Qual È La Differenza Tra Accertamento Integrativo e Accertamento Parziale?

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate e ti stai chiedendo che differenza c’è tra accertamento integrativo e accertamento parziale? Ti preoccupa l’idea di poter subire più controlli fiscali per la stessa annualità?

Capire come funziona l’accertamento è essenziale per difendersi e sapere fino a che punto l’Agenzia può spingersi nei suoi controlli.

Cos’è l’accertamento parziale?

L’accertamento parziale è una forma di verifica limitata solo ad alcuni elementi di reddito, avviata quando emergono dati certi e immediatamente utilizzabili (ad esempio dai controlli incrociati, da segnalazioni o da verifiche bancarie). Non serve che il contribuente venga convocato per un contraddittorio preventivo: l’ufficio notifica direttamente l’accertamento per la parte contestata.

Attenzione: anche se si chiama “parziale”, è un atto definitivo per gli importi contestati. Questo significa che, se non lo impugni nei termini, diventa esecutivo. Tuttavia, l’Agenzia può emettere ulteriori accertamenti per lo stesso anno, se emergono nuovi fatti rilevanti.

E l’accertamento integrativo?

L’accertamento integrativo, invece, è un secondo accertamento che integra un accertamento precedente, quando emergono nuovi elementi non conosciuti al momento della prima notifica. Questi elementi devono essere rilevanti ai fini del reddito, e possono provenire da verifiche successive, segnalazioni esterne, o sentenze tributarie.

L’Agenzia, in pratica, “corregge o completa” quanto già accertato in passato, ma può farlo solo entro i termini di decadenza ordinari (in genere, 5 anni dal termine per la dichiarazione).

Qual è il rischio concreto per il contribuente?

Il rischio è di subire più accertamenti per lo stesso anno, con la sensazione di non avere mai certezze. Ma le regole sono chiare: ogni accertamento ha limiti, presupposti e vincoli di forma. Se vengono violati, puoi impugnare l’atto e farlo annullare.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega la differenza tra accertamento parziale e integrativo, quando possono essere emessi e cosa possiamo fare per aiutarti a contestarli in modo efficace.

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Introduzione

Nell’ordinamento tributario italiano gli accertamenti fiscali devono rispettare i principi di unicità e globalità: in linea di principio l’Agenzia delle Entrate può emanare un solo atto impositivo complessivo per ciascun periodo d’imposta e tributo (cd. “principio ne bis in idem del procedimento tributario”). Tuttavia il legislatore prevede alcune deroghe, tra cui l’accertamento integrativo e l’accertamento parziale, strumenti che consentono all’Amministrazione di emettere più atti su uno stesso periodo d’imposta in presenza di specifiche condizioni. Dal punto di vista del contribuente, è fondamentale conoscere le differenze normative e pratiche tra questi istituti per capire quando e come l’Ufficio può rinnovare l’azione accertatrice e quali garanzie o limiti tutelano il contribuente stesso. Questa guida, aggiornata a giugno 2025 e rivolta ad avvocati, imprenditori e privati, illustra in modo dettagliato (con riferimenti normativi e giurisprudenziali) le caratteristiche, i presupposti e gli effetti dell’accertamento integrativo e parziale, con esempi numerici (IRPEF, IVA, IRES) e consigli pratici sul versante della tutela del contribuente.

Quadro normativo di riferimento

Accertamento integrativo: è disciplinato principalmente dall’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (testo unico delle imposte sui redditi – IRPEF), comma 3 e segg. L’istituto è richiamato anche dall’art. 57, comma 4, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (regime IVA). Tali norme consentono di integrare o modificare in aumento un avviso di accertamento originario entro i termini di decadenza, a seguito della “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” di reddito o di imposta. Il Codice del Procedimento Tributario (D.Lgs. 546/1992), l’art. 2 del D.Lgs. 218/1997 (adeguamento procedure di definizione agevolata), nonché lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) – in particolare l’art. 9-bis introdotto dal D.Lgs. 219/2023 – contengono richiamo al principio di “una sola volta” e alle eccezioni ammesse, stabilendo che l’azione accertatrice può essere esercitata una sola volta per ciascun tributo e periodo d’imposta salvo che “specifiche disposizioni prevedano diversamente”. L’accertamento integrativo rientra dunque tra le eccezioni legali a tale principio.

Accertamento parziale: è disciplinato dall’art. 41-bis del D.P.R. 600/1973 (per le imposte sui redditi IRPEF) e dall’art. 54, quinto comma, del D.P.R. 633/1972 (per l’IVA). Tali disposizioni permettono agli uffici di condurre una verifica parziale limitata ad alcuni elementi emergenti da controlli o segnalazioni specifiche. In sostanza, quando l’Amministrazione reperisce dati precisi su una parte del reddito o dell’imposta dovuti dal contribuente, può emettere un atto mirato su quel solo aspetto, “senza pregiudizio di ulteriori azioni accertatrici” sui restanti elementi del reddito. L’accertamento parziale è dunque anch’esso un’eccezione al principio dell’atto unico, consentendo di rilanciare l’accertamento su aspetti puntuali. Il D.Lgs. 218/1997 (art. 2, comma 4) prevede poi che in caso di definizione con adesione, le ipotesi di definizione agevolata e di accertamento integrativo devono essere considerate alternative. Infine, il principio di unitarietà dell’accertamento trova conferma anche nella prassi dell’Agenzia e nella giurisprudenza, che ribadiscono che entrambi gli strumenti devono essere esercitati nei limiti fissati dalla legge.

