Impresa Edile Con Tanti Debiti: Le Azioni Da Fare

Hai un’impresa edile in difficoltà e i debiti stanno diventando insostenibili? Ti stai chiedendo come evitare il fallimento, se puoi salvare i cantieri ancora aperti e quali sono le azioni concrete da fare subito per proteggere l’attività?

Il settore edile è uno dei più esposti a crisi di liquidità, ritardi nei pagamenti, contenziosi con fornitori e blocchi nei flussi di cassa. Ma anche con molti debiti è possibile agire, ristrutturare e salvare la tua impresa, se non si perde tempo.

Vediamo insieme cosa puoi fare se hai un’impresa edile indebitata, quali sono i rischi reali e quali strumenti legali possono aiutarti a uscirne.

Quando la crisi dell’impresa edile diventa pericolosa?
Quando le spese superano costantemente le entrate, i fornitori non vengono più pagati, i dipendenti iniziano ad accumulare stipendi arretrati e le banche iniziano a chiudere le linee di credito, allora la situazione è già critica. Aspettare può solo peggiorare le cose.

Qual è la prima cosa da fare se ho troppi debiti?
La prima azione è verificare se l’impresa è ancora in stato di continuità aziendale. C’è un margine per rientrare con i pagamenti? I cantieri aperti possono generare liquidità? In parallelo, occorre interrompere ogni nuova esposizione e bloccare le uscite superflue.

Posso attivare una procedura per proteggermi dai creditori?
Sì. A seconda della dimensione dell’impresa e del tipo di debiti, puoi valutare:

  • la composizione negoziata della crisi, per cercare un accordo con banche e fornitori mantenendo attiva l’attività;
  • il concordato minore, se hai ancora un patrimonio da gestire o lavori in corso;
  • la liquidazione controllata, se non è più possibile proseguire e vuoi azzerare i debiti in modo ordinato.

E i cantieri in corso? Vanno chiusi?
Non necessariamente. In alcuni casi, i cantieri possono diventare la leva per ottenere accordi con i creditori, garantendo un rientro parziale. Ma vanno analizzati uno per uno, per capire quali conviene terminare e quali sospendere subito.

Cosa rischio se non faccio nulla?
Se non agisci, rischi il blocco dell’attività, il fallimento giudiziale (liquidazione) e il pignoramento dei beni aziendali e personali (se hai garanzie personali o sei una ditta individuale). Inoltre, potresti subire danni alla reputazione professionale.

Serve l’assistenza di un avvocato?
Sì, perché una gestione sbagliata della crisi può peggiorare le responsabilità personali, soprattutto in caso di insolvenza evidente e mancata attivazione delle procedure previste dal Codice della Crisi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, edilizia e debiti aziendali – ti spiega come agire se hai un’impresa edile con troppi debiti, quali strumenti legali puoi attivare e come possiamo aiutarti a tutelare il tuo lavoro.

Hai un’impresa edile in crisi e vuoi capire se puoi ancora salvarla?

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Impresa edile in crisi: quadro normativo e profili generali

Un’impresa edile con elevati debiti si trova in uno stato di crisi d’impresa secondo la definizione del Codice della crisi e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), recentemente integrato dai decreti “correttivi” (ultimo: D.Lgs. 13/9/2024, n.136). La crisi s’intende come lo squilibrio strutturale fra indebitamento e capacità di rimborso che rende probabile l’insolvenza. Se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati supera 30.000 € complessivi, il legislatore prevede che possa aprirsi la procedura di liquidazione giudiziale (fallimento). L’obiettivo primario del legislatore è spingere l’imprenditore in difficoltà a usare strumenti di composizione della crisi (negoziale o giudiziale) piuttosto che attendere la liquidazione, che è il rimedio ultimo. Il Codice della Crisi (CCII) richiede all’imprenditore un comportamento attivo: deve mantenere assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c., art. 375 CCII), monitorare la continuità aziendale e segnalare tempestivamente lo stato di squilibrio agli organismi preposti (Organismo di Composizione della Crisi) e ai creditori. Un mancato intervento (dissipazione patrimoniale, mancata segnalazione, ritardo nel chiedere procedure) può comportare la responsabilità civile dei soci/amm. (oggi rimodulata dagli artt. 2476 e 2486 c.c. come modificati dall’art.378 CCII). In sintesi, il legislatore pretende che l’imprenditore edile, prima di perdere ogni credibilità, esplori soluzioni di ristrutturazione (anche stragiudiziali) al fine di preservare l’attività e il patrimonio aziendale.

