Hai sottoscritto un leasing per la tua azienda o per un bene personale, ma ora non riesci più a sostenere le rate e temi che possa scattare una procedura legale? Ti stai chiedendo cosa succede se non paghi il leasing, se il bene ti viene tolto subito o se resti comunque obbligato a pagare il debito residuo?
Il leasing è un contratto rigido: offre vantaggi operativi e fiscali, ma comporta anche obblighi precisi. E quando il conduttore – cioè tu – non rispetta il piano di pagamento, la conseguenza non è solo la perdita del bene, ma anche il rischio di dover pagare le rate mancanti più i danni.
Vediamo insieme cosa succede in caso di interruzione del leasing, quali tutele hai e come possiamo aiutarti a gestire la situazione evitando il peggio.
Cosa si intende per inadempienza nel leasing?
L’inadempienza si verifica quando non paghi una o più rate del canone di leasing. Di solito, è previsto un termine per rimediare, ma se il ritardo persiste, la società di leasing può:
- risolvere il contratto per inadempienza;
- richiedere la restituzione immediata del bene (auto, macchinari, immobili…);
- pretendere il pagamento delle rate residue, detratto il valore recuperato con la rivendita del bene, più penali e spese.
Quindi anche se restituisci il bene, il debito resta?
Sì. Una delle parti più insidiose del leasing è che, dopo la risoluzione anticipata, il bene non ti appartiene, ma non sei automaticamente liberato dal debito. L’intero importo del contratto, al netto di quanto la società incassa dalla rivendita del bene, può ancora esserti richiesto.
Cosa puoi fare per evitare il danno economico?
Hai alcune opzioni, a seconda della tua situazione:
- Trattativa stragiudiziale con la società di leasing per una chiusura anticipata concordata;
- Piano di rientro con rate più sostenibili;
- In caso di crisi d’impresa o sovraindebitamento, valutare procedimenti di composizione della crisi per bloccare la risoluzione e ristrutturare il debito;
- Accordo di saldo e stralcio, se possibile, per ridurre l’importo dovuto.
E se l’azienda è in difficoltà e non può più proseguire?
In quel caso, ci sono strumenti legali che permettono di sospendere le azioni esecutive, negoziare con la società di leasing e inserire il contratto tra quelli oggetto di ristrutturazione o liquidazione controllata. Questo vale anche per le ditte individuali e i professionisti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contratti di leasing, contenzioso commerciale e crisi d’impresa – ti spiega cosa comporta interrompere un leasing, cosa può chiederti la società e come possiamo aiutarti a tutelarti.
Hai un contratto di leasing che non riesci più a sostenere? Vuoi sapere come chiuderlo senza subire danni gravi o azioni legali?
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Introduzione
Interrompere un contratto di leasing (locazione finanziaria) prima della sua scadenza naturale – soprattutto a causa di inadempimento del debitore/utilizzatore – comporta una serie di conseguenze legali, economiche, fiscali e contabili. Il leasing finanziario è un’operazione in cui un soggetto (concedente, tipicamente una banca o società finanziaria) acquista o fa costruire un bene, su scelta di un altro soggetto (utilizzatore, il “debitore” nel contratto), e glielo concede per un periodo determinato dietro pagamento di canoni periodici, riconoscendo all’utilizzatore la facoltà di acquistare il bene alla fine (diritto di opzione) dietro versamento di un prezzo prestabilito. Questo strumento, largamente utilizzato da imprese e professionisti per finanziare beni strumentali (macchinari, veicoli, immobili, ecc.), coinvolge diverse aree del diritto: contrattuale, fallimentare, tributario e contabile.
Quando il leasing viene risolto anticipatamente per inadempimento (cioè per mancato pagamento dei canoni o altre violazioni contrattuali da parte dell’utilizzatore), si attiva una complessa disciplina volta a riequilibrare il rapporto tra concedente e utilizzatore e ad evitare arricchimenti ingiustificati. Negli ultimi anni la materia è stata oggetto di importanti interventi normativi e giurisprudenziali in Italia, culminati con la Legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza) e con pronunce della Corte di Cassazione fino al 2024. In questa guida, aggiornata a giugno 2025, verranno analizzate in dettaglio tutte le implicazioni della risoluzione anticipata del leasing per inadempimento dal punto di vista del debitore (utilizzatore), con riferimento a tutti i tipi di leasing (finanziario, operativo, traslativo, di godimento, leasing immobiliare, leasing di autoveicoli, ecc.) e a tutte le categorie di debitori (consumatori, professionisti, imprese, anche in caso di insolvenza). Verranno esaminati i profili normativi di diritto civile e fallimentare, gli orientamenti giurisprudenziali più recenti (con richiamo a sentenze aggiornate), nonché le conseguenze fiscali e contabili dell’inadempimento. Inoltre, la guida include tabelle riepilogative, casi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti, in un linguaggio giuridico ma dal taglio divulgativo, adatto sia ai professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia ai privati e imprenditori che vogliono comprendere cosa accade quando “saltano” i pagamenti di un leasing.
Tipologie di Leasing e Differenze Rilevanti
Prima di affrontare le conseguenze dell’inadempimento, è utile chiarire le diverse tipologie di leasing, poiché la qualificazione del contratto può influire sul regime applicabile. In Italia il leasing finanziario è stato a lungo un contratto atipico (cioè non espressamente regolato dal codice civile), e la prassi giurisprudenziale ha distinto due sottocategorie di leasing finanziario: il leasing di godimento e il leasing traslativo.
- Leasing di godimento: ha per oggetto beni che si prevede verranno utilizzati per l’intera durata del contratto e che alla fine avranno un valore residuo modesto. In questi casi l’utilizzatore verosimilmente non avrà interesse ad esercitare l’opzione di acquisto finale, poiché il bene a fine contratto vale poco più (o anche meno) del prezzo pattuito per il riscatto. Esempi tipici possono essere beni tecnologici soggetti a rapida obsolescenza o beni consumabili.
- Leasing traslativo: riguarda beni la cui vita economica è significativamente più lunga della durata contrattuale e che conservano a fine leasing un valore residuo rilevante. L’utilizzatore, prevedendo che a fine contratto il bene avrà ancora un valore superiore al prezzo di riscatto, ha interesse ad acquisirne la proprietà esercitando l’opzione finale. In questo caso, i canoni periodici sono di regola calibrati in modo tale da comprendere, in parte, anche una quota del prezzo di futuro trasferimento del bene. Si pensi, ad esempio, al leasing di macchinari industriali, automezzi o immobili che mantengono valore nel tempo.
Accanto a queste categorie giurisprudenziali, occorre menzionare altre forme contrattuali correlate:
- Leasing finanziario vs leasing operativo: Nel leasing finanziario in senso stretto (disciplinato dalla L.124/2017) il concedente è una banca o intermediario finanziario iscritto in albo, che non è il produttore del bene, e il contratto prevede normalmente il riscatto finale. Il leasing operativo, invece, è tipicamente offerto direttamente dal produttore o fornitore del bene (o da una società specializzata), spesso per beni a rapida sostituzione (es. apparecchiature informatiche, veicoli a noleggio a lungo termine). Nel leasing operativo l’utilizzatore paga un canone per l’uso del bene, ma non assume tutti i rischi e benefici connessi alla proprietà e spesso non è prevista una opzione di acquisto a un prezzo simbolico (il bene può essere restituito o rinnovato). In altre parole, il leasing operativo si avvicina di più a un noleggio: i canoni coprono l’uso e spesso servizi accessori (manutenzione, assistenza), e il valore residuo del bene non incide in modo determinante sul contratto.
- Leasing immobiliare: contratto di leasing avente ad oggetto beni immobili. Può avere finalità commerciali (immobile strumentale per l’impresa) oppure residenziali (es. leasing prima casa, introdotto con la legge n.208/2015). Il leasing immobiliare rientra solitamente nel leasing finanziario; per i leasing immobiliari adibiti ad abitazione principale esiste una disciplina speciale (es. possibilità di sospendere i pagamenti per 12 mesi in caso di perdita del lavoro, ex L.208/2015, art.1 co.76-81).
- Sale and lease-back: operazione in cui un’impresa vende un proprio bene a una società di leasing che contestualmente glielo concede in leasing. Anche questo è un leasing finanziario; in caso di risoluzione per inadempimento l’impresa-utilizzatore rischia di perdere il bene ceduto e dover comunque pagare le somme dovute.
Queste distinzioni sono rilevanti perché, storicamente, prima della riforma del 2017, le conseguenze della risoluzione anticipata differivano a seconda che il leasing fosse considerato di godimento o traslativo. La giurisprudenza, in mancanza di una disciplina ad hoc, applicava per analogia regole codicistiche differenti per riequilibrare il rapporto risolto ed evitare che il concedente ottenesse vantaggi eccessivi dal cumulo di bene ripreso e canoni incassati:
- Se leasing di godimento: si applicava analogicamente l’art. 1458, comma 1, seconda parte, c.c., relativo ai contratti di durata, per cui la risoluzione non ha effetto retroattivo sulle prestazioni già eseguite. In pratica, l’utilizzatore non poteva chiedere la restituzione dei canoni già pagati durante il rapporto. Il concedente tratteneva i canoni riscossi fino alla risoluzione (a titolo di corrispettivo per l’uso passato del bene), ma di regola non poteva pretendere anche quelli futuri, salvo diverso accordo contrattuale nei limiti della legge.
- Se leasing traslativo: si applicava per analogia l’art. 1526 c.c. (vendita con riserva di proprietà). Tale norma prevede, in caso di risoluzione per inadempimento dell’acquirente, che il venditore debba restituire le rate già incassate ma può trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno eventualmente pattuito (penale), soggetto però a possibile riduzione dal giudice se manifestamente eccessivo. Trasposto al leasing, ciò significava che il concedente avrebbe dovuto restituire all’utilizzatore i canoni riscossi, trattenendo una somma a titolo di indennizzo per l’uso e l’eventuale penale contrattuale (che il giudice potrebbe ridurre se troppo elevata). In alternativa alla restituzione in forma di denaro, dottrina e giurisprudenza individuavano una soluzione pratica: il concedente, ripreso il bene, poteva trattenere i canoni incassati imputandoli a equo compenso, e doveva restituire l’eventuale eccedenza dopo aver venduto o valutato il bene. In sostanza, al concedente spettava il valore del bene (riacquisito) più un compenso per l’uso, mentre l’utilizzatore non perdeva sia i soldi pagati che il bene senza contropartita.
Queste regole di origine giurisprudenziale, tuttavia, si applicavano solo ai contratti conclusi e risolti prima della riforma del 2017, e solo in assenza di diverse pattuizioni contrattuali valide. Come vedremo, la Legge n.124/2017 ha introdotto una disciplina legislativa organica del leasing finanziario – valida pro futuro – che in parte supera la distinzione godimento/traslativo prevedendo un meccanismo uniforme di riequilibrio in caso di risoluzione per inadempimento.
La Disciplina Introdotta dalla Legge 124/2017
La Legge 4 agosto 2017, n. 124 (art.1 commi 136-140) ha finalmente tipizzato il contratto di locazione finanziaria (leasing finanziario) nel nostro ordinamento e ne ha disciplinato in maniera dettagliata gli effetti della risoluzione per inadempimento. Questa legge, entrata in vigore il 29 agosto 2017, ha portata innovativa ma non retroattiva: si applica ai contratti di leasing finanziario i cui presupposti di risoluzione (cioè il grave inadempimento dell’utilizzatore) si siano verificati dopo la sua entrata in vigore. Pertanto:
- Per le risoluzioni avvenute prima del 29 agosto 2017, continuano ad applicarsi le regole previgenti di origine giurisprudenziale. In tali casi resta valida la distinzione tra leasing di godimento e traslativo, con applicazione analogica dell’art.1526 c.c. al leasing traslativo. Questo vale anche se la risoluzione è stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore (come confermato dalle Sezioni Unite Cass. 2061/2021), non potendosi applicare retroattivamente né per analogia la nuova disciplina né l’art.72-quater legge fallimentare.
- Per le risoluzioni i cui presupposti si verificano dopo il 29 agosto 2017, si applica la nuova disciplina unitaria dell’art.1 commi 136-140 L.124/2017. In questi casi non rileva più la vecchia distinzione godimento/traslativo: il contratto rientra nella definizione legale di leasing finanziario e si segue il regime previsto dalla legge.
