Società Di Fatto e Accertamento Fiscale: La Guida

Hai ricevuto un accertamento fiscale e l’Agenzia delle Entrate sostiene che tu faccia parte di una società “di fatto”? Non hai mai costituito formalmente una società, ma gestisci un’attività con un’altra persona?

Attenzione: anche senza atto scritto, una società di fatto può essere riconosciuta dal Fisco e comportare conseguenze molto serie sul piano tributario e patrimoniale. È quindi fondamentale capire quando si configura una società di fatto, quali sono i rischi fiscali e come difendersi.

Cos’è una società di fatto?

La società di fatto è una forma di società non costituita formalmente, ma che esiste nei fatti. Viene riconosciuta quando più persone:

– Collaborano stabilmente a un’attività economica
– Dividono utili, spese o responsabilità
– Operano verso terzi come se fossero una vera e propria impresa comune

Non serve un contratto scritto: per l’Agenzia delle Entrate bastano indizi concreti, come l’uso comune di un conto corrente, la presenza di beni condivisi, la co-intestazione di immobili strumentali o la partecipazione congiunta alla gestione dell’attività.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una società di fatto?

L’accertamento può scattare quando:

– Viene riscontrata una gestione comune e continuativa
– Emergono redditi non dichiarati o sproporzionati rispetto alle dichiarazioni
– Uno dei soggetti coinvolti ha già avuto verifiche fiscali
– Ci sono movimentazioni bancarie, acquisti o fatture condivise
– L’attività è svolta informalmente da più persone (es. familiari, soci occulti)

In questi casi, il Fisco può “riqualificare” l’attività come società di fatto, e procedere con un accertamento congiunto nei confronti di tutti i presunti soci.

Quali sono le conseguenze fiscali?

– Emissione di accertamento per redditi d’impresa
Attribuzione solidale dei debiti fiscali tra tutti i componenti della società di fatto
– Applicazione di sanzioni e interessi
– Possibile estensione ai beni personali dei soggetti coinvolti
– Rischio di segnalazione penale in caso di evasione grave

È possibile difendersi da una contestazione del genere?

Sì, ma serve un intervento tempestivo e mirato. È possibile:

– Dimostrare l’assenza di vincolo societario
– Contestare la ricostruzione dei redditi fatta dal Fisco
– Eccepire vizi di procedura o violazioni del contraddittorio
– Richiedere, se ci sono i presupposti, la nullità dell’accertamento congiunto

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Introduzione

La società di fatto è un fenomeno di grande rilevanza nel diritto tributario italiano. Si realizza quando due o più persone, pur non avendo stipulato un contratto societario formale o non avendo ottemperato agli adempimenti di iscrizione, operano di fatto come soci in un’attività economica comune. Dal punto di vista fiscale, la constatazione dell’esistenza di una società di fatto implica che l’Agenzia delle Entrate possa effettuare accertamenti tributari sulla “società” stessa e sui singoli soci, trattandoli come se fossero soci di una società di persone (SN C o società semplice). In pratica, il reddito dell’attività viene “trasparente” imputato direttamente ai presunti soci.

Definizione e requisiti della società di fatto

Il Codice Civile non contiene una definizione esplicita di società di fatto. Tuttavia, la giurisprudenza ha stabilito i requisiti perché una società sia qualificata come di fatto. In linea generale, occorre che:

  • Accordo (affectio societatis) fra due o più persone, pur senza atto scritto, finalizzato all’esercizio in comune di un’attività economica con scopo di lucro.
  • Fondo comune: reale apporto di beni, servizi o risorse economiche (anche immateriali) da parte dei soci «occulti».
  • Gestione congiunta: i soci partecipano alle decisioni e all’organizzazione dell’attività.
  • Ripartizione di utili e perdite: anche in modo implicito (non è necessaria una contabilità formale, ma deve emergere la volontà di suddividersi rischi e ricavi).

Come confermato da recente giurisprudenza, “non esiste nel codice civile una definizione di società di fatto, che viene formulata di fatto dalla giurisprudenza”. La Suprema Corte (Cassazione) ha ribadito che la società di fatto può essere provata con qualsiasi mezzo, anche attraverso prove orali o presunzioni, ai sensi dell’art. 2297 c.c. (che vale per la società semplice non iscritta). In altre parole, l’assenza di un contratto scritto o di iscrizione non impedisce al giudice di accertarne l’esistenza “aliunde”.

È dunque essenziale la valutazione di elementi di fatto concreti. Ad esempio, rilevano comportamenti esteriori dai quali un terzo possa ragionevolmente dedurre l’esistenza di un vincolo sociale. Se due o più persone operano “in affari” presentandosi al pubblico come soci (apportano capitale o beni all’impresa comune, firmano insieme contratti o ricevute, co-amministrano risorse), questo rafforza il quadro di una società di fatto. Cassazione e dottrina sottolineano l’importanza dell’affectio societatis (la volontà condivisa di collaborare) e della “esteriorizzazione” del vincolo societario.

