Hai un’impresa in difficoltà e stai valutando se un’operazione societaria straordinaria può aiutarti a superare la crisi? Ti chiedi se fusioni, scissioni, trasformazioni o cessioni possano servire per salvare l’attività, ridurre i debiti o evitare il fallimento?
Quando un’azienda entra in una fase di squilibrio finanziario, le operazioni straordinarie possono essere strumenti strategici. Ma attenzione: vanno pianificate con cura, perché possono anche aggravare la posizione dell’imprenditore, esporlo a responsabilità e rendere più complessa la gestione della crisi.
Vediamo allora cosa sono le operazioni societarie straordinarie, come si collegano alla crisi d’impresa e cosa occorre valutare prima di agire.
Cosa si intende per operazioni societarie straordinarie?
Sono operazioni che modificano in modo rilevante la struttura, l’organizzazione o la composizione dell’azienda. Tra le più comuni:
- fusioni (tra due o più società),
- scissioni (trasferimento di rami d’azienda in nuove società),
- trasformazioni (da ditta individuale a società o tra tipi di società),
- cessioni di quote o dell’intera azienda,
- conferimenti di beni o rami d’azienda.
In situazioni di crisi, possono servire a razionalizzare i costi, salvare l’attività sana, isolare i debiti o aprire a nuovi investitori. Ma possono anche generare contestazioni, soprattutto se percepite come manovre elusive o dannose per i creditori.
Quando conviene valutare un’operazione straordinaria in crisi?
Quando l’azienda è ancora operativa, ha una parte sana, clienti attivi o asset valorizzabili, un’operazione ben progettata può prevenire la liquidazione giudiziale. Ad esempio:
- trasferire l’attività produttiva in una nuova società “pulita”,
- conferire i beni in una newco per attrarre soci o capitali,
- trasformare la struttura giuridica per accedere a strumenti di risanamento più adatti.
Attenzione però: le operazioni devono essere reali, trasparenti e supportate da valutazioni economiche. In caso contrario, possono essere annullate o contestate dai creditori o dal curatore in caso di fallimento.
Quali sono i rischi da evitare?
Il rischio principale è che l’operazione venga considerata in frode ai creditori, cioè fatta solo per sfuggire ai debiti. In quel caso:
- può essere impugnata per revocatoria,
- può dar luogo a responsabilità personali degli amministratori,
- può compromettere l’accesso ad altre procedure come il concordato o la composizione negoziata.
Serve l’assistenza di un avvocato?
Assolutamente sì. Le operazioni straordinarie in crisi richiedono analisi preliminari precise, documentazione solida e una pianificazione coordinata con fiscalisti, notai e consulenti. Solo un legale esperto può valutare se l’operazione è davvero utile, se ci sono rischi per il patrimonio personale e se conviene procedere o attivare altre soluzioni.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa e operazioni societarie – ti spiega come utilizzare le operazioni straordinarie in modo strategico, quali errori evitare e come possiamo aiutarti a salvare l’azienda senza mettere a rischio te stesso.
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Introduzione
Le operazioni societarie straordinarie e le procedure di crisi d’impresa costituiscono strumenti chiave del diritto commerciale italiano, finalizzati alla ristrutturazione o alla chiusura ordinata di un’impresa in difficoltà. La legislazione italiana, in particolare il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, CCII), disciplina dettagliatamente queste fattispecie con l’obiettivo di favorire l’intervento precoce in caso di squilibrio economico-finanziario, preservare il valore aziendale e i livelli occupazionali, e tutelare i creditori. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, fornisce un quadro completo degli istituti e delle procedure coinvolti, con linguaggio tecnico ma accessibile, esempi pratici e tabelle riassuntive per facilitare la consultazione.
Introduzione al nuovo Codice della crisi
Nel panorama normativo italiano, dal 15 luglio 2022 il Codice Civile nonché numerose leggi speciali sono stati profondamente riformati dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), attuativo della Legge Delega 155/2017. Il vecchio fallimento (L. 267/1942) e la vecchia legge “salva suicidi” sul sovraindebitamento (L. 3/2012) sono stati abrogati e sostituiti da un sistema organico mirato al salvataggio della continuità aziendale ove possibile. Il legislatore ha recepito la Direttiva UE 2019/1023 e i principi del “risanamento d’impresa” (debiti in misura ≥ liquidazione, conservazione del valore). Tre decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, 83/2022 e 136/2024) hanno poi affinato il codice, ampliando gli strumenti di allerta precoce, agevolando la composizione negoziata e semplificando alcuni istituti concorsuali. La finalità generale è «intercettare la crisi» e «recuperare la continuità aziendale» prima che l’impresa diventi insolvente. Gli amministratori devono pertanto predisporre adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili per individuare tempestivamente gli squilibri patrimoniali e finanziari e attivare, se necessario, gli strumenti di composizione della crisi.
Con questa riforma, si delinea un approccio in due fasi: da un lato il preventivo intervento precoce, comprendente segnalazioni, assetti societari e strumenti stragiudiziali (come la composizione negoziata e il piano attestato di risanamento); dall’altro, le procedure formali concorsuali (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale, ecc.) da attivare in caso di stato di insolvenza conclamato. In particolare, il legislatore prevede che, in caso di proposte alternative di soluzione della crisi (p. es. concordato vs liquidazione), debba essere favorita la continuità aziendale a parità di trattamento dei creditori.
1. Operazioni societarie straordinarie
Le operazioni straordinarie sono quegli interventi nei rapporti societari che comportano modifiche strutturali o patrimoniali sostanziali, diverse dalle comuni operazioni di gestione. In Italia, il Codice Civile prevede vari tipi di operazioni straordinarie finalizzate all’aggregazione o alla disaggregazione dell’impresa. Tra le principali figurano la fusione, la scissione, la trasformazione, il conferimento d’azienda o di ramo, la cessione d’azienda e la liquidazione volontaria. Ciascuna di esse è disciplinata da precisi articoli del Codice Civile (Libro V, Titolo V, Capitolo X) ed è spesso utilizzabile come strumento di ristrutturazione patrimoniale o organizzativa dell’impresa.
Le operazioni straordinarie sono attuate tramite deliberazione assembleare (o atto pubblico nel caso di organismi unipersonali) e richiedono normalmente la redazione di un progetto, relazioni degli amministratori ed eventualmente perizie di stima, nonché adempimenti pubblicitari (deposito del progetto, iscrizione nel Registro Imprese, ecc.). In generale, queste operazioni trasferiscono complessi di beni, diritti e debiti tra società, preservando la continuità dell’attività pur modificandone l’inquadramento legale. Il legislatore richiede particolare trasparenza per tutelare i creditori: ad esempio, nelle fusioni e scissioni occorre informare i creditori che potranno opporsi entro un certo termine. Di seguito esaminiamo le principali tipologie di operazione straordinaria, con riferimenti normativi e cenni pratici.
1.1 Fusione societaria
La fusione è l’operazione di aggregazione più completa: «la fusione rappresenta la forma di aggregazione aziendale più completa con l’unificazione sia giuridica che economica dei soggetti che vi partecipano». In concreto, mediante fusione due o più società si accorpano in un’unica entità. La fusione può avvenire in due forme principali:
- Fusione propria o per unione: due o più società si estinguono per dar vita a una nuova società (c.d. newco). Le partecipanti trasferiscono i loro patrimoni in una società di nuova costituzione.
- Fusione per incorporazione (impropria): una società preesistente incorpora tutte le altre, che si estinguono assorbite dal patrimonio di quella incorporante. La società incorporante è già esistente e rimane in vita con il capitale aumentato. Le fusioni per incorporazione sono le più frequenti, perché permettono procedure semplificate (es. fusione per incorporazione pù rapida se vi è partecipazione totale).
Le fusioni si distinguono inoltre in omogenee (tra società della stessa categoria giuridica, es. tutte Spa) ed eterogenee (tra categorie diverse, es. società di capitali e società di persone). Possono essere pure inversione, ovvero la controllata incorpora la controllante, definita “fusione inversa”. Al momento della fusione, tutti gli attivi e passivi delle società incorporate vengono trasferiti nella società risultante (newco o incorporante). Questo implica la continuazione dei rapporti con terzi, dei contratti di lavoro e di tutti gli altri diritti e obblighi, senza necessità di procedure liquidatorie intermedie. I soci delle società “incorporande” ricevono azioni o quote della nuova (o incorporante) proporzionalmente ai loro conferimenti, secondo un rapporto di concambio deliberato nel progetto di fusione.