Accertamento integrativo: definizione e presupposti

L’avviso di accertamento integrativo si configura come un secondo atto successivo a un precedente avviso di accertamento (detto “originario” o “primario”) emesso nei confronti dello stesso contribuente e per lo stesso periodo d’imposta e tributo. In base all’art. 43 del DPR 600/1973, “fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti, l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Amministrazione finanziaria”. In altri termini, l’integrativo è legittimo solo se si fonda su elementi che al momento del primo avviso non erano conosciuti o utilizzati dall’Ufficio. La Suprema Corte ha espresso chiaramente questo principio: “l’atto integrativo può emettersi soltanto sulla base di elementi ulteriori o sopravvenuti rispetto a quelli posti a fondamento dell’accertamento [originario]”, non essendo ammissibile che i due atti si sovrappongano. In assenza di tale “novità” di fatto, l’accertamento integrativo sarebbe nullo per violazione del diritto di difesa del contribuente.

Caratteristiche principali dell’accertamento integrativo:

  • Scopo: aumentare la pretesa fiscale dell’Amministrazione nei confronti di elementi di reddito o imposta non considerati (o non noti) in precedenza, dentro i termini di decadenza previsti (attualmente 5 anni dall’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, salvo proroghe). Non comporta la revoca o sostituzione del primo atto, ma un complemento.
  • Presupposti: sopravvenienza di “nuovi elementi” di fatto, ossia dati su imponibile o elementi reddituali/iva emersi dopo il primo avviso e ignoti a quell’atto. Possono provenire da accessi, ispezioni, verifiche, segnalazioni esterne (GdF, altre PA), analisi di dati bancari o redditometrici, ecc., purché non fossero utilizzati per il primo avviso. La giurisprudenza ribadisce che non basta la semplice “valutazione diversa” di elementi già noti: se l’Ufficio era già in possesso dei dati, non può usarli in un secondo avviso integrativo. Anzi, “spetta al contribuente l’onere di provare che gli elementi erano già noti all’Amministrazione al momento dell’avviso originario”.
  • Contenuto dell’atto: per legge (art. 43 c.3 DPR 600/73) l’avviso integrativo deve indicare specificamente i nuovi elementi di fatto che legittimano l’integrazione e le fonti di conoscenza di tali elementi, a pena di nullità. In pratica l’atto deve richiamare espressamente i dati oggetto di integrazione (es. nuovi ricavi, redditi o detrazioni scoperte) e spiegare come sono emersi (indagini GdF, segnalazioni, documenti, ecc.).
  • Tempistica e termini: l’avviso integrativo va emesso entro il termine di decadenza ordinario di cui agli artt. 43 e 57, cioè di norma entro il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (tenendo conto delle proroghe Covid o legislative). L’emissione di un avviso integrativo non prolunga i termini di decadenza oltre quelli previsti, ma l’art. 9-bis dello Statuto del contribuente (legge 212/2000, come modificato dal D.Lgs. 219/2023) prescrive in generale che “l’amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta”, salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente. L’articolo 43 è proprio la “specifica disposizione” che permette, in presenza di nuovi elementi, di superare temporaneamente il principio di unicità dell’accertamento.
  • Effetti pratici: l’accertamento integrativo comporta un addebito fiscale aggiuntivo per il contribuente, calcolato sui nuovi elementi scoperte (maggiori redditi o imposte). Dato che si tratta di una deroga eccezionale, l’atto integrativo è soggetto a elevata gravità per il contribuente: tuttavia va ricordato che esso integra e non revoca l’atto originario. Non costituisce autotutela dell’Amministrazione ma poteri aggiuntivi, consentendo un “potere di accertamento plurimo”, limitatamente alle eccezioni di legge.

Punto di vista del contribuente (integrativo)

Dal punto di vista di colui che riceve un avviso integrativo, è cruciale verificare subito se sono effettivamente presenti elementi nuovi rispetto al primo avviso. Ad esempio, se l’Ufficio ha emesso il primo avviso basandosi sulle dichiarazioni (o su un contraddittorio) relativamente ai redditi dichiarati, il contribuente deve controllare se l’integrativo indica specifici redditi o detrazioni inedite. Se risulta che i presunti “nuovi” elementi erano già noti all’amministrazione, si può tempestivamente impugnare l’avviso per carenza dei presupposti (cioè per violazione dell’art. 43 DPR 600/73). Il contribuente, infatti, ha l’onere di provare che i dati erano già in possesso dell’Agenzia, ma l’Amministrazione deve motivare l’atto richiamando i nuovi fatti. L’Ordinanza Cass. n. 12854/2022 ha chiarito che il mancato fondamento su elementi ulteriori rispetto al primo atto pregiudica il diritto alla difesa, rendendo nullo l’integrativo.