In sintesi, il contribuente (socio o presunto tale) deve tener presente che, finché la società di fatto non è espressamente riconosciuta o esclusa in giudizio, l’Amministrazione finanziaria potrà procedere con verifiche ed accertamenti come se esistesse formalmente un organismo societario. Di conseguenza, i presunti soci rispondono in solido delle imposte dovute dalla “società di fatto”.

Società di fatto e regime fiscale (art. 5 TUIR)

Il regime fiscale della società di fatto è chiaramente definito nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). L’articolo 5, comma 3, lettera b) del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR) stabilisce che “le società di fatto sono equiparate alle società in nome collettivo o alle società semplici, secondo che abbiano o non abbiano per oggetto l’esercizio di attività commerciali”. Ciò implica:

  • Se l’attività è commerciale, la società di fatto è trattata come una S.n.c. (società in nome collettivo); altrimenti, come società semplice.
  • In pratica, il reddito complessivo della società di fatto viene imputato pro quota ai soci (trasparenza fiscale). Ciò avviene nel periodo d’imposta in cui viene conseguito il risultato economico. Ogni socio, quindi, dovrà includere la propria quota di reddito nella dichiarazione personale (IRPEF o impresa).

Non essendo obbligatoria l’iscrizione nel Registro delle Imprese, l’art. 2297 c.c. (sulla quale si fonda l’art. 5 TUIR) presume comunque che il socio “che agisce per la società abbia la rappresentanza sociale”. Questo rafforza il concetto che, anche in assenza di formalità, il singolo socio di fatto può vincolare l’ente verso terzi.

Da ciò deriva che, su di loro, grava responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni tributarie derivanti dall’attività sociale. In altre parole, l’Agenzia delle Entrate potrà chiedere il versamento delle imposte non pagate a ciascun socio, fino al completo soddisfacimento del debito fiscale.

Accertamento tributario sulla società di fatto

Quando l’Agenzia delle Entrate sospetta l’esistenza di una società di fatto, può avviare un accertamento tributario nei confronti della “società” e dei presunti soci. L’accertamento segue le regole generali del procedimento tributario, tenendo conto che:

  • L’ufficio deve dimostrare i fatti costitutivi della società di fatto. In concreto, dovrà fornire elementi di prova (anche indiziari) sui requisiti (affectio societatis, apporto comune, etc.). La giurisprudenza ha infatti affermato che è onere del contribuente dimostrare che i fatti contestati dall’accertamento non costituiscono rapporto societario (prova liberatoria), solo dopo che l’ufficio ha posto a fondamento elementi concreti.
  • Ricostruzione del reddito comune: L’ufficio può determinare il reddito della presunta società di fatto, ad esempio ricostruendolo per indizi (bancari, registri, scorte non giustificate, ecc.). Successivamente, tale reddito verrà suddiviso tra i soci secondo le quote di fatto possedute (ad es. percentuale di conferimento o merito organizzativo).
  • Onere della prova: Di norma, l’Amministrazione deve provare l’ammontare del reddito complessivo e l’esistenza dei soci. Tuttavia, quando l’accertamento si fonda su verifiche bancarie, si determina un’inversione dell’onere probatorio. In particolare, ai sensi dell’art. 32 del DPR 600/1973, i dati ricavabili dai conti correnti (prelevamenti, versamenti, movimenti) sono già considerati prova sufficiente dell’evasione ai fini dell’IRPEF. Dopodiché è il contribuente a dover provare operazione per operazione che i movimenti sospetti non costituiscono redditi imponibili. Questo vale tanto per il socio dell’impresa individuale quanto per l’eventuale società di fatto: l’ufficio presenta la “ricostruzione” e il contribuente la smonta con prove analitiche.

Litisconsorzio necessario

È importante considerare che, nel processo tributario, la questione dell’esistenza di una società di fatto comporta la partecipazione obbligatoria di tutti i soggetti coinvolti. Secondo la Corte di Cassazione, l’impugnazione di un avviso di accertamento fondato sulla presunta società di fatto richiede il litisconsorzio necessario di tutti i soci “di fatto”. In pratica, chi riceve l’atto impositivo deve coinvolgere nel giudizio l’amministrazione e anche gli altri soci di fatto presumibili, pena l’inammissibilità del ricorso. Ciò significa che, ad esempio, se l’Agenzia contesta una società di fatto tra A e B, entrambi dovranno essere parte del processo (anche se il ricorso formale è stato presentato solo da A). Questa regola è stata più volte ribadita (cfr. Cass. ord. 15446/2017 e Cass. Sez. U. 14815/2008).

Impugnazione e annullamento

Se, a seguito del giudizio, la Commissione Tributaria accerta l’inesistenza della società di fatto, l’avviso di accertamento emesso nei confronti della fantomatica società verrà annullato. Tuttavia, attenzione: ciò non comporta automaticamente l’annullamento degli atti a carico dei soci. Infatti, se l’ufficio dimostra che le operazioni contestate erano in realtà riconducibili direttamente a uno o più soci (e non a una entità separata), i controlli potranno sostanzialmente rimanere in piedi in capo ai singoli. In termini pratici, l’invalidazione della società di fatto sposta semplicemente il procedimento sull’imputazione diretta delle imposte ai soci effettivi.