Nel diritto italiano le fusioni sono disciplinate dagli articoli 2501-2504 c.c. e seguenti. Prima del perfezionamento, gli amministratori devono redigere un progetto di fusione, relazioni illustrative (e in certi casi perizie giurate di valore delle partecipazioni). Il progetto, insieme alle relazioni, va depositato in vista dell’assemblea dei soci chiamati a deliberare la fusione. I creditori sociali possono opporsi entro termini (es. opposizione individuale art. 2503 c.c.), salvo deroghe specifiche. Completata la fusione con l’atto pubblico e l’iscrizione nel Registro delle Imprese, la società risultante subentra automaticamente in tutti i rapporti giuridici delle società estinte. Di fatto, la fusione è “un atto modificativo dello statuto” che trasferisce universalmente diritti e obblighi.
Esempio pratico (fusione): La Gamma S.p.A. e la Delta S.p.A., entrambe operanti nel settore metalmeccanico, decidono di fondersi per contrastare la crisi di mercato. Il progetto di fusione prevede la nascita di una nuova società (newco) capogruppo, che incorpora i patrimoni di entrambe. I soci di Gamma e Delta ricevono quote della newco in base al proprio capitale investito. Dopo l’assemblea e l’iscrizione al Registro, Gamma e Delta vengono estinte, e la newco prosegue l’attività con il personale e i contratti precedenti, evitando lo scenario di doppie liquidazioni. In questo modo l’operazione contribuisce a razionalizzare costi ed aumentare sinergie, con continuità operativa e minore impatto per i dipendenti.
1.2 Scissione societaria
La scissione è l’operazione inversa della fusione: con la scissione il patrimonio di una società (scissa o scindenda) viene assegnato a due o più società (beneficiarie), che possono essere di nuova costituzione o preesistenti. In sostanza, la società scissa si divide, trasferendo complessi di beni (e debiti) distinti a più entità, disaggregando il precedente patrimonio sociale. La scissione può essere totale (partecipazione totalitaria o integration) o parziale (solo una parte del patrimonio assegnata, la società scissa continua ad esistere).
- Scissione totale: l’intera società scissa si estingue, trasferendo tutto il suo patrimonio alle beneficiarie; i soci ricevono azioni delle beneficiarie secondo il rapporto di cambio. I creditori della scissa diventano creditori delle società beneficiarie (le quali rispondono solidalmente per i debiti).
- Scissione parziale: la società scissa trasferisce solo una quota patrimoniale (ad es. un ramo d’azienda) a una o più beneficiarie, continuando l’attività residua; i soci della scissa ricevono azioni anche delle beneficiarie. In tal caso la società scissa rimane attiva, con i soci che mantengono le quote originali più quelle nelle nuove società.
La normativa prevede due tipi di scissione: per incorporazione (beneficiaria già esistente) e per divisione in senso stretto (beneficiarie di nuova costituzione). Recentemente (D.Lgs. 19/2023, recepimento Dir. UE 2019/2121) è stata introdotta una scissione con scorporo (art. 2506-bis c.c.): la società scissa assegna parte del suo patrimonio ad una o più nuove società beneficiarie, trattenendo le relative partecipazioni al proprio interno (operazione alternativa al conferimento d’azienda). Tale innovazione crea un nuovo strumento di cessione parziale di asset per le imprese (senza applicare il meccanismo tradizionale di distribuzione delle quote ai soci).
Gli adempimenti di scissione sono analoghi a quelli della fusione: progetto, relazioni e situazione patrimoniale devono essere depositati, e le assemblee delle società coinvolte deliberano separatamente; va inoltre comunicata l’operazione ai creditori. Se non intervengono opposizioni nei termini di legge, gli amministratori possono stipulare l’atto di scissione che diventa efficace dopo le iscrizioni nel Registro. Dal momento dell’efficacia, ciascuna società beneficiaria assume tutti i diritti e obblighi (attivi e passivi) della società scissa e risponde solidalmente dei debiti pregressi. In pratica, la scissione consente di “disaggregare” un complesso aziendale: per esempio, un’azienda può scindersi in due società distinte (una attiva in un ramo operativo redditizio, l’altra in un ramo in perdita) tutelando in tal modo i soci e facilitando la specializzazione gestionale.
Esempio pratico (scissione): La Sigma S.p.A., con un ramo d’azienda in crisi (attività di vendita al dettaglio) e un ramo prospero (produzione interna), decide di scindere la società. Nel progetto viene previsto che la Sigma (società scissa) trasferisca tutto il ramo di vendita alla Beta S.p.A. (società beneficiaria di nuova costituzione), mentre mantiene in sé il ramo produttivo. I soci di Sigma ricevono azioni di Beta secondo il rapporto di cambio e rimangono soci di Sigma con la quota del ramo produttivo. Dopo la scissione, Beta assume i debiti inerenti al ramo ceduto, e Sigma conserva quelli residui. Così facendo, Sigma prosegue concentrata sulla produzione (senza i debiti del ramo in perdita), mentre Beta inizia l’attività commerciale con il proprio bilancio di avvio. Questa operazione semplifica la gestione finanziaria e patrimoniale, e può facilitare una futura cessione mirata di una delle società, tutelando i creditori che possono rivalersi separatamente sui patrimoni distinti.
1.3 Trasformazione societaria
La trasformazione modifica la forma giuridica dell’ente mantenendo inalterata l’identità della società: «con essa viene garantita la continuità nei rapporti commerciali, in quelli con l’Agenzia delle Entrate oltre che con i dipendenti». In pratica l’impresa cambia “volto” societario senza sciogliere la società; ad esempio, un libero professionista può trasformare la sua ditta individuale in una società di persone o un S.r.l. in S.p.A., e viceversa. La normativa distingue due tipi di trasformazione: omogenea e eterogenea.
- Trasformazione omogenea: cambia la forma societaria mantenendo lo stesso “tipo” (es. da S.r.l. a S.p.A. o viceversa; oppure da società di persone a altra forma di società di persone). Ad esempio, una S.r.l. che cresce di dimensioni può trasformarsi in S.p.A. per avere capitale maggiore e responsabilità dei soci limitata. Anche la trasformazione può essere “progressiva” o “regressiva” in base al passaggio tra categorie di società di persone e capitali.
- Trasformazione eterogenea: l’ente cambia categoria di tipo societario più ampiamente, per esempio da persona giuridica societaria a ente non societario o viceversa (ipotizzando situazioni particolari). Non si applica direttamente nel diritto comune di società un regime diverso da omogenea; il nostro ordinamento consente anche trasformazioni eterogenee, disciplinate da specifiche norme del Codice Civile.
La trasformazione richiede delibera assembleare e la redazione di una relazione degli amministratori che illustri le motivazioni e gli effetti sul patrimonio. I principali effetti sono la modifica dello statuto (atti costitutivi) e la continuazione dell’attività senza interruzioni formali: i rapporti contrattuali continuano con la “nuova” società, che ne assume i diritti e obblighi, come se fosse lo stesso soggetto giuridico in nuova forma. Ad esempio, trasformando una S.r.l. in S.p.A. non si chiude la società o si liquida nulla; semplicemente cambia la disciplina legale applicabile, il capitale minimo e le formalità (ad es. obbligo di bilancio certificato), ma i contratti e i debiti restano in capo alla stessa entità sostanziale. Un altro esempio: la trasformazione progressiva di una società di persone in società di capitali permette ai soci di limitare la responsabilità e predisporre strumenti di governance e raccolta capitale più flessibili.
Esempio pratico (trasformazione): Il Dott. Rossi, socio unico di una S.a.s. Alfa & Rossi, vuole ampliare l’attività coinvolgendo investitori terzi. Delibera la trasformazione da S.n.c. in S.r.l. (società a responsabilità limitata). Con l’atto pubblico di trasformazione e la relativa pubblicità, la Alfa & Rossi S.n.c. diventa la Alfa & Rossi S.r.l., con lo stesso patrimonio e attività, ma con capitale sociale formalmente individuato e responsabilità dei soci limitata al capitale apportato. I fornitori e le banche continuano a fare affari con la società trasformata senza modifiche contrattuali, mentre ai soci rimane garantito il riparto di utili secondo il nuovo statuto.
