Vuoi proporre un piano di risanamento per la tua azienda o stai valutando una procedura di composizione negoziata e ti stai chiedendo chi può essere nominato come attestatore? Ti interessa sapere quali competenze servono e quali sono i requisiti richiesti per svolgere questo ruolo delicato e strategico?
L’attestatore del piano di risanamento è una figura fondamentale: da lui dipende la credibilità del piano, la fiducia dei creditori e, in molti casi, l’effettivo salvataggio dell’impresa.
Vediamo allora chi può fare l’attestatore, quali sono i requisiti richiesti e perché è importante scegliere con attenzione.
Chi è l’attestatore e cosa fa?
L’attestatore è il professionista incaricato di verificare la veridicità dei dati aziendali, la fattibilità del piano e la sua idoneità a risolvere la crisi. Deve quindi certificare che il piano è realistico e sostenibile, fornendo una relazione dettagliata e indipendente.
Quali sono i requisiti per essere attestatore?
Non chiunque può svolgere questo compito. L’attestatore deve:
- Essere iscritto da almeno 5 anni all’Albo dei Dottori Commercialisti o dei Revisori Legali o, in alternativa, essere un avvocato esperto in diritto concorsuale o societario;
- Essere indipendente rispetto all’impresa, ai soci e ai creditori (cioè non avere conflitti di interesse);
- Avere esperienza specifica in materia di crisi d’impresa, piani di risanamento, concordati e strumenti di regolazione.
Inoltre, deve redigere una relazione chiara, completa e conforme alla legge, in grado di convincere sia il giudice che i creditori coinvolti.
Cosa rischia l’attestatore se sbaglia?
Essendo un ruolo delicato, l’attestatore risponde personalmente in caso di dichiarazioni false, superficiali o omissive. In presenza di dolo o colpa grave, può essere chiamato a rispondere civilmente e penalmente dei danni causati.
Per questo è fondamentale scegliere un attestatore competente e affidabile, con reale esperienza nelle procedure di crisi.
L’attestatore va scelto dal debitore?
Sì, è l’imprenditore (o il professionista che lo assiste) a scegliere l’attestatore, ma il suo incarico deve garantire imparzialità e trasparenza. Una scelta errata o frettolosa può compromettere l’intera procedura.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi, ristrutturazioni aziendali e composizione negoziata – ti spiega chi può essere attestatore di un piano di risanamento, quali sono i requisiti richiesti e come possiamo aiutarti a individuare il professionista giusto per il tuo piano.
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Introduzione
Gli strumenti di risanamento aziendale previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI) affidano un ruolo cruciale al professionista attestatore. In particolare, l’attestatore del piano di risanamento (ex art. 56 CCI) è la figura indipendente incaricata di verificare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di risanamento predisposto dall’imprenditore in crisi. Questa guida avanzata, aggiornata a giugno 2025, fornisce un’analisi completa dei requisiti soggettivi e oggettivi necessari per svolgere il ruolo di attestatore, estendendo lo sguardo anche ad altri ambiti (piani di ristrutturazione soggetti a omologazione, transazioni fiscali, accordi di ristrutturazione) in cui è richiesta un’attestazione indipendente.
Il testo è rivolto ad avvocati, professionisti d’impresa, imprenditori e debitori, con linguaggio giuridico ma accessibile, per comprendere come nominare correttamente un attestatore e quali responsabilità tale professionista assume. Saranno esaminati i criteri di indipendenza e professionalità richiesti dalla legge, i profili di responsabilità civile e penale dell’attestatore, la giurisprudenza più rilevante fino al 2025, esempi pratici e simulazioni. Troverete inoltre tabelle riassuntive dei requisiti e delle responsabilità e una sezione finale di FAQ (domande frequenti) per chiarire i dubbi più comuni. In fondo, sono elencate tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate (Gazzetta Ufficiale, sentenze della Corte di Cassazione, dottrina), per un riferimento puntuale.
Importanza del ruolo – L’attestatore è un terzo indipendente che, con la sua relazione professionale, “certifica” il piano di risanamento. Senza un’attestazione valida, il piano non produce gli effetti protettivi previsti dalla legge (come l’esenzione da revocatorie fallimentari o da responsabilità per atti di gestione in crisi). Inoltre, nei procedimenti di concordato preventivo o omologazione di accordi, la presenza di un’attestazione completa e veritiera è spesso il presupposto per l’ammissibilità e l’omologazione della proposta. Ne consegue che la scelta dell’attestatore e il rispetto dei requisiti di legge sono fondamentali: un attestatore non indipendente o privo delle qualifiche richieste può invalidare l’intera operazione di risanamento o mettere a rischio chi vi fa affidamento.
Nei paragrafi seguenti esamineremo dapprima il contesto normativo del piano attestato di risanamento ex art. 56 CCI e in particolare i requisiti per essere attestatore di tale piano. Proseguiremo analizzando l’estensione delle attestazioni negli accordi di ristrutturazione, nelle transazioni fiscali e nei piani soggetti a omologazione (nuova figura introdotta nel Codice), evidenziando le differenze e analogie. Verranno poi approfondite le responsabilità – civili e penali – che gravano sull’attestatore, con richiamo alle pronunce giurisprudenziali più recenti (Cassazione 2023-2024, ecc.) di particolare rilevanza. Seguiranno esempi concreti e simulazioni per illustrare come opera in pratica un attestatore e quali conseguenze possono derivare da errori o inadempienze. Infine, utili tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte faciliteranno la comprensione sintetica e pratica dell’argomento.
Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCI): finalità e presupposti
Per contestualizzare il ruolo dell’attestatore, è utile comprendere cosa sia il piano attestato di risanamento disciplinato dall’art. 56 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Si tratta di uno strumento negoziale di regolazione della crisi, già noto nella previgente legge fallimentare (era previsto dall’art. 67, co. 3, lett. d) R.D. 267/1942), che ora trova definizione e disciplina autonoma nel CCI. Il piano attestato non è una procedura concorsuale giudiziaria, ma un accordo di natura privatistica rivolto al riequilibrio dell’impresa, i cui effetti giuridici principali consistono nel proteggere certi atti esecutivi del piano da eventuali azioni revocatorie e nel prevenire alcuni reati fallimentari, a condizione che il piano sia effettivamente idoneo al risanamento e sia “attestato” da un professionista indipendente.
Presupposti soggettivi (chi può accedere) – Il piano attestato di risanamento è utilizzabile dall’imprenditore (anche non commerciale, purché soggetto al CCI) che versi in uno stato di crisi o di insolvenza. In altri termini, possono predisporre un piano attestato gli imprenditori in difficoltà finanziaria, incluse le imprese “sotto soglia” (piccole imprese non fallibili secondo i parametri di legge) e – secondo l’interpretazione prevalente – solo gli imprenditori assoggettabili a liquidazione giudiziale (cioè fallibili). La prima bozza del Codice della crisi prevedeva espressamente anche l’imprenditore non commerciale, ma nel testo definitivo si parla solo di “imprenditore” generico; tuttavia, dottrina e prassi ritengono che resti aperta la possibilità per ogni debitore imprenditore in crisi di fare ricorso al piano attestato. È escluso invece l’accesso al piano attestato per i debitori civili non imprenditori (per i quali restano gli strumenti di sovraindebitamento) e per gli enti già insolventi soggetti a liquidazione coatta amministrativa.
Presupposti oggettivi (quando è utilizzabile) – Deve sussistere uno stato di crisi o di insolvenza reversibile dell’impresa. Il piano attestato è concepito per evitare il fallimento tramite il risanamento dell’esposizione debitoria e il riequilibrio finanziario dell’azienda. La crisi può consistere anche in insolvenza già conclamata, purché sia possibile delineare un’operazione che ripristini la continuità aziendale (il legislatore enfatizza che il piano mira al risanamento in ottica di continuità). In pratica, il piano non deve essere meramente liquidatorio: è uno strumento di ristrutturazione che punta alla continuità aziendale, eventualmente anche tramite la cessione dell’azienda a terzi (c.d. continuità indiretta) se ciò consente il risanamento. Il CCI non chiarisce espressamente se sia ammessa la continuità indiretta, ma dalla formulazione (“risanamento dell’impresa” in senso oggettivo) si ritiene di sì, potendo il piano prevedere anche il trasferimento dell’azienda a un nuovo soggetto che prosegua l’attività. L’importante è che il piano sia idoneo a rimuovere lo stato di crisi, ricostituendo l’equilibrio finanziario.
Contenuto del piano attestato – L’art. 56 CCI elenca un contenuto minimo obbligatorio del piano di risanamento, mutuando le “best practices” elaborate negli anni precedenti. In sintesi, il piano deve descrivere:
- La situazione economico-patrimoniale e finanziaria attuale dell’impresa, con indicazione delle cause della crisi;
- Le strategie e le azioni previste per il risanamento e i tempi necessari per riequilibrare la finanza;
- L’elenco dei creditori coinvolti con l’indicazione di quali crediti si intende ristrutturare (rinegoziazione) e lo stato delle trattative con essi, nonché l’elenco dei creditori “estranei” al piano e le risorse destinate al pagamento integrale di questi ultimi alle scadenze previste;
- Eventuali apporti di finanza nuova (nuovi finanziamenti, capitali freschi) a sostegno del risanamento;
- La tempistica delle azioni da compiere e gli strumenti di monitoraggio dell’esecuzione, inclusi gli strumenti correttivi da adottare in caso di scostamento rispetto agli obiettivi (clausole di salvaguardia);
- Il piano industriale e i suoi effetti sul piano finanziario (proiezioni di ricavi, costi, cash flow attesi a esito del risanamento).
Inoltre, il piano deve essere munito di data certa (ad es. tramite apposizione di marca temporale digitale, registrazione presso un notaio o altro mezzo idoneo). Ciò perché la data certa garantisce che gli atti compiuti in esecuzione del piano siano successivi alla formazione del piano stesso – requisito fondamentale affinché tali atti siano protetti dall’azione revocatoria in caso di successivo fallimento. La data certa serve a prevenire abusi (es. predisporre un piano ex post per “coprire” atti già compiuti in precedenza): se il piano non avesse data certa, in un’eventuale procedura fallimentare l’eccezione di esenzione da revocatoria potrebbe essere respinta e gli atti annullati.
Effetti giuridici – Un piano attestato eseguito correttamente comporta importanti benefici legali: (a) gli atti e pagamenti effettuati in esecuzione del piano non sono soggetti a revocatoria ordinaria, salvo dolo o colpa grave del debitore o dell’attestatore noti al creditore; (b) è esclusa la punibilità per bancarotta semplice o preferenziale di tali atti, sempreché funzionali al piano (restano invece ovviamente punibili eventuali condotte distrattive o fraudolente). Queste protezioni decadono se l’operazione di risanamento è viziata da frode o negligenza grave: la legge esclude l’esenzione in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore e/o del debitore, a condizione che il creditore che ha ricevuto l’atto o pagamento ne fosse a conoscenza al momento. In pratica, un creditore colluso con un piano dolosamente falso non potrà invocare la protezione; viceversa, il creditore in buona fede che ha aderito al piano rimane tutelato anche se a posteriori emergono irregolarità gravi. Tale previsione rafforza l’affidamento nelle operazioni di risanamento, ma al contempo ammonisce l’attestatore sulle possibili conseguenze penali e civili in caso di false attestazioni (tema che approfondiremo più avanti).
Delineato il quadro del piano attestato, possiamo ora concentrare l’attenzione sui requisiti per essere un attestatore di tale piano, distinguendo tra i requisiti soggettivi (qualifiche professionali, iscrizioni, ecc.) e quelli oggettivi (condizioni di indipendenza e assenza di conflitti) previsti dalla normativa.
Requisiti soggettivi dell’attestatore (qualifiche professionali)
La figura del “professionista indipendente” attestatore è definita dal Codice della crisi all’art. 2, comma 1, lett. o). Tale disposizione stabilisce chi può ricoprire il ruolo di attestatore in uno strumento di regolazione della crisi (piano attestato, accordo di ristrutturazione, concordato, ecc.). In base alla norma, l’attestatore deve soddisfare congiuntamente i seguenti requisiti soggettivi (professionali):
- Iscrizione all’albo dei “gestori della crisi e dell’insolvenza” presso il Ministero della Giustizia, nonché iscrizione nel registro dei revisori legali dei conti. Questo significa che l’attestatore dev’essere un professionista che, oltre ad aver superato l’esame da revisore contabile (avendo quindi competenze in materia contabile e bilanci), sia anche iscritto nell’elenco degli esperti della crisi d’impresa. Tale elenco (istituito dall’art. 356 CCI) raccoglie figure qualificate – tipicamente dottori commercialisti, avvocati o consulenti esperti in materia concorsuale – abilitate a svolgere incarichi nelle procedure di crisi. In sostanza, l’attestatore deve avere competenze multidisciplinari: capacità di analisi aziendale/contabile e conoscenze nel diritto fallimentare, comprovate da specifiche abilitazioni professionali.
- Possesso dei requisiti di indipendenza previsti dall’art. 2399 c.c.. L’art. 2399 del codice civile indica le cause di ineleggibilità e decadenza dei sindaci (revisori) nelle società di capitali, principalmente per ragioni di conflitto di interessi. Richiamando tali requisiti, la legge impone che l’attestatore goda di piena onorabilità e neutralità rispetto al debitore. In concreto, l’attestatore non può essere legato da rapporti di parentela, coniugio o affinità entro il 4° grado con l’imprenditore (o con chi lo controlla o ne è controllato), non deve essere in situazioni di incompatibilità (es. socio, dipendente o creditore significativo dell’impresa) analoghe a quelle che la legge prevede per i sindaci delle società. Questa previsione generalizza le garanzie di terzietà: l’attestatore deve avere un profilo specchiato, tale da garantire indipendenza di giudizio (concetto che approfondiremo nei requisiti oggettivi di indipendenza).