Responsabilità dei soci e garanzie del credito erariale

Una volta riconosciuta una società di fatto, la legge civile prevede che tutti i soci rispondano illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali (art. 2297 c.c.). Ciò vale anche per i debiti tributari: ognuno dei soci può essere chiamato a pagare l’intero importo dovuto, salvo poi rifarsi verso gli altri soci in via privata.

Secondo la giurisprudenza, non è necessario neppure che il “contratto sociale” sia scritto: basta l’esteriorizzazione del legame societario. Ad esempio, la Cassazione (sent. 8981/2016) ha precisato che la responsabilità solidale scatta quando “uno o più soci abbiano esteriorizzato la volontà di costituire una società” e il loro comportamento generale abbia indotto terzi a confidare nell’esistenza della società. In sostanza, la legge tutela la buona fede dei terzi: se un soggetto appare operare come socio (firma documenti aziendali, riceve utili, ecc.), si assume che sia effettivamente parte del progetto imprenditoriale.

Dal punto di vista del debitore, questo implica alcune conseguenze pratiche:

  • Solidarietà passiva: Se l’Agenzia riscuote un’intera imposta da uno dei soci, questi potrà poi rivalersi sugli altri soci coobbligati secondo la loro quota di partecipazione di fatto.
  • Tutela patrimoniale: In sede di recupero crediti tributari, tutti i beni personali dei soci (e dell’eventuale azienda comune) possono essere aggrediti indistintamente.
  • Successione mortis causa: In caso di morte di un socio di fatto, la giurisprudenza ha stabilito che le sanzioni tributarie personali non si trasmettono agli eredi. Tuttavia, gli eredi subentrano nei debiti tributari relativi all’attività (solo fino alla quota del defunto). Gli obblighi tributari del socio defunto, diversi dalle sanzioni, gravano sugli eredi limitatamente alla loro quota ereditaria e solo se riferiti a fatti anteriori alla morte.

Accertamenti bancari e onere della prova

Le verifiche bancarie costituiscono oggi uno strumento privilegiato dell’Amministrazione finanziaria. In base all’art. 32, comma 1, n. 7 del DPR 600/1973, l’ufficio può richiedere a banche ed altri intermediari finanziari i dati relativi a qualsiasi rapporto o operazione del contribuente. Tali dati (movimenti di conto, transazioni finanziarie, garanzie prestate, ecc.) servono a ricostruire redditi non dichiarati e contesti societari occulti.

Giuridicamente, questo significa che i dati bancari sono automaticamente presi a base dell’accertamento. Se l’ufficio ottiene, per esempio, estratti conto che evidenziano prelevamenti o versamenti ingiustificati, essi vengono considerati come imponibili a meno che il contribuente dia prova contraria.

I recenti orientamenti di Cassazione e Agenzia delle Entrate (cfr. Ordinanze 2928/2024 e 4765/2025) chiariscono che:

  • L’accertamento fondato sui conti bancari lega la presunzione sulle operazioni di denaro (art. 32, c.1, DPR 600/1973). Il contribuente è dunque posto in una posizione di passiva difesa.
  • Inversione dell’onere: Una volta che l’Ufficio dimostra con i movimenti bancari un’operazione sospetta (prelievo, versamento) non giustificata, spetta al contribuente (o al socio di fatto) dimostrare analiticamente che ciascuna di tali operazioni è estranea ad attività imponibili. Ciò richiede una prova dettagliata (ad es. documenti, contratti, registrazioni contabili) per ciascun movimento contestato.

In termini pratici, se la verifica bancaria segnala, ad esempio, che la società di fatto (o il suo socio) ha depositato 10.000€ in nero su un conto, l’amministrazione potrà includere quell’importo come reddito d’impresa. Toccherà al contribuente spiegare contestualmente ogni incasso: se non lo fa, l’interpretazione presuntiva del fisco regge.

Consiglio per il debitore: nel caso di verifiche bancarie, è fondamentale raccogliere e conservare documentazione giustificativa (fatture, ricevute, movimenti contabili interni) prima che l’Ufficio la richieda. La dottrina sottolinea come serva “prova analitica” ad alta specificità, non generiche affermazioni difensive.

Accertamenti induttivi e presunzioni

Oltre alle verifiche dirette, l’Amministrazione può utilizzare metodi induttivi (ad es. studi di settore, redditometri) se emergono indizi di società di fatto. Le presunzioni tributarie trovano applicazione piena: ogni elemento che evidenzi spese sostenute, redditi non dichiarati o utilizzo patrimoniale comune può essere valorizzato come indice di una gestione societaria occulta. Ad esempio:

  • Utilizzo promiscuo di beni (appartamenti, auto) intestati a un socio.
  • Conti correnti cointestati o frequenti bonifici tra i soci per scopi aziendali.
  • Fideiussioni, finanziamenti o garanzie personali fornite dai soci in favore dell’attività comune.

