Hai un ristorante e ti ritrovi con debiti che non riesci più a gestire? Le bollette sono in arretrato, l’Agenzia delle Entrate ha notificato cartelle esattoriali, i contributi INPS non sono stati versati regolarmente e i fornitori cominciano a fare pressioni? Ti stai chiedendo se esiste una soluzione concreta per salvare l’attività o chiuderla senza perdere tutto?
Essere un ristoratore oggi significa spesso affrontare costi fissi alti, margini ridotti e una pressione fiscale importante. Ma quando la situazione sfugge di mano, non bisogna aspettare il pignoramento o il fallimento: esistono strumenti legali per gestire la crisi e uscire dai debiti con una strategia su misura.
Vediamo insieme cosa può fare un ristoratore indebitato e quali soluzioni può attivare per ripartire o liberarsi dei debiti.
Cosa succede quando un ristoratore ha troppi debiti?
Le prime conseguenze sono pratiche: fornitori che non consegnano più, tasse arretrate, notifiche da INPS e Agenzia Entrate-Riscossione, difficoltà a pagare affitti e dipendenti. Se non si interviene in tempo, il rischio è il blocco dell’attività e la perdita dell’intero investimento.
Se hai una ditta individuale o una società di persone, rispondi con tutto il tuo patrimonio personale. E anche nelle SRL, se non hai rispettato gli obblighi fiscali o gestionali, potresti essere chiamato a rispondere come amministratore.
Cosa puoi fare per evitare il peggio?
Molto dipende dalla situazione attuale: se l’attività è ancora viva, si può tentare una ristrutturazione guidata; se invece è arrivata alla fine, si può chiudere tutto in modo ordinato e protetto, senza trascinarsi i debiti a vita.
Ecco le principali soluzioni legali:
- Composizione negoziata della crisi: per trattare con i creditori prima del fallimento;
- Accordo di ristrutturazione del debito: se hai ancora un minimo di liquidità e continuità;
- Concordato minore o liquidazione controllata: per chiudere e azzerare i debiti residui;
- Rottamazione e rateizzazione: per alleggerire il carico fiscale se gestito per tempo.
E se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche?
Anche in casi avanzati, puoi ancora proteggere parte del tuo patrimonio, fermare le azioni esecutive e avviare un piano di risanamento. Non aspettare che siano gli altri a decidere per te.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi da debiti, ristrutturazioni e chiusure aziendali – ti spiega cosa può fare un ristoratore in difficoltà, quali sono i veri rischi e come possiamo aiutarti a salvare o chiudere in sicurezza.
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Introduzione
Il ristoratore che si trova sommerso dai debiti (verso banche, fornitori, Fisco, INPS, locatore, ecc.) deve agire subito per cercare di ristrutturare la propria posizione prima che la crisi si aggravi irreversibilmente. A livello normativo il punto di riferimento principale è il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, c.d. “CCII”), entrato in vigore il 15 luglio 2022 e modificato dal correttivo di settembre 2024 (D.Lgs. 136/2024). Il CCII ha sostituito la vecchia legge fallimentare e ha introdotto nuovi strumenti – sia stragiudiziali che concorsuali – per gestire anticipatamente la crisi e favorire il risanamento delle imprese.
Anzitutto è importante ricordare i doveri dell’imprenditore e dell’amministratore in crisi: il Codice Civile (art. 2086 c.c.) e l’art. 378 CCII impongono all’imprenditore (o all’amministratore di S.r.l.) di dotare l’impresa di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensione dell’attività, in modo da poter rilevare tempestivamente i segnali di squilibrio economico-finanziario. In presenza di indizi di crisi o insolvenza, gli amministratori devono immediatamente attivarsi per tentare la ristrutturazione, altrimenti possono incorrere in responsabilità (anche penali) per i danni causati alla società. In generale, il ristoratore individuale risponde illimitatamente con il proprio patrimonio dei debiti dell’attività (art. 2082 c.c.), mentre in una S.r.l. i soci godono del regime di responsabilità limitata ma possono comunque essere chiamati a rispondere in specifici casi (ad esempio, in caso di prelievi in liquidazione o se l’INPS/Fisco agisce secondo la disciplina del “fenomeno successorio”).
