli iscritti nell’elenco nazionale, secondo criteri di competenza e compatibilità, e lo nomina entro 5 giorni. Da questo momento, l’esperto entra in scena e convoca subito l’imprenditore per il primo incontro. L’organo di controllo non interviene nella fase di scelta dell’esperto (che è amministrativa e affidata a un algoritmo di selezione), ma dovrà prepararsi a interagire con lui non appena nominato. Spesso i sindaci vengono informati dell’avvenuta nomina dall’imprenditore stesso o accedendo alla piattaforma (possono ricevere credenziali di accesso su richiesta, per consultare lo stato della procedura, in quanto “other authorized users” se l’imprenditore li indica). In alcune Camere di Commercio, per prassi, l’esperto nominato contatta informalmente anche il collegio sindacale, soprattutto se era stato indicato che la domanda era originata da una loro segnalazione.
In definitiva, il momento dell’accesso alla composizione negoziata vede i sindaci in una posizione di sostenitori qualificati dell’iniziativa: hanno spinto perché fosse intrapresa e ora ne curano insieme agli amministratori i passaggi preparatori. Dal punto di vista del debitore, l’organo di controllo può essere quasi paragonato a un advisor interno: se svolge bene il suo ruolo, aiuta l’impresa a presentarsi all’esperto con tutte le carte in regola e con un quadro chiaro delle problematiche, condizione essenziale per instaurare da subito un clima di fiducia con i creditori. È importante evidenziare che questa funzione consultiva non toglie imparzialità ai sindaci: essi non diventano “complici” degli amministratori, ma rimangono terzi leali che però condividono l’obiettivo di salvaguardare la continuità aziendale nell’interesse di tutti (società, creditori, lavoratori). Nel prossimo paragrafo vedremo come si esplica il loro ruolo durante lo svolgimento delle trattative con i creditori, fase altrettanto delicata.
Il ruolo dell’organo di controllo durante le trattative della composizione negoziata
Una volta avviata formalmente la composizione negoziata con la nomina dell’esperto e l’inizio degli incontri con l’imprenditore e i creditori, l’organo di controllo entra in una fase di vigilanza attiva sull’andamento delle trattative. Anche se la conduzione del negoziato è affidata all’imprenditore assistito dall’esperto, i sindaci (o il revisore) hanno infatti il compito di continuare a monitorare la gestione e, se necessario, di intervenire per garantire che la procedura si svolga correttamente e che non vengano lesi gli interessi della società o dei creditori estranei alle trattative.
Dovere di vigilanza permanente: L’ultima parte dell’art. 25-octies, comma 1 CCII, stabilisce espressamente che “in pendenza delle trattative, rimane fermo il dovere di vigilanza di cui all’articolo 2403 del codice civile”. Questa frase ribadisce un concetto fondamentale: l’apertura di una composizione negoziata non sospende né attenua i poteri-doveri del collegio sindacale, che anzi deve continuare a esercitare la propria funzione con rinnovata attenzione. Se possibile, la vigilanza diventa ancor più intensa, poiché l’impresa si trova in una situazione critica in cui decisioni sbagliate potrebbero compromettere le chance di risanamento o danneggiare ulteriormente i creditori. In pratica, i sindaci dovranno: partecipare alle eventuali riunioni del CdA convocate per riferire sull’andamento delle trattative, mantenere un dialogo costante con gli amministratori e con l’esperto (nei limiti dei ruoli), verificare che l’imprenditore rispetti gli obblighi di trasparenza e buona fede imposti dalla legge durante le trattative (art. 19 CCII), e controllare che l’attività sociale prosegua nei limiti di ordinaria amministrazione salvo autorizzazioni dell’esperto per atti straordinari (art. 20 CCII). Ad esempio, se durante la composizione negoziata gli amministratori intendessero compiere operazioni anomale – come vendere beni aziendali importanti senza informare l’esperto, preferire qualche creditore pagandolo per intero al di fuori degli accordi, o distribuire acconti ai soci – i sindaci dovrebbero immediatamente intervenire per bloccare tali iniziative contrarie allo spirito della procedura (che invece richiede di non aggravare la posizione dei creditori e di non alterare la par condicio). In sostanza, il collegio sindacale in questa fase funge da garante dell’ordinato svolgimento del tentativo di risanamento.
Presenza ai confronti con i creditori: La normativa non prevede formalmente che i sindaci siedano al tavolo delle trattative con i creditori (questo è compito dell’imprenditore e dell’esperto). Tuttavia nulla vieta che, con il consenso dell’imprenditore e dell’esperto, i sindaci possano partecipare ad alcuni incontri cruciali, quantomeno come uditori. In alcune esperienze pratiche, soprattutto nelle PMI, il collegio sindacale è stato coinvolto alle riunioni con le banche o con i fornitori principali, in funzione di “teste di legalità” interne: la loro presenza può rassicurare le controparti che la società sta operando sotto controllo e con serietà. Anche se non trattano direttamente, i sindaci possono fornire all’esperto chiarimenti tecnici sui dati di bilancio o sulle cause delle difficoltà pregresse, completando le informazioni date dagli amministratori. L’esperto stesso può richiedere la loro partecipazione quando lo ritenga opportuno. Va però ricordato che i sindaci non rappresentano la società né hanno potere negoziale, dunque il loro ruolo rimane defilato. È un equilibrio delicato: essere presenti ma non protagonisti. L’importante è che essi siano costantemente informati di ciò che avviene. A tal fine, l’art. 15, comma 1 ult. periodo D.L. 118/2021 (oggi integrato nell’art. 25-octies CCII) prevedeva già che l’organo amministrativo dovesse tenere informato l’organo di controllo sugli sviluppi, rispondendo entro 30 giorni alla segnalazione iniziale e poi via via aggiornandolo. Dunque gli amministratori, parallelamente a come riferiscono periodicamente all’esperto, dovrebbero riferire anche ai sindaci sullo stato delle negoziazioni (es: “abbiamo incontrato le banche X e Y, stiamo predisponendo una bozza di accordo di ristrutturazione che prevede queste linee generali…”). Se ciò non avviene spontaneamente, i sindaci hanno pieno diritto di chiedere informazioni in ogni momento, come da art. 2403-bis c.c., e gli amministratori sono obbligati a fornirle tempestivamente.
Scambio di informazioni con l’esperto: Su questo aspetto ci soffermeremo meglio nel prossimo paragrafo, ma anticipiamo che l’esperto indipendente è autorizzato (previo consenso dell’imprenditore) ad acquisire informazioni dall’organo di controllo e dal revisore. È quindi presumibile che, specie nelle situazioni più complesse, l’esperto incontri i sindaci separatamente per raccogliere la loro visione e magari i documenti da essi eventualmente predisposti (verbali di ispezione, relazioni di revisione, etc.). I sindaci devono gestire questi rapporti nel rispetto della riservatezza: l’esperto è tenuto anch’egli alla confidenzialità, dunque c’è copertura per condividere anche elementi sensibili. Ad esempio, i sindaci potrebbero segnalare all’esperto: “Attenzione, dalla nostra ultima verifica di magazzino è emersa un’obsolescenza delle scorte non evidenziata a bilancio” oppure “La società ha un contenzioso potenziale non contabilizzato, ve lo segnaliamo per correttezza”. Queste informazioni aiutano l’esperto a disporre di un quadro reale e completo, indispensabile per formulare soluzioni realistiche.
Supervisione delle misure protettive: Un elemento da monitorare è l’eventuale attivazione da parte dell’imprenditore delle misure protettive previste dal CCII (art. 18), come la sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori durante le trattative. Se il debitore pubblica nel registro imprese la notizia che sta trattando ai sensi della composizione negoziata (cosa facoltativa), scattano tali protezioni. I sindaci dovrebbero verificare che l’imprenditore faccia un uso corretto di queste misure: ad esempio, se sono state ottenute misure protettive dal tribunale, l’azienda non può pagare debiti anteriori senza autorizzazione (pena la revoca delle misure). I sindaci dunque vigilano che l’impresa non violi i vincoli imposti dal decreto di concessione delle protezioni. Questo fa parte della regolare supervisione, ma assume connotati particolari perché un’inosservanza potrebbe pregiudicare la procedura e quindi il buon fine del risanamento.
Casi di criticità durante le trattative: Può capitare che durante la composizione negoziata emergano situazioni problematiche: ad esempio, l’esperto si accorge che gli amministratori non stanno collaborando pienamente, oppure un gruppo di creditori assume atteggiamenti ostruzionistici, o ancora le condizioni aziendali peggiorano improvvisamente (perdita di un contratto importante, default di un fornitore chiave, ecc.). In questi frangenti, l’organo di controllo deve valutare come reagire. Il suo obiettivo primario rimane la tutela della continuità aziendale, ma anche la tutela del patrimonio sociale nell’interesse dei creditori. Dunque, se i sindaci ritengono che la situazione stia degenerando nonostante la composizione negoziata, hanno il dovere di segnalare la circostanza agli amministratori e invitarli a prendere misure alternative o aggiuntive. Ad esempio, potrebbero suggerire di predisporre un piano di emergenza per il caso di esito negativo, oppure – se ritengono ormai inevitabile l’insolvenza – sollecitare i preparativi per un eventuale concordato preventivo o liquidazione giudiziale. In casi estremi, se l’impresa sta dissipando risorse durante le trattative, i sindaci possono valutare interventi più drastici (dimissioni, informativa ai creditori strategici, ecc.) ma sono scenari rari poiché l’esperto stesso in tali casi porrebbe fine alle trattative dichiarandone l’insuccesso.
Dal punto di vista del debitore, avere un organo di controllo vigile durante la negoziazione è in realtà un vantaggio: funge da ulteriore elemento di disciplina interna, assicurando ai creditori che l’azienda non compirà “colpi di testa” e che c’è supervisione. Inoltre, per l’imprenditore onesto, il supporto dei sindaci può tornare utile per convincere i creditori della bontà delle informazioni fornite (la presenza dei sindaci è una garanzia sulla veridicità dei dati di bilancio presentati). Insomma, i sindaci in trattativa fanno anche un po’ da “notai” del percorso, presidiando la correttezza formale e sostanziale del comportamento dell’impresa.
Valutazione finale dell’esperto e ruolo dei sindaci: La composizione negoziata può concludersi con esito positivo (accordo raggiunto) oppure negativo. Se è positivo, l’esperto redige una relazione finale e l’impresa può formalizzare l’accordo con i creditori eventualmente avvalendosi di strumenti legali (accordo ex art. 23 CCII, piano attestato, convenzione di moratoria, ecc.). I sindaci dovranno vigilare che tali accordi vengano correttamente eseguiti (vedremo poi il seguito). Se l’esito è negativo, l’esperto lo comunica e l’istanza viene archiviata. A quel punto i sindaci si trovano di fronte a un bivio delicato: la composizione negoziata ha fallito, quindi la crisi permane e forse è aggravata (il tempo è passato). In questa situazione, l’organo di controllo non deve far calare l’attenzione; anzi, deve immediatamente confrontarsi con gli amministratori su quali saranno le prossime mosse (ad esempio: tentare un concordato preventivo “liquidatorio semplificato” se fattibile, oppure attivarsi per la liquidazione giudiziale). Se gli amministratori tentennano ulteriormente nel prendere decisioni (ad es. sperano in altri miracoli), i sindaci dovranno agire: a quel punto l’allerta interna è già stata compiuta, quindi restano come strumenti possibili la convocazione dell’assemblea dei soci per informarla del fallimento delle trattative e delle relative conseguenze, e l’eventuale informativa al Tribunale se ci sono estremi di mala gestio (es. insolvenza conclamata e niente iniziative). In qualche caso, laddove l’impresa fosse ancora potenzialmente recuperabile con interventi esterni, i sindaci potrebbero sostenere un nuovo tentativo stragiudiziale (ad esempio un accordo con alcuni creditori chiave al di fuori della cornice formale, se la composizione non ha funzionato per rigidità del perimetro). Ogni situazione fa storia a sé, ma l’importante è che i sindaci non abbassino la guardia e documentino tutte le loro azioni e sollecitazioni: ciò li metterà al riparo da accuse future.