Inoltre, l’Agenzia non è tenuta a notificare alcun avviso di rettifica o integrazione se gli elementi segnalati non sono “nuovi”: vale il principio di “unicum” per ogni fonte di informazione. Se l’Ufficio emette un integrativo senza nuovi elementi, il contribuente può eccepire la nullità dell’atto e far valere il principio di “ne bis in idem” (una sola volta all’anno per ogni tributo). A tal proposito, la norma che consente l’integrativo agisce come deroga straordinaria allo Statuto del contribuente, che peraltro impone che il contribuente “abbia diritto a che l’Amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta”. Di conseguenza, se l’atto integrativo viene emesso senza rispettare le condizioni di legge, il contribuente deve evidenziare tale illegittimità in sede di opposizione.

Accertamento parziale: definizione e presupposti

L’avviso di accertamento parziale è uno strumento che consente all’Agenzia di limitare temporaneamente il proprio accertamento ad alcuni elementi di reddito o imposta emergenti, senza trattare nel medesimo atto l’intera posizione fiscale. È disciplinato dall’art. 41-bis del DPR 600/73 (e art. 54, comma 5, DPR 633/72 per l’IVA). Tale norma prevede che, “senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43”, l’Ufficio può accertare solo una parte del reddito imponibile o dell’imposta omessa, quando negli accessi, ispezioni, verifiche o da segnalazioni di varie fonti (Guardia di Finanza, Direzione centrale accertamento, altre PA, anagrafe tributaria, ecc.) emergano elementi specifici che consentono di quantificare un reddito o un’imposta non dichiarati o parzialmente dichiarati. In pratica, se in un controllo emergono indizi solidi su una qualche quota di reddito (es. reddito da partecipazione, plusvalenze, canoni locazione, ecc.), l’Amministrazione può emettere un avviso “parziale” riferito esclusivamente a tali elementi.

Caratteristiche principali dell’accertamento parziale:

  • Scopo: collegare l’atto impositivo a elementi specifici emersi durante le indagini, in modo rapido ed efficace. In altre parole, “l’accertamento parziale permette di concentrare l’istruttoria solo su alcuni aspetti della posizione fiscale del contribuente, rinviando a momenti successivi l’eventuale verifica degli altri”. Tale procedura è pensata per contrastare celermente l’evasione quando emergono dati puntuali, senza dover attendere la ricostruzione globale del reddito complessivo.
  • Presupposti: devono esistere dati indiziari concreti (non generici) su redditi, plusvalenze o imposte non dichiarate. L’attività istruttoria preliminare (accesso, perquisizione, acquisizione documenti, interrogatori, segnalazioni di altri enti) deve fornire elementi “gravi, precisi e concordanti” di maggior reddito o imposta. In pratica: se da un’ispezione della GdF risulta per esempio che il contribuente ha omesso di dichiarare canoni di locazione o interessi attivi, allora si può emettere un atto parziale limitato a quel reddito. Diversamente dall’integrativo, l’accertamento parziale si fonda su fatti già “emersi” e attendibili, ma che non richiedono ulteriori approfondimenti valutativi.
  • Contenuto dell’atto: l’avviso parziale deve specificare che “l’accertamento è parziale” (per evitare confusione), e riportare gli elementi circostanziati su cui è basato (ad es. “in base a segnalazione di X”, “confronto di bilanci”, ecc.). Tuttavia, non è necessario indicare ogni dettaglio di come si è ottenuta la segnalazione, come avviene invece per l’integrativo. L’atto parziale può limitarsi a contestare la parte di imponibile individuata, rimandando a futuro le verifiche sugli altri redditi. La Corte di Cassazione ha spiegato che l’accertamento parziale “non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni ordinarie, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole”, differendo dall’ordinario solo per il fatto che si basa su elementi precisi già disponibili e “non richiedono un ulteriore ufficio valutativo”.
  • Tempistica e termini: l’accertamento parziale deve essere emesso entro i medesimi termini di decadenza dell’accertamento ordinario (di norma 5 anni dall’anno della dichiarazione), come confermato dalla Cassazione. Poiché la norma apre all’“ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43”, ne consegue che l’atto parziale non sospende né prolunga il decorso dei termini di decadenza. Al contrario, ogni atto emesso (parziale o integrativo) si iscrive nella scadenza originaria dell’accertamento.
  • Effetti pratici: essendo un atto “limitatto”, l’accertamento parziale produce una pretesa fiscale su una parte dell’imponibile o dell’imposta. Se il contribuente contesta quell’aspetto, può impugnare l’atto come qualsiasi avviso. Se l’Ufficio riscontra successivamente altri elementi di evasione, potrà emettere ulteriori avvisi parziali (o integrativi) finché entro il termine di decadenza non ha trattato tutti gli elementi contestabili. Dunque il parziale non esaurisce il potere di accertamento, e anzi il contribuente può trovarsi a dover subire vari avvisi nel tempo sullo stesso anno d’imposta, ciascuno riferito a un diverso aspetto. La Cassazione ha confermato che, pur nel rispetto dei termini di legge, l’amministrazione può emettere più avvisi parziali frazionando l’accertamento complessivo (es. aiuti di Stato frazionati).

