Sospensione Affidamenti Bancari: La Guida

Hai ricevuto una comunicazione dalla banca che ti informa della sospensione dell’affidamento? Ti stai chiedendo cosa significa nella pratica, quali sono le conseguenze sul conto e sull’operatività aziendale, e soprattutto se puoi difenderti o evitare il blocco?

La sospensione di un affidamento bancario può mettere in crisi la liquidità di un’impresa o di un professionista, ma non sempre è definitiva e, in certi casi, può essere contestata o negoziata.

Vediamo allora cosa comporta la sospensione, quando può avvenire, e quali strategie legali attivare per proteggere la tua attività.

Cosa significa sospensione dell’affidamento bancario?
L’affidamento bancario è una somma che la banca mette a disposizione del cliente (scoperto di conto, anticipo fatture, apertura di credito, ecc.). La sospensione significa che la banca blocca – del tutto o in parte – la possibilità di usare quella somma, oppure revoca la disponibilità già accordata.

Perché la banca può sospendere un affidamento?
I motivi possono essere diversi, ma in genere riguardano:

  • Segnalazioni negative (come Centrale Rischi o CRIF);
  • Mancato rispetto delle condizioni contrattuali;
  • Difficoltà finanziarie dell’azienda;
  • Andamento anomalo del conto;
  • Strategie interne dell’istituto di credito.

In certi casi, la banca non ha l’obbligo di preavviso, ma se la sospensione è improvvisa e ingiustificata, può essere contestata.

Cosa comporta per l’azienda o il professionista?
La sospensione può avere effetti immediati e gravi:

  • Blocco dei pagamenti;
  • Revoca degli anticipi;
  • Rientro immediato dei fidi;
  • Difficoltà a far fronte agli impegni verso fornitori o dipendenti.

È possibile opporsi alla sospensione?
Sì, ma dipende dal caso. È possibile:

  • Richiedere una trattativa con la banca, eventualmente assistiti da un avvocato;
  • Valutare un’azione legale se la sospensione ha violato obblighi contrattuali o causato un danno ingiustificato;
  • Attivare strumenti di ristrutturazione del debito, come la composizione negoziata o un piano di risanamento, per rinegoziare l’affidamento.

Cosa fare subito se ricevi una comunicazione di sospensione?
Non agire da solo. È fondamentale:

  • Analizzare il contratto di affidamento per verificare i margini di difesa;
  • Controllare eventuali segnalazioni in banca dati;
  • Attivare immediatamente una strategia di contenimento del danno, per tutelare la tua attività e il tuo patrimonio.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, affidamenti e crisi d’impresa – ti spiega cosa comporta la sospensione degli affidamenti bancari, quando è lecita e cosa possiamo fare per aiutarti a reagire in modo efficace.

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Introduzione

La sospensione degli affidamenti bancari è un istituto cruciale nei rapporti di credito tra banca e cliente. L’affidamento (o fido) rappresenta una linea di credito che la banca mette a disposizione del cliente; la sua sospensione o revoca può avere gravi conseguenze per l’impresa o il privato. Questa guida, aggiornata a giugno 2025 e rivolta ad avvocati, imprenditori e privati, offre un’analisi completa del quadro normativo italiano (principalmente Contratto di apertura di credito in conto corrente, Testo Unico Bancario, Codice della crisi), della giurisprudenza recente e delle strategie difensive a disposizione del debitore. Il linguaggio è giuridico ma divulgativo, con domande e risposte, tabelle riassuntive e simulazioni pratiche: l’obiettivo è chiarire i diritti e gli obblighi del cliente-debitore in materia di affidamenti bancari.

Cos’è un affidamento bancario

L’affidamento bancario (o fido bancario) è tipicamente un contratto tramite il quale la banca si impegna a tenere a disposizione del cliente una certa somma di denaro. In Italia il contratto di apertura di credito in conto corrente è disciplinato dagli artt. 1826 e ss. c.c. (in particolare l’art. 1842 c.c. definisce l’«apertura di credito bancario» come il contratto con cui la banca tiene a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periodo). In pratica, l’affidamento può assumere forme diverse:

  • Fido di cassa o scoperto: il cliente può andare a debito sul proprio conto corrente fino a un limite prefissato. Gli interessi (es. commissione di massimo scoperto) si applicano solo sulla somma effettivamente utilizzata. Si tratta di una linea di credito revolving, utilizzabile senza preavviso e con rimborso flessibile.
  • Fido su crediti o “castelletto bancario”: la banca anticipa fondi al cliente scontando fatture, cambiali o altri crediti in portafoglio. È spesso utilizzato per gestire liquidità a fronte di fatture in scadenza.
  • Fidi di firma: la banca rilascia garanzie a terzi (ad esempio lettere di credito o fideiussioni) a nome del cliente. Si dividono in “fidi di dare” (garantire il pagamento di un importo) e “fidi di fare” (garantire l’esecuzione di un’obbligazione).
  • Fidi estero: linee di credito dedicate alle operazioni con l’estero (ad esempio anticipi all’esportazione, finanziamenti all’importazione o lettere di credito internazionali).
  • Altri affidamenti specialistici: anticipazioni su garanzie (es. anticipazione di fideiussioni), conti marginazione per titoli o derivati, ecc.
  • Finanziamenti a breve o medio termine: benché tecnicamente “prestiti”, sono spesso gestiti in convenzione con fidi a durata determinata.