Riassumendo, durante le trattative della composizione negoziata l’organo di controllo svolge una duplice funzione: da un lato, collaborativa (fornisce informazioni, facilita la comunicazione, rassicura le parti sulla serietà del processo); dall’altro, di vigilanza stretta (impedisce scorrettezze, controlla l’osservanza delle regole e tutela il patrimonio). Questo duplice ruolo richiede equilibrio e professionalità. Ma se ben esercitato, contribuisce in modo significativo alle possibilità di successo della composizione negoziata, creando un clima di fiducia e disciplina attorno al tavolo negoziale.
Lo scambio di informazioni tra organo di controllo ed esperto indipendente
Come accennato, una caratteristica importante della composizione negoziata è la centralità dell’esperto indipendente, figura terza incaricata di facilitare le trattative e di valutare la sostenibilità del risanamento. L’esperto, per svolgere efficacemente il suo compito, deve poter accedere a tutte le informazioni rilevanti sull’azienda. In questo senso, il legislatore ha previsto un canale privilegiato di comunicazione tra l’esperto e gli organi di controllo interni (sindaci e revisori), riconoscendo che questi ultimi detengono spesso una conoscenza approfondita della situazione aziendale.
L’art. 17, comma 5 CCII dispone che “l’esperto, accettato l’incarico, convoca senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, anche alla luce delle informazioni assunte dall’organo di controllo e dal revisore legale, ove in carica”. Questa previsione è molto significativa: implica che già nel primissimo incontro, l’esperto terrà conto non solo di ciò che riferisce l’imprenditore, ma anche di eventuali elementi forniti dal collegio sindacale e dal revisore. In pratica, i sindaci e il revisore diventano fonti informative ufficiali per l’esperto.
Vediamo come ciò avviene operativamente: una volta nominato, l’esperto può (previo consenso dell’imprenditore) accedere alla piattaforma telematica dove sono caricati i documenti iniziali e dove è presente uno spazio di comunicazione. In tale piattaforma, l’imprenditore può autorizzare soggetti terzi ad accedere alle informazioni, e tra questi possono esservi i componenti dell’organo di controllo e il revisore. Inoltre, l’esperto può richiedere all’imprenditore di farsi mettere in contatto diretto con i sindaci. In genere, durante il primo incontro, l’imprenditore diligente inviterà magari il presidente del collegio sindacale a partecipare (come uditore) o comunque informerà l’esperto che i sindaci sono disponibili a un colloquio. Spesso l’esperto, dopo aver parlato con l’imprenditore, fissa un incontro specifico con l’organo di controllo per approfondire alcuni aspetti tecnici: ad esempio, potrebbe chiedere chiarimenti sui criteri di valutazione di certe voci di bilancio, sullo stato delle eventuali riserve o fondi rischi, oppure sul funzionamento degli organi delegati. L’esperto, infatti, deve formarsi un giudizio indipendente sulla concretezza delle prospettive di risanamento: per farlo, vuole capire se i dati che vede sono attendibili e se l’impresa è gestita in modo affidabile. I sindaci possono dare un contributo fondamentale in tal senso: possono confermare se i bilanci passati sono regolari (soprattutto se non c’è un revisore esterno), se vi sono state criticità contabili, se la contabilità è aggiornata, se esistono passività potenziali non evidenziate. Possono, ad esempio, consegnare all’esperto copia delle relazioni al bilancio in cui hanno magari già segnalato dubbi sulla continuità aziendale, oppure delle lettere ai soci in cui evidenziavano problemi. Tutto questo aiuta l’esperto a validare le informazioni ricevute dal debitore: sappiamo che uno dei rischi delle procedure di risanamento è l’asimmetria informativa tra debitore e creditori/terzo facilitatore, quindi l’organismo di controllo funge da “certificatore interno”.
Altro campo di interazione è la valutazione delle cause della crisi e delle possibili soluzioni. I sindaci, avendo seguito l’azienda negli anni, possono offrire all’esperto una prospettiva storica: ad esempio, “la crisi è dovuta principalmente al calo di fatturato nel mercato X combinato con investimenti errati, noi lo avevamo già segnalato due anni fa… ora si potrebbe intervenire su questi costi…”. Ovviamente, starà all’esperto filtrare queste informazioni nel rispetto del proprio ruolo: l’esperto non si sostituisce ai consulenti aziendali né spetta ai sindaci definire il piano di risanamento. Tuttavia, c’è spesso un importante contributo qualitativo: i sindaci conoscono l’affidabilità del management (possono dire all’esperto se si fidano delle stime prospettiche fornite dal direttore finanziario, ad esempio), conoscono l’esistenza di partite pendenti (un contenzioso legale significativo, un credito importante da incassare, etc.) e possono segnalare se vi sono stakeholder fondamentali da coinvolgere (magari un socio finanziatore, o un cliente principale).
In alcuni casi, l’esperto può chiedere formalmente ai sindaci di predisporre un breve memorandum sulla situazione aziendale dal loro punto di vista, da allegare agli atti negoziali. Non è un obbligo previsto, ma è avvenuto in pratiche operative: una sorta di “nota informativa del collegio sindacale” che viene condivisa con i creditori per dare maggiore fiducia ai dati, oppure per attestare che certi comportamenti (tipo non pagare un fornitore per destinare risorse alla produzione in corso) sono stati ritenuti necessari e sono vigilati.
Revisore legale: se è presente un revisore esterno, l’esperto dialogherà anche con lui, soprattutto per comprendere se ci sono state segnalazioni formali nei verbali di revisione (richiami di informativa, rilievi, impossibilità a esprimere giudizi). Il revisore può mettere a disposizione le management letters degli ultimi esercizi, dove spesso già emergono criticità (es: “segnaliamo tensioni di liquidità, l’azienda ha finanziato con debiti a breve immobilizzazioni a lungo…”). Dato che il revisore tende ad avere un approccio quantitativo, le sue informazioni completeranno quelle dei sindaci, più qualitative.
Piattaforma telematica e condivisione di documenti: Tutti i documenti caricati sul portale durante la procedura possono essere visti dall’esperto e, se autorizzati, anche dall’organo di controllo. Ad esempio, se un creditore carica una proposta di accordo o delle controdeduzioni, i sindaci potrebbero accedervi. Questo consente loro di essere aggiornati in tempo reale e di intervenire in sede di CdA se notano qualcosa di allarmante. Viceversa, i sindaci potrebbero caricare documenti utili per l’esperto (ad es. una situazione patrimoniale intermedia da loro richiesta agli amministratori). La piattaforma è pensata per favorire lo scambio controllato di informazioni: i sindaci quindi devono sempre operare tramite quella, evitando canali ufficiosi per passare dati sensibili (salvo incontri diretti). Ciò per motivi di trasparenza e sicurezza dei dati.
Limiti del flusso informativo: Nonostante la collaborazione sia incoraggiata, occorre rispettare i ruoli. L’organo di controllo non deve interferire nelle valutazioni riservate all’esperto. Ad esempio, spetta all’esperto (non ai sindaci) concludere se la prospettiva di risanamento esiste o no; i sindaci possono fornire elementi, ma non pretendere di orientare quella conclusione. Così come spetta all’esperto condurre le trattative con i creditori: i sindaci non devono entrarvi se non richiesto, per non confondere le parti (un creditore potrebbe erroneamente pensare che i sindaci abbiano potere decisionale e provare a negoziare con loro – situazione da evitare). Quindi la regola aurea è: massima lealtà informativa reciproca, ma ciascuno deve restare nel proprio perimetro di funzione.
Benefici dello scambio informativo: Per l’esperto, poter contare sulla cooperazione dell’organo di controllo è estremamente utile e aumenta le probabilità di far emergere un accordo fattibile. Per il debitore, è garanzia che l’esperto non traviserà la situazione: avendo più fonti (imprenditore + sindaci + revisore), l’esperto può farsi un’idea più obiettiva. Questo evita, ad esempio, che un imprenditore eccessivamente ottimista convinca l’esperto di cose infondate, oppure al contrario che un esperto, diffidente per natura, giudichi negativamente la situazione quando invece i sindaci possono rassicurarlo su certi punti. In poche parole, il triangolo imprenditore – organo di controllo – esperto dovrebbe collaborare in modo trasparente per il fine comune del risanamento.
Un aspetto spesso sottolineato è che questa collaborazione segna un cambio di paradigma culturale: in passato, sindaci e amministratori erano talvolta in rapporto conflittuale o comunque distaccato. Nelle procedure concorsuali tradizionali, l’organo di controllo finiva ai margini (nel fallimento il loro ruolo si riduce, nel concordato preventivo pure poco rilievo). Nel nuovo istituto, invece, i sindaci sono coinvolti in prima linea. Ciò li responsabilizza ma anche li valorizza: chi svolge l’incarico di sindaco oggi deve possedere competenze quasi da crisis manager, non più solo da controllore contabile. Lo scambio di informazioni con l’esperto indipendente è emblematico di questa evoluzione: professionisti diversi (sindaci, revisori, esperto che spesso è un commercialista nominato) fanno squadra per risolvere la crisi dell’impresa, ognuno con il proprio ruolo ma superando le barriere classiche.
In conclusione, la collaborazione informativa tra organo di controllo ed esperto è un elemento cardine della composizione negoziata. Deve essere leale, completa e tempestiva. Se condotta bene, consente all’esperto di avere un quadro attendibile e all’organo di controllo di assolvere pienamente al proprio dovere di vigilanza durante la procedura. Il debitore ne trae vantaggio perché così aumenta la fiducia dei creditori e si costruisce una soluzione su basi solide, riducendo il rischio di sorprese negative in corso d’opera (ad es. passività occulte che emergono all’ultimo momento e fanno saltare l’accordo).
La vigilanza dell’organo di controllo dopo la composizione negoziata
Il ruolo dell’organo di controllo non si esaurisce con la conclusione della procedura di composizione negoziata. Anche dopo la chiusura delle trattative, i sindaci (e i revisori) continuano ad avere importanti funzioni di monitoraggio sullo stato di salute dell’impresa e sull’esecuzione di eventuali accordi raggiunti. A seconda dell’esito della composizione negoziata, l’organo di controllo dovrà modulare la propria attività per la fase successiva, in un’ottica di sorveglianza post-crisi e di prevenzione di ricadute.
Possiamo distinguere due scenari principali post-procedura: esito positivo (risanamento avviato con accordi, impresa in continuità) o esito negativo (mancato accordo e necessità di procedure concorsuali liquidatorie).
1. Esito positivo: accordo e prosecuzione dell’attività – In molti casi la composizione negoziata si conclude con la formalizzazione di un qualche tipo di accordo di ristrutturazione o con l’implementazione di un piano di risanamento condiviso con i creditori. Ad esempio, l’impresa può aver raggiunto un accordo stragiudiziale con le banche per la dilazione dei debiti, oppure una convenzione di moratoria con i fornitori, o ancora può decidere di proseguire l’attività supportata da nuova finanza (magari di soci o terzi) in base a un business plan rivisto. Tali accordi spesso vengono omologati con strumenti di legge: l’impresa potrebbe omologare un accordo ex art. 48 CCII (ex art. 182-bis L.F.) se coinvolge la maggioranza dei creditori finanziari, oppure semplicemente dare esecuzione a un piano attestato ex art. 56 CCII (ex art. 67 L.F.).