Tipologie di debiti del ristoratore
Un ristorante tipicamente convive con diversi tipi di debiti. Tributi e contributi previdenziali (Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL) hanno un trattamento particolare: in una procedura concorsuale essi rientrano nel passivo come crediti privilegiati (generali sui beni mobili) fino a un certo limite temporale (di norma gli ultimi 2–3 anni) e l’eccedenza è chirogragaria. In sostanza, i debiti tributari e contributivi hanno una elevata prelazione sui beni dell’impresa, subito dopo le retribuzioni dei dipendenti. Storicamente, lo Stato e l’INPS potevano esercitare un veto su stralci fiscali in concordati o accordi; grazie alle novità recenti (D.Lgs. 136/2024) è ora possibile includere tributi e contributi anche negli accordi di ristrutturazione e concordati preventivi, purché i creditori privilegiati ottengano almeno quanto avrebbero ricevuto in liquidazione (cd. cram down fiscale).
Debiti bancari e finanziari. I prestiti concessi da banche o finanziarie possono essere garantiti da ipoteche o fideiussioni, ma spesso vi sono anche debiti chirografari. Nel concordato o negli accordi possono essere dilazionati o parzialmente stralciati (con il consenso dei creditori, oppure tramite il cram down con esecuzioni pregresse sospese). In mancanza di accordi, la banca può agire esecutivamente (pignoramenti) e richiedere l’accertamento del dissesto.
Debiti verso fornitori. I fornitori di materie prime, generi alimentari e servizi sono creditori chirografari nella procedura concorsuale. Anche con loro si possono negoziare ristrutturazioni dei debiti (dilazioni di pagamento o penalizzazioni concordate), ma senza norme specifiche di privilegio. In un concordato preventivo ordinario, i fornitori accettano un piano di pagamenti concordati (ad es. quote mensili) in cambio di uno sconto sul debito.
Affitto e locazione. Il canone di locazione per i locali del ristorante è un debito di natura contrattuale. In caso di liquidazione giudiziale, il contratto di affitto subisce solitamente la risoluzione automatica e il locatore può accedere al passivo come qualsiasi creditore (senza particolari privilegi). In un concordato, i patti con il locatore possono rientrare nell’accordo, ma spesso il locatore non è obbligato ad aderire allo stralcio (ha tutela privata).
Dipendenti e TFR. I crediti dei lavoratori (salari arretrati, TFR) sono privilegiati (art. 2777 c.c., art. 2744 c.c.). In particolare, i debiti per TFR/INADELIS sono considerati privilegiati in concorso con gli altri privilegi generali, subito dopo le spese di procedura. Pertanto il pagamento degli stipendi e del TFR è prioritario nelle procedure concorsuali.
In sintesi, il ristoratore affronta una combinazione di debiti privilegiati (Fisco, INPS, lavoratori) e debiti chirografari (banche, fornitori). La strategia di ristrutturazione dipende da tale composizione: ad esempio, la presenza di ingenti crediti privilegiati limita l’abbattimento dei debiti fiscali, ma gli strumenti recenti (transazione fiscale/contributiva) cercano di ammorbidirlo.
Strumenti di composizione della crisi
La legge offre oggi una vasta gamma di strumenti per tentare di salvare l’impresa prima di ricorrere alla liquidazione. Il Codice della crisi (CCII) inserisce sia opzioni giudiziali sia negoziali. I principali strumenti stragiudiziali sono:
- Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021, art. 12-22 CCII). È una procedura extragiudiziale che consente all’impresa in difficoltà di avviare trattative con i creditori sotto la supervisione di un esperto nominato dalla Camera di Commercio e con l’intervento del Collegio Sindacale (o revisori). In questa fase l’impresa può cercare accordi transattivi anche con Fisco e INPS, sospendendo temporaneamente le esecuzioni (previo decreto del tribunale). Un esempio concreto è il caso del Gruppo ZUSHi, catena di ristoranti che ha sottoscritto a dicembre 2023 un accordo in composizione negoziata con le banche (e con il Fondo di Garanzia) per stralciare parte dei finanziamenti, ottenendo così il rilancio dell’attività dopo il lockdown. L’esperto riepiloga l’accordo finale per l’omologa del tribunale: come ha commentato il legale coinvolto, «in questo caso l’istituto della composizione negoziata ha potuto esprimere tutte le potenzialità virtuose immaginate dal legislatore, volte al rilancio delle attività imprenditoriali».
