Il Ricorso Alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado

Hai ricevuto un avviso di accertamento o una cartella esattoriale che ritieni ingiusta? Ti stai chiedendo come fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, quali sono i tempi, i costi e soprattutto se puoi difenderti in modo efficace contro il Fisco?

Presentare ricorso è un diritto del contribuente, ma bisogna farlo con precisione, nei tempi previsti e con argomentazioni solide. Un errore nella forma, nei termini o nella documentazione può rendere il ricorso inammissibile o farlo rigettare.

Vediamo insieme quando si può ricorrere alla Corte tributaria, cosa serve, come si svolge il giudizio e in che modo possiamo aiutarti a far valere le tue ragioni.

Quando si può presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado?
Ogni volta che ricevi un atto impositivo – come:

  • un avviso di accertamento;
  • una cartella esattoriale;
  • un avviso di liquidazione;
  • un diniego di rimborso;
  • o altri atti dell’Agenzia delle Entrate, dell’Agenzia delle Entrate Riscossione o dell’ente locale.

Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, salvo sospensioni o proroghe particolari.

Come si presenta il ricorso?
Il ricorso va redatto in forma scritta e depositato:

  • telematicamente tramite il portale della Giustizia Tributaria (obbligatorio per chi è assistito da un professionista);
  • oppure, in certi casi, ancora in forma cartacea per i contribuenti non obbligati all’uso del telematico.

È fondamentale indicare i motivi per cui si contesta l’atto, allegare documenti, e nominare un difensore (se necessario). Per importi superiori a 3.000 euro è obbligatorio farsi assistere da un avvocato o da un commercialista abilitato.

Come funziona il giudizio?
Dopo il deposito, l’ufficio riceve una copia del ricorso e può:

  • costituirsi in giudizio, presentando le proprie difese;
  • oppure proporre una conciliazione o un accordo.

La Corte di Giustizia Tributaria esamina le memorie e convoca l’udienza. Al termine, i giudici emettono una sentenza, che può:

  • annullare l’atto impugnato;
  • confermarlo in tutto o in parte;
  • rinviare per integrazioni.

Si può sospendere il pagamento durante il ricorso?
Sì. Se il contribuente dimostra un danno grave e irreparabile, può chiedere alla Corte una sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, in attesa della sentenza.

Cosa succede dopo la sentenza?
Se la sentenza è favorevole, l’atto viene annullato e il contribuente può richiedere la restituzione delle somme eventualmente già versate. Se sfavorevole, è possibile presentare appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado entro 60 giorni.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa del contribuente – ti spiega come funziona il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, quali errori evitare e come possiamo aiutarti a costruire una difesa solida.

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Il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado

Il ricorso tributario costituisce l’atto giudiziario mediante il quale il contribuente contesta davanti al giudice tributario l’atto impositivo o esecutivo dell’amministrazione finanziaria. Dal 2024 le Commissioni tributarie di primo e secondo grado sono state trasformate nelle Corti di giustizia tributaria (CGT) di primo e secondo grado, con giudici togati a tempo pieno. Il contribuente può impugnare il provvedimento fiscale avverso il quale ritiene di aver subito un danno, richiedendo l’annullamento dell’atto e – se del caso – la condanna dell’ente impositore al rimborso degli importi indebitamente pagati. Le principali innovazioni legislative del 2022-2023 hanno introdotto il contraddittorio preventivo obbligatorio (art. 6‑bis Statuto del contribuente) e nuovi rimedi deflattivi, ma il cuore del contenzioso tributario resta il ricorso in primo grado innanzi alla CGT. In questa guida analizziamo tutte le fasi del processo di primo grado dal punto di vista del contribuente, con esempi pratici e riferimenti a leggi e giurisprudenza recenti (fino al 2025).

1. Struttura della giustizia tributaria

La giurisdizione tributaria si articola su due gradi di merito:

  • La Corte di giustizia tributaria di primo grado (ex Commissione provinciale), che decide sulle impugnazioni introdotte dai contribuenti. È competente territorialmente in base al domicilio fiscale del contribuente.
  • La Corte di giustizia tributaria di secondo grado (ex Commissione regionale), che decide gli appelli contro le sentenze di primo grado.
    Gli atti impugnabili e le controversie comprendono tutte le imposte (statali, regionali, locali, contributi) e le relative sanzioni tributarie, nonché questioni catastali. La competenza esclusa riguarda solo materie riservate ad altre giurisdizioni (per esempio certe sanzioni amministrative non tributarie). Di norma il collegio giudicante è composto da tre magistrati, ma per controversie di modico valore (fino a 3.000 € di tributo contestato) può giudicare un giudice unico.

