Cosa Controlla L’agenzia Delle Entrate In Un’azienda?

Hai ricevuto una richiesta di documenti o una convocazione dall’Agenzia delle Entrate e non sai cosa aspettarti? Ti stai chiedendo cosa può realmente controllare il Fisco nella tua azienda?

I controlli fiscali non sono tutti uguali: possono essere semplici verifiche documentali o veri e propri accessi in azienda. In ogni caso, è fondamentale sapere cosa guarda l’Agenzia delle Entrate e come prepararsi per evitare sanzioni, accertamenti o contestazioni.

Quali sono gli elementi che il Fisco controlla in un’azienda?

Durante un controllo, l’Agenzia delle Entrate può verificare diversi aspetti della gestione aziendale, tra cui:

Dichiarazioni fiscali (IVA, redditi, IRAP, 770, ecc.)
Contabilità ordinaria o semplificata, registri e scritture contabili
Fatture attive e passive, anche elettroniche
Corrispettivi giornalieri, scontrini e ricevute fiscali
Movimenti bancari aziendali, ma anche dei soci o amministratori (se rilevanti)
Contratti, lettere d’incarico, accordi con fornitori e clienti
Situazione dei dipendenti, compensi, collaborazioni e rapporti occasionali
Contributi previdenziali e ritenute fiscali
Utilizzo di beni aziendali a fini personali, come auto, immobili o conti correnti

L’obiettivo è verificare che l’azienda operi nel rispetto delle norme fiscali e contributive, e che i redditi siano correttamente dichiarati e tassati.

Quando e come avviene il controllo?

I controlli possono avvenire in vari modi:

Controllo automatizzato o formale delle dichiarazioni
Inviti al contraddittorio per chiarimenti e integrazioni
Accesso, ispezione o verifica fiscale in sede (preavvisata o a sorpresa)
Questionari fiscali o richieste documentali via PEC

In ogni caso, è importante rispondere nei termini, collaborare con cautela e farsi assistere da un professionista per evitare errori o dichiarazioni che possano ritorcersi contro.

Quali sono le conseguenze di un controllo?

Se emergono irregolarità, l’Agenzia può:

– Emissione di avvisi di accertamento o liquidazione
– Contestazione di evasione o infedele dichiarazione
– Applicazione di sanzioni e interessi
– Eventuale segnalazione all’autorità giudiziaria (se ci sono profili penali)

Ma se collabori tempestivamente e fai valere correttamente le tue ragioni, puoi limitare i danni o persino ottenere l’archiviazione del controllo.

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Cosa controlla l’Agenzia delle Entrate in un’azienda?

L’Agenzia delle Entrate dispone di molti strumenti per verificare l’attività aziendale. Esamina le dichiarazioni dei redditi e dell’IVA (anche con procedure automatizzate), controlla fatture, contratti, libri contabili e registri (IVA, corrispettivi, etc.), ed esegue accessi e ispezioni presso la sede dell’impresa o presso terzi (banche, fornitori). Analizza inoltre le movimentazioni finanziarie tramite l’Anagrafe dei rapporti finanziari: ogni ingresso o uscita sul conto corrente si presume collegato a una operazione imponibile, salvo prova contraria del contribuente. In presenza di indizi di evasione, la Cassazione ha autorizzato l’Agenzia ad estendere i controlli anche ai conti correnti di familiari, conviventi, soci o persone collegate al contribuente. L’obiettivo è sempre verificare che ricavi, fatturato, costi e patrimonio dichiarati rispecchino la reale capacità contributiva secondo le norme fiscali (IRPEF/IRES, IVA, IRAP, contributi previdenziali ecc.).