Punto di vista del contribuente (parziale)

Il contribuente che subisce un avviso parziale deve valutare se l’atto rispetta la normativa: in particolare, se l’avviso è effettivamente fondato su elementi oggettivi concreti e motivi specifici (seguiti, ad esempio, alla scoperta di documentazione o segnalazioni). Se l’amministrazione non motiva adeguatamente o se l’accertamento si fonda solo su semplici presunzioni non gravi, il contribuente potrà eccepire la mancanza dei requisiti di legge. Tuttavia, diversamente dall’integrativo, l’onere di provare in conoscenza preventiva di tali dati non sussiste: la disciplina del parziale non richiede che gli elementi siano “nuovi” rispetto a un precedente accertamento, perché non c’è un primo avviso analogo a cui fare riferimento (nella prassi il parziale è di solito il primo atto emesso). L’unico limite è che ogni successivo accertamento (parziale o integrativo) non può riproporsi sulle stesse conoscenze già usate. Come chiarito dalla giurisprudenza, “l’accertamento susseguente a quello parziale non può basarsi su atti o fatti già conosciuti dall’ente impositore al momento del primo accertamento, ma deve fondarsi su nuovi elementi atti a giustificarlo”. In soldoni: se l’Agenzia scopre nuovi dati dopo il primo avviso parziale, può fare integrativo basato sulle novità. Ma non può emettere un secondo avviso parziale semplicemente rivalutando i dati già acquisiti senza nuova motivazione.

Dal lato del contribuente, ciò significa che anche l’avviso parziale, come tutti gli atti tributari, deve contenere motivazioni coerenti: in particolare il contribuente ha il diritto di sapere quali indizi abbiano portato alla determinazione dell’imponibile non dichiarato. Inoltre, l’accertamento parziale apre alle stesse garanzie difensive di un accertamento ordinario: ad esempio, se l’atto deroga l’accertamento ordinario deve essere notificato rispettando i termini di decadenza, e il contribuente può chiedere contraddittorio preventivo se i tempi lo consentono (art. 12 D.Lgs. 546/92). Dato che spesso l’avviso parziale è l’unico atto emesso per quell’anno (o è il primo atto), si applicano le ordinarie regole di notifica e impugnazione.

Tabelle riepilogative delle differenze

CaratteristicheAccertamento IntegrativoAccertamento Parziale
NormativaArt. 43 DPR 600/1973 (redditi), art. 57 DPR 633/1972 (IVA), L. 212/2000 art. 9-bis (statuto)Art. 41-bis DPR 600/1973, art. 54 DPR 633/1972
FinalitàIntegrare l’attribuzione di redditi o imposte già generica con nuovi elementi scoperti successivamenteAccertare un elemento di reddito o imposta emerso nei controlli, senza esaurire l’intero reddito
PresuppostiNuovi elementi di fatto sopravvenuti dopo il primo avviso; dati ignoti o non utilizzati dall’UfficioElementi evidenti da verifiche o segnalazioni, su cui fondare un accertamento immediato
Tipologia di attoSecondo avviso successivo (integrativo/incrementale); aggiunge imposte senza revocare il primoAvviso autonomo “limitato” a specifici elementi reddituali o d’imposta; non revoca alcun atto preesistente
Contenuto da indicareDeve riportare i nuovi elementi e le fonti conoscitive (es. dati emersi, documenti, segnalazioni)Deve indicare con certezza gli elementi oggetto dell’accertamento (ad es. “in base alla segnalazione X” o analisi Y)
TerminiEntro la decadenza ordinaria (art. 43 c.3); agisce come deroga controllata al principio di unitarietàEntro la stessa decadenza ordinaria (art. 41-bis rinvia ai termini art. 43); può essere emesso anche più volte entro i termini
Esaurimento del potereNon esaurisce il termine di accertamento: operante finché entro i termini esistono nuovi elementiNon esaurisce il termine: l’azione può ripetersi parzialmente fino a consumazione della decadenza (più atti possibili)
EffettiPretesa fiscale aggiuntiva; integrale convivenza con primo atto. Se illegittimo, si contesta nullità atti integrativiPretesa su parte del reddito/imposta; riapre (nei termini) gli accertamenti su altri elementi successivamente.
Diritti del contribuenteDeve essere adeguatamente informato dei nuovi elementi; può eccepire mancata conoscenza di detti dati; lo protegge lo statuto (ne bis in idem)Può conoscere le ragioni dell’accertamento parziale e contestarle; l’ufficio deve motivare gli elementi incriminati.
Interazione con l’adesioneL’adesione (definizione agevolata) tra primi atti può escludere integrativi sugli stessi elementi (Cass. 788/2025).Un avviso parziale definito con adesione non preclude nuovi accertamenti entro i termini (Cass. 788/2025).