1.4 Conferimento d’azienda (o di ramo)
Il conferimento di azienda o di un ramo d’azienda è l’operazione mediante la quale un complesso produttivo (azienda) o una porzione di esso viene trasferito da un soggetto conferente ad un’altra entità giuridica, in cambio di una partecipazione nella società conferitaria. In altre parole, l’azienda conferita (conducente un’attività organizzata per obiettivi di lucro) passa a far parte di una società conferitaria, che corrisponde al conferente quote o azioni invece di denaro. Fondamentale è che i due soggetti siano distinti: il conferente può essere persona fisica (ditta individuale) o giuridica, mentre il conferitario deve essere una società. Il ramo conferito deve essere un insieme organico di beni capace di continuare l’attività per conto proprio (ad es. un reparto o divisione).
Il conferimento d’azienda è disciplinato dagli articoli 2342-2466 c.c., in particolare dal Codice delle società di capitali. Esso consente di scindere alcuni asset e debiti a favore di una newco, isolando così un ramo redditizio o in difficoltà. Ad esempio, una società può trasferire un ramo di produzione a una controllata di nuova costituzione, conservando per sé solo il ramo commerciale. I vantaggi del conferimento includono, tra l’altro, l’identificazione precisa dei patrimoni trasferiti (con eventuale esclusione di passività indesiderate), la possibilità di ottenere benefici fiscali (regime di neutralità fiscale simile alla scissione), e la limitazione della responsabilità della nuova società verso i soli elementi conferiti.
In concreto, l’atto di conferimento (statuto modificato della conferitaria) deve elencare azienda o ramo ceduto e il corrispettivo in partecipazioni. Anche qui si richiede relazione giurata di stima nei casi previsti (per valori conferiti nell’ambito di capitali sociali). Una volta perfezionato il conferimento, la società conferente mantiene la propria identità, mentre la conferitaria subentra nei beni e nei debiti inerenti al ramo ricevuto. Il conferente ottiene quote della conferitaria e diventa socio di essa. In termini di continuità, l’attività del ramo conferito prosegue ora sotto la gestione della conferitaria, con i dipendenti e i contratti trasferiti, mentre al conferente rimane tutto il resto dell’impresa originaria.
Esempio pratico (conferimento d’azienda): La società Gamma S.r.l. possiede sia un negozio di vendita (ramo commerciale) che un impianto produttivo (ramo industriale). Decide di separare i due rami conferendo l’impianto produttivo a una nuova società (Gamma Produttiva S.r.l.). Gamma S.r.l. (conferente) stipula l’atto di conferimento: trasferisce tutti i beni e contratti relativi alla produzione, e riceve come corrispettivo azioni di Gamma Produttiva S.r.l. (conferitaria). Dopo il conferimento, Gamma Produttiva assume i debiti legati all’impianto, mentre Gamma S.r.l. resta con la sua attività commerciale. I clienti vedono la continuità del servizio, ma attraverso una diversa ragione sociale, e i fornitori del ramo conferito pagano ora fatture alla nuova società. Questo consente, ad esempio, di valutare separatamente i risultati delle due aree e facilita eventuali cessioni future di una delle società.
1.5 Cessione e affitto d’azienda
Correlate al conferimento, la cessione d’azienda (artt. 2556-2560 c.c.) è l’operazione in cui una società trasferisce la titolarità di tutta l’azienda a un altro soggetto, che ne continua l’esercizio. Nella cessione, il conferente (cedente) e il cessionario (acquirente) sono sempre entità separate, e il corrispettivo è normalmente in denaro. A differenza della fusione o della scissione, nella cessione l’azienda cessa di appartenere al venditore, che non continua a esistere come società visti solo su quell’assetto. Viene spesso usata per vendere l’azienda in blocco, con trasferimento di tutti i beni, contratti, licenze e dipendenti. Ciò presuppone l’autorizzazione dei creditori sociali (art. 2557 c.c.) mediante pubblicità e possibilità di opposizione, e può implicare la responsabilità del cessionario verso i terzi per eventuali debiti previdenziali, con l’effetto liberatorio per il cedente di taluni passivi (art. 2558 c.c.).
Analogamente, l’affitto d’azienda (artt. 2561-2566 c.c.) è un contratto in cui il locatore (proprietario dell’azienda) affida il godimento di una parte o di tutta l’azienda a un conduttore, dietro corrispettivo. L’affitto d’azienda trasferisce solo l’uso temporaneo del complesso, non la proprietà; può prevedere facoltà di riscatto, ecc. Anche l’affitto richiede pubblicità e tutelage verso i lavoratori (art. 2560 c.c.), per consentire eventualmente loro di estinguere il contratto. Entrambe queste operazioni (cessione e affitto) implicano la continuazione di parte o tutta l’attività sotto una nuova gestione, ma non modificano l’assetto giuridico societario della cedente (che può restare in vita o sciogliersi successivamente in via ordinaria).
1.6 Scioglimento e liquidazione volontaria
La liquidazione volontaria è la fase finale della vita di una società quando gli organi decidono di chiudere l’attività in modo organizzato. Lo scioglimento può avvenire per molte cause previste dall’art. 2484 c.c. (scadenza del termine, raggiungimento oggetto sociale, deliberazione assembleare, ecc.). In ogni caso, dal momento dello scioglimento la società entra in liquidazione, e l’oggetto sociale si trasforma in un’attività di realizzo del patrimonio e pagamento dei debiti.
Durante la liquidazione, i liquidatori (nominati nell’atto costitutivo o dall’assemblea) devono procedere alla vendita degli asset, al pagamento dei creditori e alla ripartizione dell’eventuale avanzo ai soci in proporzione ai conferimenti. Come recita la prassi: «La liquidazione è la fase conclusiva della vita della società, durante la quale l’attività è limitata al realizzo degli attivi e al pagamento delle passività. L’eventuale residuo attivo viene rimborsato ai soci proporzionalmente al capitale conferito». Si redigono bilanci di liquidazione intermedi e finali, e una volta terminata la procedura i liquidatori chiedono la cancellazione della società dal Registro delle Imprese. È importante notare che lo scioglimento/liquidazione volontario è distinto dall’eventuale insolvenza: anzi, di norma le società in liquidazione ordinaria non sono insolventi, ma decidono di chiudere per scelta dei soci. La normativa in tema di liquidazione ordinaria mira principalmente a tutelare i soci e i creditori nella fase di chiusura, non prevede sospensioni coatte o interventi giudiziali particolari (salvo controversie civili).
In sintesi, le operazioni straordinarie (fusione, scissione, trasformazione, conferimento, cessione, liquidazione volontaria, ecc.) costituiscono strumenti legali per ristrutturare il gruppo societario, trasferire asset o chiudere l’impresa con effetto continuativo o eliminativo. Esse richiedono rigorosi adempimenti (delibere assembleari, perizie, pubblicità) e prevedono la responsabilità solidale verso i creditori per eventuali debiti pregressi non coperti dall’operazione. In contesti di crisi, queste operazioni possono essere utilizzate come parte di piani di risanamento (es. fusione per consolidare gruppi in difficoltà) o di liquidazione concordata (es. cessione di rami sani per onorare i debiti). Per facilitare la consultazione, la Tabella 1 riepiloga le principali operazioni straordinarie con i loro effetti essenziali.
Operazione straordinaria | Descrizione generale | Effetti su patrimonio e rapporti sociali |
---|---|---|
Fusione | Unificazione di due o più società in un’unica entità | Estinzione di società partecipanti; nuovo patrimonio unico; continuità dei contratti e dipendenti. |
Scissione | Divisione del patrimonio di una società in più parti | Trasferimento di attività/passività a nuove o preesistenti; società scissa si estingue (scissione totale) o prosegue (parziale). |
Trasformazione | Cambiamento della forma giuridica dell’impresa | Modifica dello statuto; continuità dell’ente; rapporti in corso (dipendenti, clienti) invariati. |
Conferimento d’azienda | Trasferimento di azienda o ramo d’azienda ad un altro ente | Azienda ceduta esce dal patrimonio conferente; conferente riceve quote/azioni; conferitaria assume debiti aziendali. |
Cessione d’azienda | Vendita (o affitto) dell’intera azienda | Cedente esce dall’azienda; cessionario entra in possesso di beni, contratti, personale; necessaria autorizzazione creditori. |
Scioglimento volontario | Decisione di cessare l’attività in forma regolare | Avvio liquidazione: liquidatori vendono attivi, pagano passivi, ripartiscono residui ai soci; società infine cancellata. |
2. Crisi d’impresa e insolvenza
Una crisi d’impresa si configura come uno stato di difficoltà economico-finanziaria tale da mettere a rischio la regolare continuazione dell’attività e rendere probabile l’insolvenza. A differenza del passato, il nuovo codice distingue formalmente tra stato di crisi (squilibrio prevedibile) e stato di insolvenza (incapacità conclamata di pagare i debiti esigibili, per cui l’impresa non può più effettuare i pagamenti secondo la propria ordinaria programmazione). Lo stato di insolvenza è identificato da eventi quali ritardi di pagamento, protesti, pignoramenti o evidenti difficoltà di equilibrio finanziario.
