Hai scoperto che un familiare defunto aveva debiti con l’INPS e ti stai chiedendo se ora spetti a te pagarli? Vuoi sapere se i debiti previdenziali si ereditano e cosa puoi fare per proteggerti da eventuali richieste dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione?
Quando muore una persona con debiti INPS non saldati, la situazione può sembrare confusa, ma esistono regole precise per stabilire chi deve rispondere e in che misura. E in molti casi, è ancora possibile tutelarsi ed evitare di assumersi quei debiti.
Vediamo allora cosa succede ai debiti INPS in caso di successione, chi risponde e quali soluzioni ci sono per proteggersi.
I debiti INPS si ereditano?
Sì, come tutti i debiti, anche quelli verso l’INPS possono essere trasmessi agli eredi, ma solo se accettano l’eredità. L’erede subentra nei rapporti attivi e passivi del defunto, inclusi i debiti verso enti previdenziali e fiscali.
Ma attenzione: non sempre si è obbligati a pagare.
Quando non si ereditano i debiti INPS?
Hai tre possibilità per non dover rispondere dei debiti del defunto:
- Rinuncia all’eredità: se non accetti, non erediti nulla, né beni né debiti.
- Accettazione con beneficio di inventario: puoi accettare l’eredità ma limitando la tua responsabilità solo ai beni del defunto. In pratica, se il patrimonio non basta a coprire i debiti, tu non paghi la differenza con il tuo.
- Verifica della prescrizione: alcuni debiti INPS possono essere prescritti. Se non sono stati riscossi nei tempi previsti dalla legge, non sono più dovuti.
Cosa può fare l’Agenzia delle Entrate-Riscossione?
Può inviare una richiesta di pagamento agli eredi solo dopo che questi hanno accettato l’eredità, e solo fino al valore del patrimonio ereditato, se con beneficio di inventario. Non può pignorare beni degli eredi se l’eredità è stata rifiutata o accettata correttamente con beneficio.
Serve l’assistenza di un legale?
Sì, soprattutto se hai dubbi sull’ammontare dei debiti, sulla legittimità della richiesta o se vuoi predisporre una dichiarazione di rinuncia o beneficio di inventario in modo corretto. Ogni errore in questa fase può avere conseguenze importanti sulla tua responsabilità patrimoniale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in successioni ereditarie, debiti previdenziali e opposizione a cartelle – ti spiega cosa succede ai debiti INPS dopo la morte del contribuente, chi può essere chiamato a rispondere e come tutelarti legalmente.
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Introduzione
In caso di successione mortis causa, agli eredi subentrano non solo i beni del defunto ma anche i debiti, inclusi quelli previdenziali verso INPS. Secondo l’art. 456 c.c. “la successione si apre al momento della morte”, e dal momento dell’apertura gli eredi subentrano nei rapporti giuridici attivi (crediti) e passivi (debiti) del de cuius. Ciò significa che i debiti contributivi INPS a carico del defunto possono gravare sugli eredi, se questi accettano l’eredità. Tuttavia esistono importanti strumenti di tutela: in particolare l’accettazione con beneficio d’inventario e la rinuncia all’eredità, che limitano o escludono la responsabilità degli eredi per i debiti.
In questa guida approfondiremo: (i) i principi generali della successione e la trasmissione dei debiti contributivi; (ii) la giurisprudenza più recente sul punto; (iii) gli strumenti di tutela del patrimonio ereditario; (iv) esempi pratici e simulazioni; (v) una sezione di domande/risposte per chiarire i dubbi più frequenti. Tutti i riferimenti normativi italiani e le sentenze aggiornate fino a giugno 2025 sono riportati in calce. Il taglio è giuridico ma divulgativo, rivolto ad avvocati, imprenditori e privati, visto dal punto di vista del debitore.