Le successive sezioni illustrano i vari tipi di debito che può avere l’impresa edile (fiscali, bancari, verso fornitori/dipendenti, INPS/INAIL) e le misure negoziali o concorsuali oggi disponibili (composizione negoziata, piani attestati/accordi di ristrutturazione, concordato, liquidazione), con particolare attenzione alle novità normative del 2024-2025 e agli obblighi/garanzie a tutela del debitore e del suo patrimonio personale.

Tipologie di debiti dell’impresa edile

Un’impresa edile in difficoltà si trova di norma ad affrontare molteplici posizioni creditorie, anche di natura diversa. Ad esempio:

  • Debiti fiscali (IVA, IRPEF/IRES, ritenute, IMU, etc.) e contributivi (INPS, INAIL). Queste passività pubbliche possono risultare rilevanti: l’azienda edile potrebbe avere imposte non versate (o rateizzate) e contributi previdenziali scaduti. Lo stesso Codice Crisi incentiva soluzioni negoziate: ad esempio, nella composizione negoziata si può includere una transazione fiscale/previdenziale con Agenzia delle Entrate e INPS, vale a dire un accordo per definire debiti tributari e contributivi. In generale, al di fuori delle procedure concorsuali, l’impresa può ricorrere a strumenti agevolativi di diritto tributario (rottamazione-decreti-legge, accertamento con adesione, rateizzazione straordinaria agevolata). Tuttavia, tali strumenti ordinari possono non bastare in crisi grave: ecco perché il Code della crisi apre anche la possibilità di rinviare partite fiscali importanti tramite l’accordo di ristrutturazione (v. infra) o in sede di concordato preventivo (art.167 CCII).
  • Debiti bancari. Si tratta principalmente di mutui, prestiti, fidi e linee di credito concesse dalle banche. In una crisi d’impresa, le banche possono inasprire le condizioni (revoca delle linee, segnalazioni CRIF, classificazione a sofferenza). Importante novità: la legge ha chiarito che l’accesso a procedure di risanamento non implica automaticamente la revoca del credito bancario né ne modifica la classificazione “bonis” o “non performing”. Il legislatore ha introdotto l’onere della banca di comunicare alle autorità competenti ogni sospensione forzata delle linee di credito in vigore, ma anche un principio di “expected loss”: la banca deve valutare secondo criteri prospettici il merito dell’impresa in crisi. In pratica, l’imprenditore potrà negoziare (anche attraverso un piano attestato o accordo di ristrutturazione) con le banche nuove condizioni (dilazioni, moratorie, nuovi fidi) in vista di un piano di risanamento, confidando nel fatto che il mero tentativo di composizione non costituisca violazione normativa da parte della banca.
  • Debiti verso fornitori e verso dipendenti. I fornitori di materiali edili detengono crediti (a breve termine) sull’impresa; in crisi, l’azienda può negoziare con essi proroghe o riduzioni. Diversamente dai creditori pubblici o bancari, i fornitori non hanno strumenti speciali di rateizzazione forzata (anche se, per esempio, nei concordati possono ottenere soddisfazione parziale secondo percentuali stabilite). Per quanto riguarda i dipendenti (stipendi, TFR), questi crediti godono di priorità legale: in una procedura concorsuale vengono pagati integralmente secondo l’ordine di prelazione (anche sotto forma di sistema di garanzia al Fondo di Garanzia INPS). Fuori procedura concorsuale, l’impresa può però scadenzare gli stipendi arretrati o ricorrere al Fondo di Integrazione Salariale (CIG) se previsto, per alleggerire i debiti di breve.
  • Debiti previdenziali (INPS/INAIL). Sono contributi obbligatori sui salari e premi assicurativi. In sede di crisi, si può tentare di rateizzare questi debiti con piani personalizzati: ad esempio, l’impresa potrebbe chiedere al proprio istituto previdenziale un piano di dilazioni agevolate. Inoltre, come già accennato, la transazione previdenziale consente – in composizione negoziata o concordato – di rinegoziare tali importi con INPS/INAIL per ottenere sconti di sanzioni/interessi e termini più lunghi.

In sintesi, il debitore edile deve mappare le varie categorie di debito e gli strumenti connessi. Spesso il percorso inizia con azioni negoziali (ritrovarsi con banche, fornitori, fisco prima di fallire) e, se queste non bastano, prosegue con procedure disciplinate dal Codice (accordi di ristrutturazione, concordato, liquidazione). In ogni caso, la strategia sarà in linea con la scala delle obbligazioni dell’art. 111 L.F. aggiornata: da un lato preservare crediti garantiti o privilegiati (dipendenti, contributi), dall’altro cercare soluzioni comuni per creditori chirografari (fornitori, banche, erario) tramite accordo.