Vediamo nel dettaglio i contenuti salienti di questa riforma, confrontandoli quando opportuno con la disciplina anteriore:
Definizione di leasing finanziario (comma 136): Il legislatore ha fornito per la prima volta una definizione generale: il leasing finanziario è il contratto con cui una banca o intermediario finanziario iscritto all’albo ex art.106 TUB acquista (o fa costruire) un bene, su scelta e indicazione dell’utilizzatore, mettendolo a disposizione di quest’ultimo per un tempo determinato verso un canone, assumendo l’utilizzatore tutti i rischi anche di perimento del bene, e riconoscendogli alla scadenza il diritto di acquistare la proprietà a un prezzo prestabilito, ovvero l’obbligo di restituirlo se non esercita tale diritto. Questa definizione normativa ricalca in buona parte quella già delineata dalla prassi e in precedenti interventi (come la legge di stabilità 2016 per il leasing abitativo), ribadendo elementi chiave: la figura del concedente finanziario, la scelta del bene da parte dell’utilizzatore e l’assunzione in capo a quest’ultimo di tutti i rischi (anche il perimento accidentale del bene). Quest’ultimo aspetto comporta, ad esempio, che eventuali vizi o problemi del bene non esimono l’utilizzatore dall’obbligo di pagare i canoni, dovendo rivalersi semmai sul fornitore; inoltre, l’utilizzatore sopporta il rischio di furto o distruzione (tipicamente mitigato dalla previsione di coperture assicurative obbligatorie nel contratto).
Grave inadempimento e soglia di tolleranza (comma 137): La legge stabilisce una soglia quantitativa oltre la quale il mancato pagamento dei canoni costituisce grave inadempimento dell’utilizzatore, legittimando la risoluzione. In particolare, si considera grave l’inadempimento quando l’utilizzatore ometta il pagamento di almeno sei canoni mensili (o due canoni trimestrali, anche non consecutivi) nel leasing immobiliare, ovvero di almeno quattro canoni mensili (anche non consecutivi) nei leasing aventi ad oggetto altri beni, o per importi equivalenti. Questa predeterminazione legale sostituisce la valutazione discrezionale del giudice ex art.1455 c.c.: se il mancato pagamento raggiunge queste soglie, la gravità è presunta ex lege. Viceversa, un inadempimento inferiore potrebbe non legittimare la risoluzione immediata per grave inadempimento, a meno che il contratto non contenga una clausola risolutiva espressa e il giudice ne valuti caso per caso la rilevanza (per i contratti soggetti alla legge 124, tuttavia, il parametro è vincolante). In sostanza: dopo la riforma, il concedente può attivare la risoluzione per inadempimento solo al superamento di dette soglie (p.es., nel leasing di un macchinario se l’utilizzatore salta 4 rate mensili). Ciò introduce una tutela minima per il debitore, impedendo la risoluzione per ritardi di scarsa entità (ad es. 1–2 canoni non pagati) e uniformando la nozione di “grave inadempimento” nel leasing finanziario.
Effetti della risoluzione per inadempimento (comma 138): Una volta risolto il contratto per grave inadempimento dell’utilizzatore, la legge del 2017 delinea con precisione i reciproci obblighi economici delle parti, adottando un meccanismo che riecheggia quello di cui all’art.1526 c.c. ma in forma più dettagliata. In caso di risoluzione il concedente ha diritto alla restituzione del bene da parte dell’utilizzatore (il quale perde quindi la disponibilità del bene in leasing). Contestualmente, però, il concedente deve calcolare il saldo dare-avere col cliente secondo questa formula:
- Il concedente tratterrà: una somma pari ai canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione + i canoni a scadere (soltanto quota capitale) che sarebbero maturati da lì a fine contratto + il prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto + le spese anticipate dal concedente per il recupero, la stima e la conservazione del bene. Queste voci rappresentano, in sostanza, il credito del concedente verso l’utilizzatore per capitale residuo e costi.
- Il concedente, d’altro canto, è tenuto a corrispondere all’utilizzatore tutto quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene a valori di mercato, dedotte le somme sopra elencate. In altri termini, il concedente deve sottrarre dal suo credito (canoni non pagati + capitale residuo + opzione + spese) l’importo netto che ottiene ricollocando il bene sul mercato. Se dalla vendita/ricollocazione risulta un importo superiore al credito del concedente, la differenza positiva va restituita all’utilizzatore. Se invece risulta un importo inferiore, rimane un debito residuo dell’utilizzatore verso il concedente per la differenza (differenza negativa).
In formula semplificata:
Importo dovuto dall’utilizzatore = (canoni scaduti non pagati) + (canoni a scadere, capitale) + (prezzo opzione finale) + (spese recupero) – (ricavato netto vendita/riassegnazione bene).
Se questo importo è positivo (differenza negativa), l’utilizzatore deve pagarlo al concedente; se è negativo (eccedenza di ricavato), il concedente deve restituire l’eccedenza all’utilizzatore.
Questo meccanismo legislativo ricalca il cosiddetto “patto marciano” in ambito di garanzie: si evita che il creditore (concedente) possa arricchirsi oltre il proprio credito, dovendo restituire l’eventuale surplus di valore. Non è più ammesso che il concedente, a seguito della risoluzione, tenga per sé sia il bene sia tutti i canoni riscossi e a scadere senza conguaglio – ciò costituirebbe un evidente ingiustificato arricchimento, vietato dalla nuova disciplina (e, del resto, già censurato dalla giurisprudenza anche prima della riforma). In definitiva, col leasing risolto il bene torna al concedente (che ne dispone liberamente), ma l’utilizzatore paga solo il dovuto al netto del valore recuperato dal bene stesso.
Procedura di vendita o ricollocazione del bene (comma 139): La legge impone al concedente criteri di trasparenza e correttezza nella valorizzazione del bene: la vendita o ricollocazione deve avvenire sulla base dei valori di mercato risultanti da pubbliche rilevazioni di operatori specializzati oppure, se non disponibili, tramite stima di un perito indipendente. L’utilizzatore ha diritto ad essere informato e, in caso di nomina di un perito, può indicare una preferenza tra una rosa di esperti proposta dal concedente. Inoltre, il concedente deve adottare modalità di realizzo improntate a celerità, pubblicità e ricerca del migliore offerente, informando l’utilizzatore delle operazioni di vendita. Queste previsioni tutelano l’utilizzatore dal rischio che il concedente svenda il bene “a prezzo vile”: il valore di realizzo deve essere allineato al mercato e, qualora il concedente venda negligentemente il bene a un prezzo irrisorio, potrà essergli imputata responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c. (concorso nel aggravamento del danno). In pratica, se il concedente non ottiene un prezzo congruo, dovrà comunque imputare in detrazione il fair value del bene (come se venduto correttamente) e non potrà addossare all’utilizzatore la parte di perdita dovuta a propria negligenza.
Rapporti con altre normative (comma 140): La legge chiarisce che restano ferme le disposizioni speciali in materia fallimentare (art. 72-quater l.f. per i leasing in caso di fallimento dell’utilizzatore, ora trasfuso nel nuovo Codice della Crisi) e le disposizioni specifiche per i leasing abitativi della legge 208/2015. Ciò significa che se interviene il fallimento (o altra procedura concorsuale) dell’utilizzatore, trovano applicazione le regole peculiari di quella sede – di cui diremo più avanti – in coordinamento con quanto sopra.
Clausole contrattuali: La riforma del 2017, pur introducendo norme imperative, non vieta ai contratti di prevedere clausole particolari purché coerenti con lo schema legale. Ad esempio, è frequente nei contratti di leasing finanziario la previsione di una clausola risolutiva espressa che consente al concedente di risolvere di diritto il contratto al verificarsi del grave inadempimento (ora definito ex lege in 4 o 6 rate non pagate). Tali clausole sono lecite e accelerano la risoluzione senza necessità di pronuncia giudiziale (fermo restando che spesso, per ottenere il titolo esecutivo per il rilascio del bene e il pagamento, il concedente si rivolge comunque al giudice). Inoltre, molti contratti prevedono un “patto di deduzione” o clausola penale che stabilisce cosa spetta al concedente in caso di risoluzione: di solito il pagamento di tutti i canoni scaduti e a scadere, attualizzati, detratto quanto ricavato dalla ricollocazione del bene. Ebbene, la Cassazione ha confermato la validità di tali patti, evidenziando però che devono essere interpretati e applicati secondo buona fede e correttezza. In particolare, la Suprema Corte (Cass. civ. 19/09/2024 n.25199) ha ribadito che è valida la clausola del leasing traslativo che, in caso di risoluzione per inadempimento, attribuisce al concedente il diritto di esigere i canoni scaduti e quelli a scadere (scontati) previa detrazione del valore di mercato del bene al momento della risoluzione. È altresì valida la pattuizione che concede al concedente la facoltà di determinare unilateralmente il valore del bene da dedurre dal credito residuo, purché il concedente stesso operi tale stima secondo correttezza e buona fede, rivelandone il criterio in caso di contestazione, e restando a carico dell’utilizzatore l’onere di provare l’erroneità della stima. In ogni caso, come detto, il patto di deduzione (ossia il diritto del concedente di ottenere i canoni futuri attualizzati al netto di quanto ricavato dalla vendita) deve essere attuato con lealtà: se il bene è già venduto al momento dell’azione di recupero crediti, va sottratto il ricavato effettivo; se non è ancora venduto, va sottratto il valore commerciale equo stimato, evitando di pregiudicare l’utilizzatore con attese o svendite.
In sintesi, la L.124/2017 ha portato nel leasing finanziario un equilibrio tra le parti simile a quello garantito dall’art.1526 c.c. nel leasing traslativo, codificando l’obbligo di restituzione all’utilizzatore dell’eventuale surplus di valore del bene e fissando criteri certi per la risoluzione. Questo ha eliminato molte incertezze applicative del passato. Va però ribadito che tale disciplina si applica ai contratti di leasing finanziario conclusi dopo l’entrata in vigore (o comunque le cui risoluzioni siano successive): non ha effetto retroattivo. Dunque, per controversie relative a leasing risolti prima, continuano a rilevare i principi giurisprudenziali pre-riforma (distinzione godimento/traslativo, art.1526 c.c. per il traslativo), come affermato dalle Sez. Unite n.2061/2021 e confermato da Cass. n.28546/2024. Ciò significa, ad esempio, che se un leasing si è risolto nel 2016, il concedente non può trattenere tutto senza conguaglio: dovrà restituire quanto ricavato dal bene al netto di un equo compenso e dell’eventuale penale, secondo i criteri di equità elaborati dalla giurisprudenza (evitando ingiustificati arricchimenti).
Leasing non finanziari: E per i contratti di leasing operativo o altri schemi atipici non rientranti nella definizione di legge? In tali casi la disciplina della L.124/2017 non si applica direttamente (vale solo per leasing finanziari con concedente 106 TUB). Il leasing operativo rimane un contratto atipico disciplinato dalla volontà delle parti e dalle norme codicistiche generali. In caso di risoluzione per inadempimento di un leasing operativo, dunque, varranno le clausole contrattuali e, in mancanza, i principi generali sui contratti di durata e sul risarcimento del danno. Spesso i leasing operativi prevedono penali di recesso o di risoluzione (ad esempio il pagamento di una certa percentuale dei canoni residui). Tali clausole saranno valide nei limiti dell’art.1382 c.c. e riducibili se eccessive ai sensi dell’art.1384 c.c. (in particolare per contratti con consumatori, potrebbero essere sindacate come clausole vessatorie se sproporzionate). Tuttavia, poiché nel leasing operativo il bene di solito resta di proprietà del concedente senza aspettativa di trasferimento, non si pone una restituzione di canoni già goduti (che sono canoni di noleggio per l’uso passato); il concedente avrà diritto ai canoni scaduti e al risarcimento dell’eventuale maggior danno per l’anticipata cessazione (spesso forfettizzato nella penale).