Principi generali della successione ereditaria
Alla morte del “de cuius” la successione ereditaria si apre immediatamente. L’art. 456 cod. civ. stabilisce che “la successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto”, momento dal quale i chiamati all’eredità (beneficiari di un testamento o eredi legittimi) possono divenire tali eredi effettivi. Gli eredi acquisiscono i rapporti giuridici del defunto: entrano in comunione congiunta dei beni del defunto (la “comunione ereditaria”) ma anche nelle sue passività. In altre parole, i debiti del defunto – anche fiscali e previdenziali – rientrano nella massa ereditaria.
In linea generale, tutti i debiti e oneri già esistenti in capo al defunto al momento della morte rientrano nella successione. Ciò vale anche per i contributi previdenziali non versati: sono considerati “debiti ereditari” e seguono la sorte dell’eredità. Come confermato dalla Cassazione, il debito ereditario include non solo il capitale, ma anche gli interessi maturati dopo la morte del debitore. Infatti “il debito ereditario cui si riferisce l’art. 752 c.c. è quello esistente in capo al de cuius al momento della sua morte e ricomprende non solo la somma capitale ma anche gli interessi, il cui maturarsi giorno per giorno non trova un limite temporale nella morte del debitore”. Anche le sanzioni civili relative alle violazioni contributive (ad es. quelle dell’art. 116 L. 388/2000) sono considerate onerose per l’eredità e quindi trasmesse agli eredi.
Divieto di solidarietà tra eredi: Gli eredi non rispondono in solido di tutti i debiti, ma pro quota. Per legge, in assenza di diversa volontà testamentaria, ogni coerede risponde solamente nella misura della propria quota di eredità (art. 752 c.c.). Come ha ribadito la Cassazione, in presenza di più coeredi “si determina un frazionamento pro quota dell’originario debito del de cuius” e ciascun erede paga solo fino alla concorrenza della propria porzione di massa ereditaria. In concreto: se ad esempio un’eredità di 100.000€ è divisa in due quote uguali e i debiti del defunto sono 60.000€, ciascun erede ne pagherà 30.000€. Questo principio vale anche per i contributi INPS: ogni erede può essere citato a pagamento entro la propria misura ereditaria (senza necessità di litisconsorzio necessario tra tutti i coeredi). Restano però le ragioni interne tra coeredi (eventuale diritto di rivalsa tra chi ha pagato di più rispetto alla propria quota).
Trasmissione dei debiti INPS e responsabilità degli eredi
Debiti contributivi trasmissibili: Tutti i debiti del defunto verso INPS, comprensivi di contributi, interessi e sanzioni, sono trasmessi agli eredi ad eccezione delle obbligazioni personali del defunto. In linea di principio “l’intrasmissibilità agli eredi di un’obbligazione pecuniaria si ha solo quando essa rientra tra le situazioni giuridiche obbligatorie strettamente inerenti alla persona del titolare” (ad es. debiti di mantenimento, alimenti personali, sanzioni strettamente soggettive). I contributi previdenziali invece rientrano tra i debiti patrimoniali e sono trasmissibili.
Cassazione 562/2000: Già la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che i contributi INPS non pagati devono essere versati dagli eredi. Nella pronuncia n. 562/2000 la Cassazione puntualizzò che il debito ereditario include interessi maturati fino all’infinto. Quindi, per i contributi come per qualsiasi altro debito, gli eredi rispondono non solo della somma originaria ma anche degli interessi legali maturati dopo la morte del de cuius.
Situazione del chiamato all’eredità: È importante distinguere tra chiamato all’eredità (chi è designato come erede ma non ha ancora accettato) e vero e proprio erede. In linea con il principio generale, l’obbligo di rispondere dei debiti presuppone l’accettazione dell’eredità. Come confermato dalla Cassazione, “la chiamata che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per le condizioni di cui all’art. 485 c.c.”. In altre parole, chi è semplicemente chiamato all’eredità non diviene erede finché non accetta espressamente o compie atti che presuppongono accettazione.