Indipendentemente dalla tipologia, ogni affidamento è un contratto autonomo che va oltre il semplice conto corrente. La giurisprudenza conferma che il conto corrente è accessorio e strumentale al contratto di affidamento. In altre parole, il credito accordato non è un’operazione insita nel solo conto corrente, bensì un negozio separato che deve essere adeguatamente formalizzato (cfr. Trib. Napoli 2001, citato in doctrina).

Quadro normativo generale

Nel sistema italiano gli affidamenti bancari sono regolati sia dal Codice Civile sia dalla normativa bancaria. In particolare:

  • Codice Civile (cc): gli articoli 1826-1853 c.c. disciplinano il conto corrente bancario. Tra essi, l’art. 1842 c.c. definisce l’apertura di credito bancario, l’art. 1845 c.c. regola il recesso dal contratto di credito con termine indeterminato (il banco può chiedere il rientro con almeno 15 giorni di preavviso), e gli artt. 1849-1851 c.c. trattano il rendiconto e la chiusura del conto.
  • Testo Unico Bancario (TUB, d.lgs. 385/1993): l’art. 117 TUB impone che ogni contratto bancario “tipico” (fra cui apertura di credito e conto corrente) sia redatto in forma scritta ad substantiam, pena la nullità. Ciò significa che il fido deve essere formalizzato in un documento firmato. In caso contrario il contratto è in teoria nullo (art. 117, co.1), ma la giurisprudenza recente (Cass. 5387/2024) ha precisato che tale nullità è di protezione (tutelante il cliente) e non rilevabile d’ufficio: il debitore può pertanto provare l’esistenza dell’affidamento anche con mezzi diversi dal contratto scritto, ad esempio tramite estratti conto che dimostrino l’uso ripetuto del credito. In ogni caso, la banca deve comunque provare in giudizio l’esistenza e l’entità dell’affidamento concesso.
  • Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII, d.lgs. 14/2019): l’art. 16, comma 5, CCII stabilisce che l’accesso del debitore alla composizione negoziata della crisi (nuova procedura introdotta di recente) “non costituisce di per sé causa di sospensione o revoca” dei fidi esistenti. Tuttavia, la stessa norma prevede che “in ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possano essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale”. Ciò significa che, fuori dal contesto ordinario, le banche possono sospendere i finanziamenti quando necessario per rispetto di norme di vigilanza bancaria (si veda infra).
  • Altri interventi normativi straordinari: ad esempio, durante l’emergenza pandemica (2020-2021) sono state introdotte moratorie che limitavano revoche e sospensioni su crediti in bonis di PMI, ma tali misure sono ormai scadute. Anche disposizioni antitrust e di trasparenza (es. normativa sulle condizioni economiche, anatocismo, usura) possono influire indirettamente sui rapporti di affidamento.

Forma e formalizzazione del contratto di affidamento

Ai sensi dell’art. 117 TUB, ogni contratto di affidamento deve essere in forma scritta “ad substantiam”, ossia la mancanza della forma scritta ne determina la nullità. La giurisprudenza ha più volte ribadito che il contratto di apertura di credito non è una semplice estensione del conto corrente: per essere valido deve contenere almeno l’importo del fido e gli altri elementi essenziali. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che in ogni contratto di affidamento “deve essere indicato l’importo massimo concedibile” e senza questo accordo scritto il credito non è efficacemente accordato.

Ne consegue che, in mancanza di un documento scritto, il fido non può essere fatto valere dalla banca (nullità rilevabile solo dal cliente). Tuttavia, come visto, il debitore può provare l’esistenza di un affidamento anche con altri mezzi (estratti conto) se la nullità non è invocata esplicitamente dalla banca o da altri interessati. In ogni caso, la banca ha l’onere della prova sull’esistenza del fido e sul suo ammontare.

Recesso, sospensione e riduzione del fido

Nel conto corrente con affidamento a tempo indeterminato, la banca ha in genere la facoltà contrattuale di recedere (revocare) in qualsiasi momento (a meno di patto contrario). Il Codice Civile (art. 1845 c.c., comma 2) prevede che in tal caso la banca debba concedere un preavviso di almeno 15 giorni per il rientro delle somme. In assenza di clausola contraria, quindi, la banca può chiedere indietro il credito utilizzato (ritiro del fido) con un termine non inferiore a 15 giorni.

