Quanto Dura Il Concordato Minore?

Hai deciso di avviare un concordato minore o ti stai informando per risolvere una situazione di sovraindebitamento, ma ti chiedi quanto tempo dura davvero questa procedura? Hai paura che i tempi si allunghino troppo o non sai quanto durerà la protezione dai creditori?

Capire la durata del concordato minore è fondamentale per organizzare al meglio la ripresa economica e pianificare i prossimi passi, sia che tu sia un imprenditore individuale, un libero professionista o un socio di una società in difficoltà.

Ma quanto dura il concordato minore, nella pratica?

La durata può variare a seconda della complessità del piano proposto, del numero dei creditori coinvolti e della reattività del tribunale e dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi). In linea generale, la procedura si articola in due fasi:

  1. La fase di ammissione, che dura dai 30 ai 90 giorni dalla presentazione della domanda: in questo periodo, viene nominato il gestore della crisi, che verifica la documentazione e la fattibilità del piano;
  2. La fase di esecuzione, che può durare fino a 4 anni, nei casi in cui il piano preveda pagamenti rateizzati. Tuttavia, se le risorse sono immediatamente disponibili (ad esempio tramite saldo e stralcio o liquidazione di beni), la chiusura può avvenire anche in tempi molto più brevi.

Durante il concordato minore sei protetto dai creditori?

Sì. Dalla presentazione della domanda, se accolta, viene attivata la sospensione delle azioni esecutive, dei pignoramenti e degli interessi di mora. Questo ti permette di respirare, bloccare l’aggressione ai beni e negoziare un accordo sostenibile.

Cosa accade una volta conclusa la procedura?

Se il piano viene portato a termine secondo quanto previsto, il tribunale dichiara chiusa la procedura e viene concessa l’esdebitazione, cioè la liberazione definitiva da tutti i debiti residui non pagati. Da quel momento, puoi ripartire senza più il peso delle pendenze passate.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in concordato minore, sovraindebitamento e risanamento del debito – ti spiega quanto dura il concordato minore, come si struttura la procedura e come possiamo aiutarti a gestirla senza blocchi né sorprese.

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Quanto dura il concordato minore?

Il concordato minore è una procedura giudiziale di composizione della crisi da sovraindebitamento (introdotta dalla L. 3/2012 e riformata dal D.Lgs. 14/2019, artt. 74-83) riservata a soggetti non fallibili (professionisti, piccole imprese individuali, imprenditori agricoli, start-up, ecc.), esclusi i consumatori. Il suo scopo è consentire al debitore sovraindebitato di proporre un piano di ristrutturazione dei debiti – con opzioni di pagamento rateale o cessione di beni – destinato a ridurre gradualmente i debiti residui, per poi ottenere l’esdebitazione (cancellazione delle obbligazioni residue) una volta eseguito il piano. Si tratta dunque di una procedura volontaria e concordata: il debitore, con l’assistenza dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC), deposita una proposta in tribunale, i creditori votano (50% del credito ammesso), e il tribunale omologa il piano se giudica fattibile il piano. La finalità è far “superare la situazione di sovraindebitamento e continuare a svolgere l’attività imprenditoriale o professionale”, salvaguardando così il patrimonio produttivo del debitore. In sintesi, il concordato minore è uno strumento negoziale per privati imprenditori e professionisti che vogliono riallineare i debiti con i redditi, evitando la liquidazione (fallimento) e proseguendo l’attività.

Soggetti ammessi e requisiti

Vi possono accedere professionisti, artigiani, piccoli imprenditori e titolari di partita IVA, imprenditori agricoli, start-up innovative e altri debitori non assoggettabili a procedure liquidatorie (per es. soci illimitatamente responsabili usciti da SNC). L’accesso richiede di rientrare nei parametri dell’“impresa minore” stabiliti dall’art. 2 del Codice della Crisi: in particolare avere attivo patrimoniale annuo non superiore a 300.000 € e ricavi non superiori a 200.000 € (nei tre esercizi precedenti) e debiti complessivi (anche non scaduti) inferiori a 500.000 €. Tali limiti includono anche l’imprenditore individuale: se la ditta individuale rientra sotto quelle soglie, può ricorrere al concordato minore. Non possono accedere i consumatori e i debitori fallibili (che invece devono rivolgersi alle procedure ordinarie).