Obblighi e responsabilità dell’imprenditore e degli amministratori

Il sistema italiano esige responsabilità e tempestività. L’imprenditore (specialmente di SRL o SPA, ma anche di società di persone) deve costituire assetti organizzativi idonei (art. 2086 c.c.), tenere conti aggiornati, individuare precocemente segnali di squilibrio. In questo senso, è previsto un obbligo di segnalazione: se sussiste un indice di crisi impellente (come perdite di bilancio, costi finanziari ricorrenti, insolvenza tecnica), l’amministratore deve attivare i nuovi organismi di composizione (OCRI). In concreto, il legislatore chiede di non rimanere in silenzio quando i problemi si aggravano, pena la responsabilità personale.

Sul versante della responsabilità civile, le regole tradizionali dei codici e del diritto fallimentare rimangono vigenti, ma con novità: secondo il sito ufficiale Impresa in un giorno, gli amministratori di società di capitali rispondono con il proprio patrimonio per i danni subiti dalla società in caso di inadempimento dei doveri (fra cui quello fondamentale di conservare integro il patrimonio sociale). Essi sono solidalmente responsabili verso la società (art. 2392 c.c.) e, quando il patrimonio sociale diventa insufficiente, anche verso i creditori (questi ultimi possono agire solo se prima hanno esaurito l’attivo sociale). Inoltre, il nuovo Codice ha inasprito la quantificazione del danno per l’adempimento negligente degli amministratori (art. 378 CCII modificando art. 2476 e 2486 c.c.), prevedendo un criterio di danno basato sulla potenziale continuazione virtuosa o sulla prosecuzione in perdita con cause non giustificabili. In caso di ritardo nell’attivare le procedure concorsuali (deposito del concordato o di un accordo di ristrutturazione), gli amministratori rischiano anche sanzioni penali: la nuova “bancarotta colposa da continuazione” punisce chi favorisce dolo o colpa grave quando l’azienda versa in dissesto. In pratica, una risposta tipica: «se segnalazione e procedure non sono state avviate per tempo, gli amministratori potranno essere chiamati a rispondere dei danni patrimoniali causati».

Protezione del patrimonio personale. Il grado di esposizione personale dipende dalla forma giuridica. Nella ditta individuale o nelle società di persone (Snc, Sas), il titolare/soci rispondono illimitatamente e in solido anche con il proprio patrimonio privato per i debiti dell’impresa. In una SRL/Spa, invece, la responsabilità dei soci è di norma limitata al capitale conferito: i creditori possono escutere solo l’attivo sociale, non i beni personali dei soci (salvo garanzie personali, fideiussioni e violazioni di legge). Ciò nondimeno, anche nelle SRL gli amministratori rispondono con il patrimonio personale per errori gestionali e non potranno opporre la limitazione se hanno agito illegalmente o dissipato. Un aspetto cruciale per un imprenditore edile: evitare di coprire i debiti aziendali con bens immobili personali quando vi sono procedure in corso; ad esempio, la cassazione ha già affermato che gli atti gratuiti effettuati dopo l’inizio della crisi possono essere dichiarati inefficaci (revocati) verso la massa dei creditori.

Piano di azione del debitore: dato il contesto, l’imprenditore in crisi edile deve:

  • Attivarsi prontamente (entro 60 giorni dall’inizio della crisi) per valutare soluzioni di continuità o risanamento extragiudiziali.
  • Rendere i propri bilanci trasparenti e affidabili, pianificando un piano di risanamento realisticamente perseguibile (supportato da consulenti finanziari o commercialisti).
  • Coinvolgere i creditori chiave (banche, fornitori, agenzia delle entrate, INPS) in trattative negoziali formali, al fine di trovare un accordo consensuale sulle misure di rientro.
  • Nel contempo, rispettare le scadenze minime che non possono essere ignorate (es. stipendi).
  • In tutto questo, mantenere la scrupolosa distinzione tra patrimonialità sociale e personale (in SRL), evitando passi che possano compromettere la separazione giuridica.