Tuttavia, molto spesso i contratti di affidamento bancario contengono clausole “a revoca” o “ad nutum”, che consentono alla banca di interrompere l’erogazione del credito anche senza giusta causa e senza preavviso (diversamente dal limite dei 15 giorni). In tali ipotesi, secondo la prassi, la sospensione del fido può avvenire immediatamente, di fatto bloccando ogni utilizzo ulteriore del conto oltre la provvista disponibile.

In termini generali, la banca può dunque revocare o sospendere l’affidamento in presenza di clausole contrattuali che lo consentano. Recesso significa chiusura definitiva del fido (con richiesta di estinzione del debito entro termine), sospensione si riferisce a un’astensione temporanea dall’erogare ulteriori disponibilità fino a nuova valutazione, mentre riduzione consiste nell’abbassare il limite del fido pur mantenendo attivo il rapporto. In pratica:

  • Revoca del fido: la banca chiude il fido, chiedendo al correntista di rientrare di quanto utilizzato (ad esempio saldando il conto) entro un certo termine (almeno 15 gg se previsto dalla legge). Dopo il termine, la banca può agire giudizialmente per far valere il proprio credito.
  • Sospensione del fido: la banca blocca temporaneamente l’erogazione di credito. Il correntista non può più attingere nuove somme oltre il saldo disponibile, ma il rapporto rimane in vita; la banca lo verificherà e potrebbe riaprire (o meno) il fido.
  • Riduzione del fido: la banca modifica unilateralmente il contratto abbassando il massimale del credito concesso. Il correntista potrà continuare ad usare il conto nei limiti del nuovo plafond. La riduzione comporta spesso una modifica delle condizioni contrattuali (ex ius variandi), sulle quali la banca deve comunque osservare eventuali obblighi di forma, motivazione e preavviso contrattualmente previsti.

La legittimità di revoca, sospensione o riduzione dipende sia dal contratto sia dai principi generali. È infatti consolidato che la banca, anche se “può recedere ad nutum”, non può farlo in modo arbitrario o ingiustificato. Il criterio guida è sempre il dovere di correttezza e buona fede (art. 2 Cost.), che impone alla banca di operare con diligenza e trasparenza anche quando esercita una facoltà unilaterale. La giurisprudenza più recente sottolinea che l’eventuale recesso deve essere conforme alla legge e al contratto e non arbitrario; diversamente risulterebbe illecito. In sintesi, la banca deve motivare la sospensione o revoca su basi concrete: un improvviso blocco del fido senza giustificazione obiettiva può configurare abuso e dare luogo a responsabilità per danni (Cass. 10125/2021, richiamata in dottrina).

È però possibile revocare anche in presenza di giusta causa (per esempio gravi inadempimenti del cliente): in tali casi la banca può sopprimere immediatamente il fido, senza l’obbligo di preavviso, se il contratto lo prevede per giusta causa. Viceversa, se non c’è giusta causa e il cliente è in bonis, la banca in genere deve concedere almeno i 15 giorni di preavviso previsti da art. 1845 c.c..

In passato, durante emergenze come la crisi Covid-19, il legislatore ha imposto limiti temporanei al recesso sul credito delle imprese in difficoltà (“moratorie” fino al 2021), ma tali misure non sono permanenti. Oggi la normativa di riferimento rimane quella ordinaria sopra descritta, integrata – per particolari situazioni di crisi formale – dall’art. 16 CCII come visto.

Obblighi di comunicazione e forma della sospensione

Il cliente deve essere avvisato della revoca o sospensione. Poiché il fido è un contratto a effetti continuativi, una qualsiasi variazione (chiusura, blocco o modifica del limite) interviene con il regime del recesso. Il Codice Civile (art. 1845 c.c.) e i principi contrattuali si applicano: la banca comunica per iscritto la sua decisione. Del resto, anche la prassi giurisprudenziale impone la forma scritta: una recente pronuncia del Tribunale di Verona ha ribadito che, pur nell’ambito di disciplina concorsuale (art. 16 CCII), la comunicazione di revoca o sospensione degli affidamenti deve avvenire necessariamente per iscritto. Secondo il Tribunale, ciò vale anche quando la banca invoca “giusta causa” contrattuale anziché mera vigilanza prudenziale. In sostanza, il messaggio va espresso in un documento formale indirizzato al cliente, così da poter valutare le motivazioni e adempiere.

