Hai un vecchio debito e ti stai chiedendo se è ancora valido o se ormai è caduto in prescrizione? Ti preoccupa ricevere solleciti di pagamento dopo anni e non sai se sei ancora tenuto a pagare oppure se puoi opporti?
Capire se un debito è prescritto non è sempre semplice, ma può fare la differenza tra dover pagare o poter legittimamente rifiutarsi. La prescrizione, infatti, è un istituto legale che estinguendo il diritto del creditore, ti libera da ogni obbligo… a patto che non ci siano stati atti interruttivi nel frattempo.
Vediamo allora come si fa a sapere se un debito è prescritto, quali elementi controllare e cosa puoi fare per difenderti.
Cos’è la prescrizione di un debito?
È il tempo massimo entro il quale un creditore può legalmente chiedere il pagamento. Trascorso questo periodo, il diritto si estingue, ma non automaticamente: devi sollevare l’eccezione di prescrizione se vieni sollecitato a pagare.
Quali sono i termini di prescrizione più comuni?
Dipende dal tipo di debito:
- 10 anni per debiti contrattuali generici (es. prestiti, mutui);
- 5 anni per tributi locali, bollo auto, contributi Inps;
- 3 o 5 anni per bollette luce, gas, acqua;
- 3 anni per premi assicurativi;
- 10 anni per cartelle esattoriali (salvo modifiche e interruzioni).
Come faccio a sapere se è passato troppo tempo?
Devi calcolare il tempo trascorso dall’ultimo atto interruttivo, che può essere:
- una raccomandata di sollecito;
- una diffida legale;
- una notifica di cartella o precetto;
- un riconoscimento del debito da parte tua (anche con un pagamento parziale).
Se sono passati 5 o 10 anni senza alcun atto, il debito può essere prescritto.
Come si verifica se ci sono stati atti interruttivi?
Puoi:
- richiedere un accesso agli atti all’Agenzia delle Entrate o al creditore;
- controllare la corrispondenza ricevuta negli anni;
- farti assistere da un avvocato che ricostruisca la cronologia degli atti.
Se ricevi un nuovo sollecito o un atto giudiziario, puoi opporti eccependo la prescrizione.
Devo pagare anche se il debito è prescritto?
No, ma devi eccepirlo formalmente, soprattutto se il creditore ha intrapreso azioni legali. In caso contrario, potresti essere costretto a pagare anche un debito ormai prescritto.
Serve un avvocato?
Sì, perché ogni caso è diverso e serve una valutazione legale precisa: basta una notifica non contestata o un pagamento minimo per far ripartire i termini. Un avvocato ti aiuta a verificare i documenti, difenderti in caso di ingiunzione e, se del caso, chiudere la vicenda senza pagare nulla.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in opposizione a crediti prescritti, cartelle e azioni esecutive – ti spiega come riconoscere un debito prescritto, come difenderti e cosa possiamo fare per aiutarti.
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Introduzione
In Italia la prescrizione è l’istituto giuridico che estingue un diritto quando il titolare non lo esercita entro un determinato periodo di tempo. Nel contesto dei debiti, la prescrizione comporta che trascorso il termine previsto dalla legge senza che il creditore abbia compiuto atti per riscuotere il credito, il debitore ha il diritto di rifiutare il pagamento per intervenuta prescrizione. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, fornisce un quadro completo sui termini di prescrizione delle varie tipologie di debiti in Italia, dal fisco ai contributi previdenziali, dai mutui alle multe stradali, con un linguaggio tecnico ma accessibile. L’obiettivo è aiutare debitori – siano essi privati cittadini, imprenditori o professionisti legali – a capire come verificare se un debito è prescritto, quali norme e sentenze sono rilevanti e come far valere concretamente la prescrizione.
Importanza pratica: sapere se un debito è prescritto è cruciale perché un debito prescritto non è più esigibile dal creditore. Ciò significa che il debitore può opporsi al pagamento, eccependo la prescrizione come difesa. Tuttavia, la prescrizione non opera automaticamente: deve essere invocata dal debitore, preferibilmente per iscritto o in sede giudiziale, altrimenti il giudice non la applica d’ufficio (in generale) e il creditore potrebbe comunque tentare di riscuotere. È quindi fondamentale che il debitore conosca i termini prescrizionali applicabili e controlli se il creditore ha compiuto atti interruttivi entro tali termini. Questa guida adotta il punto di vista del debitore, fornendo anche esempi pratici (come notifiche, raccomandate, interruzioni della prescrizione, estratti conto) per comprendere meglio come funziona la prescrizione nella pratica quotidiana.
Struttura della guida: inizieremo dai concetti generali sulla prescrizione (definizione, decorrenza, sospensione e interruzione, differenze rispetto alla decadenza), per poi analizzare nel dettaglio ogni tipologia di debito rilevante nel contesto italiano: debiti fiscali, contributi previdenziali, debiti bancari, debiti commerciali, debiti derivanti da contratti privati, multe stradali, altre sanzioni amministrative, canoni di locazione, utenze e bollette. Ogni sezione contiene tabelle riassuntive dei termini di prescrizione e dei riferimenti normativi, oltre a eventuali peculiarità. Seguirà una sezione di Domande e Risposte frequenti sulla prescrizione dei debiti e, in chiusura, una Bibliografia e Giurisprudenza con l’elenco completo delle fonti normative e delle sentenze citate.
La prescrizione: concetti generali e quadro normativo
Prima di entrare nelle singole categorie di debiti, è utile richiamare i principi generali in materia di prescrizione previsti dal Codice Civile e dalla normativa italiana, in modo da avere un quadro di riferimento comune.
- Definizione (estinzione del diritto per inattività): L’art. 2934 c.c. stabilisce che “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”. Dunque la prescrizione è la conseguenza dell’inerzia del creditore per un certo periodo: allo spirare del termine fissato, il diritto di credito si estingue definitivamente e il debitore non può più essere costretto ad adempiere. La ratio di questo istituto è garantire certezza ai rapporti giuridici ed evitare che un debitore resti obbligato a vita verso un creditore inerte.
- Termine ordinario decennale: La regola generale (art. 2946 c.c.) prevede un termine di prescrizione di 10 anni per tutti i diritti per i quali la legge non dispone diversamente. Moltissimi debiti rientrano in questo termine ordinario decennale, salvo eccezioni specifiche indicate dalla legge (come vedremo, ad esempio, i debiti periodici spesso si prescrivono in 5 anni). È importante notare che “10 anni” significa esattamente 10 anni dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (vedi prossimo punto sulla decorrenza), calcolati secondo il calendario comune.
- Decorrenza del termine (dies a quo): In base all’art. 2935 c.c., la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, ossia da quando il creditore avrebbe la possibilità giuridica di chiedere il pagamento. Nella pratica, per un debito ciò corrisponde tipicamente al giorno successivo alla scadenza fissata per il pagamento. Esempi: per una fattura che scade il 30 giugno, la prescrizione parte dal 1º luglio successivo; per una rata di mutuo che doveva essere pagata entro il 5 maggio, il termine decorre dal 6 maggio; per un’obbligazione senza una data di scadenza espressa, decorre dal momento in cui il creditore intima il pagamento o comunque da quando il pagamento era esigibile immediatamente. Si noti che in alcuni casi particolari la legge fissa un dies a quo diverso: ad esempio, per le sanzioni amministrative la prescrizione decorre “dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, mentre per il risarcimento da fatto illecito decorre dal giorno del fatto o dal giorno in cui se ne è avuta conoscenza (art. 2947 c.c.). Tratteremo queste particolarità nelle sezioni dedicate.
- Sospensione della prescrizione: In alcuni casi eccezionali la legge prevede che il termine di prescrizione resti temporaneamente “in pausa” (sospeso), non computando nel termine il periodo di sospensione. Le cause di sospensione sono tassative e tipicamente legate a rapporti particolari tra le parti o a situazioni di forza maggiore. Ad esempio, tra coniugi la prescrizione è sospesa per tutta la durata del matrimonio (art. 2941 c.c.), oppure durante il periodo di moratoria legale dovuto a emergenze nazionali (ad esempio durante la pandemia COVID-19 vi sono state norme speciali che hanno sospeso i termini dal 23/02/2020 al 30/06/2020 e dal 31/12/2020 al 30/06/2021, coinvolgendo anche la prescrizione dei contributi previdenziali). Quando cessa la causa di sospensione, il termine riprende a decorrere dal punto in cui era stato interrotto (senza ripartire da zero). Le ipotesi di sospensione, comunque, sono meno comuni rispetto all’interruzione, che analizziamo di seguito.
- Interruzione della prescrizione: L’interruzione si verifica quando, durante il decorso del termine, interviene un atto che manifesta la volontà di esercitare il diritto da parte del creditore oppure un riconoscimento del diritto da parte del debitore. L’effetto dell’interruzione è di azzerare il tempo fin lì trascorso e far ripartire un nuovo termine di prescrizione di uguale durata a quello originario (art. 2945 c.c.). Gli atti interruttivi tipici sono: la richiesta formale di adempimento da parte del creditore (ad esempio una lettera di messa in mora inviata per raccomandata A/R o PEC), l’avvio di una causa o di una procedura esecutiva, la notifica di un atto di precetto o di un ingiunzione di pagamento, oppure, dall’altro lato, un pagamento parziale o una dichiarazione ricognitiva del debito da parte del debitore (art. 2944 c.c.). Ad esempio, una raccomandata con cui il creditore intima il pagamento è un atto idoneo a interrompere la prescrizione; analogamente, il debitore che riconosce per iscritto il debito (magari chiedendo una dilazione) provoca l’interruzione. Attenzione: perché l’interruzione sia valida, l’atto deve provenire dal titolare del diritto (o suo rappresentante) o dal debitore, e soprattutto deve essere portato a conoscenza della controparte. Un atto interno del creditore di per sé non interrompe (es. l’iscrizione a ruolo di una cartella esattoriale, se non seguita da notifica, non interrompe la prescrizione). Dopo un atto interruttivo, il termine ricomincia da capo: ad esempio, per un debito con prescrizione quinquennale, se dopo 4 anni dall’ultima operazione il creditore invia una diffida, da quella data decorre un nuovo quinquennio. L’art. 2945 c.c. precisa inoltre che se l’atto interruttivo è un atto giudiziario (es. citazione, decreto ingiuntivo), la prescrizione non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.
- Prescrizione presuntiva (brevi termini di un anno o tre anni): Accanto alla prescrizione estintiva “ordinaria” descritta finora, il codice civile prevede alcune prescrizioni presuntive, che operano su termini brevi (sei mesi, un anno, tre anni) e hanno la funzione di presumere l’avvenuto pagamento di determinati crediti trascorso un certo breve periodo. Si tratta di ipotesi particolari riguardanti crediti di routine, per i quali si presume che il debitore abbia pagato immediatamente, e se il creditore resta inerte a lungo, la legge gli impone una sorta di decadenza probatoria: la particolarità della prescrizione presuntiva è che non estingue il diritto in senso assoluto, ma fa presumere per legge che il pagamento sia stato effettuato, salvo prova contraria tramite giuramento del debitore. Gli esempi classici (artt. 2954–2956 c.c.) sono: il credito di albergatori e ristoratori per vitto e alloggio si prescrive in 6 mesi; il credito di commercianti per il prezzo delle merci vendute a chi non ne fa commercio si prescrive in 1 anno; il credito di professionisti (avvocati, ingegneri, medici, notai, ecc.) per il compenso dell’opera intellettuale e il rimborso spese si prescrive in 3 anni; il credito di docenti per le lezioni impartite (se non retribuiti mensilmente) in 3 anni; le retribuzioni dei lavoratori si prescrivono in 5 anni (o 3 anni in alcuni casi di prescrizione presuntiva se pagati oltre il mese). Queste prescrizioni presuntive, pur importanti, riguardano perlopiù crediti di natura diversa dai debiti oggetto della nostra guida (che è focalizzata sui debiti non ancora pagati). Le citeremo comunque quando rilevanti (ad es. il debito di un cliente verso un ristorante rientra nella prescrizione presuntiva semestrale). In ogni caso, se un debito rientra in una prescrizione presuntiva già maturata, il debitore può rifiutare il pagamento dichiarando che il credito si presume estinto per pagamento avvenuto, a meno che il creditore non contesti con prova contraria (il che, per legge, è ammesso solo tramite giuramento decisorio del debitore).
- Differenza tra prescrizione e decadenza: è importante non confondere la prescrizione con la decadenza. La decadenza è la perdita della possibilità di esercitare un diritto per il mancato compimento di una determinata azione entro un termine stabilito dalla legge. Mentre la prescrizione riguarda in genere l’inattività nel far valere un diritto, la decadenza riguarda l’inattività nel compiere un atto o esercitare una facoltà specifica. Ad esempio, il termine di 90 giorni per notificare una multa stradale al trasgressore è un termine di decadenza (se l’autorità non notifica entro 90 giorni, perde il potere di emettere validamente la multa); trascorso quel termine la sanzione è inesistente a livello giuridico. La prescrizione invece, nel contesto della multa, si riferisce al tempo entro cui l’amministrazione deve riscuotere l’importo una volta che la multa sia valida e dovuta (come vedremo, 5 anni). Una differenza pratica è che la decadenza può spesso essere rilevata d’ufficio e opera automaticamente, mentre la prescrizione va eccepita dalla parte interessata (salvo eccezioni, ad es. vedremo che per i contributi previdenziali la Cassazione ha ammesso la rilevabilità d’ufficio). In questa guida tratteremo soprattutto di prescrizione (termine per la riscossione dei debiti); segnaleremo i termini di decadenza più rilevanti a scopo informativo, ma tenendo presente che sono concetti diversi.
- Effetti sul debito e comportamento del debitore: Quando un debito è prescritto, il debitore può rifiutarsi legittimamente di pagarlo, sollevando la relativa eccezione. Se il debitore paga spontaneamente un debito prescritto, non può poi pretendere la restituzione di quanto pagato invocando la prescrizione (art. 2940 c.c.: il pagamento di un debito prescritto non è ripetibile). Inoltre, per evitare di “rianimare” un debito che sta per prescriversi, il debitore dovrebbe fare attenzione a non riconoscere il debito e a non effettuare pagamenti parziali, se intende eccepire la prescrizione: un pagamento anche minimo, un piano di rientro firmato o qualsiasi dichiarazione che riconosca l’esistenza del debito farà ripartire la prescrizione da capo (interruzione ex art. 2944 c.c.). Ad esempio, se un vecchio debito sta per prescriversi e il debitore invia un’e-mail al creditore proponendo di pagare qualcosa, quella comunicazione potrebbe costituire riconoscimento e vanificare la prescrizione maturanda. In caso di dubbio sulla prescrizione, è quindi consigliabile che il debitore si informi sul termine esatto e sugli atti eventualmente interruttivi prima di prendere iniziative. Nelle sezioni seguenti vedremo per ciascun tipo di debito quali sono i termini previsti e quali atti sono in grado di interromperli.
Di seguito, la guida affronta ogni tipologia di debito con i relativi termini di prescrizione e riferimenti normativi aggiornati, fornendo spiegazioni dettagliate, esempi e tabelle riassuntive. È opportuno tenere presente che in caso di contestazione giudiziale, l’onere di provare che la prescrizione non è maturata (ad es. dimostrando di aver inviato una diffida in tempo) spetta in genere al creditore; al debitore basta allegare l’inerzia del creditore per il tempo prescritto. Fatte queste premesse generali, passiamo all’analisi dei singoli casi.
Debiti fiscali (erariali e locali, cartelle esattoriali)
Rientrano in questa categoria tutti i debiti verso l’Erario e gli enti pubblici territoriali per imposte e tributi, nonché i relativi interessi e sanzioni. Si pensi ad esempio all’IRPEF (imposta sul reddito), all’IVA, all’IMU (imposta comunale sugli immobili), alla TARI (tassa rifiuti), al bollo auto, ecc. La prescrizione dei debiti fiscali è materia complessa perché interseca norme civilistiche e tributarie. Occorre distinguere in particolare tra tributi erariali (statali) e tributi locali, in quanto i termini prescrizionali possono differire. Inoltre, bisogna tenere conto delle regole sulla riscossione mediante cartella esattoriale (ruoli affidati all’Agente della Riscossione, ex Equitalia ora Agenzia Entrate Riscossione – AER) e dei termini di decadenza per la formazione e notifica di tali cartelle. Qui ci focalizziamo sul termine ultimo oltre il quale il debito tributario non è più esigibile (prescrizione della riscossione), dando conto delle interpretazioni giurisprudenziali più recenti (in particolare una fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite del 2016 e successivi arresti fino al 2025).
Termini di prescrizione dei principali tributi: la seguente tabella riepiloga i termini prescrizionali per le varie imposte e tributi, sulla base delle norme e della giurisprudenza attuali:
Tipologia di tributo | Termine di prescrizione | Riferimenti normativi e giurisprudenziali | Note |
---|---|---|---|
Imposte erariali principali (Irpef, Ires, Iva, addizionali, IRAP) | 10 anni dal momento in cui il tributo è definitivo/esigibile (ossia dopo la scadenza del pagamento spontaneo o dopo notifica dell’avviso di accertamento divenuto definitivo) | Art. 2946 c.c.; orientamento prevalente Cass. (Cass. 11814/2020) confermato da SS.UU. 2016. | Nessuna norma speciale di termine breve. La Cassazione ha chiarito che per i tributi erariali non opposti vale il termine ordinario decennale, in assenza di diversa previsione di legge. |
Tributi locali (IMU, TASI, TARI, ecc.) | 5 anni dal momento in cui il tributo è dovuto (es: scadenza dell’anno di imposta) oppure dall’ultimo atto interruttivo valido notificato al contribuente | Art. 2948 n.4 c.c. applicato analogicamente; L. 296/2006, art. 1, c.163 (per IMU/TARI termine accertamento quinquennale); Cass. SS.UU. 2016 n.23397; Cass. n.11814/2020. | Giurisprudenza dominante ritiene i tributi locali soggetti a prescrizione quinquennale. Ad es., IMU e TARI non pagati si prescrivono in 5 anni. |
Sanzioni tributarie (es. sanzione per omesso versamento) | 5 anni dalla violazione o dall’atto sanzionatorio definitivo | Statuto del Contribuente (L. 212/2000) e D.Lgs. 472/1997, art.20, c.3 – prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative tributarie. | Esempio: una sanzione per infedele dichiarazione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui la violazione è commessa, se nessun atto interruttivo interviene. |
Interessi su imposte (interessi moratori o da ritardata iscrizione a ruolo) | 5 anni per ciascuna rata annuale di interesse dovuto | Art. 2948 n.4 c.c. (prestazioni periodiche); Cass. civ. n. 25790/2009. | Gli interessi sono considerati prestazioni periodiche, quindi soggetti a prescrizione breve quinquennale. Decorrono di anno in anno. |
Bollo auto (tassa automobilistica) | 3 anni dall’anno successivo a quello dovuto (salvo atti interruttivi) | Art. 5, commi 51-52, D.L. 953/1982 conv. in L. 53/1983 (termine di decadenza accertamento 3 anni); Cass. civ. n. 26062/2022; Cass. civ. n. 10166/2024. | Il bollo auto non pagato si prescrive al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere pagato. Esempio: bollo dovuto per il 2020, prescrizione al 31/12/2023 se nessuna cartella notificata. |
Spiegazione dei termini sopra indicati: come si evince, i tributi erariali (imposte statali come Irpef, Iva, etc.) seguono il termine ordinario decennale in mancanza di una norma speciale di prescrizione breve. Ciò è stato definitivamente chiarito dalla giurisprudenza: la Cassazione a Sezioni Unite nel 2016 ha statuito che la scadenza del termine per impugnare una cartella non “trasforma” la prescrizione breve in decennale ai sensi dell’art. 2953 c.c., salvo che una legge speciale preveda già il termine decennale. Nel caso delle imposte erariali, nessuna legge speciale prevede un termine più breve, per cui resta applicabile il termine decennale del Codice Civile. Le imposte locali, invece, sono generalmente considerate soggette a prescrizione quinquennale perché assimilate a prestazioni periodiche o comunque perché così previsto da norme settoriali o dalla prassi. Ad esempio l’IMU e la TARI, pur essendo tributi, hanno periodicità annuale e l’orientamento consolidato – confermato anche dalla Cassazione nel 2020 – è di applicare il termine di 5 anni. Il bollo auto costituisce un caso particolare: è un tributo regionale con termine di accertamento triennale previsto per legge (dopo 3 anni la Regione non può più richiederlo), e conseguentemente anche la prescrizione per la riscossione è ritenuta triennale. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito la prescrizione in 3 anni del bollo auto, con decorrenza dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello per cui è dovuto il tributo (di fatto, un termine “mobile” di tre anni e qualche mese).