Quadro normativo di riferimento

Il sistema dei controlli fiscali è disciplinato principalmente dal D.P.R. 600/1973 (accertamento IRPEF/IRES) e dal D.P.R. 633/1972 (accertamento IVA), integrati dal D.P.R. 917/1986 (TUIR) per le imposte sui redditi. Lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) garantisce al contribuente principi di legalità e tutela: ogni atto deve essere motivato, notificato entro termini certi e – dal 2024 – preceduto da un contraddittorio preventivo obbligatorio (art. 6‑bis, introdotto dal D.Lgs. 219/2023). Fondamentali sono anche le circolari interpretative dell’Agenzia e la giurisprudenza tributaria. Ad esempio, la Cassazione ha ribadito che i controlli basati su spese e patrimoni (“redditometro”) generano una presunzione legale relativa: i beni o spese individuati costituiscono indizi di reddito imponibile, ma il contribuente può disinnescarli con prove concrete (donazioni, eredità, redditi esenti, ecc.). Anche più di recente, la Corte suprema (Cass. n. 8753/2025) ha chiarito la differenza fra metodo analitico-induttivo e induttivo puro: in entrambi i casi, l’accesso all’azienda e alle scritture contabili è lecito, ma l’accertamento induttivo puro si applica solo se le scritture sono completamente inattendibili, mentre in presenza di dati solo parzialmente inattendibili si può usare l’analitico-induttivo. Il contribuente ha diritti procedurali precisi (ad esempio l’avviso scritto di verifica, il contraddittorio, la documentazione da produrre) e strumenti di difesa (accertamento con adesione, ricorso in commissione tributaria, ecc.).

Tipologie di controllo fiscale

  • Controllo formale delle dichiarazioni – si effettua ex art. 36-ter D.P.R. 600/1973 mediante procedure automatiche che incrociano i dati dichiarati (IRPEF, IVA, ritenute, versamenti) con i database dell’Amministrazione. Il sistema verifica calcoli e coerenza dei dati; in caso di incongruenze viene inviata al contribuente una Comunicazione di Irregolarità, con proposta di ravvedimento agevolato (sanzioni ridotte). Questo controllo, di tipo preventivo e “soft”, è basato su dati elettronici (fatture, banche dati Inps, modello 770, ecc.) e mira a correggere errori evidenti prima di una verifica più approfondita.
  • Verifica analitico-sostanziale – è la modalità tradizionale di controllo in azienda. L’ufficio (Agenzia o Guardia di Finanza) effettua accessi e ispezioni (artt. 32-33 D.P.R. 600/1973; art. 52 D.P.R. 633/1972) presso la sede dell’impresa, banche o terzi. Gli ispettori acquisiscono libri contabili, fatture, registri di magazzino, contratti, documenti bancari e ogni altra documentazione rilevante, rifacendo il calcolo di reddito e volume d’affari. In sede di accesso, l’ispettore può invitare il contribuente a esibire atti e scritture (art. 32, co.3) e redigere verbali firmati dal legale rappresentante, con copia delle scritture fino a 60 giorni.
    • Se dalle verifiche emerge un imponibile superiore a quanto dichiarato (a causa di scritture incomplete o alterate), si procede con accertamento analitico-induttivo: i ricavi o i costi mancanti vengono integrati sulla base di elementi probatori (confronto con contratti, dati di altri soggetti, applicazione di indicatori o percentuali di settore). La giurisprudenza ammette l’analitico-induttivo anche se la contabilità è formalmente corretta, purché siano presenti elementi indiziari gravi e concordanti.
    • Solo nei casi di scritture totalmente inattendibili (per esempio fatture inesistenti, libri contabili ormai affidabili), l’Agenzia può utilizzare l’accertamento induttivo puro (art. 39, comma 2 D.P.R. 600/1973): in tal caso l’intera contabilità viene ignorata e il reddito è ricostruito solo sulla base di elementi indipendenti. La Cassazione ha precisato che la scelta fra analitico-induttivo e induttivo puro dipende «parimenti dalla parziale o assoluta inattendibilità dei dati contabili».
  • Accertamento sintetico (“redditometro”, ora “evasometro”) – basato sul confronto fra spese sostenute/patrimonio posseduto e reddito dichiarato. Il vecchio redditometro (art. 38 D.P.R. 600/1973) stimava un reddito minimo presunto in base a spese significative (immobili, veicoli, viaggi, mutui, consumi ecc.). Queste presunzioni, come ricordato, erano di natura relativa: scattavano solo con scostamenti rilevanti e potevano essere confutate da prove concrete. Dal 2024 il redditometro è stato sostituito dal nuovo metodo (c.d. evasometro): il D.Lgs. 108/2024 fissa soglie stringenti (almeno +20% rispetto al dichiarato e almeno 10 volte l’assegno sociale, circa €70.000) prima di avviare l’accertamento. L’amministrazione utilizza l’analisi del rischio e l’incrocio di dati (spese elevate, acquisti, ecc.) per selezionare i casi sui quali invitare il contribuente al contraddittorio, limitando i “falsi positivi”. Rimane comunque il principio che il contribuente può sempre giustificare le spese con redditi esenti o patrimoniali pregressi.
  • Controlli automatizzati e incroci informatici – l’Agenzia ha potenziato gli strumenti informatici per “smistare” grandi moli di dati. Già dal 2017 esistono il sistema di controllo delle fatture elettroniche e dal 2019 l’Anagrafe dei conti correnti (incroci bancari). Dal 2024–2025 sono stati introdotti sistemi avanzati (intelligenza artificiale gestita da Sogei) che analizzano in tempo reale gli acquisti registrati nelle fatture elettroniche, confrontando codici ATECO e descrizioni con i profili aziendali. Se l’algoritmo rileva costi “anomali” o non inerenti all’attività (in base all’art. 109 TUIR sul principio di inerenza delle spese), segnala un alert che può innescare un controllo specifico. Questi controlli incrociati (per es. sul credito IVA, sui rimborsi, sull’uso di regimi forfettari) ampliano notevolmente la copertura dei verificatori, permettendo di intervenire anche sugli aspetti più tecnici e trasversali della gestione fiscale.

