Il Test Di Convenienza Nel Codice Della Crisi D’impresa E Dell’insolvenza

Perfetto. Inizierò la redazione di una guida avanzata sul test di convenienza nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, aggiornata a giugno 2025. Includerò fonti autorevoli e sentenze aggiornate, simulazioni numeriche dettagliate, tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte, e un taglio divulgativo ma rigorosamente giuridico, dal punto di vista del debitore.

Ti aggiornerò non appena sarà pronta per la revisione.

Introduzione

Il “test di convenienza” è il criterio di valutazione che confronta il piano proposto dall’imprenditore in crisi con lo scenario alternativo di liquidazione giudiziale. In base al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI), ogni concordato preventivo e altri strumenti ristrutturativi devono garantire un soddisfacimento dei creditori “in misura non inferiore” a quello ottenibile in caso di liquidazione. In altre parole, il piano presentato dal debitore deve offrire ai creditori un vantaggio almeno pari a quello che avrebbero se tutti i beni venissero venduti con procedura concorsuale. Questo principio nasce dal rispetto della par condicio creditorum e dell’absolute priority rule, che impone di non diminuire arbitrariamente le spettanze dei creditori privilegiati e chirografari.

Negli ultimi anni, le riforme legislative – in particolare il D.Lgs. n. 14/2019 (Codice Crisi) e il D.Lgs. n. 83/2022 (decreto correttivo) – hanno approfondito e specificato le modalità di applicazione del test. Ciò ha avuto riflessi decisivi sui diversi strumenti della regolazione della crisi: il concordato preventivo (in continuità o liquidatorio), il concordato semplificato, i piani di ristrutturazione omologati (PRO), e persino gli accordi fiscali. Da sempre dal punto di vista del debitore, l’onere è dimostrare analiticamente la convenienza del proprio piano, pena il rigetto o la negazione dell’omologa. I giudici valutano sia la componente quantitativa (importi e percentuali offerte) sia quella qualitativa (termini di pagamento, garanzie, momenti di incasso), per assicurare che nessun creditore dissenziente resti avvantaggiato dalla liquidazione giudiziale rispetto al piano concordatario.

Quadro normativo del test di convenienza

Il Codice della Crisi (D.Lgs. 12/2019) sancisce espressamente che la finalità fondamentale del concordato preventivo è «il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale». Tale formulazione è contenuta nell’art. 84, comma 1, CCI, che stabilisce il carattere inderogabile del rispetto della liquidazione come parametro minimo. In pratica, ogni piano (sia in continuità che liquidatorio) deve garantire ai creditori un trattamento equivalente a quello ottenibile con una vendita coattiva dei beni a mercato, depurata dei costi di procedura.

L’art. 87, comma 1, lett. c) CCI impone al piano di indicare il valore di liquidazione del patrimonio (cioè l’attivo liquidabile alla data di domanda in ipotesi concorsuale). Questo valore è la base di calcolo su cui confrontare la distribuzione prevista dal piano. L’art. 88 CCI, che disciplina il trattamento dei crediti tributari e previdenziali, richiede altresì di attestare la “convenienza” del piano rispetto alla liquidazione giudiziale. In particolare, l’attestatore indipendente deve verificare non solo la sostenibilità finanziaria del piano ma anche che il trattamento dei crediti non risulti peggiorativo rispetto alla prospettiva liquidatoria. Questa “attestazione di convenienza” diventa vincolante in caso di transazione fiscale (c.d. “cram down fiscale”): se il piano comprensivo di stralcio tributario intende avere efficacia forzosa, deve provare la maggiore convenienza rispetto alla liquidazione.

Il D.Lgs. n. 83/2022 (c.d. decreto correttivo) ha introdotto modifiche rilevanti in materia di convenienza. In particolare, il correttivo ha eliminato (o limitato) il cosiddetto “test di convenienza d’ufficio” in sede di omologazione, riservando il controllo alla protesta attiva dei creditori. Ora, se nessun creditore dissente, il tribunale omologa il piano senza riesaminare autonomamente la convenienza. Tuttavia, resta l’obbligo di dimostrare analiticamente la preferibilità del piano: come sottolinea la giurisprudenza, “grava sull’impresa debitrice l’onere di dimostrare, in modo analitico e puntuale, la preferibilità rispetto alla liquidazione giudiziale”, stimando i proventi della liquidazione e simulando la ripartizione.