Dal punto di vista soggettivo, le procedure più comuni (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale) si applicano agli imprenditori commerciali (società di capitali, di persone e titolari di ditta commerciale) che superano certe soglie dimensionali (patrimonio, ricavi, debiti) e si trovano in insolvenza. Imprese di minori dimensioni, professionisti, consumatori e altri soggetti non commerciali possono accedere al regime del sovraindebitamento, un insieme di procedure specifiche del CCII. Importante è sapere che il nuovo Codice ha introdotto l’obbligo per soci e amministratori di istituzionalizzare la prevenzione della crisi: ciò comporta l’adozione di assetti organizzativi adeguati, organi di controllo o amministratori con funzioni di vigilanza, al fine di segnalare tempestivamente gli squilibri. Le segnalazioni possono provenire anche da creditori pubblici (Fisco, INPS) mediante procedure di allerta.
In sintesi, il nuovo framework prevede due filoni: (1) intervento precoce/stragiudiziale attraverso assetti, allerta e composizione negoziata; (2) procedure concorsuali formali di regolazione della crisi e liquidazione (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale, fallimento, sovraindebitamento). Ora vediamo le principali procedure di regolazione della crisi, soffermandoci sui presupposti, meccanismi e rilevanza per il debitore (specialmente le PMI) nel contesto italiano attuale.
2.1 Sovraindebitamento
Il sovraindebitamento è lo stato di perdurante squilibrio economico di un soggetto (persona fisica, professionista, società di persone sotto soglia, consumatore) che non rientra nelle procedure classiche di insolvenza. Originariamente disciplinato dalla L. 3/2012 (“salva-suicidi”), ora è integrato nel Codice del 2019 (artt. 65-83 CCII). Tale strumento è riservato ai debitori non fallibili (es. consumatori, professionisti, piccoli imprenditori sotto soglie di ricavi o patrimonio), che si trovino in difficoltà ma che ancora non hanno avviato una procedura concorsuale maggiore. Il Codice definisce il sovraindebitamento come condizione di perdurante squilibrio del debitore non soggetto a liquidazione giudiziale. In pratica, significa che il soggetto ha debiti esigibili superiori alle risorse liquide disponibili, e non è in grado di onorarli con gli incassi normali. Nel caso delle società in nome collettivo (S.n.c.) – come nel caso di molte PMI familiari – il sovraindebitamento diventa gravoso perché i soci rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali. Ad esempio, una piccola S.n.c. di famiglia con crediti tributari scaduti e debiti bancari accumulati può trovarsi in insolvenza tecnica: pur non avendo ancora un procedimento fallimentare pendente, tale situazione configura uno stato di sovraindebitamento.
Le procedure per il sovraindebitamento comprendono il concordato personale del consumatore, l’accordo di ristrutturazione del debito, il piano del consumatore, ecc. (artt. 129-176 LF, ora confluiti negli artt. 89-96 CCII). Questi strumenti consentono al debitore non commerciale di proporre un piano di rimborso, dilazione o riduzione dei debiti, sottoposto all’omologazione del tribunale, con tutele specifiche per i creditori pretermessi. Ad esempio, la Cassazione ha recentemente chiarito che in un piano di sovraindebitamento può essere ammessa una moratoria di pagamento dei crediti privilegiati anche oltre un anno purché compensata con altri vantaggi (diritto di voto, ecc.). Il debitore sovraindebitato (es. titolare di azienda individuale in grave difficoltà) può così ottenere riduzioni o prolungamenti del debito fiscale e commerciale, spesso tutelati da una procedura extragiudiziale assistita da un organismo (OCRI o professionista). Questi rimedi sono pensati per piccole imprese o privati in crisi, evitando di ricorrere subito a procedure più pesanti. In termini pratici, un sovraindebitamento di piccola impresa può essere affrontato mediante un accordo stragiudiziale con i creditori e successiva omologazione, anziché attendere la dichiarazione di insolvenza piena.
2.2 Composizione negoziata della crisi
Introdotta dal D.L. 118/2021 (c.d. “DL Liquidità”) e regolata dagli artt. 17-25 CCII, la Composizione Negoziata della crisi è una procedura stragiudiziale volontaria, confidenziale e flessibile, finalizzata a favorire l’accordo con i creditori prima di qualsiasi insolvenza formale. È accessibile a imprenditori sopra soglia (quelli soggetti al regime concorsuale ordinario) che rilevano segnali di crisi e vogliono evitare il fallimento. La composizione negoziata si attiva tramite la piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio: l’imprenditore deposita un’istanza di nomina di un esperto indipendente (costituito da professionisti iscritti in appositi albi), che lo assisterà nelle trattative. L’esito può essere una risoluzione transattiva con i creditori o, se i tentativi falliscono, il passaggio a una procedura giudiziale (concordato semplificato o liquidazione giudiziale).
Caratteristica fondamentale della composizione negoziata è che l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa durante le trattative: «l’art. 21 c.1 CCII afferma esplicitamente che nel corso delle trattative l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa». In pratica, anche in stato di crisi egli può continuare ad assumere decisioni e compiere atti, purché non compromettano la sostenibilità finanziaria complessiva. Questa full retention di poteri è volta a non bloccare l’impresa, ma richiede agli amministratori di agire sempre in buona fede e considerando l’interesse dei creditori (resta ferma la responsabilità per atti conflittuali come indicato nell’art. 21 stesso). Inoltre, la legge prevede la possibilità di ottenere misure protettive (art. 54 CCII) a tutela dell’impresa: ad esempio, con opportuna istanza il tribunale può sospendere le azioni esecutive o cautelari di creditori sui beni aziendali durante le trattative, purché motivate da realistiche prospettive di risanamento.
In sintesi, la composizione negoziata offre alle imprese un dialogo guidato con i creditori: l’esperto aiuta a predisporre un piano di risanamento consensuale (ristrutturazioni del debito, dilazioni, parziale soddisfazione) e a coinvolgere le banche e il Fisco in via negoziale. Se l’accordo viene trovato, può divenire vincolante per tutti i creditori (o essere formalizzato tramite concordato preventivo). Se non si raggiunge un’intesa, il debitore può comunque beneficiare della “priorità della continuità” (art. 7 CCII) nell’accesso a altre procedure rispetto alla liquidazione giudiziale.
Esempio pratico (composizione negoziata): La Beta & Figli S.p.A., con fatturato in flessione e debiti bancari rilevanti, accede alla composizione negoziata. Attraverso il portale delle Camere di Commercio viene nominato il dott. Rossi come esperto. Nel corso di sei mesi di incontri riservati, l’esperto aiuta i soci di Beta a preparare piani di dilazione con le banche e a negoziare un voluntary agreement con i fornitori (riduzione parziale delle fatture in scadenza). Il tribunale, valutando il piano, accorda misure protettive: la banca viene limitata nelle azioni esecutive sui conti aziendali finché le trattative proseguono. Alla fine, Beta ottiene impegni di rifinanziamento per 2 anni e una riduzione del 20% dei debiti commerciali, consentendo all’azienda di ripianare i debiti gradualmente e di tornare a produrre utili, salvando posti di lavoro e continuità operativa.