Strumenti di composizione negoziale

Quando l’impresa edile riconosce la propria crisi, può ricorrere prima di tutto ad accordi negoziali stragiudiziali, con lo scopo di ristrutturare i debiti senza ricorrere immediatamente al tribunale. I principali strumenti introdotti dal CCII in tal senso sono:

  • Composizione negoziata della crisi (artt. 1-15 CCII). Introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. L.147/2021), è un percorso volontario, riservato e confidenziale per trovare un accordo con i creditori. Tutte le imprese iscritte al Registro (incluse le ditte individuali e imprese agricole) possono aderire. L’accesso è esclusivamente su iniziativa del debitore, tramite la piattaforma telematica nazionale dedicata. Il legislatore punteggia questo strumento di tutele particolari: ad esempio, l’impresa deve produrre un progetto di piano di risanamento secondo una checklist ufficiale prima di avviare il procedimento; viene nominato un esperto indipendente che facilita le trattative con creditori e possibili nuovi investitori; i termini (normalmente 180 giorni) sono prorogabili una sola volta (per ulteriori 180 gg), portando a un massimo di 360 gg di composizione; all’esito i creditori approvano un accordo che, se firmato, diventa vincolante solo tra le parti (non esiste meccanismo di voto maggioritario come nel concordato). Il vantaggio principale è la riservatezza: a differenza delle procedure in tribunale, non c’è divieto automatico di esecuzioni (i creditori estranei possono ancora agire), ma se l’accordo è congruo e condiviso permette di evitare l’apertura del fallimento. Importante: la nuova riforma (D.Lgs 136/2024) ha esteso alla composizione negoziata alcune novità, come l’esenzione dalla revocatoria anche se l’accordo è concluso dopo la scadenza del termine, e ha addirittura introdotto la possibilità di concludere una transazione fiscale. Inoltre la piattaforma offre agli imprenditori strumenti diagnostici (test di sostenibilità del debito) e raccomandazioni sulla redazione del piano. In concreto, l’imprenditore edile che sceglie la composizione negoziata potrà, per esempio, negoziare con le banche una moratoria del mutuo, con il fisco una rateizzazione / stralcio di tributi (transazione fiscale) e con i fornitori il pagamento dilazionato, il tutto sotto la supervisione dell’esperto. Se raggiunge buoni accordi, potrà chiudere la crisi senza passare per il tribunale, evitando stigma e sanzioni gravi.
  • Piani attestati di risanamento e accordi con i creditori (art. 56 CCII). Pur simili nel nome, il piano attestato differisce dalla composizione negoziata per forma: è un accordo extragiudiziale ma richiede un’attestazione professionale. L’art.56 CCII consente all’imprenditore in crisi o insolvenza (anche agricolo o minore) di presentare un piano di risanamento sottoscritto da almeno il 60% dei creditori (eventualmente ridotto al 30% per gli accordi agevolati ex art.60 CCII – vedi sotto). In pratica, il debitore negozia privatamente un piano con banche, fornitori e altri creditori, stabilendo dilazioni o cancellazioni di parte dei debiti: ciascun creditore aderente accetta le nuove condizioni, mentre i creditori “estranei” (non partecipanti) devono essere pagati integralmente. Il piano, munito di data certa, viene poi attestato da un professionista indipendente (dott. commercialista o esperto contabile) che certifica la veridicità dei dati finanziari e la fattibilità del piano. A differenza della composizione negoziata, il piano attestato non esige il coinvolgimento preventivo del tribunale (salvo omologazione di accordi successiva), ma offre alcuni vantaggi di legge: ad esempio, i pagamenti eseguiti nei termini del piano attestato godono di esenzione da revocatorie fallimentari e da responsabilità penali (bancarotta), se sussistono i requisiti previsti (piano datato e atti connessi datati). Il vero limite pratico è l’assenza di un automatic stay: i creditori estranei possono ancora chiedere fallimento o azioni esecutive fino alla firma dell’accordo. Per questo il piano attestato si usa quando i creditori sono collaborativi; in caso contrario, l’imprenditore potrebbe dover “mettere il piano in cassaforte” chiedendo al tribunale di bloccare le azioni legali (ad es. tramite decreto ingiuntivo o concordato prenotato).
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII). Spesso associati al piano attestato ma formalmente distinti, gli accordi di ristrutturazione (“ADR” o debt restructuring agreement) sono infatti un vero strumento concorsuale. Si tratta di accordi conclusi con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti aziendali (soglia del 60%) e successivamente sottoposti al tribunale per omologazione (art. 48 CCII). L’impresa presenta un ricorso ex art. 37, c.1 CCII chiedendo l’omologazione del piano e contestualmente la pubblica nel Registro delle Imprese. Dal momento della pubblicazione del ricorso (e su richiesta, dall’inizio delle misure protettive) decorrono effetti protettivi sui creditori: sospensione delle azioni esecutive e delle decadenze nei confronti di tutti i creditori, nonché il divieto di scioglimento coattivo della società. Se l’accordo viene omologato, esso assume efficacia vincolante anche verso i creditori dissenzienti (erga omnes), estendendo le riduzioni o dilazioni pattuite a tutti. Inoltre, l’omologazione produce benefici legali importanti: i pagamenti effettuati secondo l’accordo non sono soggetti a revocatoria (esenzione fallimentare), e l’impresa risparmia tasse su plusvalenze “coperte” dallo sconto di debito. Una nuova forma degli accordi di ristrutturazione è quella “ad efficacia estesa” (art.60 CCII): se sussistono certe condizioni (mancata richiesta di misure protettive e di moratoria dei creditori estranei) la soglia sale al 30%, facilitando l’accordo in casi gravi. Sul piano processuale, l’impresa può anche chiedere al tribunale di concedere misure protettive (art.54 CCII) insieme al ricorso: in tal caso il tribunale può disporre il divieto temporaneo di esecuzioni individuali (applicando le “misure protettive tipiche” come in concordato). I creditori non aderenti, pur non potendo bloccare l’omologazione, possono opporvisi in udienza (art.48 cc.4 CCII) o impugnare successivamente gli atti, ma non frenano automaticamente la procedura. In sintesi, l’accordo di ristrutturazione omologato è adatto quando il piano negoziale da solo non è possibile (necessario farlo valere erga omnes), ma si vogliono evitare il fallimento e la cessione coatta di asset aziendali.
  • Accordi in esecuzione di piani attestati (nuovo istituto 2024). Con la riforma di settembre 2024 (D.Lgs. 136/2024) è stata introdotta una sottospecie di ADR dedicata ai piani attestati già stipulati. Se il debitore ed almeno il 50% dei creditori sottoscrivono volontariamente un piano attestato, egli può presentare al tribunale un’istanza di omologazione degli accordi esecutivi di quel piano. In pratica, si tratta di un riconoscimento normativo di ciò che si faceva già sul piano pratico: se un piano attestato è realtà con firme, si può chiedere al tribunale di “ratificarlo” tramite sentenza, così da estendere anch’esso effetti legali come per gli accordi di ristrutturazione (esenzione da revocatoria e bancarotta). Il legislatore ha collocato questa figura nell’art.56 CCII, rendendo organica la disciplina. Attenzione: si tratta ancora di un procedimento consensuale, senza rinnovo automatico di pubblicità (il piano resta volontario), ma consente una più chiara finalizzazione giurisdizionale degli accordi privati già raggiunti.