- Iscrizione ad un ordine professionale competente e adeguata esperienza: sebbene non esplicitato testualmente oltre ai registri sopra detti, è implicito che l’attestatore sia un professionista qualificato, appartenente a categorie abilitate. Nella prassi italiana, la stragrande maggioranza degli attestatori sono Dottori Commercialisti (spesso anche Revisori Legali) specializzati in crisi d’impresa. Anche avvocati o consulenti possono teoricamente svolgere il ruolo, purché iscritti al registro dei revisori e all’elenco dei gestori della crisi (requisito non comune per un avvocato puro). Di solito, per entrare nell’elenco ministeriale occorre aver maturato specifiche esperienze o formazione nelle procedure concorsuali, assicurando così che l’attestatore sia un soggetto esperto di ristrutturazioni aziendali.
Va sottolineato che la legge parla di “un professionista indipendente”, al singolare, ma ciò non esclude la collegialità: nulla vieta che l’incarico sia affidato a più professionisti in team, ad esempio un commercialista e un avvocato che redigano congiuntamente la relazione, specie in operazioni molto complesse. L’importante è che tutti i membri del team soddisfino i requisiti di legge e che nella relazione risulti chiaramente chi attesta cosa. Spesso, anche quando opera un team multidisciplinare, uno dei professionisti viene designato come attestatore principale firmatario della relazione, assumendo in solido la responsabilità.
Dal punto di vista formale, il CCI assegna all’imprenditore debitore la facoltà di nominare l’attestatore di sua fiducia. È dunque il debitore che sceglie e incarica il professionista, tipicamente con un contratto d’opera intellettuale (l’attestatore agirà come consulente esterno). Ciò rende ancora più stringenti le garanzie di indipendenza: malgrado la scelta fiduciaria da parte del debitore, l’attestatore deve mantenere obiettività e terzietà nei confronti dello stesso, perché la sua relazione è destinata ai creditori e al mercato (e, in procedure concorsuali, anche al giudice).
In sintesi, per essere attestatore occorre: essere un professionista iscritto negli albi previsti (gestori crisi e revisori legali), avere requisiti di onorabilità e assenza di conflitti ex art. 2399 c.c., e possedere competenze professionali adeguate in materia aziendale e concorsuale. Questi requisiti soggettivi garantiscono che l’attestatore sia una figura qualificata e affidabile, in grado di svolgere con perizia il delicato compito di valutare un piano di risanamento.
Di seguito approfondiremo proprio i requisiti oggettivi di indipendenza e assenza di rapporti con il debitore, che rappresentano la dimensione complementare (e cruciale) per poter svolgere legittimamente l’incarico di attestatore.
Requisiti oggettivi di indipendenza e assenza di conflitti
Oltre alle qualifiche soggettive, la legge richiede che l’attestatore sia terzo e indipendente rispetto all’impresa e all’operazione di risanamento da attestare. L’indipendenza non è lasciata al mero senso etico, ma è definita da precisi requisiti oggettivi elencati nell’art. 2, comma 1, lett. o) n. 3 CCI. In base a tale norma, non può assumere l’incarico di attestatore chiunque sia legato all’impresa debitrice (o ad altre parti interessate nell’operazione) da rapporti personali o professionali tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio. In particolare, il professionista (e gli eventuali associati dello studio a cui appartiene) non devono aver prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, né essere stati membri degli organi di amministrazione o controllo dell’impresa, né aver posseduto partecipazioni nella medesima. Queste condizioni oggettive possono essere scomposte come segue:
- Assenza di incarichi professionali per il debitore negli ultimi 5 anni: l’attestatore (o il suo studio professionale) non deve aver svolto alcuna consulenza, lavoro, prestazione d’opera retribuita per l’impresa negli ultimi cinque anni prima del conferimento dell’incarico di attestazione. Ad esempio, un commercialista che abbia anche solo una volta prestato attività di consulenza fiscale alla società debitrice negli ultimi anni non potrà essere indipendente. La ratio è chiara: evitare che chi attesta abbia conflitti di interesse o “condizionamenti” dovuti a rapporti economici recenti con l’azienda. La giurisprudenza ha interpretato questo requisito in modo rigoroso e onnicomprensivo: qualsiasi rapporto professionale, anche occasionale, avvenuto nel quinquennio precedente, compromette l’indipendenza. Per la Corte di Cassazione, non conta che l’attività pregressa fosse di breve durata o isolata (una tantum): anche un singolo incarico passato (es. una perizia giurata fatta due anni prima per la stessa azienda) fa scattare la presunzione di non indipendenza. Ciò è stato affermato di recente dalla Cassazione (ord. n. 20059/2024) cassando una decisione di merito che invece riteneva irrilevante un incarico una tantum svolto dall’attestatore in passato. Il principio è dunque molto stringente: nessun rapporto economico recente col debitore.
- Nessun ruolo negli organi sociali negli ultimi 5 anni: l’attestatore non deve aver rivestito cariche di amministratore, direttore, sindaco o altro organo di controllo nell’impresa negli ultimi cinque anni. Ad esempio, un ex consigliere di amministrazione o un ex membro del collegio sindacale dell’azienda (anche se cessato da qualche anno) non può attestare il piano. Questo per evitare sia possibili corresponsabilità nella gestione che ha condotto alla crisi, sia evidenti condizionamenti affettivi o di colleganza. L’indipendenza impone un distacco totale dall’amministrazione dell’impresa.
- Nessuna partecipazione azionaria o quota di capitale dell’impresa: né l’attestatore né suoi soci di studio devono essere stati titolari di partecipazioni nella società debitrice negli ultimi 5 anni. Ciò impedisce che l’attestatore abbia un interesse patrimoniale diretto nel destino dell’azienda (anche se la partecipazione fosse minima). Per analogia, sarebbe da escludere anche chi avesse partecipazioni in società controllanti o controllate dal debitore, o in creditori principali, in quanto parti interessate all’operazione.
- Assenza di rapporti personali rilevanti: oltre ai casi tipizzati sopra, la norma generale parla di rapporti di natura personale o professionale tali da compromettere l’indipendenza. Qui rientrano situazioni più ampie: ad esempio, una parentela o affinità stretta con l’imprenditore (anche se non rilevante ex 2399 c.c., che copre fino al 4° grado, ma magari un cugino di 5° grado in teoria non rientrerebbe in 2399, tuttavia potrebbe essere considerato un rapporto personale significativo), oppure un rapporto di associazione stabile (es. essere soci in altre società insieme al debitore o a un suo socio). In generale, ogni circostanza che possa mettere in dubbio la terzietà dell’attestatore va valutata con estrema cautela. La legge demanda al professionista il dovere deontologico di astenersi dall’assumere l’incarico se c’è anche solo il dubbio di mancanza di indipendenza. Come regola prudenziale, qualunque legame che possa minare l’imparzialità dovrebbe portare a rinunciare all’incarico di attestatore.
Dichiarazione di indipendenza – In pratica, all’atto di accettazione dell’incarico, l’attestatore fornisce al debitore una dichiarazione esplicita circa il possesso di tutti i requisiti sopra elencati e l’assenza di cause di incompatibilità. È buona prassi che tale dichiarazione sia poi riportata nella relazione di attestazione, così che i creditori possano prenderne atto. I Principi di attestazione dei piani di risanamento emanati dal CNDCEC (Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) nel 2022 raccomandano proprio che l’attestatore, nella propria relazione, attesti egli stesso la propria indipendenza e l’assenza di rapporti pregressi col debitore, elencando eventuali circostanze pregresse valutate non pregiudizievoli. Questo aggiunge trasparenza al processo e aumenta la fiducia dei destinatari del piano.
Conseguenze della violazione – Se un professionista non possiede i requisiti eppure rende un’attestazione, le conseguenze possono essere molto serie. In sede civile, l’attestazione resa da soggetto non indipendente può essere considerata nulla o inutilizzabile: ad esempio, in un concordato preventivo, la scoperta che l’attestatore non era indipendente comporta l’inammissibilità o la revoca dell’ammissione alla procedura. Nei piani attestati di risanamento (che non passano al vaglio del giudice), un attestatore incompatibile espone il piano a rischi di inefficacia: gli atti compiuti potrebbero non essere riconosciuti come esimenti da revocatoria, vanificando la protezione prevista dall’art. 56 CCI. Senza contare il profilo disciplinare: un professionista che attesta senza avere i requisiti viola norme deontologiche e può essere sanzionato dal suo Ordine professionale. Inoltre, un’attestazione infedele sulle proprie relazioni col debitore potrebbe integrare ipotesi di falso o di responsabilità contrattuale verso il committente.
In sintesi, i requisiti oggettivi di indipendenza sono tanto importanti quanto quelli professionali: l’attestatore deve essere esterno, imparziale e senza legami con il debitore, così da poter giudicare con obiettività il piano. Questo garantisce che la sua relazione sia credibile per i creditori e per eventuali organi giudiziari coinvolti. La Cassazione ha più volte ribadito la centralità dell’indipendenza: “[…] il professionista designato […] non è in possesso dei requisiti di indipendenza allorché abbia intrattenuto con il debitore un qualsivoglia rapporto […] nel quinquennio antecedente”. Pertanto, l’indipendenza va intesa in senso sostanziale e temporale ampio, a tutela della genuinità dell’attestazione.
Nomina, funzione e attività dell’attestatore nel piano di risanamento
Nomina dell’attestatore – Come accennato, l’attestatore è nominato direttamente dal debitore che intende predisporre il piano di risanamento. Non vi è un albo speciale da cui “pescare” l’attestatore (se non l’elenco ministeriale generico di cui deve fare parte); di solito, l’imprenditore si rivolge a professionisti di fiducia con esperienza in piani di ristrutturazione. È comunque importante che la nomina sia formalizzata con lettera d’incarico, in cui il professionista dichiara di accettare l’incarico dopo aver verificato di possedere i requisiti richiesti. L’incarico è conferito per iscritto, indicando l’oggetto (redazione della relazione ex art. 56 CCI) e il compenso concordato. Il compenso dell’attestatore è a carico del debitore e dev’essere tale da non comprometterne l’indipendenza (ad esempio, evitare accordi di success fee legati all’esito del piano, che potrebbero minare l’obiettività). In pratica, si predilige un compenso fisso pattuito, eventualmente modulato in base all’impegno, ma non condizionato al successo del risanamento.
Funzione dell’attestatore – L’attestatore svolge un ruolo di “certificatore” imparziale del piano di risanamento. L’art. 56 CCI, comma 3, prescrive che “il piano deve essere accompagnato da un’attestazione di un professionista indipendente […] sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità economica del piano”. Due sono dunque gli aspetti principali oggetto di attestazione: (1) la veridicità dei dati e (2) la fattibilità (economica) del piano. Vediamoli nel dettaglio:
- Veridicità dei dati aziendali: l’attestatore deve verificare che i dati contabili, finanziari e patrimoniali forniti dall’impresa nel piano e nei suoi allegati siano esatti, attendibili e completi. Non si tratta di un semplice riscontro formale: l’attestatore effettua un vero e proprio check-up dell’azienda, controllando che i numeri dichiarati (ad es. debiti verso banche, crediti verso clienti, valore delle scorte, ecc.) corrispondano alle risultanze della contabilità e della documentazione ufficiale. Deve accertare la reale sussistenza degli elementi attivi e passivi dichiarati, spiegando nel rapporto il metodo con cui ha svolto tali verifiche. In pratica, l’attestatore svolge procedure di tipo due diligence: esamina bilanci, libri contabili, situazione di cassa, contratti in essere, elenchi dei creditori, ecc., e si accerta che non vi siano buchi o dati falsati. Questo compito assomiglia a quello di un revisore, con la differenza che l’attestatore lavora su un’azienda spesso già in sofferenza, dunque deve essere ancora più vigile nel cogliere eventuali anomalie (crediti dubbi, sopravvalutazione di attivi, passività potenziali non contabilizzate, ecc.). Ad esempio, se l’imprenditore ha in corso un contenzioso giudiziario che potrebbe generare un debito, l’attestatore deve segnalare anche questa informazione potenzialmente rilevante ai fini di una rappresentazione veritiera. La Cassazione ha chiarito che l’attestazione di veridicità non è attività meramente formale ma finalizzata a dare ai creditori un quadro chiaro e completo dell’azienda, includendo anche gli eventi pre-concorsuali che abbiano inciso sul patrimonio. In un caso del 2023, ad esempio, la Cassazione ha ritenuto responsabile un attestatore che non aveva menzionato nella relazione consistenti prelievi di denaro effettuati dall’imprenditore prima del concordato, a fronte di crediti fittizi in bilancio – omissione che aveva impedito ai creditori di capire la reale situazione. Principio chiave: l’attestatore deve fornire tutte le informazioni anche solo potenzialmente rilevanti per i creditori, senza ometterle pensando che “tanto non siano recuperabili”. Il suo compito è di certificare la verità dei dati, non di garantire l’esito (per questo, in sede penale, oggi si punisce il falso sui dati ma non una valutazione errata sulla fattibilità – v. infra responsabilità penale).