2.3 Accordi di ristrutturazione e piani attestati
Pur non esplicitamente menzionati nel quesito, è utile ricordare che anche gli strumenti stragiudiziali preesistenti (ora integrati nel CCII) costituiscono parte dell’arsenale ant-crisi. In particolare, le accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F., ora regolati dal CCII) permettono a un imprenditore insolvente di negoziare un piano di ristrutturazione con almeno il 60% dei creditori (debitore commerciale) o con i creditori pubblici (Fisco-INPS) e certificazione di un organo di controllo. Analogamente, il piano di risanamento attestato (art. 56 CCII) è un piano di risanamento indipendente con relazione di un esperto; se poi omologato implicitamente diventa un accordo concordatario. Tali strumenti permettono di ristrutturare debiti senza ricorrere subito alla procedura concorsuale tradizionale e continuando l’attività normalmente, anche se (a differenza della composizione negoziata) non offrono meccanismi di protezione giudiziale diretta. In pratica, costituiscono accordi privati, con effetto di tener trascorso il fallimento purché approvati dal tribunale.
2.4 Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la procedura giudiziale concorsuale mediante la quale l’imprenditore (o società) in crisi propone ai creditori un piano di ristrutturazione o liquidazione dell’azienda per ottenere l’omologazione del tribunale. Regolato dagli artt. 84-120 CCII, il concordato può assumere forme diverse a seconda della strategia del piano. I presupposti generali sono: il debitore deve essere imprenditore commerciale (non in crisi transitoria), e deve presentare debiti e asset incompatibili con la regolare continuità (stato di crisi/insolvenza). Il fulcro è l’omologa del piano: il tribunale convoca i creditori, verifica la regolarità formale e la sostenibilità economica, e richiede che il piano soddisfi i creditori almeno nella misura che avrebbero in caso di liquidazione giudiziale. In altre parole, i creditori devono essere “gettati sullo stesso livello” rispetto alla liquidazione (principio della par condicio), salvo che siano trattati meglio nella soluzione concordataria.
Esistono due forme principali di concordato preventivo:
- Concordato con continuità aziendale (art. 84, c.2): l’impresa prosegue la gestione durante ed eventualmente dopo la procedura, trasferendo al piano nuovi soggetti gestori o continuatori. In questo caso il piano prevede la prosecuzione dell’attività, con ripianamento dei debiti tramite i futuri ricavi. Il legislatore ha enfatizzato che la conservazione dell’azienda è un valore primario insieme alla soddisfazione dei creditori. Il tribunale valuta la congruità del piano chiedendo che esso sia in grado di tutelare i creditori e allo stesso tempo preservare i livelli occupazionali (già l’art. 47 CCII richiede che la proposta non sia manifestamente inidonea).
- Concordato con liquidazione del patrimonio (art. 84, c.4): l’impresa viene liquidata nell’ambito del concordato, e i creditori sono soddisfatti attraverso la vendita degli asset e l’allocazione dei proventi come da piano. In pratica, il piano contiene un progetto di liquidazione (analogo alla liquidazione volontaria coatta), con eventuale cessione dei beni, a volte a terzi assuntori.
Nei concordati preventivi si forma il “patto” a maggioranza con i creditori: i creditori votano il piano per classi omogenee (creditori privilegiati, chirografari, ecc.) e se è approvato nelle proporzioni richieste il tribunale procede all’omologazione. I creditori assistiti da privilegio (es. ipoteche) possono ricevere anche meno del dovuto, purché in misura non inferiore a quella in liquidazione (al netto di oneri di procedura); la parte residua del credito sarà considerata come credito chirografario. Ad esempio, come previsto da recente normativa, il piano può anche prevedere una moratoria illimitata sul pagamento dei crediti privilegiati, salvo condizioni particolari.
Il Correttivo-ter (D.Lgs. 136/2024) ha introdotto novità sul concordato semplificato (per imprese di minori dimensioni) e sul concordato in continuità, sottolineando che la domanda è inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo sia a soddisfare i creditori che a preservare i valori aziendali. In pratica, ora è richiesto che la prosecuzione aziendale contempli la salvaguardia di posti di lavoro compatibilmente con la ristrutturazione.
Esempio pratico (concordato): La Gamma S.p.A. è in grave crisi: fattura in calo e debiti complessivi pari a €1 milione, con attivi stimati a €800mila. Gli amministratori si rivolgono al tribunale per un concordato preventivo in continuità. Proporranno un piano in cui Gamma continuerà a operare con ricavi futuri, ristrutturando i debiti verso banche e fornitori. Ad esempio, il piano prevede che i finanziatori con garanzia saranno rimborsati per il 70% del valore dei loro crediti, diluito in 5 anni, mentre il resto del credito sarà convertito in nuove azioni dell’impresa. I creditori concorrenti chirografari riceveranno anch’essi una percentuale dei loro crediti, basata sui flussi di cassa futuri. Il tribunale valuta e, constatata la coerenza del piano e la presenza di un soggetto che garantisca la continuità (ad es. un investitore che entra nell’assetto), omologa l’accordo. Gamma viene così salvata dal fallimento, riduce parte dei debiti e può continuare l’attività. Ai creditori ordinari questo piano garantisce un recupero parziale (ma superiore a quello che avrebbero ottenuto in caso di fallimento incontrollato), mentre i creditori privilegiati (banche) mantengono in larga parte le loro garanzie e ricevono pagamenti dilazionati, come permesso dal piano.
2.5 Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
Con il Codice della crisi (art. 84 CCII) il termine “fallimento” è stato sostituito da liquidazione giudiziale, al fine di evidenziare l’obiettivo della completa liquidazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente. La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale coatta che interviene quando un imprenditore commerciale si trova in stato di insolvenza (debiti scaduti e non pagati) e non presenta un piano concordatario o stragiudiziale valido. Dal punto di vista soggettivo, essa riguarda gli imprenditori “sopra soglia” (con ricavi o attivi oltre determinati valori) che non rientrano nelle procedure semplificate o nel sovraindebitamento. Sono escluse (per il momento) le startup innovative, le imprese minori sotto soglia ed enti pubblici.
La procedura di liquidazione giudiziale si apre con una decreto di apertura emesso dal Tribunale su istanza del debitore stesso (ritenuto inadempiente), di un creditore, del Pubblico Ministero o delle autorità vigilanti. Durante l’istruttoria preliminare, il Tribunale convoca il debitore e i creditori e può acquisire informazioni finanziarie dalla banca dati dell’Agenzia delle Entrate, al fine di valutare la fondatezza della domanda. Se la domanda è fondata, il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza, nomina il curatore fallimentare e il giudice delegato, e fissa un’udienza per l’esame dello stato passivo (in cui i creditori devono insinuare i propri crediti).
Gli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sono drastici:
- Per il debitore: perde l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, che passano sotto controllo del curatore; gli atti compiuti dopo la dichiarazione (tranne quelli legittimi in bonis) non sono efficaci verso i creditori.
- Per i creditori: viene sospesa ogni azione esecutiva o cautelare individuale. I crediti risultano in concorso nel passivo e vengono soddisfatti secondo l’ordine delle cause di prelazione (pari dignità tra creditori chirografari) – principio della par condicio creditorum.
- Per i terzi: il curatore procede alla liquidazione (vendita) degli asset aziendali, all’accertamento del passivo e alla ripartizione del ricavato. L’intera procedura è finalizzata alla conservazione del valore residuo, che sia ottenuto gestendo l’impresa (se possibile) o liquidando rapidamente il patrimonio.
Dal 15 luglio 2022 in poi, quindi, ogni riferimento a “fallimento” deve intendersi come liquidazione giudiziale. Le norme della vecchia Legge Fallimentare rimangono applicabili solo alle istanze depositate prima di quella data. Il Codice CCII mantiene gran parte delle procedure del fallimento (azione revocatoria, concorso dei creditori, liquidazione del patrimonio), ma le coordina in un capitolo unico e le pone in collegamento con gli strumenti nuovi (es. la possibilità di trasformare una liquidazione in un concordato in sede di procedura). In particolare, dopo l’apertura, il curatore ha facoltà di proporre un concordato nella liquidazione (ai sensi art. 2481-2489 c.c., ex art. 2472 c.c. nella L. fall. – ora art. 113 CCII) per chiudere la procedura con un piano omologato di soddisfazione dei creditori, valorizzando magari alcuni asset che diversamente andrebbero venduti a prezzo inferiore.