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 60-66 CCII). Sono contratti con i creditori (almeno 60% del passivo) in cui il debitore propone riduzioni o dilazioni dei debiti. Sono omologabili dal tribunale anche se non tutti i creditori aderiscono, purché venga rispettato il principio che i creditori dissenzienti ottengano almeno quanto in liquidazione. Dal correttivo del 2024 sono state introdotte varianti: gli accordi agevolati ad efficacia estesa (art. 63-bis CCII) consentono validità anche senza omologa se partecipano almeno il 50% dei creditori e il parere di un esperto; è stata estesa la possibilità di transazioni fiscali/contributive nell’accordo; è prevista la conversione in concordato se il negoziato fallisce. In pratica, il ristoratore in crisi grave può proporre ai creditori (banche, fornitori, INPS, Erario) un piano di pagamenti parziali e dilazionati.
- Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 L.F.). È un piano di rientro economico-finanziario privato, attestato da un professionista, che il debitore propone ai creditori senza richiesta di omologa. Non blocca di per sé le azioni esecutive, ma può essere accompagnato da accordi a parte o da iniziative come composizione negoziata. In pratica, è una “autoproposta” di salvataggio in forma scritta, utile soprattutto in fase iniziale di crisi, ma non vincola i creditori se non vi aderiscano.
- Transazione fiscale e contributiva. Non è un procedimento a sé, ma uno strumento operativo in sede di accordi/concordato. Permette di offrire allo Stato/INPS il pagamento di una somma ridotta rispetto al debito iscritto, con estinzione di sanzioni e interessi. La fattibilità dipende dall’art. 63 CCII: prima del correttivo 2024 era spesso subordinata al consenso delle Agenzie, mentre ora è ammesso il cram down fiscale, ossia l’omologa in tribunale che impone anche agli stati dissenzienti di accettare il piano se garantito il trattamento minimo. L’atto di cessione di crediti o di stralcio di debiti pensionistici può essere inserito nell’accordo, purché i creditori privilegiati non subiscano un danno peggiore rispetto alla liquidazione.
In sintesi, nella fase pratica un ristoratore in crisi può procedere per gradi: analizzare i debiti, valutare un piano di rientro e proporlo ai creditori (magari tramite un Professionista della crisi), oppure chiedere un professionista della crisi per la composizione negoziata, tentando di ottenere un accordo extragiudiziale. Se ciò non basta, si può avviare una procedura giudiziale concordata.
Procedure concorsuali: risanamento o liquidazione
Se la ristrutturazione autonoma fallisce o l’insolvenza è conclamata, entrano in gioco le procedure concorsuali del CCII:
- Concordato preventivo (artt. 84-88 CCII). L’imprenditore può presentare in tribunale una proposta di concordato (con piano di continuità o liquidazione). Nel concordato in continuità il ristoratore propone la prosecuzione dell’attività (magari ceduta a un gestore), ripagando i creditori gradualmente; nel concordato liquidatorio si propone la vendita dei beni aziendali e la distribuzione del ricavato. Per l’omologazione occorre solitamente il voto favorevole di almeno il 60% del passivo (per valore o per numero di creditori). Nel concordato sono ammesse le transazioni fiscali/contributive (nuovo art. 63 CCII) e l’eventuale “cram down” delle voci di debito, sempre garantendo il rispetto delle priorità. Dopo l’omologa, l’impresa passa sotto tutela giudiziale: ai creditori dissenzienti vengono garantiti il rimborso integrale entro tempi certi. Alla fine del piano concordatario, la società (o l’imprenditore) può ottenere l’esdebitazione, ossia l’estinzione dei debiti residui, se il piano è stato eseguito.