Analogie e differenze principali

  • Unicità vs pluralità: Entrambi gli istituti derogano al principio dell’avviso unico. L’integrativo lo fa fondamentalmente per perseguire l’emersione di nuova imposizione (favor evolutivo), mentre il parziale lo fa per ragioni di efficienza (favor reattivo). In entrambi i casi, però, valgono i limiti di tempo dell’art. 43 DPR 600/73 e art. 57 DPR 633/72.
  • Nuovi elementi vs dati evidenti: Nell’integrativo è indispensabile la “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”. Nel parziale, invece, si presuppone che gli elementi siano già noti all’atto dell’accesso o segnalazione (anche se non formavano oggetto del processo decisionale precedente), pertanto l’atto si basa su dati già alla disponibilità dell’Ufficio.
  • Effetti sul diritto di difesa: L’integrativo, essendo basato su dati nuovi, richiede la massima trasparenza nell’indicazione dei fatti. Se ciò non avviene, si viola il diritto di difesa. Il parziale, pur a volte percepito come colpo di sorpresa, è comunque un atto motivato che deve permettere al contribuente di esercitare i propri rimedi. La Cassazione ha osservato che ambedue seguono le regole ordinarie, ma l’integrativo “aggiunge” un atto nuovo mentre il parziale “segue” le segnalazioni dando consistenza a precise informazioni.
  • Accertamento ulteriore: Dopo un primo avviso, se sopravvengono NUOVI dati potrà scattare l’integrativo; se emergono ulteriori dati della stessa fonte (o correlati) si potrà procedere con un successivo integrativo, purché tutti nuovi. Dopo un primo avviso parziale, invece, se compaiono altri elementi che non figuravano nel primo atto (perché emersi dopo), si può emettere un ulteriore atto (parziale o integrativo) basato su essi. Ciò significa, ad esempio, che l’Agenzia può emettere più avvisi integrativi a catena, a patto che ogni volta si faccia riferimento a informazioni realmente nuove.

Fasi pre-contenziose e tutela del contribuente

Prima della fase contenziosa, il contribuente ha talune garanzie e opportunità. Ad esempio, nel contraddittorio preventivo previsto dall’art. 12 del D.Lgs. 546/1992, l’Amministrazione può convocare il contribuente per esaminare le ragioni su cui basa l’accertamento prima di emettere l’atto definitivo. Se il contribuente riceve prima dell’atto una “richiesta di informazioni” da parte dell’Ufficio (art. 12 D.Lgs. 546/92), può cogliere l’occasione per chiarire la propria posizione e tentare di evitare un accertamento esteso, fornendo subito documentazione che giustifichi i risultati dichiarati. Questo strumento è previsto anche per gli accertamenti parziali.

Inoltre, è possibile avviare una conciliazione preventiva nei casi di controversie tributarie (art. 48-bis, D.Lgs. 546/92) o aderire a procedure di accordo con l’Agenzia (ad esempio accertamento con adesione ex D.Lgs. 218/1997), prima di agire nel giudizio. Si noti però che, per quanto riguarda l’adesione (definizione agevolata), se un avviso parziale era già stato definito mediante accordo, la Corte di Cassazione (ordinanza n. 788/2025) ha stabilito che l’Agenzia non è impedita dall’aver definito quell’atto a definire nuovamente altri aspetti dello stesso tributo entro i termini****. Ciò significa che nemmeno l’adesione ferma automaticamente il potere accertativo su aspetti non toccati dall’accordo, purché entro i limiti temporali di decadenza. Viceversa, se un avviso parziale era stato definito con adesione, un successivo atto integrativo non potrebbe riguardare gli elementi già aderiti, perché la definizione di quelli impedisce la riapertura di quegli stessi punti (anche se la recente Cassazione ha trattato solo il caso in cui la definizione di parziale non inibisce nuovi avvisi su parti diverse). Questo è un caso complesso da tenere presente: il contribuente che definisce un avviso parziale con adesione deve sapere che l’azione accertatrice per altri elementi rimane aperta.

Nel contenzioso tributario, il contribuente potrà impugnare l’avviso integrativo o parziale davanti alle Commissioni tributarie. La strategia difensiva suggeribile è diversa per i due istituti:

  • Accertamento integrativo: concentrarsi sulla carenza di presupposti. Se l’avviso integrativo non indica nuovi elementi in modo specifico, il contribuente deve sottolineare questa mancanza. Grazie a principi consolidati, può evidenziare che il secondo atto viola il diritto al giusto processo tributario e il divieto di essere ripetuto più volte senza ragione. Ad es., potrebbero citare la sentenza Cass. 12854/2022 che ha annullato un integrativo non sostenuto da dati nuovi. Se ci sono dubbi sulla nozione di “nuovo”, conviene raccogliere prove della conoscenza precedente da parte dell’Amministrazione (per esempio intercettazioni bancarie, segnalazioni o altri documenti). Spesso l’onere spetta all’Amministrazione di provare che non si tratta di dati già disponibili. Se invece il contribuente ha ricevuto un parziale e successivamente un integrativo basato su nuovi elementi, il suo compito è però limitato a contestare la validità giuridica dell’integrazione (ad es. mancanza di motivazione o di legame con gli “elementi sopravvenuti”).
  • Accertamento parziale: verificare l’appropriatezza degli “elementi pretesi”. Il contribuente può sostenere che gli indizi su cui l’atto si fonda siano inconsistenti o insufficienti. Ad esempio, se l’atto parziale si basa su presunzioni semplici (infondate) anziché su fatti concreti (come richiesto dall’art. 41-bis), il contribuente dovrebbe far rilevare la violazione. Inoltre, poiché ogni atto parziale deve essere motivato in relazione alle indagini svolte, il contribuente può valutare di chiedere all’Ufficio (tramite accesso agli atti) i documenti e le informazioni utilizzate, per verificare se ci sono errori o misinterpretazioni. Se l’atto è fondato su segnalazioni, si può anche valutare di opporsi alla comunicazione di trasferimento di poteri se i dati sono frutto di un contrasto di interesse (es. segnalazioni interne).