Onere di prova: L’Amministrazione finanziaria (o INPS) che intende agire per il pagamento dei contributi nei confronti di un chiamato, deve provare l’effettiva accettazione dell’eredità da parte di quest’ultimo. Secondo la Cassazione: “spetta a colui che agisce in giudizio nei confronti del presunto erede per i debiti del de cuius l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità”. Pertanto, fintanto che non è appurata l’accettazione (espressa o tacita), l’erede non può essere condannato al pagamento dei debiti del defunto. In soldoni, fino all’accettazione l’eredità rimane giacente e le pretese dell’INPS nei confronti del chiamato non trovano fondamento.
Sentenze recenti: Cass. civ. n. 17970/2018 ribadisce chiaramente che “l’accettazione dell’eredità è, nel caso di debiti del de cuius di natura tributaria, una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a risponderne”. In quella sentenza (su debiti tributari dello Stato) la Corte ha esteso tale principio anche ai debiti erariali: senza accettazione, il chiamato non è tenuto a pagare. Del pari, non risponde chi ha rinunciato all’eredità. Quindi i contributi INPS rientrano nel medesimo regime applicato per le imposte: se non si accetta, non si è eredi; se si rinuncia all’eredità, non si paga nulla.
Eredi e prescrizione dei contributi: In linea con la trasmissione dei debiti, gli eredi subentrano anche nei termini di prescrizione dei contributi. Ad esempio, il termine ordinario quinquennale per i contributi decorre normalmente anche in capo all’erede che accetta. La questione della prescrizione non altera il principio: se i contributi del de cuius fossero già prescritti alla sua morte, non rientreranno nell’asse ereditario; se non prescritti, potranno ancora essere reclamati entro i termini. Recenti pronunce hanno comunque chiarito che i termini di prescrizione possono subire estensioni (ad es. perché riconosciuti agli eredi come “successori”). In ogni caso, l’erede deve prestare attenzione ai termini decadenziali di impugnazione delle cartelle esattoriali che INPS potrebbe notificare dopo il decesso.
Strumenti di tutela del patrimonio ereditario
Poiché i debiti INPS (inclusi interessi e sanzioni) possono gravare sull’eredità, gli eredi dispongono di varie opzioni per limitare la responsabilità:
- Rinuncia all’eredità (art. 519 c.c.): Dichiarazione formale con atto notarile o presso la cancelleria del tribunale in cui si è aperta la successione. Chi rinuncia decide di non diventare mai erede, rimanendo completamente estraneo alla successione. Nel periodo di accettazione/rinuncia (fino al termine di 10 anni o tre mesi se in possesso dei beni) l’eredità è giacente: è nominato un curatore per amministrare i beni del defunto e soddisfare eventuali creditori. Se tutti i chiamati rinunciano, l’eredità si estingue e lo Stato vi subentra come unico successore (caso di eredità vacante). Nel caso di eredità devoluta allo Stato, lo Stato entra in possesso dei beni ereditari e i debiti gravano solamente sull’asse ereditario; il patrimonio pubblico non risponde oltre il valore dei beni trasmessi. In sostanza, rinunciare all’eredità è la “via regia” per evitare qualunque debito del defunto: chi rinuncia non può essere obbligato al pagamento. Tra le cause di rinuncia comune vi è proprio la sproporzione tra debiti e crediti ereditari. Ad esempio, se i contributi INPS e altri debiti del defunto eccedono ampiamente il valore dei beni, l’erede può trovare più conveniente rinunciare, estinguendo di fatto il debito in capo allo Stato.