In queste situazioni, l’organo di controllo ha il compito di vigilare attentamente che gli impegni presi vengano rispettati. Più in dettaglio:
- Se vi è un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, l’azienda dovrà pagare i creditori secondo il piano concordato (es. percentuali e scadenze). I sindaci devono verificare che i pagamenti vengano effettuati regolarmente e che l’azienda rispetti tutti i covenant e obblighi informativi eventualmente previsti nell’accordo. Ad esempio, se l’accordo prevede che per i prossimi 3 anni la società non distribuirà dividendi e destinerà l’utile al rimborso dei creditori, i sindaci dovranno assicurarsi che gli amministratori adempiano a questa clausola (se tentassero di distribuire utili, i sindaci devono opporsi).
- Se è stato predisposto un piano di risanamento attestato, tipicamente un professionista indipendente avrà attestato la fattibilità del piano. I sindaci devono monitorare l’andamento aziendale rispetto alle proiezioni: uno strumento utile è richiedere report periodici (mensili o trimestrali) al management sullo stato di avanzamento del piano (ricavi effettivi vs budget, cassa vs previsioni, etc.). Qualora si riscontrassero scostamenti significativi o nuovi segnali di tensione, i sindaci dovrebbero immediatamente richiamare l’attenzione degli amministratori e proporre correttivi.
- In caso di nuovi finanziamenti ricevuti in esecuzione degli accordi (ad esempio finanziamenti prededucibili o garantiti post-omologazione), i sindaci dovranno controllare che tali risorse siano effettivamente impiegate per le finalità previste dal piano e non distolte. Ad esempio, se arriva un nuovo prestito destinato a ricostituire il magazzino, non deve finire per coprire costi estranei; i sindaci possono seguire la pista di quei fondi.
- Se l’accordo comporta cessione di asset non strategici (per fare cassa da destinare ai creditori), i sindaci vigileranno sul processo di vendita, per assicurarsi che avvenga a valori di mercato e senza favoritismi. Hanno diritto di visionare i contratti di vendita e di segnalare ai soci/autorità eventuali anomalie.
In sintesi, nel post-risanamento i sindaci diventano i custodi dell’“ortodossia” del piano concordato: la loro presenza costringe l’organo amministrativo a non deviare dal percorso di risanamento. È utile che i sindaci riferiscano periodicamente anche all’assemblea dei soci sui progressi: nelle loro relazioni al bilancio annuale dovranno dar conto dello stato di attuazione del piano di risanamento e dell’osservanza degli accordi, informando i soci se tutto procede regolarmente o segnalando eventuali scostamenti significativi.
Una best practice è la predisposizione, da parte del CdA, di un budget di cassa dettagliato e di un sistema di reporting interno post-accordo: i sindaci dovrebbero sollecitarlo se non c’è. Ad esempio, se l’accordo prevede pagamenti trimestrali ai creditori, il CdA deve assicurarsi di accumulare in tempo la liquidità necessaria; i sindaci controlleranno che la tesoreria faccia queste previsioni e li avvisi con anticipo se si profilano difficoltà, così da poter eventualmente richiamare i creditori per una modifica dell’accordo prima del default.
2. Esito negativo: fallimento delle trattative – Se la composizione negoziata non ha portato ad alcun accordo e l’impresa risulta insolvente, inevitabilmente si prospetta l’avvio di una procedura concorsuale di tipo liquidatorio o conservativo (liquidazione giudiziale ex fallimento, oppure concordato preventivo liquidatorio, o amministrazione straordinaria se grandi dimensioni). In questo scenario, compito dei sindaci è assicurarsi che gli amministratori non indugino oltre nel depositare il ricorso per la procedura concorsuale opportuna. Già durante le trattative, l’esperto se avesse constatato l’assenza di prospettive di risanamento avrebbe potuto chiudere anticipatamente la composizione negoziata. Dunque al termine delle trattative l’impresa si trova spesso al limite tra risanabilità e insolvenza conclamata. Se la situazione è ormai compromessa, i sindaci devono esigere il rispetto dell’obbligo di legge di richiedere il concorso (ricordiamo che l’art. 24 CCII impone al debitore, una volta emersa l’insolvenza, di ricorrere tempestivamente a una procedura concorsuale per regolamentarla). Un ritardo ingiustificato nell’accesso al fallimento o concordato espone i sindaci stessi a gravi rischi di responsabilità, oltre a peggiorare il dissesto.
Nella pratica, i sindaci dopo l’archiviazione della composizione negoziata potrebbero convocare immediatamente un CdA straordinario (o un’assemblea se necessario) per discutere il da farsi. Se il CdA si rifiutasse di agire (cosa rara perché a quel punto anche gli amministratori preferiscono evitare ulteriori guai), i sindaci potrebbero presentare essi stessi istanza di liquidazione giudiziale, almeno nelle società di capitali ciò non è precluso (in passato la giurisprudenza ha ammesso l’istanza di fallimento da parte del collegio sindacale, equiparandolo a un soggetto qualificato e interessato alla procedura in quanto organo di controllo). In ogni caso, i sindaci dovranno mettere a verbale di aver richiesto agli amministratori di attivarsi e, se necessario, potranno dimettersi in segno di dissociazione qualora il CdA persista nell’inerzia.
Durante la transizione verso la procedura concorsuale, i sindaci hanno ancora il dovere di vigilare che il patrimonio sociale non venga disperso. Ad esempio, se tra la fine delle trattative e il deposito del ricorso trascorrono alcune settimane, i sindaci devono impedire che in quel lasso di tempo si verifichino pagamenti preferenziali o atti lesivi (a tutela anche dei creditori). Possono farlo segnalando immediatamente qualsiasi atto anomalo alle autorità (anche al PM se ci fossero ipotesi di reato). In pratica assicurano una sorta di “traghettamento controllato” verso il concorso.
Una volta aperta la procedura concorsuale (fallimento/liquidazione giudiziale), formalmente il collegio sindacale decade dall’incarico (in fallimento cessa, nel concordato permane ma con funzioni ridotte). Tuttavia, i suoi componenti possono essere chiamati a rispondere del proprio operato: il curatore fallimentare spesso valuta se vi sono responsabilità dei sindaci per aggravamento del dissesto e, se sì, può promuovere un’azione di responsabilità nei loro confronti insieme a quella verso gli amministratori. Ecco perché per i sindaci è cruciale aver agito con la massima diligenza e poter documentare di aver fatto tutto il possibile (segnalazioni tempestive, solleciti, inviti a depositare ricorso, ecc.). Un comportamento proattivo durante e dopo la composizione negoziata può costituire per i sindaci la migliore difesa in queste eventualità, dimostrando di non aver contribuito al ritardo ma anzi di aver cercato soluzioni.
Follow-up nelle PMI risanate: Un aspetto interessante riguarda le imprese che grazie alla composizione negoziata sono uscite dalla crisi e tornano in bonis. Ci si chiede: è opportuno che continuino a mantenere un organo di controllo anche se magari ora sono scese sotto i limiti di legge? La risposta di solito è sì, per prudenza: un collegio sindacale attivo può aiutare a consolidare i risultati del risanamento ed evitare recidive, instaurando stabilmente prassi di controllo di gestione e monitoraggio. Inoltre, molti accordi con creditori condizionano la loro efficacia al mantenimento di adeguati controlli interni. Quindi i sindaci, da “angeli custodi” nella crisi, possono diventare pilastri della nuova governance più attenta ai rischi.
In sintesi, dopo la composizione negoziata l’organo di controllo:
- se l’impresa si risana, monitora l’esecuzione del piano/accordo e previene ricadute;
- se l’impresa non si risana, sollecita o attiva le procedure concorsuali necessarie e tutela il patrimonio residuo fino all’ingresso nella procedura.
Dunque la vigilanza post-composizione rappresenta l’anello finale della catena di responsabilità dei sindaci: chiusa la parentesi negoziale, i riflettori non si spengono, ma i sindaci restano al loro posto di sentinella fino a che la crisi non sia effettivamente risolta o gestita in altra sede. Questo assicura continuità di controllo e salvaguardia dell’interesse sociale in ogni fase.
Le responsabilità dell’organo di controllo in caso di omissioni o gestione della crisi
Il nuovo quadro normativo attribuisce all’organo di controllo importanti compiti proattivi, ma come contraltare prevede anche un severo giudizio in caso di inadempimento di tali doveri. La responsabilità dei sindaci (e dei revisori) per la crisi d’impresa si inserisce nel più generale alveo della responsabilità civile degli organi sociali verso la società e i terzi, ma assume connotati specifici in considerazione degli obblighi di allerta e vigilanza introdotti. In questa sezione analizzeremo le possibili responsabilità – sia civili che, eventualmente, penali – che possono gravare sull’organo di controllo in relazione alla gestione della crisi, nonché le prime indicazioni offerte dalla giurisprudenza più recente.
Responsabilità civile verso la società e i creditori: Ai sensi dell’art. 2407 c.c., i sindaci sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti loro dalla legge (o dallo statuto). Si tratta di una responsabilità di natura contrattuale verso la società, che può essere azionata dalla società stessa o, in caso di fallimento, dal curatore nell’interesse dei creditori (azione sociale e azione dei creditori sociali ex art. 146 L.F.). Nel contesto della crisi d’impresa, quali potrebbero essere i profili di colpa imputabili ai sindaci? Ecco alcune ipotesi:
- Omissione di segnalazione tempestiva: se i sindaci (o il revisore) omettono di segnalare per tempo agli amministratori la situazione di crisi, violano un preciso obbligo di legge (art. 25-octies CCII). Tale omissione può cagionare un danno alla società perché, non attivando per tempo la composizione negoziata o altre misure, la crisi si aggrava. Ad esempio, l’impresa potrebbe aver perso l’opportunità di ristrutturare il debito quando ancora era sostenibile, finendo poi in insolvenza conclamata con maggiori perdite. In sede fallimentare, il curatore potrà sostenere che “se i sindaci avessero fatto l’allerta interna 6 mesi prima, l’impresa avrebbe potuto salvare X euro evitando sanzioni e deterioramento ulteriore”: quel delta può essere richiesto come danno ai sindaci negligenti. Le Norme di comportamento del CNDCEC evidenziano proprio che il pericolo è che il collegio sindacale “non abbia vigilato affatto nei mesi e anni precedenti l’apertura della composizione negoziata, salvo poi attivarsi all’ultimo”. In tal caso la responsabilità sarebbe palese. Viceversa, la legge ora prevede un incentivo virtuoso: la segnalazione tempestiva e la vigilanza diligente sulle trattative costituiscono elementi valutati per escludere o attenuare la responsabilità dei sindaci. Ciò significa che un sindaco potrà difendersi efficacemente mostrando di aver rispettato l’art. 25-octies: se lo ha fatto, non gli si potrà imputare il deterioramento successivo (che magari è dovuto a fattori esterni o a inerzia degli amministratori malgrado l’allerta).
- Mancata attivazione in caso di inerzia degli amministratori: dopo la riforma 2024, se i sindaci non presentano l’istanza di composizione negoziata pur essendo decorsi i 30 giorni senza iniziative del CdA, anch’essi mancano a un preciso dovere. Questo ovviamente è una fattispecie nuova e ancora da testare, ma si può immaginare che se un’azienda fallisce e si scopre che mesi prima i sindaci avevano segnalato invano e NON hanno poi presentato l’istanza sostitutiva, potrebbero essere chiamati a rispondere dei danni generati in quell’ulteriore lasso di tempo di inattività.
- Omessa vigilanza durante la composizione negoziata: qualora i sindaci, pur avendo attivato la procedura, non ne abbiano seguito l’andamento né abbiano impedito atti pregiudizievoli durante la stessa, possono incorrere in responsabilità. Ad esempio, se durante le trattative l’imprenditore ha dissipato beni (magari venduti sottocosto senza autorizzazione) e i sindaci non hanno mosso un dito per fermarlo o segnalarlo, potrebbero essere ritenuti corresponsabili del depauperamento. L’art. 25-octies co.2 CCII richiama espressamente il dovere di vigilanza sull’andamento delle trattative e stabilisce che la tempestiva segnalazione e la vigilanza sulle trattative sono valutate ai fini dell’attenuazione o esclusione della responsabilità. Di riflesso, la mancata vigilanza avrebbe l’effetto opposto: aggravare la loro posizione in caso di danni.