Effetti e conseguenze della sospensione

Quando una banca sospende o revoca un affidamento, per il debitore si profilano diversi effetti pratici:

  • Blocco immediato del conto: in caso di revoca il correntista non può più utilizzare il fido; in caso di sospensione il prelevamento oltre il saldo avviene illecitamente. Il risultato è che tutti i pagamenti pendenti vengono respinti per mancanza di fondi, con possibili oneri aggiuntivi (spese per assegni scartati, ecc.).
  • Richiesta di rientro: la banca richiede il rimborso delle somme utilizzate. Se si tratta di recesso con preavviso, il cliente ha un termine stabilito (almeno 15 gg). Decorsi i termini la banca può procedere all’azione esecutiva (invio di precetto, pignoramenti).
  • Segnalazioni alla Centrale Rischi: qualora il fido fosse derogato, la banca potrebbe segnalare la nuova situazione alla Centrale Rischi. Ciò può compromettere l’affidabilità creditizia del cliente e inficiare l’accesso a nuovi finanziamenti.
  • Coinvolgimento dei garanti: se l’affidamento era assistito da garanzie (pegni, ipoteche, fideiussioni), la banca può rivalersi anche sui coobbligati. Il debitore può dover negoziare anche con i garanti un piano di rientro.
  • Conseguenze concorsuali: se l’impresa era già in crisi, la sospensione del fido può precipitare i rimedi (ad esempio i creditori possono chiedere il fallimento). Tuttavia, nei nuovi strumenti di composizione della crisi (accordi di ristrutturazione, concordato, composizione negoziata) è possibile includere i debiti da fido in un piano di rientro o concordato con la banca, a volte con riduzione (falcidie) o dilazione.

Dal punto di vista legale, la sospensione del fido non estingue né risolve il rapporto di conto corrente, né libera il debitore dall’obbligo di rientro. Al contrario, dopo una sospensione la banca esige che il cliente adempia (paghi) entro il termine indicato. Se il correntista non paga, la banca potrà agire (giudizialmente o stragiudizialmente) per ottenere il rimborso. In buona parte delle situazioni, quindi, il debitore resta obbligato a restituire i soldi usati; ciò che cambia è che non potrà utilizzare più la linea di credito e dovrà organizzarne la chiusura in tempi brevi.

Diritti e limiti del cliente

Il cliente ha vari diritti a proteggere i propri interessi in caso di sospensione o revoca del fido. Innanzitutto, può chiedere alla banca spiegazioni sulle ragioni del provvedimento. Se la banca non motivasse adeguatamente, il debitore può contestare la legittimità della misura – ad esempio sostenendo che manchi una giusta causa o che siano state violate clausole contrattuali o obblighi di preavviso. In particolare, dal 2008 è chiaro che la banca non può recedere dal rapporto in modo improvviso o in violazione di buona fede. Se reputa il comportamento bancario scorretto, il cliente può agire in giudizio chiedendo il risarcimento del danno, oltre a pretendere che la banca adempia almeno al preavviso contrattuale.

Inoltre, il debitore può avvalersi di misure cautelari. Ad esempio, è possibile ricorrere al giudice civile per ottenere l’esecuzione forzata del rientro entro termini ordinari (dando modo al debitore di organizzarsi) o per impugnare la sospensione arbitraria. Nei rapporti con i consumatori (o piccole imprese nell’ambito civilistico) si deve osservare il disposto sull’ABF – Arbitro Bancario Finanziario: prima di agire in tribunale, per controversie civili relative a affidamenti il cliente può esperire l’istruttoria presso l’Arbitro Bancario (servizio gratuito presso la Banca d’Italia), che può valutare l’equità dell’operato bancario e ordinare eventuali rimborsi.

In ogni caso, il debitore deve adoperarsi con prontezza: come ricorda la dottrina, ignorare una revoca o rimanere in silenzio può solo aggravare la situazione (maggior debito, segnalazioni negative, rischio di esecuzione).

Giurisprudenza recente

La giurisprudenza degli ultimi anni ha approfondito i temi connessi agli affidamenti bancari, sia sul piano sostanziale sia procedurale:

  • Forma del contratto e prova dell’affidamento – Come visto, Cass. 5387/2024 ha confermato che la nullità del contratto per violazione dell’art. 117 TUB non preclude al cliente di provare l’esistenza dell’affidamento con altri mezzi. Anzi, la Corte ha ritenuto lecite le «rimesse ripristinatorie» su conto corrente come prova della continuità creditizia. Ciò consente al debitore di dimostrare, anche in giudizio, il diritto a un fido anche in assenza di documento scritto. Tuttavia, se la nullità fosse opposta dalla banca, il cliente non potrebbe avvalersene. (Riporta [48] Cass. 2024, punti essenziali).
  • Obbligo di forma scritta – In linea con la dottrina, Cass. 20205/2016 ha stabilito che l’apertura di credito deve essere stipulata per iscritto a pena di nullità, che si configura come tutela del cliente. Nella stessa pronuncia, la Corte ha precisato che è onere della banca provare in giudizio esistenza ed entità del fido concesso. Questo principio rafforza la posizione del debitore: se la banca invoca un affidamento, deve portare il relativo contratto o prova equivalente.
  • Onere della banca e buona fede – La Cassazione ha ribadito che la banca, nell’esercizio del potere di recesso, è tenuta a rispettare la buona fede. Secondo orientamenti consolidati (cfr. Cass. n.28056/2008 e Cass. n.10125/2021 richiamata in dottrina), il recesso brusco o arbitrario è illecito. La banca deve informare correttamente il cliente e concedere tempo e condizioni congrue a rientrare, salvo che esista una causa talmente grave da giustificare un’immediata soppressione dell’affidamento.
  • Procedura di composizione della crisi – Sotto un profilo concorsuale, la giurisprudenza di merito (e ora anche normativa) ha precisato che l’accesso alla composizione negoziata non legittima di per sé la sospensione dei fidi. Al contrario, la Cassazione ha delineato limiti precisi: in presenza di procedure di allerta o crisi aperte, la banca non può semplicemente chiudere tutti i fidi senza un’effettiva giusta causa. Ciò tutela il debitore che intraprenda azioni di risanamento: le banche devono collaborare invece di abbandonare il cliente (art. 198, comma 2, CCII).
  • Comunicazione scritta – Il Tribunale di Verona (22 gennaio 2024) ha confermato che qualsiasi comunicazione di sospensione o revoca deve avvenire per iscritto. Questa decisione, benché relativa alla legge concorsuale, è indicativa per l’ordinario: in pratica, il debitore può esigere un documento formale della banca, contenente motivazione e termini per il rientro.

Queste pronunce mostrano un orientamento giurisprudenziale sensibile ai diritti del debitore: il cliente può far valere la nullità formale del contratto se serve a tutelarlo, e può contestare la sospensione del fido come illegittima se la banca agisce senza valida ragione. In ogni caso, ogni contenzioso concreto dipenderà dalle specificità del contratto e dei fatti: ragione per cui è fondamentale, per il debitore, documentare ogni comunicazione ricevuta e le proprie attività sul conto.

Strategie difensive del debitore

Di fronte a una comunicazione di sospensione o revoca del fido, il debitore ha diversi strumenti a tutela. Ecco alcuni passaggi consigliati da esperti legali:

  • Analizzare la comunicazione: leggere con attenzione la lettera o l’email della banca, verificando la data, le motivazioni addotte, la scadenza del termine di rientro e ogni condizione contrattuale richiamata. Bisogna controllare se la banca invochi giusta causa o se faccia semplicemente valere una clausola contrattuale generica di recesso.
  • Verificare il contratto: esaminare il contratto di conto corrente e di affidamento per accertare se la banca rispetta le condizioni pattuite. Ad esempio, se si tratta di un fido “a revoca”, la banca dovrebbe aver avvisato con congruo preavviso come previsto (ad es. 15 giorni); se invece esigono un rientro immediato, si deve valutare se c’è stata giusta causa (ritardi nei pagamenti, segnalazioni negative in Centrale Rischi, ecc.) giustificativa. Se il preavviso è troppo breve o manca del tutto, il cliente può opporsi al preteso diritto della banca chiedendo almeno il termine legale.
  • Controllare il conto e gli addebiti: chiedere un estratto analitico del conto corrente affidato e verificare la correttezza degli importi che la banca chiede indietro. È utile verificare se vi siano addebiti indebitamente calcolati (interessi non contrattuali, anatocismo, usura, ecc.). Spesso i legali consigliano di far verificare il saldo da un consulente bancario, perché un errato calcolo del debito può essere contestato e ridurre la somma dovuta.
  • Tentare una composizione amichevole: contattare subito la banca per avviare trattative. A volte è possibile ottenere un accordo di rientro più favorevole: proroga del termine, rateizzazione del debito, trasformazione del fido in finanziamento a medio termine, ecc.. Ogni rifinanziamento deve però essere valutato con attenzione (nuovi interessi, nuovi garanzie, ecc.). L’obiettivo è evitare lo stato di crisi conclamata e dare segnale di volontà di rientrare.
  • Inquadrare eventuali vizi contrattuali: se il debitore ritiene il comportamento bancario scorretto (revoca abusiva, mancata motivazione, inadempimento della forma scritta contrattuale), può formalmente contestare l’operato della banca. Ciò può avvenire mediante una diffida stragiudiziale in cui si mette in mora la banca, oppure con un ricorso al tribunale o al Collegio Arbitrale Bancario. In tal caso il debitore potrà chiedere la condanna della banca al risarcimento dei danni causati dall’atto ingiustificato. Ad esempio, se la revoca è avvenuta in violazione della buona fede, la giurisprudenza consente il risarcimento.
  • Opporre eccezioni economiche: quando si contesta il fido sospeso, il debitore può anche sollevare la nullità di eventuali clausole (anatocismo, usura, commissioni fuori legalità) che aumenterebbero il debito. Una volta esperta analisi tecnica contabile, può risultare che il saldo reale dovuto sia minore; ciò può bloccare o rallentare l’azione esecutiva della banca, costringendo le parti a definire transattivamente il rapporto.
  • Coinvolgere i garanti: se il fido era garantito da fideiussioni o ipoteche, i garanti (coobbligati) non sono esclusi dall’impatto. Il debitore-principale dovrebbe informare i garanti e verificare se le fideiussioni subiscono vizi (clausole abusive, duplicazione di firme, ecc.). Spesso anche i garanti hanno interesse a intervenire per ridurre il debito complessivo. Il debitore può chiedere loro di unirsi al dialogo con la banca, mostrando una strategia comune di rientro.
  • Rivolgersi all’ABF o all’autorità: se il rapporto è tra consumatore (o piccola impresa in ambito civile) e banca, e se vi è un quesito di legittimità o trasparenza del comportamento, il cliente può ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario, prima di azioni giudiziarie vere e proprie. L’ABF può offrire soluzioni rapide e gratuite (cfr. requisiti e limiti di competenza dell’Arbitro). Se invece si tratta di violazioni di norme primarie (ad esempio usura di fatto o illecito antitrust), è possibile segnalare la banca alla Banca d’Italia o all’Agcm, anche se ciò non sospende automaticamente la sospensione.
  • Avviare procedure concorsuali: se la situazione è di grande difficoltà aziendale, il debitore può valutare l’accesso a procedure di ristrutturazione del debito. Il nuovo Codice della crisi prevede strumenti (concordato semplificato, accordo di ristrutturazione, composizione negoziata, liquidazione controllata) in cui il debito da fido può essere inserito in un piano concordato con i creditori. Ciò consente di ottenere anche una riduzione (falcidia) o una dilazione considerevole. In pratica, l’impresa in grave crisi può trasformare il problema in un punto di negoziazione con la banca, alleggerendo l’esposizione.