- Accettazione con beneficio d’inventario (artt. 485-490 c.c.): Strumento più diffuso per limitare il rischio ereditario. L’erede compie un inventario pubblico dei beni ereditari e tiene distinti i patrimoni del defunto e proprio. In base all’art. 490 c.c. comma 2: “l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari… oltre il valore dei beni a lui pervenuti”. Ciò significa che, con beneficio, l’erede paga i debiti (compresi i contributi INPS) solo fino alla concorrenza del valore dei beni ereditari. Tutto ciò che supera tale valore rimane a carico dell’eredità e non dell’erede stesso. Ad esempio, se l’eredità consiste in un immobile stimato 100.000€ e i debiti contributivi sono 150.000€, l’erede non pagherà nulla di tasca propria: i creditori (INPS compreso) potranno rivalersi sull’immobile, ma poiché il debito supera 100.000€ esso resterà inadempiuto. In questo modo, l’erede “isola” il proprio patrimonio personale dalle pretese di INPS. L’effetto del beneficio è quindi proprio di tutelare il chiamato da passività eccessive: “il beneficio d’inventario ha lo scopo di tutelare il chiamato all’eredità dalle conseguenze negative… quando i debiti superino il valore dei beni”. Attenzione: l’accettazione con beneficio deve essere dichiarata entro 3 mesi (o 10 anni con inventario formale) dalla morte e mediante atto pubblico davanti a notaio o cancelliere. Trascorso tale termine senza dichiarazione, si intendono adottate le modalità ordinarie (accettazione pura). Se invece l’erede omette di procedere all’inventario, la legge lo può considerare rinunciante se il patrimonio non appare neppure sufficiente a pagarne i debiti (art. 484 c.c.).
- Accettazione pura e semplice: Se l’erede non dispone né rinuncia né beneficio, l’accettazione si presume “pura”. In tal caso l’erede accetta con tutti i beni e i debiti ereditari (art. 490, 1° comma): risponde delle obbligazioni del defunto con tutto il valore del patrimonio ereditario. In pratica diviene debitore pro quota per le somme dovute all’INPS, ma non risponde con eventuali suoi beni personali. Inoltre resta il principio che ciascuno paga fino alla propria quota di eredità. Questa opzione non tutela il patrimonio erede oltre al suo attivo ricevuto, quindi è sconsigliata quando i debiti superano i beni.
Patto di famiglia, trust e altri strumenti: In alcuni casi imprenditori usano strumenti più complessi per proteggere l’attività familiare dai creditori, come il cosiddetto “trust testamentario” (introdotto dalla legge sul trust 2007/35, secondo linee improntate all’OTD) o il “patto di famiglia” (L. 55/2006) che consente di trasferire l’azienda ad un figlio con determinati vincoli. Tali istituti possono isolare l’azienda dai debiti personali del titolare, ma la loro efficacia nei confronti dei debiti previdenziali è complessa e va valutata caso per caso (es. la cessione deve essere fatta prima del decesso e non per frodare i creditori). Rimane il rimedio più sicuro, per i familiari, la rinuncia o la beneficiata.
Ripartizione tra coeredi
Quando vi sono più eredi, la responsabilità per i debiti INPS è proporzionale alla quota ereditaria spettante a ciascuno. Come visto, l’art. 752 c.c. dispone la quota-parte di debito per ogni coerede. Sulla base di pronunce della Cassazione, i debiti non sono più un’unica obbligazione indivisibile tra tutti gli eredi; piuttosto ogni erede ha un’obbligazione separata per la propria quota ereditata. In pratica, se i beni ereditari sono suddivisi in parti uguali, anche i debiti si frazionano allo stesso modo. Se un coerede paga più del dovuto (ad esempio si è fatto carico dell’intero debito da solo), potrà rivalersi sugli altri coeredi nella misura delle rispettive quote ereditarie. In presenza di testamento, il de cuius può aver previsto diversamente la ripartizione interna, ma ciò vincola solo i coeredi tra di loro e non i creditori ereditari: esternamente si applica comunque il criterio pro quota.