Il concetto di convenienza e assenza di pregiudizio

Nel linguaggio del Codice, il test di convenienza si declina spesso come “assenza di pregiudizio” per i creditori. Cioè, il piano concordatario non deve lasciare alcun creditore dissenziente in posizione peggiore rispetto alla liquidazione. In pratica, anche se i crediti (in particolare quelli garantiti) possono essere falcidiati, resta il vincolo che nessun creditore possa ottenere di meno di quanto avrebbe ricevuto nell’alternativa liquidatoria. Il rispetto di questo vincolo assicura che il piano non violi il principio di parità di trattamento tra creditori di pari grado.

Tale principio è affermato implicitamente in tutte le procedure concorsuali. Ad esempio, nel concordato preventivo in continuità aziendale, l’attestazione prevista dall’art. 87, comma 3, CCI deve contenere un esplicito giudizio sulla “convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale”, oltre a certificare la fattibilità economico-finanziaria. Nel concordato liquidatorio, invece, il legislatore presume la convenienza del piano grazie all’apporto di risorse esterne (cfr. art. 84, c.4 CCI), imponendo però soglie minime (almeno il 10% in più di apporto, con un minimo del 20% ai chirografari). Nel concordato semplificato (art. 25-sexies CCI) l’omologazione richiede espressamente il superamento del test di convenienza rispetto alla liquidazione (o liquidazione controllata). Infine, nel piano di ristrutturazione omologato (art. 64-bis CCI) i creditori dissenzienti possono opporsi invocando il difetto di convenienza.

Quindi, in tutte le sedi giudiziali l’attenzione è rivolta a garantire che il valore economico complessivo destinato ai creditori nel piano non sia inferiore a quello disponibile nella liquidazione. Questo confronto comprende sia quantità (importi monetari o percentuali di soddisfazione) che qualità (tempistiche di pagamento, garanzie aggiuntive, conservazione di fornitori chiave, posti di lavoro, ecc.). La dottrina e la giurisprudenza raccomandano di non limitarsi al mero aspetto numerico, ma di considerare ogni vantaggio accessorio che il piano può offrire. Ad esempio, una continuità indiretta che preservi rapporti commerciali o occupazionali può essere considerata un beneficio intangibile che “compensa” percentuali monetarie inferiori.

Concordato preventivo in continuità aziendale

Nel concordato in continuità aziendale (sia con prosecuzione diretta che con cessione dell’azienda), non è prevista una percentuale minima legale di soddisfazione per i creditori chirografari. Tuttavia, come detto, il piano deve essere conveniente rispetto all’alternativa concorsuale. Il debitore, attraverso l’attestatore, deve rappresentare nel piano ogni elemento utile a dimostrare la preferibilità: la stima dell’attivo liquidabile, i flussi di cassa futuri, gli investimenti necessari, i tempi di realizzazione, nonché gli apporti esterni (privati o soci) previsti. In altre parole, bisogna calcolare la ricchezza generata dalla continuità e confrontarla con l’ipotesi di liquidazione.

L’art. 84, c.1, CCI stabilisce che il trattamento dei creditori non può essere inferiore a quello liquidatorio, considerato come condizione di ammissibilità della proposta concordataria. Il correttivo ha precisato che, se nessun creditore contesta la convenienza, il tribunale omologa il piano senza ulteriori controlli. Tuttavia, se un creditore dissente, il giudice è obbligato a misurare l’effettivo soddisfacimento ottenibile con la liquidazione e ad accertare che il piano offra a quel creditore una quota non inferiore. In sintesi: onere del debitore è pre-dimostrare la convenienza, ma controllo giudiziale scatta solo su opposizione.

Onere della prova del debitore

Sotto il profilo operativo, spetta all’imprenditore (con l’aiuto del professionista attestatore) predisporre una valutazione analitica. Ad esempio, nei rilievi più recenti si richiede di stimare “i proventi della vendita concorsuale e la simulazione della relativa distribuzione ai creditori”, al netto delle spese di procedura, per confrontarli con quanto offerto dal concordato. In altri termini, il debitore deve svolgere un vero business plan comparativo: calcolare cosa resterebbe ai creditori in liquidazione e cosa il piano garantisce effettivamente. Questo implica valorizzare l’attivo esistente, quantificare i flussi derivanti dalla continuità (ad esempio il maggior utile atteso), valutare apporti di nuova finanza, e infine ripartire le risorse secondo le classi dei creditori.