Il Procedimento di Risoluzione e Reintegra del Bene
Quando si verifica un grave inadempimento dell’utilizzatore (nei termini visti sopra), il concedente può attivare la risoluzione del contratto di leasing. Sul piano pratico, ciò avviene di solito mediante l’invio all’utilizzatore di una comunicazione formale (diffida) in cui si contesta l’inadempimento e si dichiara di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (se presente) o comunque si comunica la risoluzione del contratto ai sensi di legge. Spesso i contratti di leasing prevedono un termine di tolleranza o grazia (es. 1 o 2 mesi) entro cui l’utilizzatore può regolarizzare i pagamenti prima che scatti definitivamente la risoluzione. Decorso tale termine senza rimedio, il contratto si intende risolto.
Dal momento della risoluzione, l’utilizzatore perde il diritto di godimento del bene e sorge l’obbligo di restituirlo immediatamente al concedente (che ne è proprietario). Se l’utilizzatore non provvede spontaneamente alla riconsegna, il concedente dovrà attivarsi per ottenerla in via giudiziale. Tipicamente, il concedente presenta un ricorso per decreto ingiuntivo ex art.633 c.p.c. chiedendo contestualmente sia l’ingiunzione di pagamento delle somme dovute sia l’ingiunzione di consegna del bene. I contratti di leasing prevedono spesso la competenza territoriale di un determinato foro e una clausola ex art. 642 c.p.c. per l’esecutorietà provvisoria del decreto, così da consentire al concedente di agire immediatamente. In un caso recente, ad esempio, il Tribunale di Milano ha confermato un decreto ingiuntivo con cui si intimava all’utilizzatore moroso la restituzione immediata del bene in leasing, rilevando che la mancata contestazione specifica dell’inadempimento rendeva superfluo ogni ulteriore accertamento sulla gravità. Una volta ottenuto il decreto ingiuntivo (spesso già provvisoriamente esecutivo), il concedente può procedere con esecuzione forzata per il rilascio/consegna del bene, eventualmente avvalendosi di un ufficiale giudiziario. Vista la natura dei beni (p.es. autoveicoli, macchinari), talvolta si attivano procedure di ricerca e pignoramento mobiliare per recuperare il cespite. In casi estremi, il rifiuto dell’utilizzatore di restituire il bene potrebbe integrare anche ipotesi di reato (es. appropriazione indebita), ma in genere si resta in sede civile.
Durante questo periodo, l’utilizzatore che detiene ancora il bene senza titolo può essere tenuto a risarcire danni da ritardata restituzione o a corrispondere un’indennità di occupazione/utilizzo. Alcuni contratti prevedono espressamente che, in caso di ritardo nella riconsegna, l’utilizzatore paghi una somma giornaliera o mensile a titolo di indennità fino alla restituzione effettiva.
Una volta riottenuto il bene, il concedente procede, come da obbligo legale, alla vendita o ricollocazione del medesimo secondo i criteri di cui al comma 139 (valutazione di mercato o perizia, informativa all’utilizzatore, etc.). È interesse del concedente massimizzare il ricavato, perché come visto l’importo si detrae dal credito dovuto dall’utilizzatore. L’utilizzatore può cercare di facilitare la vendita segnalando potenziali acquirenti o formulando osservazioni sulla valutazione, ma formalmente la gestione spetta al concedente (purché nei limiti di legge).
In alcuni casi, le parti possono anche addivenire a una soluzione transattiva: ad esempio l’utilizzatore potrebbe proporre di trovare egli stesso un acquirente per il bene (magari ottenendo un prezzo migliore) e concordare col leasing un importo saldo e stralcio a chiusura dell’esposizione. Oppure, se l’utilizzatore reperisce le risorse, può proporre di pagare i canoni arretrati e le spese per evitare la risoluzione (nel qual caso il concedente può rinunciare alla risoluzione e rinegoziare il contratto, magari allungandone la durata per ridurre i canoni). È bene sapere che, superata la soglia di grave inadempimento, il concedente ha diritto alla risoluzione, ma nulla vieta che accetti di rinegoziare o ristrutturare il debito del leasing per non dover recuperare e rivendere il bene (soprattutto se il bene potrebbe avere valore inferiore al credito). Dunque, dal punto di vista del debitore, comunicare tempestivamente col concedente e cercare un accordo può essere una strategia utile in situazioni di difficoltà temporanea, prima che la risoluzione sia conclamata.
Effetti Economici della Risoluzione per Inadempimento
Passiamo ora ad esaminare nel concreto cosa succede sul piano economico una volta che il leasing è risolto per inadempimento, riepilogando obblighi e diritti di ciascuna parte (concedente e utilizzatore) e come si determina il saldo finale.
Obblighi pecuniari e risarcitori
Dal lato del concedente (società di leasing), la risoluzione comporta innanzitutto il diritto di rientrare in possesso del bene concesso (come già visto) e di ottenere dall’utilizzatore il pagamento delle somme contrattualmente dovute. Queste includono:
- i canoni scaduti e rimasti impagati fino alla data della risoluzione;
- gli eventuali interessi moratori maturati su tali importi (di solito calcolati al tasso contrattuale convenuto, spesso un tasso di mora superiore al tasso leasing standard, purché entro limiti anti-usura);
- in base ai contratti e alla legge, anche i canoni non ancora scaduti (futuri) in linea capitale, attualizzati alla data di risoluzione (cioè scontati per tenere conto dell’anticipo nel pagamento);
- il prezzo di riscatto finale pattuito (che l’utilizzatore avrebbe dovuto pagare per acquistare il bene a fine contratto);
- le eventuali spese anticipate dal concedente per la gestione della risoluzione (costi di recupero e trasporto del bene, spese di perizia di stima, custodia, ecc. – queste voci devono essere documentate e ragionevoli).
Spesso i contratti riassumono tutto ciò definendolo come “importo residuo” o “importo a scadere” dovuto a titolo di penale/rimborso in caso di risoluzione anticipata. Come abbiamo visto, per i contratti dopo il 2017 questo importo deve poi essere ridotto di quanto il concedente ricava dal reimpiego del bene, secondo la formula legale.
Dal lato dell’utilizzatore (debitore), dunque, una volta restituito il bene, residua l’obbligo di pagare l’eventuale somma differenziale calcolata dal concedente. In pratica, l’utilizzatore dovrà versare la differenza tra il debito contrattuale (canoni scaduti + capitale residuo + opzione + spese) e il ricavato ottenuto dal concedente dal bene. Se il concedente ha già rivenduto il bene prima di agire legalmente, nell’ingiunzione di pagamento dovrà decurtare il ricavato effettivo ottenuto. Se invece all’epoca dell’azione legale il bene non è ancora venduto, il concedente deve comunque indicare una stima del valore di mercato e sottrarre tale valore dal proprio credito – ed eventualmente, dopo la vendita effettiva, dovrà restituire all’utilizzatore la differenza se ha venduto a un prezzo maggiore della stima. Questo meccanismo garantisce che il debitore non paghi più di quanto dovuto netti degli asset recuperati.
È importante sottolineare che qualsiasi clausola contrattuale che desse al concedente più di quanto sopra (ad esempio, trattenere tutti i canoni futuri senza restituire nulla anche se il bene viene rivenduto a buon prezzo) sarebbe considerata nulla o comunque soggetta a riduzione per violazione di principi di ordine pubblico economico (divieto di patto commissorio, divieto di arricchimento indebito). La Cassazione ha esplicitamente affermato che la risoluzione del leasing non può comportare un ingiustificato arricchimento del concedente: questi deve restituire all’utilizzatore quanto ricavato dal bene detratti equo compenso e penali concordate, secondo lo schema dell’art.1526 c.c..
Penali e clausole di salvaguardia: Di solito nei contratti di leasing finanziario l’importo dei canoni futuri e del riscatto viene indicato come dovuto a titolo di penale per la risoluzione anticipata (patto di deduzione). Una penale di questo tipo – che può apparire molto gravosa perché di fatto equivale a dover pagare tutto il residuo del contratto – è però mitigata appunto dall’obbligo di dedurre il valore del bene. In quanto clausola penale, essa è soggetta all’eventuale controllo di equità del giudice (art.1384 c.c.), se ritenuta manifestamente eccessiva rispetto al danno effettivo. Ad esempio, se in un caso concreto il concedente, sommando tutti gli elementi, realizzasse dalla risoluzione una somma ben superiore al danno subito (magari perché il bene ha mantenuto gran parte del valore e i canoni coprono quasi interamente il prezzo), il giudice potrebbe ridurre la penale. La L.124/2017 tuttavia ha reso più oggettivo il calcolo, per cui di norma la penale contrattuale coincidente con i canoni residui al netto del ricavato non dovrebbe risultare eccessiva, essendo concepita per ristorare il concedente del mancato guadagno.
Esempio pratico: Tizio ha in leasing un macchinario del valore iniziale di €100.000 + IVA, durata 5 anni, canoni mensili €1.500 + riscatto finale €10.000. Dopo 3 anni Tizio non paga più (ha già pagato 36 canoni, gliene mancano 24). Il concedente risolve il contratto. I canoni scaduti e impagati poniamo siano 4 (€6.000 in totale) e i canoni a scadere 24 per complessivi €36.000 di quota capitale (semplifichiamo senza attualizzazione). Riscatto €10.000. Totale credito lordo = €6.000 + €36.000 + €10.000 = €52.000, più poniamo €2.000 di spese (recupero bene, perizia, ecc.) = €54.000. Ora, il concedente recupera il macchinario, lo fa stimare e/o lo vende: supponiamo che ricavi €40.000 netti. Tale importo va dedotto: €54.000 – €40.000 = €14.000. Questa sarà la somma che Tizio dovrà versare al concedente a saldo della sua posizione. Se invece il macchinario fosse rivenduto a €60.000 (ipotesi di valore superiore al previsto), il calcolo darebbe €54.000 – €60.000 = –€6.000: valore negativo significa che il concedente ha incassato più del dovuto, quindi dovrà restituire €6.000 a Tizio. Nella pratica, quest’ultimo caso è meno comune (solitamente il bene usato si svaluta, difficilmente eccede il debito residuo), ma è esattamente lo scenario in cui la legge impedisce al leasing di arricchirsi ingiustamente obbligandolo al conguaglio verso l’utilizzatore.
Effetti per l’utilizzatore – Debitore
Dal punto di vista del debitore, la risoluzione del leasing comporta essenzialmente: perdita del bene e debito residuo da pagare. Approfondiamo i vari profili:
- Perdita del diritto all’utilizzo e opzione: L’utilizzatore deve restituire il bene e perde la possibilità di acquistarlo in proprietà (diritto di opzione). Se aveva già versato molti canoni o un anticipo consistente (maxicanone iniziale), può trovarsi nell’amara situazione di aver pagato una parte rilevante del valore e tuttavia di non potersi tenere il bene. Questo è un esito tipico dell’inadempimento: ad esempio, nel leasing auto spesso è previsto un anticipo (maxirata iniziale) e se il contratto viene risolto dopo tale anticipo, l’utilizzatore non lo recupera (salvo gli effetti dell’eventuale rivendita auto nel conguaglio). È importante capire che tutti i canoni pagati prima della risoluzione restano acquisiti al concedente, salvo che nel calcolo finale (per contratti pre-2017 traslativi) risulti che debbano in parte essere restituiti perché eccedenti equo compenso. In pratica, quanto pagato per il passato non viene restituito (serviva a pagare l’uso del bene per il periodo goduto). Solo se quei pagamenti superavano il danno del concedente, vi può essere una restituzione. Per contratti recenti, come abbiamo visto, la restituzione avviene solo se il ricavato del bene più i canoni già incassati superano il credito.
- Esposizione debitoria residua: L’utilizzatore, dopo la risoluzione, riceverà dal concedente (o dal tribunale, via decreto ingiuntivo) la richiesta di pagamento delle somme dovute. Nella maggior parte dei casi, specie per beni che si svalutano rapidamente, ci sarà un debito residuo da pagare (per coprire la differenza tra credito e ricavato). Questo debito ha natura di risarcimento/penale per l’inadempimento contrattuale. Se l’utilizzatore non paga spontaneamente, il concedente potrà agire esecutivamente (pignoramenti) per recuperarlo. Sul debito decorreranno interessi (spesso interessi moratori contrattuali fino al saldo). È bene notare che il concedente, per precauzione, spesso richiede al momento del contratto ulteriori garanzie – ad esempio un fideiussore (garante) o una polizza assicurativa a copertura del rischio di insolvenza. In caso di mancato pagamento, tali garanzie verranno escusse: il fideiussore dovrà pagare al posto dell’utilizzatore, rivolgendo poi a quest’ultimo le proprie pretese.