Le azioni possibili sono riassunte nella tabella seguente:

AspettoStrategia/Strumento a disposizione del debitore
Comunicazione di revoca/sospensioneRichiedere chiarimenti motivati; esigere documentazione formale (per iscritto); verificare termini contrattuali di preavviso.
Verifica contabileOttenere estratto conto dettagliato; contestare addebiti non dovuti (anatocismo, usura, commissioni).
Contratto di affidamentoControllare clausole di recesso, preavviso, cause di giusta causa; verificare la forma scritta ex art. 117 TUB.
Richiesta di rientroValutare tempi di rientro (almeno 15 gg se dovuto); negoziare un rientro graduale o nuovo piano di ammortamento.
Contestazione legittimitàInviare diffida stragiudiziale; ricorso al tribunale o arbitro bancario per abuso di diritto, violazione buona fede, ecc.
Ruolo dei garantiInformare e coinvolgere fideiussori/garanti; verificare vizi delle garanzie bancarie (clausole nulle); mediare congiuntamente.
Strumenti alternativiProcedura di mediazione bancaria (obbligatoria per controversie civili); opposizione a precetto/azione esecutiva; transazione stragiudiziale.
Strumenti concorsuali (imprese in crisi)Includere il debito in concordato, accordo di ristrutturazione, composizione negoziata o liquidazione controllata: possibile dilazione o riduzione del debito.
Azione tempestivaAgire subito, evitando silenzi per non aggravare segnalazioni CR; chiedere consulenza legale per ogni passaggio.

Domande frequenti (FAQ)

D: La banca può sospendere il fido senza motivo specifico?
R: In linea generale, se il contratto lo permette (“fido a revoca”), la banca può sospendere o revocare anche senza giusta causa. Tuttavia, deve rispettare la buona fede e i termini contrattuali. Un’azione totalmente improvvisa e ingiustificata può essere considerata abusiva. In pratica, anche per fidi “a revoca” la banca concede normalmente un congruo preavviso (15 giorni per legge) e deve agire in modo non arbitrario.

D: Qual è la differenza pratica fra sospendere un fido e revocarlo?
R: La revoca del fido implica la cessazione definitiva della linea di credito: il cliente deve restituire quanto usato entro il termine indicato e non potrà più attingere al credito. La sospensione è un blocco temporaneo dell’erogazione di ulteriori fondi, lasciando in vita il contratto. Normalmente, alla fine della sospensione la banca decide se riaprire o chiudere il fido. La riduzione del fido è invece una modifica del contratto: l’importo massimo utilizzabile viene ridotto, ma il fido rimane in essere ai nuovi limiti.

D: Cosa deve fare il cliente alla comunicazione di sospensione?
R: Subito dopo aver ricevuto comunicazione (scritto) di sospensione o revoca, il cliente deve: (1) verificare il contratto per i termini previsti; (2) controllare il saldo e la correttezza dei conteggi; (3) contattare la banca per capire le motivazioni reali; (4) negoziare una soluzione di rientro (eventuale dilazione o modifica del finanziamento). È fondamentale non ignorare la comunicazione, altrimenti scattano interessi moratori e segnalazioni negative.