- Violazione obblighi su perdite di capitale: un classico ambito di responsabilità storica dei sindaci – rilevante anche nelle crisi – è il mancato intervento in presenza di perdite che richiedono provvedimenti ex artt. 2446, 2447, 2482-bis, 2482-ter c.c. Se la società ha eroso il capitale oltre il terzo o l’azzerato e gli amministratori non convocano l’assemblea, i sindaci DEVONO farlo. Se non lo fanno e la società continua ad operare in “gestione non conservativa” accumulando debiti, i sindaci ne rispondono verso creditori e società. La sentenza del Tribunale di Napoli del 26 luglio 2023 è un esempio calzante: i sindaci di una S.r.l. sono stati ritenuti responsabili per non essersi accorti di una grave situazione di indebitamento fiscale pregressa e della perdita integrale del capitale; secondo il Tribunale, avrebbero dovuto “avvedersi” di ciò e “assumere le doverose iniziative” per evitare la prosecuzione abusiva dell’attività. Poiché non lo fecero, sono stati condannati a risarcire i danni ai creditori sociali (nella specie, il danno consisteva nelle ulteriori sanzioni fiscali maturate a causa del protrarsi dell’inattività dell’azienda in dissesto). Questa pronuncia – molto recente – conferma un orientamento rigoroso: i sindaci non possono restare passivi di fronte a segnali macroscopici di crisi (capitale azzerato, debiti fiscali ingenti), altrimenti saranno corresponsabili degli effetti nefasti di tale inerzia.
- Responsabilità del revisore legale: per il revisore la responsabilità civile segue la disciplina del D.Lgs. 39/2010 (artt. 15-17). Egli risponde dei danni causati a società, soci o terzi a causa di negligenza nella revisione (es. non aver rilevato false rappresentazioni contabili). In ambito crisi, se un revisore ha certificato bilanci irrealistici che non evidenziavano la crisi, e questo ha ritardato le contromisure, potrebbe essere chiamato in causa. Con l’estensione dei doveri di segnalazione al revisore, anche per esso varrà il principio: la tempestiva segnalazione ex art. 25-octies attutisce la responsabilità ex art. 15 D.Lgs.39/2010, mentre l’omissione la aggrava (questo collegamento è fatto nell’art. 25-octies: menziona infatti l’attenuazione o esclusione della responsabilità anche ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. 39/2010 per il revisore).
Azioni esperibili: In caso di fallimento, come detto, il curatore può promuovere un’azione di responsabilità unica verso amministratori e sindaci (art. 146 L.F.). In vita della società, invece, potrebbero essere i soci o la società stessa (nuovo CdA) ad agire se scoprono i danni. Inoltre, non va dimenticato l’art. 2409 c.c.: se i sindaci trascurano la vigilanza, i soci di minoranza o il tribunale possono rimuoverli e nominare un amministratore giudiziario. Non è un’azione risarcitoria, ma i sindaci rischiano la decadenza per giusta causa se inadempienti.
Giurisprudenza di legittimità: La Corte di Cassazione ha più volte affermato che i sindaci rispondono per culpa in vigilando quando la violazione degli amministratori era percepibile e avrebbero potuto impedirla esercitando i loro poteri. In tema di continuazione illecita dell’attività (art. 2486 c.c.), la Cassazione ha stabilito che il danno derivante dall’aggravamento del dissesto dev’essere risarcito dagli amministratori e può essere quantificato secondo criteri presuntivi (differenza tra patrimonio netto all’insorgere della causa di scioglimento e quello alla data di fallimento). Ebbene, i sindaci potrebbero essere chiamati a rispondere in solido con gli amministratori di quel danno se non hanno attivato la dovuta vigilanza per evitare la prosecuzione oltre il dovuto. Cass. 6 febbraio 2023 n. 3552 ha ribadito la duplice e distinta responsabilità in capo agli amministratori in caso di violazione dell’art. 2486 c.c. e delle norme contabili, implicando indirettamente che i sindaci devono vigilare su entrambe. Insomma, si delinea una responsabilità parallela e complementare.
Esimenti e attenuanti: Come già sottolineato, la normativa ha introdotto una sorta di safe harbor per i sindaci diligenti: se essi segnalano tempestivamente e vigilano sulle trattative della composizione negoziata, tale condotta virtuosa potrà liberarli da responsabilità per il periodo successivo. È un forte incentivo a comportarsi correttamente. Inoltre, i sindaci possono sempre liberarsi da responsabilità provando di aver fatto il possibile per impedire l’evento dannoso (art. 2407 c.c. ultimo comma), ad esempio verbalizzando il proprio dissenso su certe decisioni e informando subito gli altri organi. Anche le dimissioni tempestive, in casi estremi, possono servire a evitare di essere coinvolti (sebbene non basti dimettersi per evitare cause, di certo però mostra che non hanno avallato). In generale, la giurisprudenza richiede al sindaco convenuto in giudizio di provare la propria diligenza (inversione dell’onere della prova): deve dimostrare di aver ottemperato ai doveri e che il danno non è imputabile a sua colpa. Conservare documentazione (lettere di sollecito agli amministratori, PEC di segnalazione, verbali di riunioni in cui propose interventi) sarà dunque la difesa principale.
Responsabilità penale: Sebbene la domanda sia incentrata sugli aspetti giuridici non penali, vale la pena accennare che l’omessa vigilanza può avere riflessi anche penali per i sindaci in alcuni casi: ad esempio, se non impediscono agli amministratori di compiere reati fallimentari (distrazioni, falsi), possono essere incriminati per concorso omissivo in bancarotta. La Cassazione ha riconosciuto la responsabilità penale del sindaco che, pur potendo attivarsi, ha tollerato operazioni dolose degli amministratori (c.d. “bancarotta impropria omissiva del sindaco”). Nel nuovo Codice della Crisi c’è poi l’art. 323 CCII che sanziona penalmente l’omessa presentazione del ricorso in caso di insolvenza conclamata: in teoria potrebbe applicarsi agli amministratori ma, chissà, un domani il concorso dei sindaci se hanno ostacolato l’accesso tempestivo alla procedura. Questo solo per dire che, anche sotto il profilo penalistico, un atteggiamento negligente nella gestione della crisi espone i controllori a rischi gravi.
Esempi giurisprudenziali recenti: Oltre al caso Napoli 2023 già citato, altre pronunce hanno sottolineato la posizione di garanzia dei sindaci: Tribunale di Venezia 23 giugno 2023 ha ribadito che i sindaci devono attivarsi per tempo e non possono limitarsi a rilevare tardivamente la crisi senza far nulla; Tribunale di Roma 23 novembre 2022 in Giurisprudenza delle Imprese ha affermato la corresponsabilità dei sindaci per l’aggravamento del dissesto in una società consortile, condannandoli per non aver impedito il protrarsi di operazioni già perditevoli. Sono tutti segnali di un approccio severo ma coerente con la volontà legislativa di “mettere pressione” agli organi di controllo affinché facciano il loro dovere a tutela del tessuto economico.
Responsabilità verso terzi fuori dalla procedura concorsuale: Anche un singolo creditore può teoricamente citare i sindaci per responsabilità extracontrattuale (se prova che per colpa dei sindaci il patrimonio sociale è diminuito e lui ha subito un danno da ciò). Tuttavia, la riforma ha consolidato l’idea che questi danni confluiscono nell’azione unitaria del curatore, per evitare disparità. Comunque un creditore sociale può utilizzare l’arma del 2409 c.c. se ravvisa situazioni pregiudizievoli.
In conclusione, le responsabilità incombenti sull’organo di controllo sono oggi tanto elevate quanto le funzioni loro assegnate: grandi poteri, grandi responsabilità, verrebbe da dire. Il legislatore ha però costruito un sistema bilanciato: chi, tra i sindaci e i revisori, svolgerà diligentemente e tempestivamente i propri compiti di allerta e vigilanza, sarà protetto e non dovrà temere azioni di responsabilità (anzi, in caso di salvataggio dell’impresa ne trarrà merito professionale); chi invece resterà inerte o negligente, facendosi “trascinare” dall’inerzia altrui, potrà essere chiamato a rispondere dei danni patiti dalla società e dai suoi creditori. Dalla prospettiva del debitore, avere un organo di controllo responsabile significa anche avere una rete di sicurezza: se i sindaci fanno il loro mestiere, l’impresa ha più chance di evitare il tracollo; se non lo fanno, comunque vi sarà per i creditori la possibilità di rifarsi su di loro mitigando le perdite. In ogni caso, il messaggio è chiaro: il collegio sindacale non è più un semplice controllore formale, ma un attore cruciale del sistema di prevenzione e gestione della crisi, e come tale deve agire o ne pagherà le conseguenze.
Domande frequenti (FAQ)
D: Quando scatta l’obbligo di segnalazione da parte dell’organo di controllo?
R: L’obbligo di segnalazione interna scatta non appena i sindaci (o il revisore) vengono a conoscenza di condizioni di difficoltà che rendono probabile la crisi o l’insolvenza e che, a loro giudizio, richiedono l’attivazione della composizione negoziata. In pratica, al manifestarsi di segnali di allarme significativi – ad esempio perdite di esercizio rilevanti, gravi carenze di liquidità, debiti scaduti di importo elevato rispetto al patrimonio, indici di pre-crisi definiti nell’art. 3 CCII (come debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni superiori ai non scaduti, ecc.) – i sindaci devono procedere alla segnalazione senza indugio. La legge considera tempestiva la segnalazione effettuata entro 60 giorni da quando l’organo di controllo ha avuto conoscenza (o avrebbe dovuto averla usando normale diligenza) della situazione di crisi. Oltre quel termine, il loro silenzio può essere giudicato colpevole. Conviene quindi muoversi al primo riscontro di squilibri importanti, senza aspettare la chiusura dell’esercizio o eventi esterni.
D: Come deve avvenire, in concreto, la segnalazione degli organi di controllo agli amministratori?
R: La segnalazione deve essere fatta per iscritto e inviata con mezzi che garantiscano la prova della ricezione – tipicamente tramite PEC (posta elettronica certificata) o lettera raccomandata. Nella comunicazione, l’organo di controllo deve motivare le ragioni dell’allerta, indicando quali elementi fanno ritenere sussistenti i presupposti per la composizione negoziata (ad esempio: “la società presenta perdite significative e tensioni di cassa che minacciano la continuità aziendale, come da dati X, Y, Z”). Inoltre, deve essere fissato un termine (congruo, max 30 giorni) entro cui il consiglio di amministrazione è invitato a riferire in merito alle iniziative intraprese. Di norma si intima quindi al CdA di riunirsi e rispondere entro tale termine, specificando se intende presentare istanza di nomina dell’esperto o quali altre azioni correttive adotterà. È buona prassi che la PEC sia indirizzata a tutti i membri del CdA, al fine di coinvolgere l’intero organo amministrativo. La segnalazione deve provenire dal presidente del collegio sindacale (o dal sindaco unico), previa delibera del collegio se esistente. Nel caso di società con revisore unico e senza collegio sindacale (dopo la riforma 2024), anche il revisore dovrà emettere un’analoga comunicazione scritta, nelle forme suddette, essendo stato equiparato ai sindaci.
D: Cosa succede se gli amministratori ignorano la segnalazione del collegio sindacale?