Cartelle esattoriali e prescrizione: molti debiti fiscali sono riscossi tramite cartelle di pagamento emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER). È fondamentale capire il rapporto tra la cartella e la prescrizione del tributo sottostante. In passato si discuteva se la cartella non impugnata dal contribuente comportasse l’applicazione dell’art. 2953 c.c. (trasformazione in termine decennale come titolo giudiziale). Le Sezioni Unite della Cassazione n.23397/2016 hanno risolto la questione stabilendo che la cartella di pagamento è un atto amministrativo e non ha efficacia di giudicato, quindi la mancata impugnazione nei termini rende il credito “irretrattabile” ma non allunga il termine di prescrizione oltre quello proprio del tributo. In altre parole, se un tributo era soggetto a 5 anni, resta 5 anni anche dopo la notifica della cartella, e se era 10 resta 10. Questo principio generale è stato confermato da numerose sentenze successive, tra cui Cass. n.11814/2020. Dunque:
- Per tributi erariali, la cartella non opposta mantiene la prescrizione decennale (non la “converte”, ma era già di 10 anni di suo).
- Per tributi locali e contributi previdenziali (vedremo questi ultimi nella sezione successiva), la cartella non opposta resta soggetta a prescrizione quinquennale, non diventando decennale.
È essenziale però distinguere la decadenza dalla prescrizione in tema di cartelle: le cartelle per imposte devono essere emesse entro termini decadenziali (di solito entro il 31 dicembre del secondo/terzo anno successivo all’anno in cui l’accertamento è divenuto definitivo, a seconda dei casi, ex art. 25 D.P.R. 602/1973). Se la cartella viene notificata oltre tale termine di decadenza, è nulla indipendentemente dalla prescrizione. Viceversa, se la cartella è stata notificata tempestivamente, una volta notificata occorre valutare il decorso della prescrizione da quella data in poi. Ad esempio, supponiamo che un avviso di accertamento IVA 2018 sia stato notificato e sia definitivo a dicembre 2022: l’Agente della Riscossione deve notificare la cartella entro fine 2024 (termine decadenziale); se la notifica avviene nel 2023, la cartella è valida e da lì decorrerà la prescrizione decennale per il recupero (essendo IVA tributo erariale). Se invece la cartella arrivasse nel 2025, sarebbe decaduta a prescindere.
Interruzione della prescrizione nei debiti fiscali: ogni atto di riscossione notificato al contribuente interrompe la prescrizione. Esempi: la notifica della cartella di pagamento è un atto interruttivo che fa decorrere il termine da capo; così anche un sollecito di pagamento o un avviso di intimazione (ingiunzione fiscale) inviato successivamente. Occorre però fare attenzione: atti interni o notifiche viziate non interrompono. Ad esempio, se l’ente iscrive a ruolo il debito ma non notifica mai la cartella, l’iscrizione a ruolo da sola non conta ai fini della prescrizione. Analogamente, una cartella inviata per posta ma mai giunta al destinatario non produce effetti interruttivi. In caso di contestazione, il creditore (Agenzia Entrate Riscossione) dovrà dimostrare le notifiche avvenute secondo legge per sostenere che la prescrizione sia stata interrotta e non maturata.
Applicazione pratica: per sapere se un debito fiscale è prescritto, il debitore dovrà quindi: (1) identificare la natura del tributo (statale o locale) e il relativo termine prescrizionale (come da tabella, 10 anni o 5 anni, salvo eccezioni); (2) individuare la decorrenza (in genere, dal giorno successivo alla scadenza per il pagamento spontaneo o dalla notifica dell’accertamento divenuto definitivo); (3) verificare se vi sono atti interruttivi validamente notificati entro quel termine. Ad esempio, se Tizio ha una cartella IRPEF notificata il 10 marzo 2013 e da allora non ha più ricevuto nulla, al 10 marzo 2023 il debito sarebbe prescritto (10 anni trascorsi). Se però l’Agenzia Entrate Riscossione gli avesse notificato un sollecito il 1° febbraio 2018, l’atto avrebbe interrotto la prescrizione, che riparte da zero, spostando la scadenza al 1° febbraio 2028. Ancora, consideriamo Caio che non ha pagato l’IMU 2016: il Comune avrebbe potuto notificargli un avviso di accertamento entro fine 2021 (decadenza); se lo fa nel 2020 e Caio non paga, quel credito IMU 2016 si prescrive comunque al 31 dicembre 2025 (5 anni dall’anno successivo a quello in cui l’accertamento è esecutivo, salvo interruzioni). Se nel 2022 il Comune invia una ingiunzione fiscale, si interrompe e si sposta in avanti.
In conclusione, per i debiti fiscali la prescrizione varia secondo la natura del tributo, ed è stata oggetto di importanti chiarimenti giurisprudenziali. Il debitore deve controllare i documenti in suo possesso (avvisi, cartelle, solleciti) e le date di notifica, per calcolare con esattezza se il termine è trascorso. Nel dubbio, è consigliabile farsi assistere da un professionista, data la tecnicità della materia tributaria. Nel prosieguo vedremo i contributi previdenziali, spesso riscossi anch’essi tramite cartella esattoriale, che però presentano regole ancora diverse.
Contributi previdenziali (INPS, INAIL)
Questa sezione riguarda i debiti per contributi previdenziali e assistenziali obbligatori, in particolare verso l’INPS (assicurazione pensionistica e altre gestioni previdenziali dei lavoratori) e verso l’INAIL (assicurazione contro gli infortuni sul lavoro). Si tratta tipicamente di somme dovute da datori di lavoro o lavoratori autonomi alle casse previdenziali. La prescrizione di questi crediti è disciplinata da norme ad hoc che prevalgono sul Codice Civile. In particolare, una riforma fondamentale è stata la Legge 8 agosto 1995 n.335 (riforma del sistema pensionistico), il cui art. 3, comma 9 ha introdotto un termine di prescrizione brevissimo (5 anni) per tutti i contributi previdenziali obbligatori, riducendo il precedente termine decennale. Successive modifiche normative e pronunce giurisprudenziali hanno poi definito eccezioni e aspetti applicativi di grande rilievo, inclusa la possibilità di rilievo d’ufficio e il divieto di versamento dei contributi prescritti.
Ecco una tabella riassuntiva dei termini prescrizionali in ambito previdenziale:
Tipologia di contributo | Termine di prescrizione | Riferimenti normativi/giurisprudenziali | Note |
---|---|---|---|
Contributi INPS obbligatori (tutte le gestioni: lavoratori dipendenti, autonomi, artigiani, commercianti, gestione separata, ecc.) | 5 anni dal momento in cui il contributo doveva essere versato | L. 335/1995, art. 3, c.9 – prescrizione quinquennale contributi; Cass. SS.UU. n.23397/2016. | Termine quinquennale generale per tutti i contributi previdenziali INPS (dal 1996 in poi). Si computa dalla data di scadenza del pagamento contributivo (es: ultimo giorno utile per versare i contributi trimestrali). |
Contributi INAIL (premi assicurativi obbligatori) | 5 anni dal momento esigibilità (analogo a INPS) | L. 335/1995, art. 3, c.9 (equiparazione contributi assistenziali); Cass. civ. n. 12708/2017. | L’INAIL rientra nello stesso regime quinquennale dei contributi previdenziali. |
Eccezione – contributi INPS denunciati dal lavoratore (mancato versamento segnalato dal lavoratore o superstiti) | 10 anni, se la denuncia del lavoratore è presentata entro 5 anni dall’omesso versamento | L. 335/1995, art. 3, c.10; Cass. lav. n. 2999/2022. | Se un dipendente denuncia la mancata contribuzione prima che il termine di 5 anni sia decorso, la legge estende la prescrizione a 10 anni. Ciò tutela il lavoratore, dando più tempo all’ente per recuperare contributi omessi scoperti grazie alla denuncia. |
Contributi a casse professionali (es. casse di previdenza di avvocati, ingegneri, etc.) | Generalmente 5 anni, salvo termini diversi previsti nei regolamenti delle casse | Cass. SS.UU. n.23397/2016 (principio generale vale anche per altri enti). | Molte casse professionali hanno allineato i propri termini a quello INPS (5 anni). Eventuali differenze vanno verificate nelle singole normative di categoria. |
Sanzioni per omissione contributiva (sanzioni civili INPS per ritardato pagamento) | 5 anni, analogamente al contributo cui si riferiscono | Circ. INPS e giurisprudenza concordi. | Le sanzioni civili (interessi/maggiorazioni) seguono la prescrizione del contributo principale (5 anni). |
Analisi delle regole: a partire dal 1° gennaio 1996, tutti i contributi dovuti all’INPS e agli altri enti previdenziali cadono in prescrizione in cinque anni. Questa regola, introdotta dalla L.335/95, ha rappresentato una svolta: prima del 1995 vigeva il termine decennale ordinario, ma la riforma Dini ha dimezzato i tempi per il recupero dei contributi omessi, con alcune disposizioni transitorie poi superate. Oggi, dunque, se un datore di lavoro omette di versare contributi per i propri dipendenti, l’INPS ha 5 anni di tempo per attivarsi nel recupero; decorso tale periodo, i contributi non possono più essere pretesi.
Denuncia del lavoratore – estensione a 10 anni: la legge prevede un importante correttivo a tutela dei lavoratori: se il lavoratore (o i suoi superstiti) presenta una denuncia all’INPS segnalando la mancata contribuzione prima che siano trascorsi 5 anni, il termine di prescrizione per quei contributi si estende a 10 anni. In pratica, la tempestiva denuncia riporta il termine alla durata originaria decennale. Questo serve a evitare che l’inerzia del lavoratore (che magari scopre tardi l’omissione) pregiudichi il recupero. Ad esempio, se un’azienda non versa contributi nel 2020 e il lavoratore se ne accorge e denuncia nel 2024, l’INPS avrà fino al 2030 per riscuotere quei contributi (10 anni dal 2020). Se invece nessuno denuncia, la prescrizione resta al 2025.
Atti interruttivi in materia contributiva: anche per i contributi vale la regola generale sull’interruzione: una lettera di diffida dell’INPS, una notifica di avviso di addebito o di cartella (quando ancora si usavano le cartelle per contributi, prima del 2011) interrompono la prescrizione. È importante sapere che dal 1° gennaio 2011 l’INPS non si avvale più delle cartelle esattoriali per riscuotere i contributi, ma emette direttamente un Avviso di Addebito con valore di titolo esecutivo (D.L. 78/2010, art.30): tale avviso, notificato al contribuente, interrompe la prescrizione al pari della cartella e da lì decorre un nuovo termine quinquennale. Ogni eventuale successivo atto (es. intimazione di pagamento) interrompe nuovamente. Si noti che, secondo la Cassazione, né la richiesta di estratto conto contributivo inviata dall’ente, né l’eventuale richiesta del contribuente di conoscere la propria posizione contabile costituiscono atti interruttivi se non contengono una chiara volontà di ottenere il pagamento. Occorre quindi che vi sia un atto formale di messa in mora o un titolo esecutivo notificato.
Particolarità – irrepetibilità e rilevabilità d’ufficio: la disciplina della prescrizione dei contributi previdenziali presenta due aspetti singolari rispetto alle normali obbligazioni civili:
- Divieto di versamento dei contributi prescritti: secondo l’art. 3, c.9 L.335/95 (e circolari INPS interpretative), una volta decorso il termine di prescrizione, non è più possibile neppure versare volontariamente i contributi. Ciò significa che il debitore dei contributi non può pagare contributi “vecchi” per coprire buchi contributivi ai fini pensionistici, perché l’INPS rifiuta tali versamenti prescritti (diversamente da un debito privato, che il debitore può sempre pagare se vuole). L’unica strada sarebbe un riscatto oneroso se previsto. Questa regola è opposta a quella civilistica generale (dove, come detto, il pagamento del prescritto è valido): il legislatore previdenziale l’ha voluta per evitare che aziende e lavoratori si “ravvedano” troppo tardi magari per ottenere benefici pensionistici. In pratica, decorsi 5 anni il credito contributivo è non solo inesigibile ma nemmeno più versabile.
- Rilevabilità d’ufficio nei giudizi previdenziali: la Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che la prescrizione dei contributi può essere rilevata d’ufficio dal giudice nei giudizi in materia previdenziale. Ciò in deroga al principio generale dell’art. 2938 c.c. (divieto di rilievo d’ufficio). La ratio è che i contributi previdenziali toccano interessi pubblicistici e il loro mancato pagamento incide su posizioni indisponibili. Pertanto, se un ente previdenziale in giudizio chiede contributi ormai prescritti, il giudice può dichiararli prescritti anche se il debitore (ad esempio un’azienda convenuta) non ha eccepito la prescrizione. Questa peculiarità emersa dalla giurisprudenza (SS.UU. 23397/2016 e già Cass. 25750/2009) è assai rilevante: in materia contributiva il “buon costume” processuale suggerisce comunque al debitore di eccepire la prescrizione, ma in extremis il giudice potrebbe tutelarlo d’ufficio.
Esempi pratici:
- Esempio 1: Azienda Alfa non versa i contributi relativi al mese di gennaio 2018 per un suo dipendente (scadenza di legge 16 febbraio 2018). L’INPS ha tempo fino al 16 febbraio 2023 per atti interruttivi. Se nel frattempo (mettiamo, nel 2020) l’INPS notifica un avviso di addebito per quei contributi, la prescrizione si interrompe e riparte da zero dal 2020, quindi scadrà nel 2025. Se invece l’INPS non compie alcun atto entro il 16/02/2023, da quella data il debito contributivo è prescritto e l’azienda può rifiutare il pagamento.
- Esempio 2: Il signor Bianchi, artigiano, scopre nel 2024 di non aver pagato i contributi IVS del 2017. Vorrebbe regolarizzare la sua posizione versandoli volontariamente. Purtroppo, essendo trascorsi più di 5 anni (2017→2023), l’INPS non accetterà il pagamento perché quei contributi sono prescritti e non accreditabili. Bianchi potrebbe solo chiedere (se ne ha i requisiti) un riscatto del periodo, ma non può più “pagare in ritardo”.
- Esempio 3: Una lavoratrice si accorge che il suo datore non ha versato contributi del 2019. Nel 2022 (entro i 5 anni) invia segnalazione all’INPS. Questo fa sì che per i contributi 2019 dell’azienda il termine diventi di 10 anni, cioè fino a tutto il 2029 l’INPS potrà agire verso il datore. Se la lavoratrice non avesse denunciato, l’INPS dopo il 2024 non avrebbe più potuto richiedere nulla.
In sintesi, i debiti per contributi previdenziali sono soggetti a un termine di prescrizione breve (5 anni) con pochissime eccezioni. Dal punto di vista del debitore (datore di lavoro o autonomo), passati 5 anni senza richieste dall’INPS, la pretesa contributiva è caduta. Tuttavia occorre prudenza: la prescrizione può essere stata interrotta da atti che magari il debitore non ha colto (es. una raccomandata INPS inviata a un vecchio indirizzo, ma se validamente notificata interrompe). È buona norma controllare periodicamente il proprio “Estratto Conto Contributivo” presso l’INPS: se vi compaiono periodi non pagati risalenti a più di 5 anni prima, spesso l’INPS li evidenzia come “omessi prescritti”. In caso di dubbi, un consulente del lavoro o un patronato può aiutare a interpretare la posizione contributiva. Si noti infine che, a differenza di altri debiti, la prescrizione dei contributi incide anche sui diritti pensionistici: contributi non versati e prescritti non possono essere più recuperati ai fini pensionistici, il che potrebbe ridurre l’anzianità contributiva del lavoratore. Dunque per il lavoratore è essenziale vigilare (da qui la norma sui 10 anni in caso di denuncia tempestiva).
Debiti bancari (mutui, finanziamenti e conti correnti)
I debiti verso le banche comprendono varie fattispecie: mutui ipotecari, finanziamenti a rate, scoperti di conto corrente, prestiti personali, fidi bancari e così via. La prescrizione di questi debiti segue in linea di massima le regole generali del codice civile sulle obbligazioni, con alcune particolarità derivanti dalla natura “frazionata” di certi rapporti (es. mutuo a rate mensili). In generale, i debiti derivanti da contratto di finanziamento rientrano nel termine ordinario decennale, ma occorre capire da quando decorre e come si applica la prescrizione alle singole rate e agli interessi. La giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione ha chiarito che nel mutuo e nei contratti rateali analoghi la prestazione è unitaria e le rate rappresentano solo frazionamenti dell’unico debito, con la conseguenza che la prescrizione decorre dalla scadenza dell’ultima rata e non da ciascuna rata singolarmente. Vediamo i principi chiave e poi uno schema riassuntivo.
Mutuo e finanziamenti rateali – obbligazione unica: in un contratto di mutuo (prestito a rimborso dilazionato), la Cassazione ha affermato in più sentenze (da ultimo Cass. 4232/2023) che “il pagamento delle rate configura un’obbligazione unica e il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata”. Questo significa che il mutuante (banca) non può considerare prescritto il diritto alla restituzione prima che sia arrivata a scadenza l’ultima rata prevista dal piano di ammortamento, poiché solo allora il debito si considera definitivamente esigibile nella sua interezza. Pertanto, la prescrizione inizia a decorrere dalla data di scadenza dell’ultima rata del mutuo. Conseguentemente, la durata è di 10 anni da tale momento (trattandosi di obbligazione contrattuale non soggetta a termini brevi). Se il mutuo prevede, ad esempio, 120 rate mensili fino al 31 dicembre 2030, la banca potrà agire fino al 31 dicembre 2040 per recuperare eventuali rate non pagate durante il piano (salvo atti interruttivi in mezzo, naturalmente). Questo principio evita di dover considerare prescritta una singola rata mentre il contratto è ancora in corso: la natura di contratto di durata del mutuo implica che le rate siano solo adempimenti parziali di un debito unitario.
Interessi e rate scadute: strettamente collegato al punto precedente, la Cassazione ha escluso l’applicabilità della prescrizione breve quinquennale alle singole rate di interesse di un mutuo o di un finanziamento rateale. In altre parole, anche gli interessi corrispettivi compresi nelle rate e gli eventuali interessi moratori per ritardi, essendo accessori all’unico debito, non si prescrivono autonomamente in 5 anni durante la vita del mutuo. Il riferimento all’art. 2948 n.4 c.c. (che prevede 5 anni per le prestazioni periodiche, tra cui gli interessi) viene superato dal fatto che nel mutuo le rate (comprensive di interessi) non sono considerate “prestazioni periodiche autonome”, ma frazioni di un unico obbligo restitutorio. Dunque la banca può esigere anche interessi di rate scadute da più di 5 anni, purché l’ultima rata non sia scaduta da oltre 10 anni e il mutuo non sia estinto da oltre 10 anni. Questo orientamento tutela il creditore bancario nella logica unitaria del contratto di mutuo, ma è bene che il debitore ne sia consapevole: non può sperare di far dichiarare prescritte singole rate non pagate nel corso del finanziamento, almeno fino a che il finanziamento non è terminato.