Le Corti di giustizia tributaria giudicano anche su atti non strettamente impositivi: ad esempio iscrizioni a ruolo e cartelle di pagamento, provvedimenti di diniego o revoca di agevolazioni fiscali, atti catastali, silenzi-rifiuto sui rimborsi, ecc. In base all’art. 2 del D.Lgs. 546/1992 (codice del processo tributario) «rientrano nella giurisdizione tributaria non solo gli atti impositivi in senso stretto, ma anche quelli concernenti rimborsi di imposta, iscrizioni a ruolo, cartelle di pagamento, provvedimenti di diniego o revoca di agevolazioni fiscali, e così via».

2. Atti impugnabili e oggetto del ricorso

L’elenco tassativo degli atti autonomamente impugnabili è contenuto nell’art. 19 D.Lgs. 546/92 (aggiornato con novità 2023). I principali atti elencati sono:

  • Avviso di accertamento o di liquidazione del tributo (imposte dirette, IVA, altri tributi).
  • Provvedimenti sanzionatori fiscali (ad es. cartelle di violazioni tributarie, avvisi di contestazione su Omessa Dichiarazione IVA, etc).
  • Iscrizione a ruolo ed atto di riscossione (cartella di pagamento). Per le cartelle, la notifica della cartella vale anche come notifica del ruolo sottostante.
  • Avviso di mora per ritardato pagamento (es. tributi autostrade, IMU, ecc.).
  • Provvedimenti di ipoteca o fermo fiscale (su beni immobili o mobili registrati).
  • Atti catastali (rettifiche o ispezioni catastali) previsti dall’art. 2, comma 2, D.Lgs. 546/92.
  • Rifiuto espresso o tacito di rimborso tributi (art. 19, lett. g) D.Lgs. 546/92): ad esempio il diniego dell’Agenzia Entrate a restituire imposte versate in eccesso. In tali casi il giudizio ha natura «impugnatoria» ma si conclude anche con condanna al rimborso, dopo accertamento del diritto del contribuente.
  • Diniego o revoca di agevolazioni fiscali (per esempio detrazioni o crediti d’imposta negati).
  • Rifiuto di istanze di autotutela (novità recentissima): con il D.Lgs. 220/2023 sono diventati impugnabili anche i dinieghi espressi o silenti delle istanze di autotutela in casi particolari (art. 10-quinquies Statuto) e delle istanze di definizione agevolata ex Statuto.
  • Decisioni di rigetto dell’accordo amichevole (art. 19, lett. h-bis, se investito).
  • Altri atti espressamente previsti dalla legge (per esempio sentenze arbitrali tributarie in via impugnativa, ecc.).

Tabella riepilogativa – Atti impugnabili (art. 19 D.Lgs. 546/92):

Tipo di attoEsempi concreti
AccertativiAvviso di accertamento/liquidazione delle imposte
SanzionatoriAvviso di violazione tributaria, cartella di sanzioni
RiscossioneIscrizione a ruolo, cartella di pagamento
CatastaliRettifiche catastali (art.2 co.2)
Rimborsi/agevolazioniDiniego di rimborso IVA o imposte; diniego/revoca agevolazioni
AutotutelaRigetto istanza autotutela (art.10-quater/quinquies Statuto)
Definizioni agevolateRigetto domanda di rateizzazione ordinaria o concordato fiscale (se previsto)
Altri attiAltri casi espressamente previsti dall’ordinamento

Gli atti non espressamente elencati nell’art. 19 non sono autonomamente impugnabili e possono essere impugnati solo per vizi connessi con un atto impugnabile (per es., la mancata notifica di un avviso non impedisce comunque di impugnare il ruolo seguente). Inoltre ogni atto impugnabile deve indicare il termine per il ricorso e il giudice competente.