R: Se, entro il termine assegnato (massimo 30 giorni), l’organo amministrativo non fornisce risposta o comunque non assume alcuna iniziativa concreta per affrontare la crisi, la nuova disciplina impone all’organo di controllo di passare al livello successivo. In particolare, dal 28 settembre 2024, l’art. 25-octies CCII stabilisce che l’inerzia degli amministratori costituisce “presupposto per la presentazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata” direttamente da parte dell’organo di controllo (collegio sindacale o revisore). Ciò significa che, di fronte a un CdA immobile, i sindaci devono attivarsi in prima persona: delibereranno di presentare loro stessi l’istanza sulla piattaforma telematica, caricando la documentazione richiesta (verosimilmente con l’ausilio dei consulenti interni). In pratica sostituiscono il CdA nell’avviare la procedura. Questa è la novità maggiore introdotta dal correttivo ter 2024. Prima di essa, i sindaci in caso di mancata reazione potevano solo insistere, informare i soci o – in ipotesi estreme – denunciare le irregolarità al tribunale ex art. 2409 c.c., senza però poter loro stessi accendere la composizione negoziata. Oggi invece hanno questo potere/dovere. Pertanto, se la segnalazione rimane lettera morta, l’organo di controllo non può disinteressarsene: deve procedere all’attivazione sostitutiva della composizione negoziata. Va aggiunto che, nel periodo precedente all’entrata in vigore del correttivo (2021-2024), anche se non c’era un obbligo espresso di presentare l’istanza, la perdurante inerzia degli amministratori dopo la segnalazione li esponeva comunque a gravi rischi (potenziali azioni di responsabilità) e i sindaci erano tenuti a valutare altre azioni (come convocare l’assemblea o allertare i soci). In ogni caso, l’inerzia del CdA non esonera i sindaci dal loro dovere di protezione dell’impresa: se non fanno nulla, ne risponderanno insieme agli amministratori.
D: L’organo di controllo può davvero presentare direttamente l’istanza di composizione negoziata al posto del CdA? In che modo?
R: Sì. La riforma ha previsto questa evenienza e, sebbene restino da definire alcuni dettagli pratici, il meccanismo è chiaro: trascorsi inutilmente i 30 giorni dalla segnalazione, l’organo di controllo (o il revisore) ha legittimazione autonoma a depositare l’istanza di nomina dell’esperto. Lo farà utilizzando la stessa piattaforma telematica utilizzata dall’imprenditore (accessibile dal sito di Unioncamere/Camera di Commercio), presumibilmente autenticandosi come professionista delegato. Potrà anche allegare la propria segnalazione come documento di supporto. Naturalmente, per poter predisporre l’istanza, i sindaci avranno bisogno della collaborazione minima dell’azienda (ad esempio per ottenere i bilanci, l’elenco dei creditori, ecc., se non ne dispongono già). Se gli amministratori si mostrano ostili o non forniscono i dati, i sindaci potrebbero raccoglierli in autonomia – d’altronde hanno diritto di accesso a libri e scritture. In caso di ostruzionismo totale del management, si aprirebbe un conflitto societario: i sindaci probabilmente informeranno anche i soci maggiori della necessità di intervenire. Dal punto di vista giuridico, comunque, l’istanza presentata dai sindaci ha la stessa efficacia di quella presentata dall’imprenditore: una volta accolta, l’esperto verrà nominato e le trattative si svolgeranno con il coinvolgimento degli amministratori (che pur non avendo preso l’iniziativa, dovranno cooperare, altrimenti rischiano sanzioni per violazione dei doveri). In sostanza, è una supplenza procedurale per salvaguardare l’impresa malgrado l’inerzia di chi la gestisce. Questo potere, però, è da usare come extrema ratio: si presume che i sindaci lo esercitino solo se c’è effettiva prospettiva di risanamento – diversamente, se l’azienda è già insolvente irrecuperabile, essi dovrebbero piuttosto sollecitare il ricorso a insolvenza (concordato o liquidazione). Dunque, è uno strumento per evitare che per testardaggine o sottovalutazione l’imprenditore salti un’opportunità di risanamento.
D: Cosa rischiano i sindaci (o il revisore) se non adempiono a questi obblighi di segnalazione e vigilanza?
R: Rischiano di incorrere in responsabilità civili verso la società e verso i creditori, oltre che in provvedimenti di rimozione dall’incarico e, nei casi estremi, possibili implicazioni penali. In termini civilistici, il mancato adempimento dei doveri di allerta e vigilanza è considerato un inadempimento agli obblighi imposti dalla legge, fonte di responsabilità ai sensi dell’art. 2407 c.c. (per i sindaci) e dell’art. 15 D.Lgs. 39/2010 (per i revisori). Ciò significa che, se a causa della loro inerzia la crisi si aggrava e si produce un danno patrimoniale (ad esempio, aumento del deficit fallimentare, perdita di chance di risanamento, sanzioni per tardivo fallimento, ecc.), i sindaci/revisori potranno essere chiamati in giudizio per risarcire tali danni. Tipicamente, sarà il curatore fallimentare a promuovere l’azione di responsabilità dopo il fallimento, imputando ai controllori la colpa di non aver attivato per tempo gli strumenti disponibili (o di non aver impedito condotte dannose degli amministratori). La giurisprudenza sta già confermando questo approccio: il Tribunale di Napoli (2023) ha condannato un collegio sindacale per non aver rilevato e segnalato tempestivamente una grave situazione di indebitamento e perdita capitale, affermando che così facendo i sindaci hanno consentito la prosecuzione abusiva dell’attività con incremento del danno ai creditori. Dunque, omissioni e ritardi si traducono in corresponsabilità. Dal lato opposto, invece, la legge “premia” i sindaci diligenti: l’art. 25-octies CCII specifica che la tempestiva segnalazione e la vigilanza sulle trattative sono elementi valutati per escludere o attenuare la responsabilità ex art. 2407 c.c. e art. 15 D.Lgs. 39/2010. Ciò vuol dire che se il sindaco può provare di aver suonato l’allarme nei tempi giusti e di aver seguito con cura la vicenda, difficilmente potrà essergli addebitato il successivo dissesto (che semmai sarà colpa degli amministratori che non hanno reagito in modo adeguato). Oltre al profilo risarcitorio, i sindaci inerti rischiano la revoca per giusta causa: i soci (o il tribunale ex art. 2409 c.c.) potrebbero rimuoverli dall’incarico se scoprono che non hanno vigilato sulla crisi. Quanto ai possibili risvolti penali, vanno considerati reati come la bancarotta semplice per aver aggravato il dissesto, o il concorso in bancarotta fraudolenta per omesso impedimento di atti distrattivi: ipotesi residuali ma non da escludere se il comportamento omissivo è molto grave e si accompagna a condotte illecite degli amministratori. In definitiva, i sindaci che ignorino i loro doveri di allerta espongono sé stessi a conseguenze pesanti – danno doppio perché, oltre al danno per la società, subiscono il danno reputazionale e patrimoniale di dover risarcire di tasca propria.
D: Quali vantaggi ottiene l’imprenditore (debitore) se l’organo di controllo segnala tempestivamente la crisi e avvia la composizione negoziata?
R: Dal punto di vista dell’imprenditore, un organo di controllo solerte che attiva per tempo l’allerta può sembrare inizialmente “scomodo”, ma in realtà porta diversi vantaggi tangibili:
- Maggiori chance di risanamento: prima si interviene sulla crisi, più possibilità ci sono di salvare l’azienda. La segnalazione tempestiva consente di accedere alla composizione negoziata quando la situazione non è ancora compromessa del tutto, aumentando la probabilità di trovare accordi sostenibili con i creditori. In altre parole, i sindaci attivi regalano al debitore il bene più prezioso: il tempo.
- Misure premiali e agevolazioni: il legislatore ha previsto che l’imprenditore che si muove per tempo possa godere di alcuni benefici. Ad esempio, se durante la composizione negoziata si raggiunge un accordo, i debiti fiscali e contributivi possono essere rateizzati fino a 6 anni (72 rate) e con riduzione di sanzioni e interessi. Oppure l’azienda può ottenere finanziamenti prededucibili per l’attuazione del piano. Anche l’accesso al Fondo centrale di garanzia PMI è facilitato in alcuni casi di composizione negoziata. Inoltre, in caso di successivo concordato o liquidazione, l’aver tentato la composizione negoziata è considerato positivamente (ad esempio ai fini di esdebitazione, l’imprenditore che ha cooperato prima non è sanzionato per eventuali ritardi).
- Protezione del patrimonio dal degrado: grazie all’allerta, l’impresa può attivare misure protettive (come la sospensione delle azioni esecutive dei creditori, previa istanza al tribunale) e misure cautelari durante le trattative, mettendosi al riparo da pignoramenti e insolvencies a catena mentre cerca una soluzione. Ciò preserva la continuità aziendale. Senza allerta, invece, i creditori avrebbero potuto agire in modo disordinato, magari portando l’azienda al default incontrollato.
- Mantenimento del controllo e riservatezza: la composizione negoziata è volontaria e riservata. Ciò significa che, se attivata in tempo, l’imprenditore può condurre le trattative restando al timone della sua azienda (non interviene un commissario come nel concordato preventivo) e senza il clamore pubblico di un fallimento o di un concordato. Questo consente di proteggere l’avviamento e la reputazione aziendale. È certamente preferibile per un imprenditore affrontare le difficoltà in modo riservato, evitando la pubblicità che un’istanza di fallimento comporterebbe.
- Maggiore fiducia da parte dei creditori: paradossalmente, un’imprenditore che ha un collegio sindacale attento trae credibilità: i creditori percepiscono che l’azienda sta affrontando la crisi con serietà e con un sistema di controllo robusto. Ciò può predisporli meglio a negoziare. Molti creditori istituzionali (banche in primis) guardano con favore ad aziende che attivano per tempo gli strumenti di composizione e sono disposte a supportarle più volentieri (anche grazie alle linee guida dell’ABI e alle esimenti di responsabilità per le banche che negoziano ristrutturazioni).
- Riduzione del rischio di condotte distrattive e di responsabilità personali: un imprenditore che ignora i problemi rischia di incorrere in condotte di gestione irregolare (pagamenti preferenziali, incremento del debito tributario, ecc.) che potrebbero poi essergli contestate come mala gestio o addirittura reati. L’intervento dei sindaci “costringe” l’amministratore a operare in un alveo controllato e a seguire la procedura negoziata. Questo, paradossalmente, lo tutela anche a livello personale: se poi il salvataggio non riesce e l’azienda fallisce, potrà dire di aver fatto il possibile e l’aver seguito il consiglio dei sindaci (allerta) sarà un punto a suo favore per evitare eventuali sanzioni (es. in sede fallimentare, il giudice valuterà positivamente chi ha provato una composizione piuttosto che chi ha nascosto la polvere sotto il tappeto).
In breve, la segnalazione tempestiva dell’organo di controllo è un “male necessario” che si traduce in un bene per l’impresa: permette di attivare soluzioni assistite prima che sia troppo tardi, con benefici sia economici (conservazione del valore aziendale, risparmi su sanzioni, ecc.) sia giuridici (tutela da azioni esecutive, miglior trattamento in eventuali procedure concorsuali successive).
D: Il revisore legale dei conti ha gli stessi obblighi di segnalazione e attivazione del collegio sindacale?