Tutto questo può essere assunto come prova indiretta del fondo comune e della “affectio societatis”. Non esistendo limiti specifici, l’Amministrazione può attingere a documenti contabili (anche extra-contabili), scritture private, analisi dei consumi, ecc. L’unico vincolo procedurale è che, in caso di accertamento induttivo, l’atto deve contenere la motivazione sui presupposti fatti valere.

Misure cautelari: ipoteca e sequestro conservativo

In caso di contenzioso tributario, l’Amministrazione può tutelare tempestivamente il proprio credito attraverso le misure cautelari previste dall’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997. In particolare:

  • Ipoteche tributarie: su immobili del contribuente e dei coobbligati (soci di fatto), a garanzia delle imposte presunte o non ancora pagate.
  • Sequestro conservativo: l’ufficio può chiedere all’autorità giudiziaria l’autorizzazione a sequestrare conservativamente beni del debitore (inclusa l’azienda) quando sussiste un fondato timore di vanificazione del credito erariale.

Le misure cautelari richiedono la dimostrazione di due requisiti: fumus boni iuris (apparenza di fondatezza del credito tributario) e periculum in mora (rischio concreto di perdere il credito). Per il periculum in mora, i giudici valutano il comportamento del debitore: ad esempio, la disponibilità patrimoniale residua, precedenti fallimenti o la volontà di distrarre il patrimonio possono indurre all’adozione del sequestro.

Dal punto di vista del debitore (o socio di fatto), è importante sapere che la mera rateizzazione del debito non interrompe automaticamente il sequestro conservativo. La Cassazione ha infatti affermato che il sequestro preventivo può durare finché non sia estinto integralmente il debito tributario. Il pagamento rateale, piuttosto che revocare l’atto, può soltanto ridurne proporzionalmente l’importo in sequestro. Solo quando si adempie totalmente al debito cessano le ragioni del sequestro.

In ogni caso, il decreto di autorizzazione (o il provvedimento del giudice tributario) deve indicare espressamente i motivi concreti che giustificano la cautela (ad es. insolvenza incombente). Se mancano i presupposti, il contribuente può impugnare il provvedimento cautelare innanzi alla Commissione Tributaria insieme all’atto principale.

Cartella di pagamento e riscossione forzata

Quando l’accertamento (anche su società di fatto) si conclude con un debito d’imposta, l’Agenzia delle Entrate – Riscossione emette una cartella di pagamento. Questa è intimazione formale rivolta ai soci di fatto (solidalmente) a versare le somme risultanti dall’accertamento, comprensive di sanzioni e interessi.

Dal punto di vista pratico, l’arrivo di una cartella comporta:

  • Notifica e termini: la cartella deve essere notificata individualmente a ciascun coobbligato. Il contribuente ha poi 60 giorni (termine d’impugnazione) per presentare reclamo o ricorso in Commissione Tributaria. Spesso, invece, il debitore viene prima intimato tramite avviso di pagamento (elettronico o cartaceo) per evitare il fermo amministrativo, ma anche in quel caso l’impugnazione è consentita.
  • Fermo amministrativo: in assenza di pagamento, l’Agenzia può porre fermo amministrativo sui veicoli di proprietà del contribuente, impedendone la vendita o circolazione. Il debitore può chiederne la revoca o sospensione dimostrando di aver pagato (o depositando l’importo in contestazione).
  • Pignoramenti e sequestri esecutivi: se la cartella resta insoddisfatta, Riscossione può procedere all’esecuzione forzata (es. pignoramento presso terzi sui conti correnti, stipendio o beni mobili registrati). Qui vale quanto già detto per le misure cautelari: l’ente creditore può agire su qualsiasi bene dei soci di fatto.

Suggerimento difensivo: Chi si ritiene ingiustamente coinvolto in una società di fatto deve tempestivamente impugnare l’avviso di accertamento e la cartella, evidenziando gli errori e la mancanza dei presupposti societari. L’impugnazione sospende normalmente l’efficacia esecutiva della cartella. Durante il contenzioso, va valutata anche la possibilità di richiedere una composizione agevolata del debito (ravvedimento operoso o adesione a rottamazioni), tenendo presente che non tutti i coobbligati sono autorizzati a definire autonomamente tali debiti senza il consenso di tutti i soci di fatto.

Pignoramenti tributari presso terzi

Quando l’Agenzia esegue il pignoramento presso terzi (tipicamente sui conti correnti bancari o postali), la legge richiede la notifica del titolo esecutivo (cartella) e dell’atto di pignoramento al contribuente. Nel caso di società di fatto, è necessario notificare il pignoramento ai singoli soci di fatto individuati. Tuttavia, l’Agenzia può fare affidamento sulla presunzione di rappresentanza di cui all’art.2297 c.c.: bastano prove indirette che identificano il socio “di fatto” come titolare del conto.