- Possibile recupero di surplus: Come evidenziato, se il valore del bene risultasse superiore al debito, l’utilizzatore potrebbe aver diritto a un rimborso. Ciò potrebbe accadere ad esempio in contratti quasi a termine: se mancavano poche rate e il bene è ancora di valore, la rivendita potrebbe coprire tutto e lasciare uno scarto a favore del cliente. In passato, prima della riforma, vi sono stati contenziosi proprio per ottenere la restituzione di somme in queste situazioni: ora la legge lo prevede espressamente. Dunque dal punto di vista del debitore, è importante monitorare il processo di rivendita del bene e pretendere (se del caso) l’eventuale eccedenza.
- Riduzione della penale ex art.1384 c.c.: Qualora la somma richiesta dal concedente apparisse eccessiva rispetto al suo effettivo pregiudizio, l’utilizzatore (specie se consumatore o piccola impresa) può chiedere giudizialmente la riduzione della penale. Ad esempio, se il concedente ha già ricollocato il bene con perdita minima ma insiste nel chiedere all’utilizzatore l’intero ammontare di tutte le rate future come penale, il giudice potrebbe ricalibrare l’importo dovuto. Le clausole penali “in deroga” alla legge (cioè che non prevedono restituzione alcuna) nei contratti conclusi prima del 2017 sono state spesso disapplicate dai giudici in favore dell’applicazione analogica dell’art.1526. Per i nuovi contratti, dato che la legge stessa impone la deduzione del ricavato, tale intervento sarà raro, ma rimane teoricamente possibile se il criterio contrattuale adottato producesse un risultato scorretto. In ambito consumeristico, una clausola che facesse gravare sul consumatore inadempiente costi eccessivi potrebbe essere ritenuta vessatoria e quindi inefficace (si pensi a un leasing di consumo, es. leasing auto a un privato, con penale pari a tutte le rate senza restituzione di nulla).
- Danni ulteriori: Oltre ai canoni e penali pattuite, il concedente potrebbe chiedere il risarcimento di eventuali danni ulteriori provocati dall’utilizzatore. Ad esempio, se il bene restituito risulta danneggiato oltre il normale deperimento d’uso, o mancante di parti, il concedente può quantificare questi danni e richiederli (spesso vengono trattenuti dalla cauzione se c’è, oppure aggiunti al conteggio). Oppure, se l’utilizzatore ha causato ritardo che ha comportato spese aggiuntive (es. ha tenuto il bene 3 mesi in più prima di restituirlo, costringendo il concedente a costi legali e perdite di valore del bene), tali voci possono essere richieste come danno supplementare. In genere però, l’importo forfettario calcolato con i canoni residui copre anche questi aspetti, quindi raramente emergono danni extrapenale.
- Spese legali: L’utilizzatore inadempiente di solito viene condannato a rifondere al concedente anche le spese di giudizio per ottenimento di decreto ingiuntivo e procedura di recupero. Quindi al debito si aggiungeranno spese legali liquidate dal giudice.
In definitiva, dal punto di vista economico il debitore deve essere consapevole che l’interruzione del leasing comporta quasi sempre un esborso significativo: oltre ad aver già pagato vari canoni in passato (andati “persi” in caso di perdita del bene), dovrà presumibilmente pagare un importo finale a saldo. In altre parole, si paga per non avere più il bene, come effetto del recesso forzoso. Questo può essere molto penalizzante per chi aveva impostato investimenti contando di tenere il bene fino a riscatto. Ecco perché, qualora possibile, conviene considerare soluzioni alternative all’inadempimento – ad esempio cedere il contratto di leasing a un terzo subentrante prima che si arrivi alla risoluzione (spesso i contratti consentono la cessione con consenso del concedente), o trattare una riconsegna volontaria concordata del bene in cambio di una riduzione delle pretese (talvolta le società di leasing accettano la risoluzione consensuale con restituzione del bene e pagamento di una somma inferiore alle penali contrattuali, per chiudere rapidamente la posizione senza azioni legali).
Conseguenze in caso di insolvenza o fallimento del debitore
Se l’utilizzatore del leasing fallisce (o, nel nuovo Codice della Crisi, viene assoggettato a liquidazione giudiziale), il destino del leasing è regolato dall’art. 72-quater della legge fallimentare (R.D. 267/1942) – ora corrispondente negli artt. 177-179 del D.Lgs. 14/2019. In sintesi, se al momento del fallimento il contratto è ancora in corso (non era stato ancora risolto per inadempimento), il curatore fallimentare può decidere di sciogliersi dal contratto oppure di subentrare nel pagamento dei canoni. Di solito in fallimento si sceglie di sciogliere il contratto, restituendo il bene al leasing. In tal caso, il concedente ha diritto a insinuare al passivo un credito così calcolato: differenza tra il montante dei canoni a scadere (attualizzati) + prezzo riscatto – valore del bene (determinato secondo stima o ricavato dalla vendita). Questa regola è sostanzialmente analoga a quella vista (patto marciano), con l’ulteriore specificazione che il concedente deve indicare in domanda di ammissione al passivo il valore ricavato dalla ricollocazione o una stima attendibile di mercato. Se invece il contratto era già risolto prima della dichiarazione di fallimento, si applicano i principi ordinari: come affermato dalla Cassazione, anche in tale scenario (risoluzione pre-fallimentare) rimane ferma la distinzione leasing di godimento/traslativo per i vecchi contratti, con applicazione di art.1526 c.c. al traslativo, non potendosi applicare analogicamente l’art.72-quater l.f.. Dunque, il concedente dovrà insinuare il proprio credito tenendo conto di quanto ottenuto dalla vendita del bene, per evitare ingiustificato arricchimento, e il giudice delegato potrà valutare d’ufficio l’equità della penale eventualmente pretesa. Dal lato pratico per il debitore fallito, queste considerazioni rilevano per capire quanto del debito leasing rimane a suo carico (nel fallimento, i crediti non soddisfatti poi possono tradursi in esdebitazione a certe condizioni, ma questo esula dalla trattazione).
Se l’utilizzatore accede a procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (per soggetti non fallibili) o a un concordato preventivo, il trattamento dei contratti di leasing varia: ad esempio, nel concordato l’utilizzatore può proporre di continuare i pagamenti se il bene è essenziale, oppure prevedere la risoluzione e il soddisfo parziale del credito leasing. In ogni caso, il principio generale di calcolo del credito del concedente rimane quello di dedurre il valore del bene.
Conseguenze su eventuali garanzie
Spesso i leasing finanziari sono garantiti da polizze assicurative abbinate (ad esempio polizza credito per saldo leasing in caso di morte dell’utilizzatore, o polizze incendio/furto sul bene). In caso di risoluzione per inadempimento, tali polizze possono intervenire: la polizza credito (se attiva) potrebbe corrispondere alla società di leasing l’importo dovuto qualora l’inadempimento sia dovuto a determinati eventi coperti (es. decesso o invalidità del debitore). La polizza furto/incendio, se il bene è perito e l’assicurazione ha pagato un indennizzo, quell’indennizzo viene detratto dal dovuto. Inoltre, se vi era un deposito cauzionale versato dall’utilizzatore a inizio contratto, il concedente di solito lo trattiene e lo imputa a parziale copertura dei crediti (riducendo conseguentemente il debito residuo).
Profili Fiscali per l’Utilizzatore inadempiente
Oltre alle conseguenze civilistiche, l’interruzione di un leasing comporta effetti fiscali e contabili per l’utilizzatore (debitore), soprattutto se si tratta di un’impresa o professionista che aveva contabilizzato e dedotto i canoni di leasing.
Deducibilità dei canoni e norme fiscali di riferimento
In Italia, i canoni di leasing pagati dall’utilizzatore sono deducibili ai fini del reddito di impresa o di lavoro autonomo, a condizione che il contratto rispetti una certa durata minima fiscale. Questa regola mira a evitare che, tramite leasing di durata molto breve, si deduca troppo rapidamente il costo di un bene rispetto a quanto sarebbe avvenuto acquistandolo in proprietà (dove la deduzione avviene per ammortamento). Attualmente, l’art.102, comma 7 del TUIR (per le imprese, corrispondente all’art.54 co.2 TUIR per i professionisti) stabilisce che indipendentemente dalla durata contrattuale pattuita, la deduzione dei canoni di leasing deve essere ripartita su un periodo non inferiore alla metà del periodo di ammortamento del bene se mobile (secondo i coefficienti ministeriali) e non inferiore a 12 anni se trattasi di bene immobile. Ad esempio, se un macchinario ha un coefficiente di ammortamento al 20% (vita utile 5 anni), la metà è 2,5 anni: quindi il leasing deve durare almeno 2,5 anni; se dura meno, comunque i canoni vanno dedotti in almeno 2,5 anni. Per le autovetture (art.164 TUIR) la legge richiede una durata non inferiore al periodo di ammortamento pieno (normalmente 4 anni). Queste norme significano che l’impresa non può dedurre integralmente, ad esempio, un maxi-canone iniziale tutto nel primo anno se il contratto dura poco: deve spalmare la deduzione sull’arco minimo stabilito.
Cosa accade in caso di risoluzione anticipata? La risoluzione anticipata pone il problema dei canoni già dedotti e di quelli non ancora dedotti. Secondo l’Agenzia delle Entrate (Risoluzione Ministeriale 4.12.2000, n.183/E), l’eventuale cessazione anticipata non fa venire meno la deducibilità dei canoni già pagati e dedotti, purché il contratto originariamente prevedeva una durata non inferiore al minimo fiscale richiesto. In altre parole, se l’operazione di leasing era corretta sin dall’inizio come durata, la circostanza che si interrompa prima del previsto (per riscatto anticipato o anche per inadempimento) non configura un abuso né obbliga a riprendere a tassazione i canoni dedotti. La ratio è che la norma mirava ad evitare comportamenti elusivi ex ante, non a penalizzare chi per ragioni effettive interrompe il contratto. La stessa R.M.183/E/2000 – riferita al caso di riscatto anticipato volontario – conclude che tale evenienza comporta solo una riduzione del numero di canoni (perché il contratto finisce prima), ma non incide sull’importo dei canoni già dedotti, purché la durata contrattuale prevista rispettasse i minimi di legge. Questo principio viene ritenuto valido anche per la risoluzione per inadempimento: se l’utilizzatore ha dedotto regolarmente i canoni pagati fino alla risoluzione, non deve “restituire” nulla in termini fiscali.
Esempio: un professionista stipula un leasing strumentale di durata 8 anni (sopra il minimo richiesto di 7 anni, supponiamo). Deduce i canoni per 5 anni, poi il leasing si risolve anticipatamente. I canoni dei 5 anni rimangono dedotti validamente (nessuna variazione in aumento necessaria), mentre ovviamente non avrà più nulla da dedurre per gli anni successivi non essendoci più canoni. Se invece il contratto fosse stato più breve del minimo (caso oggi raro, perché in genere ci si attiene ai minimi), la deduzione era comunque già limitata ex lege in dichiarazione.
Canoni non ancora dedotti e penali: Se l’utilizzatore aveva riscontrato una deducibilità limitata (per es. maxi-canone iniziale spalmato su più anni fiscalmente), e il leasing si interrompe, occorre valutare come trattare la quota non ancora dedotta. In genere, in caso di riscatto anticipato con acquisto del bene, la quota di costi non ancora dedotti va a incrementare il costo fiscale del bene riscattato. Ma se il bene non viene riscattato (perché restituito), la parte di costo non dedotta potrebbe essere portata in deduzione come perdita. Su questo l’Agenzia in passato è stata possibilista: se un leasing si chiude anticipatamente senza acquisizione del bene, i costi residui non dedotti potrebbero dedursi nell’esercizio di risoluzione come componente negativo eccezionale (sopravvenienza passiva). Analogamente, eventuali penali o somme corrisposte a saldo dal debitore possono configurare costi deducibili nell’esercizio in cui sono pagate, in quanto oneri derivanti dalla chiusura del contratto.
