Cosa Succede Se Non Si Versano Le Ritenute?

Hai un’azienda o sei un professionista con dipendenti e ti è capitato di non versare le ritenute fiscali? Ti stai chiedendo quali rischi corri, se si tratta solo di una sanzione amministrativa o se potresti finire nel penale?

Le ritenute fiscali – come quelle IRPEF sui dipendenti o i collaboratori – sono somme che il datore di lavoro trattiene in busta paga per conto dello Stato. Non versarle significa, in pratica, trattenere soldi pubblici: per questo motivo le conseguenze sono molto gravi.

Cosa succede se non versi le ritenute nei termini?

Innanzitutto, scattano sanzioni amministrative e interessi, ma se le somme non versate superano una certa soglia (attualmente 150.000 euro annui), si configura un vero e proprio reato penale: l’omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000). In questi casi, si rischia la reclusione da sei mesi a due anni.

E se non si arriva a quella soglia?

Anche sotto i 150.000 euro, il Fisco può avviare procedure esecutive: cartelle esattoriali, pignoramenti su conti, auto, immobili o crediti dell’impresa. Inoltre, se si ripete il comportamento, l’Agenzia delle Entrate può considerarti soggetto fiscalmente a rischio, con pesanti conseguenze per l’attività.

Si può rimediare?

Sì. In molti casi si può accedere al ravvedimento operoso, pagando in ritardo ma con sanzioni ridotte. Oppure si può chiedere una rateizzazione del debito, anche per evitare il blocco delle attività o l’azione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Se si è già ricevuta una contestazione penale, è importante agire subito con un avvocato, per dimostrare l’assenza di dolo o la presenza di cause di forza maggiore.

E se le ritenute sono state certificate ma mai versate?

Questa è la situazione più critica: la certificazione delle ritenute (CU) rende l’omissione più grave, perché è già stato attestato ufficialmente che quei soldi sono stati trattenuti. È in questi casi che scatta il penale in modo automatico oltre al recupero coattivo delle somme.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa penale fiscale – ti spiega cosa succede se non versi le ritenute fiscali, come difenderti e come possiamo aiutarti a regolarizzare la posizione prima che sia troppo tardi.

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Introduzione

Il sostituto d’imposta (datore di lavoro, committente, ecc.) è tenuto a trattenere dalle retribuzioni o compensi dovuti ai lavoratori e collaboratori le ritenute fiscali (IRPEF, addizionali, etc.) e previdenziali, versandole all’Erario entro i termini di legge. In particolare, le ritenute principali sono previste dagli articoli 23-24-25 del DPR n. 600/1973 (TUIR): lavoro dipendente e assimilati, lavoro autonomo/provvigioni e redditi di capitale. I sostituti devono quindi (a) operare la ritenuta al pagamento del reddito, (b) versarla via F24 entro il 16 del mese successivo, (c) certificare le somme trattenute al percettore (Certificazione Unica entro il 16 marzo), e (d) dichiarare i dati nel modello 770 entro i termini (solitamente ottobre). Se dal controllo incrociato tra 770 e versamenti emerge che sono state trattenute ritenute non versate, scatta una segnalazione automatica e l’Agenzia delle Entrate invia una comunicazione di irregolarità (avviso bonario).

Obblighi mancati: L’omesso o parziale versamento delle ritenute dà luogo a gravi conseguenze sia in sede amministrativa (sanzioni e interessi) sia penale. Norme di riferimento includono il D.Lgs. n. 471/1997 (art. 13-14: sanzioni pecuniarie), il D.Lgs. n. 74/2000 (art. 10‑bis e art. 5: reati tributari) e il DPR n. 602/1973 (riscossione coattiva). Da ultimo il D.Lgs. n. 87/2024 (attuativo della delega fiscale 2023) ha modificato la disciplina delle sanzioni e introdotto cause di non punibilità nel penale. Di seguito esaminiamo i profili fondamentali dal punto di vista di un debitore.

Sanzioni amministrative e interessi

In campo tributario, l’omesso versamento di ritenute è sanzionato dall’art. 13 del D.Lgs. 471/1997. Fino al 31 agosto 2024 la sanzione prevista era del 30% sull’ammontare non versato; dal 1° settembre 2024 è stata ridotta al 25%. Ad esempio, una ditta che nel gennaio 2025 abbia operato €10.000 di ritenute IRPEF (da versare entro il 16 febbraio) ma effettui il versamento in ritardo subirà una sanzione pari a 2.500 euro (25% di 10.000).