D: Se la banca non fornisce spiegazioni o nega di dover rispettare il contratto, cosa posso fare?
R: Il cliente può inviare una diffida formale (lettera raccomandata con ricevuta di ritorno) alla banca, richiamando le clausole contrattuali violate. Se non ottiene risposta o rimane insoddisfatto, può rivolgersi all’autorità giudiziaria chiedendo l’accertamento di comportamento abusivo e il risarcimento dei danni, oltre alla condanna a consentire il rientro secondo i termini legali. Nei rapporti civili, spesso è obbligatorio esperire prima l’ABF; se il fido è concesso a impresa-commerciale tale dovere non sussiste, ma in generale un’azione giudiziaria può sospendere l’esecuzione del credito (tramite opposizione al precetto).

D: La banca deve motivare la sospensione o basta la clausola contrattuale?
R: Pur non esistendo una norma che obblighi esplicitamente la banca a motivare la sospensione (al di fuori delle procedure concorsuali), il principio di buona fede impone comunque di non agire con arbitrarietà. In concreto, il cliente può pretendere giustificazioni chiare. Se la banca cita “giusta causa”, dovrebbe specificare quali gravi inadempienze o eventi hanno portato alla decisione. In mancanza, la motivazione generica (“revisione del fido”) potrebbe essere impugnata come priva di fondamento.

D: Posso ricorrere al Tribunale o all’arbitrato?
R: Sì. Se il contratto non prevede clausole arbitrali o arbitro bancario vincolante, si può agire in sede civile. Per i clienti-consumatori o microimprese è spesso previsto l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF): un procedimento stragiudiziale gratuito che la banca solitamente richiede come condizione di procedibilità per questioni relative ai contratti bancari. L’ABF può dirimere controversie su revoche e costi, ma non può annullare un contratto, al massimo condanna la banca al risarcimento se accerta scorrettezza. L’azione giudiziaria ordinaria, invece, può chiedere l’annullamento dell’atto di revoca e il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c.

D: La sospensione del fido vale anche contro i garanti?
R: Se esistono fideiussioni o pegni a garanzia del fido, la sospensione coinvolge automaticamente anche i garanti. Essi diventano immediatamente responsabili del rientro. Tuttavia, i garanti possono difendersi: ad esempio, se la fideiussione è invalida (per clausole abusive già censurate dall’Antitrust o nullità formale), il garante può sollevare eccezione di nullità per limitare la propria esposizione. In pratica, i garanti possono partecipare alla strategia difensiva, spesso parallelamente al debitore principale.

D: Cosa succede se non pago il fido dopo la sospensione?
R: Se il correntista non restituisce le somme utilizzate entro il termine di pagamento, la banca potrà procedere legalmente. Normalmente invierà un precetto per ottenere il credito tramite ingiunzione di pagamento. Se nemmeno l’ingiunzione produce effetti, la banca può eseguire pignoramenti sui beni del debitore (ad esempio, immobili ipotecati o beni mobili). Se invece il cliente è impresa, potrebbe essere istigato anche il fallimento (o liquidazione coatta) per manifesta insolvenza. È pertanto nel miglior interesse del debitore evitare il contenzioso andando incontro alla banca ove possibile, salvo contestare formalmente i vizi rilevanti (in tal caso può bloccare temporaneamente l’esecuzione).

D: È possibile richiedere un provvedimento cautelare contro la revoca?
R: Sì, in via eccezionale il debitore può chiedere al giudice civile un provvedimento d’urgenza (ad esempio un sequestro conservativo o un inibitoria parziale) per ottenere un periodo aggiuntivo per rientrare. Ciò è consentito se sussistono gravi motivi (il fallimento incombente, ingiustificato e improvviso ritiro del credito, danni imminenti). Il successo dipende dal caso specifico: il giudice valuterà se il bilanciamento di interessi penda più a favore della continuazione del rapporto o meno.

Simulazioni pratiche

Esempio 1 – Impresa PMI: richiesta di rientro su fido a revoca

Scenario: L’impresa Alfa S.r.l. ha un conto corrente con affidamento di 50.000€ (fido di cassa) con rimborso libero e preavviso di 15 giorni. La banca invia una lettera raccomandata in cui, senza ulteriori dettagli, dichiara di sospendere il fido per “rischio finanziario” e chiede il rientro entro 5 giorni. Nel frattempo, due clienti pagheranno fatture in scadenza portando la cassa a zero.

Problemi: Il preavviso di 5 giorni è illegittimo (contrasta con art. 1845 c.c. e clausola contrattuale), e nessuna giusta causa è motivata. L’impresa teme di dover chiudere il conto e ritardare i pagamenti ai fornitori. Quali azioni può intraprendere?