3. Termini e competenza processuale

Il ricorso in primo grado deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnato (art. 21 D.Lgs. 546/92). Questo termine inizia a decorrere dalla data di notifica dell’atto: per es., da quando viene consegnato l’avviso di accertamento o la cartella. Si noti che “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”: in pratica, se si riceve una cartella, il conteggio inizia comunque da quel momento.

L’istanza di rimborso amministrativo (autotutela) interroga i termini in questo modo: il contribuente può presentare la domanda di rimborso entro i termini di legge (di solito 2 anni dal pagamento). Se l’ufficio non risponde entro 90 giorni (silenzio-rifiuto) o respinge la richiesta, il contribuente può impugnare davanti alla CGT il silenzio/rifiuto dopo 90 giorni dalla domanda. In tale caso il termine di 60 giorni inizia a decorrere dalla comunicazione del diniego espresso (se c’è). In breve: ricorso entro 60 gg dalla notifica, salvo i casi di silenzio-rifiuto in materia di rimborso, per cui il ricorso si propone “dopo il 90° giorno” dalla domanda.

La competenza territoriale del giudice tributario di primo grado è determinata dal domicilio fiscale del contribuente (in mancanza, dal luogo in cui è notificato l’atto). Ci sono talune eccezioni (per esempio beni immobili nello stesso comune, redditometro, carichi affidati ad altro ente), ma in linea generale il contribuente deve rivolgersi alla Corte CGT provincialmente competente in base al proprio domicilio.

4. Presentazione del ricorso

L’atto di impugnazione – ricorso per Cassazione tributario non esiste – prende la forma di un documento telematico depositato presso la CGT competente. Attualmente il deposito del ricorso si effettua obbligatoriamente per via telematica attraverso il Portale della Giustizia Tributaria (SIGIT). Dopo aver notificato il ricorso all’ufficio resistente (con la documentazione di rito), il contribuente o il suo difensore deve infatti depositarlo in segreteria entro 30 giorni, allegando copia firmata digitalmente e documentazione. Al momento del deposito, il difensore ottempera al pagamento del Contributo Unificato Tributario (C.U.T.), che varia in funzione del valore della causa (in generale da qualche decina di euro fino a 120€ o più; importi esatti indicati dall’art. 52 D.Lgs. 546/92).

Il ricorso deve essere redatto in forma scritta e contenere tutti gli elementi essenziali: giudice adito, parti in causa (con indicazione di CF/PI), atto impugnato (tipo, data e autorità che lo ha emesso), motivi di ricorso (fatti e questioni di diritto) e conclusioni (es. “si chiede l’annullamento dell’atto e la condanna al rimborso di X€”), con firma digitale del difensore. Se la controversia supera il limite di 2.582,28 €, il ricorrente è obbligato all’assistenza di un difensore abilitato (avvocato tributarista, commercialista o altro professionista iscritto agli albi previsti). Nel ricorso è buona prassi chiedere sin dall’intestazione l’adozione della sospensione dell’atto impugnato (art. 47), indicando anche eventuali cauzioni già versate, poiché in caso di accoglimento il giudice ordinario disporrà subito il congelamento dell’atto.

Il difensore deve anche inserire nell’atto il proprio indirizzo di PEC. Una volta effettuato il deposito telematico, il fascicolo è integrato con tutti gli atti notificati e depositati e rimane elettronico per tutti i gradi (art. 25‑bis, introdotto con riforma 2023): pertanto non è necessario depositare nuovamente in appello gli stessi documenti e il giudice non considera atti su supporto cartaceo non acquisiti telematicamente. È fortemente consigliato scannerizzare e depositare con firma digitale anche tutti gli originali cartacei pertinenti (procure, deleghe, documenti probatori, ricevute, ecc.) per evitare problemi di ammissibilità in seguito.

5. Effetti del ricorso: sospensione del pagamento

La presentazione del ricorso non produce automaticamente la sospensione del debito tributario. Tuttavia la legge prevede uno stop automatico all’esecuzione se il contribuente versa una cauzione o una percentuale del tributo impugnato al momento del ricorso. In particolare, attualmente l’art. 47 D.Lgs. 546/92 stabilisce che, per ottenere la sospensione dell’atto impugnato, il contribuente deve presentare una garanzia (cauzione in contanti o fidejussione) pari ad almeno il 20% dell’importo tributario contestato. In pratica, se il contribuente contesta una cartella o un accertamento, può ottenere la sospensione esecutiva del ruolo se versa il 20% del tributo indicato, contestualmente al deposito del ricorso. In mancanza di tale versamento, l’atto non si sospende automaticamente e l’Agenzia Entrate-Riscossione può continuare le procedure esecutive.