Nel piano devono perciò essere incluse tabelle e dati credibili relativi agli scenari alternativi. La Corte d’Appello di Milano, confermando un concordato in continuità, ha sancito che “la percentuale offerta ai chirografari […] non sarebbe conseguibile in liquidazione giudiziale”, evidenziando che senza l’apporto di 150.000 euro da parte di un socio e con gli attivi assorbiti dai crediti privilegiati, i creditori erariali avrebbero ottenuto in liquidazione ben meno del 6,4% proposto. In pratica, l’imprenditore ha dimostrato che la liquidazione pura avrebbe lasciato le casse vuote anche per i privilegiati, mentre il piano continuità offre invece almeno un veicolo di pagamento. Su tale base, i giudici hanno omologato il concordato.

Sentenze recenti e orientamenti

Sebbene la Cassazione non si sia ancora pronunciata esplicitamente sul test di convenienza nel nuovo regime, diverse pronunce di merito hanno ribadito i principi generali. In linea con l’art. 84, un Tribunale (es. Firenze) ha evidenziato che “il concordato deve garantire la non inferiorità del trattamento rispetto alla liquidazione”, condizione inderogabile. Nell’ambito del concordato ordinario, giurisdizioni di merito richiedono al debitore di non limitarsi a un’affermazione generica, ma di “dimostrare in modo analitico” la convenienza.

Esempio numerico

Per chiarire, consideriamo un esempio semplificato di confronto:

VoceLiquidazione giudizialeConcordato in continuità
Totale attivo realizzabile€ 80.000€ 100.000 (attivo operativo + apporti)
– Spese di procedura (stima 10%)€ 8.000(già conteggiate nell’attivo)
Attivo netto disponibile€ 72.000€ 100.000
Crediti privilegiati (valore nominale € 50.000)€ 50.000 (integralmente soddisfatti)€ 50.000 (pagati con risorse del piano)
Debiti chirografari (nominale € 50.000)€ 22.000 (saldo residuo attivo)€ 50.000 (ammonterà al 100%)
% soddisfazione chirografari44% (22.000 su 50.000)100% (50.000 su 50.000)

In questo scenario, la vendita coattiva (liquidazione) genera 80.000 euro di attivo lordo, riducendosi a 72.000 netto. Dopo aver estinto i crediti privilegiati da 50.000 euro, restano 22.000 euro per i 50.000 di crediti chirografari (soddisfazione 44%). Con il concordato in continuità, invece, il piano fa leva sulla continuazione dell’attività e su 20.000 euro di nuova finanza, generando in totale 100.000 euro. I privilegiati vengono anch’essi soddisfatti per 50.000 euro, e restano esattamente 50.000 euro per i chirografari, pari al 100% del loro credito. Il test di convenienza risulta superato perché ogni creditore (privilegiato e chirografario) esce almeno tanto bene (anzi meglio) rispetto alla liquidazione. Il debitore dovrà documentare questi calcoli nel piano, allegando proiezioni attendibili e certificazioni, per convincere il tribunale e, soprattutto, dissuadere eventuali opposizioni.

Concordato preventivo con liquidazione del patrimonio

Nel concordato liquidatorio, il piano prevede la cessione dell’intero patrimonio del debitore (o la sua maggior parte) per pagare i creditori. In teoria, anche qui vige il principio della non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale, ma il legislatore ha introdotto requisiti minimi specifici per garantirlo. L’art. 84, comma 4, CCI stabilisce che l’apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il 10% il valore che si avrebbe in liquidazione, e che i creditori chirografari (in caso di incapienza sui privilegi) devono ricevere almeno il 20% dei loro crediti, salvo l’ottenimento di finanziamenti che comportino un incremento del 10%. Si tratta di una sorta di “test di convenienza implicito”: se il piano liquidatorio non assicura queste soglie, rischia di non essere ammissibile o di essere revocato.

Nota: dopo il correttivo del 2022, queste soglie restano in vigore senza modifiche sostanziali. Anzi, come osservato in dottrina, esse continuano a fungere da limite cogente: senza il 10% addizionale di risorse esterne non è praticabile una falcidia superiore, e il 20% ai chirografari è limite minimo di accettazione. Nel test di convenienza, il debitore deve quindi garantire di ottenere conferimenti esterni adeguati e un minimo di pagamento anche ai creditori non garantiti. In caso contrario, il tribunale può ritenere insufficiente la proposta e non omologarla.