- Liquidazione giudiziale (ex-fallimento). Se il tribunale dichiara il fallimento di diritto (oggi “liquidazione giudiziale”) – su domanda dell’imprenditore o dei creditori, nel caso di manifesta insolvenza – l’attività viene chiusa e i beni aziendali liquidati dal curatore per pagare i creditori secondo l’ordine di prelazione. Le azioni individuali (pignoramenti, ipoteche) vengono sospese automaticamente all’apertura della procedura. Il ristoratore imprenditore, se non ha potuto utilizzare alcuno strumento concordatario, perde ogni controllo sull’azienda; tuttavia, a livello personale, potrà comunque chiedere l’esdebitazione al termine della procedura, purché ricorrano i requisiti (assenza di dolo grave nel dissesto, etc.). È importante sapere che – come ha confermato la Cassazione – anche dopo la cancellazione dal Registro delle Imprese (a seguito di liquidazione volontaria o fallimento) i creditori possono ottenere la liquidazione giudiziale entro 1 anno dalla cancellazione se l’insolvenza è anteriore.
- Procedure per sovraindebitamento (Legge 3/2012 e CCII). Se il ristoratore è un imprenditore commerciale, si applicano le procedure sopra. Ma se, ad esempio, gestisce l’attività in forma di soggetto non fallibile (artigiano o piccolo commerciante iscritto ad altra gestione previdenziale), può ricorrere all’odioso titolo II CCII (ex Legge 3/2012), che prevede l’accordo di ristrutturazione con liquidazione controllata (strumento utile quando non serve l’ok dei creditori) o il piano del consumatore. Questi strumenti consentono comunque lo stralcio dei debiti a fini concorsuali (c.d. “esdebitazione”) pagando qualche euro al mese. Un recente caso: due titolari di un noto ristorante in Bergamo, con 3.175.000 € di debiti (banche, fornitori, Agenzia delle Entrate), hanno ottenuto dal Tribunale – tramite procedura di liquidazione controllata ex legge 3/2012 (ora CCII) – l’approvazione di un piano che prevedeva pagamenti di 460 € mensili per 36 mesi più la vendita dei pochi beni mobili, ed hanno ottenuto l’esdebitazione. Questa vicenda dimostra come anche in situazioni estreme sia possibile rinegoziare i debiti su basi sostenibili.
Chiudere l’attività: cosa comporta
Se infine la crisi si rivela insolvenza conclamata irreversibile, l’imprenditore può dover chiudere e liquidare l’azienda. In questo caso si seguono le regole civilistiche e tributarie della liquidazione di impresa:
- La liquidazione volontaria (artt. 2494-2499 c.c.) è possibile finché l’azienda non è ancora fallita. I soci nominano uno o più liquidatori che vendono beni, pagano creditori e distribuiscono l’eventuale attivo residuo. Se durante la liquidazione permangono debiti inevasi (ad esempio debiti tributari), essi non si estinguono: come recita l’art. 2495 c.c., dopo la cancellazione della società i creditori insoddisfatti possono agire contro gli ex soci nei limiti delle somme che questi hanno percepito in liquidazione (e contro i liquidatori se vi è stata loro colpa). In pratica, per una S.r.l. i soci rispondono “a posteriori” solo su quanto hanno effettivamente ritirato dai conti societari; se nulla è stato distribuito, generalmente l’Agenzia delle Entrate non può rivalersi per le imposte residue (salvo casi di frodi). Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 12/02/2025, n. 3625) hanno confermato questo principio: i soci subiscono un vero e proprio fenomeno “successorio” sui debiti tributari sino all’ammontare delle quote ricevute in liquidazione.
- L’estinzione fiscale della società è ritardata di 5 anni dal Codice del Terzo Settore (art. 28 D.Lgs. 175/2014): ciò significa che fino a 5 anni dopo la cancellazione la società è considerata virtualmente esistente ai fini fiscali. In pratica l’Agenzia delle Entrate può emettere accertamenti e cartelle a nome della società cancellata (recapitandoli all’ultimo domiciliatario, p.e. l’ultimo liquidatore) fino al quinto anno; contemporaneamente, può avviare le azioni di responsabilità contro soci e liquidatori. Trascorsi i 5 anni, la società è effettivamente caduta in decadenza e non è più possibile iscrivere nuovi debiti. Questo regime è stato confermato dalla Corte Costituzionale (sent. 142/2020) come bilanciamento ragionevole tra riscossione e certezza giuridica.