L’interesse del contribuente è dunque valutare sin da subito se chiedere il congelamento cautelare del tributo (versando la cauzione) oppure rischiare l’andata in esecuzione durante il giudizio. Spesso conviene versare almeno una parte per non aggravare interessi e sanzioni. In ogni caso, se il ricorso viene accolto, l’importo versato a titolo di garanzia è restituito al contribuente (o detratto da quanto dovuto). Se invece il ricorso è respinto, la somma cauzionale viene incamerata dallo Stato.

Oltre all’effetto sospensivo ordinario, il giudice tributario può sempre disporre misure cautelari d’urgenza (anche monocratiche) su istanza del contribuente. Ad esempio, in casi gravissimi di imminente confisca o gravame insopportabile, può ordinare temporaneamente la sospensione del ruolo anche senza cauzione (art. 47, comma 7). Altrimenti resta fermo che il rimedio cautelare principale è l’accollo della cauzione (o la domanda al giudice ordinario competente per l’esecuzione, in casi particolari).

6. Svolgimento del giudizio di primo grado

Con il deposito del ricorso si costituisce il giudizio tributario di primo grado. Le fasi principali sono:

  • Costituzione dell’amministrazione resistente: L’ente impositore (solitamente l’Agenzia delle Entrate o Entrate-Riscossione) deve costituirsi depositando la memoria di costituzione e risposta entro 60 giorni dalla notifica del ricorso (art. 23 D.Lgs. 546/92). Anche l’adesione tardiva di un ente locale o di altri eventuali coobbligati deve avvenire entro termini analoghi. In tale memoria l’amministrazione espone le proprie ragioni difensive, documenti e deduzioni. Il termine non è perentorio, ma è consigliato rispettarlo: in caso di deposito tardivo i giudici potrebbero escludere le nuove difese o documenti addotti in ritardo. Dopo la costituzione della controparte, si apre la fase istruttoria.
  • Memorie e documenti: Prima dell’udienza, le parti depositano documenti e memorie a sostegno delle rispettive tesi. In particolare il ricorrente può depositare un’ulteriore memoria integrativa (o documenti) entro i 60 giorni successivi alla notifica del ricorso, per aggiungere elementi utili (art. 23 D.Lgs. 546/92). La controparte ha 60 giorni di tempo dalla notifica del ricorso per depositare il proprio atto di costituzione e gli eventuali documenti. Il giudice fissa poi udienza e scadenze precise: ad esempio, la legge prevede che fino a 20 giorni liberi prima dell’udienza le parti possono depositare nuovi documenti, e fino a 10 giorni prima possono depositare memorie conclusionali. (Tutti i depositi avvengono oggi solo in via telematica, e la violazione delle modalità tecniche non inficia il deposito se regolarizzato entro breve termine.)
  • Udienza di discussione: Di regola il giudice tributario decide la causa in camera di consiglio previa discussione orale. Ciò significa che, alla data dell’udienza fissata dal presidente, le parti si limitano a richiamare i motivi esposti nel ricorso e nella memoria di risposta. Non esistono “prove testimoniali” tipiche come nel civile (salvo nuovi casi eccezionali). In alcuni casi particolari (ad es. riscontro di valori in imposta, comparazioni, perizie), il giudice può ammettere consulenti tecnici (art. 7 D.Lgs. 546/92) o acquisire prove documentali pregresse. Ma soprattutto il dibattimento è semplificato: il giudice già conosce gli atti, e si limita a sentire brevi “riepiloghi” dai legali delle parti, finali osservazioni e repliche. Non vengono normalmente introdotte prove nuove in udienza.
  • Decisione: La sentenza di primo grado viene emessa in forma scritta e deve essere notificata alle parti. Deve contenere il dispositivo (accoglimento o rigetto del ricorso) e la motivazione sintetica ma esplicita. Con l’ultima riforma, il legislatore ha introdotto anche la possibilità della sentenza semplificata in camera di consiglio all’udienza (art. 54‑bis D.Lgs. 546/92): in pratica, se la causa è di facile soluzione (“manifesta evidenza”), il giudice può pronunciarsi con dispositivo immediato fissando motivazioni più brevi nei giorni successivi.