Litisconsorzio necessario: Nelle cause contro l’erede (ad es. cartelle esattoriali per contributi) non è necessario chiamare in giudizio tutti i coeredi. La Cassazione afferma che, fino a prova contraria, un singolo coerede è valido contropattore per la sua quota di debito e gli altri coeredi non sono litisconsorti necessari. Tuttavia, se la sentenza ingiuntiva viene eseguita, l’erede parte adempie può usare l’eventuale eccedenza (o carenza) in regresso verso gli altri.
Domande e risposte
D. Gli eredi devono pagare i contributi INPS non versati dal defunto?
Sì, salvo rinuncia all’eredità. I contributi previdenziali sono debiti del de cuius che ricadono sull’eredità. “Se il de cuius è inadempiente nei confronti dell’INPS, l’erede non potrà far altro che pagare”, limitatamente al patrimonio ereditario. In concreto, gli eredi (che accettano l’eredità) “sono chiamati a pagare contributi e interessi, salvo diritto di rinuncia”.
D. Che differenza c’è tra accettazione pura e accettazione con beneficio?
Con accettazione pura e semplice l’erede subentra in tutti i beni e debiti del defunto: risponde dei contributi INPS con il valore dell’intera quota ereditaria (non con i suoi beni personali). Con beneficio d’inventario, l’erede paga i debiti (compresi i contributi INPS) solo fino alla concorrenza del patrimonio successorio. Ovvero, non può essere obbligato oltre al valore dei beni ereditati. Questa forma offre massima tutela, isolando il patrimonio proprio dal rischio ereditario.
D. Qual è l’effetto dell’accettazione tacita?
L’accettazione tacita si verifica quando l’erede compie atti inequivocabilmente da erede (ad es. vende un bene ereditario, incassa affitti, paga spese condominiali del defunto). In tal caso si considera acquisita la qualità di erede, con gli stessi effetti dell’accettazione espressa. Va prestata attenzione perché atti apparentemente innocui potrebbero essere interpretati come accettazione tacita.
D. Se uno dei coeredi rinuncia, cambia qualcosa per gli altri?
La rinuncia di un coerede fa sì che la sua quota si addizioni a quella degli altri chiamati secondo l’ordine legale (ad esempio a favore di altri eredi in testamento o in mancanza dello Stato). Gli altri coeredi non diventano responsabili per la quota rinunciata, ma possono subentrare maggiormente nell’asse ereditario residuo. Il debitore (INPS) si rivolgerà agli altri coeredi fino alla concorrenza delle nuove quote assegnate.
D. Che cosa succede se nessun erede accetta l’eredità?
Se tutti i chiamati rinunciano o non accettano entro i termini (10 anni dal decesso, o 3 mesi se in possesso dei beni), l’eredità si devolve allo Stato (art. 492 c.c.), configurandosi come “eredità vacante”. Lo Stato subentra come unico successore: non paga i debiti del defunto oltre il valore del patrimonio ereditato. In pratica, i creditori (INPS compreso) possono rivalersi solo sui beni ereditari passati allo Stato. Passato un certo tempo, i creditori possono anche far procedere lo Stato per liquidare i debiti entro il limite dell’attivo. Comunque, questa situazione è rara: di solito almeno un parente rinuncia e l’eredità resta fra gli eredi di 2° grado in poi.
D. Quali documenti servono per l’accettazione o rinuncia?
La rinuncia all’eredità va dichiarata davanti a notaio o cancelliere del tribunale del luogo di apertura della successione, con atto scritto che viene trascritto nel registro delle successioni. L’accettazione con beneficio richiede l’atto di inventario davanti al notaio entro i termini di legge (oppure al giudice tutelare per minori/incapaci). Il rifiuto tacito (omissione di dichiarare entro i termini) può portare alla c.d. “devoluzione legale”: l’erede perde il diritto di accettare (art. 481 c.c.).