Se il versamento in ritardo avviene entro 90 giorni, grazie al ravvedimento operoso la sanzione si dimezza (da 25% a 12,5%): per ritardi fino a 15 giorni la riduzione è addirittura giornaliera (si considera 12,5%/15 per ogni giorno oltre la scadenza). Restano comunque dovuti gli interessi moratori legali (attualmente 5% annuo dal 2023) calcolati giorno per giorno sul ritardo. Oltre i 90 giorni di ritardo (fino a 1 anno, 2 anni, e così via) si applicano percentuali intermedie di ravvedimento (ad es. 1/7 di 25% fino a 1 anno). In sintesi: chi versa spontaneamente prima di contestazioni può limitare le sanzioni, altrimenti si paga l’intero 25% più interessi.

Invece, se il sostituto non effettua affatto la ritenuta (cioè non la trattiene dal compenso), scatta la sanzione dell’art. 14 del D.Lgs. 471/1997: 20% dell’ammontare che avrebbe dovuto essere trattenuto. La Cassazione ha chiarito che in tal caso NON si applica anche la sanzione del 25% per omesso versamento: si contesta solo il 20% da omessa operazione. Ad esempio, un committente che versa a un professionista €1.000 senza detrarre i 20% (ossia senza trattenere €200) rischia una sanzione di €200. Il professionista, avendo ricevuto comunque €1.000, non subirà sia il 20% che il 25% cumulativamente (questo non sarebbe giusto). Rimane però che dovrà versare l’imposta effettivamente dovuta in solido con il sostituto.

Nella prassi, dopo il controllo del modello 770 il mancato versamento di ritenute dichiarate induce l’Agenzia delle Entrate ad un avviso di irregolarità o direttamente alla cartella di pagamento (ruolo esattoriale). In quest’ultimo caso verranno quantificati il debito (ritenute non versate), più la sanzione (25%) e gli interessi. La cartella di pagamento, a firma dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, avvisa il contribuente del debito iscritto a ruolo, delle somme dovute e dei termini di pagamento. Se la cartella non viene notificata entro i termini di legge (decadenza), l’iscrizione a ruolo può decadere. Dopo la notifica, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) procede alla riscossione coattiva (pignoramenti, fermo, ipoteca, ecc.).

Responsabilità solidale: Occorre infine evidenziare che il sostituto è responsabile verso l’Erario per le ritenute, ma in alcuni casi è chiamato in causa anche il percettore. La norma (art. 64 TUIR) e la giurisprudenza stabiliscono che, se il sostituto non ha mai operato la ritenuta, il Fisco può rivalersi sul percipiente in solido. In pratica, il percettore è obbligato in solido (sent. Cass. n.8903/2021, n.14283/2024) e può ricevere un avviso diretto per il tributo non pagato, anche se egli non ha l’obbligo primario (soggetto passivo originario). Ad esempio, se un datore paga €10.000 a un consulente senza trattenere i 20% (€2.000), il Fisco potrà chiedere quei €2.000 sia al consulente che al datore.

Al contrario, se la ritenuta è stata operata dal sostituto ma non versata, il percipiente conserva il diritto al credito d’imposta e non è chiamato a versare di nuovo quelle imposte. Il dipendente (o collaboratore) che ha ricevuto il netto di busta paga (con la trattenuta) potrà scomputare in dichiarazione la ritenuta, anche se il sostituto è inadempiente. In questo caso lo Stato dovrà rivalersi sul sostituto inadempiente, non sul percettore. In ogni caso il dipendente non rischia sanzioni penali né tasse ulteriori per l’inadempimento altrui.

Tabella riassuntiva delle sanzioni amministrative (omesso versamento/omessa operazione):

ViolazioneSanzione amministrativaRiduzioni con ravvedimento
Ritenuta operata non versata25% dell’importo non versato (dal 2024, prima 30%)12,5% se pagata entro 90 giorni (50% di 25%); ~0,833% per giorno se ≤15 giorni; ulteriori riduzioni (art.13 D.Lgs.472/97) per pagamenti fino a 2 anni.
Ritenuta non operata20% dell’importo imponibile non trattenuto(Se entro 90 gg il contribuente versa spontaneamente quell’importo e ravvede entro i termini, può usufruire comunque della riduzione al 50% del 20%.)
Interessi moratorial tasso legale (5% nel 2023) sui giorni di ritardo

(*) In caso di omessa operazione, non si applica parallelo 25% di omesso versamento.