Va precisato però che questa interpretazione vale finché il mutuo resta in corso. Se avviene la decadenza dal beneficio del termine (cioè la banca, a causa di mancati pagamenti, risolve il contratto anticipatamente e chiede il saldo di tutto il debito residuo in unica soluzione), allora il debito diviene immediatamente esigibile in data anticipata. In tal caso, la prescrizione decennale decorrerà dalla data di scadenza anticipata dichiarata dalla banca. Ad esempio, mutuo con rate fino al 2030, ma il debitore smette di pagare nel 2025 e la banca nel 2026 risolve il contratto e chiede tutto: la prescrizione decorre dal 2026 (nuova scadenza dell’obbligazione anticipata) e finirà nel 2036, salvo atti interruttivi.
Riassumiamo i termini per i principali debiti bancari in una tabella:
Tipo di debito bancario | Termine di prescrizione | Riferimenti | Note |
---|---|---|---|
Mutuo ipotecario o chirografario (restituzione a rate) | 10 anni dalla scadenza dell’ultima rata prevista dal piano di ammortamento (o dalla scadenza anticipata in caso di risoluzione/decadenza dal termine) | Cass. civ. Sez. III, n. 4232/2023; Cass. civ. n. 17798/2011. | La prescrizione è unica per l’intero debito. Le rate non pagate non si prescrivono singolarmente durante il mutuo. Decorso l’ultimo termine contrattuale, tutto il debito residuo (capitale + interessi) cade in prescrizione se trascorrono 10 anni senza atti. |
Finanziamento rateale (prestito personale, cessione del quinto, leasing, ecc.) | 10 anni dall’ultima rata (stesso criterio del mutuo) | Principio analogo esteso dalla giurisprudenza (Cass. 4232/2023 cit.) | Anche per prestiti al consumo rateali vale il concetto di obbligazione unitaria frazionata in rate. |
Scoperto di conto corrente (saldo passivo non rimborsato) | 10 anni dalla formale richiesta di rientro o dalla chiusura del conto | Art. 2946 c.c. generale; decorrenza da esigibilità del saldo (es. data chiusura conto). | Esempio: conto chiuso il 15/07/2015 con saldo negativo €5.000: banca ha fino al 15/07/2025 per agire. Se invia sollecito nel 2018, interrompe e sposta termine al 2028, ecc. |
Fido bancario revocato (credito accordato in conto, poi revocato per rientro) | 10 anni dalla richiesta di rientro notificata al cliente | Art. 2946 c.c.; decorrenza da atto di revoca/rientro. | Dopo revoca del fido, la banca intima il rientro (ad es. con raccomandata): da lì decorrono i 10 anni. Se il cliente continua operare sul conto, la prescrizione per singoli utilizzi è più complessa ma di solito si prende come riferimento la chiusura o revoca. |
Interessi bancari su conto corrente (interessi passivi dovuti dal cliente periodicamente) | 5 anni per ciascun interesse dovuto (in quanto prestazione periodica autonoma) salvo diventi parte di saldo non pagato | Art. 2948 n.4 c.c.; Cass. civ. n. 12075/1999. | Finché il conto rimane aperto, gli interessi addebitati periodicamente che il cliente non paga divengono parte del saldo passivo. Se non c’è estinzione del saldo, la prescrizione pratica per recuperarli sarà agganciata al saldo (v. sopra). Se invece la banca volesse esigere singoli interessi scaduti a prescindere, il termine è 5 anni dalla maturazione. |
Nota sugli interessi e oneri bancari: un chiarimento utile riguarda gli interessi passivi su conto corrente o le commissioni bancarie: normalmente la banca capitalizza questi oneri nel conto. Se il rapporto di conto continua, tali interessi diventano parte del saldo a debito e seguono la sorte del saldo (quindi in sostanza vengono recuperati con l’azione sul saldo entro 10 anni dalla chiusura). Se invece si considerasse isolatamente il diritto della banca a incassare interessi maturati su un conto ancora aperto, di per sé l’interesse di periodo è soggetto a prescrizione quinquennale (perché maturazione trimestrale/semestrale tipicamente). Tuttavia, raramente la banca fa azioni per interessi isolati: normalmente chiude il conto e chiede il saldo complessivo.
Atti interruttivi tipici per debiti bancari: la banca può interrompere la prescrizione inviando al debitore una diffida scritta di pagamento (raccomandata o PEC), opponendo un decreto ingiuntivo o altro atto giudiziario, oppure avviando un pignoramento se ha già un titolo. Ad esempio, l’invio di un estratto conto certificato con intimazione di pagare il saldo può costituire atto interruttivo (se contiene una chiara richiesta di adempimento). Al contrario, l’invio di normali estratti conto periodici senza richiesta di pagamento non interrompe la prescrizione, perché considerato mero atto informativo. Il debitore deve anche qui fare attenzione a non riconoscere il debito: se, ad esempio, firma un “piano di rientro” o propone di pagare una parte del dovuto, compie un riconoscimento che interrompe la prescrizione (art. 2944 c.c.).
Conversione in titolo giudiziale – decreti ingiuntivi: se la banca ottiene un decreto ingiuntivo o una sentenza di condanna per il suo credito, si applica l’art. 2953 c.c., ossia il credito accertato nel provvedimento giudiziario si prescrive in 10 anni dal passaggio in giudicato. Questo avviene, ad esempio, quando il debitore non si oppone al decreto ingiuntivo entro 40 giorni: il decreto diviene definitivo (come cosa giudicata) e il credito ha da quel momento una nuova prescrizione decennale, indipendente dal termine originario. La Cassazione ha chiarito, come visto, che ciò vale solo per titoli giudiziali e non per atti amministrativi come le cartelle. Nel campo bancario, quindi, se un mutuo era in corso (termine 10 anni ultima rata) ma la banca ottiene decreto ingiuntivo prima ancora della scadenza dell’ultima rata per risolvere il contratto, dal momento in cui quel decreto diventa definitivo decorre un nuovo termine di 10 anni. In pratica l’azione monitoria “congela” la prescrizione e la riparte come titolo giudiziale.
Esempi pratici:
- Esempio 1 (mutuo non pagato): Il sig. Rossi ha un mutuo che sarebbe durato fino a dicembre 2015, ma ha smesso di pagare nel 2014 e la banca non ha fatto immediate azioni esecutive. L’ultima rata prevista era dic. 2015, quindi la banca avrebbe teoricamente tempo fino a dic. 2025 per esigere l’intero (10 anni). Se però nel 2016 la banca ha notificato un precetto o decreto ingiuntivo, questo atto ha interrotto la prescrizione e (se divenuto definitivo) ha fatto decorrere un nuovo termine di 10 anni dal 2016 (quindi 2026).
- Esempio 2 (conto corrente): La ditta Bianchi chiude un conto aziendale nel gennaio 2018 con scoperto di €10.000. La banca invia subito (febbraio 2018) una raccomandata chiedendo il rientro: atto interruttivo, prescrizione ora al febbraio 2028. Bianchi non paga e non risponde. La banca poi non agisce più e lascia passare il tempo: nel marzo 2028 il credito è prescritto. Se la banca avesse inviato un altro sollecito nel 2022, avrebbe ulteriormente interrotto, spostando la scadenza al 2032.
- Esempio 3 (riconoscimento debito): La sig.ra Verdi ha un prestito personale di €5.000 contratto nel 2019, poi insoluto. Nel 2020 firma con la finanziaria un accordo di saldo a stralcio (riconoscendo €5.000 e promettendo di pagarne €3.000 ratealmente). Questo accordo interrompe la prescrizione e fa decorrere il termine (quinquennale o decennale a seconda del caso, ma qui sarebbe comunque 10 anni essendo contratto originario) dal 2020. Se poi Verdi non rispetta l’accordo, la finanziaria avrà tempo fino al 2030 per agire.
In conclusione, per i debitori bancari è fondamentale ricordare che i rapporti di mutuo e finanziamento a rimborso frazionato non permettono di “far cadere” singole rate con il semplice passare di 5 anni, almeno fino alla scadenza dell’obbligazione complessiva. Il termine più rilevante è quello decennale dalla fine del rapporto (fine piano di ammortamento, chiusura conto, revoca fido, ecc.), eventualmente rinnovato da atti della banca. Il debitore in difficoltà dovrebbe tenere traccia delle comunicazioni ricevute dalla banca (lettere di messa in mora, atti giudiziari) e, se spera di vedere un credito prescritto, non inviare pagamenti o comunicazioni che possano costituire riconoscimento. Qualora la banca agisca legalmente, il debitore può eccepire la prescrizione nel giudizio (ad esempio opponendosi a un decreto ingiuntivo, se ritiene che siano passati oltre 10 anni dall’ultima scadenza utile senza atti interruttivi).
Debiti commerciali (forniture, fatture e rapporti tra imprese)
I debiti commerciali sono quelli derivanti da rapporti tra imprese o comunque da contratti di compravendita di beni e fornitura di servizi in ambito professionale o aziendale. Esempi: il debito di un’azienda verso un fornitore per la consegna di materie prime, oppure il debito di un cliente professionale verso una ditta per prestazioni di servizi (consulenze, manutenzioni), o ancora il debito tra due società previsto da un contratto commerciale. In linea generale, anche questi debiti seguono la prescrizione ordinaria decennale prevista dall’art. 2946 c.c. (in quanto diritti di credito derivanti da contratto). Tuttavia, vi sono diverse situazioni particolari da considerare:
- Forniture e prestazioni una tantum: se il debito commerciale nasce da una prestazione singola e isolata (es. vendita di un macchinario, realizzazione di un progetto, consegna di un lotto di merce, consulenza su una pratica specifica), l’obbligazione di pagamento non è periodica ma unica, quindi soggetta al termine ordinario di 10 anni dalla data di esigibilità (di solito la data fattura o la scadenza concordata). Ad esempio, la fattura emessa il 10 marzo 2020 per una fornitura unica, pagabile a 60 giorni, si prescriverà il 10 maggio 2030, salvo interruzioni.
- Rapporti di fornitura continuativa o periodica: se tra le parti vi è un contratto quadro o una continuità tale per cui vengono emesse fatture periodiche (mensili, trimestrali, annuali) per servizi o beni forniti regolarmente (pensiamo a contratti di manutenzione con canone annuo, fornitura energetica ad azienda con fatture mensili, ecc.), allora ciascuna prestazione periodica si prescrive in 5 anni ai sensi dell’art. 2948 n.4 c.c.. In pratica, quando il contratto prevede pagamenti periodici a scadenze prefissate (tipicamente su base annua o inferiore), ogni singolo credito periodico è soggetto a prescrizione breve quinquennale. Ad esempio, una società di vigilanza fattura ogni mese un canone al cliente: ogni fattura si prescrive in 5 anni. Questo è coerente con l’elenco dell’art. 2948 c.c. che include “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.
- Distinzione periodico vs continuativo: attenzione a non confondere “periodicità” con “rateazione”. Un contratto di forniture può prevedere consegne ripetute ma non necessariamente un obbligo periodico uguale: bisogna valutare caso per caso. Se l’obbligo di pagamento nasce da singoli ordini eseguiti di volta in volta, pur se regolari, ciascun ordine genera un credito a sé stante (10 anni). Se invece c’è un corrispettivo fisso a intervalli regolari indipendentemente da specifici ordini (ad es. un canone di manutenzione), è un’obbligazione periodica (5 anni per ogni canone).
- Crediti derivanti da fatture commerciali: spesso si domanda se “una fattura si prescrive in 5 anni o 10 anni”. La fattura in sé è solo un documento probatorio del credito, non una categoria giuridica. Bisogna guardare al rapporto sottostante: se la fattura documenta un credito derivante da un contratto non periodico, il termine è 10 anni; se documenta un canone periodico, 5 anni. In pratica, come regola empirica: fatture per utenze o servizi periodici = 5 anni (ma le utenze domestiche hanno eccezioni di cui diremo); fatture per forniture spot = 10 anni. Purtroppo alcune fonti divulgative semplificano dicendo “le fatture commerciali si prescrivono in 5 anni” ma ciò vale solo in parte. Ad esempio: la fattura di un avvocato per la consulenza in una causa giudiziaria (prestazione singola terminata) – essendo parcella di professionista – ha prescrizione presuntiva 3 anni (se il cliente eccepisce pagamento) oppure, in assenza di eccezione presuntiva, 10 anni; la fattura di un grossista che ha venduto 100 pezzi a un negoziante – trattandosi di vendita merce a chi fa commercio – è soggetta a prescrizione presuntiva annuale ex art. 2955 n.5 c.c. (il cliente può dopo 1 anno dire “si presume pagato”); la fattura di un consulente informatico per assistenza continuativa trimestrale – ogni fattura trimestrale 5 anni. Dunque bisogna qualificare il rapporto.
- Prescrizioni presuntive rilevanti in ambito commerciale: come accennato, l’art. 2955 c.c. prevede prescrizione presuntiva annuale per “il diritto dei commercianti per il prezzo delle merci vendute a chi non ne fa commercio” (vendite di beni da imprenditore a consumatore) e per “il diritto di coloro che esercitano un’attività professionale, per il compenso dell’opera prestata” (ma questo è stato assorbito nel 2956 c.c. a 3 anni per i professionisti). Quindi, se una impresa vende beni a un privato, trascorso un anno si presume che la merce sia stata pagata (salvo prova contraria mediante giuramento). Questa è una prescrizione presuntiva; in giudizio il privato può semplicemente dichiarare di aver pagato, e la legge gliene dà credito se il venditore non lo contesta con giuramento. Per i rapporti tra imprese (vendite B2B) invece questa presunzione non opera, e vale la regola ordinaria o quinquennale come sopra. Ulteriore caso: prestazioni di lavoro occasionali o mediazioni possono avere prescrizioni presuntive brevi (il diritto del mediatore alla provvigione si prescrive in 1 anno ex art. 2950 c.c.). Questi istituti possono affacciarsi nel contesto commerciale (es. un’agenzia immobiliare mediatrice di un affare tra aziende ha provvigione con prescrizione presuntiva annuale).
Facciamo seguire una tabella riassuntiva:
Tipo di credito commerciale | Termine di prescrizione | Riferimenti | Note |
---|---|---|---|
Fattura da fornitura unica (B2B o B2C) | 10 anni dalla scadenza pagamento | Art. 2946 c.c. generale | Es: consegna di beni strumentali con pagamento a 90 gg – 10 anni dal termine di pagamento. Se venditore è commerciante e compratore un privato, può operare prescrizione presuntiva 1 anno (se eccepita). |
Fornitura continuativa con pagamenti periodici (canoni, contratti di durata con corrispettivi periodici) | 5 anni per ciascun credito a scadenza periodica | Art. 2948 n.4 c.c. | Es: contratto di manutenzione annuale: ogni canone annuo 5 anni dalla fine dell’anno di riferimento. Es2: servizio in abbonamento mensile: ogni fattura mensile 5 anni. |
Rapporti tra imprese con più consegne/fatture (non a canone fisso) | 10 anni per ciascuna fornitura se considerata autonomamente; in pratica verificare se c’è periodicità di fatto | Orientamento giurisprudenziale vario (in mancanza di periodicità contrattuale esplicita, si tende ad applicare 10 anni) | Esempio: una ditta fornisce materiali ad un cliente azienda su ordinativi continui. Anche se le fatture escono ogni mese, se ogni fornitura è separata e non c’è un canone contrattuale, ogni credito può considerarsi autonomo (10 anni). Comunque, spesso in tali rapporti si interviene prima di 5 anni per sollecitare. |
Compensi professionali (es. parcella consulente, avvocato, commercialista) | 3 anni (prescrizione presuntiva) dall’ultimazione della prestazione, salvo interruzioni – altrimenti 10 anni se il debitore non eccepisce la presunzione | Art. 2956 n.2 c.c.; art. 2957 c.c. (decorrenza fine prestazione) | Il professionista (non dipendente) deve richiedere il compenso entro 3 anni per evitare l’eccezione di prescrizione presuntiva. In caso di contestazione giudiziale, se il cliente eccepisce prescrizione presuntiva, si procede col giuramento decisorio. Se il professionista fa valere il credito oltre 3 anni e il cliente non eccepisce, il giudice può condannare lo stesso (10 anni ordinari). |
Credito derivante da sentenza o decreto ingiuntivo riguardante forniture/servizi | 10 anni dal passaggio in giudicato del titolo (sentenza definitiva o decreto non opposto) | Art. 2953 c.c. (conversione in giudicato) | Se il fornitore ottiene un decreto ingiuntivo non opposto per le sue fatture, il credito si prescrive in 10 anni dalla definitività del decreto. Questo termine sostituisce quello originario. |
Spiegazione ed esempi:
Nel mondo commerciale, spesso i creditori agiscono ben prima dei 10 anni, data la necessità di incassare. Tuttavia, per scrupolo giuridico, un’impresa debitrice dovrebbe sapere che un vecchio debito verso un fornitore potrebbe essere prescritto se il fornitore non si è fatto vivo per molto tempo. Esempio: un negozio acquista merce nel 2015 da un grossista ma, per difficoltà, non paga la fattura di dicembre 2015 (€2.000). Il grossista sollecita a voce un paio di volte, poi nulla di scritto. Arriviamo al 2022: sono passati più di 5 anni. Il negoziante potrebbe eccepire la prescrizione? Dipende: se quella fornitura era isolata, sarebbero 10 anni (prescrizione non maturata); se fosse considerata “vendita di merci a chi non fa commercio” (ma qui è B2B, entrambi commercianti, quindi no presuntiva annuale); se fosse stata vendita a un privato, già dopo un anno il privato poteva rifiutare per presunzione di pagamento. In questo caso specifico (B2B, fornitura di merce) la prescrizione sarebbe decennale ordinaria. Quindi non ancora maturata nel 2022. Il grossista avrebbe ancora fino al 2025 per agire. Invece, se fosse stato un servizio di abbonamento annuo non pagato del 2015, dopo il 2020 sarebbe prescritta la singola annualità.
Altro esempio: l’azienda Alfa fornisce consulenza informatica a Ditta Beta con canone trimestrale di €500. Beta non paga i canoni del 2018 interamente. Alfa nel 2023 cerca di recuperare. I canoni con scadenza nel 2018 sono prescritti perché ciascuno ha superato i 5 anni senza atti (2018→2023), a meno che Alfa provi di aver inviato solleciti scritti prima. Se Alfa avesse mandato un sollecito a Beta nel 2020, quel sollecito interrompe i termini di tutti i crediti insoluti ad esso relativi (c’è da valutare, ma in genere un sollecito può menzionare l’intero arretrato, interrompendo per tutti). Comunque Beta potrebbe legittimamente opporsi al pagamento eccependo prescrizione quinquennale per i trimestri 2018.
Atti interruttivi nei rapporti commerciali: bastano le regole generali: un atto di messa in mora (una lettera raccomandata AR o PEC dal fornitore al cliente che intima il pagamento fattura X) interrompe la prescrizione di quel credito. Anche l’invio di un estratto conto delle posizioni debitorie può costituire atto interruttivo, purché sia chiaro che si richiede il saldo (spesso le comunicazioni commerciali di sollecito recano formule tipo “vi preghiamo di provvedere al saldo entro… – valga la presente quale costituzione in mora”). Un atto giudiziario come la notifica di un decreto ingiuntivo interrompe ovviamente. Se c’è stata una ricognizione di debito da parte del debitore (es. firma di una conferma del saldo dovuto), quella riconoscimento fa piena prova ed è atto interruttivo ex art. 2944 c.c. (nonché punto zero da cui decorre un nuovo termine decennale perché è equiparabile a un nuovo contratto di obbligazione riconosciuta).
