Liquidazione Controllata Prima Casa: Cosa Sapere

Hai sentito parlare della liquidazione controllata per risolvere una situazione di sovraindebitamento, ma ti stai chiedendo che fine farà la tua prima casa? Hai paura di perdere l’abitazione in cui vivi, magari con la tua famiglia, e vuoi sapere se esistono tutele o alternative?

Quando si accede alla liquidazione controllata, è fondamentale capire se e quando la prima casa può essere esclusa dalla procedura, oppure se rischia di essere venduta per soddisfare i creditori. La risposta dipende da diversi fattori: tipo di immobile, valore, presenza di mutui, uso abitativo e situazione familiare.

La prima casa viene sempre venduta nella liquidazione controllata?

No, non sempre. La regola generale è che tutti i beni del debitore vengono liquidati, ma ci sono delle eccezioni. Se l’immobile è l’abitazione principale e non ha un valore di mercato elevato rispetto ai debiti, o se la vendita non garantirebbe un beneficio reale ai creditori (ad esempio in caso di mutuo residuo molto alto), può essere escluso dalla procedura. In alcuni casi, il liquidatore stesso può valutare che non conviene vendere.

E se la casa è cointestata o ci vivono minori o persone fragili?

Anche questo incide. Se l’immobile è in comunione con un coniuge non coinvolto nella procedura, o è abitato da figli minori o persone vulnerabili, il giudice può valutare l’impatto sociale della vendita e adottare misure più cautelative. In certi casi, è possibile ottenere il mantenimento dell’uso della casa, anche se formalmente inserita nella liquidazione.

È possibile salvarla del tutto?

Sì, se il debitore – magari con l’aiuto di familiari – propone una soluzione alternativa: ad esempio, offrendo un versamento sostitutivo in denaro, o concordando con il liquidatore una rinegoziazione. Inoltre, la prima casa può essere esclusa in fase di ammissione, se si dimostra che serve a garantire la dignità e il minimo vitale del nucleo familiare.

Cosa puoi fare se temi di perdere la casa?

La prima cosa è agire tempestivamente: presentare la domanda con un piano sostenibile e ben documentato, coinvolgere l’OCC con trasparenza, e valutare ogni possibilità per tutelare l’abitazione, anche attraverso l’esdebitazione o un’eventuale riacquisizione futura.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento, liquidazione controllata e difesa patrimoniale – ti spiega cosa succede alla prima casa nella liquidazione controllata, quando può essere esclusa e come possiamo aiutarti a proteggere l’immobile in cui vivi.

Hai paura di perdere la tua casa a causa dei debiti? Vuoi sapere se puoi conservarla anche accedendo alla procedura?

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Introduzione

La liquidazione controllata è uno strumento concorsuale introdotto dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) per consentire la liquidazione del patrimonio dei debitori non soggetti alle procedure più complesse (in pratica consumatori, professionisti, imprese minori e agricole, startup innovative, nonché i soci illimitatamente responsabili di società di persone) che versano in uno stato di sovraindebitamento (crisi o insolvenza). Rispetto alla vecchia “liquidazione del patrimonio” prevista dalla L.3/2012, la liquidazione controllata rafforza e razionalizza la disciplina, collocandosi tra le procedure di liquidazione previste nel Capo IX del Titolo V del Codice (artt. 268-277 CCII). In particolare, il legislatore ha inteso armonizzare le regole della liquidazione controllata con quelle della liquidazione giudiziale (tipica degli imprenditori insolventi), in modo da applicare per analogia (o espressamente) le norme già vigenti in caso di lacune o esigenze analoghe. Ciò rende la liquidazione controllata un istituto “ibrido” che, pur riservato a debitori più piccoli o privati, utilizza principi simili a quelli dell’insolvenza ordinaria (ad esempio la sospensione delle azioni esecutive, il concorso dei creditori, ecc.).