- Fattibilità economica del piano: l’attestatore deve esprimere un giudizio professionale sulla realizzabilità concreta del piano di risanamento, ossia sulla sua idoneità a raggiungere gli obiettivi di risanamento prefissati. Ciò implica un’analisi della sostenibilità finanziaria del piano e delle sue assunzioni industriali. In parole semplici, l’attestatore deve valutare se, alla luce dei dati e delle misure previste (ristrutturazione del debito, aumento di capitale, taglio costi, ecc.), sia ragionevole prevedere il ritorno in bonis dell’impresa nel tempo stimato. Questa valutazione è prospettica e tecnica: l’attestatore esamina il business plan del risanamento, ne verifica la coerenza interna e con i trend di mercato, valuta i flussi di cassa previsti, la capacità di rimborso dei debiti ristrutturati, la validità delle assunzioni (ad es. tassi di crescita dei ricavi, margini attesi, ecc.). Secondo autorevole dottrina, l’attestazione di fattibilità richiede un “giudizio tecnico sulla gestione prospettica dell’impresa”, considerando tutti gli aspetti finanziari e operativi: valore degli asset da dismettere, cash flow della gestione corrente, fabbisogno di circolante, struttura organizzativa, scenari di mercato, ecc.. L’attestatore deve evidenziare i profili di discontinuità rispetto alla situazione passata (cosa cambia col piano) e spiegare le “idee” alla base del piano che lo renderebbero fattibile. In passato si dibatteva sulla distinzione tra fattibilità economica e fattibilità giuridica del piano: il CCI originario includeva entrambe, poi il correttivo 2020 ha eliminato il riferimento esplicito alla fattibilità giuridica per il piano attestato. Ciò non significa che l’attestatore possa ignorare profili legali (deve segnalare se il piano prevede qualcosa di contrario a norme inderogabili), ma formalmente oggi si richiede l’attestazione della fattibilità economica. La giurisprudenza, tuttavia, ha affermato che anche per i piani attestati vale l’obbligo di valutarne la fattibilità “giuridica” in termini di non contrarietà a norme imperative e di non manifesta inattuabilità. La Corte di Cassazione ha infatti esteso ai piani attestati il principio sviluppato per il concordato: la fattibilità si compone di una dimensione giuridica (rispetto delle norme, es. non prevedere cose impossibili o illegali) e di una economica (nessuna manifesta irrealizzabilità negli obiettivi). Quindi l’attestatore, anche se il CCI non lo esplicita, deve segnalare eventuali criticità legali del piano (ad es. se prevede pagamenti contrari alla par condicio creditorum senza base normativa, ecc.) e dichiarare se il piano è attuabile sia giuridicamente sia economicamente.
Metodologia di lavoro – L’attività dell’attestatore è complessa e richiede tempo e rigore. In pratica, egli intraprende una serie di passi, tra cui: incontri con il management dell’impresa per comprendere la crisi e le strategie; analisi dei bilanci storici e situazione patrimoniale; verifica delle posizioni debitorie (banche, fornitori, fisco, ecc.) e creditorie; valutazione degli asset dell’impresa (immobili, partecipazioni, magazzino) anche con supporto di perizie se necessario; esame del piano industriale pluriennale, stress test su ipotesi (ad es. simulare scenari pessimistici per vedere se il piano regge); verifica del piano finanziario (fonti e impieghi, cash flow trimestrali, assumptions su vendite, costi, margini); valutazione delle linee di credito previste e di eventuali nuovi apporti finanziari; controllo della coerenza tra piano industriale e piano finanziario (ad es. se prevede crescita del fatturato, verifica che ci siano investimenti o capacità produttiva adeguata, ecc.). Al termine di questo lavoro, l’attestatore redige la relazione di attestazione, un documento generalmente corposo in cui espone: una prima parte con la propria qualifica e dichiarazione di indipendenza; il perimetro del lavoro svolto (documenti esaminati, limitazioni incontrate, eventuali esperti ausiliari consultati); l’analisi della veridicità dei dati storici (esponendo eventuali rettifiche fatte ai valori forniti dall’azienda se li ha trovati inesatti); l’analisi di fattibilità con evidenza di punti di forza e di incertezza del piano; le conclusioni con il giudizio finale. Il giudizio spesso viene formulato con espressioni come “a parere di chi scrive, il piano presenta concrete prospettive di successo ed è idoneo a consentire il risanamento dell’impresa, sempreché si realizzino le assunzioni in esso contemplate”. In altri termini, l’attestatore non garantisce il successo al 100% (nessuno può prevedere il futuro con certezza), ma certifica che il piano è realistico e ragionevole, non basato su dati falsi o su assunti palesemente irrealizzabili.
Deposito e pubblicazione (se applicabile) – Il piano attestato di per sé non richiede omologazione giudiziaria, ma l’imprenditore può scegliere di pubblicarlo nel Registro delle Imprese (art. 56, co. 2 CCI) per dargli data certa e pubblicità verso i terzi. In tal caso si depositeranno presso il Registro sia il piano sia la relazione dell’attestatore. La pubblicazione non è obbligatoria (a differenza degli accordi di ristrutturazione, che vanno omologati e pubblicati), ma è fortemente consigliata per le ragioni di certezza già viste. Anche senza pubblicazione, comunque, gli effetti esimenti del piano operano (purché il piano abbia data certa autenticata). In un’eventuale procedura fallimentare successiva, gli organi concorsuali potranno sindacare la genuinità del piano e dell’attestazione solo in caso di dolo o colpa grave (non per semplici errori di valutazione).
Riassumendo, l’attestatore in un piano di risanamento agisce come un controllore e garante per i creditori: deve accertare che l’impresa non nasconda scheletri nell’armadio e che la strategia di risanamento abbia un fondamento serio. Il suo lavoro, se ben svolto, fornisce ai creditori (e al mercato) un elemento di fiducia sulla credibilità del piano. Se mal svolto, può ingannare i creditori o l’autorità giudiziaria e perciò è sanzionato severamente (come vedremo nella parte sulle responsabilità).
Durata dell’incarico – L’attestatore di norma esaurisce il suo compito con la consegna della relazione. Non ha compiti esecutivi nel piano, né di monitoraggio successivo (salvo diverso accordo come consulente). In alcuni casi, però, può essere poi coinvolto come esperto attestatore in eventuali estensioni del piano (ad esempio se il piano viene usato come base di un successivo accordo di ristrutturazione formale o concordato, la relazione potrebbe essere riutilizzata o aggiornata). Terminato il lavoro, l’attestatore conserva ovviamente i documenti e le evidenze delle verifiche compiute (working papers), in previsione di possibili controlli futuri.
Passiamo adesso a vedere come le attestazioni si estendono anche in altri ambiti oltre ai piani ex art. 56 CCI, in particolare negli accordi di ristrutturazione dei debiti, nelle transazioni fiscali e nei nuovi piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (art. 64-bis CCI). Questi strumenti presentano peculiarità, ma la figura dell’attestatore mantiene un ruolo chiave, con requisiti per lo più analoghi.
Attestazioni negli accordi di ristrutturazione, transazioni fiscali e altri strumenti
L’attestazione del professionista indipendente non è richiesta solo nei piani attestati di risanamento, ma in pressoché tutti gli strumenti di regolazione negoziale della crisi previsti dal CCI. Di seguito esaminiamo i principali contesti “altri” in cui il legislatore prevede una relazione di attestazione e le relative caratteristiche:
Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCI)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) sono accordi formalizzati con (almeno) una parte qualificata dei creditori, disciplinati dall’art. 57 CCI (riprendendo l’istituto dell’art. 182-bis l. fall.). Si tratta di un compromesso tra il debitore e i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali (soglia minima di adesione), che viene sottoposto all’omologazione del tribunale. A differenza del piano attestato (che può coinvolgere anche singoli creditori e non richiede percentuali di adesione), l’ADR è un accordo collettivo con efficacia vincolante per i creditori aderenti dopo l’omologazione giudiziale.
Ebbene, anche negli accordi di ristrutturazione la legge impone la relazione di un attestatore indipendente. In particolare, all’atto del deposito della domanda di omologazione, il debitore deve allegare una relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità dell’accordo di ristrutturazione proposto. Questa attestazione è del tutto analoga, per requisiti del soggetto e contenuto, a quella esaminata per il piano attestato: l’attestatore deve essere indipendente ex art. 2 lett. o) CCI e deve verificare dati e sostenibilità del piano di ristrutturazione sottostante all’accordo.
C’è però una peculiarità negli ADR: oltre a veridicità e fattibilità, il professionista deve attestare la “convenienza” dell’accordo per i creditori non aderenti. In base alla legge (già dal vecchio art. 182-bis l.f. e ora confermato nel CCI), l’accordo di ristrutturazione per poter essere omologato deve assicurare che i creditori estranei (quelli che non hanno firmato l’accordo) vengano pagati per intero entro 120 giorni dall’omologazione (se già scaduti) o 120 giorni dalla scadenza (se non ancora scaduti), oppure, in alternativa, che non ricevano un trattamento deteriore rispetto a un’ipotetica liquidazione fallimentare. Compito dell’attestatore è verificare che questa condizione sia rispettata, attestando che “i creditori estranei non riceveranno meno di quanto avrebbero diritto di ottenere in caso di liquidazione giudiziale”. Questo è un concetto di convenienza comparativa: l’attestatore confronta il piano di pagamento proposto per i non aderenti con l’esito di un fallimento simulato, e deve dichiarare che il primo è almeno pari o migliore del secondo. Se, ad esempio, un creditore chirografario estraneo verrebbe pagato al 40% nell’accordo, l’attestatore deve verificare che in caso di fallimento quel creditore non prenderebbe più del 40% (magari stimando che in fallimento avrebbe 20%). Questa attestazione di convenienza è fondamentale per tutelare i dissenzienti e costituisce elemento di valutazione per il giudice in sede di omologazione.
Va aggiunto che, a seguito della Direttiva UE 2019/1023 e del secondo correttivo al CCI (D.Lgs. 83/2022), l’istituto degli accordi di ristrutturazione si è arricchito di varianti, tra cui: gli accordi ad efficacia estesa (dove l’accordo con certe categorie di creditori finanziari può essere esteso anche ai dissenzienti di quella categoria, se approvato da una maggioranza qualificata), e gli accordi agevolati (con percentuali di consenso ridotte al 30% in certi casi). In tutte queste ipotesi, resta cruciale la relazione dell’attestatore, chiamato semmai a valutazioni aggiuntive sulla fattibilità dell’accordo modificato o sulle condizioni di cram-down verso i dissenzienti. Ad esempio, nell’accordo ad efficacia estesa verso le banche, l’attestatore dovrà attestare che le banche non aderenti ricevono un trattamento non inferiore a quello dei bancari aderenti e che l’accordo è sostenibile.
In definitiva, nel contesto degli ADR l’attestatore funge da “notaio economico” dell’accordo: la sua relazione dà credibilità al piano su cui l’accordo si basa e assicura al tribunale che i creditori non firmatari non saranno pregiudicati. Senza un’attestazione positiva, l’accordo non può essere omologato. I requisiti del professionista e le sue responsabilità rimangono quelle generali già viste (indipendenza rigorosa, veridicità, ecc.), con l’aggiunta del controllo di convenienza e rispetto delle condizioni di legge per i creditori estranei.
Transazione fiscale e accordi su crediti tributari/contributivi (art. 63 CCI)
Un ambito specifico in cui l’attestazione è richiesta, e con contenuti peculiari, è quello della transazione fiscale e contributiva. La transazione fiscale è l’accordo di ristrutturazione dei debiti tributari (verso Agenzia delle Entrate) e contributivi (verso INPS e altri enti previdenziali), tipicamente inserito all’interno di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione più ampio. L’art. 63 CCI disciplina in modo unitario la “Transazione fiscale e accordi su crediti tributari e contributivi”, recependo una importante novità: la possibilità del cram-down fiscale, ossia l’omologazione forzata della transazione anche senza il voto favorevole degli enti fiscali, a certe condizioni.
Il ruolo dell’attestatore in questo contesto è determinante. Quando un imprenditore in crisi propone un piano che prevede il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari/contributivi, deve allegare alla proposta di transazione una relazione di un professionista indipendente che attesti: (a) la veridicità dei dati aziendali (come sempre) e (b) la “non detriorità” del trattamento offerto al Fisco rispetto all’alternativa liquidatoria. In altri termini, l’attestatore deve certificare che la quota di soddisfacimento proposta per Erario/Enti è almeno pari a quella che tali crediti otterrebbero in un fallimento (o liquidazione giudiziale) del debitore. Questo requisito è analogo a quanto visto per i creditori estranei negli ADR, ma qui è focalizzato sui crediti pubblici.
La ragione è chiara: tradizionalmente la normativa italiana subordinava la falcidiabilità dei crediti fiscali al loro consenso; ora invece, in ossequio anche alla Direttiva comunitaria, si può omologare il piano anche senza l’ok del Fisco, purché sia dimostrato che il Fisco non ci perde rispetto al fallimento. E tale dimostrazione è affidata all’attestatore. Quindi la sua relazione deve contenere una sorta di perizia di convenienza per l’Erario: valutare, anche con l’ausilio di perizie estimative, quanto ricaverebbero Agenzia Entrate e INPS dalla liquidazione dei beni del debitore e confrontarlo con quanto promette il piano (es: il piano offre il 30% sui debiti tributari chirografari; l’attestatore calcola che in caso di fallimento l’Erario prenderebbe solo il 10% dal realizzo attivo; allora può attestare che la proposta è vantaggiosa). Senza questa attestazione positiva, il tribunale non potrà approvare la transazione contro il parere dell’ente.