- Se l’azienda ristorante si chiude senza operare liquidazione formale (ad esempio dichiarando subito fallimento/insolvenza), si procede invece alla liquidazione giudiziale classica, con il curatore che realizza gli asset e paga i debiti in ordine di privilegio. In ogni caso, dipendenti e fornitori dovrebbero essere pagati prioritariamente (stipendi e TFR), poi lo Stato (IMU, IVA residue, ritenute), e infine gli altri creditori.
Di norma, la chiusura deliberata senza procedure (come scioglimento e cancellazione diretta) espone il ristoratore al rischio che i creditori ottengano ugualmente la liquidazione giudiziale della società (entro 1 anno dalla cancellazione) per poi rivalersi su soci e amministratori secondo quanto sopra. Per questo motivo se si prospetta la chiusura definitiva conviene valutare subito se sia necessario farlo in concordato (con pagamento ai creditori privilegiati) o sotto sorveglianza giudiziale, anziché “sparire” lasciando debiti.
Responsabilità personali e profili sanzionatori
Nella gestione della crisi e nelle fasi di chiusura, l’imprenditore e gli amministratori rischiano responsabilità personali:
- Responsabilità civile. Oltre all’analoga responsabilità post-liquidazione di soci e liquidatori (art. 2495 c.c.), il CCII (art. 378) ha reso più severa la responsabilità degli amministratori per danno sociale. In particolare, è stato introdotto un meccanismo presuntivo: l’amministratore risponde illimitatamente dei danni arrecati se l’impresa ha un capitale sociale inferiore a un terzo di quello versato e continua ad operare, o se l’adeguato assetto contabile è mancante. In sostanza, se il ristoratore in crisi (come S.r.l.) non rispetta gli obblighi di governance e va avanti spendendo risorse che aggravano il dissesto, gli amministratori (e i soci) possono essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio.
- Responsabilità penale tributaria e contributiva. Il mancato versamento tempestivo di IVA, ritenute o contributi previdenziali configura reati tributari/delitti contributivi (D.Lgs. 74/2000), puniti con sanzioni pecuniarie o anche detenzione. Ad esempio, se il ristoratore paga fornitori o se stesso sottraendo indebitamente l’IVA dal bilancio, rischia accertamenti penali. Allo stesso modo, l’omesso versamento dei contributi INPS ai dipendenti è reato (art. 2, L. 463/78). In caso di fallimento/liquidazione, tali fatti possono essere valutati come circonvenzione o distrazione di beni sociali.
- Altri reati fallimentari. Nel caso il ristoratore (da solo o tramite la società) abbia compiuto atti fraudolenti (fittizie passività, distrazione di beni, occultamento di documenti) causando il dissesto, può rispondere di bancarotta fraudolenta. Anche la semplice documentazione carente (assenza di scritture contabili regolari) innesca inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore.
In sintesi, trascurare la crisi di un ristorante può esporre a conseguenze gravi: è meglio affrontare la situazione in modo proattivo piuttosto che arrivare a procedimenti penali o a pagare i debiti con il patrimonio personale.