Profili penali

Se la violazione supera certe soglie, può configurarsi un reato tributario. L’art. 10‑bis del D.Lgs. 74/2000 punisce penalmente il sostituto che non versa le ritenute certificate ai percipienti, per un importo complessivo annuo sopra soglia. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 2 anni. La soglia di punibilità fu innalzata dal 2015 a 150.000 €. Fondamentale è che siano state rilasciate certificazioni uniche ai lavoratori: in base alla sent. Corte Cost. 175/2022 e Cass. 530/2025, il reato si applica solo alle ritenute certificate. Il semplice mancato versamento di ritenute indicato nella dichiarazione (770) non costituisce più reato, ma violazione amministrativa.

Il legislatore delegato (D.Lgs. 87/2024) ha poi modificato la legge penale: tra le novità, il termine di consumo del reato è spostato al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di maturazione della ritenuta (prima era alla scadenza del modello 770). È infine introdotto un caso di non punibilità: se il mancato versamento dipende da cause non imputabili all’imprenditore (es. crisi di liquidità dovuta a insolvenza di clienti, mancati pagamenti da PA, sovraindebitamento), previa dimostrazione della situazione di difficoltà, il reato non è punibile. Tuttavia la Cassazione (primo caso applicato 2025) ha chiarito che non basta la “normale” crisi d’impresa; l’imprenditore deve provare di avere agito con la massima diligenza e che l’evento sia veramente al di fuori del suo controllo.

Un altro reato collegato è l’art. 5 del D.Lgs. 74/2000, che punisce con reclusione da 1,5 a 4 anni l’omessa presentazione del modello 770 (omessa dichiarazione del sostituto) quando le ritenute non dichiarate superano 50.000 € annui. Infine, sul versante penale contributivo, l’art. 2-bis del D.L. 463/1983 (conv. L. 638/1983) punisce con reclusione fino a 3 anni l’omesso versamento di contributi previdenziali trattenuti, se l’importo omesso supera 10.000 € all’anno. Per importi inferiori la condotta è ora sanzionata amministrativamente: la riforma del “Decreto Lavoro” 2023 ha stabilito che per omissioni contributive ≤10.000 € la multa è da 1,5 a 4 volte l’importo omesso.

Estinzione del reato per pagamento: Anche in sede penale c’è una forma di “premialità” se il debitore estingue il tributo dovuto. L’art. 13-bis del D.Lgs. 74/2000, come modificato dal D.Lgs. 87/2024, prevede che se prima della chiusura del primo dibattimento il debito tributario (compresi sanzioni e interessi) viene integralmente estinto, le pene sono ridotte fino alla metà (senza applicare pene accessorie). Inoltre, se il contribuente ha già concordato una rateazione in buona fede, può comunicare al giudice e sospendere il processo per permettere il pagamento.

Pronunce giurisprudenziali rilevanti: Di rilievo recente sono le sentenze della Cassazione penale: ad esempio, la sent. n. 5020/2025 ha ribadito che per configurare il reato 10-bis bisogna provare il rilascio delle Certificazioni Uniche ai lavoratori; la sent. n. 530/2025 ha annullato una condanna basata solo sull’invio telematico del 770. Ancora, con sent. n. 48375/2018 la Cassazione ha stabilito che un accordo di rateazione non esime dal reato: è necessario il completo pagamento per ottenere la non punibilità ex art. 13-bis. Più di recente, la prima pronuncia post-riforma (Cass. pen. n. 13134/2025) ha precisato che la “crisi di liquidità” esclude la punibilità solo se dimostrata come non imputabile e con documentazione rigorosa.

Regolarizzazione spontanea e piani di rateazione

In ogni caso, prima di essere scoperti dall’Amministrazione, il debitore può regolarizzare volontariamente la propria posizione, riducendo gli oneri:

  • Ravvedimento operoso: Versando tempestivamente le ritenute omesse (con F24) insieme alle sanzioni ridotte e agli interessi, il contribuente «si mette al riparo» da sanzioni piene e da rischi penali. Ad esempio, nell’Esempio 1 (Beta S.r.l.), l’impresa ha scoperto autonomamente di aver versato solo €15.000 delle €30.000 di ritenute dovute. Effettuando un ravvedimento entro 55 giorni dal termine di versamento, ha pagato €15.000 + €2.250 di sanzioni (15% su 15k) + interessi, evitando l’avviso di irregolarità. In totale ha sborsato circa €17.300, anziché €34.500 (imponibile + 30%). Il ravvedimento ha inoltre scongiurato la punibilità penale (15k era sotto soglia). Le regole del ravvedimento operoso (art.13 D.Lgs. 472/1997) sono: pagamento entro 15 giorni dal termine di versamento riduce la sanzione all’1/15 di quella standard; entro 90 giorni riduce la sanzione al 50%; entro 1 anno al 1/9; entro 2 anni al 1/8. Tali aliquote si applicano sul 25% (o 12,5%), non sulla base piena, se ravvedimento avvenuto dopo il 1/9/2024.
  • Rateazione delle somme dovute: Se le ritenute non versate sono già oggetto di accertamento (avviso bonario o notifica), il contribuente può chiedere all’Agenzia delle Entrate-Riscossione un piano di rateazione. Le rateazioni ordinarie (DPR 602/1973, art.3-bis) non richiedono garanzie fino a €60.000 totali, e prevedono solitamente fino a 72 rate mensili. Una volta richiesto il piano, le procedure esecutive (fermi, fermi amministrativi, ecc.) vengono sospese fintantoché il piano è regolarmente eseguito. Dal punto di vista penale, rileva che il nuovo art. 10-bis D.Lgs.74/2000 non punisce chi è in rateazione (si considera debito non in mora). Al contrario, il venir meno della rateazione (decadenza per mancato pagamento delle rate) riapre la punibilità: il reato scatta solo se il debito residuo supera €50.000.
  • Rottamazioni e altre misure: Esistono poi istituti di definizione agevolata (rottamazione cartelle, adesioni, ravvedimenti speciali) che possono essere valutati caso per caso. Tuttavia, attenzione: i piani di dilazione concordati con l’Agenzia non spengono automaticamente eventuali contestazioni penali (Cass. 48375/2018), a meno di pagamento integrale con conseguente applicazione del beneficio di art.13-bis.

Rischi procedurali e impugnazione degli atti

Se l’Agenzia delle Entrate contesta formalmente l’omesso versamento ritenute, essa emette prima un avviso di accertamento o una cartella di pagamento. È fondamentale controllare la correttezza formale: motivazione insufficiente, mancata notifica, difetto di delega di firma dell’atto, o assenza di presupposti (es. ritenuta in realtà mai operata) possono rendere nullo l’atto di accertamento. In tali casi, l’atto può essere impugnato davanti alla Commissione Tributaria.

Ad esempio, la Cass. civ. 22/05/2024 n. 14283 ha confermato la responsabilità solidale del percipiente (sostituito) in caso di ritenuta non operata e non versata. Più propriamente, molti recenti ricorsi riguardano vizi formali (firma non autorizzata, motivazione carente) che portano all’annullamento degli avvisi. Se un accertamento si risolve nullo, il debito fiscale contestato decade (anche se può rimanere un ruolo per somme già iscritte).

Simulazioni pratiche (esempi)

Esempio 1: Pagamenti in ritardo con ravvedimento. Beta S.r.l. ha 5 dipendenti e, per carenza di liquidità, versa solo €15.000 su €30.000 di ritenute dovute nei primi mesi del 2025. Al 55º giorno di ritardo, effettua un ravvedimento spontaneo. Deve allora pagare €15.000 + €2.250 di sanzioni (15% su 15k) + interessi (circa €50). In totale spende ~€17.300. L’Agenzia, verificando il modello 770, registra le ritenute come versate e Beta evita la comunicazione di irregolarità. Risultato: ha pagato meno sanzioni (avrebbe dovuto €4.500 se al 30%) ed evitato problemi penali (15k sotto soglia).

Esempio 2: Cartella e rateazione. Alfa S.p.A. omette le ritenute di competenza 2023 per €50.000 (dovute e certificate). Nel 2024 riceve una cartella dell’Agenzia Entrate-Riscossione: €50.000 dovuti + €12.500 di sanzioni (25%) + interessi maturati. Se impugna l’atto, rischia di perdere tempo e incurre in spese; se paga subito, paga ~€62.500 + interessi. Supponiamo che chieda una rateazione in 36 mesi: dovrà versare €1.390 circa al mese (quota capitale più interessi legali) per 3 anni. Durante la rateazione il procedimento esecutivo è sospeso. Se rispetta i pagamenti, la sua posizione si normalizza senza alcuna sanzione penale (dovuto l’adempimento). Invece, se salta qualche rata e decade dalla rateazione, il residuo di debito verrà nuovamente iscritto a ruolo con un nuovo avviso.

Esempio 3: Omessa operazione di ritenuta e regresso. Un consulente freelance riceve €10.000 da un cliente senza che questi trattenga alcuna ritenuta IRPEF del 20%. Il consulente versa l’intero importo sul suo conto. Più tardi il Fisco accerta la violazione: essendo la ritenuta non operata, la sanzione è del 20% = €2.000. L’Agenzia può pretendere i €2.000 sia dal consulente (percipiente) sia dal cliente (sostituto) in solido. Il consulente presenta però la sua CU 2025 con l’indicazione del compenso lordo (€10.000) e senza alcuna trattenuta effettuata. Potrà dedurre nell’anno di imposta tale imposta a debito come credito d’imposta, sottraendo €2.000 dall’imposta personale. In effetti, il Fisco riconosce che non può tassarlo due volte: il consulente aveva diritto allo sconto (Cass. 8903/2021). Eventualmente il consulente potrà esperire azione di regresso sul cliente per gli eventuali danni subiti.