Debiti commerciali e interessi moratori: qualora il creditore commerciale abbia emesso fatture su cui maturano interessi di mora (D.Lgs. 231/2002, interessi per ritardi nelle transazioni commerciali), tali interessi moratori seguono la regola generale: si prescrivono in 5 anni cadauna rata di interesse moratorio maturata periodicamente. Tuttavia, anche qui, se il procedimento di recupero include gli interessi, di fatto l’interruzione sul capitale interrompe pure sugli interessi accessori.
Conclusione pratica: un imprenditore o professionista debitore di fatture non pagate dovrebbe: (1) verificare l’anzianità dei debiti; (2) capire se per caso rientrano in categorie a prescrizione breve; (3) controllare eventuali comunicazioni scritte di sollecito ricevute. Se sono passati molti anni e il creditore non si è più fatto vivo, c’è la possibilità concreta di prescrizione. Ad esempio, una piccola impresa che nel 2016 non pagò alcuni fornitori e dal 2017 non sente più nulla, nel 2025 potrebbe eccepire prescrizione decennale se quei debiti erano forniture una tantum (2016→2026 sarebbe il termine, quindi magari non ancora maturato al 2025, a meno che i 10 anni cadano proprio nel 2026; se invece erano canoni 2016, prescritti nel 2021). È sempre bene farsi assistere in queste valutazioni perché i dettagli contano (ad es. capire se c’era un contratto quadro con canoni o no).
Debiti da contratti tra privati (prestiti, compravendite e altri accordi non commerciali)
I debiti tra privati (intendendo con ciò obbligazioni tra persone fisiche o comunque non rientranti nell’attività d’impresa) coprono una vasta gamma di situazioni: dal prestito di denaro tra familiari o amici, al prezzo per la vendita di un bene tra privati, alla somma dovuta per lavori artigianali eseguiti da una persona, alla restituzione di caparre o anticipi tra privati, ecc. In questi casi non si applicano le norme speciali commerciali, ma in genere il Codice Civile. La prescrizione pertanto segue per lo più il termine ordinario di 10 anni, salvo il caso in cui l’obbligazione per sua natura rientri tra quelle a termine breve (es. debito periodico, prestazione professionale).
Possiamo delineare alcune situazioni tipiche:
- Prestito di denaro tra privati: se Tizio presta una somma a Caio, l’obbligo di restituzione si prescrive in 10 anni. La decorrenza dipende dal contratto: se il prestito aveva una data di scadenza fissata (es. “ti restituisco entro il 31/12/2024”), dal giorno dopo quella data decorrono i 10 anni. Se non c’era una scadenza espressa, generalmente il prestito è a richiesta del creditore (art. 1817 c.c. per mutuo senza termine: il debitore deve restituire entro 30 giorni dalla richiesta). In tal caso, secondo la giurisprudenza, la prescrizione decorre dalla data del prestito, poiché il creditore poteva richiedere la restituzione immediatamente a suo piacimento (alcune sentenze però spostano la decorrenza al momento della richiesta formale di restituzione, specie se il mutuo tra privati implicava fiducia; per sicurezza il creditore farebbe bene a formalizzare la richiesta entro 10 anni dall’erogazione). Per esempio, prestito informale di €5.000 senza accordi scritti nel gennaio 2015: se entro gennaio 2025 il creditore non fa nulla, il debitore potrebbe eccepire prescrizione, sostenendo che il credito esisteva dal 2015 e non è stato esercitato in 10 anni. – Importante: spesso i prestiti tra privati non vengono formalizzati: questo non incide sul termine (sempre 10 anni), ma rende più difficile provarne l’esistenza. In caso di riconoscimento scritto del debito da parte del debitore (scrittura privata in cui Caio riconosce di dovere €X a Tizio), quella scrittura vale come promessa di pagamento ex art. 1988 c.c. e prova il debito, e contemporaneamente funge da atto che (se datato) può far decorrere la prescrizione da quando fu sottoscritta.
- Somme dovute per compravendite tra privati: ad esempio, un privato vende la sua auto usata a un altro privato, concordando pagamento differito; oppure la cessione di un bene qualsiasi tra soggetti non imprenditori. Anche qui non c’è specialità: il credito del venditore per il prezzo si prescrive in 10 anni (non essendoci una regola di legge più breve). Se la vendita era verbale e il pagamento doveva avvenire ad una certa data, 10 anni da quella data. L’eccezione è se la vendita riguardava beni di consumo e venditore è commerciante e compratore privato: in tal caso, come visto prima, tecnicamente il venditore è “commerciante” e l’acquirente “non fa commercio”, quindi il credito è soggetto a prescrizione presuntiva annuale. Ma se venditore e compratore sono entrambi privati (ad es. vendita tra due collezionisti non professionisti), non vale la regola del commerciante, e resta 10 anni.
- Corrispettivi per lavori o servizi svolti da privati: pensiamo a lavoretti saltuari (es. Tizio idraulico non professionista che aiuta un vicino dietro promessa di compenso, oppure babysitteraggio tra conoscenti) – queste situazioni sfumano nel lavoro autonomo non imprenditoriale, ma in linea di massima se non c’è un regime professionale la prestazione non rientra nelle prescrizioni presuntive specifiche. Quindi, salvo che si possa qualificare come prestazione professionale (in tal caso prescrizione presuntiva breve se eccepita), diremmo 10 anni.
- Debiti alimentari o familiari: se uno dei coniugi deve somme all’altro per accordi interni, o obblighi di mantenimento, ecc., subentrano regole particolari (ad es. gli assegni di mantenimento si prescrivono ratealmente in 5 anni, essendo prestazioni periodiche ex art. 2948 n.4 c.c.; gli arretrati per alimenti 5 anni; ma questo esula un po’ dal nostro tema focalizzato su debiti di natura patrimoniale). Lo citiamo per completezza: se un privato deve un assegno mensile all’ex coniuge, quella è obbligazione periodica e ogni mensilità si prescrive in 5 anni.
- Risarcimenti da fatto illecito tra privati: non è “contratto” ma è un debito che un privato può avere verso un altro. Ad esempio un vicino rompe il muro del confinante e deve risarcirlo. Questi debiti da responsabilità civile generalmente si prescrivono in 5 anni (art. 2947 c.c.), salvo casi particolari (es. danni da circolazione stradale – 2 anni, danni da reato – termine della prescrizione penale se più lungo). Anche un debito per ingiuria, diffamazione, ecc. rientra in quell’ambito (5 anni). Pur non essendo contrattuale, vale la pena menzionarlo tra privati. Dunque se il nostro focus è “un debitore privato”, può capitare che debba risarcire qualcuno: sappia che quel diritto al risarcimento si estingue in 5 anni dall’evento (o dalla scoperta del danno) se il danneggiato non agisce.
In tabella uno schema semplificato:
Debito tra privati | Termine di prescrizione | Riferimenti normativi | Osservazioni |
---|---|---|---|
Prestito di denaro tra privati (mutuo non professionale, es. tra amici o familiari) | 10 anni dalla scadenza concordata, o dall’atto di richiesta restituzione (se senza termine) | Art. 2946 c.c. (ordinario); art. 1817 c.c. (prestito senza termine: esigibilità a richiesta) | Meglio formalizzare per iscritto prestiti tra privati, indicando una data. Se è “a richiesta”, il creditore dovrebbe attivarsi entro 10 anni dall’erogazione per non rischiare contestazioni. Una ricognizione di debito scritta può spostare in avanti la decorrenza. |
Prezzo di vendita tra privati (beni mobili, ecc.) | 10 anni dalla data in cui il prezzo doveva essere pagato | Art. 2946 c.c. | Se venditore è un commerciante e acquirente privato: prescrizione presuntiva 1 anno (da eccepire). Tra privati “puri” no presunzione. |
Compenso per attività lavorativa occasionale (non professionale, es. piccoli lavori) | 10 anni (in assenza di regime professionale) | Art. 2946 c.c. | Se però la persona svolge di fatto un’attività professionale regolamentata, potrebbe applicarsi la prescrizione breve professionisti (3 anni) se eccepita. Caso per caso. |
Obblighi di mantenimento, alimenti (tra privati per legge) | 5 anni per le singole prestazioni periodiche | Art. 2948 n.4 c.c. | Esempio: assegno mensile di mantenimento figli: ogni mensilità 5 anni. Non è un contratto ma un debito di diritto di famiglia. |
Risarcimento danni da fatto illecito (tra privati) | 5 anni (danni ordinari) – 2 anni (danni da circolazione veicoli) – più altri termini speciali per casi particolari | Art. 2947 c.c., commi 1 e 2 | Il danneggiato deve avanzare richiesta risarcitoria entro tali termini o perde il diritto. Se c’è sentenza di condanna, poi 10 anni dal giudicato. |
Esempi:
- Esempio 1: prestito informale di €10.000 da padre a figlio nel 2010, senza termine. Nel 2025 il padre chiede indietro i soldi. Il figlio potrebbe eccepire prescrizione perché sono passati 15 anni. A meno che il padre dimostri di aver chiesto prima (anche a voce davanti a testimoni – ma la prescrizione non si interrompe a voce, servirebbe un riconoscimento del figlio o una messa in mora scritta). Questo esempio evidenzia come i prestiti familiari dovrebbero sempre essere messi per iscritto con una data di restituzione o comunque “rinfrescati” di tanto in tanto.
- Esempio 2: vendita di moto usata da Luca a Marco, privati, prezzo €2.000 a consegna moto (gennaio 2021) ma Marco chiede di poter pagare dopo qualche mese. Luca aspetta, ma Marco non paga mai. Luca nel 2024 si decide a fargli causa davanti al giudice di pace. Marco può dire: “sono passati più di 1 anno, si presume l’ho pagata” perché Luca era un venditore privato e Marco un compratore privato, quindi la regola del commerciante vs non commerciante non si applica (quella era presuntiva solo se venditore è commerciante). Qui entrambi non commercianti, quindi 10 anni. Pertanto nel 2024 il credito non è prescritto. Marco dovrà pagare (e non può nemmeno eccepire la presunzione di pagamento perché quell’eccezione specifica riguarda la vendita fatta da commercianti).
- Esempio 3: sinistro stradale tra privati del 1º giugno 2023 con solo danni materiali: il danneggiato non chiede nulla formalmente. Dopo 3 anni (giugno 2026) tenta di chiedere i danni. Il responsabile può rifiutare perché il risarcimento per danni da circolazione veicoli si prescrive in 2 anni. Se però il danneggiato avesse riportato lesioni personali, per queste vale sempre 2 anni salvo che il fatto costituisca reato procedibile d’ufficio (es. lesioni gravi) in tal caso il termine sale alla prescrizione penale del reato ma ciò esula dal contesto civile tra privati.
Interruzioni e riconoscimenti tra privati: spesso tra parenti o amici c’è informalità. Ma dal punto di vista legale, per interrompere la prescrizione servono atti formali anche tra privati. Un messaggio scritto può valere, purché provabile (una PEC o raccomandata è ideale; anche un Whatsapp o email può servire come prova in giudizio, ma meno certa). Ad esempio, inviare una raccomandata a un amico che ti deve soldi può sembrare spiacevole, ma è l’unico modo sicuro per interrompere la prescrizione. In mancanza, dopo 10 anni quell’amico potrebbe legalmente rifiutare di restituire. Viceversa, per il creditore privato è importante ottenere magari una dichiarazione di riconoscimento dal debitore, anche in forma semplice, che faccia da “reset” del termine. Per il debitore privato, la raccomandazione è opposta: non riconoscere il debito se si punta alla prescrizione. Ad esempio, se un conoscente vi chiede di firmare una scrittura “riconosco di doverti €X”, attenzione: firmandola farete ripartire la prescrizione da zero da quella data!
Riassumendo: i debiti nascenti da rapporti privati semplici seguono prevalentemente la prescrizione decennale, a meno che non siano di natura periodica (5 anni) o risarcitoria (5 anni, 2 anni). Il debitore privato deve tenere conto di eventuali eccezioni di prescrizione presuntiva (rare in questo ambito, ma ad esempio se un privato ha pagato il medico dopo 4 anni senza ricevuta, potrebbe invocare prescrizione presuntiva triennale del compenso medico). In generale, 10 anni rimane il faro per la gran parte di questi debiti.
Multe stradali (sanzioni amministrative per violazioni del Codice della Strada)
Le multe stradali – ad esempio sanzioni per eccesso di velocità, divieto di sosta, semaforo rosso, ecc. – rientrano nella categoria delle sanzioni amministrative, ma è utile trattarle a parte perché molto comuni e disciplinate anche dal Codice della Strada. Quando si parla di “prescrizione della multa” bisogna distinguere due fasi temporali:
- Notifica del verbale di accertamento: prima fase, regolata dall’art. 201 del Codice della Strada. L’autorità (Polizia, Vigili, Prefettura ecc.) deve notificare il verbale di contestazione al proprietario/trasgressore entro 90 giorni dall’accertamento (o dall’identificazione del trasgressore, se successiva). Questo non è un termine di prescrizione, bensì di decadenza: se il verbale arriva oltre 90 giorni (salvo cause di forza maggiore o sospensioni previste), la multa è nulla. Il debitore, in tal caso, può fare ricorso e farla annullare per tardività.
- Riscossione della sanzione: una volta che la multa (verbale) è stata regolarmente notificata e, trascorsi i termini di legge (60 giorni) non è stata pagata né impugnata, la sanzione diventa definitiva. Da questo momento inizia la prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione. La legge generale di riferimento è l’art. 28 della L. 689/1981, applicabile alle sanzioni amministrative (incluso quelle del Codice della Strada), il quale stabilisce che “Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni […] si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione. L’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile.”. Dunque la prescrizione del credito derivante dalla multa stradale è quinquennale e decorre dal giorno dell’infrazione. In pratica: se prendo una multa il 1° febbraio 2020, l’ente ha tempo fino al 1° febbraio 2025 per riscuoterla coattivamente, salvo atti interruttivi.
La decorrenza “dal giorno in cui è stata commessa la violazione” appare peculiare perché in molti casi la multa viene formalizzata (verbale) dopo qualche tempo dall’infrazione, o può essere impugnata e divenire definitiva più tardi. Tuttavia, la giurisprudenza interpreta questo termine in senso sostanziale: se la multa non viene pagata volontariamente, l’ente può attivare la riscossione coattiva (tramite ingiunzione fiscale o iscrizione a ruolo e cartella) entro 5 anni dall’infrazione. Se il contravventore propone ricorso (Prefetto o Giudice di Pace) e ottiene un provvedimento solo dopo ad esempio 1 anno, occorre considerare che durante quel periodo la prescrizione viene quantomeno interrotta dagli atti del procedimento (il provvedimento prefettizio o la sentenza del giudice che decidono il ricorso interrompono perché “accertano la violazione e irrogano la sanzione” – atti del procedimento sanzionatorio). Dunque di fatto il termine decorre di nuovo da quando la sanzione è divenuta definitiva (sentenza o ordinanza). Ma formalmente la norma parla di 5 anni dal giorno della violazione, ed è così che viene usualmente calcolato per semplicità quando non vi sono ricorsi pendenti.
Interruzione e atti validi: come dice la legge, le norme del codice civile sull’interruzione si applicano anche qui. Nel caso delle multe, gli atti interruttivi tipici sono: la notifica della cartella esattoriale (per multe non pagate, l’ente di solito affida a Agenzia Entrate Riscossione la riscossione coattiva tramite cartella); la notifica di una ingiunzione di pagamento (strumento alternativo usato da alcuni enti locali ex R.D. 639/1910); la comunicazione di messa in mora o sollecito formale inviato al contravventore; in generale “qualsiasi atto del procedimento di esecuzione della sanzione portato a conoscenza del destinatario” interrompe la prescrizione. Ad esempio, se il Comune invia al trasgressore una lettera raccomandata nel 2022 intimando il pagamento di una multa del 2020, quella raccomandata interrompe la prescrizione, che riparte quindi dal 2022 per altri 5 anni. La Cassazione ha anche precisato che atti interni non notificati non contano: ad es. l’iscrizione a ruolo (cartella) o la consegna del ruolo al concessionario non interrompono se il contribuente non riceve la cartella. Solo la notifica effettiva degli atti rileva.
Mancata notifica della cartella: in passato vigeva un termine di decadenza (diverso dalla prescrizione) per la notifica della cartella di pagamento delle multe: il D.L. 2/1986 prevedeva che la cartella per sanzioni CdS doveva essere notificata entro 2 anni dall’ordinanza-prefettizia o dal verbale definitivo. Questa norma è stata però abrogata nel 2008, sicché oggi non c’è più un termine di decadenza specifico post verbale. Si applica direttamente la prescrizione quinquennale. Significa che, una volta che la multa è definitiva, l’ente può notificare la cartella anche dopo 3-4 anni purché entro 5. Ad esempio: multa violazione marzo 2019, verbale notificato regolarmente a maggio 2019, non pagata; il Comune può far partire la cartella entro marzo 2024. Se la notifica avviene nel 2025, sarebbero passati oltre 5 anni e il debitore potrebbe eccepire prescrizione.
Tabella riassuntiva – multe stradali:
Fase/Voce | Termine | Norma | Effetto |
---|---|---|---|
Notifica del verbale di multa (accertamento) | 90 giorni dall’accertamento (se contestazione differita) | Art. 201 Codice della Strada | Decadenza: verbale nullo se notificato oltre 90 gg. Il debitore non dovrà pagare perché la sanzione è annullabile. |
Riscossione coattiva della sanzione (multa definitiva non pagata) | 5 anni dalla violazione (termine prescrizionale) | Art. 28 L. 689/1981; art. 209 Cod. Strada (rinvia alla L.689) | Prescrizione: trascorsi 5 anni senza atti interruttivi, il debito da multa si estingue. Il debitore può opporsi alla cartella ingiungendo la prescrizione. |
Interruzione | Qualsiasi atto di riscossione o procedura, notificato al debitore, ad esempio: cartella esattoriale, ingiunzione, sollecito di pagamento, pignoramento, ecc. | Art. 28 L.689/81 rinvia a art. 2943 c.c.; Cass. n. 8941/2010. | Ogni atto notificato fa decorrere un nuovo quinquennio. Atti non comunicati (ruolo, ecc.) non interrompono. |
Sentenze e chiarimenti rilevanti: la Cassazione a Sezioni Unite n.9591/2006 intervenne in materia di termini per le sanzioni amministrative, confermando la legittimità dell’assenza di un termine di decadenza per l’emissione dell’ordinanza ingiunzione e ribadendo la prescrizione quinquennale. Più di recente, la Corte Costituzionale n. 151/2021 ha affrontato il tema dell’assenza di un termine di conclusione del procedimento sanzionatorio generale, ma senza dichiarare incostituzionale la normativa; ha sollecitato il legislatore a un intervento, ma per ora rimane il quadro suesposto. Per l’utente ciò significa che dopo la notifica del verbale non c’è un termine fisso per emettere la cartella: di conseguenza, ci si affida al termine di prescrizione di 5 anni. Se un Comune impiega 4 anni a emettere la cartella, è ancora nei 5 anni, quindi in teoria in tempo.
Esempi pratici:
- Esempio 1: Mario prende una multa per divieto di sosta il 10 gennaio 2020. Il verbale gli viene notificato il 5 marzo 2020 (entro 90 gg, ok). Mario non paga né fa ricorso. La multa diventa definitiva dal 5 maggio 2020 (60 gg dopo notifica). A questo punto Mario aspetta. Se entro il 10 gennaio 2025 (5 anni dall’infrazione) non gli arriva nessuna cartella o intimazione, Mario potrà ritenere la multa prescritta. Se nel febbraio 2025 riceve una cartella da Agenzia Riscossione per quella multa, potrà proporre opposizione all’esecuzione davanti al giudice (Giudice di Pace, competente sulle opposizioni a sanzioni) eccependo che il credito è prescritto. Avrà ragione, perché 5 anni e 1 mese sono trascorsi.