Fasi del controllo e tutele del contribuente

  1. Invito al contraddittorio – In alcuni casi il controllo inizia con un invito formale (art. 32, c.3 DPR 600/73): all’azienda viene chiesto di presentarsi (o comparire tramite rappresentanti) per fornire chiarimenti e documenti sui dati dichiarati. Dal 2024 questo è obbligatorio almeno nel redditometro/evasometro. Durante questo incontro l’ufficio può esaminare i primi dati esposti dal contribuente. Il mancato rispetto dell’invito può far scattare l’accertamento induttivo, ma il contribuente ha sempre diritto a spiegazioni e motivazioni.
  2. Accesso e ispezione – Nel caso di verifica analitica, gli ispettori entrano fisicamente in azienda (o presso banche e fornitori) per esaminare documenti e riscontrare dati. Possono essere redatti verbali di accesso e ispezione dove il contribuente (o suo delegato) può registrare osservazioni. In questa fase l’azienda deve esibire tutte le scritture richieste: libri contabili, registri IVA, fatture passive e attive, movimenti bancari, contratti, ordini di acquisto, documenti di trasporto, ecc. La prassi è collaborativa: avere un consulente o avvocato presente è consigliabile per tutelare i diritti. Lo Statuto del Contribuente garantisce che gli ispettori forniscano motivazioni in caso di contestazione e rispetti i limiti dei registri.
  3. Avviso di accertamento – Al termine delle attività istruttorie l’Agenzia notifica un atto di accertamento (o di rettifica) se ha riscontrato basi imponibili maggiori. Questo atto deve indicare esplicitamente le voci rettificate, i calcoli operati e le motivazioni giuridiche. Il contribuente può quindi aderire all’atto (pagando imposte e sanzioni ridotte) o opporsi tramite ricorso. In caso di reddito presunto (redditometro) l’accertamento è unico IRPEF/IVA; in caso di analitico-induttivo viene notificato un vero e proprio avviso di accertamento distinto per ogni imposta coinvolta. I termini per notificare l’avviso sono di norma 5 anni dall’anno successivo a quello di dichiarazione (4 anni per IVA, 10 anni se evaso grave). Se l’azienda ha regolarizzato spontaneamente prima della notifica (ravvedimento operoso) può ridurre sanzioni e interessi.
  4. Rimedi e ricorsi – Il contribuente può difendersi in diversi modi. In sede amministrativa può rispondere alle richieste integrative, proporre accertamento con adesione (D.Lgs. 218/97) per chiudere la controversia con sanzioni ridotte, o richiedere interpelli/questions dirette. In sede contenziosa può impugnare l’avviso davanti alle Commissioni tributarie, richiedendo l’istruttoria e opponendo le proprie prove (quali fatture, pagamenti bancari, testimonianze) a sostegno di quanto dichiarato. In ogni caso è opportuno agire entro i termini di decadenza (generalmente 60 giorni dalla notifica dell’atto). L’amministrazione può anche rivedere o annullare l’atto in autotutela se rileva vizi nella procedura. Sentenze recenti hanno peraltro ribadito che, in caso di errori procedurali (mancato contraddittorio, motivazione carente, ecc.), l’avviso può essere annullato dai giudici tributari.