D. Cosa cambia se l’INPS invia cartelle esattoriali agli eredi?
Una volta aperta la successione, INPS può notificare ai chiamati cartelle per contributi del defunto. Tuttavia, la Cassazione 2018 ha chiarito che, per addebitare i contributi agli eredi, l’Amministrazione deve provare che essi abbiano accettato l’eredità. Altrimenti, il contribuente “chiamato” può eccepire la mancata qualità di erede (Cass. 17970/2018). Inoltre, con la recente Cass. n. 12964/2024 è stato confermato che, in tema fiscale, se gli eredi non comunicano il proprio domicilio all’Agenzia, è comunque valida la notifica a uno qualsiasi di essi. In pratica, l’INPS potrà notificare anche solo ad un erede indagato, ma questo non lo rende automaticamente responsabile finché non abbia accettato.
D. Posso rateizzare il debito contributivo ereditato?
Dal 1° gennaio 2025, le norme sul pagamento rateale dei debiti INPS sono state semplificate (L. 203/2024, Collegato Lavoro). Si prevede la possibilità di dilazionare i debiti contributivi residui fino a 60 rate (5 anni) senza più l’intervento ministeriale previsto in passato. Questo vale anche nel caso di debiti trasmessi agli eredi: non servono più decreti speciali se il decesso è avvenuto e si è subentrati nei debiti. Quindi, un erede può chiedere all’INPS di pagare i debiti contributivi ereditari in rate, rispettando i nuovi requisiti della circolare attuativa INPS (in via di emissione entro 60 gg dalla legge). Ciò può attenuare notevolmente l’onere di un debito ereditario pesante.
Tabelle riepilogative
Strumento | Effetto sui debiti INPS del defunto | Conseguenze principali |
---|---|---|
Accettazione pura e semplice | L’erede assume tutti i debiti previdenziali (capitale, interessi, sanzioni) e pagherà fino alla concorrenza del valore dei beni ereditati. | L’erede subentra in ogni rapporto del defunto: incassi e oneri. Se i debiti superano i beni, l’eccedenza rimane a carico dell’eredità. |
Accettazione con beneficio di inventario | Responsabilità limitata al solo patrimonio ereditario inventariato. L’erede paga i debiti INPS solo fino al valore dei beni ricevuti, senza usare i propri beni. | L’attivo ereditario rimane separato dal patrimonio personale. I creditori ereditari (INPS) hanno prelazione sull’asse ereditario; il supero non ricade sull’erede. |
Rinuncia all’eredità | L’erede rinunciante non è chiamato a pagare nulla dei debiti del defunto. | L’eredità passa agli altri chiamati o allo Stato. Lo Stato entra come successore unico e i debiti gravano solo sul patrimonio ereditario devoluto allo Stato. L’erede rinunciante esce completamente dalla successione. |
Esempi pratici e simulazioni
- Esempio 1: Mario muore lasciando una casa da 150.000€ e un debito contributivo INPS di 100.000€. Ha due figli (A e B) come coeredi. Ognuno ha una quota ereditaria di 75.000€ in teoria. Se A e B accettano senza beneficio, pagheranno ciascuno in solido 50.000€ (pari alla metà del debito) tramite l’attivo di 150k. Dopo pagamento, resteranno 50k nei beni. Se invece accettano con beneficiario: l’attivo comune copre interamente i 100k di debito e i figli non pagano nulla di tasca propria (il pagamento avviene in sede di eredità). Se rinunciano all’eredità, nessun pagamento per i figli; l’eredità (attivo e passivo) passa allo Stato che potrà recuperare il debito solo fino ai 150k della casa.
- Esempio 2: Anna muore lasciando un piccolo negozio (valore 50.000€) ma deve 70.000€ di contributi non pagati. L’unico erede è il nipote Luca. Se Luca accetta semplicemente, dovrà pagare 50.000€ (l’intero valore dell’attivo). Se accetta con beneficio, paga anch’egli 50.000€ (perché i debiti possono essere saldati solo con l’attivo); il residuo di 20.000€ rimane inesigibile. Se invece Luca rinuncia, non paga nulla: l’eredità va allo Stato che incassa i 50k del negozio e potrà cercare di recuperare fino a quella cifra.