Dal punto di vista soggettivo, la procedura è facoltativa e si avvia su domanda del debitore (assistenza di OCC e legale), che deve dimostrare lo stato di sovraindebitamento allegando la documentazione economica richiesta dal Codice (elenco dei creditori, situazione patrimoniale, redditi, eventuali vincoli e procedure in corso, ecc.). Il tribunale competente è quello del luogo di residenza del debitore. Una volta ammessa la domanda (dopo verifica dell’OCC), il giudice fissa un’udienza in cui propone il piano di concordato. I creditori votano il piano: è necessario il voto favorevole di almeno il 50% dei crediti ammessi, e se c’è un unico creditore con più del 50% del credito, serve anche la maggioranza delle teste. Superato il voto e accertata la fattibilità, il tribunale omologa il concordato, decretando gli obblighi del debitore e la sospensione delle azioni esecutive per la durata del piano.

Tipologie di concordato minore

Il concordato minore può prevedere continuità aziendale o essere liquidatorio. Nel concordato minore in continuità, il debitore continua l’attività d’impresa: il piano può prevedere (per esempio) pagamenti rateali a partire dal reddito aziendale o la cessione di alcuni beni immobili per reinvestire nell’attività. Al debitore è richiesto di mettere a disposizione dei creditori tutti i propri beni fruttiferi (la “universalità” del patrimonio), fatte salve eventuali escussioni finalizzate al risarcimento del passivo. Nel concordato minore liquidatorio, invece, il debitore liquida subito il patrimonio e destina il ricavato ai creditori. Quest’ultimo è ammesso solo se nel piano è prevista finanza esterna significativa che incrementi il recupero (ad es. fondi terzi da investitori), altrimenti è considerato infruttuoso: «sarebbe inutile appesantimento del procedimento» e inidoneità al miglior soddisfacimento dei creditori. In pratica, il debitore che voglia chiudere l’impresa non convenziona quasi mai un concordato in continuità senza apportare risorse nuove.

Durata del piano concordatario

L’aspetto centrale di questa guida è la durata complessiva del concordato minore. Il codice non indica un termine massimo: l’art. 74 CCII richiede solo che la proposta indichi tempi e modalità di pagamento, senza fissare un limite esplicito. Tuttavia, la giurisprudenza impone il principio della “ragionevole durata” del soddisfacimento ai creditori. In analogia al concordato preventivo, la Cassazione (Sez. Un., 23/1/2013 n. 1521) ha stabilito che un piano di concordato deve garantire il pagamento dei creditori in «tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti». In pratica, tribunali di merito ritengono normalmente ragionevole un piano di circa 5 anni, con al massimo qualche mese o ulteriore anno in casi particolari ben motivati. Il Tribunale di Roma, ad esempio, ha dichiarato inammissibile un piano minore della durata di 17 anni, definendolo «del tutto irragionevole» e in contrasto con la causa concorsuale della procedura. Quella stessa pronuncia ha ribadito che «una durata di un piano concordatario […] non può essere, perché possa ritenersi razionalmente fattibile, di massima ultraquinquennale; tale limite può essere superato solo in forza di specifica motivazione puntuale e obiettiva».

In sostanza, oltre i 5 anni occorre giustificazioni rigorose (ad es. andamento reddituale molto stabile e confermato da attestatore, garanzie aggiuntive, ecc.). Anche un recentissimo commentario ricorda che un piano ultradecennale diventa «nullità della causa della proposta». Dunque, nella redazione del piano il debitore – in accordo con l’OCC e il legale – mira a non superare i 5–6 anni. Se per ragioni di sostenibilità reddituale servisse più tempo, bisogna allegare elementi concretamente oggettivi (rapporti di previsione, investimenti, certificazioni di conto economico) che diano credibilità al risultato nel lungo periodo.

Riassumendo: di solito il piano di concordato minore dura tra 4 e 6 anni, compatibilmente con i flussi di cassa del debitore. Durate più brevi (3 anni) si vedono se esistono risorse ingenti o cessione di beni; se serve molto più di 5 anni, il tribunale potrebbe rigettare la proposta per “eccessiva durata”. In ogni caso, il debitore deve indicare in modo chiaro nel piano le rate (mensili o annuali), i termini di pagamento e ogni clausola di dilazione.