Alla sentenza di primo grado sono generalmente collegate le spese di giudizio: se il ricorso è accolto, il giudice condanna l’ente all’annullamento dell’atto e al rimborso del contributo unificato versato dal ricorrente, oltre agli eventuali interessi legali. Se invece il giudizio si conclude con soccombenza del contribuente (ricorso respinto), questi rimane gravato dalle spese di giudizio e può subire iscrizione di ipoteca esattoriale o pignoramenti sui suoi beni a copertura del debito.

7. Rimborsi e dinieghi: azione di condanna

Il ricorso per rimborso di imposte pagate in eccesso ha natura particolare: costituisce un’azione di condanna. Infatti, come chiarisce la Cassazione e la prassi, l’art. 19, lett. g) D.Lgs. 546/92 impugna il «rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni ed interessi non dovuti». In questi casi il contribuente non agisce come convenzionale “reo” di una pretesa tributaria già formalizzata, ma come “attore” che domanda il riconoscimento di un credito verso lo Stato. Nella sentenza di accoglimento del ricorso per rimborso, perciò, il giudice si limita a constatare che il diritto alla restituzione esiste e condanna l’ente alla corresponsione delle somme.

Dal punto di vista pratico, è importante sapere che la motivazione contenuta nel provvedimento amministrativo di diniego non vincola l’Amministrazione in giudizio. Recentemente la Cassazione ha ribadito che, nel giudizio tributario sul rimborso, l’Agenzia delle Entrate è libera di presentare nuove argomentazioni giuridiche rispetto a quelle formulate nel diniego, senza incorrere in alcuna “ultrapetizione”. Questo perché il diniego espresso di un rimborso non è un atto impositivo ma un rifiuto che non deve esaurire tutte le ragioni, perciò all’amministrazione è consentito ampliare le proprie difese in giudizio. Ne deriva che il contribuente, in questo giudizio, assume la posizione di attore e deve dimostrare la fondatezza del credito reclamato.

Un altro aspetto importante riguarda l’onere probatorio: secondo Cass. 23666/2023, la mancanza di documentazione allegata alla domanda di rimborso non invalida l’istanza e non può essere causa di rigetto. In questo caso l’ufficio dovrebbe avviare un contraddittorio amministrativo per chiedere integrazioni, anziché respingere automaticamente la domanda. In sostanza, se il contribuente dimentica di allegare certi documenti alla richiesta di rimborso, il ricorso per silenzio‑rifiuto maturato resta ammissibile: il giudice potrà ordinare all’ente di acquisire d’ufficio le prove rilevanti e valutare il merito. Anzi, la Suprema Corte ha affermato che il fisco non può pretendere dal contribuente la produzione di atti già in suo possesso: se l’amministrazione ha già ricevuto per vie traverse le certificazioni (ad es. delle ritenute subite), essa è tenuta a utilizzarle ex art. 6, comma 4, L. 212/2000 anziché chiederle nuovamente. In tal modo il contribuente non subisce danno per proprie mancanze formali nell’istanza: semmai avrà la possibilità di integrarle prima del processo.

Box di approfondimento – Diniego di rimborso: secondo la prassi, nel giudizio tributario una volta accertata l’insussistenza dell’atto impositivo, il rimborso richiesto dal contribuente si configura come domanda di condanna parallela. Ne consegue che il giudice, accogliendo il ricorso, annulla il diniego amministrativo e ordina all’ente di restituire le somme (con interessi), trattandosi di prelievo non dovuto. Il contraddittorio in tribunale ha dunque carattere contabile e l’Agenzia, non avendo emanato un atto impositivo positivo da annullare, contesta sostanzialmente la fondatezza del diritto al rimborso.