Tabelle riepilogative
Le tabelle seguenti confrontano sinteticamente alcuni strumenti di gestione della crisi e il trattamento delle diverse categorie di creditori in caso di insolvenza:
Strumento di crisi | Scopo | Consenso richiesto | Effetti principali |
---|---|---|---|
Composizione negoziata | Rinegoziazione extragiudiziale | Accordata con maggioranza di creditori trattati; prevede co-partecipazione di CCIAA ed Esperto | Sospensione azioni esecutive; possibili accordi con Fisco/INPS; nessuna omologa giudiziale obbligatoria, ma possibile attestazione finale e conversione in concordato. |
Accordi di ristrutturazione | Rinegoziazione omologata | Almeno 60% del passivo (o accordo agevolato al 50%) | Sospensione cessione crediti per azioni individuali. Omologazione anche se manca consenso totale; prevede esperto indipendente. Nuova disciplina 2024 prevede cram-down fiscale/contributivo. |
Piano attestato | Autoproposta di risanamento | Nessun voto necessario (puro strumento privatistico) | Non blocca le esecuzioni, ma è base per transazioni separate; attestazione di sostenibilità del piano. |
Concordato preventivo (continuità) | Salvataggio dell’azienda | Almeno 60% del passivo più maggioranze di classe | Blocca esecuzioni (art. 45 CCII); consente ulteriori finanziamenti (finanziamenti di proseguimento con privilegio). Debiti ristrutturati secondo piano. Potenziale esdebitazione. |
Concordato preventivo (liquidatorio) | Liquidazione tutelata | Almeno 60% del passivo | Liquidazione controllata dal tribunale; i creditori ricevono ricavi delle vendite di azienda/bene. Fine procedura: esdebitazione sui residui. |
Liquidazione giudiziale (fallimento) | Chiusura e liquidazione azienda | Istanza di imprenditore o creditore (insolvenza conclamata) | Vendita forzata dei beni; crediti soddisfatti secondo graduatoria legale. Società estinta dopo procedura. Possibile esdebitazione residui se richiesto a norma di legge. |
Categoria di creditori | Prelazione / trattamento |
---|---|
Dipendenti (stipendi, TFR) | Privilegiati (ordinari e straordinari) – pagati per primi |
Tributi (IVA, imposte) | Privilegi generali (fino a 2-3 anni) – precedono i creditori chirografari |
Contributi INPS/INAIL | Privilegi contributivi (art. 2751-bis c.c.) – non falcidiabili in concordato (più tutela) |
Mutui/finanziamenti garantiti | Ipoteca sui beni (prelazione speciale) – la banca si accerta sul ricavato da vendita; quota residua entra in chirografario se non coperta. |
Fornitori | Crediti chirografari – soddisfatti in base al piano concordatario o alla quota di riparto. |
Locatore (affitto) | Debito chirografario – il contratto può essere risolto, ma il credito residuo entra nel passivo. |
Altri creditori chirografari | Senza privilegio – soddisfatti solo dopo i privilegiati. |
Domande frequenti (Q&A)
- D: Quali segnali indicano che il mio ristorante è in stato di crisi?
R: Indicatori di crisi possono essere: pagamenti sistematicamente ritardati, pignoramenti, debiti correnti crescenti, perdita di liquidità, capitale sociale eroso. L’art. 2086 c.c. e il Codice della Crisi impongono di vigilare sullo stato di salute aziendale. È consigliabile far valutare la situazione da un commercialista o un professionista della crisi non appena compaiono questi segnali, per studiare i rimedi prima che sia troppo tardi. - D: Cosa posso fare con i debiti fiscali e contributivi?
R: Oggi si può tentare una transazione fiscale e contributiva all’interno di un concordato o di un accordo di ristrutturazione: in pratica si offre allo Stato/INPS un pagamento parziale con estinzione delle sanzioni e interessi. Dal 2024 ciò è stato facilitato: anche senza il consenso formale dell’Agenzia delle Entrate si può procedere per via giudiziale se garantito il trattamento minimo dei creditori. In alternativa, fuori dalle procedure concorsuali esistono regole ordinarie di rateizzazione (art.19 DPR 602/1973). In ogni caso, Tributi e contributi sono crediti privilegiati: in concordato dovranno ricevere quanto avrebbero avuto in liquidazione. - D: Conviene chiedere subito il concordato preventivo?
R: Dipende dalle dimensioni dell’attività e dalla gravità del dissesto. Il concordato è complesso e comporta costi (liquidatore, onorari professionali) e l’obbligo di un piano fattibile. Se l’azienda è salva potenzialmente, può essere un buon strumento perché ferma le esecuzioni e può prevedere continuità. Se invece è ormai insostenibile, spesso si opta per una liquidazione giudiziale o per altri strumenti di sovraindebitamento più agili. In alternativa, si può provare un accordo di ristrutturazione (art. 61 CCII) con i creditori più importanti, che può essere omologato anche senza unanimità. - D: Come posso bloccare un pignoramento in corso?