Domande e risposte

  • Qual è la differenza tra omessa operazione e omesso versamento?
    Omessa operazione significa che il sostituto non ha nemmeno trattenuto la ritenuta dovuta (o l’ha trattenuta in misura inferiore). In questo caso si applica la sanzione del 20% (art. 14 D.Lgs. 471/97) sull’importo non trattenuto. Omesso versamento significa che la ritenuta è stata trattenuta dal sostituto, ma non è stata versata all’Erario nei termini. Qui scatta la sanzione del 25% sul non versato (riducibile con ravvedimento). Se entrambe le violazioni ci sono (trattenuta non fatta e non versata nulla) si applica solo il 20% (art. 14), per evitare cumulo.
  • Cosa rischio penalmente?
    Si rischia il reato di omesso versamento di ritenute (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) solo se l’ammontare omesso supera 150.000 € annui e le ritenute erano state certificate ai lavoratori. La pena è reclusione 6 mesi-2 anni. Attenzione: dopo la riforma 2024, il reato non si applica se il debito è in corso di rateazione (o già pagato), o se il mancato pagamento dipende da cause non imputabili (crisi di liquidità riconosciuta). Un altro reato possibile è l’omessa dichiarazione (770) se supera 50.000 €. Inoltre, un datore inadempiente a livello contributivo può essere perseguito penalmente se non versa contributi INPS trattenuti oltre soglia 10.000 €.
  • Come si procede dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione?
    Qualora il contribuente non versi spontaneamente, l’Agenzia procede così: iscrive a ruolo il debito complessivo (imposta + sanzioni + interessi) e ne dà notizia al debitore tramite cartella di pagamento. La cartella è un atto impositivo esecutivo che espone debito, scadenze e modalità di pagamento. Dopo 60 giorni dal ruolo senza pagamento, i vincoli (fermi auto, pignoramenti, ecc.) sono attivabili. Il contribuente può chiedere la rateazione e anche sospendere l’esecuzione pagando almeno le prime rate.
  • Il percipiente può esserne penalizzato?
    Normalmente no. Come detto, se la ritenuta è stata operata, il percipiente è già in possesso della Certificazione Unica (o può dimostrare le trattenute subite) e usa quel credito d’imposta. Non può essere costretto a pagare imposte già soggette a ritenuta. Il suo unico rischio è civilistico: può chiedere il versamento al sostituto (azione di regresso) o rispondere solidalmente se la ritenuta non è mai stata operata.

Conclusioni

In sintesi, il mancato versamento delle ritenute d’imposta espone il contribuente a una procedura fiscale complessa e onerosa. Le sanzioni amministrative possono essere elevate (25% del dovuto più interessi), e, in caso di importi ingenti, è possibile anche un reato tributario con relativo procedimento penale. Perciò il sostituto d’imposta deve adottare subito misure di regolarizzazione: ravvedimento operoso o rateazione del debito, che riducono sensibilmente gli effetti negativi.

Se già ricevuta una contestazione formale, è opportuno verificare ogni eventuale vizio dell’atto (firmare, motivazione, notifica) e, se possibile, impugnarlo in sede tributaria. Infine, l’assistenza di un professionista è quasi indispensabile: un tributarista o avvocato potrà valutare la strategia migliore (riporto tardivo, ravvedimento, contenzioso) e tutelare il debitore in ogni fase, anche nei rapporti con INPS e nell’eventuale processo penale.

Fonti normative e giurisprudenziali: D.Lgs. 18/12/1997 n. 471 (artt. 13-14); D.P.R. 29/9/1973 n. 602 (riscossione tributi); D.Lgs. 10/3/2000 n. 74 (art. 10‑bis, 5); D.Lgs. 14/6/2024 n. 87 (modifiche sanzioni, art.13 comma 3-bis, art.13-bis); Legge 4/5/2023 n. 48, art. 23 (riforma sanzioni contributive); Cass. civ. 26/10/2021 n. 25029, 17/5/2023 n. 13620, 22/5/2024 n. 14283 (responsabilità sostituto/percipiente); Cass. pen. Sez. III, 8/1/2025 n. 530, 4/4/2025 n. 13134 (omesso versamento ritenute, crisi liquidità); Corte Cost. 14/7/2022 n. 175 (art.10-bis e ritenute certificate).

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