IVA: I canoni di leasing sono gravati da IVA (trattandosi di prestazione di servizi relativa a bene). In caso di risoluzione, il concedente generalmente emette note di credito per i canoni addebitati e non riscossi, stornando l’IVA relativa. Se l’utilizzatore paga una penale o conguaglio finale, anche su tale importo di norma viene applicata l’IVA (in quanto considerato parte del corrispettivo contrattuale dovuto, non un mero risarcimento extra-contrattuale). L’IVA assolta sulle penali è anch’essa detraibile per l’utilizzatore se trattasi di soggetto IVA (impresa) e se inerente all’attività. Diverso è il caso in cui l’utilizzatore sia un privato consumatore: in tal caso l’IVA rappresenta un costo effettivo non recuperabile. Da notare che se al termine del rapporto il bene viene venduto dal concedente a un terzo, tale vendita sconterà l’IVA secondo le regole ordinarie (o l’imposta di registro se immobile), ma ciò riguarda il concedente e il terzo, non direttamente l’ex-utilizzatore (se non per il riflesso sul ricavato netto dedotto dal suo debito).
Riassumendo, l’inadempimento del leasing non comporta rettifiche fiscali sui canoni già dedotti, purché il contratto rispettasse i requisiti di deducibilità previsti. L’utilizzatore perderà le deduzioni future (perché non ci sono più canoni da pagare) e potrà dedurre come costo le eventuali somme finali versate a saldo, trattandole come sopravvenienza passiva da risoluzione contrattuale. Tali conclusioni valgono sia per il reddito d’impresa sia per il reddito di lavoro autonomo. Resta ovviamente inteso che se, a seguito del conteggio finale, il concedente restituisce qualcosa all’utilizzatore (caso di surplus), per quest’ultimo sarà un provento tassabile: ad esempio, se una società riceve €10.000 dal leasing perché il bene è stato venduto a più del dovuto, contabilizzerà tale entrata come sopravvenienza attiva imponibile.
Aspetti Contabili
Dal punto di vista contabile, occorre distinguere se l’utilizzatore adotta i principi nazionali OIC oppure gli IFRS.
- Società che redigono il bilancio in base al codice civile (OIC adopter): In Italia, le società non IAS adopter contabilizzano il leasing generalmente col metodo patrimoniale tradizionale (salvo indicazione in nota integrativa): il bene in leasing resta iscritto nell’attivo della società di leasing, mentre l’utilizzatore imputa i canoni pagati a Conto Economico come costi per godimento di beni di terzi (voce B8). Ciò significa che l’utilizzatore non iscrive il cespite tra le proprie immobilizzazioni né il debito futuro tra le passività, limitandosi a contabilizzare la spesa periodica. In tal caso, la risoluzione del leasing comporta semplicemente che l’utilizzatore cessa di rilevare i canoni (poiché non li paga più) dal momento della risoluzione. Non avendo attivi iscritti, non dovrà stornare cespiti dal bilancio (il bene era nel bilancio del concedente). L’azienda utilizzatrice potrebbe dover rilevare a Conto Economico eventuali componenti straordinari: ad esempio, se versa una penale finale al concedente, la registrerà come onere straordinario o sopravvenienza passiva nell’esercizio di competenza. Se aveva risconti attivi per canoni anticipati non maturati, li dovrà stornare. Se aveva eventualmente versato un deposito cauzionale contabilizzato tra le immobilizzazioni finanziarie, lo eliminerà quando questo sarà imputato dal leasing a copertura dei debiti (di solito con compensazione in conto canoni).
- Società che applicano gli IFRS (IAS adopter) o comunque il metodo finanziario: Dal 2019 con l’IFRS 16 tutti i leasing (finanziari e operativi) sono rilevati in bilancio dall’utilizzatore come Right of Use (diritto d’uso) tra le attività e un corrispondente debito finanziario tra le passività. In questo approccio, l’utilizzatore ammortizza il diritto d’uso e imputa a conto economico gli interessi sul debito, secondo la metodologia del leasing finanziario. Se un leasing IFRS viene risolto anticipatamente, l’utilizzatore deve effettuare le seguenti scritture contabili: eliminare dall’attivo il diritto d’uso residuo (stornando il relativo valore netto contabile) e dall’passivo il debito leasing residuo. La differenza tra il valore contabile del ROU asset eliminato e il debito estinto (al netto di eventuali pagamenti finali effettuati) genera un utile o una perdita da rilevare a conto economico. Ad esempio, se prima della risoluzione l’azienda aveva in attivo un ROU di €50.000 e un debito di €55.000, e la risoluzione comporta che non deve più nulla (perché il bene copre la differenza) o paga una piccola differenza, registrerà una perdita da derecognition (perché il debito tolto è maggiore dell’asset tolto). Viceversa se il ROU netto eccede il debito rimanente (caso più raro), la differenza sarà un utile da derecognition. In sostanza, la risoluzione viene trattata come una cessione anticipata del diritto d’uso. Fiscalmente, per i soggetti IAS, vale la derivazione rafforzata: le eliminazioni contabili e le perdite/emersioni vanno rispettate in sede di reddito (con alcuni aggiustamenti specifici per IFRS 16 introdotti dal D.M. 5/8/2019). Ad esempio, quel differenziale potrebbe configurare una perdita deducibile o un componente positivo tassabile. Se la società IFRS in realtà riscatta anticipatamente il bene (lo compra prima del termine pagando il debito residuo), si avrebbe una modifica del contratto con riduzione del debito e incremento della proprietà, ma nel caso di inadempimento normalmente il bene viene restituito, quindi si segue la logica di cui sopra.
- Imprese individuali e professionisti in contabilità semplificata: costoro di regola deducono i canoni per cassa (in base alle registrazioni). In caso di risoluzione, semplicemente smetteranno di pagare e dedurre canoni; se pagano una penale finale, sarà un costo deducibile nel periodo di pagamento.
In termini di bilancio d’esercizio per l’utilizzatore, la risoluzione di un leasing finanziario peggiora alcuni indicatori: si perde l’asset produttivo, si mantiene un debito (residuo da pagare) spesso senza contropartita attiva, e le eventuali perdite/penali impattano il conto economico. Ciò può comportare perdite civilistiche rilevanti in esercizio, da tenere presente ai fini del capitale netto. Inoltre, l’azienda potrebbe dover informare in Nota Integrativa dell’interruzione del contratto di leasing se rilevante (ad es. se riguarda beni essenziali all’attività).
Simulazioni Pratiche
Presentiamo alcune simulazioni pratiche per chiarire gli effetti dell’inadempimento in vari scenari tipici:
Caso 1 – Leasing auto per un professionista (consumatore): Mario, avvocato, stipula nel 2023 un leasing auto per la sua vettura (bene strumentale) del valore di €30.000 + IVA, durata 4 anni, canone mensile €500 + IVA, anticipo €5.000 + IVA, riscatto €10.000 + IVA. Dopo 2 anni (ha pagato 24 canoni su 48) attraversa difficoltà e smette di pagare. La società di leasing, dopo 4 rate non pagate (soglia grave inadempimento per leasing mobili), risolve il contratto nel 2025. Mario restituisce l’auto. La società di leasing porta l’auto ad un’asta o rivenditore e ricava, poniamo, €15.000 netti. Calcoliamo: canoni scaduti impagati = €500×4 = €2.000; canoni a scadere (quota capitale) = circa €12.000 (dei 24 rimanenti, togliamo interesse, stimiamo quota capitale €500×24=€12.000 se tasso basso); riscatto €10.000; spese di recupero e vendita €1.000. Totale credito = €2.000 + €12.000 + €10.000 + €1.000 = €25.000. Deduzione ricavato auto €15.000 => differenza €10.000. Mario dovrà pagare €10.000 + eventuali interessi e spese legali. Egli ha già sborsato €5.000 anticipo + €500×24 = €12.000 di canoni = €17.000 totali in 2 anni. In più, perde l’auto e deve pagare altri €10.000: in totale avrà speso €27.000, senza auto. La società di leasing invece incassa complessivamente €17.000 (canoni già avuti) + €10.000 (da Mario post risoluzione) + €15.000 (ricavato vendita auto) = €42.000, che copre il prezzo auto+IVA e i suoi costi finanziari. In questo scenario, Mario ha dedotto fiscalmente i canoni pagati (€12.000 di canoni sono deducibili al 20% annuo essendo auto a uso promiscuo, e anticipo dedotto pro-rata su 4 anni). La risoluzione anticipata non gli toglie le deduzioni già effettuate. I €10.000 che paga a saldo sono anch’essi deducibili (entro il massimale auto) come costo. Tuttavia, la spesa effettiva di Mario è molto alta. Avrebbe potuto magari cercare di vendere lui l’auto prima, per saldare il leasing: se avesse trovato un acquirente a €18.000, forse avrebbe convinto la società a chiudere chiedendo €5-6k invece di 10k.
Caso 2 – Leasing macchinario strumentale per società: Alfa Srl ha un leasing per un macchinario di produzione (leasing finanziario “traslativo” classico) valore €100.000, durata 60 mesi, canoni mensili €1.800 circa (che includono interessi), anticipo €10.000, riscatto €5.000. Dopo 36 mesi Alfa Srl entra in crisi di liquidità e non paga più. Ha già versato €10.000 + (€1.800×36)= €64.800. Restano 24 canoni. Il concedente risolve per grave inadempimento (6 rate saltate). Debito: supponiamo quota capitale residua su 24 canoni sia €35.000, più riscatto €5.000, canoni scaduti €10.800 (6×1.800), totale €50.800, spese €2.000, totale €52.800. Il bene viene ripreso e rivenduto a un altro imprenditore a €40.000. Offset ricavato: €52.800 – €40.000 = €12.800 da pagare. Alfa Srl, oltre ad aver perso il macchinario (che magari era essenziale alla produzione), rimane debitore di €12.800 verso la leasing (che probabilmente insinuerà il credito nella procedura di liquidazione se Alfa fallisce). Fiscalmente, Alfa aveva dedotto i canoni su base civilistica (essendo OIC, aveva portato a conto economico il costo canoni). Continuerà a dedurre i canoni maturati fino alla risoluzione. La perdita del macchinario non comporta scritture patrimoniali per Alfa perché non era iscritto in attivo, ma contabilizzerà l’eventuale penale di €12.800 come onere straordinario. I canoni già dedotti rimangono dedotti; i €12.800 saranno deducibili come sopravvenienza passiva da risoluzione (essendo inerenti e quantificati contrattualmente).
Caso 3 – Leasing immobiliare di azienda: Beta SRL ha in leasing un capannone industriale. Valore iniziale €1.000.000, durata 15 anni, canone trimestrale €25.000, riscatto finale 100.000. Dopo 5 anni la società entra in difficoltà e accumula ritardi; raggiunge 2 trimestri impagati (grave inadempimento per leasing immobile: ≥2 trimestri) e il leasing risolve. Beta restituisce l’immobile. Il debito residuo è elevato (restano 10 anni di canoni). Il concedente cerca di vendere l’immobile sul mercato, ma magari il mercato è depresso e vende a €700.000 mentre il debito residuo totale (capitali + riscatto + arretrati) era €800.000. Beta dovrà coprire la differenza €100.000. Beta aveva probabilmente beneficiato di una deduzione di canoni su 12 anni (minimo fiscale immobili) nonostante durata 15: ora dedurrà fino alla risoluzione, e potrà dedurre come perdita il €100.000 versato finale. Se Beta fallisce, la differenza di 100k sarà un credito chirografario del leasing.
Questi esempi mostrano come, in qualunque caso, l’interruzione di un leasing per inadempimento produce un impatto economico negativo per l’utilizzatore: la maggior parte dei costi già sostenuti non viene recuperata, e spesso c’è da pagare ancora qualcosa. L’utilizzatore perde il bene che magari gli serviva per l’attività, deve eventualmente trovare alternative (con ulteriori esborsi) e subisce un peggioramento della propria affidabilità creditizia.
Tutela del Debitore e Strategie
Dal punto di vista del debitore (utilizzatore) in difficoltà, quali sono gli strumenti di tutela e le strategie possibili? Riassumiamo i punti chiave:
- Conoscere le proprie obbligazioni: Il debitore dovrebbe esaminare attentamente il contratto di leasing per verificare le clausole relative all’inadempimento: quante rate si possono saltare prima della risoluzione, se esiste un periodo di grazia, l’ammontare della penale contrattuale prevista, l’eventuale possibilità di rientro. Ad esempio, alcuni contratti potrebbero prevedere la risoluzione automatica dopo un certo numero di giorni dal mancato pagamento, altri richiedono una comunicazione formale.