Esempio pratico (liquidazione giudiziale): Il sig. Bianchi, titolare di una S.n.c. di commercio, trascura i debiti con fornitori e non paga il mutuo bancario. Viene dichiarata insolvenza e richiesto l’avvio della liquidazione giudiziale. Il tribunale dichiara aperta la liquidazione, nomina un curatore e un giudice. La banca viene bloccata dal legale e non può più aggredire i conti. Il curatore valuta il magazzino invenduto e decide di procedere a una vendita coatta, convocando i creditori per l’istanza di ammissione al passivo. Dopo averli pagati in parte con il ricavato, la società viene cancellata dal registro. I soci, pur illimitatamente responsabili, erano già intervenuti per alcuni debiti; la procedura evita ulteriori procedure esecutive singole, ma segnala la conclusione forzata del progetto aziendale.
2.6 Altri strumenti concorsuali
Oltre alle procedure sopra descritte, il Codice e la legge fallimentare prevedono meccanismi complementari:
- Amministrazione straordinaria (per grandi imprese industriali in crisi). Non trattata in questa guida, ma prevista per casi eccezionali (L. 270/99 e L.39/04).
- Scioglimento coatto delle società cooperative (in particolare cooperazione).
- Concordati in p. stessa, concordati semplificati per liquidazione, accordi di ristrutturazione dei debiti, ecc. Ad esempio, il Concordato Semplificato (art. 104-bis CCII) è una procedura semplificata di liquidazione concordata riservata alle PMI, con tempi e requisiti agevolati.
L’attenzione è riservata al punto di vista del debitore, in particolare delle PMI. I piccoli imprenditori sono spesso i più colpiti dalla crisi e possono accedere sia agli strumenti ordinari (se superano la soglia di fallibilità) sia alle procedure semplificate e di sovraindebitamento (se non la superano). Ad esempio, una piccola S.n.c. familiare (il cui bilancio non supera i limiti di cui all’art. 2086 c.c.) potrà attingere al sovraindebitamento o ai piani attestati/accordi, mentre una S.r.l. medio-piccola potrà valutare la composizione negoziata o il concordato semplificato in continuità. Gli strumenti introdotti dal 2019 con correttivi successivi cercano proprio di coprire l’intero spettro di situazioni: dal piccolo imprenditore in crisi lieve (strumenti stragiudiziali), al medio imprenditore in crisi seria (concordato o liquidazione con supporti), fino al grande imprenditore insolvente conclamato (liquidazione giudiziale). In ogni caso, le norme favoriscono la soluzione conservativa della continuità ove possibile: come dispone l’art. 7 CCII, se sono proposte più domande (es. concordato vs liquidazione giudiziale), il tribunale esamina prima gli strumenti diversi dalla liquidazione, purché non penalizzino i creditori.
2.7 Tabella comparativa delle procedure di crisi
Per chiarezza, la Tabella 2 confronta sinteticamente i principali strumenti di regolazione della crisi d’impresa, indicando presupposti, soggetti ammessi e obiettivi principali.
Procedura | Debitori ammessi | Scopo principale | Caratteristiche salienti |
---|---|---|---|
Composizione negoziata | Imprenditori commerciali sopra soglia in crisi (anche PMI) | Accordo transattivo extragiudiziale con creditori per risanamento | Procedura stragiudiziale; esperto indipendente; impresa in crisi trattativa confidenziale; imprenditore mantiene gestione; misure protettive possibili (art. 54 CCII). |
Concordato preventivo in continuità | Imprenditori commerciali insolventi (no imprenditori minori) | Proseguimento aziendale con ristrutturazione debiti | Procedura giudiziale; piano di ripresa dell’attività con soddisfazione creditori secondo piano; tutela posti di lavoro. |
Concordato preventivo liquidatorio | Imprenditori commerciali insolventi (no minori) | Liquidazione controllata del patrimonio aziendale con soddisfacimento creditori secondo piano | Procedura giudiziale; piano che prevede la vendita di beni e ripartizione ricavi; esso può essere preferito se la continuità non è possibile. |
Accordi di ristrutturazione | Grandi imprenditori insolventi con debito ≥ 30 mln (≅ex art.182-bis) | Ristrutturazione del debito fuori fallimento | Accordo stragiudiziale omologabile dal tribunale se approvato da creditori qualificati; richiede relazione di affidabilità dell’organo di controllo. |
Sovraindebitamento (piano del consumatore) | Debitori non fallibili (consumatori, PMI sotto soglia) in squilibrio | Ripianare debiti con ristrutturazione/eliminazione di parte di essi | Procedura stragiudiziale (Tribunale); piano di ristrutturazione omologato per piccoli debiti; favorisce chi è non fallibile, prevede obbligo di liquidazione del patrimonio eccedente. |
Liquidazione giudiziale (fallimento) | Imprenditori commerciali sopra soglia, insolventi (debiti ≥ 30k) | Liquidazione coatta dei beni del debitore per pagare i creditori | Procedura giudiziale; il curatore vende attività, paga creditori in concorso; blocco delle esecuzioni individuali; imprenditore perde amministrazione. |
Questa tabella evidenzia come imprenditori di diversa dimensione e in diversi stati di crisi possano scegliere lo strumento più adatto: le PMI “minori” spesso prediligono vie stragiudiziali e piani semplificati, mentre le imprese più grandi utilizzano le procedure ordinarie (concordato, liquidazione giudiziale) come ultima risorsa. In ogni caso, tutte le misure si rifanno al principio della par condicio creditorum e della massimizzazione del valore residuo per i creditori e per l’impresa.
3. Interazioni tra operazioni straordinarie e crisi d’impresa
Le operazioni societarie straordinarie possono integrare le strategie di gestione della crisi d’impresa. Ad esempio, un piano concordatario può prevedere lo scorporo o la fusione di rami per migliorare la fattibilità economica dell’accordo. L’art. 116 CCII disciplina l’uso di fusioni, scissioni o trasformazioni nel piano concordatario: si prevede che tali operazioni possano essere eseguite durante la procedura o dopo l’omologazione, e che i creditori possano contestarne la validità solo mediante opposizione all’omologazione. Inoltre, per queste operazioni straordinarie «trovano applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni del Capo X del Titolo V del libro V del codice civile». In altre parole, il Codice della crisi ha creato una sorta di disciplina speciale, derogatoria del diritto ordinario, per armonizzare l’attuazione delle fusioni e scissioni nell’ambito concorsuale.
Ad esempio, un’impresa in concordato con continuità potrebbe decidere di fondere una controllata sana con sé stessa, oppure di scindere un ramo in crisi cedendolo. Secondo dottrina notarile, l’opposizione dei creditori va esercitata all’omologazione del piano e non al momento dell’atto straordinario in sé. In pratica, il piano di concordato deve allegare tutti i dettagli di progetto dell’operazione straordinaria (rapporto di cambio, assegnazioni) in modo che i creditori interessati possano opporsi per tempo.
Allo stesso modo, l’impresa in liquidazione giudiziale può ricorrere a una cedente/incorporante in sede di amministrazione controllata o di piano di liquidazione, ove il curatore ponga in essere fusioni, cessioni o affitti di ramo per massimizzare l’incasso. Gli articoli specifici del codice civile sugli organi e procedure di fusione/scissione rimangono applicabili “in quanto compatibili”. L’imprenditore/debitore deve dunque considerare l’impatto di tali operazioni sulla capacità di rientrare dai debiti: ad esempio, una fusione per incorporazione prima dell’apertura di un concordato può essere vista con cautela, perché i creditori della società incorporata hanno diritti di opposizione per la loro tutela. D’altro canto, tali operazioni possono creare valore aggiunto (ad es. sinergie da merger) che rende i piani di rientro più percorribili.