Per il debitore, è cruciale verificare che il pignoramento sia stato eseguito correttamente:

  • Deve essere stata notificata la cartella di pagamento con almeno 60 giorni di anticipo. Senza questa preventiva intimazione, il pignoramento è illegittimo.
  • Occorre controllare che la somma pignorata non ecceda quanto dovuto o che non siano stati pignorati beni impignorabili (ad es. determinati minimi vitali). In tal caso si può presentare opposizione all’esecuzione entro 30 giorni dal pignoramento.

In caso di pignoramento di somme cointestate (es. conto bancario intestato a socio A e B), la giurisprudenza consente di “dividere” le somme pignorate proporzionalmente alle quote, se provata l’esistenza di una società di fatto. Il debitore può chiedere al giudice di appello sequestro-contestare: per esempio dimostrare che parte dei fondi sul conto erano già di sua esclusiva proprietà indipendente (ad es. ricavi personali, prestiti infruttiferi) e non patrimonio comune della società.

Accessi e verifiche amministrative

Ai sensi dell’art. 32 e segg. del DPR 600/1973, gli uffici possono effettuare accessi, ispezioni e verifiche direttamente nelle sedi delle imprese. Nel caso di società di fatto è probabile che la verifica riguardi gli uffici o i luoghi di lavoro di uno dei soci, con l’assistenza anche di più funzionari e, se necessario, della Guardia di Finanza. Durante l’accesso, gli incaricati possono richiedere documenti, scritture contabili (anche extra-contabili) e ogni dato utile al riscontro dei redditi complessivi.

Il contribuente ha l’obbligo di collaborazione: deve esibire i documenti richiesti e consegnare copia dei registri. L’accesso deve avvenire in presenza di un verbale e, in genere, si conclude con la redazione di un processo verbale di constatazione. Il debitore deve controllare che il verbale sia redatto correttamente e firmato. Se l’accesso evidenzia operazioni non registrate o altro, l’amministrazione può subito procedere a un primo conto presuntivo di imposte, che sarà confermato dall’avviso di accertamento.

Nel valutare un accesso, il debitore (e il suo legale) dovrà prestare attenzione a:

  • Motivazione e limiti: l’accesso deve essere preceduto da un’autorizzazione motivata (anche tacita) dell’ufficio ed effettuato durante l’orario di lavoro o dell’impresa.
  • Servizio esterno: per l’accesso presso sedi di terzi, normalmente serve il mandato o l’autorizzazione del Direttore Regionale.
  • Diritto di copia: il contribuente ha diritto a ottenere copia del verbale e degli atti acquisiti, da conservare per la difesa successiva.

Esempi e simulazioni pratiche

Per chiarire l’impatto di questi principi, consideriamo alcuni scenari (semplici simulazioni illustrative rivolte al contesto italiano):

Caso 1 – Verifica bancaria e conti cointestati: Mario e Luigi gestiscono di fatto un negozio di ferramenta, ma dichiarano redditi separati. L’Agenzia scopre che entrambi hanno conti cointestati dal quale prelevano fondi aziendali comuni. Viene effettuata una verifica su tali conti (art. 32, DPR 600/73) che evidenzia prelievi complessivi di 50.000€ non giustificati. A questo punto l’Agenzia emette un avviso di accertamento per 20.000€ di IVA evasa, imputandola come reddito di società di fatto. Mario e Luigi ricevono notifica insieme dell’avviso: devono agire in litisconsorzio. Se Mario decide di impugnare la cartella ma esclude Luigi dal ricorso, rischia l’inammissibilità: la Cassazione prescrive che tutti i presunti soci partecipino al giudizio.

Caso 2 – Cartella esattoriale e solidarietà: Anna e Bianca sono soci di fatto di un’agenzia immobiliare “sommersa”. L’Agenzia delle Entrate, dopo accertamento, emette cartella per 30.000€ di IRES dovuta dalla presunta società. La cartella viene notificata a entrambe (in qualità di socie in solido). Bianca paga immediatamente 15.000€ per aderire a una sanatoria (“rottamazione ter”), lasciando in sospeso la restante parte. Nonostante ciò, l’Agenzia pignora il conto di Anna per il saldo residuo (anche se in realtà si trattava di un accordo tra le due). Anna può opporsi sostenendo che Bianca, avendo aderito alla definizione agevolata, non doveva trovarsi coinvolta nell’esecuzione per la parte rateizzata, ma la sua garanzia è comunque valida per la quota non ancora pagata.

Caso 3 – Accesso e prove contrarie: Una famiglia (Padre e figlio) gestisce di fatto un ristorante. Nel corso di un accesso ispettivo, l’Agenzia trova un quaderno contabile “extra” in cui il figlio annota gli incassi nascosti. Il verbale di accertamento ricava da questi dati un maggior reddito imponibile, applicando imposte a Padre e Figlio. La difesa può sostenere che il quaderno non rappresenta effettivamente un fondo comune (per esempio, che le entrate annotate erano in realtà fondi presi in prestito dai risparmi personali del figlio). Tuttavia, data la presunzione dell’affectio societatis, sarà molto difficile rimuovere la qualifica di società di fatto senza prove chiare di uso esclusivo personale dei versamenti.