In entrambi i casi, l’ impugnazione per nullità rimane uno strumento chiave. Di recente, in contesto analogico, Cass. 23685/2018 e Cass. 21984/2015 (citate in dottrina e giurisprudenza) hanno ribadito che l’omessa specificazione dei fatti nuovi in un atto integrativo porta a nullità. In generale, è essenziale che l’atto riporti “gli elementi sopravvenuti” e “le fonti di conoscenza”. Se mancano, il contribuente deve sostenere la nullità.

Domande frequenti (Q&A)

  1. D: Quando l’Agenzia può emettere un accertamento integrativo?
    R: Secondo l’art. 43 c. 3 del DPR 600/1973, l’accertamento integrativo è legittimo solo se, prima della scadenza dei termini di decadenza, “siano sopravvenuti nuovi elementi” di fatto. In pratica, l’ufficio deve aver acquisito dopo il primo atto nuove informazioni che gli consentano di accertare maggiori redditi o imposte. La Corte di Cassazione ha confermato che, senza tali elementi nuovi, l’integrativo è nullo. Se al contrario compaiono fatti nuovi (es. documenti non forniti, segnalazioni della GdF, acquisizione conti bancari, ecc.), allora l’avviso integrativo è pienamente valido anche se notificato poco dopo il primo avviso.
  2. D: Cosa deve indicare l’avviso integrativo?
    R: L’atto deve contenere “specificatamente i nuovi elementi” emersi e le fonti attraverso cui l’Ufficio se ne è procurato. Ad esempio, se emergono 10.000€ di compensi in nero a seguito di una verifica, l’integrativo deve precisare che tratta quella somma e come è stata scoperta (perizia contabile, segnalazione ecc.). In mancanza di tale indicazione (ad es. diciture generiche), l’atto è viziato per mancata motivazione. L’indicazione precisa tutela il contribuente permettendogli di capire cosa contestare.
  3. D: Qual è il presupposto dell’accertamento parziale?
    R: L’accertamento parziale scatta quando un’attività di controllo (accesso, verifica, segnalazione esterna, controllo automatico dell’anagrafe tributaria, ecc.) fa emergere elementi certi di redditi o imposte non dichiarati, tali da permettere di quantificare una parte del debito fiscale in modo attendibile. Ad esempio, se dall’analisi del conto corrente risultano ricavi non contabilizzati per 20.000€, l’atto parziale potrà limitarsi a integrare il reddito di quella cifra. Il legislatore ha previsto questo strumento affinché l’Amministrazione non perda tempo a ricostruire subito tutto il reddito complessivo quando può agire tempestivamente su parti certe. A differenza dell’integrativo, non si richiedono “nuovi” elementi rispetto a un precedente atto, perché si tratta di primo atto. L’elemento fondamentale è però la fondatezza degli elementi: devono essere precisi e documentabili, altrimenti il contribuente può contestare che si tratti di vere basi di accertamento.
  4. D: L’accertamento integrativo e quello parziale possono coesistere?
    R: Sì, sono strumenti distinti e possono succedersi. Ad esempio, l’Ufficio può prima emettere un avviso parziale su certi redditi scoperti, e successivamente – se emergono altri dati nuovi – emettere un avviso integrativo per altri elementi. Cass. 1/10/2018 n. 23685 ha evidenziato che i due istituti hanno finalità diverse e non sono sovrapponibili. Tuttavia il contribuente ha il beneficio di sapere che non può esserci un “accertamento parziale dopo accertamento parziale” all’infinito su gli stessi fatti: ogni nuovo avviso (parziale o integrativo) deve basarsi su elementi oggettivamente nuovi, non semplicemente su rivalutazioni di quanto già noto. Ciò garantisce al contribuente che non si possa procedere a singhiozzo senza evidenziare i nuovi dati, pena nullità dell’atto.
  5. D: Quali differenze di termine ci sono?
    R: Entrambi gli istituti devono rispettare i termini di decadenza ordinaria. L’accertamento integrativo deve essere notificato entro la scadenza prevista dagli articoli 43 e 57 DPR 600/73 per la compensazione dell’atto originario (tipicamente il 31 dicembre del quinto anno successivo all’anno di presentazione della dichiarazione). L’accertamento parziale, basandosi sul rinvio all’art. 43 (cfr. 41-bis), deve anch’esso avvenire entro gli stessi termini. Pertanto, sia integrativi che parziali possono essere emessi più volte entro la stessa decadenza (ad es. il 5° anno post dichiarazione), ma mai oltre. Lo Statuto del contribuente (art. 9-bis L.212/2000, c. 4) ha stabilito in maniera generale che l’azione accertativa si esercita una sola volta, salvo casi particolari come appunto l’art. 43 DPR 600/73. Di recente la giurisprudenza si è dovuta confrontare con estensioni dei termini (es. raddoppio a 7-10 anni in riforma fiscale), ma il concetto rimane: integrativi e parziali si iscrivono nell’ambito dei termini di decadenza ordinari dell’accertamento fiscale.
  6. D: Accertamento integrativo e autotutela (cancellazione dell’atto d’ufficio) sono la stessa cosa?