- Evitare di accumulare ritardi eccessivi: Se possibile, è preferibile non oltrepassare la soglia di grave inadempimento (4 mensilità o 2 trimestri). Se il debitore vede che la situazione finanziaria sta peggiorando, dovrebbe considerare di contattare il concedente prima di raggiungere quella soglia, magari per rinegoziare il piano (es. chiedere una temporanea dilazione o sospensione di alcune rate). A volte le società di leasing, soprattutto per clienti imprese, possono accordare una rischedulazione del debito (allungamento durata residua per ridurre l’importo delle rate) o una moratoria breve, specialmente se intravedono che risolvendo rischiano di recuperare meno.
- Cedere il contratto (subentro di terzi): Quasi sempre i contratti di leasing prevedono che l’utilizzatore possa, con il consenso del concedente, cedere ad un terzo il contratto (cioè far subentrare un nuovo utilizzatore che continui i pagamenti). Se il debitore trova qualcuno interessato al bene, questa può essere una soluzione win-win: il nuovo soggetto prende il bene alle condizioni residue, il concedente vede proseguire i pagamenti regolarmente, e il debitore originario esce dal contratto evitando la risoluzione per inadempimento. Attenzione: la cessione richiede tipicamente il gradimento della società di leasing (che valuterà l’affidabilità del subentrante) e spesso il pagamento di spese di voltura; inoltre, il cedente di solito rimane garante in solido per le obbligazioni già maturate.
- Restituzione volontaria anticipata: In alcuni casi, il debitore può proporre di restituire spontaneamente il bene prima ancora di accumulare troppo debito, chiedendo in cambio al concedente di chiudere il contratto per mutuo consenso. Ad esempio, un imprenditore si rende conto di non poter più sostenere i canoni di un macchinario; può dire al leasing: “Vi restituisco subito il bene in perfetto stato, così lo potete vendere prima che si deprezzi ulteriormente, e vi pago magari una penale ridotta per la chiusura”. Se il concedente accetta, si stipula un accordo transattivo: di solito il debitore paga le rate scadute e magari qualche rata a compensazione, e la vicenda si chiude senza cause giudiziarie. Questo può far risparmiare al debitore le spese legali e ridurre il danno reputazionale (non risultando come insolvenza protratta).
- Opposizione in giudizio: Se si arriva al decreto ingiuntivo o alla causa, il debitore può comunque opporsi in tribunale facendo valere eventuali sue ragioni. Quali difese potrebbe avere? Ad esempio, contestare la sussistenza del grave inadempimento (se ritiene di non aver raggiunto la soglia o se alcuni pagamenti erano stati fatti ma non contabilizzati); opporre vizi del bene o inadempimenti del concedente/fornitore (anche se in leasing il concedente di norma declina responsabilità sul bene, potrebbe avervi concorso in qualche modo); eccepire la nullità di clausole contrattuali (es. una clausola penale manifestamente eccessiva, o una clausola irragionevole potrebbe essere ridotta); chiedere la riduzione della penale; far valere eventuali pagamenti non considerati o contestare il valore di stima del bene dedotto dal concedente (se appare irrealisticamente basso). In particolare, se il concedente vende il bene a prezzo vile, l’utilizzatore potrà allegare che, ai sensi dell’art.1227 c.c., quel minor ricavo non gli va addebitato perché frutto di negligenza del concedente. Naturalmente, queste opposizioni vanno supportate da prove e spesso non evitano la risoluzione (se l’inadempimento sussiste) ma possono incidere sull’importo da pagare.
- Tutela del consumatore: Se l’utilizzatore è un consumatore, oltre alle tutele generali sopra esposte, gode della protezione del Codice del Consumo. Eventuali clausole squilibrate nel contratto di leasing potrebbero essere giudicate nulle. Ad esempio, una clausola che imponesse al consumatore inadempiente di pagare tutte le rate restanti anche se il bene è ripreso e rivenduto, senza restituzione dell’eventuale eccedenza, sarebbe probabilmente considerata vessatoria perché contraria alla buona fede (ora la legge impedisce questo scenario, ma se anche contrattualmente fosse previsto diversamente, prevale la norma). Inoltre, per i consumatori il Codice del Consumo richiede che le clausole di decadenza o penale siano specificamente approvate per iscritto e non siano sproporzionate. Un consumatore in difficoltà potrebbe anche rivolgersi all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) per controversie in materia di trasparenza e correttezza con intermediari: ci sono decisioni ABF che hanno ad esempio sindacato i calcoli fatti da società di leasing nella liquidazione ex art. 137 L.124/2017, imponendo eventualmente rimborsi quando il leasing non aveva osservato la procedura corretta di vendita.
- Implicazioni sulla segnalazione creditizia: Un utilizzatore inadempiente su un leasing finanziario verrà verosimilmente segnalato nelle banche dati dei rischi creditizi (CRIF, Centrale Rischi Banca d’Italia se l’importo supera soglie rilevanti). Ciò incide sulla sua reputazione creditizia e può creare difficoltà di accesso al credito futuro. Questo è un ulteriore motivo per cui, se possibile, conviene trovare un accordo prima che l’insolvenza diventi conclamata. Alcune soluzioni come la rinegoziazione o la cessione del contratto potrebbero preservare la “storia creditizia” del debitore, mentre un default su leasing viene equiparato a un insoluto su finanziamento.
- Procedure di sovraindebitamento: Per un debitore civile sovraindebitato, includere il debito da leasing risolto in un piano del consumatore o accordo di ristrutturazione può essere un modo per gestirlo, eventualmente con stralcio parziale, sotto l’egida del tribunale. In tali sedi, tuttavia, il concedente potrà far valere il fatto che ha già riottenuto il bene e il proprio credito ridotto.
In conclusione, la posizione del debitore in caso di risoluzione leasing è certamente debole – dovendo subire le conseguenze dell’inadempimento – ma non è priva di rimedi: conoscendo i propri diritti (es. diritto al conguaglio del valore del bene, diritto alla riduzione delle pretese eccessive, ecc.) e agendo per tempo si possono limitare i danni. Il consiglio è di affrontare con tempestività le difficoltà, coinvolgendo se necessario un consulente/avvocato per negoziare con la società di leasing modalità di rientro meno onerose.
Domande Frequenti (FAQ)
D: Quante rate posso saltare prima che scatti la risoluzione del leasing?
R: Dipende dal contratto, ma la Legge 124/2017 fissa una soglia di grave inadempimento: per i leasing di beni mobili (diversi dagli immobili) il mancato pagamento di 4 canoni mensili (anche non consecutivi) è causa di risoluzione, per i leasing immobiliari la soglia è 6 canoni mensili o 2 canoni trimestrali. Molti contratti riportano espressamente queste soglie o addirittura prevedono la risoluzione per un numero minore di rate, ma dopo il 2017 tali clausole devono conformarsi almeno al limite di legge (non si può risolvere per 1 sola rata mancata se la legge ne richiede 4, specialmente se l’utilizzatore è un consumatore). In pratica: se salta 1 o 2 rate, normalmente il leasing sollecita il pagamento e applica interessi di mora; alla 3a-4a rata non pagata potrebbe già inviare diffida; superata la soglia (4 o 6 mensilità a seconda dei casi) il contratto può essere risolto. Perciò è consigliabile non accumulare più di 3 rate non pagate.
D: Una volta risolto il contratto, posso riavere indietro i canoni che avevo pagato?
R: In generale no, i canoni pagati restano acquisiti al concedente a titolo di corrispettivo per l’utilizzo goduto del bene. L’unica ipotesi in cui l’utilizzatore può ricevere qualcosa indietro è se, dopo la risoluzione, la società di leasing riesce a ricollocare il bene ad un valore tale che, dedotti tutti gli importi a lei dovuti, risulti un surplus. In tal caso quell’eccedenza va restituita all’utilizzatore. Ad esempio, se avevi già pagato molti canoni e mancava pochissimo, e la rivendita del bene frutta di più di quanto dovevi, l’eccedenza ti spetta. Ma non hai diritto alla restituzione integrale di tutti i canoni pagati: quelli remuneravano l’uso passato. Prima della riforma 2017, in caso di leasing traslativo i giudici potevano ordinare la restituzione dei canoni al netto di un equo compenso per l’uso, ma nei fatti ciò coincideva con trattenere la gran parte di essi. Dunque, l’utilizzatore non ottiene indietro quanto pagato se non in quella limitata circostanza del ricavato eccedentario.
D: Devo comunque pagare tutte le rate rimanenti se restituisco anticipatamente il bene?
R: Di fatto sì, ma con i dovuti aggiustamenti. Il leasing calcolerà l’importo delle rate rimanenti (solo capitale, senza interessi futuri non maturati), lo sconta al valore attuale e lo somma a eventuali rate scadute e al prezzo finale. Su questo totale poi si detrae il valore ricavato dal bene restituito. Ciò significa che non paghi materialmente “tutte le rate rimanenti” perché il valore del bene viene sottratto. Se il bene copre molto, pagherai poco; se copre poco, potresti dover pagare quasi tutte le rate. In sintesi: l’utilizzatore inadempiente paga l’eventuale differenza tra debito residuo e ricavato del bene. Se il bene vale quanto il debito, non dovrà più nulla; se vale di meno, paga la differenza; se vale di più, recupera lui la differenza. Nel linguaggio contrattuale, spesso si dice che l’utilizzatore deve pagare i canoni a scadere come penale, ma poi la penale viene ridotta di quanto la leasing realizza dal bene (patto di deduzione).
D: Posso recedere liberamente da un leasing se non mi serve più il bene?
R: Di solito no, il leasing finanziario non prevede un diritto di recesso unilaterale dell’utilizzatore prima della scadenza. Il debitore è tenuto a pagare tutti i canoni per la durata contrattuale. Può ovviamente estinguere anticipatamente il contratto pagando in un’unica soluzione il debito residuo (capitale + eventuale penale per interessi non goduti) e riscattando il bene, ma questa è un’estinzione consensuale (spesso onerosa) più che un recesso gratuito. Se l’utilizzatore “decide di interrompere” senza accordo, si configura come un inadempimento e scatta la risoluzione con le conseguenze viste (restituzione bene e saldo a carico suo). In qualche caso i contratti potrebbero contemplare un’opzione di riscatto anticipato: ad esempio, trascorso un periodo minimo, l’utilizzatore può chiedere di comprare subito il bene pagando una determinata somma. Questa però è una facoltà di acquisto anticipato, non uno scioglimento senza costi. Quindi, se il bene non serve più, l’utilizzatore per liberarsi dal contratto dovrebbe o cederlo a terzi (subentro) oppure provare a negoziare una risoluzione consensuale col concedente.
D: Cosa succede se il bene in leasing viene distrutto o rubato prima della fine?
R: In genere il contratto di leasing stabilisce che l’utilizzatore sopporta il rischio di perimento del bene (“assume tutti i rischi, anche di perimento” per legge). Pertanto, se il bene va distrutto, il leasing non si interrompe automaticamente: l’utilizzatore rimane obbligato ai pagamenti. Normalmente però il bene è assicurato (spesso per obbligo contrattuale) e la polizza indennizza la società di leasing del valore residuo. Se l’indennizzo copre tutto, l’utilizzatore può essere liberato; se vi fosse scoperto, l’utilizzatore dovrebbe pagare la differenza. Molti contratti prevedono che in caso di perdita totale del bene, si proceda a una risoluzione anticipata: il leasing incamera l’indennizzo assicurativo in luogo del ricavato vendita, lo confronta col debito residuo e calcola un saldo a carico dell’utilizzatore (o restituisce l’eventuale eccedenza). In pratica è simile a una risoluzione per inadempimento, con la differenza che qui l’inadempimento può non esserci (se l’evento non è colpa dell’utilizzatore). Alcuni contratti prevedono anche che, se l’indennizzo assicurativo è sufficiente, l’utilizzatore possa optare per usarlo per acquistare il relitto o un bene sostitutivo. Ma in linea di massima, senza polizza, il rischio è dell’utilizzatore: caso estremo, se il bene non era assicurato ed è perduto, l’utilizzatore deve comunque pagare tutti i canoni come se nulla fosse (perché il concedente vuole il suo capitale indietro).
D: Posso contestare il modo in cui la società di leasing ha venduto il bene?