Azioni consigliate: Alfa deve prima di tutto rispondere alla banca contestando il preavviso troppo breve, chiedendo di applicare i 15 giorni almeno. Può citare la mancanza di specifiche su anomalie nella sua posizione finanziaria. Nel frattempo, conviene preparare l’estratto conto e verificarne il saldo, per confermare che dopo 5 giorni (scadenza richiesta) il conto sarà in passivo di qualche migliaio di euro. Siccome i pagamenti in entrata verranno versati in quei giorni, la società può informare la banca che, con liquidità in arrivo, sarà in grado di onorare il rientro entro 15 giorni. Dovrebbe anche proporre un piano di rientro graduale (ad esempio rimborsare parzialmente ora e ripianare il resto in settimane successive). Se la banca accetta almeno di differire la scadenza, Alfa eviterà l’esecuzione (pignoramento). Nel caso contrario, l’impresa può diffidare formalmente la banca a rispettare i termini contrattuali e, se necessario, rivolgersi all’ABF (se applicabile) e prepararsi a un’azione giudiziaria nei confronti della banca per abuso del diritto.

Esempio 2 – Professionista o privato con scoperto bancario

Scenario: Il Dott. Bianchi, libero professionista, ha un conto corrente con affidamento di cassa di 10.000€. Una crisi di mercato lo porta a ritardare alcuni incassi, perciò usa tutto il fido. Nel frattempo la banca, per motivi di verifica interna, decide di sospendere il fido e chiede il saldo immediato dei 10.000€ (la notifica arriva via e-mail, senza preciso termine). Il Dott. Bianchi dispone solo di 2.000€ di liquidità disponibile e ha spese correnti da pagare.

Problemi: Il preavviso “immediato” è irragionevole rispetto al contratto (che prevede 15 giorni). Il Dott. Bianchi teme di dover portare il conto in passivo, con conseguenze sul rating e sulla capacità di operare. Non è chiaro se nella comunicazione sia indicata una «giusta causa» tale da giustificare il rientro immediato.

Azioni consigliate: Il professionista deve per prima cosa inviare una comunicazione alla banca evidenziando la violazione del contratto (richiedendo il rispetto del termine legale di 15 giorni). Nel contempo, dovrebbe negoziare un piccolo ravvedimento: può proporre di saldare subito 2.000€ (ciò che può pagare) e contestualmente discutere un piano di rimborso del restante debito su un arco più lungo. Ad esempio, se dispone di fatture future, può impegnarsi a versare somme nei prossimi 15-30 giorni. Contestualmente, il Dott. Bianchi può contestare l’eventuale giustificazione arbitraria della banca: un blocco immediato senza fondato motivo contrasta con gli obblighi di correttezza. Se la banca insiste, il professionista può rivolgersi all’ABF se ha i requisiti (contratto consumo/imprenditore individuale) o, in caso di firma del contratto tra imprese, prepararsi a un’azione legale chiedendo il risarcimento danni per la revoca ingiustificata. Spesso i professionisti riescono a trattare, offrendo almeno un piccolo pagamento immediato e chiedendo più tempo per la parte residua. In ogni caso, è importante reagire prontamente: ogni giorno di mancato pagamento accumula interessi e può portare a segnalazioni negative.

Fonti normative (Italia)

  • Codice Civile: art. 1826 e ss. c.c. (conto corrente); in particolare art. 1842 c.c. (apertura di credito), art. 1845 c.c. (recesso), art. 1852 c.c. (ordinanze e adempimenti del correntista).
  • Testo Unico Bancario (TUB), D.lgs. 1/9/1993 n. 385: art. 11 (funzione del conto corrente), art. 117 (forma scritta dei contratti bancari), artt. 125-132 (trasparenza) etc. In particolare, art. 117 comma 1 TUB impone forma scritta e comma 3 prevede l’inapplicabilità delle nullità ad iniziativa d’ufficio.
  • Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII), D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14: art. 198 c.c.i. (disposizioni transitorie su fideiussioni), art. 16 c.5 CCII (disciplina della sospensione/revoca degli affidamenti nelle procedure).
  • Leggi speciali / Decreti emergenza: ad esempio D.L. 18/2020, art. 56 (sospensione dei pagamenti per COVID-19), successivi DL n. 23/2020, 73/2021 (modifiche). Norme antiriciclaggio, antitrust e di protezione dei consumatori possono avere rilevanza indiretta.
  • Ordinamenti regolamentari: disposizioni di Banca d’Italia e MEF (Circolari, regolamenti CICR) definiscono la correttezza delle condizioni economiche (es. remunerazione degli affidamenti ex art. 117-bis TUB) e i criteri prudenziali per la concessione del credito (principi di sana e prudente gestione).

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