Il ricorso alla liquidazione controllata avviene mediante sentenza del tribunale competente (di solito il tribunale del luogo in cui risiede il debitore) che dichiara l’apertura della procedura (art. 270 co.1 CCII). La decisione del tribunale si fonda sulla verifica di alcuni presupposti: in linea di massima il debitore non deve avere accesso ad altri strumenti regolatori della crisi (come piano attestato o concordato) e deve trovarsi in stato di crisi/insolvenza. Non è richiesto il consenso dei creditori né il requisito della “meritevolezza” a monte (indicativo di buona fede) per presentare istanza; quest’ultimo sarà invece esaminato solo al momento dell’esdebitazione finale. La liquidazione controllata può essere avviata su istanza del debitore o di uno o più creditori (art. 268 co.1 CCII). Il creditore richiedente deve però documentare l’insolvenza del debitore e possedere almeno un credito scaduto e non pagato di ammontare superiore a 50.000 euro (soglia di ammissibilità introdotta dal codice rispetto ai 20.000 della vecchia L.3/2012). Il debitore, invece, può proporre domanda senza oneri soggettivi aggiuntivi, dovendo però fornire una relazione patrimoniale-finanziaria completa e la descrizione delle cause del sovraindebitamento (art. 269 CCII) – elemento importante ai fini dell’esdebitazione finale, anche se non condizione per l’apertura. In tutti i casi, prima dell’udienza di apertura il gestore della crisi (OCC) incaricato deve notificare la domanda agli uffici finanziari e redigere la relazione sullo stato del debitore.

Tabella: Soggetti ammessi alla liquidazione controllata

Soggetti ammessiCondizioni
Consumatori e professionistiChiunque (persona fisica) con debiti personali/di impresa non assoggettabili a procedure maggiori.
Imprese minori e agricoleImprese individuali o societarie di dimensioni “minori” (sottosoglia) o agricole, in stato di crisi/insolvenza.
Soci di società di personeSoci illimitatamente responsabili di società di persone (SNC, SAS) per debiti non sociali.
Startup innovativePuò ricorrere anche la startup (D.L. 179/2012) in crisi finanziaria.
Altri debitori fuori concorsualeQualsiasi altro debitore (anche non imprenditore) non soggetto a liquidazione giudiziale o coatta.
EsclusiSoggetti già in fallimento o AM. straordinaria, imprese di grandi dimensioni, enti pubblici etc.

Chi si rivolge alla liquidazione controllata deve quindi trovarsi in uno stato di sovraindebitamento (cioè incapacità strutturale di far fronte ai debiti) e non aver già utilizzato strumenti alternativi (piano attestato, composizione consensuale, etc.), secondo il principio di preminenza delle procedure regolatorie (art. 7, co.2 CCII). Per i creditori istanti, come visto, è necessario dimostrare il mancato pagamento dei debiti e che questi siano ragguardevoli (oltre 50.000 €); inoltre la loro domanda può essere respinta dal tribunale se il debitore provvede a saldare i crediti pendenti prima della sentenza (art. 271 CCII).

Apertura della procedura e conseguenze pratiche

Quando il tribunale accoglie la domanda, dichiara l’apertura con sentenza motivata (art. 270 co.1 CCII). Con la pronuncia il tribunale dispone numerosi adempimenti amministrativi e di pubblicità a tutela dei creditori e di trasparenza della procedura. In particolare (art. 270 co.2 CCII) il giudice delegato che governa la procedura:

  • Nomina il Giudice delegato (di regola il presidente o estensore del tribunale) e il Liquidatore (che gestirà le vendite dei beni). Se la domanda è del debitore e questo aveva già un OCC, il tribunale di norma conferma l’OCC come liquidatore. Il liquidatore nominato svolgerà anche le funzioni del vecchio curatore fallimentare (comunque applicando gli artt. 142-143 CCII compatibili).
  • Ordina il deposito della contabilità e dell’elenco dei creditori (art. 270 co.2 lett. c). Il debitore, entro 7 giorni, deve consegnare i bilanci e le scritture contabili obbligatorie e l’elenco dettagliato dei crediti certi. Ciò consente al liquidatore e ai creditori di conoscere rapidamente l’ammontare dei crediti e le poste da liquidare.
  • Fissa il termine per le domande concorrenti (art. 270 co.2 lett. d). A terzi creditori ed aventi causa (es. creditori pignoranti) viene concesso un termine (solitamente 90 giorni) per chiedere la restituzione di beni o chiedere l’ammissione al passivo. Le loro domande vanno indirizzate al liquidatore entro il termine, pena decadenza.
  • Dispone la consegna dei beni all’amministrazione (art. 270 co.2 lett. e). In linea di principio il tribunale ordina che tutti i beni del patrimonio di liquidazione siano consegnati al liquidatore, rendendo la sentenza titolo esecutivo. Ciononostante, l’art. 270 c.2 lett. e) prevede una possibilità di deroga: se esistono “gravi e specifiche ragioni”, il giudice può autorizzare il debitore (o terzi) a continuare ad usare alcuni beni.
  • Pubblicazione e trascrizione (art. 270 co.2 lett. f-g). La sentenza di apertura viene pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia (e sul registro delle imprese se il debitore esercita impresa). Se nel patrimonio di liquidazione ci sono beni immobili o beni mobili registrati, la sentenza va altresì trascritta presso i pubblici registri immobiliari. Ciò ha effetti immediati di pubblicità: blocca le eventuali procedure esecutive già avviate sui beni venduti (art. 270 co.3) e impedisce iscrizioni di ipoteche/esecuzioni successive (analogamente a quanto avviene nelle procedure fallimentari).