Simulazione pratica

Immaginiamo un caso di concordato liquidatorio:

  • Attivo vendibile (stima): € 100.000
  • Spese di procedura (10%): € 10.000
  • Attivo netto: € 90.000
  • Crediti privilegiati (totale): € 60.000
  • Crediti chirografari (totale): € 60.000

In liquidazione giudiziale, i privilegiati (saldo € 60.000) assorbirebbero i 60.000 euro initiali, poi resterebbero 30.000 euro (dopo spese) che coprirebbero metà dei 60.000 dei chirografari (il 50%). Con un concordato liquidatorio, il debitore deve trovare risorse esterne: supponiamo di ottenere 10.000 euro dai soci. Aggiungendoli all’attivo netto (ora 100.000), si raggiunge la quota minima: i privilegiati percepiscono 60.000, i chirografari 40.000. Questo 40.000 rappresenta il 67% dei loro 60.000 di credito, superiore al 50% del piano alternativo. Dunque, il test di convenienza (inteso come rispetto delle soglie 10%/20%) è superato: senza l’apporto aggiuntivo i creditori sarebbero stati soddisfatti al 50%, con il piano li soddisfiamo al 67%. Il debitore dovrebbe dettagliare i flussi finanziari (incluso l’apporto di 10.000) nel piano per giustificare questo esito.

Concordato semplificato

Il concordato semplificato (artt. 25-sexies e ss. CCI, introdotto dal correttivo 2022) è pensato come strumento residuale per imprese che hanno già tentato di risanarsi (via composizione negoziata) senza successo. Il piano semplificato non prevede votazioni creditorie vere e proprie, ma l’omologazione richiede comunque il rispetto di due condizioni inderogabili se ci sono creditori dissenzienti: (i) il superamento del test di convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria (o liquidazione controllata), e (ii) il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione nella distribuzione. In altre parole, nemmeno nel semplificato si può proporre un soddisfacimento inferiore al liquidatorio o sforare l’ordine di privilegio senza una specifica copertura.

A differenza del concordato ordinario, però, non è richiesto l’attestato di non deteriore espressamente dall’art. 87, e non c’è alcuna votazione che stabilisca percentuali minime. Il debitore propone un piano di liquidazione del patrimonio (pur potendovi prevedere operazioni di cessione indiretta o continuità breve), e il tribunale valuta solo se la proposta non pregiudica i dissenzienti. In sostanza, anche qui vale la regola generale: se i creditori di rango inferiore ricevono con il piano almeno quanto avrebbero in liquidazione, il vincolo è rispettato.

Principi applicativi

La giurisprudenza recente ha chiarito alcune regole specifiche:

  • Vantaggi compensativi: Un Tribunale (Treviso, ottobre 2023) ha confermato che nel concordato semplificato i vantaggi “non monetari” della continuità indiretta (come la conservazione di rapporti commerciali o di lavoro) possono compensare percentuali monetarie molto basse ai chirografari. In quel caso, sebbene i chirografari ricevessero solo lo 0,048% del loro credito, il collegio ha ritenuto che il “vantaggio qualitativo” (continuità dell’attività e conservazione di posti di lavoro) superasse il test di convenienza. Questo orientamento suggerisce che il tribunale guarda anche a elementi aggiuntivi dell’offerta complessiva.
  • Falcidie di crediti previdenziali/tributari: Diversi tribunali (Lecce, Tempio Pausania) e corti d’appello (es. Lecce, gen. 2025) hanno ammesso la riduzione dei crediti erariali e previdenziali nel concordato semplificato, purché sia garantita la non inferiorità rispetto alla liquidazione. La Corte d’Appello di Lecce (15 gen. 2025) ha enfatizzato che l’unico limite è il confronto con la liquidazione giudiziale: se i crediti fiscali sarebbero pagati per intero in fallimento (cosa rara per importi bassi), nel concordato semplificato possono invece essere stralciati se nel complesso la distribuzione risulta parimenti o più favorevole. In pratica, anche nel semplificato vale il principio generale dell’art. 25-sexies: i privilegiati devono ricevere almeno il loro integrale su garanzie, o in alternativa importi minimi se degradati per incapienza, e il piano deve assicurare un’utilità non inferiore.
  • Continuità funzionale: Sebbene lo scopo del semplificato sia liquidatorio, alcune pronunce (Trib. Pescara 27/1/2025) hanno ammesso una modesta continuità operativa pre-vendita se finalizzata a massimizzare il ricavo. Altre (Trib. Milano 15/4/2025) hanno invece escluso che una continuazione pluriennale possa costituire l’aspetto essenziale del piano. La chiave è che qualsiasi operazione non deve “dissipare” il patrimonio: secondo il Tribunale di Siena e Pescara, è possibile usare l’attività impresa per incrementare il valore di realizzo dei beni, a patto che non generi perdite che erodano le risorse destinate ai creditori.