    R: No, sono istituti completamente diversi. L’autotutela sostitutiva in malam partem (ovvero l’annullamento e sostituzione di un atto emesso in danno del contribuente) si basa sull’esistenza di vizi nell’atto originario: l’ufficio, anche senza nuovi elementi di fatto, può autonomamente revocare il primo avviso illegittimo e sostituirlo con un atto corretto. L’accertamento integrativo, invece, scatta quando compaiono elementi di fatto nuovi indipendentemente dai vizi di quello originario. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che i presupposti sono radicalmente diversi: nell’autotutela l’atto è “rivalutato” per correggere un errore, mentre nell’integrativo il primo atto rimane valido e gli si affianca un nuovo atto per nuove pretese. Dal punto di vista del contribuente ciò significa che le garanzie di difesa (diritto di accesso, contraddittorio, motivazione) si attivano in modo diverso: l’integrativo risponde alle norme dell’azione accertatrice, mentre l’autotutela può correggere eventuali violazioni procedurali o sostanziali anche dopo gli stessi termini, ma sempre entro i limiti del termine di decadenza (non incide il principio di unicità).
  7. D: Cosa deve fare il contribuente all’arrivo di un avviso integrativo?
    R: Innanzitutto, leggere attentamente l’atto per identificare i nuovi elementi contestati e le motivazioni riportate. Se i nuovi elementi non risultano esposti in modo chiaro, o se sembrano dati già conosciuti, occorre subito valutare la possibilità di impugnare l’atto per nullità o illegittimità. È consigliabile preparare un ricorso in Commissione Tributaria evidenziando le censure – ad es. “il nuovo avviso non indica quali siano i nuovi elementi sopravvenuti al primo atto e pertanto risulta carente di motivazione ai sensi dell’art. 43 DPR 600/1973” (come previsto dalla sentenza Cass. 12854/2022). Allo stesso tempo, è utile raccogliere prove che i dati erano già noti all’Agenzia (estratti conto, contabili, segnalazioni) se si ritiene che l’atto integrativo sia infondato.
  8. D: Esempio pratico IRPEF – accertamento parziale e integrativo
    R: Immaginiamo che Tizio, lavoratore autonomo, dichiari per il 2022 un reddito imponibile di €50.000 e versamenti IRPEF pari a €10.000. Durante un controllo, la Guardia di Finanza scopre che Tizio ha registrato €5.000 di ricavi non fatturati nel 2022. L’ufficio emette un avviso di accertamento parziale IRPEF 2022 per €5.000 di reddito non dichiarato (ad es. in base a una verifica bancaria), calcolando l’imposta aggiuntiva (supponiamo aliquota media 30% = €1.500 di maggiore IRPEF). A questo punto Tizio impugna l’atto sostenendo che quei €5.000 non sono effettivamente incassati (adducendo prove di rimborso bancario); nel frattempo, la Finanza individua ulteriori €3.000 di compensi percepiti come consulente (nuovi documenti emersi durante il giudizio). L’Amministrazione allora emette, sempre entro i termini di legge, un avviso di accertamento integrativo sui restanti €3.000 scoperti, richiedendo altri €900 di imposta (sempre al 30%). In questo esempio il primo avviso (parziale) e il secondo (integrativo) si basano su elementi diversi: nel primo caso su dati emersi durante l’indagine iniziale, nel secondo su documenti arrivati dopo. Se invece l’ufficio avesse provato a integrare con solo €2.000 basandosi sulle stesse fonti del primo, Tizio potrebbe contestare la nullità perché tali dati non sarebbero stati “nuovi”.
  9. D: Esempio pratico IVA – accertamento parziale e integrativo
    R: Supponiamo che Impresa Alfa operi nel commercio all’ingrosso. Per il 2023 dichiara un’IVA dovuta di €20.000. Durante una verifica incrociata con i fornitori, l’Agenzia scopre che Alfa ha omesso di registrare €8.000 di acquisti imponibili (costi). L’ufficio emette un avviso di rettifica IVA (parziale), assumendo una minore detrazione di €8.000 e richiedendo l’IVA pari al 22% di tale importo, ovvero €1.760 in più. Alfa contesta presentando le fatture contestate (sostenendo che siano legittime). Nel frattempo, emergono nuove €5.000 di vendite non fatturate sempre del 2023. Ora l’Amministrazione può emettere un nuovo avviso integrativo IVA basato sulle vendite extra-scoperte, a prescindere da quello precedente, chiedendo l’IVA sul +€5.000 (altre €1.100 circa). Anche qui si distinguono gli strumenti: il primo avviso (parziale IVA) era mirato alle spese, il secondo (integrativo) alle vendite. Entrambi sono giustificati perché trattano elementi diversi, ma se fosse stato chiamato “integrativo” anche il primo (sui costi), non avrebbe avuto senso, essendo un atto che individua una parte del debito in autonomia (niente da “integrare”).
  10. D: Esempio pratico IRES – accertamento integrativo
    R: Società Beta S.r.l. ha dichiarato per il 2021 un reddito imponibile di €100.000 su cui ha pagato IRES e IRAP. Dopo un controllo contabile, l’Agenzia ricalcola i ricavi a €120.000 e notifica un avviso di accertamento (analogo all’IRPEF). In sede di contraddittorio, il contribuente ottiene che 10.000€ di quei ricavi siano da considerare già assoggettati per altri motivi (ad es. sopravvalutazione iniziale). L’atto viene definito su €110.000. Tuttavia, durante il giudizio emergeranno €5.000 di provvigioni dimenticate (documenti nuovi). Anche se è passato l’avviso in primo grado, entro i termini l’Amministrazione può notificare un avviso integrativo IRES 2021 su quei €5.000. Sarà quindi oggetto di impugnazione: Beta S.r.l. dovrà verificare se quelle €5.000 siano effettivamente elementi nuovi (Cass. 12854/2022 direbbe che sì, se ignote alla prima accertamento), oppure se fossero già nella disponibilità dell’Agenzia.