R: Sì, l’utilizzatore ha diritto ad una vendita secondo i criteri di correttezza stabiliti dalla legge (valori di mercato, perito indipendente se necessario, trasparenza). Se ritiene che il concedente abbia venduto il bene a un prezzo troppo basso ingiustificatamente, può contestare la stima e il risultato. In caso di causa, spetterà al concedente dimostrare di aver stimato e venduto correttamente, e all’utilizzatore provare l’eventuale erroneità o negligenza. Ad esempio, se il bene valeva circa €50.000 e il leasing lo vende rapidamente a €30.000 senza adeguata pubblicità, l’utilizzatore potrà far valere che si sarebbe dovuto realizzare un prezzo più alto; il giudice potrebbe quindi ridurre il credito del leasing assumendo un valore di mercato maggiore (o imputare al leasing la responsabilità per la differenza, ex art.1227 c.c.). Ovviamente servono elementi concreti (perizie di parte, evidenze di mercato). Va detto però che l’incentivo del leasing è comunque di massimizzare il prezzo, perché se vendono basso resta più insoluto da recuperare, con rischio di non incassarlo se il cliente è insolvente.
D: Se fallisce l’utilizzatore, devo continuare a pagare il leasing?
R: In caso di fallimento dell’utilizzatore (o altra procedura concorsuale), è il curatore/trustee a decidere. Nella maggior parte dei casi, il curatore scioglie il contratto di leasing (art.72-quater l.f.) e restituisce il bene al concedente, che poi insinuerà al passivo il suo credito per la risoluzione (calcolato similmente a quanto sopra, dedotto il valore del bene). L’utilizzatore fallito quindi cessa i pagamenti dal momento del fallimento. Il debito verso la leasing verrà soddisfatto parzialmente in sede fallimentare secondo le regole concorsuali (di solito in chirografo dopo la vendita del bene, salvo privilegio se bene con patto di riservato dominio assimilato, questione tecnica). In sostanza, se sei un imprenditore che viene dichiarato fallito, non continuerai a pagare le rate del leasing; la società di leasing riprenderà il bene e avrà un credito in fallimento. Se invece per ipotesi il curatore ritenesse essenziale proseguire il leasing (cosa rara, perché significherebbe continuare a pagare canoni dall’attivo fallimentare), allora pagherebbe le rate correnti come debiti di massa e potrebbe esercitare l’opzione finale se ne valesse la pena. Ma ripetiamo, scenario poco comune. Per il consumatore sovraindebitato, analogamente, nel piano di ristrutturazione si potrà prevedere la cessazione del leasing con riconsegna del bene e trattare il credito residuo del concedente come crediti chirografari da falcidiare.
D: L’inadempimento sul leasing può ripercuotersi su altre mie linee di credito?
R: Potenzialmente sì. Molti contratti di leasing (soprattutto se facenti parte di un pacchetto con una banca) includono clausole di decadenza dal beneficio del termine incrociate o di material adverse change: significa che se l’utilizzatore fallisce o è in grave inadempimento in un rapporto, ciò può far considerare anticipatamente dovuti altri finanziamenti. Inoltre, come accennato, la segnalazione in Centrale Rischi di un sofferto sul leasing può portare le banche con cui l’utilizzatore ha affidamenti a ridurre o revocare tali affidamenti (fidi di cassa, scoperti, ecc.). In pratica, un default su leasing abbassa il rating creditizio del soggetto. Dunque, un imprenditore deve valutare anche l’effetto a catena: interrompere i pagamenti del leasing può peggiorare i rapporti con l’intero sistema bancario.
D: Quali costi fiscali/contabili emergono al momento della risoluzione?
R: Fiscalmente, come visto, non c’è un costo aggiuntivo in termini di recupero di deduzioni pregresse se il leasing rispettava la durata minima. I canoni dedotti rimangono dedotti, e il debito finale che paghi (penale) è a sua volta deducibile come costo dell’esercizio. Potresti però perdere eventuali benefici: ad esempio, se il bene in leasing godeva di iper-ammortamento o di credito d’imposta 4.0 legato all’investimento, la risoluzione anticipata potrebbe farti perdere la quota di beneficio futuro su quel bene, o peggio determinare l’obbligo di restituire la quota di beneficio non maturata (questo dipende dalla normativa specifica dell’incentivo). In bilancio, se seguivi metodo patrimoniale, registrerai la penale come costo; se seguivi metodo finanziario (IFRS), riconoscerai l’estinzione del diritto d’uso e probabilmente una perdita. In ogni caso, il bilancio evidenzierà un onere straordinario legato alla risoluzione, che riduce l’utile dell’esercizio (o aggrava la perdita).
D: La società di leasing mi chiede €X come saldo dopo la vendita del bene: posso chiedere dettagli del calcolo?
R: Certamente. L’utilizzatore ha diritto alla trasparenza sul calcolo. Può chiedere un rendiconto con l’indicazione: canoni scaduti, interessi, canoni residui (capitale) calcolati, spese varie, valore ricavato dalla vendita, IVA se applicabile, ecc. La L.124/2017 e norme di trasparenza bancaria impongono chiarezza. In caso di contestazioni, meglio comunicare per iscritto chiedendo spiegazioni o rettifiche. Se la società di leasing rifiuta o ignora, l’utilizzatore può adire l’ABF come detto, o sollevare la questione in eventuale giudizio. Mai pagare somme finali senza almeno aver verificato che il concedente abbia effettivamente applicato la deduzione del valore del bene come dovuto.
D: Dopo la risoluzione, posso riottenere il bene pagando tutto?
R: In teoria, una volta risolto il contratto e restituito il bene, l’utilizzatore non ha più diritto di riscattare il bene (quel diritto era condizionato alla regolare esecuzione fino a fine contratto). Il concedente è proprietario del bene libero da vincoli e può venderlo a chi vuole. Se però, prima che sia venduto a terzi, l’utilizzatore volesse recuperarlo, può provare a trattare privatamente col concedente: ad esempio, offrendo di pagare integralmente il debito residuo più eventualmente riavviare il contratto. Non c’è obbligo per il concedente di accettare. Alcuni concedenti, se il cliente sistema il dovuto e copre i costi, possono anche valutare di annullare la risoluzione (in pratica ripristinare il contratto) o di vendere direttamente il bene all’ex-utilizzatore per l’importo residuo. Ma è una scelta discrezionale della società di leasing, che generalmente una volta rotta la fiducia preferisce chiudere e liquidare.
D: È vero che un leasing non pagato è meno “pericoloso” di un mutuo non pagato perché non lascio ipoteche?
R: Il leasing di per sé non iscrive ipoteca (tranne i leasing immobiliari dove spesso c’è ipoteca a favore del leasing su immobile per maggior tutela, ma in genere no perché il bene resta proprietà del concedente). Tuttavia, le conseguenze patrimoniali per il debitore possono essere altrettanto serie. È vero che col leasing, se non paghi, perdi il bene e potenzialmente finisce lì (salvo residuo da pagare), mentre col mutuo se non paghi puoi perdere l’immobile all’asta e restare debitore se il ricavato non copre. Il meccanismo è simile: anche nel leasing se il ricavato non copre, rimani debitore del resto. Inoltre, spesso per ottenere un leasing il debitore firma cambiali o fornisce garanzie personali (fideiussioni): in tal caso il mancato pagamento attiva quelle garanzie e quindi potresti ritrovarti con beni personali aggrediti. Quindi non è corretto pensare che “non pagando il leasing non mi possono far nulla salvo riprendersi il bene”: come abbiamo visto, possono e ti chiedono la differenza in denaro, ed eventualmente procedono per via giudiziaria per ottenerla, incidendo anche sul tuo patrimonio personale se sei una ditta individuale o un consumatore.
D: In futuro potrò ottenere altri leasing o finanziamenti se ho avuto un leasing risolto per inadempimento?
R: Dipende dalla gravità e dall’esito. Se hai saldato tutto il dovuto anche se in ritardo, e magari l’episodio è isolato, col tempo (qualche anno) potresti riacquisire fiducia. Ma nel breve termine, tutte le banche/leasing interpellate vedranno nelle banche dati l’insolvenza pregressa e potrebbero rifiutare nuove operazioni. Di solito una sofferenza permane segnalata in Centrale Rischi per qualche tempo anche dopo definizione. I gestori del rischio credito considerano negativo uno storico di leasing non onorati. Tuttavia, col passare degli anni e dimostrando di aver superato le difficoltà, la situazione può migliorare. In ogni caso, aspettati maggiori cautele: ad esempio, su un nuovo leasing potranno chiederti anticipo più alto, garanti, ecc.
D: Se non pago la quota finale di riscatto posso non acquistare il bene e ridarlo indietro?
R: Sì, l’opzione finale di acquisto è un diritto, non un obbligo per l’utilizzatore (a meno che il contratto non dica diversamente, ma per definizione standard c’è un diritto di opzione). Quindi, se a fine leasing decidi di non esercitare l’opzione, dovrai restituire il bene al concedente. Questo però non è propriamente un “inadempimento”: è esercizio della facoltà di non riscattare. In tal caso, il contratto si conclude regolarmente, tu hai pagato tutti i canoni e semplicemente scegli di non comprare il bene. Non incorri in penali (salvo eventuali costi di restituzione). Chiaramente, se non lo riscatti perdi quanto versato, ma quella era la logica del leasing di godimento. Dunque restituire il bene a fine contratto invece di pagare il riscatto non comporta conseguenze negative (non è risoluzione per inadempimento, è corretta esecuzione del contratto). Il concedente resterà proprietario e potrà vendere o rilocare altrove. Attenzione: se invece non paghi l’ultima rata di riscatto ma nemmeno riconsegni il bene, allora sì saresti inadempiente e il leasing potrebbe agire per recuperare il bene e il prezzo.
D: Un leasing operativo non pagato ha le stesse conseguenze?
R: Un leasing operativo (o noleggio a lungo termine) in caso di mancato pagamento di regola viene risolto anch’esso anticipatamente dal locatore, con ritiro del bene. Poiché di solito non c’è opzione di acquisto o comunque il residuo valore è rilevante, i contratti di noleggio prevedono penali di risoluzione (spesso percentuali dei canoni residui). Il lessor potrà pretendere tali penali e i canoni scaduti. Non c’è però una norma come la L.124/2017 per il leasing operativo, quindi tutto dipende dal contratto e dall’equità valutata caso per caso. Nella pratica, un noleggiatore di auto ad esempio può chiedere al cliente insolvente tutte le rate restanti meno i costi risparmiati (es. mancata usura, servizi non resi) e la differenza tra valore previsto dell’auto e valore realizzato. Se la penale contrattuale fosse eccessiva, potrebbe essere ridotta dal giudice. Quindi gli effetti sono simili: si perde il bene e si paga un saldo, con l’unica differenza che il calcolo non è predeterminato per legge ma dalle clausole contrattuali e dal generale art. 1223 c.c. sul risarcimento del danno. Anche qui, comunque, l’ingiustificato arricchimento del locatore non sarebbe ammesso: se il locatore rivende il bene a un prezzo ottimo e ha già incassato gran parte dei canoni, non potrebbe cumulare tutto senza sconti.