Simulazione semplificata

Supponiamo il seguente scenario semplificato di concordato liquidatorio:

  • Attivo vendibile totale: € 50.000
  • Spese di procedura: € 5.000
  • Attivo netto: € 45.000
  • Crediti privilegiati: € 30.000
  • Crediti chirografari: € 20.000

In liquidazione, i 30.000 € privilegiati assorbirebbero parte dell’attivo, lasciando solo 15.000 € per i 20.000 € di crediti chirografari (soddisfazione 75%). Ora ipotizziamo un piano semplificato che prevede di mantenere l’attività per un breve periodo, realizzando un utile di 10.000 € prima di vendere, portando l’attivo complessivo offerto a 55.000 €. Dopo le stesse spese di procedura (5.000 €), restano 50.000 €: i privilegiati ricevono 30.000 € (integrale), i chirografari 20.000 € (100%). In questo caso, i chirografari passano dall’75% “consentito” della liquidazione a un pagamento pieno, e in più godono dell’utilità aggiuntiva di posti di lavoro salvati durante l’attività di vendita. Il test di convenienza è soddisfatto: nessuno è danneggiato (anzi, i chirografari vincono) rispetto alla liquidazione. Il debitore dovrà dettagliare questi calcoli nel piano semplificato ed essere pronto a convincere il tribunale della plausibilità degli utili di continuità**.

Piano di Ristrutturazione Omologato (PRO)

Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), introdotto dal D.Lgs. n. 83/2022, è uno strumento nuovo che consente al debitore, con il consenso delle classi di creditori, di ottenere l’omologazione anche in deroga a molte regole ordinarie (ad esempio relative alle prelazioni). Tuttavia, proprio per compensare queste ampie deroghe, il Codice ha previsto uno “stop di sicurezza” per i singoli creditori dissenzienti. L’art. 64-bis, comma 8, CCI stabilisce che ogni creditore può opporsi all’omologazione invocando il difetto di convenienza: cioè l’essere peggiorato rispetto alla liquidazione giudiziale. In sede di opposizione, il tribunale valuta quindi se il piano (che potrebbe prevedere distribuzioni anche inferiori) soddisfa o meno la richiesta del creditore opponente. Se il giudice accerta che il creditore dissenziente avrebbe ottenuto di più in liquidazione, dovrà negare l’omologazione. Al contrario, se il piano garantisce “misura non inferiore”, l’omologa viene mantenuta in funzione dell’interesse generale.

In pratica, nel PRO la distribuzione concordataria può essere molto flessibile (anche con classi omogenee che accettano stralci), ma chi rimane escluso o paga meno può sempre ricorrere al “cram down” fiscale e commerciale: il tribunale omologa comunque il piano se anche i dissenzienti ottengono un risultato non peggiore del liquidatorio. Va osservato che, a differenza del concordato ordinario, nel PRO l’attestatore non formula un giudizio ex ante di convenienza; però la relazione di fattibilità e solidità del piano resta una base informativa cruciale per il giudice. In ogni caso, il debitore deve munirsi delle stesse analisi comparative del concordato (valutazione del patrimonio liquidabile, simulazione della ripartizione) perché il singolo opponente potrà sempre chiedere la liquidazione come parametro di confronto.

Debitore e convenienza nel PRO

Dal punto di vista del debitore, l’opportunità del PRO risiede proprio nella possibilità di ottenere omologa vincolante anche contro la volontà di qualche creditore, a condizione di dimostrare la convenienza. Il piano PRO non prevede percentuali minime legali: il volume delle distribuzioni dipende interamente dall’accordo tra le classi. Tuttavia, nella pratica il debitore dovrà comunque far redigere un business plan che includa il valore di liquidazione e la ripartizione prospettata. Se, ad esempio, un creditore col privilegio ipotecario residuo ritiene di non essere compensato adeguatamente, può sollevare opposizione e pretendere il confronto con il risultato liquidatorio. Se il tribunale rileva che gli assicurerà di più liquidando i suoi beni ipotecati, l’omologa potrebbe essere revocata.