- Esempio 2: Lucia viene multata autovelox il 1° luglio 2018. Verbale notificato il 20 settembre 2018 (entro 90gg). Non paga. Nel gennaio 2020 le arriva una cartella per quella multa. La cartella interrompe la prescrizione il giorno della notifica, e anzi è già un atto di esecuzione. Da lì Lucia ha due possibilità: o paga, o fa opposizione entro 30 gg se ritiene vizi (ma non può discutere il merito perché il verbale è definitivo). Se non fa nulla, la cartella resta valida e l’ente potrebbe anche non fare altri atti per un po’. Tuttavia, trascorsi 5 anni dalla cartella senza ulteriori atti, pure il credito della cartella si prescrive (qui si applica lo stesso termine quinquennale perché la natura è sanzione amministrativa). Per cui se dopo la cartella del 2020 l’ente non fa, ad esempio, un pignoramento o un sollecito, arrivati al 2025 Lucia potrebbe opporsi a un eventuale pignoramento tardivo, eccependo che la cartella (e il credito sottostante) è ormai prescritta.
- Esempio 3: Carlo presenta ricorso al Giudice di Pace contro una multa ricevuta. Il giudizio dura fino al 2022, quando la sentenza (sfavorevole) viene notificata. In quel periodo la prescrizione era sospesa/interrotta dagli atti processuali. Dalla sentenza definitiva nel 2022, l’amministrazione ha 5 anni da lì per riscuotere. Carlo non può sostenere di contare i 5 anni dal 2018 (violazione) perché durante il processo il termine non decorreva.
Come difendersi per il debitore-multato: il debitore che ritiene trascorsi oltre 5 anni dall’ultima notifica ricevuta inerente la multa, può sollevare l’eccezione di prescrizione in vari modi: se riceve una cartella, con l’opposizione al GdP entro 30 giorni; se riceve un’intimazione di pagamento tardiva, con opposizione similare; se addirittura subisce un pignoramento, con opposizione all’esecuzione. È sempre consigliato conservare tutta la documentazione delle multe (verbali, ricevute di notifica, cartelle) perché servono a calcolare i termini.
In conclusione, le multe stradali si prescrivono in 5 anni dal fatto, ma praticamente dal momento che la multa è esigibile, salvo atti interruttivi. Il debitore deve vigilare su eventuali notifiche: a volte succede che vengano notificate cartelle a vecchi indirizzi o non ritirate, e l’ente consideri quello come atto interruttivo valido (deposito in Comune dopo compiuta giacenza equivale a notifica perfezionata). Quindi prima di cantare vittoria, è bene fare un controllo con l’ente o tramite un estratto di ruolo presso Agenzia Entrate Riscossione per vedere se risultano cartelle notificate a propria insaputa. Se non risultano atti e son passati oltre 5 anni, allora si può confidare nella prescrizione.
Sanzioni amministrative non stradali (altre ammende, sanzioni pecuniarie)
Questa categoria include tutte le sanzioni amministrative pecuniarie previste da leggi o regolamenti al di fuori del Codice della Strada. Ad esempio: sanzioni dell’ASL o della Polizia Municipale per violazioni di regolamenti (es. multa per rumori molesti, sanzione per violazione norme edilizie minori), sanzioni delle Autorità indipendenti (AGCOM, Antitrust, Privacy) a cittadini o imprese, multe per violazione di ordinanze comunali, sanzioni amministrative per violazioni tributarie (tipo omessa comunicazione al fisco sanzionata amministrativamente), ecc.
La disciplina generale è proprio la Legge 689/1981 (sul sistema delle sanzioni amministrative) e in particolare il già citato art. 28 L.689/81 che fissa la prescrizione in 5 anni dalla violazione. Dunque esattamente come per le multe stradali, anche tutte le altre sanzioni amministrative si prescrivono in 5 anni. Ad esempio: una sanzione per affissione abusiva di manifesti commessa il 10 ottobre 2020 si prescrive il 10 ottobre 2025 se nessun atto interruttivo interviene; una sanzione dell’Autorità Garante Privacy comminata con ordinanza ingiunzione del 2022 si prescriverà nel 2027 se l’Autorità non ne chiede il pagamento coattivo prima.
C’è da dire che alcune leggi speciali prevedono termini particolari di decadenza o procedure proprie. Ma quando si arriva alla fase della riscossione coattiva, generalmente tutte le sanzioni amministrative fanno capo o a ingiunzioni o a cartelle esattoriali, e la giurisprudenza tende ad applicare il termine quinquennale di cui sopra, in coerenza col principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite 2016 (che, ricordiamo, parlava espressamente anche di “sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie o amministrative” nell’elenco di crediti soggetti a prescrizione breve non convertibile in decennale).
Un esempio comune: le sanzioni per violazioni tributarie (tipo omesso versamento di imposta, tardiva presentazione dichiarazione, ecc., che sono di natura amministrativa e non penale) si prescrivono in 5 anni ai sensi dell’art. 20, c.3 D.Lgs. 472/1997, coerente con L.689. Dunque se l’Agenzia delle Entrate notifica nel 2020 un atto di contestazione con irrogazione di sanzione, avrà tempo fino al 2025 per riscuoterla coattivamente se il contribuente non paga (a meno che non ci siano sospensioni per ricorsi, ecc.). Allo stesso modo sanzioni come quelle dell’ISPettorato del Lavoro (es. ammenda per lavoro nero) hanno 5 anni.
Atti interruttivi: valgono le stesse considerazioni fatte per le multe: qualsiasi atto notificato al destinatario che persegua la riscossione della sanzione interrompe il termine. Ciò può includere: solleciti dall’ente, ordinanze-ingiunzioni (che in realtà sono l’atto di irrogazione definitivo, dopo il verbale di contestazione), cartelle esattoriali, ingiunzioni fiscali, pignoramenti. Non interrompono atti interni come l’iscrizione a ruolo finché non sfociano in notifica.
Una particolarità: in qualche caso, l’ente potrebbe tardare a emettere proprio l’ordinanza-ingiunzione (quando c’è un verbale impugnabile e il Prefetto o altro organo deve emettere ordinanza). La legge 689/81 non prevedeva un termine stringente per questa emissione, cosa che ha generato criticità. La Corte Cost. 151/2021, menzionata prima, segnalava l’assenza di un termine per concludere il procedimento sanzionatorio. Ad oggi, se l’ordinanza ingiunzione esce tardissimo, il destinatario potrebbe provare a eccepire la violazione del termine ragionevole del procedimento, ma generalmente la via corretta rimane attendere i 5 anni dalla violazione.
Ricapitolando: tutte le sanzioni amministrative non penali sono soggette a prescrizione quinquennale. Di seguito pochi esempi pratici:
- Esempio: nel luglio 2019 Tizio riceve un verbale dell’ASL per violazione norme anti-COVID (ad esempio, mancato rispetto di un protocollo). Importo €400. Tizio non paga. L’ASL dovrebbe emettere ingiunzione di pagamento e poi eventualmente una cartella. Nel 2023 non è ancora successo nulla. Nel frattempo, luglio 2024 segna 5 anni dalla violazione. Se poi nel 2025 arrivasse una cartella esattoriale per quella sanzione, Tizio potrà fare opposizione al giudice competente (di solito Tribunale civile per sanzioni non CdS) eccependo prescrizione compiuta.
- Esempio: Caio subisce dall’Antitrust (AGCM) una multa antitrust da 100.000€ (evento raro per un privato cittadino, più tipico per aziende, ma comunque). L’atto AGCM è del 1° marzo 2021. Caio fa ricorso al TAR, perde definitivamente a novembre 2022. Da quando è esecutiva, AGCM affida al concessionario il recupero. Mettiamo che per vari motivi la cartella gli venga notificata solo nel 2026. Caio potrebbe eccepire prescrizione? In questo caso, la data della violazione è meno rilevante (magari era una condotta protratta). Dalla delibera sanzionatoria esecutiva (nov. 2022) a cartella 2026 passano meno di 5 anni, quindi no prescrizione. Ma se AGCM aspettasse oltre novembre 2027 per esigere, sarebbe tardi. In pratica, pure quell’enorme sanzione cadrebbe in prescrizione.
Conclusione pratica per il debitore: come per le multe, anche per le altre sanzioni amministrative il debitore farà bene a conservare tutta la corrispondenza. Trascorsi 5 anni dall’ultima notifica senza novità, ha un argomento forte per non pagare. In caso arrivi una richiesta tardiva, dovrà attivarsi facendo opposizione nelle forme previste (diverse a seconda della materia: per sanzioni diverse dal CdS si va di solito in Tribunale civile entro 30 giorni dalla notifica dell’atto esattivo).
È consigliabile, se si sospetta la prescrizione di vecchie multe o sanzioni, richiedere agli enti interessati un estratto di ruolo o informazioni sullo stato: spesso i concessionari della riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, o società private per enti locali) rilasciano estratti dai quali si vede se il debito è ancora attivo o annullato. Ciò aiuta a capire se la prescrizione è maturata e magari è stata riconosciuta (ad esempio a seguito di richiesta del debitore stesso in autotutela: talora i Comuni annullano in autotutela le cartelle prescritte).
Canoni di locazione (affitti) e spese condominiali
I debiti derivanti da locazione di beni immobili – ossia gli affitti – hanno una disciplina peculiare in tema di prescrizione, essendo considerati obbligazioni periodiche. L’art. 2948 del Codice Civile, al n.3, stabilisce che si prescrivono in 5 anni “le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni”. Dunque il locatore (proprietario) ha 5 anni di tempo per richiedere al conduttore (inquilino) ciascun canone non pagato. Trascorsi 5 anni dalla scadenza di un canone di affitto senza che il proprietario ne abbia chiesto il pagamento, quell’annualità o mensilità si prescrive.
Questo significa, dal punto di vista del debitore-inquilino, che l’obbligo di pagare un canone di locazione non è più esigibile se sono passati 5 anni dalla sua scadenza e il locatore non ha compiuto atti interruttivi nel frattempo. Ad esempio, il canone di locazione di marzo 2018 si prescrive a marzo 2023 se il proprietario nel frattempo non ha inviato solleciti scritti, intimazioni o avviato uno sfratto per morosità.
Decorrenza mensile vs annuale: occorre precisare che nel caso di locazioni urbane di solito il canone è pattuito mensilmente. Quindi ogni mensilità è un credito a sé con propria scadenza (ad esempio il 5 di ogni mese) e quindi con proprio termine di prescrizione a 5 anni da allora. Nelle locazioni agrarie (“fitti rustici”) il canone spesso è annuo o semestrale, ma il principio è lo stesso: 5 anni per ogni rata.
Spese accessorie e oneri condominiali: spesso il conduttore deve anche pagare oneri accessori (es. spese condominiali se da contratto a suo carico). Queste spese, se dovute dal conduttore al locatore, seguono anch’esse la prescrizione breve perché assimilabili a pigioni (sono corrispettivi accessori periodici). Inoltre, i crediti condominiali verso i condomini (anche fuori da rapporto locatizio, cioè tra condominio e proprietario) per le quote periodiche di spese condominiali rientrano anch’essi tra le prestazioni periodiche, quindi 5 anni. Dunque sia l’affitto mensile sia la rata condominiale mensile/annuale sono soggetti a prescrizione quinquennale.
Interessi e aggiornamenti ISTAT: se il contratto di locazione prevede l’adeguamento ISTAT e l’inquilino non paga l’aumento, oppure se ritarda e matura interessi di mora, questi accessori vanno considerati: gli interessi moratori su affitti scaduti, essendo prestazioni periodiche accessorie, avrebbero anch’essi 5 anni (se il locatore volesse esigerli separatamente, il che è raro). In pratica, l’azione per canoni arretrati include eventuali interessi per ritardato pagamento, e la prescrizione del canone trascina con sé anche gli interessi accessori.
Atti interruttivi: sono sempre possibili e frequenti. Il locatore solitamente non lascia passare anni senza sollecitare: un sollecito di pagamento scritto (raccomandata) per affitti arretrati interrompe la prescrizione. L’avvio di una procedura di sfratto per morosità interrompe in modo ancor più efficace (notifica dell’intimazione di sfratto e citazione per convalida è atto interruttivo e apre un giudizio). Anche un semplice riconoscimento del debito da parte dell’inquilino (ad es. “mi scuso, le verserò i 3 mesi arretrati il mese prossimo” scritto) è atto interruttivo ex art. 2944 c.c. e fa ripartire il termine.
Riepilogo in tabella:
Debito da locazione | Termine di prescrizione | Norma | Note |
---|---|---|---|
Canone di locazione immobiliare (affitto) | 5 anni per ciascuna scadenza di canone | Art. 2948 n.3 c.c. | Prestazione periodica. Il termine decorre dalla scadenza della singola mensilità (o altra cadenza prevista). |
Oneri accessori del conduttore (es. spese condominiali riaddebitate) | 5 anni dalla richiesta/spesa sostenuta | Art. 2948 n.3 c.c. analogia | Considerati accessori al canone. Se li riscuote direttamente il condominio dal proprietario, vedi sotto. |
Quote condominiali dovute dai proprietari al condominio | 5 anni per ciascuna quota periodica | Art. 2948 n.4 c.c. (prestazioni periodiche in genere) | Giurisprudenza costante applica il termine breve per contributi condominiali periodici. Decorrenza dalla scadenza fissata dall’amministratore per il pagamento. |
Deposito cauzionale (restituzione al conduttore) | 10 anni dal termine della locazione | Art. 2946 c.c. (nessuna periodicità) | Qui è un debito del locatore verso l’inquilino. Essendo obbligazione “una tantum” alla fine del contratto, il conduttore ha 10 anni per chiederla. |
Notare l’ultimo punto: invertiamo la prospettiva debitore/creditore, perché finora era centrata sul debitore che paga l’affitto. Ma se guardiamo al deposito cauzionale, il debitore è il proprietario, che deve restituire la cauzione all’inquilino se non ci sono danni. Ebbene, quel debito di restituzione cauzione si prescrive in 10 anni (poiché non è periodico ma unico, decorre da quando l’inquilino ha diritto a riaverlo, tipicamente dalla fine della locazione). Per completezza va menzionato che alcuni crediti in materia di locazione (come il risarcimento di danni all’immobile) ricadono nel generale (danno 5 anni, contrattuale 10 a seconda dei casi specifici di azione legale scelta).
Esempi:
- Esempio 1: Un inquilino non paga le mensilità di gennaio, febbraio, marzo 2017. Il proprietario, distratto o indulgente, non fa niente di scritto fino al 2023. Se ora chiedesse gli affitti del 2017, l’inquilino potrebbe opporre prescrizione: ciascun canone si è prescritto a inizio 2022 (5 anni dopo). Il locatore avrebbe perso il diritto a riscuoterli.
- Esempio 2: Un inquilino è moroso nel 2020 e il locatore gli invia a maggio 2020 una raccomandata di intimazione (interruzione). Poi però non sfratta e la situazione rimane ferma; l’inquilino continua ad abitare fino a fine 2022 quando lascia spontaneamente ma senza saldare. A maggio 2020 la prescrizione si era interrotta e ricominciata da capo: quindi per i canoni arretrati fino a quella data si ridà tempo fino a maggio 2025. Il locatore nel 2023 può ancora agire per affitti 2019-2022 perché l’atto del 2020 li ha “protetti” facendoli ripartire.
- Esempio 3: Un proprietario non restituisce la cauzione di €1.000 a fine locazione (supponiamo il contratto finito il 30/09/2018). L’ex inquilino ha tempo fino al 30/09/2028 per fare causa e riaverla, dopodiché il proprietario può eccepire prescrizione decennale (qui debitore è il locatore).
- Esempio 4: Un condomino non ha pagato le rate condominiali del 2016. Il Condominio non l’ha mai sollecitato per errore. Nel 2022 il nuovo amministratore se ne accorge e invia decreto ingiuntivo. Il condomino può eccepire che le rate 2016 sono prescritte (5 anni decorsi), ma quelle dal 2017 in poi no. Probabilmente il giudice gli darà ragione sulle 2016 (sempre che in giudizio il condomino sollevi l’eccezione, altrimenti il giudice non può rilevarla d’ufficio essendo diritto disponibile per il condominio).
Ricorda: in caso di procedura di sfratto, il locatore spesso richiede al giudice contestualmente l’ingiunzione di pagamento degli arretrati. L’ordinanza di convalida con ingiunzione non opposta costituisce titolo esecutivo definitivo e vale come giudicato per le somme ingiunte, quindi la prescrizione diventa decennale da quel momento (perché abbiamo un provvedimento giudiziario). Dunque, se un proprietario si è attivato ottenendo sfratto con ingiunzione nel 2020 per affitti 2019, e l’inquilino non ha pagato neanche dopo lo sfratto, il proprietario ha 10 anni dal 2020 per eseguire (art. 2953 c.c.). Questo per dire che l’inerzia che conta ai fini della prescrizione è prima dell’ottenimento di un titolo; dopo, si ragiona sui 10 anni dal titolo.
Consiglio pratico per i debitori di affitti: anche se la legge concede la prescrizione breve, non si può fare affidamento su inerzia del proprietario, perché i locatori solitamente agiscono celermente (lo sfratto per morosità può essere avviato appena si accumulano un paio di mensilità). Tuttavia, capita in taluni casi (rapporti in famiglia, tolleranza) che passino anni. Se vi trovate con richieste di arretrati molto datati, controllate il calendario: oltre 5 anni = potenzialmente prescritti. In caso di dubbio, consultare un legale. Non pagate subito arretrati ultra-quinquennali senza valutare la prescrizione: se li pagate spontaneamente poi non potrete ripetere la somma. Meglio eventualmente negoziare col proprietario considerando che lui non potrebbe più legalmente pretenderli.
Utenze domestiche e bollette (luce, gas, acqua, telefono)
Un capitolo di grande interesse pratico riguarda le utenze domestiche: bollette di energia elettrica, gas, acqua, servizi telefonici e simili. Tradizionalmente, le bollette erano anch’esse soggette al termine di prescrizione quinquennale (considerate forniture periodiche ai sensi dell’art. 2948 c.c.). Tuttavia, a tutela dei consumatori, il legislatore è intervenuto di recente per ridurre i termini di prescrizione di alcune bollette, al fine di evitare che i gestori fatturassero consumi molto vecchi con conguagli rilevanti. Queste novità sono entrate in vigore tra il 2018 e il 2020 e hanno introdotto la cosiddetta “prescrizione breve” di 2 anni per le bollette di luce, gas e acqua, nonché per i servizi di telefonia fissa/mobile, internet e pay-TV.