R: Sì, a partire dal settembre 2024 il revisore legale è stato formalmente equiparato al collegio sindacale in materia di allerta. La riforma del Codice della Crisi operata con D.Lgs. 136/2024 ha modificato l’art. 25-octies CCII includendo “il soggetto incaricato della revisione legale” tra coloro che devono segnalare per iscritto agli amministratori la presenza di indizi di crisi e – in caso di inerzia del CdA – attivarsi per presentare l’istanza di composizione negoziata. Dunque, nelle società in cui è nominato solo il revisore unico (senza collegio sindacale), il revisore ha ora esattamente gli stessi compiti di un sindaco unico: monitorare gli assetti, rilevare tempestivamente gli squilibri e inviare la lettera di segnalazione ai sensi dell’art. 25-octies. Se la società ha sia collegio sindacale che revisore, teoricamente entrambi hanno il dovere di segnalare – in pratica potrà coordinarsi un’azione congiunta (verosimilmente, sarà il collegio a emanare la segnalazione e il revisore ne sottoscriverà l’avallo, per evitare duplicazioni). Prima del 2024, la legge non menzionava il revisore tra i soggetti obbligati alla segnalazione, il che aveva creato dubbi: molti ritenevano che comunque il revisore dovesse attivarsi eticamente in presenza di crisi, ma non vi era un obbligo testuale. Ora questo dubbio è risolto. Ne consegue che anche il revisore – al pari dei sindaci – se omette di segnalare e la crisi peggiora può essere chiamato a risponderne, mentre se segnala nei termini potrà andare esente da responsabilità. Va sottolineato che, dal punto di vista pratico, al revisore mancano alcuni poteri ispettivi tipici dei sindaci (non partecipa alle riunioni gestionali, ad esempio), quindi egli rileverà i segnali di crisi prevalentemente attraverso la sua attività di revisione contabile: analisi di bilancio, verifiche di cash flow, test sui debiti scaduti, ecc. In particolare, i principi di revisione impongono al revisore di valutare se esistono “eventi o circostanze che possono generare dubbi significativi sulla capacità dell’impresa di continuare a operare”. Se ne trova, deve comunicarlo nella relazione. Ora, parallelamente, dovrà anche attivare la procedura di allerta interna. In sintesi: sì, oggi il revisore legale ha lo stesso ruolo attivo dell’organo di controllo societario nel prevenire la crisi (mentre prima il suo ruolo era più defilato). Questo cambiamento richiede ai revisori di organizzarsi per monitorare indicatori gestionali anche al di fuori del processo di audit annuale, magari con check infrannuali, per non farsi sfuggire segnali tra un bilancio e l’altro.
D: L’organo di controllo può essere ritenuto responsabile anche verso i creditori sociali, e non solo verso la società, in caso di aggravamento del dissesto?
R: Sì. In caso di fallimento (liquidazione giudiziale) della società, il danno patito dalla massa dei creditori a causa dell’aggravarsi della crisi per omessa vigilanza dei sindaci è fatto valere dal curatore fallimentare tramite l’azione di responsabilità prevista dall’art. 146 L.F., che cumula azione sociale e azione dei creditori. In altre parole, i creditori sociali non agiscono individualmente, ma attraverso il curatore chiedono il risarcimento ai sindaci (oltre che agli amministratori) per la perdita patrimoniale subita – tipicamente identificata nel maggior deficit fallimentare. Ad esempio, se al momento in cui la società era in crisi reversibile il deficit patrimoniale era di 100 e al momento del fallimento è di 1000, i curatore potrebbe imputare ai sindaci (e amministratori) quei 900 di aggravamento, sostenendo che una gestione tempestiva della crisi l’avrebbe evitato. I giudici spesso determinano questo danno in via equitativa confrontando patrimonio a certa data vs patrimonio finale. Quindi, concretamente, i sindaci rispondono verso i creditori per il pregiudizio arrecato dall’aver lasciato lievitare il dissesto. Anche se formalmente l’azione è unica (società + creditori via curatore), si suol dire che i sindaci hanno pure una responsabilità “verso i creditori sociali” quando omettano di tutelarli impedendo atti di mala gestione. Una fattispecie lampante, ricorrente in giurisprudenza, è la prosecuzione abusiva dell’attività con perdita del capitale: i creditori fornitori contrattati durante quel periodo di “zombie” aziendale spesso non vengono poi pagati. La Cassazione e la giurisprudenza di merito hanno riconosciuto che i sindaci rispondono verso questi creditori per non aver fermato per tempo l’attività o non aver provocato la liquidazione, consentendo che maturassero ulteriori debiti inesigibili. Ad esempio, nella sentenza del Tribunale di Napoli 2023, i sindaci sono stati condannati a risarcire proprio l’importo delle sanzioni fiscali e dei nuovi debiti accumulati nel periodo in cui la società ha continuato ad operare malgrado fosse sotto capitale minimo. Va detto che al di fuori del fallimento è raro che un singolo creditore agisca direttamente contro i sindaci – c’è teoricamente spazio per un’azione aquiliana individuale in casi di dolo o colpa grave verso un creditore particolare, ma la prassi è che il curatore aggreghi le pretese. Comunque sì, l’organo di controllo risponde anche verso i creditori quando la sua omissione lede il patrimonio sociale destinato a garantire le loro ragioni. Questa responsabilità è il motivo per cui nel 2019 è stato reintrodotto il controllo obbligatorio nelle PMI oltre certe soglie: il legislatore ha voluto più sindaci/revisori nelle piccole società per proteggere meglio i creditori, riducendo il fenomeno delle insolvenze tardive. Dunque c’è un filo diretto: dovere di allerta dei sindaci = tutela anticipata dei creditori.
D: Cosa deve fare il collegio sindacale se si accorge che la società ha perdite rilevanti che riducono il capitale oltre i limiti di legge?
R: Deve immediatamente agire per far rispettare agli amministratori gli obblighi previsti dagli articoli 2446, 2447 (per S.p.A.) o 2482-bis, 2482-ter (per S.r.l.) del codice civile. In particolare, se emerge da situazioni contabili che il capitale sociale ha subito perdite superiori a 1/3, i sindaci devono assicurarsi che il CdA convochi senza indugio l’assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti (riduzione del capitale e suo eventuale aumento, oppure trasformazione o scioglimento). Se la perdita >1/3 porta il capitale sotto il minimo legale, allora l’obbligo di convocazione assembleare è ancora più stringente (entro 120 giorni ex art. 2447/2482-ter). Se gli amministratori non ottemperano, il collegio sindacale deve farsi promotore: può autonomamente convocare l’assemblea dei soci per discutere la situazione patrimoniale. La giurisprudenza è costante nell’affermare che il collegio sindacale ha questo potere-dovere sostitutivo (riconducibile all’art. 2406 c.c. e, per le S.r.l., applicabile per analogia), pena la responsabilità per omessa attivazione. Una volta convocata l’assemblea, se i soci non intendono ricapitalizzare né vi sono soluzioni, i sindaci dovranno insistere perché si deliberi lo scioglimento e la messa in liquidazione della società. Nel caso estremo in cui né amministratori né assemblea facciano nulla e l’attività prosegua illegalmente, i sindaci dovrebbero valutare la denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. segnalando le gravi irregolarità (ovvero la continuazione dell’attività in violazione di legge). Questo potrebbe portare alla nomina di un amministratore giudiziario. In parallelo, se la perdita di capitale è specchio di uno stato di crisi o insolvenza, i sindaci dovranno attivare anche il percorso di allerta/composizione negoziata come visto. Da notare che la perdita di capitale spesso è uno degli indicatori di crisi (patrimonio netto negativo o ridotto all’osso). Dunque, in sintesi: il collegio sindacale deve reagire prontamente alle perdite: prima sollecitando il CdA a predisporre la situazione patrimoniale aggiornata e a convocare i soci, poi intervenendo in proprio se il CdA latita, e infine rivolgendosi all’autorità giudiziaria se nessun provvedimento è preso e l’impresa, tecnicamente fuori legge, continua a operare arrecando danno a creditori. I sindaci che non facciano nulla in tale scenario rischiano, come detto, pesanti responsabilità (perché permettono la prosecuzione abusiva). La tempestiva attivazione invece li tutela. Ovviamente, se la perdita è così grave da preludere all’insolvenza, il collegio contestualmente inviterà gli amministratori a valutare procedure concorsuali o la stessa composizione negoziata se c’è margine di risanamento.
D: In cosa la composizione negoziata si differenzia dal precedente sistema di “allerta” introdotto dal Codice della Crisi?
R: La composizione negoziata (DL 118/2021 e s.m.i.) ha sostituito di fatto le procedure di “allerta e composizione assistita” previste originariamente dal Codice della Crisi (artt. 12-15 CCII previgenti) con un approccio più volontario, confidenziale e centrato sull’accordo negoziato. Le principali differenze:
- Nell’allerta “vecchio stile” erano previsti due attori: l’organo di controllo e i creditori pubblici dovevano segnalare all’OCRI (Organismo di composizione della crisi) la crisi dell’impresa. L’OCRI era un ente terzo (istituito presso le Camere di Commercio) che avrebbe convocato l’imprenditore e, valutata la situazione, avrebbe potuto assisterlo tramite un collegio di esperti. La procedura era semi-coattiva: se i sindaci segnalavano all’OCRI, l’imprenditore era di fatto portato davanti a un organo pubblico. C’era anche una sezione misure premiali e sanzionatorie collegate. Questo sistema non è mai entrato in vigore (sarebbe dovuto partire nel 2020, posticipato al 2022 e poi sostituito).
- Nella composizione negoziata, invece, non c’è un organismo terzo che “convoca” d’ufficio l’imprenditore in base alla segnalazione: tutto ruota attorno all’istanza volontaria dell’imprenditore. L’organo di controllo e i creditori pubblici segnalano all’imprenditore stesso (e al suo organo amministrativo), invitandolo a presentare l’istanza di nomina dell’esperto. Quindi l’allerta è interna, mentre l’OCRI del vecchio sistema era un’allerta esterna pubblica. La composizione negoziata è una procedura facoltativa e riservata, attivabile solo su iniziativa del debitore (anche se, come visto, ora i sindaci possono un po’ “forzare la mano” presentando essi l’istanza, ma sempre nell’interesse del debitore).
- Sul piano delle tutele, la composizione negoziata offre misure protettive simili a quelle che l’allerta/OCRI avrebbe previsto, ma queste misure devono essere richieste al tribunale e pubblicate nel registro imprese (quindi attivate solo se il debitore lo vuole). L’OCRI invece prevedeva misure protettive quasi automatiche sin dalla convocazione.
- Il ruolo dell’organo di controllo: prima doveva segnalare all’OCRI e, se il CdA non vi provvedeva, poteva farlo esso stesso trascorsi 30 giorni (art. 14 CCII orig.). Ora invece segnala al CdA e, se ignorato, attiva direttamente la procedura (non c’è l’OCRI come intermediario). Quindi i sindaci oggi dialogano con l’imprenditore e collaborano col suo esperto, mentre nel vecchio sistema avrebbero interagito con un organismo semi-giudiziario.
- Quanto ai creditori pubblici, prima avrebbero dovuto segnalare all’OCRI (art. 15 CCII previgente) con soglie più basse; ora segnalano direttamente al debitore invitandolo alla composizione negoziata. La logica però è simile: rilevano i ritardi e li notificano.
- Un altro elemento: l’OCRI era percepito come un strumento di allerta precoce “poliziesco”, in quanto prevedeva l’intervento di un organo terzo che, se l’imprenditore non cooperava, poteva informare il tribunale (che a sua volta poteva aprire d’ufficio la liquidazione giudiziale). La composizione negoziata è invece collaborativa e volontaria: se l’imprenditore non coopera, l’esperto si limita a chiudere la procedura, senza trascinarlo in tribunale (salvo che i creditori nel frattempo non abbiano preso iniziative).
- In sintesi: l’allerta OCCRI era più coattiva e pubblica; la composizione negoziata è volontaria e privata. Dal punto di vista pratico, la negoziata ha incontrato meno resistenze culturali e sta funzionando (oltre 400 istanze nel primo anno), mentre l’allerta OCRI fu molto osteggiata dal mondo imprenditoriale e mai attuata. Per i sindaci, in ogni caso, il ruolo di “sentinella” rimane, con la differenza che oggi accompagnano l’imprenditore in un percorso che comunque resta sotto il suo controllo, mentre con l’OCRI lo avrebbero portato di fronte a un organismo terzo. Questa differenza di approccio è stata ritenuta più rispettosa dell’autonomia imprenditoriale e quindi più efficace nel persuadere i debitori a farsi aiutare.