Il Tribunale ha quindi un dovere di sindacato circoscritto: non giudica la fattibilità (che resta compito dell’attestatore), ma sorveglia la “regolarità formale” e la correttezza delle classi, nonché la convenienza in opposizione. In definitiva, anche nel PRO il debitore deve costruire un argomento solido circa il valore generato dal piano e la sua adeguata allocazione, pena l’insuccesso dell’intera procedura.

Caratteristiche distintive

Rispetto al concordato tradizionale, quindi, il PRO è l’“estremo tentativo” di riequilibrio concorsuale: permette al debitore di coinvolgere le classi in negoziazioni ampie, ma l’esito dipende dalla loro approvazione unanime o comunque dall’assenza di opposizione gravosa. Se non arriva l’unanimità, si trasforma (tramite opposizione) in concordato preventivo ordinario. In ogni caso, è cruciale che il piano PRO sia credibilmente più vantaggioso per i creditori di quanto otterrebbero senza di esso.

Esempio semplificato

Per un imprenditore indebitato con un immobile di valore, il PRO può prevedere la vendita competitiva di quell’asset. Immaginiamo:

  • Valore netto liquidabile dell’azienda (vendita immediata): € 200.000
  • Debiti privilegiati: € 180.000
  • Debiti chirografari: € 100.000

In liquidazione, i privilegiati (180.000) catturerebbero quasi tutto l’attivo, lasciando 20.000 per i 100.000 di chirografari (20%). Nel PRO, l’imprenditore potrebbe persuadere le classi a rinviare la vendita e invece rivolgersi a un investitore, che versa subito 50.000 euro “ticket” più 150.000 in aumento di capitale; l’attività viene continuata con utili che portano risorse per pagare altri debiti. Alla fine, il piano produce complessivamente 250.000 € da redistribuire: i privilegiati continuano a percepire 180.000, i chirografari 70.000. In tal modo i chirografari passano dal 20% del liquidatorio al 70% con il piano. Un creditore dissenziente potrebbe obiettare che 70.000 vs 20.000 sono convenienza, e infatti il tribunale omologherebbe il piano in presenza di opposizione (cram down semplice).

Transazione fiscale

Nella transazione fiscale disciplinata dal Codice della Crisi (art. 63-64 CCI), il debitore propone all’Agenzia delle Entrate di ristrutturare i debiti tributari con stralcio e/o dilazione. Qui il test di convenienza assume un rilievo speciale: l’art. 63, comma 2-bis, CCI prevede che l’adesione coattiva dell’Erario (c.d. cram down fiscale) è possibile solo se si attesta che il trattamento proposto è conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale. In pratica, l’Amministrazione finanziaria valuta in via esclusiva la convenienza economica (il maggiore soddisfacimento) del suo credito nel piano rispetto al fallimento e non coinvolge il tribunale in questo giudizio. La relazione di convenienza nei confronti del Fisco deve quindi contenere un confronto dettagliato degli scenari, analogamente a quanto fa il debitore nel concordato, ma l’esito è affidato all’Erario. Dal punto di vista del debitore, ciò significa preparare – anche per i crediti fiscali – una proiezione dei pagamenti con il piano e senza (fallimento), per convincere l’Agenzia che è utile accettare lo stralcio.

Domande e risposte sui principali aspetti

D: Che cos’è esattamente il test di convenienza nel Codice della Crisi?
R: Il test di convenienza è la verifica che il piano di risanamento o concordato offerto dal debitore non peggiori la posizione di alcun creditore rispetto alla liquidazione giudiziale. In altre parole, nessun creditore dissenziente deve ricevere, secondo il piano, un valore inferiore a quello che avrebbe avuto in una procedura liquidatoria. Il Codice definisce questo requisito come condizione di ammissibilità del concordato (art. 84, c.1) e come elemento imprescindibile in diversi casi (ad es. cram down fiscale, concordato semplificato, PRO). La logica è proteggere i creditori attraverso il confronto con uno scenario oggettivo e coercibile come quello liquidatorio.