Dal momento della sentenza il debitore viene spossessato del proprio patrimonio: dal quel momento il liquidatore subentra nella titolarità delle attività del patrimonio di liquidazione (conferendo loro funzione concorsuale e garantendo pari trattamento dei creditori). Il giudice delegato sospende ogni azione individuale e conservativa contro il debitore e i suoi beni (rinvio generale degli artt. 150-151 CCII). Va sottolineato che la sentenza di apertura vale anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili (per i soci delle imprese di persone), come previsto dall’art. 270 co.1 CCII. Da quel momento il liquidatore, seguendo il programma di liquidazione approvato dal tribunale, procederà con la vendita dei beni del debitore (compresa, in genere, la casa di abitazione) e alla liquidazione dei relativi proventi secondo le regole concorsuali.

Tabella: Contenuto della sentenza di apertura (art. 270 CCII)

Provi­dimentoFunzione
Nomina del giudice delegato e del liquidatore (lett. a-b)Designazione dei soggetti chiave della procedura.
Deposito di bilanci e elenco creditori (lett. c)Inventario iniziale, consente ricostruzione del debito complessivo.
Termini per domande concorrenti (lett. d)Termine per creditori terzi di rivendicare beni o accedere al passivo.
Consegna dei beni e amministrazione (lett. e)Spossessamento del debitore; beni consegnati al liquidatore; facoltà di uso limitato concessa solo per “gravi ragioni”.
Pubblicazione, trascrizione (lett. f-g)Massima trasparenza; blocco delle esecuzioni su beni immobili; iscrizione vincolante.

Seguito della procedura: la liquidazione controllata prosegue con il liquidatore che vende gli attivi secondo il programma approvato. Si crea così un patrimonio di liquidazione autonomo rispetto al debitore (pur rimanendo parte del suo complesso patrimoniale generale), sul quale rispondono i creditori. Le somme ricavate vengono ripartite tra i creditori secondo gli stessi criteri della liquidazione giudiziale (art. 274 CCII): prima il pagamento delle spese concorsuali e dei crediti cosiddetti prededucibili (oneri fiscali della procedura, compenso liquidatore, eventuali indennità sociali maturate dopo l’apertura, ecc.), quindi i creditori privilegiati (ad esempio, privilegi particolari come i fornitori di beni immediatamente necessari al debito, cfr. art. 275 co.1 CCII), quindi i creditori chirografari e per ultimi i soci. Infine, se ne ricorrono i presupposti, il debitore può ottenere esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) tramite apposito procedimento (artt. 278-283 CCII). La LC, dunque, non è un “beneficio” automatico: assolve contemporaneamente l’obbligo di liquidare l’attivo per pagare i creditori e la possibilità di liberare il debitore da quanto non estinto (esdebitazione) a patto di buona fede.

La casa di abitazione principale nella liquidazione controllata

Un aspetto di cruciale interesse per il debitore è il trattamento della prima casa di abitazione all’interno della liquidazione controllata. La prima casa costituisce spesso il bene patrimoniale più rilevante di un nucleo familiare indebitato, e la sua perdita può avere conseguenze sociali gravissime. Il Codice della crisi, oltre alle disposizioni generali, prevede alcune norme specifiche di tutela dell’abitazione principale nelle liquidazioni:

  • Art. 147 CCII, comma 2 (derivato dall’art. 47 L.F. previgente) stabilisce che “la casa della quale il debitore è proprietario o può godere come titolare di altro diritto reale, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla sua liquidazione”. In pratica, in tutte le procedure concorsuali (fallimentari, concordati, esecuzioni partecipate) il debitore e la sua famiglia hanno il diritto di rimanere nella propria abitazione principale fino al momento della vendita.
  • Art. 270 co.2 lett. e) CCII (cfr. sopra) prevede in generale il rilascio dei beni al liquidatore, ma con la possibilità (per “gravi ragioni”) di autorizzare il debitore a utilizzarne alcuni. Tuttavia, per la casa principale questa deroga non è lasciata alla discrezionalità del giudice delegato. Piuttosto, come ha riconosciuto la giurisprudenza, si applica direttamente l’art. 147 CCII. In tal senso il Tribunale di Ferrara ha affermato che in liquidazione controllata l’applicazione dell’art. 147, co. 2 CCII è diretta: pertanto, alla richiesta del debitore di rimanere nella casa familiare, il giudice delegato “non può rigettare la richiesta, dovendo dichiarare il non luogo a provvedere, essendo applicabile direttamente l’art. 147 co.2”. Secondo la stessa pronuncia, non si applica il generale potere di affidare la casa al liquidatore (270 lett. e), bensì il vincolo del vincolo di abitazione fino alla vendita previsto dall’art.147.
  • In linea con quanto appena detto, vari tribunali (p.es. Ascoli Piceno, Mantova, ecc.) hanno già stabilito che per analogia si applica l’art. 147 CCII anche nella LC. Tali decisioni sottolineano che il debitore può continuare ad abitare nell’immobile destinato a casa familiare fino alla sua liquidazione. Soprattutto nel caso dell’abitazione principale, l’analogia con la liquidazione giudiziale è ritenuta coerente con la ratio protettiva della famiglia: ad esempio, il Tribunale di Ascoli Piceno ha accolto la richiesta del debitore di permanere in casa fino alla vendita, citando «gravi e specifiche ragioni» (l’abitazione principale) e richiamando la protezione di cui all’art. 147 CCII e 560 c.p.c..
  • Art. 275 co.2 CCII (riferito esplicitamente alla vendita nella liquidazione giudiziale) stabilisce che “si applicano le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale”. Il Tribunale di Ferrara ha precisato che il rinvio di quest’ultimo articolo all’art.147, co.2 CCII implica che per l’abitazione principale il divieto di distrazione valga direttamente in LC. In altri termini, l’unica strada per togliere il diritto del debitore alla casa prima della vendita sarebbe quella di negare l’accesso stesso alla procedura o di ritenere inesistenti i presupposti di legge (situazione non accaduta in sede di Ferrara).
  • Il codice di procedura civile, art. 560 ultimo comma, infine, prevede che nelle esecuzioni forzate immobiliari su abitazione principale del debitore si sospenda la vendita fino a 60 giorni dallo sgombero disposto dopo la vendita. Ciò vale sia negli espropri individuali che nelle procedure concorsuali, come sottolinea la dottrina: «la casa principale è soggetta alla regola generale dell’art.560 c.p.c., ultimo comma, valida sia per le procedure esecutive che per quelle concorsuali». Quindi, anche durante la liquidazione controllata la casa adibita ad abitazione principale gode di una tutela pratica: dopo l’aggiudicazione il debitore familiare ha un termine (fino a 60 giorni) per liberarla, prima di doverne lasciare il possesso (questo in ossequio all’art.560 c.p.c. come integrato dal codice, come previsto peraltro nelle vendite fissate dal commissario giudiziale).

In sintesi, il debitore può continuare a vivere nella propria “prima casa” fino al momento della vendita, grazie alla tutela simultanea fornita dall’art.147 CCII (applicabile per analogia nella liquidazione controllata) e dall’art.560 c.p.c. La sentenza di apertura di LC non fissa il rilascio immediato dell’abitazione principale; anzi, deve essere letta come non luogo a provvedere a qualsiasi richiesta di sgombero urgente, fino all’aggiudicazione e al decorso del termine post-vendita. In concreto, il giudice delegato non può imporre al debitore di lasciare la casa prima della vendita, a meno di gravi ragioni contrarie all’orizzonte normativo protettivo.

Caso pratico: prima casa e procedura esecutiva pendente

Se il creditore ipotecario (ad esempio la banca) aveva già iniziato un’esecuzione immobiliare per vendere la prima casa, l’apertura della liquidazione controllata e la conseguente trascrizione della sentenza di apertura (art. 270 co.2 lett. g) interrompono quella esecuzione. L’ipoteca resta valida, ma la vendita avrà ora luogo nell’ambito della procedura concorsuale; i soggetti interessati dovranno infatti presentare istanza di ammissione al passivo della LC entro i termini fissati (c.d. iscrizione al passivo). La sentenza di apertura, trascritta, opererà come misura idonea a bloccare le nuove vendite coattive (art. 143 CCII applicata in LC).