Riassumendo, sul versante stragiudiziale l’impresa edile in crisi dispone di un ventaglio di strumenti flessibili. Una strategia possibile è prima la composizione negoziata (ampia ma non vincolante senza tribunale), poi un piano attestato di risanamento (accordo privato con attestazione professionale), e infine, se serve, la trasformazione in accordo di ristrutturazione omologato per coinvolgere tutti i creditori. In ogni caso, tutti questi strumenti condividono l’assenza di un “ombrello” giudiziario automatico: non bloccano completamente le azioni dei creditori estranei, se non se il tribunale conferma specifiche misure cautelari.

Strumenti concorsuali (procedura giudiziale)

Se le soluzioni negoziali falliscono o non sono praticabili, l’impresa deve rivolgersi al tribunale. Dal punto di vista del debitore, le principali opzioni giudiziarie sono:

  • Concordato preventivo (artt. 67-95 CCII): non trattato in dettaglio qui, il concordato (con o senza continuità) resta uno strumento complesso che consente di presentare un piano di rimborso pluriennale con o senza passaggio di beni all’acquirente. Richiede però una procedura giudiziale articolata (riunioni dei creditori, voto di maggioranza) e spesso presuppone un progetto di continuità. Nel concordato il debitore può anche chiedere misure protettive tipiche, ma resta soggetto a omologazione e controllo del Tribunale. Data la specifica richiesta dell’impresa edile (che potrebbe preferire soluzioni meno formali), il concordato può essere visto come extrema ratio.
  • Liquidazione giudiziale (ex-fallimento, art. 16-33 CCII). Quando falliscono i tentativi di composizione e la crisi è conclamata, si può aprire la liquidazione giudiziale: nell’impresa edile ciò significa vendere gli asset (macchinari, attrezzature, immobili aziendali) per soddisfare i creditori. La sentenza di apertura si pronuncia solo a domanda di parte (debitore, creditori o P.M., o organismi di vigilanza) e generalmente comporta la nomina di un curatore unico. Le modifiche recenti al Codice non hanno riformato radicalmente la procedura di liquidazione, che segue il vecchio modello fallimentare: il giudice delegato convoca i creditori, autorizza il curatore nelle singole operazioni di liquidazione (ad es. vendite competitive tramite portale telematico, salvo deroghe per interessi creditori), e fissa tempi rigorosi per l’estinzione dell’attivo (tipicamente entro 5 anni). In un’impresa edile indebitata, la liquidazione giudiziale rappresenta l’ultima spiaggia: i lavoratori e lo Stato saranno pagati prima, ma i fornitori e le banche riceveranno probabilmente solo una frazione, e l’attività cesserà. È utile sapere che alcune novità semplificano la procedura: per esempio, la riduzione da 12 a 6 mesi per presentare domande di credito tardive, e l’obbligo della cancelleria di acquisire automaticamente i dati fiscali e previdenziali del debitore alla presentazione della domanda. L’imprenditore privato dovrebbe cercare di evitarla, ma, in mancanza di alternative, deve presentare tempestivamente il ricorso al tribunale (o resistere alla domanda dei creditori) per non aggravare la propria posizione legale. Da notare che non esiste più una soglia minima (tranne quella di 30k euro) per i concordati come nel codice fallimentare 1942: ogni impresa in insolvibilità conclamata può essere assoggettata a liquidazione.