Va evidenziato che anche se l’Erario (o gli enti previdenziali) aderiscono alla proposta, la legge comunque richiede l’attestazione dell’indipendente sul rispetto dei presupposti. Inoltre, l’art. 63 CCI ha stabilito che non è ammissibile una nuova transazione fiscale se il debitore ne ha già fatta un’altra omologata nei 5 anni precedenti poi non rispettata. Questo per evitare abusi di reiterazione.
Dal punto di vista della responsabilità dell’attestatore, la transazione fiscale è un territorio sensibile: proprio qui il legislatore ha voluto estendere la punibilità penale delle false attestazioni. L’art. 342 CCI (reato di falso in attestazioni, v. infra) menziona espressamente che rientra nel reato anche la falsità nelle attestazioni relative ai crediti tributari e contributivi oggetto di transazione fiscale. Ciò significa che, ad esempio, se un attestatore omette di dichiarare che nella liquidazione fallimentare certi beni avrebbero coperto interamente l’IVA e attesta invece una perdita per l’Erario per giustificare uno stralcio indebito, potrà risponderne penalmente.
In sintesi, l’attestatore nella transazione fiscale deve avere un duplice cappello: quello del certificatore aziendale (verifica dati, fattibilità generale del piano) e quello del perito estimatore per conto della “classe” Fisco, valutando la convenienza comparativa. Questa funzione è delicatissima perché incide sulle finanze pubbliche e richiede rigore e trasparenza. Spesso l’attestatore dovrà interfacciarsi anche con i funzionari dell’Agenzia delle Entrate, fornendo loro chiarimenti e calcoli a supporto della sua conclusione, dato che le Linee Guida dell’AdE sulla transazione fiscale (Circolari e Protocolli) esigono un puntuale confronto tra scenario concordatario e fallimentare.
Concordato preventivo
Anche se la domanda dell’utente non lo menziona esplicitamente, è doveroso considerare il contesto del concordato preventivo, in cui il ruolo dell’attestatore è nato e rimane centrale. Il concordato preventivo, procedura concorsuale regolata dal CCI (artt. 84 e ss., corrispondenti agli artt. 160 e ss. l.f. previgente), richiede obbligatoriamente la relazione di un professionista indipendente che attesti veridicità dei dati e fattibilità del piano concordatario. Questo obbligo esiste sin dalla riforma del 2005 e prosegue nel nuovo Codice.
La figura dell’attestatore nel concordato ha le stesse caratteristiche di indipendenza e professionalità già trattate (il CCI richiama i requisiti art. 2, co.1, lett. o) anche qui). L’attestatore in un concordato analizza la proposta di soddisfacimento dei creditori, verifica i dati aziendali (che nel concordato includono l’elenco dettagliato dei creditori e le cause di prelazione, lo stato patrimoniale, ecc.) e giudica la fattibilità del piano, sia esso in continuità (azienda che prosegue) o liquidatorio (cessione beni). La giurisprudenza sul concordato ha prodotto principi fondamentali sul ruolo dell’attestatore: ad esempio, le Sezioni Unite della Cassazione nel 2013 (sent. n. 1521/2013) hanno stabilito che il giudice non è vincolato dal giudizio di fattibilità dell’attestatore, potendo non ammettere un concordato se ritiene manifestamente inattuabile il piano, pur se l’attestatore lo ha giudicato fattibile. Questo per dire che la relazione dell’attestatore è condizione necessaria ma non sufficiente: non “copre” piani assurdi. Tuttavia, il giudice non può entrare nel merito di valutazioni discrezionali di convenienza: se il piano non è manifestamente irrealistico, l’attestazione positiva orienta verso l’ammissione.
Quanto a indipendenza, proprio in ambito concordato vi sono state molte pronunce: la Cassazione ha chiarito, da ultimo con l’ord. 20059/2024 citata, che un attestatore non è indipendente se ha avuto qualsiasi rapporto professionale col debitore nei 5 anni precedenti, cassando decisioni di merito più lassiste. La stessa conclusione vale ovviamente per ADR e piani attestati, ma storicamente le contestazioni sono emerse soprattutto in concordati (es. casi in cui l’attestatore aveva fatto il consulente dell’azienda poco prima). Dunque i principi giurisprudenziali che abbiamo illustrato (quinquennio “pulito” e tolleranza zero sui conflitti) nascono in quest’ambito e permeano tutti gli strumenti.
Nel concordato in continuità aziendale, inoltre, l’attestatore deve attestare anche la idoneità del piano a garantire il pagamento dei creditori con privilegio generale entro determinati termini (attualmente 120 giorni dall’omologazione per i privilegiati ex art. 2751-bis n.1 c.c., e 180 giorni per gli altri privilegiati, salvo eccezioni). Questo perché la legge impone certe cautele per i creditori privilegiati non integralmente soddisfatti. Anche questa verifica rientra tipicamente nella relazione.
Per concludere su questo punto: il linguaggio e i requisiti dell’attestatore nel concordato sono sostanzialmente identici a quelli descritti per il piano attestato ex art. 56. L’attestatore è anzi nato come figura nel concordato e poi “esportato” negli strumenti stragiudiziali. Tutte le cautele e responsabilità che vedremo si applicano egualmente. La prassi ha anche visto casi clamorosi di attestazioni false in concordati, con procedimenti penali di rilievo, evidenziando come questo ruolo sia decisivo.
Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (art. 64-bis CCI)
Un’ulteriore fattispecie, introdotta con il D.Lgs. 83/2022 (secondo correttivo al Codice) per recepire la Direttiva UE, è il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (disciplinato dagli artt. 64-bis e 64-ter CCI). Si tratta di uno strumento ibrido, a metà tra un accordo negoziale e un concordato: in pratica, un piano di ristrutturazione proposto dall’imprenditore, con suddivisione dei creditori in classi, che viene sottoposto direttamente all’omologazione del tribunale. La caratteristica peculiare è che, se tutte le classi votano a favore, il piano viene omologato e vincola tutti i creditori (anche dissenzienti in minoranza nella classe); se invece c’è opposizione di classi, il tribunale può comunque omologare valutando la convenienza per i dissenzienti (in base al best interest test). È quindi una sorta di concordato semplificato, che consente anche il cram-down interclassi, destinato a situazioni dove non si raggiungono le maggioranze richieste per un accordo tradizionale.
Anche in questo piano soggetto a omologazione la legge prevede espressamente l’intervento di un attestatore. L’art. 64-bis, comma 3, CCI recita: “Un professionista indipendente attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.”. Dunque, medesimo perimetro di attestazione: dati veritieri e fattibilità (economica) del piano di ristrutturazione presentato. I requisiti del professionista sono sempre quelli dell’art. 2, co.1, lett. o) CCI. Inoltre, se il piano soggetto a omologazione prevede anch’esso il trattamento dei debiti fiscali con falcidia o dilazione, trova applicazione l’art. 63: infatti l’art. 64-bis, co. 1-bis, richiama la necessità della relazione dell’attestatore sul pagamento parziale di tributi, con attestazione del trattamento non deteriore per il Fisco (analogo a quanto visto per la transazione fiscale).
In pratica, il ruolo dell’attestatore nel piano di ristrutturazione omologato è molto simile a quello nel concordato preventivo con classi. Egli dovrà valutare la formazione delle classi di creditori, la bontà del piano industriale e finanziario e la conformità alle regole (ad esempio, la legge prevede che i lavoratori privilegiati vadano pagati entro 30 giorni dall’omologazione in ogni caso – l’attestatore verificherà che il piano lo rispetti). Inoltre, se un creditore opponente lamenta un difetto di convenienza (cioè che prenderebbe di più in liquidazione), l’attestazione del professionista sul valore di liquidazione costituisce una base probatoria importante perché il tribunale possa decidere.
Possiamo concludere che in tutti questi strumenti (piano attestato, ADR, concordato, piano omologato) l’attestatore assume il medesimo ruolo di garante terzo della veridicità e fattibilità. Cambiano talvolta le soglie o i dettagli, ma la fiducia del sistema è riposta in questa figura tecnica. Perciò i requisiti per “essere attestatore” che abbiamo analizzato (qualifiche, indipendenza) sono sostanzialmente uniformi in ogni procedura. Anche le responsabilità cui va incontro in caso di inadempienza del suo dovere sono analoghe, e le esaminiamo ora nel prossimo paragrafo.
Profili di responsabilità dell’attestatore
Svolgere l’incarico di attestatore comporta assunzione di responsabilità molto elevate, sia sul piano civile (verso il debitore committente e verso i terzi creditori) sia sul piano penale (verso la collettività e l’amministrazione della giustizia). In questa sezione esamineremo i due profili separatamente, consapevoli però che spesso essi si intrecciano (esempio: un’attestazione falsa può generare sia conseguenze penali sia cause civili di risarcimento). L’obiettivo è comprendere quali rischi corre l’attestatore se non adempie diligentemente il suo compito e quali tutele hanno i soggetti coinvolti in caso di attestazioni infedeli.
Responsabilità civile
Dal punto di vista civile, l’attestatore è legato al debitore da un contratto d’opera intellettuale (artt. 2222 e ss. c.c. analogicamente) e deve eseguire la prestazione con la diligenza qualificata richiesta dalla natura dell’incarico (diligenza del professionista medio ex art. 1176 co. 2 c.c.). Se l’attestatore viola i suoi doveri contrattuali (ad esempio omettendo verifiche essenziali, fornendo una relazione non veritiera, o consegnando in ritardo causando danni), può incorrere in responsabilità contrattuale verso il debitore. Il debitore, ad esempio, potrebbe chiedergli i danni se, a causa di una relazione negligente, il piano attestato non ha prodotto gli effetti sperati o una procedura concordataria è stata dichiarata inammissibile con aggravio della situazione. Va detto che situazioni di questo tipo (il debitore che cita l’attestatore) sono poco frequenti nella pratica: spesso il debitore stesso è corresponsabile di eventuali inesattezze (fornendo dati incompleti ecc.). Tuttavia, non sono escluse – specie se cambia l’organo amministrativo o subentrano nuovi soci disposti a rivalersi.
Più significativa è la possibile responsabilità verso i terzi creditori o altri soggetti che abbiano fatto affidamento sull’attestazione. I creditori potrebbero ritenersi danneggiati, ad esempio, se hanno accordato dilazioni di pagamento o nuove forniture confidando nel piano attestato, e poi scoprono che l’attestazione era gravemente infedele (perché occultava una realtà peggiore). In tal caso, potrebbero sostenere che, in assenza di quella attestazione rassicurante, non avrebbero concesso fiducia, e ora subiscono un pregiudizio (magari il fallimento li travolge con crediti maggiori). Questo tipo di responsabilità rientra nella responsabilità aquiliana (extracontrattuale), basata sul principio generale del neminem laedere (art. 2043 c.c.). L’attestatore può infatti essere considerato tenuto, nei confronti dei creditori, ad una obbligazione di protezione: la sua relazione è redatta proprio per informare e tutelare i creditori (oltre che il tribunale, in caso di procedure), quindi un’informazione falsa può configurare un illecito civile ai loro danni.
I presupposti non sono banali: il creditore dovrebbe provare il dolo o la colpa grave dell’attestatore e il nesso di causalità tra la falsa attestazione e il danno subito (ad es., aver concesso credito confidando nel piano, e non diversamente). Nella maggior parte dei casi, questi elementi sarebbero paralleli a quelli del reato di falso in attestazioni (che richiede proprio dolo o colpa grave). Quindi spesso un’azione civile dei creditori contro l’attestatore segue un accertamento penale o almeno la scoperta di gravi irregolarità. Un esempio ipotetico: l’attestatore certifica dati palesemente falsi (bilancio taroccato) e il piano fallisce; i creditori possono citarlo per i danni corrispondenti all’aggravio del dissesto. Dottrina e giurisprudenza riconoscono in linea di principio questa responsabilità verso i terzi, configurandola come responsabilità da falsità nel documento destinato a informare il pubblico dei creditori. Va però chiarito che la responsabilità extracontrattuale dell’attestatore verso creditori presuppone colpa grave o dolo: non risponderà dei semplici errori di valutazione commessi in buona fede. Inoltre, l’art. 56 CCI, come visto, mantiene le tutele per i creditori in buona fede anche se c’è colpa grave dell’attestatore, a patto che non ne fossero a conoscenza. Questo perché la legge vuole evitare che i creditori subiscano le conseguenze degli errori altrui. Semmai, saranno gli organi della procedura fallimentare (curatore) a poter agire contro l’attestatore per recuperare somme a beneficio del ceto creditorio, se del caso.
Un profilo peculiare di responsabilità civile, emerso in giurisprudenza, è quello relativo al compenso dell’attestatore in caso di fallimento. Se l’impresa poi fallisce, l’attestatore può insinuarsi nel passivo per il pagamento della sua parcella? La Cassazione ha affrontato il tema dei crediti degli attestatori stabilendo che, se l’attività prestata era funzionale ad una procedura concorsuale poi sfociata nel fallimento, il credito può essere in prededuzione (cioè soddisfatto con priorità). Questo è un profilo tecnico (riguarda il privilegio del compenso) che indica comunque come l’attività dell’attestatore sia considerata utile e meritevole di tutela anche nel dissesto.