D: Chi deve dimostrare la convenienza e come?
R: L’onere di provare la convenienza grava sul debito re. Il piano concordatario deve includere stime analitiche delle diverse voci patrimoniali e dei flussi di cassa futuri, al fine di stimare l’ammontare liquidabile dei beni (valore di liquidazione) e la ripartizione proposta. In sostanza, il debitore (con l’attestatore) deve eseguire una simulazione che confronti scenario “piano” e “fallimento”: ad esempio, calcolare l’incasso derivante da una vendita concorsuale dei beni e poi ripartirlo secondo l’ordine delle cause di prelazione, confrontando poi i numeri con quanto garantito dal piano. La più recente giurisprudenza conferma che “tocca all’impresa debitrice dimostrare, in modo analitico e puntuale, la preferibilità rispetto alla liquidazione giudiziale”. Non basta dunque un’attestazione generica: serve dettagliare ogni voce (costo di liquidazione, valore di realizzo, nuova finanza, utilizzo di garanzie, tempi di incasso, ecc.).

D: Serve per forza un “piano B” in liquidazione?
R: Sì. Nel piano deve essere indicato il valore di liquidazione (“cosa succederebbe se finisse tutto in liquidazione”). Questo per permettere il confronto con l’alternativa. In pratica il debitore prepara un prospetto con almeno due scenari: il piano concordatario che sta proponendo e lo scenario liquidatorio “no piano”. Entrambi debbono essere analizzati e comparati per i singoli creditori.

D: Il tribunale controlla d’ufficio la convenienza?
R: Dipende. Dopo il correttivo 2022, no: il tribunale non ricalcola ex officio la convenienza nel concordato preventivo (né in continuità né liquidatorio), a meno che non intervenga l’opposizione di un creditore dissenziente. In pratica, se tutti i creditori accettano il piano, il giudice omologa senza riesaminare i conti. Se invece un creditore contesta, allora il tribunale deve misurare il suo soddisfacimento liquidatorio e quello concordatario per vedere se vi è pregiudizio. L’unica eccezione rimasta è quella della transazione fiscale e simili, dove l’amministrazione valuta convenienza (art. 63). In sintesi, senza opposizione individuale, il test non scatta d’ufficio.

D: Il concordato semplificato richiede sempre il test di convenienza?
R: Sì. Il CCI stabilisce chiaramente che, in caso di dissenso di uno o più creditori, l’omologa del concordato semplificato non può avvenire se non è rispettato il vincolo di convenienza. Se quindi almeno un creditore chiede il rispetto della graduazione delle prelazioni o il soddisfacimento “non inferiore” alla liquidazione, il piano semplificato dovrà dimostrare queste condizioni. I tribunali hanno confermato che, in assenza di tali garanzie, l’omologa va negata. Ciononostante, la giurisprudenza è flessibile: permette di compensare ridotti pagamenti monetari con vantaggi non monetari (continuità di rapporti), purché complessivamente il creditore dissenziente sia almeno equamente trattato rispetto alla liquidazione. In pratica, anche nel semplificato, l’onere è del debitore di documentare la non inferiorità del piano rispetto allo scenario liquidatorio.

D: Posso falcidiare i crediti tributari nel concordato?
R: Nel concordato preventivo ordinario sì (con le regole dell’art. 88 CCI), nel semplificato i tribunali più recenti ritengono di sì purché non si pregiudichi la posizione del creditore erariale rispetto alla liquidazione. In altri termini, anche i crediti fiscali possono essere parzialmente stralciati, ma il piano deve assicurare all’Erario (come ad altri creditori) un utile almeno pari a quello che avrebbe in liquidazione. Le sentenze del 2023-2024 citate mostrano che, in un concordato semplificato in continuità indiretta, è stato consentito uno stralcio anche rilevante dei debiti fiscali, motivandolo sulla base del “migliore risultato” complessivo rispetto al fallimento.

D: Che succede se il piano non supera il test?
R: Se un creditore dissenziente dimostra che con il piano riceverebbe meno di quanto otterrebbe in liquidazione (o viola la graduazione di privilegio), il giudice non deve omologare il piano. Nei concordati ordinari questo può portare al rigetto dell’intera proposta concordataria. Nel PRO, l’esito dell’opposizione sarà di norma lo stesso: omologa negata. Nei casi di accordi fiscali, se l’Erario ritiene che il piano non sia conveniente, respinge la proposta e si va direttamente in fallimento o continua la riscossione. In breve, la mancata convenienza è un motivo di inammissibilità/inescusabilità definitivo: il tribunale non può forzare il piano se manca questo presupposto legale.