Vediamo innanzitutto una tabella riassuntiva dei termini attualmente vigenti:
Tipo di bolletta/utenza | Termine di prescrizione | Riferimenti normativi | Decorrenza e note |
---|---|---|---|
Bollette Energia Elettrica | 2 anni | L. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018), art.1 co.4; Delibera ARERA 97/2018/R/com. | In vigore per consumi fatturati con scadenza successiva al 1º marzo 2018. Significa che per tutte le bollette luce emesse dal 1/3/2018 in poi si applica il termine breve di 2 anni. |
Bollette Gas | 2 anni | L. 205/2017, art.1 co.4; Delibera ARERA 569/2018/R/com. | In vigore per consumi con bollette in scadenza dal 1º gennaio 2019. Prima di tale data era 5 anni. |
Bollette Acqua | 2 anni | L. 205/2017, art.1 co.4 come modif. da L. 160/2019 (Bilancio 2020); Delibera ARERA 547/2019/R/idr. | In vigore per bollette acqua con scadenza dal 1º gennaio 2020. Prima 5 anni. |
Bollette Telefoniche/Internet/Pay-TV | 2 anni | L. 160/2019 (Bilancio 2020), art.1 co. 292-294; AGCOM delibera 42/13/CIR; L. 205/2017 (aveva introdotto già per alcuni servizi). | In vigore per contratti telecom e pay-TV dal 1º gennaio 2020. In precedenza 5 anni (ora ridotto anche per questi servizi). |
Altre utenze (es. rifiuti – TARI; canone RAI) | Variabile: TARI è tributo => 5 anni; Canone RAI segue regole tributo => 10 anni o dubbio; altro… | (TARI è tributo locale, vedi prescrizione tributi locali; canone RAI è tassa di concessione governativa: manca espressa norma, alcuni dicono 10 anni). | La TARI non è “bolletta” ma tassa -> 5 anni (come tributo locale). Canone RAI, pur addebitato in bolletta elettrica, non rientra nella prescrizione breve delle bollette luce (ARERA esclude il canone RAI). |
Spiegazione delle fonti: la Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017) ha introdotto per prima la riduzione a 2 anni per elettricità (dal marzo 2018) e gas (dal gennaio 2019) e demandato all’Autorità di Regolazione Energia Reti e Ambiente (ARERA) l’attuazione nelle condizioni contrattuali. ARERA ha emesso delibere imponendo ai venditori di indicare in bolletta la possibilità per il cliente di eccepire la prescrizione breve per importi riferiti a consumi oltre 2 anni. La Legge di Bilancio 2020 (L.160/2019) ha esteso la prescrizione breve all’idrico (acqua) dal 2020 e ai servizi di comunicazione elettronica e televisivi (telefonia, internet, pay tv) sempre dal 2020. In sostanza, oggi le utenze domestiche principali hanno tutte prescrizione 2 anni.
È importante sottolineare che il termine di 2 anni si applica sia nel caso di importi fatturati per la prima volta con ritardo (conguagli o bollette tardive) sia per ricalcoli su importi già fatturati. In pratica, il cliente può rifiutare il pagamento di qualsiasi addebito riferito a consumi o periodi risalenti a oltre 2 anni, anche se compare in una fattura di conguaglio. La norma obbliga il gestore a informare il cliente di questa facoltà, ad esempio con una dicitura in bolletta, e prevede che se il ritardo nella fatturazione è colpa del gestore (ad es. mancata lettura), il cliente possa addirittura sospendere il pagamento della parte prescrivibile previa contestazione.
Attenzione alle decorrenze: la prescrizione decorre dal “giorno successivo alla scadenza della bolletta”, quindi di fatto si guarda la data entro cui doveva essere pagata. Esempio: bolletta luce emessa il 10/03/2018 con scadenza al 30/03/2018 – si prescrive il 30/03/2020. Oppure bolletta gas emessa il 05/01/2019, scadenza 31/01/2019 – prescritta al 31/01/2021. Se il venditore emette un conguaglio nel 2021 che include consumi del 2018, il cliente può eccepire prescrizione per quei consumi (oltre 2 anni) e pagare solo i consumi degli ultimi 24 mesi.
Cosa deve fare il cliente per far valere la prescrizione breve? Deve eccepirla espressamente, preferibilmente per iscritto con un reclamo al fornitore. Non è automatico (anche se ARERA impone al fornitore di non addebitare somme prescritte se il ritardo è imputabile a loro, di solito conviene sempre segnalare). Una volta eccepita, il venditore non può pretendere il pagamento dei consumi prescritti.
Differenza fra prescrizione breve e ordinaria: notiamo che per tutte queste utenze, prima delle date indicate valeva la prescrizione generale di 5 anni. Quindi bisogna fare distinzione per bollette “vecchie”: una bolletta luce scaduta nel gennaio 2018 era soggetta al vecchio termine (5 anni → gennaio 2023); se un gestore la richiedesse nel 2022 sarebbe comunque prescritta (anche col vecchio termine, figurarsi col nuovo). Invece una bolletta luce scaduta nel maggio 2019 ha termine al maggio 2021 (perché ricade nel nuovo regime). Questo significa che in questi anni di transizione (2018-2020) c’era un doppio binario: consumi antecedenti e fatture emesse prima del cutoff seguivano 5 anni, dopo il cutoff 2 anni.
Canone RAI e TARI: come indicato in tabella, alcune voci in bolletta non seguono la regola breve. Il canone RAI TV ad esempio viene addebitato nelle bollette elettriche, ma non rientra nella prescrizione biennale – ARERA ha esplicitamente chiarito che per il canone resta la normativa propria. Il canone RAI è un tributo annuale di Stato: storicamente la prescrizione era decennale, anche se qualcuno sostiene 5 anni come per le imposte periodiche; la questione è definita come dubbia. Sicuramente non 2 anni, in quanto la legge di bilancio non l’ha incluso. Dunque se arriva nel 2025 richiesta di canoni RAI 2018-2019, non si può applicare la regola dei 2 anni, ma bisogna ragionare col regime delle tasse (probabilmente 10 anni, anche se alcune Commissioni hanno detto 5 per canone). La TARI (tassa rifiuti) invece è un tributo locale e come tale segue i 5 anni (vedi tributi locali sopra). Spesso le bollette rifiuti sono chiamate “bollette” ma in realtà sono avvisi di pagamento di un tributo: 5 anni.
Atti interruttivi per bollette: considerato il termine breve, spesso il gestore potrebbe agire sollecitamente. Un sollecito di pagamento scritto interrompe la prescrizione. Anche semplici comunicazioni come email e SMS se provate potrebbero valere, ma i gestori tendono a inviare raccomandate di messa in mora o a rivolgersi a società di recupero crediti. Se il gestore cede il credito a un recuperatore e questo invia una diffida, quella è interruttiva. Bisogna però fare attenzione: l’ARERA e la legge dicono che il venditore “perde il diritto al pagamento” dopo 2 anni, quindi formalmente il cliente potrebbe semplicemente eccepirlo anche senza aspettare atti. Comunque, qualora il gestore tenti un’azione giudiziale (decreto ingiuntivo) o affidi a un avvocato, sarà sufficiente opporsi o contestare indicando che il credito è prescrittibile e quindi non dovuto.
Esempi pratici:
- Esempio 1: Bolletta Enel luce di aprile 2018 dimenticata dal cliente. La società non l’ha più sollecitata. Nel 2021 Enel si accorge e manda una lettera di sollecito per 1 vecchia bolletta 2018. Il cliente risponde che ai sensi della L.205/2017 il credito è prescritto (essendo passati oltre 2 anni). Enel dovrà rinunciare a incassare. Se Enel avesse sollecitato entro aprile 2020, allora non sarebbe stata prescritta.
- Esempio 2: Bolletta gas bimestre gennaio-febbraio 2019 emessa con scadenza 15/04/2019. Il gestore (ad es. Italgas) per un errore non la invia affatto in quegli anni. Nel 2022 manda una fattura di conguaglio includendo i consumi di quel periodo. Il cliente, ricevendo nel 2022 una fattura contenente consumi di >3 anni prima, può non pagarne la parte antica. ARERA impone al gestore di indicare in bolletta come scorporare la parte prescritta e di informare il cliente del suo diritto. Il cliente deve comunque inviare un reclamo scritto in cui dichiara di volersi avvalere della prescrizione biennale. Pagherà solo i consumi degli ultimi 24 mesi (2020-2022) e non quelli del 2019. Il gestore non potrà staccargli il gas per quel mancato pagamento, in quanto il mancato pagamento di importi prescritti e contestati non può giustificare la sospensione fornitura.
- Esempio 3: Bolletta TIM telefono fisso di novembre 2019, €60, dimenticata dal cliente. Nessuno la sollecita perché c’è stato un cambio operatore. Nel 2023 il cliente riceve da una società di recupero un intimazione di pagare quella vecchia bolletta TIM. Il cliente può rispondere che il credito è estinto per prescrizione breve (in base alla L.160/2019 è trascorso oltre 2 anni). Se per assurdo la società facesse decreto ingiuntivo, il cliente in opposizione vincerebbe sollevando la prescrizione (che in materia di telecomunicazioni è stata ridotta a 2 anni dal 2020).
- Esempio 4: Bolletta Acqua scaduta il 10/01/2020 e non pagata. Il gestore invia un sollecito il 10/03/2022, cioè dopo 2 anni e 2 mesi. Formalmente il credito il 11/01/2022 era già prescritto, ma l’eccezione deve farla il cliente. Se il cliente non la fa e paga, fine. Se il cliente risponde al sollecito eccependo prescrizione, il gestore non può più pretenderla. Il sollecito del 2022 è tardivo (non interrompe un termine già scaduto).
Cosa fare se si riceve una bolletta “fuori tempo”: come suggeriscono anche le guide per consumatori, inviare subito un reclamo scritto al fornitore, via raccomandata A/R o PEC, citando la legge e dichiarando di eccepire la prescrizione dell’importo fatturato oltre i 2 anni. Meglio pagare contestualmente la parte eventualmente non prescritta (per evitare equivoci). Il fornitore a quel punto deve annullare o rettificare la bolletta. Se non lo fa, ci si può rivolgere a ARERA (sportello del consumatore) o alle associazioni di consumatori.
Termini brevi e Covid: un dettaglio: durante il Covid c’è stata una sospensione dei termini di prescrizione dal 18/03/2020 al 30/04/2020 (D.L. 18/2020) anche per i diritti dei privati. Quindi quei 43 giorni non contano nel calcolo (in un periodo di 2 anni l’impatto è marginale, ma esiste). ARERA ha confermato che la moratoria Covid ha esteso di 48 giorni la finestra per eccepire i 2 anni (per bollette in scadenza durante quell’intervallo). Non entriamo oltre in tecnicismi: al limite, se un consumo di gennaio 2018 fu fatturato nel marzo 2020, quei giorni di sospensione potrebbero aver allungato un po’ la prescrizione a maggio 2022 invece che marzo – dettagli che raramente servono al consumatore medio.
Il debitore di bollette e la prescrizione: in pratica oggi, se avete arretrati di luce/gas/acqua/telefono, considerate che:
- Se l’arretrato risale a più di 2 anni fa, probabilmente è prescritto e potete respingere la richiesta di pagamento.
- Se un agente di recupero vi chiama per telefono chiedendo di saldare vecchie bollette, non ammettete debiti al telefono e non firmate piani di rientro senza valutare la prescrizione: potrebbero essere prescritti!
- Chiedete sempre riscontro scritto e controllate le date di competenza dei consumi.
- Tenete presente che la prescrizione biennale tutela solo i consumatori/utenti finali: se siete un’azienda con forniture business, quelle normative specifiche non si applicano (prescrizione per aziende rimane 5 anni in genere, perché la riduzione a 2 anni è stata pensata per tutelare microclienti domestici).
Infine, va sottolineato che la “prescrizione breve” è un notevole successo per i consumatori: costringe i gestori a fatturare con regolarità e impedisce conguagli decennali. D’altro canto, ai debitori in mala fede non conviene far leva su ciò per non pagare i consumi recenti, perché comunque 2 anni passano in fretta e i gestori sono solleciti a interrompere il termine con diffide. Inoltre, ricordiamo: se il ritardo nella fatturazione è colpa dell’utente (es. mancato accesso per lettura contatore nonostante solleciti), in alcuni casi particolari il gestore può non applicare la prescrizione breve. Ma questo è un dettaglio: la regola generale è come sopra.
Come verificare se un debito è prescritto: guida pratica per il debitore
Alla luce di quanto esposto, possiamo delineare un breve percorso pratico che il debitore può seguire per capire se un suo debito è andato in prescrizione:
1. Identificare la natura del debito: per prima cosa bisogna stabilire di che tipo di debito si tratta, perché da questo dipende il termine applicabile. È un debito fiscale? Una cartella esattoriale? Un contributo INPS? Un finanziamento bancario? Una fattura commerciale? Una multa stradale? Una bolletta? – Ognuno di questi ha un termine diverso (vedi sezioni precedenti). Se ci sono documenti, leggere attentamente la tipologia (ad es. “avviso di addebito INPS”, “cartella pagamento per TARI”, “fattura Vodafone”, “verbale di accertamento CDS”…).
2. Reperire la data di decorrenza: individuare quando è sorto il diritto di credito del vostro creditore, ovvero da quando avrebbe potuto chiedervi legalmente il pagamento. Di solito coincide con la scadenza del pagamento indicata (es. data fattura, scadenza rata, data violazione per multa). Esempi: per una cartella esattoriale, la data di notifica della cartella è il momento da cui decorre la prescrizione per la riscossione; per un mutuo, la scadenza dell’ultima rata (o della risoluzione anticipata); per una bolletta, il giorno dopo la scadenza segnato in bolletta; per un contributo, il giorno dopo il termine di versamento; per un affitto, il giorno successivo alla scadenza mensile non pagata; per una sanzione amministrativa, il giorno della violazione se non ci sono stati ricorsi.
3. Determinare il termine prescrizionale applicabile: usando quanto spiegato in questa guida (e riassunto nelle tabelle), stabilire quanti anni devono trascorrere affinché quel debito si prescriva. Può essere 2 anni (alcune bollette recenti), 3 anni (es. parcella professionista se eccepita), 5 anni (maggior parte dei casi periodici, multe, contributi, ecc.), 10 anni (la regola generale, giudicati, mutui, tributi erariali, ecc.), o addirittura 1 anno/6 mesi (presuntive particolari). Attenzione: se il debito ha già un titolo giudiziario (es. una sentenza, un decreto ingiuntivo passato in giudicato), allora di regola è 10 anni dal giudicato (a prescindere da prima). Dunque verificate se il creditore ha ottenuto un provvedimento del giudice.
4. Calcolare la data in cui la prescrizione sarebbe maturata: aggiungere il numero di anni (del punto 3) alla data iniziale (del punto 2). Ad esempio, se un debito commerciale è esigibile dal 15 marzo 2015 e il termine è 10 anni, la prescrizione “scadrebbe” il 15 marzo 2025. Se un contributo INPS doveva essere pagato il 16 aprile 2017, la prescrizione sarebbe il 16 aprile 2022 (5 anni). Segnatevi questa data teorica. Ricordate di includere eventuali periodi di sospensione straordinaria (p.es. 2020 emergenza Covid, +48 giorni se rilevante).
5. Verificare eventuali atti interruttivi nel frattempo: questo è il passaggio cruciale. Dovete controllare se, tra la data iniziale e oggi, il creditore vi ha inviato o notificato qualche atto formale volto a ottenere il pagamento. Ciò include raccomandate, PEC, atti giudiziari, decreti ingiuntivi, citazioni, pignoramenti, precetti, solleciti scritti, intimazioni, ingiunzioni fiscali, cartelle, ecc. – Qualunque cosa vi sia stata comunicata ufficialmente. Se sì, segnate la data di ogni atto. Ogni atto interruttivo sposta in avanti la scadenza della prescrizione, facendola ripartire da zero da quella data. Quindi dovrete ricalcolare: se un atto interruttivo è avvenuto prima che la prescrizione scadesse, la “clessidra” si azzera e riparte con l’intero periodo da capo dal giorno successivo all’atto. Esempio: debito con prescrizione 5 anni dal 01/01/2017 → sarebbe 01/01/2022, ma se c’è stata una diffida il 10/09/2019, la nuova scadenza diventa 10/09/2024. E così via, considerando anche atti multipli (prendere l’ultimo atto interruttivo noto). Se avete dubbi se un certo atto costituisca interruzione, per sicurezza consideratelo tale (meglio essere prudenti e stimare prescrizione più lunga). Non contano però contatti informali: telefonate, email generiche, solleciti verbali non hanno valore legale di interruzione.
6. Confrontare la data (post-interruzioni) col giorno d’oggi: dopo aver considerato tutti gli atti interruttivi, arrivate ad una data di prescrizione aggiornata. Se oggi quella data è superata, significa che il debito risulta prescritto, perché è passato troppo tempo dall’ultimo atto utile. Se invece la data non è ancora arrivata, il debito non è prescritto (potrà diventarlo in futuro se il creditore continua a restare inerte). Ad esempio: se ad oggi (giugno 2025) calcolate che la prescrizione, tenuto conto di tutto, scadeva nel gennaio 2024, allora siete oltre → prescritto; se scade a dicembre 2025, allora non ancora → il creditore può ancora legittimamente esigere.
7. Attenzione ai casi di rinuncia o sospensione speciali: il debitore può rinunciare alla prescrizione una volta maturata (meglio non farlo inconsapevolmente). Inoltre alcuni eventi (riconoscimento del debito, avvio di trattative per saldo) potrebbero essere interpretati come interruttivi. Anche avviare una procedura di conciliazione può sospendere i termini. Queste finezze richiedono valutazione legale. In generale, se avete firmato qualcosa o intrapreso azioni riguardo al debito, conteggiate anche quelle nel punto 5 (probabile riconoscimento = interruzione).
8. Documentare e conservare le prove: per poter far valere la prescrizione, vi conviene avere prova delle date e degli atti. Ad esempio, conservate ricevute di raccomandate, buste, email PEC, copie di atti giudiziari. Spesso il peso della prova in giudizio è del creditore (dimostrare un’interruzione), ma in pratica è bene che anche voi abbiate il quadro. Richiedete eventualmente un estratto cronologico al creditore o a chi per esso (ad es. all’Agente Riscossione per le cartelle, potete chiedere l’estratto di ruolo: vi elencherà cartelle e intimazioni con date).
9. Consultare un legale se necessario: se l’analisi non è chiara o il debito è ingente, è consigliato farsi confermare il calcolo da un avvocato. Piccoli errori di valutazione possono essere fatali (immaginate eccepire prescrizione e invece mancava qualche giorno o c’era un atto non considerato, si fa brutta figura in giudizio). Un professionista può accedere anche a banche dati (p.e. vedere se ci sono notifiche tramite UNEP, ecc.).
10. Far valere l’eccezione di prescrizione in modo corretto: se siete convinti che il debito sia prescritto, il passo finale è comunicarlo formalmente e opporsi ad eventuali pretese di pagamento. A seconda dei casi: potreste inviare voi stessi una lettera al creditore citando la prescrizione maturata e manifestando l’intenzione di non pagare; oppure, se siete in causa, il vostro avvocato deve eccepire la prescrizione nelle difese (ricordiamo: salvo eccezioni, il giudice non può dichiararla d’ufficio – dev’essere invocata dalla parte interessata). Se arriva un precetto su un credito prescritto, si farà opposizione al giudice per farlo dichiarare estinto. Se vi chiamano insistentemente società di recupero per un credito che sapete prescritto, diteglielo chiaramente (anche se spesso queste insistono lo stesso, ma quantomeno rimane traccia che l’avete sollevato).
In sintesi, verificare la prescrizione è un esercizio che richiede ordine e precisione: capire che debito è, calcolare i termini giusti, controllare eventuali stop&go dovuti a solleciti o atti. Una volta fatto, se risulta prescritto, il debitore ha pieno diritto di non pagare e può opporre la prescrizione come scudo. E se il creditore avesse comunque incassato forzosamente (magari tramite un pignoramento non contrastato), si potrebbe agire per ripetere l’indebito – ma meglio giocare d’anticipo ed eccepirla per tempo.