Durata complessiva della procedura e chiusura

Oltre alla durata del piano stesso, è utile considerare la tempistica totale dalla domanda alla conclusione. In generale, il percorso si svolge così:

  • Accesso e istruttoria: il debitore deposita la domanda (con la documentazione sopra elencata) e paga i contributi di legge. L’OCC avvia subito l’istruttoria (acquisendo dati reddituali, atti, visure, ecc.), verifica i requisiti soggettivi e redige una relazione preliminare. Questa fase può durare qualche settimana o alcuni mesi a seconda della completezza della documentazione e del carico di lavoro dell’OCC.
  • Udienza di approvazione: conclusa l’istruttoria, il Tribunale fissa un’udienza in cui il debitore presenta il piano. La data può cadere mediamente entro 3–6 mesi dalla domanda. All’udienza il giudice valuta l’ammissibilità (assenza di vizi formali, soggetti rientranti), ascolta i creditori e delibera se omologare o meno.
  • Omologazione: se il piano è approvato dai creditori e ritenuto fattibile, il tribunale emette la sentenza di omologa. Da quel momento decorre l’obbligo di esecuzione del piano. In caso di rigetto o opposizioni gravi, la procedura viene chiusa (con liquidazione controllata se opportuna) o rimessa in termine (rari casi).
  • Esecuzione del piano: dopo l’omologa inizia il periodo di esecuzione concordato (pagamenti rateali, cessioni, affitto aziendale, ecc.), che dura appunto i anni previsti dal piano. Durante questo periodo il debitore continua l’attività (se prevista) e versa quanto promesso; l’OCC/gestore può vigilare sul rispetto.
  • Chiusura: a conclusione dell’ultimo pagamento, il piano si considera integrato. A differenza delle procedure liquidatorie, nel concordato non c’è una formalità di “esdebitazione” separata: una volta eseguito interamente il piano, il debitore è libero dalle obbligazioni residue per effetto stesso dell’accordo. In pratica, l’esdebitazione ex art. 282 CCII (di diritto dopo 3 anni nell’eventuale liquidazione controllata) non si applica qui: non appena onorati gli impegni, il debitore è sollevato dai debiti residui senza ulteriore provvedimento del giudice. Il credito residuo non pagato non va dichiarato ma semplicemente cancelato, come previsto nell’ambito della stessa sentenza di omologa.

In termini di calendario, pertanto, la durata globale può essere stimata in: qualche mese di fase istruttoria + durata del piano (tipicamente 4-6 anni) + pochi mesi per la chiusura. Ad esempio, un piano quinquennale correttamente eseguito potrebbe concludersi in circa 5 anni complessivi dal deposito della domanda.

Aspetti fiscali del concordato minore

Dal punto di vista tributario, il concordato minore segue le regole generali richiamate per il concordato preventivo. In particolare, l’art. 88 CCII (ex art. 182-bis L.F.) sul “trattamento non peggiorativo” dei crediti tributari privilegiati e chirografari è applicabile anche al concordato minore. Ciò significa che i crediti erariali (imposte, IVA, contributi previdenziali) non possono essere penalizzati rispetto agli altri creditori dello stesso rango: se il piano prevede una dilazione o una riduzione, i tributi vanno trattati almeno come gli altri debiti garantiti dallo stesso tipo di prelazione.

Inoltre, una recente pronuncia del Tribunale di Avellino (gen. 2023) ha sottolineato che, se nel piano non si paga integralmente un credito tributario, tale credito deve essere classato obbligatoriamente a parte. In pratica, i crediti fiscali non soddisfatti (anche chirografari) vanno inseriti in una classe a sé (“classamento dei crediti erariali”) come previsto dall’art. 85 co.2 CCII, proprio per far sì che i tributi non vengano ‘occultati’ nell’elenco generale dei chirografari. La c.d. “transazione fiscale” (competenza dell’Agenzia delle Entrate) non opera come nei concordati preventivi di grandi imprese: il concordato minore prevede sempre lo stesso assetto legale dei crediti tributari del concordato preventivo.

Dal punto di vista pratico, il debitore deve quindi mettere in piano l’eventuale pagamento parziale dei tributi; oppure trattare con l’Erario un piano rateale separato nel rispetto delle percentuali minime (salvo accordo formale). È importante verificare tempestivamente le posizioni pendenti con Agenzia Entrate/Riscossione, poiché i ricorsi sospesi cadono con l’avvio del concordato. Infine, va segnalato che la chiusura del concordato (come in ogni altra procedura concorsuale) non scioglie le obbligazioni tributarie future: il debitore resta in regola per gli anni seguenti. In sintesi, il concordato minore non estingue automaticamente i debiti fiscali, ma li gestisce secondo le regole di classamento e soddisfacimento stabilite dalla legge (artt. 85, 88 CCII).

Aspetti penali per il debitore

La legge prevede specifiche sanzioni penali a carico del debitore che viola gli obblighi concordatari. L’art. 344 CCII (introdotto dal D.Lgs. 14/2019) incrimina, tra l’altro, chi dichiara il falso o froda i creditori per ottenere il concordato, ma anche – rilevante per la durata e l’esecuzione – il debitore che “effettua pagamenti in violazione del piano di concordato minore omologato” o che “aggrava la propria posizione debitoria” dopo il deposito del piano. In pratica, se il debitore non rispetta i pagamenti come concordato oppure fa aumentare volontariamente i debiti (ad es. contrarre altri mutui), può incorrere in reati penali sanzionati con carcere (6 mesi-2 anni) e multe.