Tuttavia, va tenuto conto di un punto critico: il creditore ipotecario conserva comunque il proprio potere esecutivo, grazie al privilegio fondiario. Recentemente la Corte di Cassazione ha infatti stabilito che l’istituto del privilegio processuale fondiario (art. 41 co.2 T.U.B.) permane anche nell’ambito della liquidazione controllata. In pratica, la banca munita di ipoteca sulla casa del debitore può proseguire con l’esecuzione separata rispetto alla concorso generale, rivalendosi sui proventi dell’asta. Il ricavato della vendita verrà diviso tra il creditore ipotecario (fino a soddisfare il suo credito privilegiato) e gli altri creditori ammessi in concorso, nella misura spettante. Ciò significa che, se la casa principale è ipotecata e viene venduta, la banca potrebbe incassare buona parte del ricavato; il debitore e gli altri creditori chirografari incasseranno eventualmente la parte residua.

Attività escluse e misure di sostegno familiare

Non tutti i beni del debitore rientrano invece nella liquidazione: l’art. 272 CCII prevede alcune esclusioni dal patrimonio di liquidazione. In particolare, non rientrano nella massa liquidanda il patrimonio destinato ai bisogni della famiglia (es. fondo patrimoniale costituito per bisogni familiari) e, più in generale, i beni indicati agli artt. 545, 536, 545-bis c.p.c. Tra gli esclusi troviamo in particolare (salvo casi particolari):

  • Crediti impignorabili (art. 545 c.p.c.), ad esempio la quota della pensione o dello stipendio necessaria al mantenimento (come il quinto, anche se vi sia ipoteca su di esso).
  • Crediti alimentari e redditi del debitore (“ciò che il debitore guadagna con la propria attività nei limiti del necessario al mantenimento suo e della famiglia”).
  • Cose strettamente personali e beni non pignorabili per legge (abiti, mobili essenziali, strumenti professionali di modico valore, ecc.).
  • Beni sotto vincoli speciali: ad esempio, usufrutto legale sui beni dei figli, fondo patrimoniale per scopi familiari. Anche su questi ultimi la giurisprudenza ha osservato che, sebbene i creditori familiari possano avere azioni, la sospensione generale degli atti esecutivi (art. 270 co.5 CCII) può rendere difficile l’azione coattiva in corso di LC. Il liquidatore, inoltre, ha il potere (art. 274 CCII) di esercitare le azioni revocatorie e in genere difensive sul patrimonio di liquidazione; egli potrà anche chiedere eventualmente la revoca di atti come la costituzione di un fondo patrimoniale se viziati da frode (coordinando art. 268 co.3 con art. 170 c.c.).

In concreto, tali esclusioni proteggono parte del reddito e dei beni legati al sostentamento del debitore e della sua famiglia. Ad esempio, se il debitore percepisce uno stipendio o una pensione, una parte di essa resta sempre impignorabile. Inoltre, se il debitore continua a svolgere attività lavorativa o imprenditoriale, può destinare una quota di reddito minima alla famiglia (una volta determinata dal giudice a cura del liquidatore).

Differenze con altre procedure

Pur essendo simile alla liquidazione giudiziale, la liquidazione controllata presenta alcune differenze significative. Una tabella riepilogativa può aiutare a confrontare rapidamente i due istituti:

AspettoLiquidazione giudizialeLiquidazione controllata
DestinatariImprenditori (non minori) insolventi, societàConsumatori, professionisti, imprese minori/ agricole, soci di società di persone, ecc. (tutti i debitori non soggetti ad altre liquidazioni).
IniziativaGeneralmente su istanza del debitore o del tribunale (fallimento). Creditori bancari possono chiederlo se imprenditore con debiti tributari (nuovo art. 41-bis)Su domanda del debitore oppure di uno o più creditori (art.268 CCII); Non richiede procedura attivata da PM (anni dopo l’introduzione della direttiva, art. 268 c.1 non enumera più la Procura).
Congruità del patrimonioIl curatore può valutare e integrare l’attivo fallimentare (anche con attività sopravvenute ai sensi di art. 14-undecies L.3/2012)Non prevede espressamente l’acquisizione di beni sopravvenuti dopo l’apertura; principio di base rimanda a separazione limitata (eventuali entrate dopo la sentenza possono o meno concorrere, su interpretazioni).
Organi della proceduraCuratore nominato dal tribunale, comitato creditori (facoltativo), Giudice delegato.Liquidatore nominato dal tribunale (spesso l’OCC se debitore); non è previsto comitato dei creditori, è solo il giudice delegato (coordinamento e controllo).
Spostamento beni e redditiIl debitore resta titolare degli attivi, ma il curatore li assume in gestione. Regole di fallimento integrali (artt. 142 ss CCII) applicate.Anche qui gli attivi entrano nel patrimonio di liquidazione affidato al liquidatore; il debitore può conservare redditi entro limiti di mantenimento (come indicato sopra).
EsdebitazionePrevista (ex art. 88 L. Fall.). Richiede condizioni di meritevolezza (nuovo art. 279 CCII).Prevista (artt. 278-283 CCII, ex art. 14 L. 3/2012). Richiede il comportamento onesto del debitore (debitore meritevole). La domanda di esdebitazione si presenta separatamente e può essere contestata da creditori (art. 279).
Tutele prima casaApplicazione art.147 CCII senza dubbio; il fallito resta in casa fino alla vendita.Come sopra: analoga protezione tramite art.147 CCII per analogia. Giurisprudenza conferma che non può essere sfollato prima del pignoramento conclusivo.
TempisticheProcedure complesse, possibile comitato, maggiori formalismi.Semplice e snello: nessun accordo preventivo richiesto, procedura più celere (art. 270 e ss. prevedono tempi ridotti, come udienza unica di ammissione e termini brevi per domande).

Questa tabella evidenzia come la liquidazione controllata sia pensata per i debitori minori e per procedure snelle, senza rinunciare però alle garanzie fondamentali (quali la par condicio tra creditori) e mantenendo regole di salvaguardia sociale (abitazione principale, redditi minimi protetti). Per l’avvocato e il debitore conviene considerarla il rimedio residuale quando gli strumenti di composizione preventiva non sono utilizzabili o disponibili. In pratica, la liquidazione controllata non è un salvataggio gratuito: obbliga il debitore a coadiuvare il liquidatore nella vendita degli attivi e a subire un concorso generale dei creditori, ma offre la prospettiva finale di cancellare i debiti residui (esdebitazione) se il piano di ripartizione è eseguito correttamente e il debitore si è comportato in buona fede.

Domande e risposte (FAQ)

D. Posso continuare a vivere nella mia abitazione principale se apro la liquidazione controllata?
Sì. Come visto, la legge protegge la prima casa del debitore: in base all’art. 147 co.2 CCII (richiamato nella LC) e all’art. 560 c.p.c., il debitore e la sua famiglia restano nel proprio immobile fino alla vendita dello stesso. La giurisprudenza italiana ha affermato che, su istanza del debitore, non si può disporre lo sgombero anticipato: il giudice delegato deve dichiarare il non luogo a provvedere allo sfratto finché la casa non sarà effettivamente venduta. In pratica, durante la LC l’abitazione rimane a disposizione del debitore; il rilascio potrà avvenire solo dopo che l’immobile è stato venduto all’asta (ed entro il termine finale concesso dall’art. 560 c.p.c.). Pertanto, il debitore non viene cacciato immediatamente fuori casa dall’apertura della LC: potrà attendere l’esito dell’asta mantenendo l’uso dell’immobile.

D. Se la casa è già gravata da mutuo (ipoteca), cosa succede alla vendita?
L’ipoteca non scompare: la banca (creditore ipotecario) mantiene il suo privilegio fondiario. Secondo la Cassazione (n.22914/2024) il creditore munito di ipoteca può proseguire una esecuzione individuale anche durante la procedura di liquidazione controllata. In pratica, quando la casa è venduta all’asta nell’ambito della LC, la banca riceve il ricavato fino a estinguere il suo credito privilegiato; gli eventuali importi residui (se positivi) vengono messi a disposizione del liquidatore per la ripartizione tra gli altri creditori secondo l’ordine concorsuale. Se invece il ricavato non copre tutto il mutuo, la LC si estingue (cerca di distribuire quanto raccolto) e il saldo restante resta a carico del debitore (saldabile eventualmente con altre procedure). In ogni caso, il fatto che la casa fosse ipotecata non impedisce l’applicazione delle regole sulla casa prima: il debitore gode comunque della permanenza in casa fino alla vendita, ma alla vendita partecipano prioritariamente i creditori ipotecari.