- Esempio 3 (dipendente): Cesare deceduto era lavoratore autonomo, con debiti contributivi INPS 30.000€ e un saldo attivo in banca di 20.000€. Ha una sorella erede unica. Accettando semplicemente, la sorella dovrà usare i 20k del conto e, in mancanza, nulla può sul suo patrimonio privato oltre quel limite (debito residuo 10k). Con beneficio di inventario è identico: si pagano i 20k massimi, e 10k restano “in sospeso”. Rinunciando, la sorella evita di pagare la somma, mentre l’INPS potrà rivalersi solo sui 20k, che passeranno allo Stato con l’asse ereditario.
Conclusioni
In conclusione, sì, i debiti contributivi INPS in generale si trasmettono agli eredi, ma solo fino a concorrenza del patrimonio ereditario. Gli eredi ne rispondono pro quota, e l’accettazione dell’eredità è condizione necessaria perché nasca l’obbligo. Gli eredi devono prestare attenzione: se il debito previdenziale del de cuius è elevato, è opportuno valutare fin da subito la rinuncia o l’accettazione con beneficio d’inventario per non mettere a rischio il patrimonio personale. Le ultime novità legislative (Legge n. 203/2024) hanno inoltre semplificato la rateizzazione del debito ereditario, senza richiedere la procedura ministeriale preesistente in caso di decesso. In ogni caso, i recenti orientamenti della Corte di Cassazione ribadiscono che fino alla prova dell’accettazione dell’eredità l’erede non può essere chiamato a pagare nulla. Gli eredi debitori possono quindi difendersi, anche in sede giudiziale, eccependo l’assenza di accettazione o esercitando il diritto di rinuncia (art. 519 c.c.).
Questa guida ha cercato di offrire una panoramica completa e aggiornata (giugno 2025) dei profili normativi e giurisprudenziali sulla trasmissione dei debiti INPS in eredità. In fondo trovate l’elenco delle fonti normative italiane e delle sentenze citate per approfondire.
Fonti e normative consultate
- Codice Civile Italiano (artt. 456, 485-490, 519, 752 c.c. e ss.).
- Cassazione Civile (ordinanza n. 17970/2018 sulla necessità dell’accettazione dell’eredità per i debiti del de cuius).
- Cassazione Civile (sentenze in materia di solidarietà pro quota tra coeredi).
- Circolare INPS n. 165 del 22 agosto 2001 – chiarimenti INPS sulla trasmissibilità dei debiti contributivi agli eredi (richiamata in letteratura).
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116 comma 17 – estensione dei termini di dilazione in casi eccezionali (tra cui il decesso del debitore).
- Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Decreto Aiuti bis), articolo 1, comma 286 – misure di definizione agevolata per debiti INPS (pace contributiva, modificato poi da L.203/2024).
- Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025), art. 1 commi 161-162 – modifiche all’art. 1, comma 286 L.197/2022 e semplificazione delle rateazioni (60 rate).
- Legge 14 giugno 2024, n. 61 (Collegato Lavoro), art. 23 – ha reso automatico il prolungamento della dilazione fino a 60 mesi e ha eliminato l’autorizzazione ministeriale in caso di decesso del contribuente.
- Circolare INPS n. 102/2025 (16 giugno 2025) – istruzioni attuative Legge di Bilancio 2025, esplicativa delle novità contributive e previdenziali (art. 1, comma 161 L.207/2024).
- Cassazione Civile n. 562/2000 – definizione dei debiti ereditari con interessi.
- Cassazione Civile n. 11634/1991 e n. 2820/2015 – orientamento consolidato sulla necessità dell’accettazione per diventare eredi.
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Conclusione
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