Esempi pratici riassuntivi
Di seguito proponiamo qualche scenario ipotetico per applicare concretamente i principi esposti finora:
- Caso A: Cartella esattoriale IRPEF – Marco riceve nel 2014 una cartella dall’Agenzia Entrate Riscossione per IRPEF 2009 non versata. Non paga e non fa nulla. Nel 2018 riceve una “intimazione di pagamento” per quella cartella (che è un sollecito formale). Non paga ancora. Nel 2025, l’agente tenta un pignoramento del conto di Marco. Analisi: IRPEF è tributo erariale → prescrizione 10 anni. Decorrenza: cartella notificata nel 2014. Primo termine teorico = 2024. Ma c’è un atto interruttivo nel 2018 (intimazione) che riporta la scadenza al 2018+10 = 2028. Nel 2025, quindi, il credito NON è prescritto (nuovo termine 2028 ancora da venire). Marco non può opporsi per prescrizione (dovrà pagare, magari contestare altro se c’è, ma non la prescrizione). Se invece non avesse ricevuto atti dal 2014 in poi, allora al 2025 sarebbero passati 11 anni → poteva far valere prescrizione (ma qui c’è stata intimazione quindi no).
- Caso B: Contributi INPS – La ditta Alfa omette il versamento di contributi per il 4° trimestre 2016 ai suoi dipendenti. L’INPS non invia nessuna comunicazione né avviso di addebito fino a tutto il 2022. Nel 2023 finalmente l’INPS notifica un avviso di addebito per quei contributi. Analisi: contributi INPS → prescrizione 5 anni. Decorrenza: 16 febbraio 2017 (scadenza versamento trimestrale). Termine teorico: 16/02/2022. Nessun atto interruttivo nel frattempo (l’avviso è arrivato nel 2023, quindi dopo lo scadere). Quindi il credito era già prescritto a febbraio 2022. L’avviso nel 2023 non resuscita nulla (non essendo arrivato in tempo utile). La ditta Alfa può opporsi all’avviso entro 40 giorni al giudice del lavoro, eccependo la prescrizione quinquennale maturata. Il giudice accoglierà l’eccezione e annullerà l’avviso, perché l’INPS ha dormito troppo a lungo. (Anzi, l’INPS non poteva più neanche accettare il pagamento dopo il 2022 per legge). Notiamo: se un dipendente avesse denunciato l’omissione entro il 2021, sarebbe stata 10 anni – ma supponiamo non ci sia stata denuncia.
- Caso C: Mutuo bancario risolto – Luigi aveva un mutuo con ultima rata prevista nel 2027. Nel 2020 smette di pagare, la banca gli toglie il beneficio del termine e gli chiede tutto il residuo con lettera del 1° ottobre 2020. Luigi comunque non paga e la cosa si ferma lì (la banca non lo ha ancora citato in tribunale). Nel 2025 Luigi riceve una citazione per decreto ingiuntivo da parte della banca. Analisi: mutuo → prescrizione decennale dall’ultima rata, ma essendo stato risolto anticipatamente, l’intero debito è scaduto nel 2020. Quindi prescrizione 10 anni dal 1/10/2020 = 1/10/2030. Nel 2025 è ben lungi da prescriversi. Inoltre la banca con la citazione stessa interrompe (anche se non ce n’era bisogno essendo ampiamente dentro). Luigi non ha base per eccepire prescrizione (sono passati 5 anni su 10). Dovrà eventualmente negoziare o difendersi sul merito, ma la prescrizione non lo salva. – Variazione: se la banca invece non avesse fatto nulla fino al 2031, allora Luigi, dopo il 1/10/2030, poteva rifiutare il pagamento del residuo per prescrizione compiuta. Ma è assai improbabile una banca lasci passare 10 anni su un importo consistente.
- Caso D: Fatture fornitore – La ditta Beta deve €5.000 alla ditta Gamma per fornitura di materiali consegnati il 10 giugno 2018 (fattura scad. 10 luglio 2018). Gamma però nel frattempo non ha mai inviato solleciti scritti, limitandosi a qualche telefonata. Nel 2023 Gamma affida il recupero a un legale, che manda lettera il 5 settembre 2023 intimando il pagamento. Analisi: rapporto tra imprese per fornitura una tantum → prescrizione 10 anni (fornitura di beni, non canone periodico). Decorrenza 10/07/2018. Termine teorico 10/07/2028. Nessun atto interruttivo formale prima del 2023, ma la lettera del 5/9/2023 arriva quando il debito era ancora vivo (2028). Quindi interrompe e sposta la scadenza al 5/9/2033. Morale: nel 2023 Beta NON può dire prescrizione, perché 5 anni su 10 sono trascorsi, non 10, e poi c’è quell’atto che comunque ridà fiato. Se Beta avesse sperato in una prescrizione “breve” di 5 anni, quell’idea era scorretta: essendo fornitura B2B non periodica, 10 anni si applicano. Quindi Beta dovrà pagare o affrontare la causa. – Se invece fosse stato un credito periodico (mettiamo canoni manutenzione annuale 2018 non pagati), allora la prescrizione sarebbe stata 5 anni (2018→2023). E la lettera di Gamma nel settembre 2023 sarebbe arrivata dopo la prescrizione, dunque Beta potrebbe eccepirla. E anche se Gamma dicesse “rapporto continuo 10 anni”, Beta nel dubbio oppone l’art. 2948 c.c. e potrebbe spuntarla se i pagamenti erano periodici.
- Caso E: Bollette telefoniche – Alice ha cambiato operatore telefonico nel 2019 e non ha pagato le ultime due fatture TIM di ottobre e novembre 2019 per un totale di €100. TIM le ha sollecitate via SMS un paio di volte nel 2020 ma nessuna raccomandata. Nel 2023 una società di recupero crediti la contatta minacciando azioni legali. Analisi: trattasi di bollette telecomunicazioni (utenza domestica) → dal 2020 vige prescrizione 2 anni. Decorrenza: supponiamo scadenza 15/11/2019 e 15/12/2019 per quelle fatture. Termine teorico: 15/11/2021 e 15/12/2021. Nessun atto interruttivo formale (SMS non vale come atto formale notificato, di solito). Nel 2023 il credito è già prescritto da almeno un anno. Alice può comunicare via PEC alla società di recupero che il credito è prescritto ex art. 2948 c.c. (o meglio ex L.160/2019). Se per caso il recuperatore notificasse un decreto ingiuntivo nel 2023, Alice farebbe opposizione evidenziando che al momento dell’ingiunzione il credito era già estinto per prescrizione (perché 2 anni passati) e il giudice le darebbe ragione. Dunque Alice non deve pagare. – Curiosità: se fosse stata un’utenza business di Alice SRL, la legge Bilancio non si applicava, quindi 5 anni. In tal caso nel 2023 sarebbero ancora in tempo (2019→2024). Ma per utenza privata no, 2 anni.
- Caso F: Affitto non pagato – Paolo è un ex inquilino che nel marzo 2017 lasciò un appartamento con 3 mensilità finali impagate (€1.500 totali). Il proprietario non lo ha mai contattato né fatto causa. Nel 2025 il proprietario si rifà vivo e chiede quei €1.500. Analisi: affitti mensili → 5 anni per ciascuna mensilità. Uscito a marzo 2017, avrà dovuto i canoni di gennaio, febbraio, marzo 2017. Ciascuno scaduto rispettivamente a fine gennaio, febbraio, marzo 2017. Prescrizioni scadute a fine gennaio, febbraio, marzo 2022. Nessun atto interruttivo in mezzo. Quindi nel 2025 quei crediti sono prescritti da tempo. Paolo può rifiutare. Se il proprietario gli fa causa (ingiunzione), Paolo eccepisce prescrizione quinquennale e vince. Se il proprietario aveva la cauzione, non poteva trattenerla a coprire gli affitti prescritti (teoricamente, se lo ha fatto, Paolo potrebbe anche esigere la cauzione indietro perché il debito affitti era inesigibile… ma questo complica, diciamo se la tiene Paolo può contestare). – Nota: se il proprietario avesse inviato anche una banale lettera nel 2019 di sollecito, non saremmo in questa situazione: la lettera nel 2019 avrebbe interrotto e i 5 anni sarebbero ripartiti dal 2019 al 2024. Ma qui niente atti: prescrizione chiara.
Questi esempi mostrano l’importanza di combinare tempistiche e azioni svolte. In generale, un debitore ben informato può rendersi conto quando l’inerzia altrui gioca a suo favore. Naturalmente, non bisogna contare troppo sul lasciar prescrivere i debiti come strategia: molti creditori attenti non se lo lasciano sfuggire e agiscono in tempo. Ma se ciò è accaduto, la legge offre questo scudo.
Domande frequenti sulla prescrizione dei debiti
D: Cosa significa esattamente “debito prescritto”?
R: Significa che il diritto del creditore di pretendere il pagamento si è estinto per decorso del tempo. Il debitore non può più essere legalmente obbligato a pagare e, se convenuto in giudizio, può opporsi sollevando l’eccezione di prescrizione. Un debito prescritto è quindi un debito “non più dovuto”, almeno dal punto di vista giuridico (il debitore può comunque pagare volontariamente, ma non può esservi costretto).
D: La prescrizione cancella il debito automaticamente?
R: La prescrizione estingue il diritto di credito, ma non opera in automatico in senso forte. In pratica, se il debitore non solleva la prescrizione e paga ugualmente, il pagamento è valido e non ripetibile. Analogamente, in un processo, se il debitore non eccepisce la prescrizione maturata, il giudice (di norma) non la applicherà d’ufficio e potrebbe condannare lo stesso al pagamento. Dunque è necessario che il debitore faccia valere la prescrizione, comunicando al creditore che il debito è prescritto e/o eccependolo in giudizio.
D: Quali sono i termini di prescrizione più comuni per i debiti?
R: Riassumendo i principali: 10 anni è il termine ordinario (es. contratti, cambiali dopo giudizio, ecc.); 5 anni per la maggior parte dei crediti periodici (affitti, bollette fino al 2017, interessi, stipendi), per danni da fatto illecito (esclusi casi particolari) e per sanzioni amministrative (multe); 2 anni per le utenze domestiche (luce, gas dal 2018-19, acqua dal 2020, telefono dal 2020); 1 anno o 3 anni in alcune prescrizioni presuntive (es. 1 anno per commercianti vs consumatori, 3 anni per parcelle di professionisti). Ci sono poi termini specifici: 3 anni bollo auto, 10 anni tributi erariali, 5 anni tributi locali e contributi previdenziali, 6 mesi per bollette hotel/ristoranti. Nella sezione iniziale e nelle tabelle di ogni categoria trovi maggiori dettagli.
D: Da quando si conta il termine?
R: Dal momento in cui il credito è esigibile, cioè quando il creditore poteva chiedere la prestazione. Spesso coincide con la data di scadenza del pagamento. Se non c’è scadenza fissa, coincide con il giorno in cui il creditore ha il diritto di pretendere (es. data fattura se pagamento “a vista”; fine lavori per parcella professionista; giorno del danno per risarcimento). In alcuni casi particolari la legge indica un dies a quo diverso: ad es. per multe, dal giorno della violazione; per contributi INPS, dalla scadenza di legge del versamento; per danni da reato, dalla data in cui il reato è estinto. Ma in generale, il giorno dopo la scadenza è un buon riferimento pratico: da lì inizia a correre il tempo.
D: Cosa interrompe la prescrizione di un debito?
R: Qualsiasi atto formale dal quale risulti il riconoscimento del diritto o la volontà di esercitarlo. In pratica: una lettera di diffida/messa in mora inviata dal creditore (meglio se con raccomandata o PEC), un decreto ingiuntivo, una citazione in tribunale, un atto di pignoramento o precetto, la notifica di una cartella esattoriale, un sollecito di pagamento scritto (anche da società di recupero se per conto del creditore), oppure un pagamento parziale o accordo di rientro sottoscritto dal debitore (che vale come riconoscimento del debito). Atti interni o informali non interrompono: ad es. annotazioni contabili del creditore, telefonate di sollecito, email non certificata (potrebbe avere valore indiziario ma non è garantito), messaggi vocali. Anche la richiesta di estratto di ruolo da parte del debitore non è riconoscimento (il solo informarsi non implica ammettere il debito). In caso di dubbio, meglio considerare interruttivo solo ciò che è provabile e manifestato in modo chiaro e giuridicamente valido.
D: Un sollecito via e-mail semplice o telefono interrompe?
R: No, per sicurezza bisogna considerare interruttive solo comunicazioni tracciabili e idonee. Una mail non PEC può essere contestata (non garantisce integrità e ricezione certa). Una telefonata certamente non interrompe perché non lascia prova certa, a meno che il debitore non ammetta di aver ricevuto una richiesta (ma perché dovrebbe farlo?). Dunque, se sei creditore, usa mezzi ufficiali; se sei debitore, sappi che finché non ti arriva qualcosa di scritto ufficialmente, per la legge la prescrizione corre. Alcune sentenze hanno ritenuto sufficiente anche una e-mail se il debitore ne conferma la ricezione, ma è materia scivolosa.
D: Un pagamento parziale interrompe la prescrizione dell’intero debito?
R: Sì. Se il debitore paga una parte del dovuto, implicitamente riconosce il debito residuo (art. 2944 c.c.). Ad esempio, se devo €10.000 e verso €500, sto ammettendo che devo qualcosa. Questo atto di riconoscimento interrompe la prescrizione e fa decorrere un nuovo termine da zero per il restante. Lo stesso vale se scrivo “ti devo ancora X euro, ti pagherò appena possibile”: è un riconoscimento scritto. Dunque attenzione: non versare neanche un centesimo di un debito che credi prescritto, altrimenti “rianimi” il credito. Viceversa, per il creditore ottenere un pagamento anche minimo “salva” il resto per un nuovo periodo.
D: Il creditore ha ceduto il mio debito a una società di recupero, la prescrizione cambia?
R: No, la cessione del credito non influisce sui termini di prescrizione (che restano quelli originari). Il recuperatore subentra nella stessa posizione temporale del creditore originario. Se quando gli è stato ceduto il credito era già prescritto, rimane prescritto (il debitore potrà opporlo). Se non lo era, continua a decorrere normalmente. Atti del cedente valgono verso il cessionario: se il creditore originale aveva interrotto, vale anche per il nuovo. – Attenzione solo che spesso le società di recupero acquistano crediti vetusti per pochissimo e provano comunque a incassare facendo leva sull’ignoranza o la psicologia del debitore. Ma da un punto di vista legale, prescritto era e prescritto resta.
D: Ho un debito in sofferenza segnalato in CRIF (centrale rischi). Se si prescrive, viene cancellato automaticamente dalla CRIF?
R: La segnalazione nei sistemi di informazione creditizia (come CRIF) ha regole proprie, legate al momento in cui il rapporto è stato gestito e chiuso (in positivo o negativo). In genere, una volta decorsi un tot di anni dalla scadenza contrattuale (per i sofferti, direi 3 anni dalla data di cessazione rapporto o ultime info), la segnalazione deve essere cancellata a prescindere dalla prescrizione legale. Quindi non è detto che un debito prescritto figuri ancora in CRIF. Se però figurasse, il debitore può cercare di ottenere la cancellazione, ma non c’è una procedura automatica che collega prescrizione e CRIF. Vero anche l’opposto: il fatto che CRIF cancella dopo tot anni non significa che il debito è prescritto (sono due cose diverse: CRIF tutela il merito creditizio, la prescrizione è legge sostanziale). Esempio: un prestito bancario non rimborsato viene segnalato, dopo 3 anni la segnalazione sparisce, ma il credito potrebbe prescriversi in 10 anni, quindi la banca potrebbe ancora agire anche se in CRIF non risulta più. Occhio quindi a non confondere le due cose.
D: Il giudice può rilevare la prescrizione d’ufficio?
R: In linea generale no, a meno che riguardi diritti indisponibili. Per debiti civili normali, spetta al debitore eccepirla (art. 2938 c.c.). Fanno eccezione ad esempio i contributi previdenziali: la Cassazione ha detto che il giudice può dichiararli prescritti d’ufficio. Ma per un debito bancario, fiscale, commerciale ecc., il giudice non lo farà se il debitore non l’ha invocata. Quindi è onere del debitore (o del suo avvocato) sollevarla al primo momento utile nel processo. Se si dimentica e la causa arriva a sentenza, la prescrizione non opererà più.
D: Ho pagato un debito che era già prescritto. Posso riavere indietro i soldi?
R: Purtroppo no. L’art. 2940 c.c. dispone che “Il debitore che ha eseguito volontariamente il pagamento di un debito prescritto non ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”. Il pagamento è valido e definitivo, trattandosi di obbligazione naturale ormai. Si può giusto evitare di pagare, ma se paghi hai “confermato” il debito spontaneamente. Solo se il pagamento non era volontario (es. pignoramento subito senza difesa per ignoranza) c’è qualche margine: in alcuni casi la giurisprudenza ha ammesso l’azione di ripetizione di indebito se il debitore prova che ignorava la prescrizione e ha pagato per errore di diritto; ma è controverso e rischioso. In generale: non pagare se pensi sia prescritto; se già pagato, consideralo perso.
D: Posso dichiarare da solo al creditore che il debito è prescritto? O serve il giudice?
R: Puoi sicuramente comunicarglielo (meglio per iscritto) e rifiutarti di pagare. La prescrizione esiste per legge, non serve un giudice a “dichiararla” in via costitutiva. Il ruolo del giudice interviene solo se il creditore non concorda e ti trascina in tribunale: in quel caso il giudice, su tua eccezione, accerterà la prescrizione e rigetterà la pretesa creditoria. Ma molte volte basta far presente al creditore che il termine è decorso, citando eventualmente norme o sentenze: se il creditore è in buona fede e verifica la fondatezza, spesso rinuncia spontaneamente (specie grandi aziende/regioni per cartelle, etc., che non vogliono cause perse). Dunque, sì: puoi eccepire stragiudizialmente la prescrizione, e questo dovrebbe fermare tentativi di riscossione, salvo il creditore sia convinto del contrario e allora si finirà davanti a un giudice.
D: Ci sono debiti che non si prescrivono mai?
R: Sì, alcuni diritti indisponibili sono imprescrittibili (art. 2934 c.c. ultimo comma). Ad esempio, la proprietà di un bene non si perde per non uso (non c’entra con debiti, ma per dire). Tra i crediti, uno tipico imprescrittibile è quello per il riconoscimento dello stato di figlio (non è patrimoniale però). Dal punto di vista dei “debiti”, spesso si dice (a mo’ di battuta amara) che “i debiti con la malavita non prescrivono mai” – ma legalmente parlando, la maggior parte dei crediti patrimoniali ha un termine. I debiti tributari di un certo tipo dopo un tot diventano inesigibili, tanto che ogni tanto lo Stato fa “stralci” di vecchi crediti. Eccezione: le sentenze penali di multa (non sanzioni amm.ve, proprio condanne penali a multa) tecnicamente lo Stato può recuperarle vita natural durante perché l’ordinamento penitenziario prevede che non c’è prescrizione della pena pecuniaria. Ma sono casi rari per cittadini (in teoria anche quelle dopo tot anni lo Stato rinuncia, ma formalmente non prescritte). Altro esempio: danni erariali da giudizio Corte dei Conti hanno prescrizioni particolari rinnovabili – dettagli settoriali. Per il cittadino medio, direi che ogni debito prima o poi scade, e spesso prima di quanto si creda (5-10 anni).
D: Un decreto ingiuntivo non opposto cambia la prescrizione?
R: Sì. Se un credito viene cristallizzato in un provvedimento giudiziario definitivo (sentenza passata in giudicato, decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per mancata opposizione), allora la prescrizione diventa decennale ex art. 2953 c.c.. Quindi, ad esempio, un credito da parcella avvocato (prescr. 3 anni presuntiva o 10 ordinaria) se l’avvocato ottiene ingiunzione e il cliente non fa opposizione, quel decreto diventato definitivo si prescrive in 10 anni dal 41° giorno. Allo stesso modo, una multa stradale non pagata non produce un giudicato (è atto amministrativo), quindi rimane 5 anni e non 10. Insomma, solo i titoli giudiziari usufruiscono della conversione in nuovo termine decennale dal passaggio in giudicato. Questo è il motivo per cui spesso i creditori, prima che scada la prescrizione breve, fanno decreti ingiuntivi: una volta non opposti, si sono garantiti altri 10 anni.