D. La LC blocca le azioni esecutive in corso sulla casa o su altri beni?
Sì. Con la sentenza di apertura tutte le azioni esecutive individuali e i sequestri pendenti devono sospendersi (art. 270 c.3 CCII applicato). Questo vale sia per la casa sia per gli altri beni del debitore: nessun creditore può più pignorare o vendere autonomamente gli attivi mentre la procedura LC è in corso. In particolare, se era già fissata un’asta sulla casa, l’iscrizione della sentenza di apertura ne interrompe l’efficacia e trasferisce la vendita al contesto concorsuale (ovvero: il liquidatore curerà la vendita con le nuove regole). In questo modo la LC serve anche a «congelare» le situazioni esecutive in essere, permettendo una ripartizione ordinata delle risorse senza favoritismi per chi pignorava prima. Rimane ovviamente ferma l’ipoteca della banca, come detto: essa potrà partecipare all’asta o continuare un’esecuzione separata (vedi sopra).

D. E se non ho alcun bene da liquidare? Posso comunque chiedere la liquidazione controllata?
Sì, in molti casi. Il legislatore non richiede che l’attivo della procedura sia ingente: anzi, l’attività può essere “assente” fino all’apertura. Alcuni tribunali (Milano, Genova, ecc.) hanno ritenuto ammissibile la LC anche in mancanza di attività liquidabile, chiudendola poi subito se davvero non emergono beni da incamerare. L’unica eccezione concreta sta nella cd. eccezione di incapacità dell’attivo (art. 268 co.3 CCII): il debitore può chiedere all’OCC di certificare che non vi è alcun attivo liquidabile neppure con azioni giudiziarie; tale attestazione, se versata in giudizio, impedisce l’apertura per carenza di risorse. Se però il debitore non solleva tale eccezione (perché punta all’esdebitazione finale piuttosto che al fallimento dell’istanza), il tribunale può comunque aprire la LC, anche sapendo che l’attivo è nullo. In altri termini, l’assenza di beni non impedisce di accedere alla LC a meno che il debitore stesso non faccia dichiarare la totale incapacità di ottenere attivo. Ciò è in linea con la ratio assistenziale della LC per i “più piccoli”: si preferisce un’istanza eventualmente inefficace ad impedire al debitore di tentare di alleggerire il proprio debito (per esempio cercando di aggredire eventuali crediti futuri o beni nascosti).

D. Quanto tempo dura la liquidazione controllata?
Non esistono limiti fissi di durata; dipende dall’estensione del patrimonio, dal numero di creditori e dalla complessità delle vendite. In generale, la LC tende ad essere più rapida del fallimento: il codice prevede termini più brevi per introdurre istanze, fissare udienze e depositare documenti. Dopo la sentenza di apertura, tipicamente entro pochi mesi il liquidatore redige e presenta un programma di liquidazione (o elenco dei creditori con piano di riparto). Successivamente si procede con le vendite (la casa principale deve comunque essere venduta con le regole previste per le procedure concorsuali). Al termine, si redige la relazione finale e si chiude la procedura (art. 276 CCII). Solo a chiusura avviene il giudizio finale di esdebitazione (di solito con un procedimento espresso, art. 278 ss.). Mediamente, gran parte delle LC si chiudono entro 1-2 anni dall’apertura, ma casi complessi possono durare più a lungo. Da notare che l’aggiornamento del codice (D.Lgs. 136/2024) prevede che le norme correttive si applichino anche ai procedimenti pendenti, evitando sperequazioni temporali.

D. Posso utilizzare contemporaneamente composizione negoziata o concordato minore e liquidazione controllata?
No, in via ordinaria le procedure si escludono a vicenda. Il Codice (art. 7 co.2 e art. 271 CCII) stabilisce che la LC è ammessa solo se il debitore non ha già chiesto altri strumenti di regolazione (piano attestato, composizione negoziata, concordato). Inoltre, l’art. 271 CCII dispone che una domanda di LC proposta da creditore sospende ogni altra procedura regolatoria in corso; se l’altra parte accoglie la richiesta di attesa, l’istanza del creditore di LC diventa improcedibile (e viceversa). In termini pratici, è necessario scegliere lo strumento più opportuno fra quelli disponibili: se il debitore ha già tentato un accordo o un piano senza esito, può allora ricorrere alla LC, ma non simultaneamente. Esclusivamente, per esdebitazione finale, il debitore dovrà presentare domanda separata anche dopo la LC (e non contestualmente all’apertura).