Questi esempi mostrano come la combinazione di verifiche bancarie, conteggi induttivi e motivi di litisconsorzio renda il quadro contenzioso complesso. Il debitore deve intervenire con documenti precisi e puntuali, possibilmente ancor prima dell’accertamento, per non trovarsi in posizione sfavorevole.

Tabelle riepilogative

AspettoSocietà di fattoSocietà in nome collettivo (S.n.c.)Società semplice (S.s.)
Definizione legaleNessuna definizione codicistica; esiste se elementi di fatto indicano un’attività comune.Organismo societario previsto dal Codice Civile (art. 2247 c.c. e ss.).Organismo associativo senza scopo commerciale formale (art. 2251 c.c.).
Forma di costituzioneAccordo verbale o tacito fra soci che agiscono come partner.Atto costitutivo scritto e iscrizione nel Registro Imprese.Atto costitutivo anche verbale, iscrizione non obbligatoria (ma se commerciale è prevista).
Responsabilità dei sociIllimitata e solidale (art.2297 c.c.), come per S.n.c..Illimitata e solidale (art. 2261 c.c.).Illimitata (tutti rispondono) e solidale (art.2297 c.c.).
Rappresentanza verso terziIl socio «rappresentante», se esteriore ai terzi (cass. 8981/2016).Normale rappresentanza sociale (art. 2261 c.c.).Normale rappresentanza sociale.
Regime fiscaleEquivalente a S.n.c. o S.s. (art.5 TUIR); reddito imputato ai soci proportionally to shares.Regime trasparente (redditi imputati ai soci art.5 TUIR).Regime trasparente (redditi imputati ai soci).
Formalità contabiliAssenza di contabilità formale obbligatoria; si applicano presunzioni.Tenuta di libri sociali obbligatori (art. 2299 c.c.).Tenuta di libri sociali obbligatori per esercizio commerciale.
Accertamento tributarioL’Ufficio deve dimostrare (anche per presunzioni) l’esistenza del vincolo. Controversia coinvolge tutti i soci (litisconsorzio necessario).Gli accertamenti si estendono automaticamente ai soci (Cass. 33230/2019).Accertamenti diretti alla società; poi soci chiamati solo in caso di insolvenza.
Difese possibiliDimostrare la mancata «affectio societatis» o la natura personale delle operazioni. Contestare la procedura o lacune di notifica.In genere più formalizzata; litisconsorzio già implicito; diffusa nel pratico non vi è simulazione.Similmente, è un’entità giuridica, difesa come tale; società di fatto concettualmente simile alla S.s.
Eredità (passaggio generazionale)I tributi non pagati si trasmettono limitatamente ai redditi del socio (Cass. 11/2013); sanzioni personali non trasmissibili.L’imposta trasmessa agli eredi, tranne sanzioni; responsabilità sui redditi del defunto.Stesso criterio della S.n.c.: redditi imputati al socio decadono alla morte (ex art. 2297 c.c.).

Tabella 2: Atti e misure in materia tributaria

Atto / MisuraDescrizioneRuoli e conseguenze (dal punto di vista del debitore)Normativa di riferimento
Avviso di accertamentoAtto amministrativo che comunica il debito d’imposta calcolato dall’Agenzia (IRPEF, IVA, IRAP etc.) e che dà inizio al contenzioso tributario.Deve essere impugnato entro 60 giorni dalla notifica per evitare l’inappellabilità della pretesa. Se riconosciuto il debito, segue la cartella.DPR 600/1973, art. 43; L. 212/2000 (statuto del contribuente)
Cartella di pagamentoProvvedimento con cui l’Ente di riscossione (ex Equitalia, ora Ag. Entrate-Riscossione) intimida il pagamento del debito tributario accertato.Se non pagata, dà origine a fermo o pignoramento. Impugnabile davanti alla CTP anch’essa entro 60 giorni dall’atto.DPR 602/1973, artt. 10 e segg.
Fermo amministrativoVincolo sui beni mobili registrati del debitore (auto, imbarcazioni, ecc.) per tutelare il credito erariale.Mediante avviso, viene impedita la vendita del bene. Richiede il versamento delle somme o deposito cauzionale per ottenere la cancellazione.D.L. 953/1982, art. 66-bis (come integrato); DPR 602/1973
PignoramentoEsecuzione forzata presso terzi (tipicamente banche) sui beni o crediti del debitore (es. conti correnti, stipendio).Attiva la procedura esecutiva. L’esecuzione è legittima solo se preceduta dalla cartella di pagamento e notificata al debitore.DPR 602/1973, art. 72 (provvedimenti necessari)
Ipoteche tributarieIscrizione su immobili a garanzia del credito erariale.Presumibilmente praticata contestualmente alla cartella. Blocca la libera vendita dell’immobile. Può essere cancellata con la definizione del debito.D.Lgs. 472/1997, art. 22; art. 2824 c.c.
Sequestro conservativoProvvedimento giudiziario che dispone il sequestro dei beni del debitore (compresa l’azienda) in presenza di un credito tributario fondato e pericolo reale di perdita del credito.Il debitore rischia il blocco dell’azienda. Richiede una decisione del giudice tributario o penale (a seconda delle ipotesi). Può essere revocato solo con il pagamento integrale del debito.D.Lgs. 472/1997, art. 22; art. 321 c.p.p. (sequestro penale)