Tabella 1: Confronto tra principali strumenti di regolazione della crisi (aspetto del debitore)

StrumentoNaturaAccessoRequisiti di sogliaEffetti principaliProtezione temporanea
Composizione negoziataStragiudiziale, volontarioDomanda su piattaforma digitaleNessuno: tutte le imprese (incl. ditta indiv.)Solo accordi volontari, esito esclusivamente negozialeNessun automatic stay; possible misure cautelari su richiesta Tribunale (art.54 CCII)
Piano attestato di risanamento (art.56)Stragiudiziale, volontario (necessita attestazione professionale)Accordo tra debitore e creditori privati, attestazione espertoCreditori aderenti per almeno 60% (soglia 30% “agevolati” art.60 CCII)Accordo privato: valida solo per chi aderisce; prelazione integrale per non aderentiNessun blocco automatico azioni (no automatic stay); creditori possono agire finché piano non formalizzato
Accordi di ristrutturazione (art.57)Concorsuale, tribunale (omologazione)Ricorso motivato ex art.37 CCIIQuorum 60% dei crediti (possibile 30% art.60 CCII)Omologazione del piano produce effetti erga omnes; esenzione da revocatoria e bancarotta per atti in pianoSospensione automatiche delle azioni esecutive dal deposito ricorso (art.54 CCII)
Concordato preventivoConcorsuale, tribunale (voto)Ricorso motivato ex art.37 CCII, con annuncio ai creditoriNessuna soglia percentuale (basta maggioranza creditori in assemblea)Se omologato, piano vincola tutti i creditori e può imporre soddisfazioni parziali (cram-down); esenzioni simili ADR (revocatorie)Sospensione azioni e scioglimenti dal deposito domanda (misure protettive ex artt. 53-55 CCII)
Liquidazione giudizialeConcorsuale, tribunaleRicorso di debitore/creditore/PMDebiti scaduti > €30.000 complessiviVendita di beni in blocco per pagare creditori secondo graduazione (salvo fallimento)Termine sospesi, nessun automatic stay in senso stretto (fallisce l’impresa)

(Fonte: elaborazione su fonti legislative e dottrina)

Esempio pratico

Consideriamo un esempio semplificato per rendere concreto l’insieme di azioni possibili. L’Impresa Edile Rossi S.r.l. ha i seguenti debiti complessivi:

  • Banche: mutuo fondiario 500.000€ (scadenza 20 anni) + scadenze non pagate 50.000€.
  • Fornitori: debiti a breve 150.000€ per materiali.
  • Fisco: IVA 80.000€ + IMU locali 20.000€.
  • INPS/INAIL: contributi dovuti 60.000€.
  • Dipendenti: stipendi arretrati 30.000€ + TFR maturando.

Situazione patrimoniale: attivi per 400.000€ (macchinari e impianti), liquidità bassa (solo 20.000€). L’impresa è fuori equilibrio (debiti >100% attivo) e non riesce a pagare gli stipendi. Il capitale sociale è intaccato dalle perdite di bilancio.