In ogni caso, per mitigare i rischi, l’attestatore in genere stipula adeguate polizze di responsabilità civile professionale (spesso obbligatorie per l’iscrizione all’elenco gestori crisi) che coprano i danni involontariamente cagionati a terzi nell’esercizio dell’incarico. Tali polizze devono avere massimali importanti, data la posta in gioco (si pensi a concordati con milioni di euro di attivo: un errore potrebbe teoricamente causare danni di pari importo a creditori). La diligenza richiesta è dunque massima. I giudici hanno affermato che l’attestatore deve essere “completamente estraneo ai fatti aziendali e chiamato ad una prestazione d’opera intellettuale altamente qualificata” – qualifica che implica approfondite verifiche e un approccio prudente. Omologamente a quanto avviene per i revisori dei conti, l’attestatore può essere chiamato a rispondere dei danni causati dalla sua negligenza a tutti i soggetti il cui interesse era volto tutelare con la sua relazione.
Riassumendo la responsabilità civile:
- Verso il debitore (contrattuale): risponde per inadempimento dell’incarico, secondo le regole generali, se non adempie con perizia e attenzione professionale.
- Verso i creditori e terzi (extracontrattuale): risponde se dolosamente o con grave negligenza redige un’attestazione falsa che induca in errore i terzi, causando loro un danno. In pratica coincide con le ipotesi di attestazione gravemente infedele.
- Modalità risarcitorie: può essere chiamato a rifondere il danno emergente (es. costi sostenuti inutilmente) e il lucro cessante (es. il peggioramento del soddisfacimento creditori causato dal ritardo dovuto al piano fallito), nei limiti della prevedibilità e prova rigorosa del nesso causale.
Responsabilità penale
Il legislatore ha previsto uno specifico reato per reprimere gli illeciti degli attestatori: si tratta del reato di “falso in attestazioni e relazioni” introdotto nel 2012 (art. 236-bis l.f.) e ora trasfuso nell’art. 342 CCI. Questa norma prevede che “il professionista che nelle relazioni o attestazioni […] espone informazioni false ovvero omette informazioni rilevanti […] è punito…”. In sostanza, costituisce reato penale la condotta dell’attestatore che, con dolo o con colpa grave, attesta il falso o nasconde fatti importanti nelle relazioni redatte nell’ambito delle procedure di crisi. La pena prevista (sia dal vecchio art. 236-bis, sia confermata dal nuovo art. 342) è la reclusione – nella formulazione previgente, da 2 a 5 anni, oltre a una multa da 50.000 a 100.000 euro. La procedibilità è d’ufficio (quindi basta che il fatto emerga, ad esempio su segnalazione del giudice o del curatore, per attivare l’azione penale). La competenza è del tribunale penale monocratico.
L’art. 342 CCI ha esteso il campo applicativo rispetto al passato, includendo esplicitamente alcune attestazioni ulteriori: in particolare rientra ora nel reato anche la falsità nelle attestazioni per la transazione fiscale, quelle rese per impedire la presentazione di proposte concorrenti nel concordato, quelle per le modifiche sostanziali di accordi ristrutturazione, e quelle relative al pagamento di mutui con garanzie su beni aziendali. Si tratta di situazioni specifiche introdotte dal CCI in cui serve l’attestatore, e la legge penale ha voluto chiarire che anche lì l’attestatore risponde penalmente se mente.
Un’altra novità del nuovo art. 342 riguarda la delimitazione dell’oggetto del falso punibile: la norma precisa adesso che è punibile la falsità “in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati”. Ciò significa che l’attestatore non risponde penalmente se dà un giudizio eccessivamente ottimistico sulla fattibilità, mentre risponde se mente sui dati fattuali. Questa restrizione è stata interpretata come una parziale abolitio criminis per le valutazioni di fattibilità. Ad esempio, se l’attestatore certifica che “il piano è fattibile” ma in realtà era molto rischioso e fallisce, non potrà essere incriminato solo per aver sbagliato previsione, a meno che non abbia anche alterato/omesso dati di fatto. Si puniscono quindi le falsità ideologiche o reticenze sui dati aziendali rilevanti, non l’errata opinione. Ciò non toglie che in casi estremi un giudizio di fattibilità completamente infondato potrebbe comunque implicare che siano stati sottaciuti dati negativi o simulate assunzioni.
Il reato richiede almeno la colpa grave (oltre ovviamente al dolo, che è il caso più tipico – l’attestatore colluso col debitore). La colpa grave è configurabile quando il professionista omette con negligenza macroscopica di verificare informazioni che avrebbe dovuto accertare. Ad esempio, se accetta supinamente dati forniti dall’azienda senza controllare nulla e questi dati poi si rivelano falsi, potrà rispondere per colpa grave (si parla di “falso innocente”). La norma penale punisce l’attestatore per tutelare la fede pubblica nelle procedure di risanamento: quegli atti assumono rilevanza esterna e quindi la loro falsificazione è lesiva dell’interesse pubblico al corretto funzionamento del sistema concorsuale.
Sono già state pronunciate condanne in passato in base all’art. 236-bis l.f. (si ricordano casi noti di attestatori condannati per falsi concordatari). Con il CCI, la materia è ancora recente ma vi sono procedimenti in corso. La Cassazione penale ha ad esempio chiarito che l’attestatore non è pubblico ufficiale, quindi risponde di questo reato speciale e non di falso ideologico in atto pubblico. Ha anche evidenziato che la materialità del reato si realizza sia con affermazioni positive false sia con silenzio su informazioni dovute: l’omissione di informazioni rilevanti è equiparata al falso. Nel caso citato prima (Cass. 36401/2023), l’attestatore aveva omesso di riferire dei prelievi anomali del debitore e questo è stato giudicato un elemento sufficiente per far mancare i requisiti di ammissibilità del concordato e poter ipotizzare la sua responsabilità (il caso era in sede civile ma con evidenti risvolti penali).
Oltre al reato “specifico” di falso in attestazioni, l’attestatore potrebbe incorrere in altre fattispecie penali generali, per esempio:
- Concorso in bancarotta fraudolenta: se l’attestatore partecipa attivamente a operazioni distrattive o alla formazione di documenti falsi per coprire atti di frode verso i creditori, può essere considerato complice del reato di bancarotta del debitore. Esempio, aiuta a gonfiare le poste attive sapendo di ingannare i creditori per far approvare un concordato con intenzione poi di fare sparire i beni: qui vi sarebbe dolo di arrecare un danno ai creditori, integrando concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale o preferenziale a seconda dei casi.
- False comunicazioni sociali: se l’attestatore contribuisce a redigere o avallare bilanci falsi (magari per sostenere la veridicità dei dati nel piano), potrebbe risponderne come istigatore o facilitare la condotta degli amministratori. Tuttavia questa è un’ipotesi limite: in genere l’attestatore è esterno, non responsabile della redazione di bilanci.
- Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (se la società è vigilata) potrebbe in teoria toccare chi attesta falsamente dati che poi vengono comunicati alle autorità (ipotesi remota ma non impossibile in certi contesti, es. banche in LCA).
- Truffa: se l’attestazione falsa è usata per ottenere finanziamenti o vantaggi economici (ad es. un’attestazione mendace per ottenere un finanziamento ponte da una banca), potrebbe profilarsi una truffa contrattuale ai danni del finanziatore con il concorso dell’attestatore.
Tuttavia, la fattispecie centrale resta il falso in attestazioni (art. 342 CCI), concepita proprio su misura. La pena, come detto, è severa (fino a 5 anni di reclusione). Non sono previste sanzioni pecuniarie amministrative specifiche a carico di società collegate (ex d.lgs. 231/2001) per il reato di falso dell’attestatore, salvo ipotetiche contestazioni di reati-presupposto diversi (es. truffa aggravata ai danni dello Stato se la transazione fiscale falsa fosse finalizzata a non pagare imposte, ma è un discorso complesso e raro).
In conclusione, l’attestatore risponde penalmente se tradisce la sua funzione di garante. Questa spada di Damocle è estremamente importante: funge da deterrente e stimolo affinché i professionisti svolgano l’incarico con la massima serietà. Va evidenziato che l’esimente del dolo/colpa grave fa sì che la responsabilità penale scatti solo nei casi di malafede o negligenza grossolana: l’attestatore non deve temere la punizione per ogni errore, ma solo per quelli inescusabili o per la complicità in frodi.
Ad ogni modo, i confini non sono sempre netti e dunque i professionisti tendono ad adottare un approccio prudente: se non sono ragionevolmente sicuri di un dato, lo segnalano; se un aspetto è incerto, esprimono riserve nella relazione (es. “questo valore dipende dall’esito di una causa pendente, su cui c’è incertezza”). Una relazione trasparente e completa è la miglior difesa per l’attestatore sia in sede civile sia penale.
Nei prossimi paragrafi illustreremo attraverso casi pratici come questi principi si applicano e quali accorgimenti debbano adottare i vari attori (debitori e professionisti) per gestire correttamente la nomina e l’operato di un attestatore. Seguiranno poi le tabelle riassuntive e le FAQ.
Esempi pratici e simulazioni
Di seguito presentiamo alcuni esempi ipotetici per illustrare in modo concreto l’applicazione dei requisiti e delle responsabilità dell’attestatore in diverse situazioni. Queste simulazioni, pur semplificate, riflettono casi tipici che potrebbero presentarsi nella realtà professionale.
Esempio 1: Nomina corretta di un attestatore e verifica dei requisiti – La società Alfa S.r.l., impresa manifatturiera in crisi di liquidità ma con prospettive di mercato favorevoli, decide di predisporre un piano attestato di risanamento ex art. 56 CCI. L’amministratore individua come potenziale attestatore il dott. Rossi, un commercialista con esperienza concorsuale. Prima di affidargli formalmente l’incarico, Alfa S.r.l. compie alcune verifiche: scopre che il dott. Rossi è iscritto sia all’albo dei gestori della crisi presso il Ministero che al registro dei revisori legali (requisito di legge); inoltre, il dott. Rossi non ha mai lavorato per Alfa né ricoperto cariche in essa. Tuttavia, emergono due dati: (a) Rossi ha in passato svolto una consulenza per Beta S.p.A., società controllante di Alfa, ma 7 anni fa; (b) un socio dello studio di Rossi, il dott. Bianchi, ha un piccolo incarico di sindaco supplente in Gamma S.p.A., fornitore di Alfa (creditore). Analisi: La consulenza di 7 anni fa per la controllante non rientra nel quinquennio e dunque non viola l’art. 2 lett. o) n.3 CCI (sarebbe comunque opportuno dichiararla, ma è fuori dal periodo critico). L’incarico del collega Bianchi in un’azienda fornitrice di Alfa potrebbe costituire un rapporto indiretto, ma considerato che Gamma S.p.A. è solo un creditore commerciale di Alfa e il sindaco supplente ha ruolo marginale, non pare tale da compromettere l’indipendenza – purché il dott. Bianchi si astenga da qualunque coinvolgimento nell’attestazione. Alfa S.r.l. alla fine conferisce l’incarico al dott. Rossi, il quale accetta per iscritto dichiarando di possedere i requisiti (inclusa l’assenza di conflitti personali/professionali) e precisando le circostanze (a) e (b) come non influenti. Rossi procede quindi con l’analisi del piano: verifica i bilanci, chiede ad Alfa ulteriori documenti sui crediti dubbi, contatta anche la controllante Beta per avere il cash flow consolidato (così da valutare sinergie di gruppo), e redige una relazione dettagliata in cui attesta la veridicità dei dati (apportando alcune correzioni, ad esempio svalutando un credito verso un cliente insolvente che Alfa aveva tenuto iscritto al valore pieno) e dichiara fattibile il piano, spiegando che con una nuova linea di finanziamento bancario e la dilazione accordata dai fornitori l’azienda può superare la crisi. La relazione evidenzia anche i punti critici (es. necessità di aumentare la produzione del 10% per generare la liquidità prevista) ma conclude in modo positivo. Alfa S.r.l. riesce a negoziare l’accordo con la banca e i fornitori sulla base di questo piano e, dopo due anni, torna in equilibrio. – Commento: Questo esempio mostra una nomina diligente (si è scelto un attestatore qualificato e indipendente, dopo verifica) e un’attestazione accurata, con trasparenza su possibili criticità. La procedura è andata a buon fine, confermando l’utilità dell’attestatore come garante di credibilità.
Esempio 2: Attestatore con conflitto di interessi non dichiarato – La società Delta S.p.A. presenta domanda di concordato preventivo con continuità aziendale al Tribunale. Come attestatore ha nominato il prof. Verdi, noto professionista. In fase di verifica dell’ammissibilità, però, uno dei principali creditori fa presente al Commissario Giudiziale che il prof. Verdi fino a 2 anni prima era membro del consiglio di amministrazione di Delta S.p.A. (si era dimesso all’insorgere della crisi). Nella relazione il prof. Verdi non aveva menzionato questo fatto. Inoltre, era emerso che, per predisporre il piano, Verdi aveva lavorato a stretto contatto con lo stesso management di cui aveva fatto parte, avallandone molte scelte. Conseguenze: Il Tribunale, accertato che l’attestatore non possedeva il requisito di indipendenza (in quanto amministratore della società nel quinquennio precedente), ha dichiarato inammissibile il concordato per mancanza della condizione di legge (relazione redatta da professionista indipendente). La procedura di concordato è stata dunque archiviata. Pochi mesi dopo Delta S.p.A. è stata dichiarata fallita. Il Curatore ha segnalato la vicenda alla Procura della Repubblica. Ora il prof. Verdi rischia un’imputazione ex art. 236-bis l.f. / 342 CCI per false attestazioni (avendo omesso un’informazione rilevante, cioè il proprio trascorso ruolo, configurabile come falso ideologico per omissione). Potrebbe anche essere chiamato a rispondere dei danni dai creditori, ad esempio le spese inutili sostenute nel concordato poi abortito. – Commento: Questo esempio evidenzia come la violazione dei requisiti di indipendenza inquina l’intera procedura. L’attestatore aveva un conflitto palese (ex amministratore) che avrebbe dovuto sconsigliarlo dal prendere l’incarico. La sua relazione è stata inutiliter data: ha fatto perdere tempo e risorse. Il sistema ha reagito escludendo la procedura e attivando responsabilità. Un attestatore prudente avrebbe dovuto astenersi: ora affronta sia rovina reputazionale sia potenziali guai giudiziari.