Controlli per settore e profili specifici

Nessun settore è esentato da controlli, ma alcune attività presentano rischi peculiari. Ad esempio:

  • Commercio al dettaglio (negozi, supermercati): verifica della congruità tra scontrini emessi e ricavi dichiarati, regolare tenuta del registro di magazzino, corretto trattamento IVA sulle vendite (aliquote applicate, acquisti da fornitori) e sulle importazioni. Anche nel commercio elettronico si controlla la fatturazione B2C e il rispetto delle soglie intracomunitarie.
  • Ristorazione e alberghiero: controlli sui corrispettivi incassati (specialmente in contanti), sulla tracciabilità dei pagamenti, sulle detrazioni IVA (beni strumentali, piccoli acquisti) e sulle ritenute versate (es. lavoro interinale o prestazioni di catering).
  • Edilizia: verifica di spese e bonus fiscali (es. ristrutturazioni, ecobonus, edilizia agevolata), corretta applicazione dell’IVA agevolata, adesione a contratti collettivi, regolarità contributiva dei lavoratori (INPS, INAIL), nonché la legittimità dei prezzi di appalto. Anche in agricoltura si controllano i versamenti dei contributi (collocamento stagionali) e il rispetto del regime fiscale agevolato (art. 34 D.P.R. 601/1973).
  • Servizi professionali e piccole imprese: particolare attenzione alle partite di spesa che non risultano in linea con i parametri/ISA di settore (es. compensi in nero, rimborso spese non documentate), all’uso corretto del regime forfettario o dei minimi (rispetto dei limiti di ricavi/costi), e alla coerenza fra codice ATECO dichiarato e prestazioni effettivamente svolte.
  • Industry/produzione: controllo di costi di produzione, ammortamenti e svalutazioni, movimentazione di magazzino di materie prime, utilizzo di fornitori esteri. Se l’azienda esporta, si verifica la corretta applicazione del regime di non imponibilità IVA sulle esportazioni.
  • Trasporti e logistica: verifica delle spese carburante deducibili (inerenza), delle fatture di manutenzione veicoli, e delle operazioni di noleggio con conducente.
  • Finanza e intermediazione: controlli di trasfer pricing e documentazione in caso di operazioni con parti correlate, accertamento di redditi finanziari, obblighi di white list e monitoraggio fiscale per movimenti sospetti di capitali.

In generale, l’Agenzia orienta i controlli sui profili di rischio fiscalmente sensibili (incassi in nero, ricarichi anomali, spese ingiustificate, uso di contanti, sconfinamento da parametri) e su settori storicamente più esposti all’evasione. Tuttavia il contribuente ha sempre la facoltà di dimostrare la correttezza dell’operato, ad esempio giustificando un grande acquisto con un finanziamento bancario o una vendita precedente.