Tabella 3: Effetti delle operazioni straordinarie in contesto concorsuale e tavolo negoziale
Operazione | In concordato preventivo | In composizione/accordi stragiudiziali |
---|---|---|
Fusione | Può essere prevista nel piano; la validità può essere contestata solo con opposizione all’omologazione; applicazione derogata (speciale) cap. X civ. se incompatibile. | Implica modifica società, ma in trattativa esterna è possibile solo con accordo di tutti; non è tipica di fase negoziale. |
Scissione | Similmente alla fusione; consente di isolare attività e debiti per facilitare la ristrutturazione; contestazioni come sopra. | Come sopra, è uno strumento contrattuale o societario indipendente da procedura (bisogna accordarsi con soci o consorziati). |
Trasformazione | Può essere parte del piano (es. trasformazione da S.p.A. in S.r.l.) con modalità analoghe (art. 116 CCII). | È liberamente realizzabile fuori procedura (non richiede omologazione), purché nel rispetto degli adempimenti civili. |
Conferimento | Può avvenire durante o dopo il concordato (via progetto nel piano); creditori possono essere informatizzati con pubblicità. | Normale operazione privata; in caso di accordi esterni, si negozia come parte dell’accordo di ristrutturazione. |
Liquidazione volontaria | N/A (contrasta con la continuità del concordato). | N/A (in composizione negoziata non si procede a vera liquidazione giudiziale). |
Questa interazione evidenzia che, in presenza di procedure concorsuali, le operazioni straordinarie devono essere attuate con particolare prudenza procedurale e rispetto dei diritti dei creditori. Spesso, esse arricchiscono i piani di risanamento rendendo possibile la sopravvivenza dell’attività principale mentre si scaricano rami in perdita. Gli esperti e i professionisti del diritto consigliano sempre di prevedere nel piano tutti i dettagli dell’operazione (documenti necessari) affinché sia trasparente e opponibile.
4. Esempi concreti di ristrutturazione e risanamento
Per dare concretezza alle procedure illustrate, proponiamo alcuni casi studio simulati in contesto italiano, sottolineando come le operazioni straordinarie e le misure concorsuali possano essere impiegate in combinazione per gestire crisi reali.
- Caso 1: Piccola società commerciale in sovraindebitamento. La NegozioDiCasa S.n.c., con due soci illimitatamente responsabili, ha accumulato €50.000 di debiti verso fornitori e banca. Non supera le soglie di fallibilità (fatturato annuo €80.000, attivo €30.000), quindi non può andare in concordato preventivo. I soci denunciano lo stato di sovraindebitamento e presentano un piano del consumatore (art. 134-bis L.3/2012, ora CCII) al tribunale di Rovereto. Nel piano propongono di pagare il 30% dei crediti ratealmente in 4 anni, dopo aver liquidato alcuni beni strumentali non più utili. Il tribunale, valutando il piano, omologa l’accordo. I fornitori accettano il taglio del 70% del loro credito, evitando procedure esecutive; i soci pagheranno 50€/mese dalla vendita di alcuni mobili. Questo piano (dopo omologa) protegge i creditori accettanti da pignoramenti e sospende l’azione del Fisco. L’esempio mostra come il sovraindebitamento consenta a microimprese e consumatori di evitare fallimento (che non era neanche ipotizzabile) vendendo attività non essenziali e rimandando il pagamento dei debiti legali.
- Caso 2: Trasformazione e conferimento per ricapitalizzare l’impresa. La Metalwork S.r.l. ha vissuto anni difficili e necessita di investimenti nuovi. I soci decidono di trasformare la S.r.l. in S.p.A. (per facilitare l’ingresso di terzi) e contemporaneamente conferiscono un ramo non strategico a una newco nella quale entrano finanziatori esterni. In tal modo, Metalwork Inc. (nuova S.p.A. risultante dalla trasformazione) si libera di un’attività non redditizia, mentre i nuovi soci finanziano il capitale sociale per rilanciare il core business. Queste operazioni, fatte in via volontaria prima di una crisi conclamata, permettono una ristrutturazione patrimoniale pulita: la S.p.A. gode di nuova liquidità e il conferente ottiene azioni della conferitaria come investimento. L’esempio mostra come le operazioni straordinarie possano essere usate come strumenti proattivi di riorganizzazione, in ottica di “rescue”, senza necessità di entrare in procedure concorsuali.
- Caso 3: PMI in crisi con concordato semplificato. Ciao S.r.l., impresa commerciale con 15 addetti, è insolvente (debiti €200.000, attivi €120.000). A causa delle sue dimensioni sotto soglia e del settore, opta per il concordato preventivo semplificato per la liquidazione del patrimonio (ex art. 104-bis LF, ora CCII). Presenta un piano che consiste nella vendita del magazzino e degli arredi negozio con incasso stimato €150.000, da destinare per il 70% ai fornitori privilegiati e il 30% agli altri creditori. Il tribunale convoca i creditori, e poiché il piano garantisce per ogni classe di creditori la percentuale minima dovuta (rispetto a una immaginaria liquidazione interna), omologa l’accordo. In sostanza, Ciao S.r.l. assolve ordinatamente il 70% dei debiti, con uno sconto sostanzioso riconosciuto da tutti (accettato non avere il 30% finale dei crediti), mentre procede alla chiusura controllata dell’attività. Questo caso dimostra come il concordato semplificato (novità del nuovo diritto fallimentare) faciliti la gestione concordata della crisi per le piccole imprese, riducendo tempi e costi rispetto a un fallimento ordinario.
In ogni scenario, le tabelle comparative e i punti salienti delle procedure dovrebbero sempre essere affiancati da consulenza legale adeguata: la complessità delle norme richiede un’analisi caso per caso, soprattutto in presenza di continuità aziendale o di operazioni straordinarie con effetti sui terzi.
5. Domande frequenti (FAQ)
D1. Qual è la differenza tra crisi, insolvenza e sovraindebitamento?
Lo stato di crisi è una fase in cui l’impresa manifesta segnali di difficoltà finanziaria (ritardi di pagamento, perdita di margini, ecc.) che la espongono a rischio insolvenza futura. L’insolvenza è la situazione in cui l’imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente le obbligazioni mature (incapacità conclamata di pagare), rilevata da eventi obiettivi (pignoramenti, protesti, giacimenti di crediti scaduti). Il sovraindebitamento descrive un caso particolare: riguarda debitori non fallibili (ad es. consumatori, professionisti, piccole imprese) che hanno un dissesto finanziario grave (i debiti superano il patrimonio liquidabile), ma non rientrano nelle procedure dell’insolvenza perché non soddisfano le soglie del fallimento.
D2. Cosa succede se un’impresa in crisi non interviene con nessuna procedura?
Se l’imprenditore in difficoltà non adotta interventi preventivi (assetti di crisi, composizione negoziata, ecc.) e non avvia una procedura concorsuale quando non potrebbe più pagare i debiti, può incorrere nel reato di bancarotta (omessa denuncia di insolvenza) e rischia il fallimento coattivo, che attribuisce il curatore alla liquidazione forzata del patrimonio. Le norme spingono a usare gli strumenti disponibili per evitare situazioni irreversibili, in linea con il principio di intervento precoce.
D3. Quando conviene usare la composizione negoziata e quando il concordato preventivo?
La composizione negoziata è più adatta quando l’impresa è in crisi ma non ancora formalmente insolvente, vuole riservatezza e flessibilità, e desidera mantenere la gestione diretta. È un percorso stragiudiziale veloce, ma richiede che i creditori (banche, fornitori, fisco) siano disposti a trattare. Il concordato preventivo, invece, è una procedura giudiziale per imprese già insolventi (debito scaduto) che necessitano di un riconoscimento formale. Produce effetti più vincolanti (omologazione in tribunale) e consente ristrutturazioni più profonde, incluse modifiche legali (ad es. debiti erariali defiscalizzati). Spesso si ricorre al concordato se la negoziazione bonaria fallisce o quando è necessario coinvolgere giuridicamente tutti i creditori secondo classi.
D4. Qual è la differenza tra concordato in continuità aziendale e con liquidazione?
Nel concordato in continuità l’azienda prosegue l’attività nei piani presentati, spesso con un nuovo gestore o soggetto che entra nell’impresa. Il piano prevede il soddisfacimento dei debiti tramite i flussi futuri generati dall’attività stessa. Lo scopo è risanare e salvare l’impresa, preservando i posti di lavoro. Nel concordato liquidatorio, al contrario, l’attività viene chiusa (o drasticamente ridimensionata) all’interno del piano, e i creditori ricevono quanto dovuto attraverso la vendita degli asset. È una via di fatto per liquidare ordinatamente l’impresa con l’approvazione giudiziale, anziché farla chiudere tramite fallimento “classico”. La scelta dipende dall’analisi costi-benefici: se l’azienda ha prospettive di ripresa, si preferisce la continuità; se l’azienda non è sostenibile, si opta per un piano liquidatorio che massimizzi il ricavato patrimoniale.
D5. Cosa significa “imprenditore sotto soglia” e quali procedure può usare?