Per il debitore è quindi fondamentale osservare scrupolosamente le scadenze del piano: ogni dilazione ulteriore o pagamento omesso non concordato può far scattare le ipotesi di reato delittuoso di cui all’art. 344. Anche ritardare una rata senza giustificato motivo nel piano omologato è pericoloso. Viceversa, il rispetto puntuale del piano concordatario non comporta rischi penali: anzi è condizione per ottenere l’esdebitazione. Queste norme servono a tutelare la «seria attuazione dei piani», garantendo che i debitori mantengano le promesse di pagamento. In sintesi, la durata del concordato, da 5 anni in su, non libera da controllo: se il debitore nel frattempo compie atti contrari al piano (falsificando la situazione patrimoniale, dissipando attivi, ecc.) commette reato anche mentre la procedura è in corso.

Tabella riepilogativa delle tempistiche

FaseAttori coinvoltiDurata tipicaNote
Domanda e istruttoria OCCDebitore, Organismo di Composizione1–3 mesiRaccolta documenti e relazione dell’OCC.
Udienza di omologazioneTribunale (giudice delegato), OCC, Deb.3–6 mesiConvocazione creditori, verifica ammissibilità.
Esecuzione del pianoDebitore, creditori, OCC4–6 anni (tipico)Rate conforme al piano. (Poss. variazioni ok in ±.)
Conclusione (fine piano)Tribunale, DebitoreDebiti residui estinti per effetto concordato.

Questa tabella riassume i tempi medi dell’intera procedura. Nel complesso, dal deposito della domanda fino alla chiusura del piano si può arrivare intorno ai 5–6 anni totali (inclusi i tempi istruttori). Naturalmente, ogni caso può variare: piani molto brevi (2–3 anni) si vedono quando si vendono immobili o c’è grande finanza esterna; piani al limite di 5 anni richiedono impegni certi e continuità reddituali.

Domande frequenti (Q&A)

  • Chi può chiedere il concordato minore? Possono accedere i debitori non fallibili indicati dall’art. 2 c.1 lett.c CCII: professionisti, imprese individuali piccole (che rispettano le soglie di fatturato e debito), imprenditori agricoli, ecc. Non sono ammessi i consumatori (per i quali esistono altri strumenti) né i grandi imprenditori commerciali (che devono seguire il fallimento). Ad esempio, una ditta individuale con ricavi sotto i 200.000 € e debiti inferiori a 500.000 € può ricorrere al concordato minore.
  • Il piano può superare i 5 anni? In linea di massima no. La giurisprudenza considera «ultraquinquennale» (oltre i 5 anni) la durata massima di massima, che può essere giustificata solo da ragioni oggettive eccezionali. Un piano più lungo del necessario rischia di essere dichiarato inammissibile. È invece prassi porre piani quinquennali, eventualmente prorogabili di pochi mesi se serve per quadratura finale. Qualora il debitore volesse 6 anni, dovrebbe dimostrare con prove solide perché quei termini sono indispensabili (ad es. contratti di fornitura lunghi, impieghi di fondi, ecc.).
  • Cosa succede se il piano fallisce o dura troppo? Se il debitore non rispetta il piano omologato, o il piano è palesemente irrealizzabile, il tribunale può revocare l’omologa e aprire la liquidazione controllata (fallimento dei non fallibili). Dal punto di vista penale, pagamenti mancati o ulteriori indebitamenti sleali configurano reato. Si consiglia pertanto di calibrarsi realisticamente: conviene concordare un piano più breve e solido, magari con percentuale di rimborso più bassa, piuttosto che un piano dilazionato oltre ogni ragionevolezza.
  • Quali sono le implicazioni fiscali di una dilazione? Nei concordati minori i tributi vanno gestiti secondo le regole del concordato preventivo. In particolare, i crediti tributari privilegiati e chirografari del fisco devono essere soddisfatti in misura non inferiore a quella assegnata ai crediti di pari rango. Se non vengono pagati integralmente, devono essere distinti in una classe specifica. In pratica, il debitore include nel piano quanto può versare all’Erario e lascia in coda il resto, ma sempre nel rispetto del principio di non deterioramento rispetto alla liquidazione. Non c’è una “sanatoria automatica”: a differenza dell’esdebitazione bancaria, le tasse rimaste insolute potranno essere recuperate in futuro (nei limiti previsti).
  • Quando termina formalmente la procedura? Dal punto di vista del tribunale, il concordato minore termina quando il debitore ha eseguito integralmente il piano. A differenza di fallimento o liquidazione controllata, qui non è prevista una successiva “sentenza di esdebitazione”: il debitore, una volta pagate le ultime rate o ceduto gli ultimi beni, è libero dai debiti residuali per effetto stesso dell’omologa. Tecnicamente, il decreto di omologa contempera già la liberazione finale. In caso di debitori incapienti (che non pagano nulla), esiste invece una procedura separata di esdebitazione a «costo zero» (art. 283 CCII), ma essa va distinta dal concordato minore vero e proprio.
  • Conviene a un piccolo imprenditore? Dal punto di vista del debitore, il concordato minore permette di mantenere l’attività (anche con riduzione di costi e debiti) anziché liquidare tutto. La durata “ragionevole” consente un piano sostenibile con le proprie capacità di reddito. Tuttavia, occorre valutare costi e benefici: la procedura ha costi professionali (avvocato, OCC) e allunga i tempi di chiusura. Spesso è più vantaggioso pianificare subito un rimborso ragionevole (es. 3–5 anni) piuttosto che prolungare inutilmente: al debitore converrà saldare (o negoziare stralci) con i creditori chiave e chiudere prima per evitare spese aggiuntive. I fattori che influenzano la durata reale includono l’entità del debito, i redditi futuri, la disponibilità di bene patrimoniali da liquidare, e la coerenza del piano con la capacità di rimborso del debitore.