Domande frequenti e simulazioni pratiche

  • D: Che cosa può richiedere l’Agenzia all’azienda durante un controllo fiscale?
    R: Durante una verifica fiscale l’ufficio può chiedere qualsiasi documento rilevante ai fini delle imposte. In pratica serve predisporre libri e registri obbligatori (libro giornale, registri IVA vendite/acquisti, libro inventari, libri sociali), fatture attive e passive, contratti (es. forniture, appalti), documenti bancari (estratti conto), documentazione del personale (cedolini paga, permessi assenza) e ogni altro atto che giustifichi ricavi e costi. Se l’azienda utilizza regimi speciali (forfettario, minimi, agricoltura, commercio su aree pubbliche, ecc.) deve conservare anche gli specifici documenti richiesti dalla legge. In caso di dubbi è consigliabile farsi assistere da un commercialista. Lo Statuto del Contribuente (L.212/2000) garantisce che l’atto di controllo sia motivato e che i termini siano certi: ad esempio, l’avviso deve essere notificato entro i termini di decadenza previsti (di norma 5 anni dalla dichiarazione) e deve indicare le ragioni dell’accertamento.
  • D: Quali differenze ci sono tra verifica analitica e accertamento induttivo?
    R: Nella verifica analitica (o accesso/ispezione) l’Agenzia parte dalle scritture aziendali e dai documenti in proprio possesso. Se riscontra incongruenze, rettifica singole voci di reddito o spesa: per esempio aggiunge un ricavo non fatturato oppure una spesa indeducibile. Questo è il cosiddetto accertamento analitico. Se invece le registrazioni sono incomplete o false e l’imponibile può essere molto maggiore, l’ufficio può passare all’accertamento analitico-induttivo (art.39, c.1 lett. d) DPR 600/73): in tal caso ricostruisce il reddito integrando ricavi o costi sulla base di indizi esterni (contratti, dati di terzi, percentuali di settore). Infine, l’accertamento induttivo puro (art.39, c.2) si usa solo se è dimostrata la completa inattendibilità della contabilità: allora le scritture sono ignorate e il reddito è stimato senza farvi riferimento. In tutti i casi il contribuente ha il diritto di contestare in giudizio l’accertamento, offrendo controdeduzioni e prove integrative.
  • D: Che cos’era il redditometro e come funziona il nuovo accertamento basato su spese?
    R: Il redditometro tradizionale (art.38 D.P.R. 600/73) era uno strumento di controllo sintetico: calcolava un reddito presunto sulla base di spese sostenute e patrimoni posseduti (es. immobili di proprietà, veicoli intestati, viaggi, beni di lusso). Se il reddito ricostruito superava quello dichiarato, il Fisco ipotizzava un’evasione e notificava un accertamento. Questo meccanismo, come più volte chiarito in giurisprudenza, introduceva una presunzione legale relativa (cfr. Cass. 13745/2015): cioè il contribuente doveva dimostrare concretamente che le spese erano state finanziate da redditi già tassati o da risparmi leciti. Dal 2024 il redditometro “puro” è stato abolito dal D.Lgs. 108/2024 (“decreto correttivo”), che fissa soglie di intervento: l’accertamento di capacità contributiva scatta solo se lo scostamento è almeno del 20% rispetto al dichiarato e supera 10 volte l’assegno sociale annuo (circa €70.000). Inoltre l’Amministrazione effettua prima una analisi del rischio mirata a grandi contribuenti o a chi non dichiara nulla, riducendo i controlli “a tappeto”. In pratica, oggi in presenza di spese elevate l’Ufficio inviterà l’azienda a un contraddittorio specifico sulle fonti di quelle spese e valuta caso per caso prima di rettificare. Rimane comunque valido il principio che il contribuente può giustificare lo scostamento con redditi diversi da quelli dichiarati (redditi esenti, eredità, risparmi pregressi, etc.).
  • D: Cosa succede in pratica quando l’Agenzia effettua un accesso in azienda (simulazione pratica)?
    R: Di solito l’accesso avviene dopo una preliminare comunicazione (invito) o direttamente nell’ambito di una verifica ormai avviata. Supponiamo una verifica fiscale presso un’azienda commerciale: gli ispettori dell’Agenzia arrivano in sede e possono chiedere di esibire registri di cassa/elettronici, fatture di vendita e acquisto, contabilità generale, estratti conto bancari e documentazione del personale. Verrà redatto un verbale di accesso in cui il legale rappresentante può dichiarare osservazioni. Durante il controllo gli ispettori ricostruiscono il volume d’affari: ad esempio confrontano il totale degli incassi giornalieri (scontrini) con le fatture registrate. Se individuano differenze, chiedono spiegazioni e integrano il reddito. Alla fine, se emergono redditi non dichiarati, l’Ufficio notifica un avviso di accertamento contenente le rettifiche (ad esempio maggior imponibile IVA o base imponibile IRES). A quel punto l’azienda può aderire alla definizione agevolata o presentare ricorso. Se invece dalle verifiche non risultano maggiori imposte da versare, il controllo si conclude semplicemente senza atti. In sintesi, il contribuente deve sempre collaborare fornendo le scritture chieste: nel verbale può allegare chiarimenti e documenti aggiuntivi. La fase istruttoria termina con l’atto di accertamento, che dà vita al contenzioso o a definizioni concordate.