R: Se avvii una procedura concorsuale (concordato o liquidazione giudiziale), il decreto di apertura blocca le azioni esecutive individuali sul patrimonio dell’impresa. Anche in composizione negoziata o in accordo stragiudiziale ci possono essere provvedimenti di sospensione (previo decreto). Se non si entra in una procedura, è molto difficile fermare un pignoramento già notificato, tranne che ricorrendo al giudice dell’esecuzione per motivi tecnici o moratorie previste dalla legge (art. 54 CCII). - D: E se voglio chiudere comunque l’attività?
R: Se decidi di chiudere con debiti, occorre farlo in modo ordinato. Una liquidazione volontaria formale mette i liquidatori a pagare prima i creditori nell’ordine di legge. Se invece la società è già insolvente puoi richiedere il fallimento (oggi liquidazione giudiziale). Attenzione: chiudere “a corpo” senza liquidazione rischia di spostare sui soci tutta la responsabilità residua (art. 2495 c.c.). Al termine della liquidazione (o fallimento) i debiti residui possono essere chiesti come esdebitazione se non vi è colpa grave. Ricorda inoltre che lo Stato ti può ancora perseguire per tributi non versati entro cinque anni dalla cancellazione, tramite notifiche a nome della società estinta. - D: Qual è il ruolo del locatore (affitto) in caso di concordato o liquidazione?
R: Il contratto di locazione non viene automaticamente rinegoziato: nel concordato l’affitto (se dovuto) entra come debito chirografario e il locatore può o adeguarsi al piano di pagamenti o far valere subito il credito. In liquidazione giudiziale il contratto si risolve al momento del decreto; il locatore potrà iscrivere il suo credito nel fallimento al pari di un altro fornitore. Non esistono agevolazioni specifiche per il canone non pagato. - D: Come funziona l’esdebitazione del debitore?
R: È il meccanismo che consente all’imprenditore (o al consumatore) di liberarsi dei debiti residui al termine della procedura di composizione (accordo, concordato, liquidazione controllata). Se nel piano concordatario, ad esempio, si è corrisposto quanto previsto, il tribunale può cancellare i debiti residui di aziende e titolari senza scopi di lucro. Per ottenere l’esdebitazione è richiesto che la situazione di insolvenza non sia stata causata da dolo o colpa grave e che l’imprenditore sia rimasto regolare nel piano di pagamenti. - D: Posso usare la Legge 3/2012 (Piano del consumatore)?
R: Solo se il ristoratore non è «imprenditore commerciale» o ha cessato l’attività. Se sei considerato imprenditore commerciale e hai comunque deciso di chiudere, devi usare gli strumenti dell’impresa in crisi (concordato, liquidazione). Se invece hai aperto partita IVA ma lavori come esercente individuale con debiti civili (non di impresa), puoi tentare il piano del consumatore (ora presso Tribunale), che consente di ristrutturare debiti patrimoniali e ottenere l’esdebitazione finale. In questo caso l’esdebitazione è vincolata ad un piano che preveda almeno la parte esecutata sui creditori privilegiati, ma la moratoria introdotta per legge consente all’impresa di cominciare a pagare entro un anno dall’omologa. - D: Cosa succede in caso di socio o amministratore inadempiente?
R: Se nella società c’era un amministratore, la sua responsabilità può essere valutata dal tribunale fallimentare/giudice delegato. L’art. 2476 c.c. (soci accomandatari) e l’art. 2486 c.c. (amm. S.p.A.) – modificati dall’art. 378 CCII – prevedono che l’amministratore risponda di dolo o colpa grave (in pratica grave negligenza) per i danni subiti dalla società continuando l’attività in condizioni evidenti di dissesto. Inoltre, se nelle procedure emergono frodi o distrazioni, l’amministratore (o liquidatore) può essere dichiarato responsabile civile ex art. 2047 c.c. oppure incriminato penalmente. A livello fiscale, infine, le responsabilità nei confronti dell’Erario possono trasferirsi direttamente sui soci o amministratori (si pensi ai caso di società “di comodo”): come detto, anche dopo lo scioglimento l’Agenzia può rivalersi entro 5 anni.