D: Come interagisce l’organo di controllo con l’esperto nominato nella composizione negoziata?
R: L’organo di controllo svolge con l’esperto un rapporto di leale collaborazione informativa. Appena nominato, l’esperto indipendente ha facoltà di ottenere dall’organo di controllo (collegio sindacale o revisore) tutte le informazioni utili sulla società. In pratica, i sindaci sin dal primo incontro possono riferire all’esperto le cause della crisi che hanno individuato, lo stato degli adeguati assetti, l’attendibilità dei dati di bilancio e qualunque elemento significativo (ad esempio vertenze legali pendenti, etc.). L’esperto terrà conto di queste informazioni per valutare la presenza di concrete prospettive di risanamento. Durante le trattative, l’organo di controllo continua a monitorare l’operato dell’imprenditore e può interfacciarsi regolarmente con l’esperto: ad esempio, se i sindaci rilevano atti gestionali anomali durante la negoziazione, possono informarne riservatamente l’esperto; analogamente, l’esperto può chiedere chiarimenti o documenti ai sindaci (verbali, relazioni) per comprendere meglio la situazione. Inoltre, l’art. 17 CCII prevede che l’esperto valuti la sussistenza di prospettive di risanamento “anche alla luce delle informazioni assunte dall’organo di controllo e dal revisore”, segno che il legislatore attribuisce ai sindaci un ruolo quasi di ausiliari dell’esperto nel fotografare la realtà aziendale. Spesso, l’esperto convoca periodicamente l’imprenditore per fare il punto e in tali riunioni può essere utile che partecipi anche il presidente del collegio sindacale, se tutte le parti concordano, in modo da avere tavoli tecnici congiunti. Formalmente i sindaci non negoziano con i creditori (non è compito loro), ma possono essere presenti a incontri cruciali (ad esempio con banche) per dare conforto sulla veridicità dei dati o sull’impegno della società a rispettare gli accordi, fungendo da garante morale. Tutto questo però avviene su invito dell’imprenditore e dell’esperto; i sindaci non devono imporsi ma offrire supporto. In ogni caso, il flusso informativo è aperto: i sindaci possono accedere alla piattaforma telematica (se autorizzati) per vedere i documenti caricati e le proposte scambiate, mantenendosi così aggiornati. In sintesi, l’interazione sindaci–esperto è basata su scambio di informazioni e vigilanza condivisa sull’andamento delle trattative. L’esperto è un alleato dei sindaci nel comune obiettivo di risanare l’impresa: entrambi, ciascuno nel proprio ruolo, mirano a trovare una soluzione equilibrata. I sindaci però restano organi della società, quindi fanno gli interessi del complesso dei soci e creditori, mentre l’esperto è un facilitatore neutrale. Ecco perché i sindaci dovranno essere sinceri e trasparenti con l’esperto (non nascondere problemi interni, altrimenti lo ingannerebbero) e allo stesso tempo vigilare che l’esperto operi nell’interesse dell’impresa (ad esempio segnalando se qualche creditore ha comportamenti scorretti o se l’esperto magari non ha colto qualche aspetto tecnico). Questo rapporto di fiducia reciproca è cruciale: se funziona, l’esperto avrà un quadro completo e i sindaci potranno segnalare tempestivamente qualsiasi ostacolo, massimizzando le possibilità di un esito positivo della composizione negoziata.
D: L’organo di controllo è tenuto a riferire qualcosa ai soci durante o dopo la composizione negoziata?
R: Durante la procedura di composizione negoziata, il collegio sindacale non ha un obbligo legale di informativa ai soci ulteriore rispetto a quello ordinario (relazione al bilancio, eventuali assemblee su materie di loro competenza). La composizione negoziata, essendo riservata e gestita dall’organo amministrativo, non prevede necessariamente un coinvolgimento deliberativo dell’assemblea dei soci (a meno che lo statuto non lo richieda esplicitamente o che la situazione imponga scelte che rientrano nei poteri dei soci, come aumento di capitale, cessione di asset strategici che necessitino approvazione assembleare, ecc.). Tuttavia, in pratica i sindaci possono ritenere opportuno informare i soci – specialmente i soci di minoranza che magari non hanno rappresentanza in CdA – dell’esistenza della procedura e del suo andamento. Questo può avvenire, ad esempio, in occasione dell’assemblea annuale di approvazione del bilancio: nella relazione del collegio sindacale, se pertinente, i sindaci potranno dare conto che la società ha fatto ricorso alla composizione negoziata e magari indicare in sintesi gli effetti sul bilancio (accantonamenti, classificazione dei debiti ristrutturandi, etc.). Ovviamente dovranno rispettare la riservatezza verso l’esterno, ma all’interno dell’assemblea dei soci non violano la riservatezza se comunicano le informazioni essenziali (i soci sono tenuti alla confidenzialità a loro volta su questioni societarie delicate). Qualora la composizione negoziata si concluda con un accordo che richiede qualche deliberazione assembleare (es: emissione di strumenti finanziari, aumento di capitale riservato a nuovi investitori, ecc.), sarà il CdA a convocare l’assemblea, e in quella sede i sindaci potranno esprimere il loro parere sul piano concordato. Se invece la composizione negoziata fallisce e la società deve avviarsi a una procedura concorsuale, il collegio sindacale con tutta probabilità convocerà esso stesso l’assemblea per informare i soci e formalizzare le decisioni conseguenti (richiesta di concordato, liquidazione, etc.), qualora il CdA non l’abbia già fatto. In tal senso, i sindaci fungono da trait-d’union tra gestione e proprietà: assicurano che i proprietari dell’azienda siano messi al corrente di eventi straordinari come l’avvio di una trattativa di risanamento e possano dare il loro apporto (ad esempio, non di rado i soci vengono chiamati a iniettare liquidità per convincere i creditori sulla bontà del piano: i sindaci in assemblea possono sollecitare tali interventi spiegandone la necessità). In generale, comunque, durante la procedura la comunicazione ai soci è limitata al “necessario”. Al termine della composizione negoziata, invece, i sindaci nel loro verbale di vigilanza finale annoteranno l’esito e vigileranno sulla corretta esecuzione dell’eventuale accordo, riferendone ai soci nelle forme ordinarie (ad esempio, nelle note integrative di bilancio si darà disclosure degli accordi conclusi e i sindaci vigileranno su quell’informativa). Riassumendo: non c’è un obbligo formale di riferire ai soci in corso di negoziazione, ma i sindaci, se lo ritengono utile, possono informare e coinvolgere i soci – soprattutto nelle piccole società dove spesso soci = amministratori, la distinzione è poca. L’importante è mantenere la confidenzialità verso l’esterno: i soci non devono divulgare notizie della trattativa fuori dalla società per non minare il negoziato. I sindaci potrebbero ricordare questo aspetto in assemblea, ottenendo impegni di riservatezza.
D: Quali sono le sanzioni o le conseguenze se l’imprenditore (debitore) non collabora con l’esperto o abbandona la composizione negoziata?
R: La composizione negoziata si fonda sulla volontarietà e buona fede del debitore, quindi non prevede “sanzioni” dirette in caso di mancata collaborazione, se non la chiusura anticipata della procedura e la perdita dei benefici connessi. In particolare, se l’imprenditore non collabora, omettendo di fornire informazioni essenziali o adottando comportamenti ostruzionistici, l’esperto può dichiarare interrotte le trattative e far archiviare l’istanza. Questo, di per sé, non punisce legalmente il debitore, ma lo priva di uno strumento di tutela che aveva a disposizione: ad esempio, decadono eventuali misure protettive che erano state concesse (moratorie, sospensioni), riaprendo la strada ai creditori per agire individualmente. Inoltre, l’imprenditore che abbia palesemente abusato dello strumento potrebbe vedere compromessa la fiducia dei creditori – in futuro questi saranno meno inclini a negoziare e magari più rapidi a richiederne il fallimento. Non vi sono sanzioni amministrative o pecuniarie specifiche previste dalla legge in caso di abbandono. Tuttavia, se l’imprenditore durante la composizione ha goduto di misure protettive ed è emerso che le ha sfruttate in malafede (magari per dilapidare beni sotto la copertura dello “scudo”), potrebbero applicarsi a suo carico conseguenze negative in sede concorsuale successiva: il tribunale potrebbe valutare quell’atteggiamento per negare eventuali benefici (ad es. potrebbe ostacolare l’esdebitazione post-fallimentare, considerando la malafede). In via generale, ricordiamo che l’art. 4 CCII impone al debitore di gestire la crisi con correttezza e trasparenza: la violazione di questo dovere può riflettersi, se non altro, sul giudizio di meritevolezza per accedere a talune procedure (nel sovraindebitamento ad esempio esiste il concetto di meritevolezza; nel CCII per gli imprenditori commerciali è meno centrale, ma il comportamento tenuto nella composizione negoziata potrà essere valutato dal tribunale ad esempio se poi chiede un concordato). Dunque, più che sanzioni dirette, il debitore “non collaborativo” subisce effetti indiretti sfavorevoli: perde tempo prezioso (torna al punto zero della crisi, ma con meno tempo a disposizione), rischia azioni aggressive dei creditori senza più protezioni, brucia la fiducia degli stakeholder e potenzialmente pregiudica la sua posizione in eventuali procedure future. Non ultimo, se il debitore ha fornito dati falsi o incompleti durante la composizione, è prevista una specifica norma: l’art. 20, co.8 CCII (già D.L. 118/2021) dice che se il debitore ha occultato o falsificato informazioni rilevanti, il tribunale in sede di eventuale concordato potrà dichiarare inammissibile la domanda per difetto di buona fede. Inoltre, fornire documenti falsi all’esperto potrebbe integrare reati (falso, eventualmente bancarotta se c’è dolo nel distrarre). Insomma, è nell’interesse del debitore collaborare. Se abbandona volontariamente la procedura (può farlo in ogni momento revocando l’istanza), torna semplicemente alla situazione pre-esistente: i creditori possono riprendere le azioni, e dovrà trovare altre soluzioni. In conclusione, non ci sono sanzioni pecuniarie codificate, ma l’abbandono o la mancata cooperazione vanificano i benefici che la composizione offriva, lasciando il debitore esposto alle conseguenze della crisi senza rete di protezione. E i sindaci, in tale scenario, saranno tenuti a prendere atto e a promuovere i rimedi dovuti (come sollecitare procedure concorsuali se la situazione lo richiede).
D: Potete fare un esempio pratico di come dovrebbe operare correttamente un collegio sindacale durante una composizione negoziata?