  • D: In quali casi l’Agenzia può controllare anche i conti di parenti o soci dell’imprenditore?
    R: Di norma l’Agenzia può acquisire solo i dati personali del soggetto sottoposto a controllo. Tuttavia, recenti orientamenti della Cassazione hanno esteso questa possibilità in presenza di indizi forti di evasione tramite conti fittizi. In particolare, con l’ordinanza Cass. 13761/2025 è stato stabilito che l’Agenzia può verificare i conti correnti intestati a familiari, conviventi o soci del contribuente solo se emergono sospetti concreti di intestazione fittizia (ad esempio redditi anomali del coniuge nello stesso periodo fiscale del contribuente). In altre parole, non è un diritto automatico dell’Ufficio accedere ai dati di terzi, ma diventa ammesso quando i movimenti bancari lasciano ragionevolmente presumere che detti conti siano collegati all’impresa principale. Anche prima di questa pronuncia, il potere di accertamento bancario sui conti del contribuente titolare del controllo (art. 32, n. 2 DPR 600/73) consentiva all’Agenzia di esaminare bonifici e movimenti per ricostruire redditi occulti.
  • D: Quali sono le principali sanzioni se il controllo riscontra errori o irregolarità?
    R: Le sanzioni variano in base alla gravità dell’irregolarità e alla tipologia di imposta. In generale, per chi dichiara meno di quanto dovuto (omissione) le sanzioni vanno dal 90% al 180% dell’imposta evasa (ridotte se si ravvede spontaneamente). Per errori formali (omesso versamento ritenute, omessa presentazione di dichiarazioni, ecc.) sono previste sanzioni da piccole a medie (5‑40% dell’imposta non versata). Il contribuente ha comunque la possibilità di ridurre le sanzioni con gli istituti del ravvedimento operoso (pagamento spontaneo di imposte e sanzioni in misura ridotta) e dell’accertamento con adesione (aliquote ulteriormente ridotte). Inoltre, in caso di controllo automatizzato formale, le sanzioni sono notevolmente scontate (ad esempio nella Comunicazione di Irregolarità il massimo è il 4% se si provvede subito). Dal 2024 la legge (D.Lgs. 108/2024) ha introdotto condizioni di proporzionalità aggiuntive: ad esempio se il maggior reddito accertato è fino a €1.000 l’accertamento viene automaticamente annullato, se da €1.000 a €2.000 la sanzione è fissa di €250, se da €2.000 in su la sanzione è calcolata come al solito.
  • D: Quali tutele ha il contribuente durante e dopo il controllo?
    R: L’azienda ha diritto a essere sempre informata sulle ragioni del controllo (tramite l’avviso o l’invito scritto) e a un contraddittorio effettivo (art.6-bis Statuto Contribuente, introdotto con il D.lgs. 219/2023) prima della chiusura dell’accertamento. Ha diritto di ottenere copia del verbale dell’ispezione e delle determinazioni interne dell’Agenzia. Nel contraddittorio e in giudizio può proporre documenti, testimonianze e perizie. Se l’avviso di accertamento contiene errori procedurali (es. mancanza della motivazione, violazione dei termini, mancata consegna di copia del verbale), l’azienda può chiedere l’annullamento dell’atto per difetto di motivazione o violazione di legge. Infine, esistono strumenti alternati di risoluzione (conciliazione tributaria, mediazione) che possono essere utilizzati per definire la controversia evitando il contenzioso pieno, con vantaggi in termini di tempi e costi.

Fonti e riferimenti normativi

  • D.P.R. 600/1973 (“Testo unico delle imposte sui redditi” – capo III e IV: accertamenti fiscali e redditometro) e D.P.R. 633/1972 (norme IVA, art. 54‑55: accertamento Iva).
  • D.P.R. 917/1986 (TUIR) e Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente); D.Lgs. 219/2023 (delega fiscale, art. 6-bis contraddittorio preventivo); D.Lgs. 108/2024 (decreto correttivo, che ha modificato redditometro e sanzioni); Provv. Agenzia Entrate 11/4/2025 n.176087 (regole ISA/CPB).
  • Giurisprudenza rilevante: Cass. SS.UU. 16850/2024 (movimenti bancari e onere della prova); Cass. 13761/2025 (controlli su familiari/congiunti); Cass. 8753/2025 (analitico-induttivo vs induttivo puro); Cass. 16498 e 16528/2024 (contabilità inattendibile); sent. Cass. 1506/2017, 19191/2019 (inquadramento norme accertamento).

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