Esempio 3: Attestazione negligente e sue ripercussioni – La società Omega S.r.l. conclude un accordo di ristrutturazione con i suoi creditori finanziari, omologato dal tribunale. L’attestatore, dott.ssa Neri, aveva attestato che il piano sottostante era fattibile e che i creditori estranei sarebbero stati soddisfatti in misura almeno pari al fallimento. Tuttavia, a posteriori, l’accordo fallisce: Omega non riesce a rispettare le scadenze e dopo un anno finisce in liquidazione giudiziale. Viene fuori che nel piano erano state sottostimate alcune passività fiscali (debiti IVA e INPS), e che la dott.ssa Neri non aveva approfondito adeguatamente la posizione tributaria: si era fidata delle autodichiarazioni dell’azienda senza verificare presso l’Agenzia delle Entrate la presenza di cartelle esattoriali iscritte a ruolo. In più, la stima dei beni era stata eccessivamente ottimistica. Conseguenze: Nel fallimento, si scopre che i creditori chirografari (inclusi quelli estranei all’accordo) recupereranno solo il 10%, mentre l’attestazione sosteneva che nell’accordo avrebbero avuto il 40% non inferiore al 15% stimato in fallimento. Chiaramente la stima in fallimento era errata: in realtà avrebbero avuto forse 25%. I creditori estranei avviano una causa civile contro l’attestatrice, accusandola di negligenza grave nella valutazione (non aveva considerato quelle passività fiscali che hanno ridotto il riparto). Allo stesso tempo, la Procura indaga se ci sia stato dolo collusivo tra Omega e Neri per occultare quei debiti (se emergesse che Neri li aveva visti ma taciuti, sarebbe reato; se semplicemente non li ha cercati per superficialità, potrebbe configurarsi colpa grave). Il Curatore fallimentare collabora fornendo documenti. La dott.ssa Neri si difende dicendo che Omega le aveva nascosto le cartelle esattoriali e che lei ha agito in buona fede, ma è difficile giustificare perché non abbia ottenuto un estratto della posizione Equitalia dell’azienda (prassi standard). Probabilmente subirà una condanna civile a risarcire una parte di danno ai creditori (la differenza di soddisfacimento extra), coperta parzialmente dalla sua assicurazione professionale, e potrebbe anche patteggiare una pena per falso (colposo) in attestazioni, evitando il carcere ma con pesanti effetti sulla carriera (interdizione temporanea). – Commento: Questo scenario, pur complesso, dimostra come errori di sottovalutazione o leggerezza nell’attestazione possano concretamente tradursi in responsabilità. L’attestatore doveva agire con più diligenza (richiedere la documentazione fiscale completa). Il fatto che i creditori abbiano fatto affidamento sulla sua relazione per accettare l’accordo rende eticamente e giuridicamente fondata la loro pretesa risarcitoria.
Esempio 4: Best practice – attestatore e composizione negoziata – La ditta individuale XYZ (imprenditore minore) si trova in difficoltà e intraprende una composizione negoziata della crisi (procedura introdotta dal D.L. 118/2021, alternativa stragiudiziale). In tale procedura viene nominato un esperto indipendente (figura diversa dall’attestatore) per facilitare le trattative. Tuttavia, l’esperto suggerisce all’imprenditore di predisporre comunque un piano di risanamento credibile e di farlo vagliare da un attestatore, pur non essendo obbligatorio, per dare maggior fiducia alle banche. L’imprenditore accetta e incarica la dott.ssa Bianchi di esaminare il piano come se fosse un piano attestato ex art. 56. La dott.ssa Bianchi rispetta tutti i criteri di indipendenza e redige una relazione che evidenzia i punti di forza e debolezza. Con questo seal of approval aggiuntivo, l’esperto riesce a convincere le banche a concedere dilazioni e nuova finanza. La composizione negoziata si chiude con successo, senza neppure bisogno di concordato. – Commento: Questo caso mette in luce che, anche quando non obbligatorio, il coinvolgimento di un attestatore indipendente può essere utile. Inoltre distingue la figura dell’esperto della composizione negoziata (che facilita trattative ma non attesta nulla) da quella del professionista attestatore: ruoli diversi ma complementari. L’attestazione, se fatta bene, è uno strumento di trasparenza e fiducia. La best practice è coinvolgere l’attestatore tempestivamente, farlo lavorare di concerto con l’esperto o con l’azienda, in modo da identificare subito eventuali problemi (dati scorretti, previsioni irrealistiche) e poterli correggere prima che sia troppo tardi.
Questi esempi pratici evidenziano dunque sia casi virtuosi che errori da evitare. La lezione comune è: scegliere attestatori qualificati e realmente indipendenti, e per i professionisti: svolgere l’incarico con scrupolo estremo, perché le conseguenze di una leggerezza possono essere devastanti per tutti gli attori coinvolti (debitori, creditori e per l’attestatore stesso).
Nei prossimi paragrafi forniamo due tabelle riassuntive (una sui requisiti dell’attestatore, l’altra sulle responsabilità) e infine una serie di FAQ per chiarire i dubbi frequenti in materia.
Tabelle riepilogative
Requisiti per l’attestatore di un piano di risanamento (soggettivi e oggettivi)
Requisito | Descrizione e norma di riferimento |
---|---|
Iscrizione registro revisori legali (Qualifica professionale) | L’attestatore deve essere iscritto al registro dei revisori legali dei conti (abilitazione di natura contabile). In pratica, deve aver superato l’esame da revisore o essere equiparato (es. commercialista iscritto al Registro Revisori). |
Iscrizione elenco gestori crisi d’impresa (Qualifica concorsuale) | Deve risultare nell’Elenco dei gestori dell crisi e insolvenza delle imprese presso il Ministero Giustizia. Ciò attesta formazione specifica in materia concorsuale (art. 356 CCI). |
Requisiti di onorabilità ex art. 2399 c.c. (Assenza cause ineleggibilità) | Non deve trovarsi in situazioni che, per i sindaci di società, costituiscono ineleggibilità/incompatibilità. Ad es.: non sia parente entro il 4° grado degli amministratori del debitore; non sia legato al debitore da rapporto di lavoro o interessi economici rilevanti; non abbia cariche in un numero eccessivo di altri organi di controllo. |
Nessun rapporto professionale col debitore negli ultimi 5 anni (Indipendenza – requisito oggettivo) | Né il professionista né i suoi soci/collaboratori devono aver prestato attività di lavoro subordinato o autonomo per il debitore nei 5 anni precedenti. Qualsiasi incarico retribuito (consulenza, progettazione bilanci, perizie, ecc.) nel quinquennio pregresso comporta il difetto di indipendenza. |
Nessuna carica in organi amministrativi o di controllo del debitore negli ultimi 5 anni (Indipendenza – requisito oggettivo) | Non deve aver rivestito ruoli di amministratore, consigliere, direttore generale, liquidatore, né sindaco o revisore del debitore negli ultimi cinque anni. Anche dimissioni “strategiche” recenti (<5 anni) lo rendono incompatibile. |
Nessuna partecipazione nel capitale del debitore (ultimi 5 anni) (Indipendenza – requisito oggettivo) | Non deve aver detenuto quote/azioni dell’impresa negli ultimi 5 anni. Vale anche per partecipazioni indirette significative (es. tramite società fiduciarie) e, cautelativamente, per partecipazioni in società controllanti o controllate se implicano interesse nell’operazione. |
Assenza di altri rapporti personali/professionali rilevanti (Indipendenza – regola generale) | Non dev’esserci alcun rapporto, anche non tipizzato, che comprometta l’indipendenza. Es: parentele strette con il debitore, associazioni d’affari comuni, inimicizie personali gravi, etc. L’indipendenza dev’essere sia reale che percepibile (no significant influence). |
Nomina da parte del debitore (Procedura) | L’attestatore è scelto e incaricato dall’imprenditore in crisi. La nomina è formalizzata con incarico scritto. È opportuno che l’attestatore alleghi una dichiarazione di indipendenza. |
Dichiarazione di indipendenza e trasparenza (Prassi consigliata) | All’atto dell’accettazione dell’incarico (e nella relazione finale) il professionista dichiara espressamente di possedere tutti i requisiti richiesti e di non avere conflitti di interesse, elencando eventuali rapporti pregressi non significativi. Questo adempimento, pur non obbligatorio per legge, è raccomandato dai Principi di attestazione per garantire trasparenza. |
Esperienza e competenza adeguate (Profilo soggettivo generale) | Deve avere conoscenze in analisi di bilancio, finanza aziendale e procedure concorsuali. Spesso pluriennale esperienza in ristrutturazioni. Non previsto espressamente dalla norma, ma implicito: l’elenco dei gestori crisi richiede formazione specifica. Inoltre, sul piano etico, un professionista privo di esperienza non dovrebbe assumere incarichi complessi di attestazione. |
Nota: la violazione dei requisiti di indipendenza (rapporti nei 5 anni, ecc.) rende l’attestazione invalida e può comportare sanzioni (inammissibilità della procedura, responsabilità disciplinare e giuridica). I requisiti devono essere posseduti da chiunque sottoscrive la relazione: se l’attestazione è collegiale, tutti i co-attestatori devono rispettarli. Meglio un controllo rigoroso ex ante che incorrere in nullità ex post.
Responsabilità dell’attestatore: civile e penale (riepilogo)
Tipo di responsabilità | Descrizione | Conseguenze giuridiche |
---|---|---|
Civile contrattuale (verso il debitore) | L’attestatore ha un’obbligazione contrattuale di mezzi verso il debitore: deve svolgere l’incarico con perizia e diligenza professionale. Inadempimenti (es. relazione consegnata in ritardo causando perdita di opportunità; errori grossolani nella verifica dati) configurano responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. | Risarcimento danni al debitore per le perdite causate (es. costi inutili, aggravamento della crisi). Il debitore deve provare inadempimento e nesso causale. In alcuni casi il debitore potrebbe risolvere il contratto con l’attestatore e chiedere restituzione del compenso per lavoro inutilizzabile. |
Civile extracontrattuale (verso creditori e terzi) | L’attestatore ha un “dovere di protezione” verso i creditori interessati al piano: se attesta il falso con dolo o colpa grave, cagionando danni a chi ha fatto affidamento, commette un illecito aquiliano (art. 2043 c.c.). | Risarcimento del danno ai creditori/terzi danneggiati. Tipicamente, i creditori possono chiedere i danni se hanno subito un pregiudizio per aver confidato su un’attestazione infedele (es. hanno concesso credito aggiuntivo e poi il piano era fasullo). Occorre dimostrare la malafede o grave negligenza del professionista e il danno concreto. |
Penale: Falso in attestazioni (art. 342 CCI, ex art. 236-bis l.f.) | L’attestatore che espone informazioni false o omette informazioni rilevanti nella relazione, con dolo o colpa grave, commette reato. Copre le attestazioni in concordato, ADR, piani di risanamento, transazione fiscale, ecc.. È richiesto almeno colpa grave (negligenza macroscopica). La falsità riguarda i dati e informazioni di fatto (non più le mere valutazioni). | Pena detentiva: reclusione da 2 a 5 anni (stando al previgente art. 236-bis; il CCI ha confermato sanzioni afflittive analoghe). Multa: da €50.000 a €100.000. Procedibilità d’ufficio. Possibili pene accessorie (interdizione da professione). Se commesso in concordato o procedure, spesso emergente da segnalazione del giudice o curatore. |
Penale: Altri reati (es. concorso in bancarotta) | In caso di condotte più gravi, l’attestatore può rispondere di ulteriori reati: concorso in bancarotta fraudolenta (se collude col debitore per frodare i creditori, aiutando a nascondere beni o simulare crediti); truffa (se l’attestazione è usata per ottenere indebitamente vantaggi economici da terzi finanziatori); eventuale false comunicazioni sociali (se partecipa a falsificare bilanci poi attestati). | Pene variabili a seconda del reato: bancarotta fraudolenta punita con reclusione 3-10 anni; truffa fino a 5 anni (più se aggravata); false comunicazioni sociali fino a 4 anni ecc. L’attestatore verrebbe imputato come concorrente nel reato principale. È necessario il dolo specifico (intenzione di arrecare danno o profitto illecito). Queste ipotesi sono meno comuni, ma possibili nei casi di attiva collusione. |
Disciplina professionale (deontologia) | Al di là delle aule di tribunale, l’attestatore risponde al proprio Ordine (Commercialisti, Avvocati etc.). Un’attestazione gravemente infedele viola i doveri deontologici di integrità, indipendenza e competenza. | Sanzioni disciplinari: dall’avvertimento alla sospensione dall’albo o radiazione nei casi più gravi. Un provvedimento penale di condanna per falso costituirà quasi certamente illecito disciplinare con sanzione severa. Anche senza reato, un comportamento non etico (p.es. accettare incarico con conflitto) può portare a censure dall’Ordine. |
Nota: l’attestatore può mitigare i rischi civili dotandosi di assicurazione RC professionale adeguata, e adottando metodologie rigorose e documentate (conservare evidenze dei controlli svolti). In ambito penale, non esistono “assicurazioni”: la migliore protezione è la trasparenza – se qualcosa non è verificabile o certo, dichiararlo nella relazione – e l’astensione in casi dubbi di indipendenza. Ricordiamo che per la punibilità penale deve sussistere dolo o colpa grave, quindi un professionista che opera con perizia e buona fede difficilmente incorrerà in sanzioni penali, anche se il piano poi fallisse.