D: Come si calcola operativamente il valore di liquidazione?
R: Il valore di liquidazione si calcola come l’attivo realizzabile ipotizzando la liquidazione giudiziale “normalmente guidata” dei beni, al netto delle spese concorsuali (co. 1 e 2, art. 84 CCII). Significa stimare quanto converrebbe dalle vendite coatte degli asset aziendali, aggiungendo eventuali proventi delle azioni revocatorie o di riserve presenti, e sottraendo costi (perizia, curatela, procedure esecutive). In pratica, il creditore interessato (o l’attestatore) simula una procedura fallimentare: vende gli asset tramite asta, incassa quanto possibile, paga spese e poi divide il residuo. Questa cifra si raffronta con la somma promessa dal piano.

D: Chi verifica le simulazioni del debitore?
R: Nel concordato in continuità, la verifica della coerenza e veridicità dei dati spetta all’attestatore (indipendente). Quest’ultimo deve redigere una relazione che includa il confronto tra liquidazione e piano. Successivamente, il tribunale può richiedere chiarimenti o integrazioni. In ogni caso, il giudizio finale spetta al tribunale in caso di opposizione. Di fatto, l’attestatore fornisce gli elementi alla base del calcolo di convenienza, ma è il giudice a dirimere eventuali contestazioni. Nel concordato semplificato non vi è attestatore specializzato per la convenienza (solo per la fattibilità generale), quindi è il tribunale che valuta “a vista” le argomentazioni del debitore e delle opposizioni.

Conclusioni

Il test di convenienza è una chiave di volta del sistema di regolazione della crisi in Italia: consente di salvare l’impresa e i posti di lavoro preservando i diritti dei creditori. Dal punto di vista del debitore, significa dimostrare con rigore tecnico (numerico e qualitativo) che il proprio piano è in effetti un’alternativa migliore rispetto al semplice fallimento. L’equilibrio tra flessibilità del legislatore – che favorisce la continuità aziendale – e protezione del creditore dissenziente – garantita dal test – è ciò che orienta tutte le scelte procedurali e tecniche del concordato e degli strumenti affini. Le più recenti pronunce confermano che, se il piano genera valore aggiuntivo e lo redistribuisce correttamente, anche percentuali basse possono essere accettabili. Tuttavia, il debitore deve sempre prepararsi alla verifica formale: una simulazione trasparente e documentata della liquidazione comparata è essenziale per evitare sorprese in tribunale.

Fonti normative e giurisprudenziali

  • D.Lgs. 12/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), artt. 84, 87, 88, 112, 120-ter, 120-quater, 120-quinquies, 25-sexies, 64-bis, 63-bis.
  • D.Lgs. 83/2022 (Decreto correttivo del Codice della Crisi), che ha integrato modifiche quali la limitazione del test di convenienza “d’ufficio” e l’introduzione del concordato semplificato (art. 25-sexies).
  • Tribunale di Pescara, decreto 27 gennaio 2025 (sull’ammissibilità di una continuità temporanea funzionale in concordato semplificato).
  • Tribunale di Siena, decreto giugno 2024 (analogo principio sulla continuità nel concordato semplificato).
  • Tribunale di Firenze, 5 febbraio 2025 (vietata continuità prolungata in concordato semplificato liquidatorio).
  • Tribunale di Lecce, decreto 30 ottobre 2023 (concordato semplificato – si consente falcidia dei crediti erariali).
  • Tribunale di Tempio Pausania, provv. 18 luglio 2024 (concordato semplificato – si ammette stralcio Erario purché non peggiori liquidazione).
  • Corte d’Appello di Lecce, sentenza 15 gennaio 2025 (ammette stralcio debiti tributari nel concordato semplificato se soddisfa “assenza di pregiudizio”).
  • Tribunale di Vicenza, decreto 17 febbraio 2023 (piano PRO ammesso con vendita immobiliare per soddisfare i creditori).
  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22890 (anche se su piano del consumatore, rilevante per confermare l’orientamento del legislatore su nuova concorsualità).
  • Cassazione Civile, 15 dicembre 2021, n. 40283 (piano del consumatore – principio di assenza di percentuali obbligatorie).
  • Giurisprudenza del Tribunale di Milano, 25 maggio 2025 (concordato in continuità – convenienza espresso al 6,4% contro liquidazione nulla).

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Il test di convenienza è uno strumento chiave del Codice della Crisi d’Impresa: serve a dimostrare che la proposta fatta ai creditori è più vantaggiosa rispetto alla liquidazione giudiziale. È fondamentale per l’omologazione di piani e concordati.
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Conclusione

Senza un test di convenienza ben strutturato, il piano può essere rigettato. È la chiave per convincere il Tribunale e i creditori della bontà della tua proposta.
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