In tutti i casi pratici è evidente il ruolo della tutela del contribuente: conoscere le regole di emissione degli atti, partecipare al contraddittorio, e – in caso di notifica – valutare se ricorrere con argomenti solidi sui presupposti di legge. L’analisi di casi concreti con simulazioni numeriche aiuta a chiarire come l’integrativo e il parziale operino nella prassi, ma sempre nel rispetto dei confini normativi.

Conclusioni

Accertamento integrativo e parziale sono istituti distinti che consentono all’amministrazione finanziaria di effettuare accertamenti supplementari in casi ben definiti. L’accertamento integrativo risponde alla necessità di acquisire imponibili sconosciuti al momento del primo atto, mentre l’accertamento parziale punta a rapidi interventi su elementi già emergenti da indagini. Dal punto di vista del contribuente, conoscere questa distinzione è essenziale per esercitare efficacemente i propri diritti di difesa: sapere che l’Ufficio deve indicare i nuovi elementi nell’integrativo, o che ogni parziale successivo richiede basarsi su elementi aggiuntivi, permette di contestare eventuali abusi. Le pronunce più recenti della Cassazione (ad es. ord. n. 12854/2022 e n. 1287/2025) ribadiscono questi principi: un avviso integrativo senza nuovi elementi è illegittimo; un nuovo atto dopo un parziale non può ignorare la necessità di nuovi dati. In contenzioso, l’approccio deve essere tecnico e puntuale, facendo leva sulla normativa e sulla giurisprudenza. Nelle fasi precontenziose, se si sospetta un accertamento parziale o integrativo illegittimo, conviene chiedere chiarimenti all’Amministrazione, presentare documenti probatori e, se possibile, beneficiare di meccanismi deflativi (contraddittorio formale o contratti di definizione). In ogni caso, l’obiettivo del contribuente è tutelare il proprio diritto all’affidamento e alla certezza del diritto, minimizzando sanzioni e maggiori imposte non dovute.

Fonti normative e giurisprudenziali

  • Statuto del contribuente – Legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 9-bis (principio ne bis in idem del procedimento tributario).
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Testo Unico imposte sui redditi): art. 41-bis (accertamento parziale), art. 43 (avviso integrativo), art. 39-42 (termine di decadenza).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Imposta sul valore aggiunto): art. 54, comma 5 (accertamento parziale IVA), art. 57, comma 4 (avviso integrativo IVA).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 546 (codice di procedura tributaria): art. 12 (contraddittorio preventivo), art. 48-bis (conciliazione giudiziale), art. 68 (autosospensione del processo per ravvedimento).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (adeguamento norme accertamento): art. 2, comma 4 (regime accertamento con adesione).
  • Cassazione pen., Sez. trib., ord. 22/4/2022, n. 12854 – conferma che l’accertamento integrativo richiede elementi nuovi o sopravvenuti.
  • Cassazione civ., Sez. trib., ord. 20/1/2025, n. 1287 – stabilisce che un avviso successivo a un accertamento parziale deve basarsi su nuovi elementi, non su fatti già noti.
  • Cassazione civ., Sez. trib., ord. 16/4/2024, n. 10226 – afferma che l’avviso integrativo è valido anche se emesso pochi giorni dopo, purché fondato su dati nuovi.
  • Cassazione civ., Sez. trib., ord. 29/5/2024, n. 15006 – conferma la legittimità di plurimi accertamenti parziali (es. su aiuti di Stato frazionati) nell’interesse del diritto comunitario.
  • Cassazione civ., Sez. trib., ord. 5/3/2025, n. 5881 – (in prospetto) ammette nuovo accertamento parziale anche dopo definizione con adesione del precedente.
  • Cassazione civ., Sez. U., sent. 7/12/2023, n. 33704 – (omissis, sicurezza).
  • Cassazione civ., Sez. U., sent. 26/5/2025, n. 14716 – (accertamento parziale, valutazione degli elementi).

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