Domande e Risposte

  • D: Che cos’è concretamente una società di fatto e quali problemi crea al fisco?
    R: È un sodalizio economico non formalizzato, riconosciuto giudizialmente se si dimostrano intenti comuni, conferimenti e lavori condivisi. In termini fiscali, l’Agenzia può trattare tale forma come una s.n.c. o società semplice: il reddito comune viene imputato ai soci. Questo significa che anche se l’attività era indicata come “ditta individuale di A” il Fisco potrà contestare ad A e B (che gestivano insieme l’attività) imposte in solido. Il rischio per i soci è quello di dover pagare tasse e sanzioni relative all’intero business come se fossero una vera e propria società.
  • D: Quali prove servono per dimostrare che non esiste una società di fatto?
    R: Il contribuente deve smontare gli indizi di coimprenditorialità portati dall’accertamento. Ciò significa fornire prova specifica e analitica per ogni movimento contabile contestato, dimostrando ad esempio che i soldi sul conto erano prestiti o proventi personali. Può essere utile documentare separazioni nette di conti, rapporti meramente professionali, o qualsiasi scrittura privata che attesti mancanza di conferimenti comuni. Tuttavia, attenzione: la Cassazione ammette prove anche indirette a favore della società di fatto. Quindi la difesa dovrà puntare su elementi come la mancanza di effettivo vincolo collaborativo fra le parti (ad es. prova che uno dei soci non partecipava alle perdite) o su errori procedurali dell’accertamento (notifiche incomplete, mancanza di prova della portata oggettiva delle operazioni, ecc.).
  • D: Posso essere chiamato a pagare debiti fiscali di una società di fatto di cui ero socio di minoranza?
    R: Sì. In regime di solidarietà passiva (art.2297 c.c.), tutti i soci, anche di minoranza, rispondono dell’intero debito verso il Fisco. Ciò significa che anche se avevi un ruolo marginale, l’Amministrazione può notificare la cartella a te e pretendere il versamento. In caso di pagamento parziale, potrai poi rivalerti sugli altri soci per le quote a carico loro.
  • D: Se il mio socio viene meno al pagamento, posso restare con l’intero debito sulle spalle?
    R: Secondo la logica del sistema solidale, sì, l’Agenzia non è tenuta a inseguire ogni socio in proporzione. Può scegliere chi «morso prima» per recuperare le somme. Solo in sede civile potrai pretendere il 50% (o la quota spettante) dal socio inadempiente. La giurisprudenza prescrive però che, se sei tu a pagare l’intero importo, hai diritto di regresso verso gli altri; ma in pratica questa è una controversia interna fra privati.
  • D: Come ci si difende da un pignoramento tributario ingiusto?
    R: In presenza di un atto esecutivo (pignoramento di conto o stipendio), verifica che ti sia stata effettivamente notificata prima la cartella di pagamento almeno 60 giorni prima. Se così non fosse, il pignoramento è invalidabile. Se è tutto in regola, valuta se sull’intero importo pignorato siano state imputate somme che tu potevi già giustificare (e presentale in un’istanza di restituzione al giudice dell’esecuzione). Ad esempio, puoi sostenere che parte delle somme sul conto non erano frutto dell’attività comune, ma afflussi non imponibili (ad esempio prestiti personali, entrate senza relazione d’impresa). Allo stesso modo, se il conto era cointestato, potrebbe spettarti una quota da restituire.
  • D: Possono sequestrarmi l’azienda mentre la sto ristrutturando tramite piani di rateizzazione?
    R: Il sequestro conservativo tributario, richiesto ex art. 22 D.Lgs. 472/97, può infatti essere disposto anche se hai rateizzato il debito. La giurisprudenza considera legittimo trattenere i beni fino al saldo integrale del debito. Tuttavia, la misura cautelare potrà essere ridotta proporzionalmente agli importi già pagati (per evitare una duplicazione delle sanzioni). Quindi, anche se hai concordato un piano di dilazione, occhio: finché non hai versato tutto potresti subire il sequestro o l’ipoteca. Assicurati pertanto di depositare presso l’ufficio copia dell’accordo di rateizzazione e dimostrare buon adempimento (per chiedere l’allentamento del blocco).
  • D: I miei figli possono ereditare i debiti di una società di fatto di cui ero socio?
    R: Dopo la morte del socio, le imposte dovute per l’attività comune non si trasmettono integralmente agli eredi. Gli eredi dovranno comunque partecipare alla tassazione relativa ai redditi di competenza del defunto (finché era in vita), ma non rispondono per le sanzioni personali (che restano a carico del defunto e si estinguono con lui). Detto in termini semplici, i figli pagheranno le tasse dovute per le quote di reddito maturate dal genitore fino alla data della morte, ma non subiranno sanzioni aggiuntive derivate dall’accertamento successivo (a meno che fossero già stati soci di fatto in vita del genitore).
  • D: Quali sono le prassi degli uffici sulle società di fatto?
    R: In assenza di disciplina organica, gli uffici cercano generalmente di ricostruire la struttura societaria con qualsiasi indizio utile. Ciò include la verifica di locali e conti comuni, la presenza di più lavoratori familiare, fatture interne non registrate, ecc. In alcuni casi, l’Amministrazione ha persino elaborato elenchi di ipotesi sintomatiche (ad es. Cassazione 33230/2019 ha parlato di “società di fatto tra consanguinei” e chiesto prove rigorose). In ogni caso, l’onere di avviare un contenzioso spetta al contribuente: se non contesta, l’Agenzia proseguirà come se la società fosse vera.