R: Esempio: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera con 50 dipendenti. Nel corso del 2024 subisce un calo di ordini e accumula debiti verso fornitori (€500k) e banche (rata mutui arretrata). Il collegio sindacale di Alfa, già da metà anno, nota che l’indice di liquidità è in peggioramento e che vi sono ritardi nei pagamenti. A ottobre 2024 riceve anche una PEC dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione che segnala il superamento della soglia di €500.000 di cartelle esattoriali scadute e invita l’azienda ad attivare la composizione negoziata. A fronte di ciò, i sindaci – senza attendere il bilancio di fine anno – in novembre 2024 inviano una segnalazione formale al CdA (PEC al CEO e per conoscenza al CFO), indicando che: “sulla base delle evidenze contabili al 30/9 e tenuto conto della segnalazione del creditore pubblico, la società versa in condizioni di squilibrio che fanno presumere una probabile crisi; si invitano gli amministratori a valutare entro 20 giorni l’attivazione della composizione negoziata ex art. 17 CCII, riferendo allo scrivente collegio entro tale termine le decisioni assunte”. Il CdA, sollecitato anche dal socio di minoranza preoccupato, si riunisce e concorda che la situazione è critica ma recuperabile se si ottengono dilazioni dai creditori. Dunque, entro i 20 giorni, risponde ai sindaci comunicando la volontà di presentare l’istanza di composizione negoziata e chiedendo la loro collaborazione per predisporre i documenti. I sindaci prendono atto positivamente e assistono gli amministratori nel raccogliere i bilanci, nel redigere una situazione patrimoniale aggiornata, nel controllare l’elenco dei creditori e nell’abbozzare un piano industriale di rilancio (il presidente del collegio è un commercialista e dà suggerimenti sul piano finanziario semestrale richiesto). A dicembre 2024 la società deposita l’istanza sulla piattaforma. Dopo pochi giorni viene nominato l’esperto. Il collegio sindacale partecipa al primo incontro tra esperto e imprenditore (su invito di quest’ultimo), offrendo il proprio contributo: conferma i dati di bilancio, spiega che la crisi è dovuta a cause straordinarie (aumento prezzi materie prime) e segnala che i soci sono disposti a un eventuale aumento di capitale se i creditori supportano l’azienda. L’esperto apprezza la presenza dei sindaci perché gli trasmettono fiducia sulla trasparenza dell’operazione. Durante le trattative (gennaio-marzo 2025), l’esperto convoca periodicamente i sindaci per avere aggiornamenti: ad esempio, dopo aver incontrato le banche, chiede al presidente del collegio di verificare se l’azienda sta rispettando l’impegno di non pagare alcun fornitore fuori dal piano (cosa che i sindaci controllano nei flussi di cassa). I sindaci segnalano all’esperto che un fornitore ha tentato un pignoramento, ma che la società ha ottenuto misure protettive dal tribunale bloccandolo. L’esperto può così rassicurare gli altri creditori che la situazione è sotto controllo. Arrivati a marzo, l’esperto aiuta a formalizzare un accordo: le banche prorogano i mutui di 2 anni, i fornitori accettano un pagamento parziale del 80% in 12 mesi, i soci immettono €100k di nuovi fondi. I sindaci erano a conoscenza di queste trattative passo passo, e nel momento in cui l’accordo viene finalizzato (sotto forma di accordo stragiudiziale), partecipano alla riunione conclusiva e controfirmano per presa visione i termini, dichiarando a verbale che “vigileranno sull’esatta esecuzione degli impegni presi”. Dopo la chiusura della composizione negoziata, Alfa S.r.l. torna in bonis e inizia a pagare secondo gli accordi. Il collegio sindacale, nei mesi successivi, verifica ogni mese i pagamenti fatti: controlla le quietanze ai fornitori, verifica che le rate mutui rinviate siano riprese regolarmente dopo i 2 anni, e redige un breve report trimestrale al CdA e all’esperto (che per 6 mesi dopo la chiusura monitora l’adempimento) confermando che tutto procede come stabilito. Nell’assemblea di bilancio 2025, i sindaci nella loro relazione spiegano ai soci che grazie alla procedura di composizione negoziata la società si è risanata e che gli accordi sono stati sinora rispettati al 100%. I soci esprimono apprezzamento per l’operato sia del CdA che del collegio, la cui vigilanza è stata determinante. Questo esempio mostra i sindaci nel ruolo corretto: segnalatori tempestivi, consulenti nel predisporre il piano, garanti della regolarità durante le trattative e custodi dell’esecuzione degli accordi successivi. Così facendo hanno aiutato il debitore a uscire dalla crisi e si sono anche tutelati da possibili critiche.
D: E se invece l’organo di controllo non avesse agito così? (esempio negativo)
R: Caso Beta S.p.A.: i sindaci si accorgono tardi (a bilancio già chiuso) che l’azienda ha perso tutto il capitale e ha debiti erariali enormi; per quieto vivere non segnalano nulla, sperando che il CdA risolva. Il CdA non fa nulla e dopo un anno Beta fallisce, con aggravio di debiti. In questo scenario, quasi certamente il curatore citerà in giudizio i sindaci chiedendo il risarcimento del maggior deficit creatosi in quell’anno di inerzia. Il Tribunale, sulla scia di casi analoghi (Napoli 2023, Cass. 2020 n. 22077, etc.), li condannerà a rifondere il danno perché, se avessero segnalato prima o attivato misure, l’insolvenza sarebbe stata contenuta. Dunque Beta S.p.A. finisce male e i suoi sindaci ne pagano le conseguenze economiche.
Conclusioni
La figura dell’organo di controllo societario – collegio sindacale, sindaco unico o revisore legale – ha assunto, con la riforma della crisi d’impresa, un ruolo di primo piano nella salvaguardia dell’equilibrio aziendale e nella gestione anticipata delle difficoltà finanziarie. Dal punto di vista del debitore in crisi, un organo di controllo attento e proattivo è passato dall’essere un mero “controllore burocratico” a diventare un vero e proprio alleato nel risanamento. La normativa vigente (Codice della Crisi e integrazioni 2020-2024) affida ai sindaci compiti puntuali: monitorare costantemente gli indici economico-finanziari, segnalare tempestivamente gli indizi di crisi, stimolare gli amministratori ad attivare la composizione negoziata e, in caso di inerzia, farsi essi stessi promotori della procedura. Durante le trattative, devono continuare la loro vigilanza, cooperando con l’esperto indipendente e assicurando che l’impresa operi correttamente. Dopo la conclusione, vigilano sull’esecuzione degli accordi o sull’eventuale passaggio ad altre soluzioni. In parallelo, l’ordinamento ha mantenuto ferma (anzi, rafforzato) la responsabilità in capo all’organo di controllo per eventuali omissioni: oggi più che mai, l’inattività o la negligenza dei sindaci e dei revisori di fronte alla crisi espone questi ultimi ad azioni di responsabilità e a conseguenze anche personali molto serie. Si è quindi creata una forte spinta affinché i controllori interni svolgano il proprio ruolo con professionalità e tempestività.
Dal punto di vista dell’imprenditore-debitore, questo nuovo equilibrio va inteso non come un’ingerenza ostile, ma come un supporto prezioso. L’organo di controllo, infatti, agisce sì a tutela dei creditori e della legalità, ma così facendo protegge anche l’impresa stessa dal rischio di derive irreparabili. Un collegio sindacale che segnala per tempo una crisi offre all’imprenditore l’opportunità di attivare strumenti di composizione volontaria (negoziata) in condizioni ancora favorevoli, prima che la fiducia di mercato e la liquidità siano del tutto esaurite. Le statistiche iniziali mostrano che molte aziende stanno evitando il fallimento grazie a interventi precoci facilitati proprio dalle nuove norme di allerta. L’organo di controllo funge in sostanza da “sensore avanzato” della crisi: anticipa ciò che altrimenti verrebbe scoperto troppo tardi, e canalizza l’energia dell’impresa verso la soluzione più costruttiva (il negoziato). Naturalmente, ciò richiede anche un cambio di mentalità degli imprenditori: occorre fidarsi dei propri sindaci e collaborare con loro, vedendoli come consulenti e non come intralci. La composizione negoziata, in particolare, è un percorso in cui la cooperazione tra amministratori, organo di controllo ed esperto indipendente può fare la differenza tra un esito di successo e un fallimento annunciato.
Abbiamo visto come la legge abbia predisposto strumenti flessibili (dalle misure protettive agli accordi personalizzati) e come la giurisprudenza si stia allineando per punire chi rimane passivo e premiare chi agisce diligentemente. L’auspicio è che, grazie a questo nuovo assetto, si diffonda nelle imprese italiane – specie medio-piccole – una vera cultura della prevenzione: i controllori interni non più figure marginali, ma protagonisti attivi del buon governo societario, e le imprese stesse pronte a reagire subito ai segnali di crisi, senza più timori o tabù nel far emergere i problemi. Dal canto suo, lo Stato ha affiancato a questi obblighi anche incentivi concreti (fiscali e procedurali) per chi si attiva presto, segno di un approccio equilibrato fatto di doveri ma anche di benefici.
In conclusione, “Composizione negoziata: ruolo e funzioni dell’organo di controllo” può essere riassunto così: i sindaci e i revisori sono chiamati ad essere i guardiani responsabili della continuità aziendale. Se svolgono questo compito con rigore e prontezza, diventano un cardine del sistema di allerta precoce e un sostegno fondamentale per l’imprenditore nella navigazione della crisi; viceversa, se mancano al loro dovere, il sistema li considererà corresponsabili del naufragio. Per avvocati, consulenti e imprenditori, la lezione che emerge è chiara: un organo di controllo forte, competente e attivo è oggi un elemento imprescindibile di buona governance e la migliore garanzia, per il debitore stesso, di poter affrontare le difficoltà con chances di successo, minimizzando il rischio di soluzioni traumatiche. In definitiva, la composizione negoziata non è solo una procedura giuridica, ma un banco di prova dell’effettiva evoluzione del nostro diritto commerciale verso una logica di risanamento anziché di mera liquidazione: in questa evoluzione, l’organo di controllo recita un ruolo-chiave, divenendo da “cane da guardia tardivo” a “cane pastore” che guida il gregge (l’impresa) lontano dal burrone della crisi.
Fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali utilizzate
- Codice Civile – artt. 2086 c.c. (dovere di adeguati assetti e rilevazione tempestiva della crisi), 2403 c.c. (doveri del collegio sindacale), 2407 c.c. (responsabilità dei sindaci), 2477 c.c. (obbligo di nomina organo di controllo nelle s.r.l.) come modificati dal D.Lgs. 14/2019 e DL 32/2019.
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – in particolare artt. 3 CCII (adeguati assetti e indici di crisi), 12-15 CCII previgenti (sistema di allerta OCRI, poi sostituito), artt. 17-25-octies CCII (disciplina della composizione negoziata introdotta dal D.L. 118/2021 e integrata dal D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024).
- D.L. 24 agosto 2021 n.118, conv. in L. 147/2021 – “Misure urgenti in materia di crisi d’impresa” – introduzione della composizione negoziata; art. 15 D.L. 118/2021 (segnalazione dell’organo di controllo agli amministratori) e art. 2 (istanza di nomina esperto).
- D.L. 6 novembre 2021 n.152, conv. in L. 233/2021 (Decreto PNRR) – artt. 30-ter – 30-sexies – introduzione delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati con soglie specifiche e invito all’imprenditore ad accedere alla composizione negoziata.
- D.Lgs. 17 giugno 2022 n.83 (c.d. Correttivo bis CCII) – adeguamento al Dir. UE 2019/1023, integrazione composizione negoziata nel CCII e nozione di “probabilità di insolvenza” (stato di crisi) ex art. 2 CCII.
- D.Lgs. 12 settembre 2024 n.136 (c.d. Correttivo ter CCII) – modifica art. 25-octies CCII: estensione obblighi di allerta al revisore legale e potere di presentare l’istanza in caso di inerzia amministratori.
- Tribunale di Napoli, 26 luglio 2023, Pres. Di Martino – Sentenza in materia di responsabilità del collegio sindacale: sindaci responsabili per non aver rilevato tempestivamente indebitamento fiscale ingente e perdita del capitale; condanna per aggravamento del dissesto e prosecuzione abusiva attività.
- Cassazione Civile, sez. I, 6 febbraio 2023 n. 3552 – conferma obbligo di attivarsi in presenza di cause di scioglimento e quantificazione del danno da cattiva gestione continuata (art. 2486 c.c.), principio estensibile alla responsabilità dei sindaci in vigilando.
- Tribunale di Roma, sent. 23 novembre 2022 – afferma corresponsabilità dei sindaci per mancata attivazione di fronte a gestione rovinosa, con richiamo alla riforma della crisi.
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Conclusione
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