Il CCII distingue gli imprenditori minori (sotto soglia) da quelli maggiori: si considerano sotto soglia, ad esempio, le imprese individuali o le società di persone che non superano determinati limiti di fatturato o attivo patrimoniale. Gli imprenditori sotto soglia non sono soggetti alla dichiarazione di insolvenza ex art. 2 CCII, per cui non possono chiedere il concordato preventivo tradizionale. Essi rientrano nelle norme sul sovraindebitamento e possono accedere a piani specifici (ad es. piano del consumatore o accordo del debitore). Inoltre, hanno a disposizione il concordato semplificato (per la liquidazione del patrimonio) se risultano insolventi ma di dimensione ridotta. In sintesi, se un piccolo imprenditore è in crisi grave, attiva il sovraindebitamento o, se possibile, la composizione negoziata; il concordato ordinario è riservato agli imprenditori più grandi.
D6. Nel concordato preventivo si possono includere operazioni straordinarie?
Sì. Il piano di concordato può prevedere trasformazioni, fusioni o scissioni dell’impresa debitrice come parte integrante delle misure di risanamento. Ad esempio, si può decidere di scindere un ramo dell’azienda debitrice in un’altra società come parte del piano. La normativa (art. 116 CCII) stabilisce che in tali casi i creditori possono opporsi alla validità dell’operazione solo mediante opposizione all’omologazione del concordato, e richiede specifici adempimenti (pubblicazione del piano) per informare i creditori interessati. In sostanza, operazioni straordinarie nel concordato sono possibili, ma devono essere trasparenti e approvate collettivamente per diventare efficaci.
D7. Quali sono gli obblighi degli amministratori in caso di crisi?
Il Codice della crisi impone agli amministratori (e in genere agli organi di controllo) di adottare tempestivamente gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati per rilevare la crisi. Ciò significa, per le società di capitali e di persone, dotarsi di pianificazioni e monitoraggi (budget, analisi di sostenibilità del debito, ecc.) e, appena emergono fatti di crisi, segnalare l’eventuale ricorso alle procedure di allerta o di composizione negoziata. Gli amministratori che omettono di attivarsi in caso di dissesto rischiano responsabilità verso la società e i creditori, oltre a possibili sanzioni personali. In caso di fallimento/liquidazione giudiziale, gli amministratori sono sottoposti a inibizioni (dichiarazione di fallimento) e devono collaborare con il curatore.
D8. Che differenza c’è tra liquidazione ordinaria e liquidazione giudiziale?
La liquidazione ordinaria è un atto volontario dei soci per sciogliere e liquidare la società (art. 2484 c.c.), gestito dai liquidatori nominati. L’impresa liquida i debiti e ripartisce il residuo attivo ai soci; tale procedura si svolge nell’interesse dei soci, senza coinvolgimento del tribunale se non per cancellazione finale. La liquidazione giudiziale è invece una procedura concorsuale coatta (fallimento) che interviene su insolvenza dell’imprenditore. In quest’ultima, i liquidatori (curatore e giudice) agiscono principalmente nell’interesse dei creditori, non dei soci, e le regole di soddisfazione del passivo sono gestite secondo le norme della legge fallimentare (ora CCII). In sintesi: la liquidazione ordinaria è chiusura concordata della società quando può pagare i debiti o non vuole continuare; quella giudiziale è forzata per insolvenza, con priorità ai creditori.
D9. Come funzionano le tutele per i creditori privilegiati?
Il codice tutela i creditori privilegiati (es. banche, Erario) permettendo loro di essere soddisfatti almeno nel valore realizabile delle garanzie. Nel concordato preventivo, il piano può disporre una moratoria sul pagamento dei crediti privilegiati anche superiore all’anno, a condizione di assicurare comunque un rimborso proporzionale (art. 84, c.5 CCII). Gli artt. 93-99 CCII (accrual agreement) regolano la priorità dei crediti fatti in vista della crisi (prededuzione) e la durata dei pignoramenti prefissata. Nella composizione negoziata, invece, le misure protettive (art. 54 CCII) vietano ai creditori di far valere le garanzie inopinatamente, sospendendo azioni esecutive durante l’accordo. Detto in soldoni: se un creditore garantito accetta un piano, può averlo dilazionato; se non accetta, nei limiti di legge non può sottrarre i suoi diritti (può comunque rivalersi sui beni specifici nei modi consentiti).
D10. Dove trovare aggiornamenti su normative e giurisprudenza?
Nella sezione finale troverete un elenco delle principali fonti normative e giurisprudenziali aggiornate. In particolare, si segnalano le ultime novità: i Decreti correttivi 147/2020, 83/2022 e 136/2024 (c.d. «correttivi-ter») che hanno modificato il CCII; recenti pronunce di Cassazione sul sovraindebitamento (es. Cass. 23/12/2024, n.34150) e sul concordato (es. Cass. 2024 n.16932); e le voci critiche di riviste e manuali. Consigliamo inoltre la consultazione di siti specializzati (rivista Diritto della Crisi, Quesiti d’Impresa di Avvocati Cartelle, blog notarili e commercialisti), che forniscono analisi commentate di casi e circolari ministeriali.
6. Conclusioni
La gestione delle operazioni societarie straordinarie e delle crisi d’impresa in Italia richiede oggi una comprensione articolata delle norme del Codice Civile e del Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019), nonché degli strumenti giurisprudenziali e prassi in evoluzione. Questo testo ha illustrato come fusione, scissione, trasformazione, conferimento, cessione, liquidazione volontaria si inseriscano nei meccanismi di ristrutturazione aziendale, affiancandosi agli strumenti di crisi (composizione negoziata, concordato, liquidazione giudiziale, sovraindebitamento) destinati ad aziende di ogni dimensione. Dal punto di vista del debitore (e in particolare delle PMI), è essenziale conoscere le diverse opzioni per scegliere il percorso più efficace: nelle situazioni di difficoltà, l’adozione tempestiva di assetti di allerta e l’accesso a procedure negoziali o concorsuali può fare la differenza tra risanamento e fallimento. Le tabelle di riepilogo e i casi esemplificativi aiutano a orientarsi nella selezione degli strumenti, ma ogni situazione ha le sue specificità. Ci auguriamo che questa guida avanzata, aggiornata a giugno 2025, fornisca una base chiara e approfondita per professionisti, imprenditori e operatori del diritto interessati a comprendere a fondo le potenzialità e i rischi di ogni operazione straordinaria e di ogni procedura di crisi, fornendo spunti operativi e legali utili nella prassi.
Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali aggiornate
- Codice civile (Libro V, Titolo V, Cap. X): articoli 2342-2466 (conferimenti), 2498-2499 (trasformazione), 2500-2500-sexies (trasformazione capitali), 2501-2504 (fusione), 2506-2506-ter (scissione, con novità art.2506-bis/2023), 2556-2560/2466 (cessione/affitto d’azienda), 2484-2489 (scioglimento e liquidazione volontaria).
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, ss. mm.ii.): in particolare: definizioni art.2; allerta e composizione negoziata artt. 12-25; concordato preventivo e concordato semplificato (artt. 84-96, 104-bis); piani attestati e accordi (art.56, 105-116); liquidazione giudiziale (artt. 166-220, sostituendo fallimento); sovraindebitamento (artt. 128-129, 133-147); misure protettive e prededuzione (artt. 53-61, 54-60). Modifiche introdotte da D.Lgs. 83/2022, 136/2024, D.Lgs. 118/2021 (conv. L.147/2021, 176/2020, ecc.).
- Legge fallimentare (L. 267/1942): in vigore fino al 15/7/2022 per i casi pendenti; articoli richiamati dal nuovo codice (es. atti di fallimento ex art. 128-169 L.F., ora art. 93-105 CCII; concordato ex art. 160-186 L.F., ora artt. 84-96 CCII).
- Normativa sul sovraindebitamento: Legge n.3/2012 (abrogata, tuttora fonte per i “piani del consumatore”), DM 202/2014 sui requisiti degli Organismi di composizione della crisi (OCRI).
- Giurisprudenza recente: Cass. civ., Sez. I, 23 dicembre 2024 n.34150 (moratoria nel concordato del debitore sovraindebitato); Cass. civ., Sent. 5 agosto 2024, n.16932 (diritti di legittimazione dei creditori nel concordato preventivo); varie pronunce di T.A.R. e Tribunali (Bergamo, Napoli, Siracusa, ecc.) sul concordato semplificato e sulle misure protettive in composizione negoziata.
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