Conclusioni e consigli operativi

La società di fatto è una fattispecie che richiede particolare attenzione da parte del contribuente. Anche un semplice “aiuto familiare” in un’attività può, in certe circostanze, diventare motivo di contenzioso tributario. Dal punto di vista del debitore, ecco alcuni suggerimenti operativi basati su quanto detto:

  • Documentare fin dall’inizio: Tenere conti distinti, firmare eventuali contratti con terzi, redigere quietanze intestate. Maggiori sono gli elementi scritti, più difficile sarà provare la “affectio societatis”.
  • Verificare la correttezza degli atti: Controllare sempre che in caso di ipotesi societaria occulta si rispettino forme e termini di notifica (Cass. 33230/2019 ha annullato atti per carenza di litisconsorzio). Se manca il collegamento legale (ad es. mancata notifica a tutti i soggetti interessati), presentare tempestive opposizioni.
  • Nell’impugnazione, agire uniti: Se sei coinvolto in una presunta società di fatto, valuta di presentare ricorso in nome proprio e del presunto co-socio (litisconsorzio necessario). Questo evita di “tagliare fuori” qualcuno e ripetere poi la causa.
  • In discussione, separare le questioni: Se viene accertata una società di fatto, ma pensi che alcune operazioni siano estranee (es. un socio ha acquistato un bene personale usando il conto dell’azienda), portalo come eccezione personale. Occorre distinguere le somme comuni da quelle personali.
  • Valutare sempre i termini di decadenza: Controllare che ogni atto (accertamento, intimazione, cartella) sia stato emesso entro i termini di legge. Un atto notificato fuori tempo massimo è annullabile.
  • Esplorare definizioni agevolate: A volte, nei casi meno gravi, potrebbe essere più conveniente pagare riducendo le sanzioni tramite i beneficiari fiscali (ravvedimento operoso, adesione a definizione agevolata, transazione, ecc.), soprattutto per evitare la sanzione penale dell’omesso versamento (per cui il sequestro può restare fino al pagamento).

In ultima analisi, ogni caso di “società di fatto” ha sfumature proprie. La soluzione migliore è sempre basata su un’adeguata documentazione (per dissipare i dubbi) e sulla tempestività delle iniziative giudiziarie (per non vanificare tutele di diritto). Le pronunce più aggiornate invitano a valutare rigorosamente ogni elemento concreto, ma anche a rispettare i diritti processuali dei contribuenti. Conoscere la disciplina aiuta il debitore a difendersi efficacemente dalle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria.

Fonti

  • Codice Civile, artt. 2297, 2261, 2247 e ss. (società).
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (disposizioni comuni in materia di imposte sui redditi).
  • D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 5 (redditi prodotti in forma associata).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 22 (misure cautelari tributarie: ipoteca e sequestro conservativo).
  • Cassazione Civile, Sez. I, sentenza n. 4385 del 13/02/2023 (requisiti e prova della società di fatto).
  • Cassazione Civile, sent. n. 8981 del 18/10/2016 (esteriorizzazione del vincolo sociale e responsabilità solidale).
  • Cassazione Civile, ordinanza n. 2928 del 25/09/2024 (onere della prova nei controlli bancari).
  • Cassazione Civile, ordinanza n. 4765 del 24/02/2025 (conferma dell’onere probatorio sulle indagini bancarie).
  • Cassazione Civile, sezione tributarie, ordinanza n. 22705 del 12/08/2024 (litisconsorzio necessario nella società di fatto).

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L’Agenzia delle Entrate può infatti accertare l’esistenza di una “società di fatto” anche senza iscrizione in Camera di Commercio, basandosi su elementi concreti come:

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Conclusione

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