FAQ – Domande frequenti sull’attestatore di piano di risanamento
D: Chi può fare l’attestatore in un piano di risanamento?
R: Può svolgere l’incarico un professionista indipendente che sia iscritto sia al registro dei revisori legali che all’elenco degli esperti in gestione della crisi (presso il Ministero della Giustizia). Tipicamente si tratta di un dottore commercialista o un esperto contabile con esperienza in ristrutturazioni aziendali. Anche avvocati o consulenti d’impresa possono farlo, purché abbiano queste iscrizioni e competenze. L’importante è che soddisfi i requisiti di legge (onorabilità ex art. 2399 c.c., indipendenza, nessun conflitto, ecc.). Non è necessario che l’attestatore sia un “perito” nominato dal tribunale: al contrario, lo sceglie l’imprenditore liberamente, ma deve essere un soggetto qualificato e super partes.
D: L’attestatore deve essere iscritto a qualche albo professionale?
R: Sì, deve essere iscritto a due registri: il registro dei revisori legali (tenuto dal MEF, Ministero Economia e Finanze) e l’elenco dei gestori della crisi d’impresa (tenuto dal Ministero Giustizia). Il primo garantisce le competenze contabili e di controllo tipiche del revisore; il secondo garantisce conoscenza delle procedure di insolvenza. Di solito, essere iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili comporta (per molti iscritti) anche l’iscrizione nel registro revisori, ma va verificato caso per caso. Se un avvocato vuole fare l’attestatore, deve a sua volta risultare iscritto come revisore legale e all’elenco (magari tramite corsi di formazione specifici).
D: Un ex dipendente o ex amministratore dell’azienda può essere nominato attestatore?
R: No, sarebbe in conflitto. La legge vieta espressamente che l’attestatore abbia avuto rapporti di lavoro (subordinato o autonomo) con l’azienda negli ultimi 5 anni, o che ne sia stato organo amministrativo/di controllo nello stesso periodo. Quindi un ex direttore finanziario, un ex consigliere o simili non possono fare da attestatori se la cessazione dell’incarico è avvenuta da meno di 5 anni. Anche oltre i 5 anni, potrebbe comunque essere sconsigliato per opportunità, specie se il legame è stato rilevante. L’attestatore dev’essere esterno e indipendente; un ex “insider” difficilmente è percepito come tale.
D: L’attestatore può aver svolto consulenze per l’azienda in passato?
R: Se le ha svolte negli ultimi 5 anni, no (vedi sopra). Se sono più risalenti, formalmente non c’è divieto legale, ma bisogna valutare il caso specifico. Ad esempio, una consulenza di 7-8 anni fa su un tema minore probabilmente non compromette l’indipendenza attuale. Tuttavia, è opportuno che qualsiasi rapporto pregresso significativo sia reso noto. Va evitata ogni situazione che possa creare un pregiudizio nell’imparzialità. Se la consulenza passata è stata di importo modesto e molto tempo prima, l’attestatore potrebbe comunque accettare, dichiarandola. Ma se era una consulenza importante (es. ha ridisegnato il piano industriale l’anno prima), anche se formalmente fuori dai 5 anni, sarebbe prudente non accettare per evitare contestazioni.
D: Chi nomina formalmente l’attestatore e come viene ufficializzato?
R: Lo nomina l’imprenditore (o gli amministratori della società debitrice) con una delibera o decisione. Formalmente, si firma una lettera d’incarico professionale tra l’impresa e il professionista, dove si definiscono oggetto (redazione relazione attestazione ex art. 56 CCI, o ex art. 57 etc. a seconda del caso), tempi e compenso. Non c’è bisogno di alcun provvedimento del tribunale per nominarlo (tranne nel concordato “in bianco” dove l’azienda può chiedere al giudice di nominarlo se non lo trova, ma è una situazione rara). Quindi è un rapporto contrattuale privato. Nelle procedure come concordato o ADR, l’attestazione redatta poi viene depositata in tribunale insieme alla domanda, ma la nomina rimane un atto privato a monte.
D: Quanto viene pagato l’attestatore e da chi?
R: Lo paga il debitore che richiede la prestazione. Il compenso è oggetto di libera contrattazione tra attestatore e azienda. Può variare molto in base alla dimensione dell’impresa e alla complessità dell’operazione (dalle migliaia di euro per piccole realtà, fino a centinaia di migliaia in casi di grandi gruppi). Spesso si concorda un onorario fisso più eventuali extra per analisi aggiuntive, ma è sconsigliabile legare il compenso all’esito (niente success fee) per non minare l’indipendenza. In procedure formalizzate (concordato, ADR), se poi interviene un fallimento, il compenso dell’attestatore – se l’opera era funzionale a tentare il risanamento – può essere riconosciuto in prededuzione (cioè pagato con priorità dal fallimento). Ma ciò non toglie che inizialmente sia l’azienda a doversene fare carico, ad esempio attingendo a nuova finanza o alla cassa disponibile.
D: Cosa succede se l’attestatore certifica il piano e poi il piano fallisce? L’attestatore risponde dei debiti?
R: Non automaticamente. L’attestatore non garantisce il successo del piano, garantisce solo che esso è stato redatto su basi veritiere e che, secondo le sue valutazioni, ha concrete possibilità di riuscita. Se il piano poi non si realizza per circostanze impreviste o rischi che si materializzano, non si può incolpare l’attestatore di per sé. Risponderebbe solo se si scopre che nella sua relazione c’erano negligenze gravi o falsità. Ad esempio, se il piano fallisce perché le vendite sono andate male ma l’attestatore aveva avvisato che era un’ipotesi possibile nei worst case, non ha colpa. Viceversa, se fallisce perché c’era un enorme debito nascosto che l’attestatore avrebbe dovuto scoprire, allora può avere responsabilità. Quindi: il professionista non assicura il risultato (è obbligazione di mezzi, non di risultato), ma deve mettere in guardia da rischi e assicurare la correttezza dei dati. Se ha fatto questo e il piano fallisce lo stesso, non è tenuto lui a pagare i debiti. Sarà il debitore a subirne le conseguenze (es. fallimento) e i creditori eventualmente ne sopporteranno le perdite, salvo agire verso l’attestatore se – ripeto – ha commesso violazioni (dolo/colpa grave) nel suo lavoro.
D: L’attestatore può anche aiutare a redigere il piano? O deve solo controllare?
R: Formalmente l’attestatore non dovrebbe coincidere con chi predispone il piano. Il suo ruolo è di controllo/verifica, non consulenziale – almeno nella netta separazione di ruoli auspicata. In pratica però, specie nelle PMI, l’attestatore spesso fornisce supporto al debitore nel rifinire il piano: ad esempio suggerisce di abbassare certi valori e di inserire clausole di salvaguardia, per poi poter attestare con tranquillità. Questo non è vietato, purché non comprometta la sua obiettività. L’importante è che il debitore rimanga l’autore del piano e l’attestatore possa dire di averlo esaminato criticamente. Se l’attestatore di fatto scrivesse lui il piano e poi se lo attestasse, sarebbe poco credibile (oltre a un potenziale conflitto di ruoli). Meglio se c’è una figura distinta di advisor (consulente) che aiuta il debitore a redigere il piano, e l’attestatore interviene a valle. Nella pratica italiana, tuttavia, spesso l’attestatore collabora attivamente: questo è tollerato a patto che ogni modifica o suggerimento sia orientato a garantire maggior solidità e veridicità, e non ad abbellire artificiosamente il piano. In caso di verifiche giudiziarie, comunque, potrebbe essere visto male un attestatore troppo ingegnere del piano più che controllore. Dunque è un equilibrio delicato.
D: Qual è la differenza tra l’attestatore e l’esperto della composizione negoziata?
R: Sono figure molto diverse, anche se entrambe indipendenti. L’esperto della composizione negoziata (introdotto nel 2021) è nominato dalla Commissione della Camera di Commercio, su richiesta del debitore, per facilitare le trattative con i creditori. Egli è un mediatore/conciliatore: non attesta un piano, ma aiuta a formarlo e trovare accordi. Può redigere una relazione finale sul tentativo, ma non è la stessa attestazione di veridicità e fattibilità. L’attestatore, invece, entra in gioco quando c’è un piano da certificare (può esserci anche dentro una composizione negoziata, su base volontaria, come visto nell’esempio 4). L’attestatore emette un giudizio tecnico, mentre l’esperto negoziale emette proposte e facilita incontri. I requisiti professionali sono simili (entrambi devono essere indipendenti, spesso iscritti a elenchi, etc.), ma l’attestatore ha un ruolo più “notarile” sui numeri e la sostenibilità, l’esperto ha un ruolo più “negoziale” e di advisory. In alcuni casi la stessa persona potrebbe avere competenze per fare entrambe le cose, ma giuridicamente gli incarichi sono distinti e non sovrapponibili. Ad esempio, l’esperto della composizione negoziata non può attestare i piani di concordato (serve la figura ex art. 2 lett. o), e viceversa l’attestatore di un concordato non ha poteri di convocare i creditori come li ha l’esperto.
D: Cosa succede se l’attestatore mente nella relazione?
R: Se mente volontariamente o per grave negligenza, può andare incontro a conseguenze penali (reato di falso in attestazioni, con reclusione fino a 5 anni) e sarà quasi certamente citato per danni civili dai soggetti pregiudicati. Inoltre la sua attestazione verrà invalidata e tutta l’operazione di risanamento potrà essere annullata (ad esempio, un concordato omologato sulla base di false attestazioni può essere revocato su istanza di creditori o del PM). Insomma, le conseguenze sono devastanti: perdita di credibilità professionale, possibili sanzioni penali e patrimoniali. Vale la pena ricordare che negli ultimi anni ci sono stati procedimenti giudiziari contro attestatori collusi in concordati fraudolenti (alcuni finiti con condanne). La legge punisce anche l’omissione di informazioni rilevanti, quindi non basta non dire bugie, bisogna neppure tacere cose importanti. Se la falsità emerge quando l’azienda è ormai fallita, il curatore e la magistratura esamineranno l’operato dell’attestatore con la lente d’ingrandimento. In sintesi: mentire è la peggiore scelta per un attestatore – i rischi superano di gran lunga qualunque “beneficio” immediato il professionista o il cliente possano aver pensato di ottenere.
D: In quali casi l’attestatore può essere chiamato in causa per risarcire i creditori?
R: Quando la sua relazione, infedele o negligente, ha indotto i creditori a compiere scelte pregiudizievoli. Ad esempio, se l’attestatore omette di rivelare che mancano garanzie su certi crediti e dichiara fattibile un piano di accordo: i creditori finanziari firmano confidando che almeno recupereranno X, invece poi l’accordo salta e in fallimento scoprono che quel X era irrealistico. Se riescono a dimostrare che non avrebbero aderito all’accordo (o avrebbero preteso condizioni diverse) se avessero saputo la verità, e che quindi l’attestazione li ha danneggiati, possono chiedere i danni. Non è semplice in concreto, ma possibile. Un altro caso: l’attestatore certifica un piano attestato e su quella base un nuovo finanziatore concede credito prededucibile; se poi il piano era truccato e il finanziatore perde denaro nel fallimento, può agire contro l’attestatore per il pregiudizio subito. In sostanza, ogni volta che c’è affidamento ragionevole sull’attestazione e questa si rivela frutto di colpa grave o dolo, si apre lo scenario di responsabilità verso i terzi. Da notare che in tali cause spesso si attende l’esito penale: se l’attestatore viene condannato penalmente per falso, la causa civile è in discesa (costituendo giudicato sull’illecito). Viceversa, se in sede penale viene assolto perché il fatto non costituisce reato (magari era solo lieve imprudenza, non colpa grave), in sede civile potrebbe comunque essere riconosciuta una colpa semplice e quindi non dovere risarcire? In realtà per i terzi serve la colpa grave per configurare l’ingiustizia del danno, quindi se sul piano penale è esclusa la colpa grave, difficilmente pagherà anche civilmente.
D: Un attestatore può rifiutarsi di accettare l’incarico?
R: Assolutamente sì, l’incarico è libero. Anzi, l’attestatore deve rifiutarlo se non ha i requisiti o se ravvisa conflitti di interessi. Può anche rinunciare in corso d’opera, purché in tempi e modi da non danneggiare indebitamente il cliente (ad esempio, se scopre situazioni che gli impediscono di attestare positivamente, potrebbe ritirarsi piuttosto che scrivere una bocciatura – anche se la massima trasparenza vorrebbe che spiegasse le ragioni). In generale, l’attestatore se comprende di non poter svolgere con obiettività il ruolo (per pressioni del cliente a edulcorare il piano, o perché scopre troppa opacità) può rinunciare. Deve però valutare bene: se ha già assunto formalmente l’incarico, una rinuncia tardiva potrebbe aggravare la crisi (es. lasciando l’azienda senza relazione a ridosso di scadenze). In questi casi farebbe bene a motivare la rinuncia (senza violare segreti, ma segnalando per esempio “impossibilità a ottenere dati affidabili”) così che l’azienda capisca che deve magari emergere con più chiarezza o che deve cercare un altro professionista (che a quel punto starà in guardia).