D: Come incide la prescrizione sul mio cassetto fiscale/estratto conto?
R: Domanda specifica: se parli di debiti fiscali o contributivi, va detto che nel cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate o nell’estratto conto dell’INPS, i debiti prescritti potrebbero ancora figurare come “a ruolo” o “non pagati” se l’ente non li ha formalmente annullati. La prescrizione estingue il diritto, ma l’ente potrebbe non accorgersene e tenere iscritti importi. In teoria dovrebbero toglierli (ad esempio l’ADER su richiesta cancella da estratto le cartelle prescritte). Se li vedi ancora, puoi fare istanza di sgravio per intervenuta prescrizione. – In ambito bancario/creditizio, se un debito è prescritto e non pagato, è probabile che a un certo punto il creditore lo stralci come inesigibile in bilancio, ma ciò non è automatico né immediatamente visibile al debitore.
D: La pandemia Covid ha esteso la prescrizione dei miei debiti?
R: In parte. Ci sono state disposizioni (ad es. D.L. 18/2020) che hanno sospeso i termini processuali e sostanziali dal 8 marzo al 31 maggio 2020 (per il civile: 83 giorni) e altre sospensioni puntuali per riscossione fino al 31 agosto 2021 (ma quelle riguardavano termini di pagamento, non la prescrizione in sé). Comunque, la sospensione di marzo-maggio 2020 vale anche per la prescrizione: è come se in quel periodo l’orologio si fosse fermato. Significa che a conti fatti, tutti i termini che includevano quella finestra vanno “allungati” di 83 giorni circa. Esempio: se un credito doveva prescriversi il 1° aprile 2020, in realtà si è prescrittto verso fine giugno 2020. Per prudenza molti parlano di +3 mesi. Quindi sì, la pandemia ha leggermente procrastinato le prescrizioni che cadevano in quell’anno. Nel 2025 ormai quell’effetto è passato per i brevi (2 anni) ma incide ancora per i decennali.
D: Se un credito è prescritto, devo comunque fare qualcosa o posso ignorare le richieste?
R: Idealmente, dovresti eccepirlo esplicitamente al creditore. Ignorare semplicemente comporta un rischio: magari il creditore non si rende conto o fa finta di niente e prosegue con azioni legali – se tu continui a ignorare potresti sotto-valutare atti importanti (tipo un decreto ingiuntivo che se trascuri diventa esecutivo anche se il credito era prescritto, perché, come detto, il giudice non lo sa se tu non eccepisci!). Quindi la strategia migliore non è tacere, ma rispondere: “Gentile XY, il Suo credito risulta estinto per prescrizione ai sensi dell’art… non provi oltre a esigerlo”. Così metti le mani avanti. Se poi comunque depositano un ricorso in tribunale, allora devi costituirti e reiterare l’eccezione di prescrizione davanti al giudice, altrimenti la perdi. Dunque mai dormire sugli allori: la prescrizione ti aiuta se la usi.
D: Il termine di prescrizione si conteggia in anni esatti o si guarda il giorno preciso?
R: Si conteggia come periodo di calendario: ad esempio 5 anni esatti dal giorno successivo al dies a quo, scadono alla mezzanotte del giorno corrispondente 5 anni dopo (salvo che sia festivo, in quel caso slitta al giorno dopo non festivo per sicurezza – regola generale). Non si contano a mesi o a giorni, ma proprio in anni. Quindi se decorrenza 10 marzo 2020, 5 anni = 10 marzo 2025 inclusi. Il 10 marzo 2025 è l’ultimo giorno utile per un atto interruttivo. Dal 11 marzo 2025 la prescrizione è compiuta. – Per i 2 anni delle bollette, stesso criterio biennale. – Atti infrannuali: se era 6 mesi, conti a mesi. In sostanza si applicano gli articoli del codice sull’computo dei termini (art. 2963 c.c. e art. 155 c.p.c.).
D: Ho perso le ricevute/lettere, come faccio a provare che è prescritta?
R: Il bello (per il debitore) è che formalmente dovrebbe essere il creditore a provare che NON è prescritta, ossia a dimostrare eventuali interruzioni. Infatti, se il debitore eccepisce prescrizione compiuta con una certa data, il creditore per vincere deve dire “No, perché in data tal dei tali ho interrotto” e portare la prova di quell’atto (es. ricevuta raccomandata). Se non prova nulla, il giudice presumibilmente riterrà maturata la prescrizione. Dunque, anche se tu debitore non hai più nulla in mano, il creditore dovrà esibire i suoi arsenali. Detto ciò, è comunque prudente avere uno storico: ad esempio puoi chiedere una visura nella corrispondenza (ad es. all’ufficio postale se ricordi di aver ricevuto raccomandate). Inoltre, se proprio non hai tracce, nella tua eccezione di prescrizione scriverai “il creditore non ha notificato atti interruttivi entro i termini di legge” – starà a lui smentirti. Quindi la mancanza di ricevute non preclude di far valere la prescrizione, ma chiaramente se invece ti ricordi di aver ricevuto qualcosa, non dichiarare il falso: il creditore lo tirerà fuori e ci farai brutta figura. Meglio essere onesti e calcolare includendo quell’atto.
D: Posso accordarmi col creditore su un termine diverso (allungare o abbreviare la prescrizione)?
R: No, la prescrizione è fissata dalla legge e le parti non possono modificarla a piacimento (art. 2936 c.c. “È nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione”). Quindi non potete né ridurla né estenderla convenzionalmente. Non potete neanche rinunciare preventivamente alla prescrizione (ci si può rinunciare solo una volta maturata, art. 2937 c.c.). Quindi se anche firmi un contratto dove c’è scritto “il debitore rinuncia alla prescrizione” o “il termine di prescrizione sarà di 20 anni”, quella clausola non ha valore legale. Ovviamente nulla vieta di fatto al creditore di inseguirti anche oltre il termine e al debitore di pagare comunque, ma formalmente la legge impone quei tempi e non è disponibile alle parti.
D: La prescrizione estingue anche le eventuali garanzie del debito (es. ipoteca, fideiussione)?
R: Sì, l’ipoteca ad esempio è un diritto accessorio e di norma non può sussistere se il credito non esiste più. Però l’ipoteca ha un suo termine di durata (20 anni rinnovabili). In pratica, se il debito è prescritto ma l’ipoteca non è ancora cancellata, in teoria il creditore non potrebbe validamente espropriare perché non c’è più credito, ma per sicurezza conviene far cancellare quell’ipoteca. – Diverso il pegno: si estingue col credito. – La fideiussione: il fideiussore può opporre la prescrizione del debito principale (art. 1957 c.c. gioca se il creditore tarda a escutere, ma al di là di quello, prescrizione normale va). Quindi se un debito è prescritto, anche il garante non è più tenuto. Attenzione però: l’atto interruttivo verso il debitore interrompe verso il fideiussore e viceversa, essendo obbligazioni solidali. Quindi il creditore potrebbe interrompere con raccomandata al fideiussore e questo vale pure per il debitore principale (gli interrompe pure a lui, salvo se non ne era a conoscenza? ma direi di sì essendo solidarietà passiva).
D: Una causa legale in corso interrompe la prescrizione?
R: Sì, l’azione giudiziaria è il tipico atto interruttivo permanente (2945 c.c.). Finché c’è causa pendente, la prescrizione rimane sospesa, poi se la causa finisce con sentenza passata in giudicato, il credito riconosciuto ha prescrizione 10 anni da allora. Se la causa finisce per motivi procedurali senza decisione sul merito, la prescrizione rimane interrotta per la durata del processo e poi riprende con un minimo di 6 mesi extra (art. 2945 c.3 c.c.). Quindi, se sei creditore e fai causa interrompi di sicuro; se sei debitore e subisci causa, non sperare di far decorrere il tempo durante (non scorre).
D: Perché alcuni creditori insistono a chiedere pagamenti anche su crediti prescritti?
R: Possono esserci vari motivi: alcuni magari confidano che il debitore non sappia della prescrizione e paghi lo stesso (questo accade con recuperatori su vecchi crediti di banche/telecom, legalmente non è scorretto chiedere, sta al debitore opporre prescrizione); altri creditori forse per calcolo reputano di poter discutere sulla decorrenza (es. “non è prescritta perché quell’avviso x secondo noi interrompeva…”); altri ancora sono semplicemente disorganizzati e non monitorano bene i termini. Va anche detto che fino a che il debitore non solleva la prescrizione, il credito in qualche modo “persiste” in contabilità, quindi alcune aziende provano comunque. Il debitore informato però può tagliare corto, facendo notare che la pretesa è senza base legale.
D: Se ci accordiamo per un nuovo piano di rientro dopo anni, la prescrizione?
R: La firma di un accordo di rientro dal debito (dilazione, saldo e stralcio, ecc.) è tipicamente un riconoscimento del debito residuo, quindi interrompe la prescrizione e anzi spesso comporta una rinuncia implicita alle eccezioni precedenti. Quindi occhio: se il debito era forse prescritto, firmare un accordo lo “resuscita” completamente. Se invece non era ancora prescritto, l’accordo almeno fissa un nuovo termine da quella sottoscrizione. In ogni caso, va considerato che quell’accordo costituisce un nuovo titolo negoziale: se poi non paghi secondo l’accordo, il creditore potrà agire sulla base di esso entro 10 anni.
D: Qual è la differenza tra prescrizione e decadenza in poche parole?
R: La prescrizione estingue un diritto per il decorso del tempo nell’inattività del titolare. La decadenza estingue un potere o facoltà per il decorso del tempo entro cui va compiuto un atto. In pratica, la prescrizione è spesso relativa a crediti, la decadenza a termini per esercitare un’azione o un’opzione. Esempio: i 90 giorni per notificare la multa (decadenza) vs i 5 anni per riscuoterla (prescrizione). Nella prescrizione contano sospensioni e interruzioni, la decadenza in genere no (è più rigida). La prescrizione usualmente necessita eccezione di parte, la decadenza spesso è rilevabile d’ufficio. – Per un debitore la decadenza del creditore gioca a favore in modo simile (se il creditore ha perso un termine per agire, tipo impugnare un decreto ingiuntivo in 40gg e non l’ha fatto, è decaduto e quel titolo è definitivo; oppure se l’ente impositore doveva mandare avviso entro X anni e non l’ha fatto, il tributo è decaduto). Spesso quando si vince un ricorso per vizi di notifica tempestiva, si parla di decadenza e non di prescrizione.
Conclusione: Conoscere i tempi di prescrizione e come computarli è fondamentale per gestire consapevolmente i propri debiti. Un debitore informato può evitare di pagare somme che per legge non sono più dovute, oppure utilizzare la prescrizione come leva nelle trattative (es. offrire un importo minore “per chiudere” sapendo che il creditore rischia di perdere tutto se temporeggia ulteriormente). D’altro canto, bisogna fare attenzione a non confondere la prescrizione con la volontà di non pagare: fino a che il termine non è maturato, il debito è valido e il creditore può attivarsi in qualsiasi momento, magari sul filo di lana, per interrompere. Questa guida ha fornito gli strumenti per orientarsi, ma ogni caso concreto può presentare sfumature particolari. Per importi rilevanti o situazioni dubbie, è sempre consigliabile rivolgersi a un legale esperto, citando eventualmente i riferimenti normativi e giurisprudenziali qui discussi.
Bibliografia e giurisprudenza utilizzate
Codice Civile: artt. 2934–2963 c.c. (disciplina generale della prescrizione); in particolare art. 2934 (estinzione dei diritti per prescrizione), art. 2935 (decorrenza), art. 2946 (prescrizione ordinaria decennale), art. 2947 (prescrizione del diritto al risarcimento del danno, quinquennale ordinaria, biennale circolazione), art. 2948 (prescrizioni quinquennali per prestazioni periodiche, pigioni, interessi, ecc.), art. 2953 (diritti definiti da giudicato, prescrizione decennale), art. 2956–2957 (prescrizioni presuntive triennali e decorrenza), art. 2955 (prescrizioni presuntive annuali), art. 2943–2945 (interruzione ed effetti), art. 2944 (riconoscimento del debito), art. 2938 (inammissibilità del rilievo d’ufficio), art. 2937 (rinuncia alla prescrizione a maturità avvenuta), art. 2936 (divieto di patti sulla prescrizione), art. 2963 (computo dei termini di prescrizione).
Leggi speciali:
- L. 689/1981, art. 28 (prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative).
- D.P.R. 602/1973, art. 25 (termini notifica cartella di pagamento per imposte, decadenza) e norme sulla riscossione dei ruoli (termini vari); D.Lgs. 46/1999, art. 24 (opposizione a cartella in 40 gg, termine perentorio).
- Statuto del Contribuente (L. 212/2000) – principi generali su termini e tutele del contribuente (es. art. 8 vieta effetti retroattivi sfavorevoli, art. 10 tutela dell’affidamento); non specifica termini di prescrizione ma riconduce ai principi generali.
- L. 335/1995, art. 3 commi 9-10 (prescrizione contributi previdenziali quinquennale; estensione decennale se denuncia lavoratore).
- D.Lgs. 241/1997 e D.Lgs. 46/1999 – per la riscossione unificata di imposte e contributi (termini simili, cartelle).
- D.Lgs. 472/1997, art. 20 co. 3 (prescrizione quinquennale sanzioni tributarie).
- Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992), art. 201 (90 giorni per notifica verbale, decadenza), art. 209 (rinvio a L.689/81 per prescrizione 5 anni).
- L. 205/2017 (Bilancio 2018), art. 1 commi 4–10 (introduzione prescrizione 2 anni per elettricità dal 2018 e gas dal 2019, tutela consumatori).
- L. 160/2019 (Bilancio 2020), art. 1 commi 292–295 (estensione prescrizione breve 2 anni a settore idrico dal 2020 e telecomunicazioni da 2020).
- ARERA Delibera 97/2018/R/com (attuazione prescrizione biennale elettricità), Delibera 569/2018 (gas), Delibera 547/2019 (idrico), nonché documenti ARERA e FAQ (es. sul diritto a rifiutare pagamenti tardivi).
- Codice di Procedura Civile, art. 294 (opposizione a DI 40 gg), art. 295 (sospensione processo civile e prescrizione), e norme su sospensione termini processuali Covid (D.L. 18/2020 conv. L. 27/2020, art. 83).
Giurisprudenza di legittimità:
- Cass., Sezioni Unite, 17/11/2016 n. 23397 – Principio di diritto: la mancata opposizione di cartella/avviso non converte il termine di prescrizione breve in decennale ex art.2953 c.c., poiché cartella/avviso non sono giudicato. Applicato a contributi INPS (L.335/95) quinquennali, tributi erariali e locali, sanzioni amm.ve. (Vedi Studio Cerbone).
- Cass., Sez. Unite, 31/01/2025 n. 2098 – Ha stabilito che la contestazione della prescrizione di un credito tributario dopo notifica cartella rientra nella giurisdizione del giudice tributario (questione competenza).
- Cass., Sez. Unite, 18/06/2020 n. 11814 – Conferma orientamento: cartella non opposta, prescrizione decennale per tributi erariali, quinquennale per tributi locali e contributi.
- Cass., Sez. Lav., 04/09/2023 n. 25684 – In tema di contributi professionisti gestione separata, su decorrenza prescrizione (menzionata in ricerche, vedi LinkedIn fonte).
- Cass., Sez. Lav., 01/02/2022 n. 2999 – Riconosce prescrizione quinquennale anche per contributi non dichiarati (confermando L.335/95).
- Cass., Sez. III, 10/02/2023 n. 4232 – Ribadisce natura unitaria del mutuo: prescrizione 10 anni dall’ultima rata, rate non autonome, interessi inclusi. Cita precedenti: Cass. 2301/2004, 19291/2010, 17798/2011. (Fonte: DirittoBancario).
- Cass., Sez. I, 26/06/2024 n. 17667 – (menzionata su Brocardi) conferma orientamento TARI 5 anni.
- Cass., Sez. II, 22/09/2022 n. 27635 (ex 26062/2022?) – Riafferma prescrizione triennale bollo auto e decorrenza dal 1° gennaio anno successivo.
- Cass., Sez. VI, 05/09/2022 n. 26062 – Ordinanza su bollo auto: prescrizione 3 anni dal termine (conferma giurisprudenza).
- Cass., Sez. Un., 27/04/2006 n. 9591 – Sanzioni amm.ve: assenza termine conclusivo procedimento non invalida sanzione; prescrizione 5 anni; rileva che atti del procedimento (verbale, ordinanza) interrompono.
- Cass., Sez. II, 15/04/2011 n. 8458 – Quote condominiali: prescrizione 5 anni ex art. 2948 n.4 c.c. (giurisprudenza costante).
- Cass., Sez. III, 30/11/1999 n. 12075 – Interessi bancari si prescrivono in 5 anni autonomamente (salvo incorporati in saldo).
- Cass., Sez. III, 20/08/2002 n. 12238 – Riconoscimento debito ex 2944 c.c. può essere implicito (pagamento parziale).
- Cass., Sez. Unite, 13/11/2009 n. 25750 – Contributi previdenziali: giudice può rilevare d’ufficio prescrizione (principio poi ripreso da SU 2016).
- Cass., Sez. Un., 22/09/2010 n. 19606 – Tributi locali: prescrizione 5 anni (già prima del 2016 SU).
- Cass., 23/04/2010 n. 9481 – In tema di sanzioni amministrative: solo atti del procedimento noti interrompono, non iscrizione a ruolo.
- Cass., 17/12/2010 n. 8941 – Conferma sopra: iscrizione a ruolo non è atto interruttivo perché non portato a conoscenza del debitore.
- Corte Costituzionale, 26/07/2021 n. 151 – Su sanzioni amm.ve: segnalazione al legislatore dell’assenza di termine per conclusione procedimento sanzionatorio generale (non incide su prescrizione, ma contesto).
- Corte Costituzionale, 05/03/2014 n. 69 – Sul canone RAI: non direttamente su prescrizione, ma definisce natura tributaria (da ciò si desume prescrizione non biennale).
- Corte di Cassazione, SS.UU., 12/05/2020 n. 8500 – (riguarda competenza giurisdizionale su prescrizione cartelle, complementare a SU 2025/2098).
Giurisprudenza di merito (esempi):
- Tribunale di Busto Arsizio, 17/01/2017 n. 53 – Ha applicato Cass. SU 2016: contributi previdenziali prescritti in 5 anni anche su cartella INPS (confermando niente 2953 c.c.).
- Corte d’Appello di Milano, 09/05/2018 n. 1731 – In materia contributi, allineata a SU 2016 (prescrizione quinquennale).
- CTR Toscana, 30/06/2020 n. 458 – Conferma che cartella non opposta per tributi locali segue prescrizione quinquennale (cita SU 2016).
- Giudice di Pace di Torino, sent. 10/01/2019 – Ha annullato multe per prescrizione quinquennale rilevata su eccezione (esempio di merito).
- Tribunale di Roma, sez. XIII, 01/02/2017 – In tema di bollette telefoniche, prima della L.160/2019 confermava prescrizione 5 anni ex art.2948 n.4 c.c.
- Giudice di Pace di Lecce, 13/07/2021 – Opposizione a cartella multe: accolto per prescrizione (esempio tipico).
- Corte dei Conti, SS.RR., 14/12/2010 n. 15/2010 – (Solo nota: sui danni erariali la prescrizione si interrompe con ogni atto istruttorio, questione ultra-specialistica).
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