Esempio pratico di simulazione

Immaginiamo un titolare di ditta individuale con debiti complessivi di 90.000 € (450.000 € mutuo casa, 300.000 € prestiti vari) e reddito netto mensile di 2.000 €. Non può fallire (è sotto soglia), perciò opta per il concordato minore in continuità. Con l’OCC elabora un piano quinquennale: cessione di alcuni immobili in un anno (portano subito 50.000 €) e destinazione di 800 € mensili dal reddito professionale per 5 anni (480 € al mese per 10 anni totali sommati a reddito da locazione). Restano 40.000 € di debiti non pagati, che l’OCC classa come chirografari. In udienza la proposta viene votata favorevolmente (oltre il 50% del credito) e omologata.

  • Durata: la fase istruttoria occorre 2 mesi, poi in 4 mesi si ottiene l’udienza e l’omologa. L’esecuzione del piano dura 5 anni come previsto. Dopo 5 anni il debitore ha versato complessivamente ~58.000 € (50k immobili + 800€/mese) e i creditori hanno incassato parte del dovuto. I restanti 40.000 € sono cancellati per effetto del concordato, liberando il debitore. Complessivamente, l’intera procedura è durata circa 5 anni e 6 mesi (inclusi 6 mesi istruttoria+omologa, +5 anni esecuzione).

In questa simulazione, il piano quinquennale è plausibile per il tribunale (≲ 5 anni) e sostenibile dal debitore. I creditori hanno ottenuto un buon tasso di soddisfacimento a fronte di un piano più breve possibile. Un piano di 10 anni in questo caso sarebbe stato probabilmente bocciato (troppo lungo rispetto al reddito e all’età del debitore).

Conclusioni

Il concordato minore offre al piccolo imprenditore o professionista insolvente una via per ristrutturare i debiti con tempi contenuti. Anche se il Codice non indica termini fissi, l’esperienza giurisprudenziale insegna che non bisogna esagerare: in genere un piano 5 anni/60 mesi è considerato il tetto di ragionevolezza. Superare questo limite senza argomentazioni solide rende il piano “inammissibile”. Per il debitore ciò significa pianificare immediatamente pagamenti quanto più brevi possibile, pur rimanendo realistici rispetto alle proprie entrate. Dal canto suo il tribunale vigila affinché il piano sia esigibile nel periodo dichiarato, e che l’equilibrio tra durata e qualità del rimborso non sia forzatamente sbilanciato a discapito dei creditori.

Ricordiamo infine che, conclusa l’esecuzione del piano, il debitore è liberato dai residui debiti secondo i termini dell’accordo. Non occorre attendere anni o un provvedimento successivo: la “liberazione” scatta automaticamente con l’adempimento degli impegni presi. Viceversa, se la durata viene dilatata oltre ogni misura (“ad es. 10–15 anni”), la procedura perde il suo senso protettivo e può essere abbandonata dal giudice.

Fonti: ai sensi delle disposizioni vigenti si è fatto riferimento al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, artt. 74-83 CCII), alle massime dottrine e prassi degli organismi di sovraindebitamento (ODCEC Roma, 2024), nonché alla giurisprudenza italiana più recente.

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