D: Che differenza c’è tra attestazione di veridicità dei dati e relazione di revisione dei bilanci?
R: La revisione legale del bilancio ha lo scopo di esprimere un giudizio sulla correttezza del bilancio di esercizio, in base ai principi contabili. L’attestazione di veridicità dei dati aziendali, invece, riguarda la situazione economico-patrimoniale e finanziaria prospettata nel piano di risanamento (o concordatario). Può includere dati infrannuali, stime e quant’altro. L’attestatore non segue tutti i principi ISA Italia come un revisore (anche perché spesso ha tempi brevi e ambiti pro-forma), ma adotta tecniche di revisione come controllo documentale, analisi per campioni, ecc. Quindi: la revisione è un esame formale di bilancio storico, l’attestazione è un esame sostanziale di dati storici e correnti funzionali a un piano futuro. Il revisore dà un “giudizio senza rilievi / con rilievi / negativo” sul bilancio; l’attestatore attesta (cioè dichiara) che i dati sono veri e che il piano è fattibile. Altro elemento: il revisore è un pubblico interesse per i soci e i terzi in generale; l’attestatore è calibrato sui creditori di quella situazione di crisi. Un revisore indipendente della società potrebbe anche essere chiamato come attestatore, ma dovrebbe cessare l’incarico di revisione prima, perché non può revisionare il proprio operato. In pratica, l’attestazione è più ampia come raggio d’azione (comprende forward-looking information) ma più ristretta come finalità (il contesto del risanamento).
D: Se l’attestatore riscontra che alcuni dati forniti dall’azienda non sono veritieri, cosa deve fare?
R: Deve rettificarli o menzionarli esplicitamente. Ha due scelte: (a) convincere l’azienda a correggere il piano/predisporre nuovi dati corretti; (b) oppure, se l’azienda non vuole o non c’è tempo, redigere la relazione segnalando che quei dati non sono attendibili e spiegando quali sarebbero i valori realistici. Se le difformità sono significative e l’azienda non le accetta, in ultima analisi l’attestatore deve negare l’attestazione (cioè dare parere negativo) o rinunciare all’incarico. Non può mai avallare dati che sa essere falsi. Ad esempio, se il debitore insiste nel dire che un cespite vale 1 milione mentre l’attestatore ha evidenze che ne vale 100mila, l’attestatore dovrà scrivere in relazione: “secondo le mie verifiche, il valore di realizzo stimato di quell’attivo è 100mila, e non 1 milione come indicato dal debitore, ne consegue che per la fattibilità occorre colmare questa differenza… etc.”. Se ciò rende il piano infattibile, l’attestatore deve conclusivamente attestare la non fattibilità (è raro ma succede: attestazione negativa). In tal caso il debitore tipicamente non procederà col piano perché sarebbe bocciato. Meglio allora che si convinca prima a modificarlo. Dunque il ruolo dell’attestatore è anche di moral suasion: se trova dati falsi o errori, spinge per aggiustarli prima di chiudere la relazione.
D: L’attestatore verifica anche i pagamenti effettuati in esecuzione del piano?
R: No, il compito dell’attestatore termina con la relazione sul piano. L’esecuzione del piano di risanamento, se è stragiudiziale, non ha un organo di controllo formale (a differenza del concordato dove c’è un Commissario Giudiziale durante la procedura e un Liquidatore in fase esecutiva, o degli ADR dove c’è un attestatore solo iniziale e poi l’omologazione del tribunale). Quindi nessuno è istituzionalmente deputato a verificare l’esecuzione di un piano attestato se non le parti stesse (debitore e creditori). Talora, nei contratti di ristrutturazione, i creditori richiedono che lo stesso attestatore faccia report periodici sull’avanzamento del piano (es.: una banca può chiedere all’azienda di incaricare l’attestatore di fornire aggiornamenti semestrali sull’andamento rispetto al piano). Ma sono accordi volontari, non obblighi di legge. In generale, finita l’attestazione, l’attestatore esaurisce il suo mandato. Se poi l’azienda entra in default, potrà essere chiamato ex post a spiegare il suo lavoro in tribunale in caso di contenziosi, ma non ha compiti durante l’esecuzione. Nei piani soggetti a omologazione (art. 64-bis), invece, viene nominato un commissario giudiziale che vigila durante la fase omologatoria e sull’esecuzione iniziale. Ma l’attestatore rimane figura iniziale. In sintesi: no, l’attestatore non “segue” i pagamenti del piano a meno di accordi specifici.
Come abbiamo visto, il ruolo dell’attestatore è essenziale e delicatissimo. Questa guida ha coperto i requisiti soggettivi e oggettivi per ricoprirlo, evidenziando l’importanza dell’indipendenza e delle competenze professionali, l’estensione dell’attività di attestazione nei vari strumenti (piani, accordi, concordati, transazioni), e i rigorosi profili di responsabilità previsti a carico di chi svolge tale funzione. Con esempi pratici e chiarimenti, l’obiettivo è stato fornire a professionisti, imprenditori e lettori interessati un quadro chiaro di chi può essere attestatore di un piano di risanamento e a quali condizioni, evitando errori nella nomina e garantendo la credibilità dei processi di risanamento, a tutela di tutte le parti coinvolte.
Fonti normative e giurisprudenziali
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) – Articoli rilevanti: art. 2, comma 1, lett. o) (definizione di professionista indipendente e requisiti: iscrizione registro revisori, elenco gestori crisi, indipendenza); art. 56 (Piani attestati di risanamento: presupposti soggettivi e oggettivi, contenuto del piano, necessità di attestazione indipendente); art. 57 (Accordi di ristrutturazione dei debiti: soglia di consenso 60%, documentazione, relazione attestatore su veridicità dati e fattibilità accordo); art. 63 (Transazione fiscale e accordi su crediti tributari e contributivi: richiesta attestazione su trattamento non deteriore dei crediti fiscali/contributivi); art. 64-bis (Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione: disciplina del piano con classi e omologazione, richiesta attestazione veridicità e fattibilità); art. 342 (Falso in attestazioni e relazioni: fattispecie penale sostitutiva del previgente art. 236-bis l.f., punisce l’attestatore per informazioni false od omesse con riguardo a dati di piano). (Pubblicato in G.U. n.38 del 14-02-2019 – entrata in vigore definitiva il 15-07-2022, come modificato dai Decreti Correttivi n. 147/2020 e n. 83/2022.)
- Codice Civile – Art. 2399 c.c.: cause di ineleggibilità e decadenza dei sindaci (richiamato per i requisiti di indipendenza dell’attestatore). Ad esempio, non possono essere sindaci (e quindi, per rinvio, attestatori) i parenti entro il 4° grado degli amministratori, chi è legato alla società o alle sue controllate da rapporto di lavoro, consulenza o altre relazioni economiche rilevanti, ecc. (R.D. 16-03-1942 n. 262 – Gazz. Uff. 4-4-1942, n.79.)
- Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) – (normativa previgente, per riferimento storico) Art. 67, comma 3, lett. d) l.f.: esenzione da revocatoria per atti compiuti in esecuzione di piani attestati di risanamento (precursore dell’art. 56 CCI); art. 161, 3° comma l.f.: necessità della relazione di un professionista in possesso dei requisiti di indipendenza (ex art. 67 l.f.) nel concordato preventivo; art. 182-bis l.f.: disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti e necessaria attestazione di veridicità e fattibilità; art. 236-bis l.f.: reato di falso in attestazioni e relazioni, introdotto dal DL 83/2012 (c.d. Decreto Sviluppo), puniva l’attestatore infedele con reclusione 2-5 anni e multa €50-100mila. (R.D. 267/1942, abrogato dal D.Lgs. 14/2019 a decorrere dal 15-07-2022.)
- Decreto Legislativo 17 giugno 2022, n. 83 – Secondo decreto correttivo del Codice della Crisi, ha introdotto il Capo I-bis nel Titolo IV, ossia gli artt. 64-bis e 64-ter CCI sul piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (attuazione parziale direttiva UE 2019/1023). Il comma 9 dell’art. 64-bis (come modificato dal D.Lgs. 13/09/2022, n. 136) richiama espressamente l’applicazione delle norme su attestazione (art. 87 CCI per concordati) anche a tale piano. Inoltre il D.Lgs. 83/2022 ha modificato l’art. 63 CCI introducendo il cram down fiscale: il debitore può proporre transazione fiscale prima dell’omologazione, allegando attestazione indipendente sul trattamento non deteriore dei crediti tributari.
- Principi di attestazione dei piani di risanamento – Linee guida elaborate dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti (FNC) e dal CNDCEC, documento del 2022. Non sono fonte normativa vincolante, ma rappresentano dottrina autorevole e best practice. Tra i punti salienti: l’attestatore deve dichiarare nell’accettazione dell’incarico il possesso dei requisiti e l’assenza di conflitti; deve applicare tecniche di revisione adeguate allo scopo, pur non essendo tenuto a seguire integralmente gli ISA Italia (data la natura particolare delle situazioni di crisi); vengono suggeriti schemi per la relazione (struttura, contenuti minimi) e raccomandazioni etiche (trasparenza, conservazione della documentazione di supporto). (Pubblicati FNC – Documento del 8 maggio 2024, aggiornando la versione 2017, reperibile sul sito FNC.)
- Sentenze e giurisprudenza recente (Corti Italiane):
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521: chiarisce il rapporto tra attestatore e controllo del giudice nel concordato preventivo. Principio di diritto: il giudice può valutare la fattibilità del piano e discostarsi dal giudizio dell’attestatore in caso di manifesta inattuabilità, distinguendo tra fattibilità giuridica (sempre sindacabile) e fattibilità economica (limite del sindacato se non manifesta). Estende tale approccio ai piani attestati ex art. 67 l.f. (oggi art. 56 CCI).
- Cassazione Civile, Sez. I, 29 dicembre 2023, n. 36401: caso di omissione informativa da parte dell’attestatore nel concordato. La Corte ha affermato che l’attestatore deve fornire ai creditori un’informazione completa, includendo gli eventi antecedenti prossimi che hanno inciso sul patrimonio. L’omessa segnalazione di fatti rilevanti (nel caso, prelievi indebiti dell’imprenditore) rende l’attestazione carente e determina l’inammissibilità del concordato. Principio: l’attestatore deve segnalare anche fatti solo potenzialmente influenti, senza filtrare in base alla recuperabilità. (Vicenda correlata a possibili profili penali ex art. 236-bis l.f.).
- Cassazione Civile, Sez. I, 22 luglio 2024, n. 20059: importante pronuncia sui requisiti d’indipendenza dell’attestatore. Ha stabilito che qualsiasi rapporto professionale intrattenuto col debitore nel quinquennio precedente, anche occasionale e non continuativo, fa venir meno l’indipendenza ex art. 67, co.3, lett. d) l.f. e 2399 c.c.. Nel caso concreto, l’attestatore aveva ricevuto un incarico una tantum (perizia giurata) 4 anni prima: la S.C. ha cassato la decisione di merito che lo riteneva irrilevante, affermando la presunzione di non indipendenza anche in tale ipotesi. Questa ordinanza (Pres. Cristiano, rel. Abete) uniforma la prassi: tolleranza zero sui rapporti <5 anni.
- Cassazione Penale, Sez. V, 24 novembre 2016, n. 52316: (precedente su art. 236-bis l.f.) conferma la condanna di un attestatore per falso in attestazioni in un concordato. Ribadisce che l’attestatore risponde ex art. 236-bis l.f. e non come pubblico ufficiale, essendo figura di ausilio tecnico; chiarisce che anche l’omettere circostanze dovute integra il reato. (Massimata in dottrina: cfr. diritto.it n. 236/2017).
- Tribunale di Milano, Sez. Fallimentare, decreto 28 luglio 2020: (esempio di merito) ha dichiarato inammissibile un concordato perché l’attestatore non era indipendente, avendo svolto attività di advisory continuativa per il debitore sino a poco tempo prima. Il Tribunale ha applicato rigidamente i requisiti ex art. 2399 c.c. e 67 l.f., rilevando che l’imparzialità dell’attestatore era compromessa (interessante anche perché precorre Cass. 20059/2024).
- Corte di Cassazione, Sez. I, 7 luglio 2015, n. 14082: in tema di convenienza della proposta concordataria e ruolo dell’attestatore – sebbene focalizzata su altro (competenza del tribunale su convenienza per creditori dissenzienti), richiama che l’attestatore deve attestare che i creditori estranei ad ADR o dissenzienti in concordato non siano pregiudicati rispetto all’alternativa liquidatoria (concetto poi normativizzato nel CCI per ADR e piani omologati).
(Le sentenze di Cassazione sono pubblicate sulle banche dati ufficiali e riviste giuridiche: es. Cass. civ. Sez. I, 29-12-2023, n. 36401, disponibile su Diritto Bancario; Cass. civ. Sez. I, 22-07-2024, n. 20059, pubblicata su IlCaso.it e Diritto della Crisi; Cass. civ. SS.UU. 23-01-2013, n. 1521, in Il Caso (massime) e su riviste fallimentari 2013; Cass. pen. Sez. V, 31-10-2016 (dep.24-11-2016), n.52316, in CED Cass. pen. 268199. Etc.)
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Conclusione
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