Simulazioni di casi pratici
Caso 1: Ristorante “Alta Cucina” con fatturato in calo, debiti 200.000 €. Il ristoratore X lamenta difficoltà di flusso di cassa dopo il lockdown e ha accumulato 200k di debiti (60k banche, 50k fornitori, 70k Fisco e INPS, 20k affitto). I segnali di crisi (cartelle esattoriali e pignoramenti medi) lo inducono a rivolgersi a un avvocato. Viene esaminata la posizione e si decide di tentare subito un accordo di ristrutturazione con i creditori principali. Sotto supervisione giudiziaria X presenta un piano proponendo pagamenti dilazionati su 3 anni ai creditori bancari e ai fornitori, accettando di scorporare IVA e contributi entro il valore di liquidazione. L’Agenzia delle Entrate non oppone né consenso (ha già accettato in un incontro esplorativo né oppone veto. Il tribunale omologa l’accordo perché i creditori dissenzienti – l’INPS esclusa – otterranno in liquidazione lo stesso importo. X continua l’attività, pagherà regolarmente i creditori secondo il piano e al termine del triennio otterrà l’esdebitazione sui residui. Questo ha evitato il fallimento e salvato l’azienda.
Caso 2: Ristorante “Bella Vita” in crisi irreversibile. I titolari Y e Z gestivano un locale con gravi perdite. In 2 anni hanno accumulato 500k di debiti (banche, fiscali, contributi, fornitori), senza prospettive di rilancio. Decidono di chiudere. Li viene consigliato di attivare subito una procedura di liquidazione controllata ex Legge 3/2012 (oggi CCII). Tramite un OCC, propongono di pagare 300€ al mese per 48 mesi ai creditori, più una cessione di pochi macchinari per 5k. Non serve il consenso dei creditori: il Tribunale valuta la proposta e l’ammonta credibile dei pagamenti. Se approvato, i debiti residui saranno cancellati (esdebitazione) alla fine del piano. I creditori accettano perché preferiscono avere qualcosa anziché poco o nulla dopo un fallimento. Questa strategia consente di riottenere una nuova vita finanziaria personale pur chiudendo l’attività.
Caso 3: Ristorante “La Griglia” e famiglia in sovraindebitamento. Tizio è titolare unico di un piccolo ristorante che non è formalmente iscritto come S.r.l. Ha debiti commerciali (fiscali e banche) per 80k e debiti personali (mutuo, rate) per altri 50k. È sovraindebitato anche come privato. Valuta due strade: come imprenditore può chiedere concordato (ma l’impresa è minuscola); come consumatore può chiedere il piano del consumatore (c.d. “liquidazione controllata legge 3”). Decide per la legge 3: il tribunale accetta il suo piano che prevede pagamenti proporzionali senza sfruttare alcun bene rilevante. Al termine, se rispetta il piano, ottiene l’esdebitazione totale dei debiti.
Conclusioni
Il ristoratore in difficoltà non deve disperare, ma agire con cognizione di causa. Il sistema giuridico italiano, soprattutto dopo il Codice della crisi, offre strumenti sia stragiudiziali sia giudiziali per provare a ristrutturare l’azienda o, se necessario, chiuderla con le minori conseguenze possibili. Essenziale è il momento in cui si interviene: affrontare precocemente la crisi con un piano strutturato può fare la differenza tra la salvezza e la bancarotta. Ogni situazione è diversa: si consiglia sempre di farsi assistere da professionisti esperti in ristrutturazione del debito (avvocati, commercialisti o organismi di composizione della crisi) per individuare il percorso più adatto. Tuttavia, le soluzioni sono ora più flessibili di un tempo, grazie alle recenti novità normative.
Fonti
- Normativa: D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) con successive modifiche (D.Lgs. 83/2022, 136/2024) e il D.Lgs. 118/2021 (composizione negoziata); L. 3/2012 (sovraindebitamento); Codice Civile (artt. 2086, 2494-2495 c.c., ecc.); DPR 600/1973 e DPR 602/1973 (accertamento e riscossione tributaria).
- Giurisprudenza e dottrina: Trib. Bergamo 19/07/2024 – liquidazione controllata e esdebitazione di debiti di ristorante; Cass. Civ. SS.UU. 12/02/2025 n. 3625 (responsabilità dei soci per debiti tributari di società estinta).
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Conclusione
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