Simulazione pratica: vendita della prima casa in liquidazione controllata

Per comprendere gli effetti concreti, consideriamo un esempio numerico. Mario Rossi è un professionista con debiti complessivi di 200.000 €. In particolare:

  • Debito ipotecario verso banca su prima casa: 150.000 €.
  • Altri debiti chirografari (fornitori, carte di credito): 50.000 €.
    La prima casa, in cui Mario vive con la famiglia, vale oggi 180.000 € sul mercato.

Mario chiede l’apertura della LC; il tribunale vi accede. La casa verrà posta in vendita dal liquidatore come bene immobile del patrimonio di liquidazione. Grazie alle norme di tutela, Mario resta nell’abitazione fino all’aggiudicazione (e oltre, per 60 giorni). L’asta immobiliare si svolge secondo il regolamento concorsuale: sarà infatti applicato il privilegio della banca per 150k, mentre il resto andrà agli altri creditori. Supponiamo che l’immobile si venda per 180.000 € (anche se al realizzo possono essere sottratte le spese della procedura). L’incasso viene così ripartito:

CreditoreCredito vantatoProventi versatiNote
Banca ipotecaria (privilegiata)150.000 €150.000 € (soddisfatto per intero)Riceve l’intero ricavo fino a estinguere il mutuo.
Fornitori vari (chirografari)50.000 €30.000 € (quota residua)Prendono tutto ciò che avanza (180-150=30k).
Totale200.000 €180.000 € (ricavo totale)Il resto dei debiti non pagato (20k) sarà oggetto di esdebitazione se concessa.

In questo scenario:

  • La banca ottiene i 150.000 € del proprio credito ipotecario (fino a soddisfazione).
  • I fornitori ricevono solo 30.000 € a fronte dei 50.000 € di credito; il residuo 20.000 € rimane a carico di Mario.
  • Mario ottiene infine l’esdebitazione dei 20.000 € non coperti, ammesso che il tribunale ritenga la sua condotta conforme ai requisiti (buona fede e collaborazione).

Cosa impara il debitore? La casa viene pagata prima di tutti (grazie al privilegio fondiario), ma Mario può restarvi fino alla vendita. Se avesse tentato un’esecuzione individuale sulla casa (prima del CCII), forse avrebbe perso subito il possesso; con la LC invece mantiene l’uso e partecipa poi alla spartizione del ricavato. Nella simulazione, il risultato finale è identico a una vendita volontaria dell’immobile: si incassano 180.000 €, la banca è soddisfatta, gli altri creditori ottengono la parte residua, e Mario chiude con un debito residuo «azzerato» dall’esdebitazione (avendone diritto). L’elemento protettivo principale è stato il poter restare in casa mentre si cercava acquirente (grazie a art.147/560) e gestire la procedura in modo regolare.

Fonti normative e dottrinali

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), artt. 268-277 (liquidazione controllata) e art.147 c.2 (casa abitazione).
  • Decreto legislativo 13/9/2024, n.136 (c.d. decreto correttivo-ter), in particolare artt. 10-18, per le modifiche alla disciplina della liquidazione controllata.
  • Codice di procedura civile, art. 560 (tutela del debitore che occupa la casa principale nell’esecuzione immobiliare).
  • Legge 3/2012 (Composizione della crisi da sovraindebitamento), articoli 14-14quinquies (previgente disciplina della liquidazione del patrimonio).
  • Cass. civ. I, 19 agosto 2024, n. 22914 (privilegio fondiario e liquidazione controllata).
  • Trib. Ferrara, 7 dicembre 2023 – sentenza di apertura LC (Astorre Mancini).
  • Trib. Ascoli Piceno, 13 dicembre 2023 – sentenza LC (uso della prima casa fino alla vendita).
  • Giudice Mario Pietro Bernardi (Tribunale di Mantova), “Disciplina della liquidazione controllata a seguito delle modifiche del decreto correttivo 13.9.2024 n.136” (ilcaso.it, 1/10/2024).
  • Linee guida dell’ODCEC di Perugia (“Procedura di LC ex art. 268 CCII”, ODCEC Perugia, doc. datato 2023) – per orientamenti sulla gestione pratica.

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Conclusione

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