Azioni possibili:

  1. Composizione negoziata. L’imprenditore Rossi, con l’avvocato, redige un piano di risanamento trasparente e carica i dati sulla Piattaforma nazionale. Nomina un consulente esperto commerciale. Il piano propone: una moratoria di 2 anni sul mutuo bancario, un pagamento rateale in 5 anni dei fornitori e un accordo con il fisco per definire la maggior parte delle passività IVA tramite transazione (ad esempio concedendo all’Erario 40.000€ ora invece di 100.000€, ottenendo l’iva in detrazione del residuo). L’esperto media con le banche e il commercialista negozia un contributo di nuovi finanziamenti (50.000€) a garanzia aziendale. Dopo 6 mesi, Rossi ottiene consensi “di massima” dai creditori chiave. Formalizza gli accordi con firma e li fa certificare dall’esperto. A questo punto, può depositare volontariamente nel Registro delle Imprese il piano e gli accordi: ottiene così la data certa senza obbligo di pubblicazione. Se tutti i creditori importanti collaborano, Rossi realizza il risanamento senza andare in tribunale: i creditori estranei (es. un piccolo fornitore al 5%) vengono pagati “in bonis” grazie alla nuova finanza. L’impresa riprende piena operatività e continua l’attività edilizia, evitando la chiusura. Le banche hanno congelato i pignoramenti finché durava la composizione, e dopo guardano con ottimismo ai flussi di cassa attesi.
  2. Accordi di ristrutturazione. Se con le trattative private Rossi avesse ottenuto un accordo con banche e fornitori rappresentanti il 65% dei crediti, ma lo stato della crisi fosse ancora grave (problema di cash-flow), poteva invece depositare un ricorso al Tribunale per l’omologazione come accordi di ristrutturazione. Ciò avrebbe prodotto in automatico l’effetto di sospendere le esecuzioni anche dei creditori non aderenti e avrebbe reso vincolanti gli accordi per tutti. I creditori dissenzienti non avrebbero potuto impedire l’omologazione (potevano solo opporvisi formalmente) e, una volta omologata, i debiti trattati sarebbero stati effettivamente stralciati secondo percentuali concordate. L’azienda avrebbe così beneficiato dell’esenzione da revocatoria per i pagamenti effettuati e si sarebbe messa in grado di rientrare. Dopo l’omologazione, in caso di inadempimenti occorsi, i creditori avrebbero dovuto ricorrere alle vie legali contestualmente alle cause interne.
  3. Liquidazione giudiziale. Se tutte le trattative falliscono e il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale (perché debitore o creditori hanno depositato il ricorso), l’azienda viene gestita da un curatore. I beni (macchinari, autocarri, capannoni) verranno messi all’asta telematica (art.216 CCII). Il ricavato (ipotizziamo che alla fine si raccolgano 300.000€ totali) sarà distribuito secondo l’ordine di priorità legale: dipendenti/inps prima, poi altri creditori. In pratica, i fornitori otterrebbero solo una quota modesta dei loro 150k, le banche riceverebbero parte del residuo sulla garanzia del mutuo, mentre l’imprenditore e i soci perderebbero tutto (il capitale sociale risulterà azzerato). La società verrà cancellata nel registro.

Questo esempio mostra come un percorso negoziale preliminare (composizione, accordi) è preferibile per l’imprenditore, perché evita la liquidazione totale. Tuttavia, ogni scelta comporta obblighi: ad es., in caso di composizione Rossi ha dovuto garantire la reputazione contabile del piano con data certa per fruire delle esenzioni da revocatoria.

Domande frequenti (Q&A)