Tabelle Riepilogative
Di seguito alcune tabelle riassuntive dei punti chiave:
Tabella 1 – Soglie di grave inadempimento (art.1 co.137 L.124/2017)
Tipo di contratto | Mancato pagamento che costituisce grave inadempimento |
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Leasing immobiliare (bene immobile) | ≥ 6 canoni mensili oppure ≥ 2 canoni trimestrali (anche non consecutivi) non pagati |
Leasing di beni mobili (qualsiasi bene non immobiliare) | ≥ 4 canoni mensili (anche non consecutivi) non pagati |
Nota: importi equivalenti: es. in leasing con canoni diversi (bimestrali, ecc.), contano importi equivalenti a tali soglie. Il contratto può prevedere soglie più favorevoli per l’utilizzatore (es. 8 rate), ma non più basse. |
Tabella 2 – Confronto effetti risoluzione leasing (prima e dopo L.124/2017)
Elemento | Contratti dopo L.124/2017 (leasing finanziario tipico) | Contratti prima L.124/2017 (o risolti prima) |
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Base giuridica | Art.1 commi 136-140 L.124/2017 (patto marciano legale) | Giurisprudenza (distinzione leasing traslativo/godimento) |
Restituzione canoni pagati? | No, salvo eventuale surplus da vendita bene (concedente restituisce eccedenza). Canoni pagati rimangono acquisiti come corrispettivo dell’uso. | Leasing traslativo: sì in teoria, art.1526 c.c. -> concedente dovrebbe restituire canoni percepiti salvo equo compenso uso + danno. (In pratica, canoni trattenuti a compenso). Leasing di godimento: no, risoluzione non retroattiva ex art.1458, concedente trattiene tutti i canoni. |
Canoni scaduti impagati | Dovuti interamente all’atto della risoluzione (parte del credito del concedente). | Dovuti (ovviamente). Idem. |
Canoni futuri | Dovuti solo in linea capitale, attualizzati, come penale; ma si detraggono nel saldo finale. | Dipende dal tipo:- Traslativo: concedente può chiedere risarcimento danno, spesso quantificato nelle rate mancanti (penale), soggetta a riduzione se eccessiva.- Godimento: di regola concedente non può chiedere canoni futuri (risoluzione non retroattiva significa non sono dovuti ratei successivi). Eventuale penale contrattuale valutata da giudice. |
Valore del bene | Detratto dal dovuto: il concedente deve restituire quanto ricavato dalla vendita o, se non venduto, dedurre valore di mercato. Se vendita > debito, surplus all’utilizzatore. | Traslativo: il valore del bene di regola va restituito (se concess. rivende, deve restituire ricavato – equo compenso). Godimento: il valore del bene rientra già al concedente senza obbligo di conguaglio (bene quasi privo di valore). In assenza di norme specifiche, molti contratti pre-2017 avevano clausole senza restituzione e la giurisprudenza analogicamente applicava 1526, imponendo restituzione ricavato – equo compenso. |
Clausola penale contrattuale | Ammessa (es. patto di deduzione = canoni residui attualizzati come penale) ma mitigata dall’obbligo di diffalco del ricavato e soggetta a buona fede. Giudice può ridurre se manifestamente eccessiva (art.1384). | Ammessa. Spesso prevedeva che tutti i canoni restanti restano dovuti. Giudici spesso l’hanno ridotta/applicato 1526 se traslativo. Se eccessiva, riducibile ex art.1384. |
Procedura di vendita bene | Normata: valori di mercato/pubbliche rilevazioni o perito; criteri di trasparenza e celerità; info all’utilizzatore. Concedente responsabile ex 1227 se negligenza nella vendita (prezzo vile). | Non specificata da norme (pre-2017). Concedente poteva vendere liberamente, ma doveva agire con correttezza (principio generale). In caso di contestazioni, il giudice valutava ex post se prezzo ottenuto era congruo (per non arricchimento indebito). |
Fallimento utilizzatore | Art.72-quater l.f. preservato: se contratto non risolto, curatore può sciogliersi; concedente riprende bene e insinua credito differenziale calcolato come da legge (dedotto valore bene). | Se risolto prima di fallimento: niente retroattività legge 2017, si applica distinzione leasing (trasl./godim.) e 1526 c.c. al traslativo, anche se fallimento segue. Se contratto in corso al fallimento: 72-quater l.f. (simile a post-2017 regime in sostanza). |
Tabella 3 – Trattamento fiscale per utilizzatore (principali punti)
Aspetto fiscale | Regola in caso di risoluzione anticipata leasing |
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Deducibilità canoni già pagati | Conservata. Se il contratto rispettava la durata minima fiscale inizialmente, la deduzione dei canoni passati rimane valida. Non si riprende a tassazione nulla di già dedotto per canoni. |
Durata minima fiscale | Rileva la durata contrattuale prevista originariamente. La risoluzione anticipata non è considerata elusiva di per sé. (Dal 2014 la durata minima serve solo per ripartire la deduzione, non come condizione di ammissibilità). |
Canoni non ancora pagati | Non essendoci più canoni, niente più deduzioni ordinarie future. Se erano stati riscontati costi (es. maxicanone anticipato spalmato), la quota non ancora dedotta può essere dedotta immediatamente come costo nell’esercizio di risoluzione. |
Penale/finale pagata | Deduzione consentita: l’eventuale importo pagato a saldo (penale per risoluzione) è un costo inerente deducibile nell’esercizio in cui è sostenuto (riconducibile a perdita contrattuale). Es: saldo €10k pagato → deducibile come sopravvenienza passiva. |
Somme recuperate dal leasing | Se il concedente restituisce una somma all’utilizzatore (surplus ricavato vendita), per l’utilizzatore è un provento tassabile nell’esercizio in cui matura/percepito (sopravvenienza attiva). |
IVA sui canoni | I canoni non pagati e stornati comportano note di credito IVA per il concedente (recupero IVA non incassata) e l’utilizzatore dovrà restituire l’IVA detratta su quei canoni impagati. Sulle somme finali addebitate (penali) in genere si applica IVA (tranne diverso orientamento su natura risarcitoria). L’utilizzatore soggetto IVA potrà detrarla se ne ha diritto. |
Bene non riscattato | Se il bene non entra mai in proprietà dell’utilizzatore, questo non ha mai iscritto cespite né ammortamenti. Quindi nessuna plus/minusvalenza da cessione (perché non c’è cessione di suo bene). Tutto si gioca sui canoni come costi di periodo. |
Caso IFRS/IAS adopter | L’utilizzatore in bilancio IFRS rileva perdita o utile da derecognition del ROU asset. Fiscalmente, per derivazione rafforzata, tale componente è riconosciuto (salvo eccezioni DM 2019). In genere, la perdita da risoluzione (differenza ROU vs debito) è deducibile. |
Tabella 4 – Differenze Leasing finanziario vs Leasing operativo (inadempimento)
Profilo | Leasing finanziario (L.124/2017) | Leasing operativo (noleggio) |
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Base giuridica | Contratto tipico ex L.124/2017, concedente finanziario 106 TUB. | Contratto atipico di locazione beni, concedente fornitore o società noleggio. |
Risultato della risoluzione | Restituzione bene + pagamento differenza canoni residui – ricavato vendita (patto marciano). | Restituzione bene + eventuale penale contrattuale (di solito percentuale canoni rimanenti). Valore bene rientra al locatore senza obbligo legale di conguaglio, ma contrattualmente può ridurre il danno (es. locatore ricolloca il bene in altro noleggio). |
Normativa specifica | Soglie di legge per inadempimento, obbligo offset valore bene, ecc. | Nessuna norma ad hoc; applicazione art.1455 c.c. per valutare gravità (contrattuale libera). |
Clausole tipiche | Clausola risolutiva espressa dopo X rate, patto di deduzione (canoni futuri dovuti come penale salvo offset). | Clausola risolutiva dopo Y rate, penale risoluzione (spesso X% dei canoni restanti). Se eccessiva può ridursi dal giudice. |
Restituzione canoni | No restituzione canoni pagati, salvo surplus vendita. | No restituzione canoni pagati (erano corrispettivo utilizzo). |
Controversie | Giudice vincolato a commi 137-139 L.124: non può dare al concedente più di quanto previsto (evita arricchimento). | Giudice applica norme generali: art. 1623 c.c. analogia locazione? (non direttamente, ma per equità può ridurre pretese eccessive). Rischio arricchimento valutato ex art.1375 c.c. buona fede contratti. |
Esempio | Leasing finanziario auto risolto → leasing rivende auto e chiede differenza. | Noleggio lungo termine auto risolto → società noleggio ritira auto, fattura penale (es. 50% rate residue). Se rivende auto bene, in genere penale rimane dovuta per intero salvo accordi commerciali. |
Conclusioni
La risoluzione anticipata di un leasing per inadempimento dell’utilizzatore è un evento oneroso e complesso, che coinvolge molteplici aspetti giuridici. Dal punto di vista del debitore, significa perdere l’uso (e la prospettiva di proprietà) del bene e dover comunque farsi carico di pagamenti spesso rilevanti, col solo sollievo di vedersi accreditato il valore residuo del bene. La legge italiana, specialmente con la riforma del 2017, ha cercato di equilibrare le posizioni, impedendo che il concedente ottenga più di quanto gli spetti e predeterminando criteri certi per la risoluzione e il calcolo del dovuto. Ciò ha eliminato molte incertezze del passato e uniformato la prassi, a tutela sia del sistema finanziario (che può confidare in clausole di risoluzione enforceable) sia degli utilizzatori (protetti da soglie di tolleranza e da obblighi di conguaglio).
Nonostante ciò, per il debitore l’inadempimento rimane un evento da evitare: comporta un esborso economico complessivo spesso maggiore di quanto si potrebbe inizialmente pensare (sommando canoni già pagati e somme finali) e può avere strascichi su credito e attività. In caso di difficoltà, è consigliabile agire proattivamente, valutando tutte le opzioni (rinegoziazione, cessione, restituzione concordata) prima di accumulare un inadempimento grave. Se la risoluzione è inevitabile, conoscere i propri diritti – ad esempio il diritto alla deduzione del ricavato del bene, il diritto a contestare vendite sottocosto, la possibilità di far ridurre penali eccessive – consente al debitore (magari assistito da un legale) di limitare i danni e uscire dal contratto nel modo meno oneroso possibile.
In ogni caso, la materia è tecnica e richiede l’analisi del singolo contratto e delle circostanze concrete. Rivolgersi a un professionista esperto (avvocato specializzato in diritto bancario/contratti di leasing) è fondamentale per valutare soluzioni e, se necessario, per negoziare con la controparte o affrontare un’eventuale lite, massimizzando la tutela del debitore.
Fonti Normative e Giurisprudenziali Utilizzate
- Legge 4 agosto 2017, n. 124, art.1 commi 136-140 – Definizione di locazione finanziaria e disciplina della risoluzione per inadempimento.
- Codice Civile – artt. 1455 (importanza dell’inadempimento), 1458 (effetti della risoluzione per contratti di durata), 1526 (risoluzione vendita con riserva di proprietà), 1382-1384 (clausola penale e sua riducibilità), 1227 (concorso del fatto del creditore nel danno). Vedi applicazione analogica di 1458 e 1526 ai leasing pre-2017 in giurisprudenza.
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 28 gennaio 2021, n. 2061 – Distinzione leasing traslativo/godimento e non retroattività legge 124/2017. Conferma che per risoluzioni anteriori alla legge 124/17 si applica art.1526 c.c. al traslativo; la legge 124 non è retroattiva.
- Cassazione Civile, Sez. III, 19 settembre 2024, n. 25199 – Leasing traslativo, validità clausole risoluzione e patto di deduzione. Massima: lecita la clausola che prevede canoni scaduti + futuri scontati dovuti, previa detrazione del valore di mercato del bene; lecita la clausola che consente al concedente di stimare unilateralmente il valore, con obbligo di correttezza e possibilità di contestazione; il “patto di deduzione” (canoni futuri attualizzati meno ricavato vendita come penale) va attuato secondo buona fede: a) se bene già venduto, detrarre ricavato effettivo (con responsabilità ex art.1227 per vendita a prezzo vile); b) se non venduto, detrarre valore equo di mercato stimato.
- Cassazione Civile, Sez. III, 6 novembre 2024, n. 28546 – Applicazione ratione temporis L.124/2017. Ribadisce: la disciplina L.124/2017 non si applica retroattivamente, per contratti risolti prima resta distinzione godimento/traslativo con applicazione analogica art.1526 c.c. al traslativo. Inoltre, conferma che la risoluzione del leasing non può produrre ingiustificato arricchimento del concedente, che deve restituire quanto ricavato dalla vendita del bene detratto equo compenso e penale.
- Tribunale di Milano, sez. XIII civile, Sentenza 16/04/2025 n. 3253 – Caso di mancata restituzione del bene in leasing. Conferma decreto ingiuntivo per restituzione immediata del bene a seguito di risoluzione per inadempimento; la controparte non ha contestato in modo specifico la gravità, rendendo superflua tale valutazione.
- Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) – artt.177-179 che riproducono art.72-quater l.f. (trattamento dei leasing in caso di liquidazione giudiziale).
- Circolari e risoluzioni dell’Agenzia Entrate: in particolare R.M. 183/E/2000 citata per il principio di neutralità fiscale della risoluzione anticipata con riscatto; Principio di derivazione DM 5/8/2019 per IFRS16
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