  • D: Qual è la differenza tra composizione negoziata e piano attestato di risanamento?
    R: Entrambi mirano a ristrutturare i debiti fuori dal fallimento, ma la composizione negoziata è un percorso riservato e avviato su piattaforma digitale con un esperto (senza alcuna pubblicità automatica). Il piano attestato è semplicemente un accordo privato di ristrutturazione certificato da un professionista, senza iter digitale obbligatorio. Nella composizione negoziata si può negoziare qualsiasi cosa e si ottengono meccanismi di data certa; nel piano attestato l’accordo riguarda tipicamente banche e grandi creditori e il piano prodotto deve rispettare requisiti di legge (es. contenuto e data certa). Il piano attestato, a differenza della composizione, non esonera automaticamente l’impresa dall’onere di rivolgersi al giudice, ma offre simili benefici (no revocatoria).
  • D: Cosa succede se non segnalo tempestivamente la crisi?
    R: Il CCII prevede che l’imprenditore debba assumere precauzioni in presenza di squilibri. Se l’amministratore non interviene e l’azienda fallisce, rischia di essere ritenuto responsabile di aver continuato l’attività in perdita (Cass. sez. I n.9087/2018 conferma che l’accordo di ristrutturazione è una procedura concorsuale). In termini concreti, non aver chiesto concordato o accordo di ristrutturazione quando la società mostra segni di insolvenza può rendere l’amministratore responsabile verso i creditori sociali, con aggravante della nuova normativa. Inoltre, potrebbe essere chiamato a rispondere penalmente per “bancarotta preferenziale” o “semplice” se paga alcuni creditori sacrificandone altri senza adeguato piano (anche qui la normativa sulle esenzioni attesta quali pagamenti si possono fare in sicurezza).
  • D: Le banche possono revocarmi il fido durante la composizione negoziata?
    R: No: la legge ha stabilito che il mero accesso alla composizione negoziata non legittima automaticamente la revoca delle linee di credito da parte della banca, né richiede a quest’ultima di riclassificare il credito come in sofferenza. Va detto però che le banche hanno comunque l’obbligo di comunicare alle autorità competenti ogni sospensione forzata dovuta a vincoli regolamentari. In pratica, la composizione negoziata è neutrale sul piano prudenziale: la banca può fare i suoi scudi normativi (ad esempio se imposti dalle regole di Basilea, può sospendere il credito), ma deve comportarsi da pari opportunità verso l’imprenditore, valutando prospetticamente la sostenibilità invece di stigmatizzare l’iniziativa.
  • D: Posso pagare i dipendenti anche se ho debiti con fornitori e INPS?
    R: In una procedura concordataria o in accordo omologato i dipendenti sono privilegiati: i loro crediti maturati (salari e TFR) saranno integrati come prima delle generalità. Nelle soluzioni negoziali (composizione o piano attestato) non c’è uno strumento di pagamento forzato, ma è prassi includere nel piano un programma di pagamento prioritario dei crediti retributivi. Fuori dalle procedure concorsuali, se la crisi è forte lo stipendio può essere a rischio: l’imprenditore può però ricorrere ad ammortizzatori sociali (CIG) o a soluzioni transattive con i sindacati per rateizzare gli arretrati mantenendo i dipendenti.
  • D: Come tutelo i miei immobili personali?
    R: Se l’impresa è una società di capitali (SRL/SPA) i creditori hanno in genere diritto a escutere solo i beni sociali. I beni personali dei soci (ad eccezione di garanzie prestate) sono protetti, purché l’attività sia in regola. Nelle società di persone o nella ditta individuale invece i beni personali (casa, auto, etc.) rispondono dei debiti dell’impresa. Per tutelarsi, un imprenditore può pensare di costituire o trasformare l’impresa in SRL, e soprattutto evitare di dare garanzie personali oltre il capitale sociale. In casi di abuso (ad es. se si dichiara fallimento e si capovolgono risorse verso soci) il giudice può comunque revocare atti a danno dei creditori; in generale, però, l’asset personale di terzi (coniuge, convivente) non è intaccabile per debiti dell’impresa, a meno di comportamenti fraudolenti.

Conclusioni e fonti normative

Affrontare un’impresa edile “carica di debiti” richiede al debitore un approccio multidisciplinare: valutare le trattative amichevoli con creditori di ogni specie (dagli istituti di credito all’Agenzia delle Entrate, dai fornitori ai lavoratori), sfruttando gli strumenti offerti dal Codice della Crisi (composizione negoziata, piani e accordi di ristrutturazione). Solo come estrema ratio l’impresa deve ricorrere alla procedura fallimentare (liquidazione giudiziale), perché vi perderebbe sia valore economico sia reputazione. In ogni caso, l’imprenditore deve agire con la massima trasparenza e tempestività: dallo scrivere un piano risanamento dettagliato (con data certa), al segnalare la crisi agli organi competenti, fino all’eventuale deposito di accordi da omologare. Gli obblighi di buona fede negoziale, informativa e conservazione del patrimonio sociale sono stringenti. Seguendo questi passaggi e adottando le soluzioni normative più adeguate al proprio caso, l’impresa edile in difficoltà può sperare di salvaguardare l’attività (magari con ristrutturazione del debito) oppure contenere i danni in caso di avvio della liquidazione, proteggendo nel contempo i soci/amm. da ulteriori responsabilità.

Fonti

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e succ. mod.), in particolare artt. 2, 25-26, 37-40, 54-56, 57-60, 208, 342.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024, n.136 (Terzo decreto correttivo Codice Crisi).
  • Camera di Commercio Trieste: “Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa” (agg. 13/05/2025).
  • Normativa vigente in materia (Codice Civile artt. 2392-2393, 2476, 2086; L.Fall. art.167, 2740-2741; D.Lgs. 83/2022, 118/2021, 147/2020, L. 147/2021).

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