8. Altri strumenti e aspetti processuali

Prima di ricorrere al giudice, il contribuente può tentare forme stragiudiziali: ad esempio l’autotutela amministrativa (richiesta di annullamento o rettifica di un atto viziato) oppure procedure conciliative. Dopo la riforma, il ricorso per il diniego d’autotutela non annulla l’atto originario ma consente al giudice di ordinare all’ufficio di riesaminare l’atto (condanna alla riapertura in autotutela). Inoltre, la presentazione dell’istanza di autotutela sospende i termini del ricorso tributario fino a 90 giorni dal deposito (rapporto a scadenza).

Non esistono invece fasi di “pre-ricorso” obbligatorie nel contenzioso tributario (il vecchio istituto del reclamo-mediazione era stato abolito). È possibile tuttavia proporre accordi transattivi oppure ricorrere alla conciliazione giudiziale (facoltativa) presso la CGT anche in appello. Nel processo tributario non si svolgono fasi istruttorie formali complesse: ad esempio non è ammessa la deposizione diretta di testimoni di parte, salvo pochi casi eccezionali di recente introduzione. Ciò detto, le prove (compravendite, registri contabili, testimonianze indirette) possono essere raccolte in via documentale (con frontespizi, perizie asseverate, CTU) prima dell’udienza o durante eventuali conferenze di contumacia.

Domande frequenti:

  • Chi può proporre il ricorso? Può ricorrere il soggetto a cui è diretto l’atto impositivo (o il suo erede/subentrante). Ad esempio il conduttore se il locatore omette di versare le ritenute IRPEF, il socio o la società estinta se legittimati, ecc. Anche un sostituto d’imposta può ricorrere (ad esempio per proprio credito d’imposta). Il difensore deve essere autorizzato (procura alle liti, ora con firma digitale) se necessario.
  • Cosa succede se il ricorso è fondato? Il giudice annulla l’atto impugnato e condanna l’ente all’eventuale restituzione delle somme indebitamente riscosse. Le spese processuali vengono di solito compensate: il contribuente ottiene il rimborso del contributo unificato e può vedere ridotte o azzerate le spese a suo carico.
  • E se il ricorso è respinto? La sentenza di rigetto vale come una condanna alle spese: il contribuente dovrà corrispondere le spese legali e potenzialmente pagare immediatamente quanto dovuto all’Erario (salvo adeguati accordi con l’Agenzia Riscossione). In molti casi, però, il contribuente recupera le somme già versate perché la cartella era già stata sospesa dall’esito del ricorso.
  • Entro quanto si paga la Cauzione? Se si vuole la sospensione dell’atto, la cauzione del 20% va versata contestualmente al deposito del ricorso, in assenza di accordo giudiziario d’urgenza.

9. Esempi pratici

Simulazione 1 – Avviso di accertamento IRPEF: Alfa S.r.l. riceve un avviso di accertamento IRPEF di €100.000 (anno 2021) notificato il 10/2/2025, contenente sanzioni e interessi. Il contribuente decide di fare ricorso alla CGT entro 60 giorni (21/4/2025). Viene redatto il ricorso telematico, firmato dall’avvocato, con indicazione del C.U.F., la descrizione dei fatti e i motivi (per es. nullità per mancato contraddittorio obbligatorio ai sensi dell’art. 6-bis L. 212/2000, illegittimità di calcoli, mancata prova, ecc.). Contestualmente versa il 20% (€20.000) come cauzione e lo deposita via SIGIT. Notifica copia del ricorso all’Agenzia Entrate (PEC/ raccomandata). Nei 60 gg successivi l’Agenzia deposita le sue controdeduzioni. In camera di consiglio, i giudici accolgono il ricorso per vizi di procedura e annullano l’avviso; Alfa ottiene il rimborso della cauzione versata.

Simulazione 2 – Cartella esattoriale: Il signor Rossi riceve il 1/6/2025 una cartella di pagamento di €15.000 per tasse locali non versate. Prova subito a sanare con un rateizzo ad AER, ma non riceve risposta. Dopo 60 giorni (1/8/2025) decide di impugnare la cartella per eccesso di recupero. Redige il ricorso, indicando tutti i dati (numero cartella, ruolo annesso, motivi come prescrizione o errato avviso). Depone a giugno 2025 la cauzione (20% di €15.000 = €3.000) per sospendere il ruolo. Deposita il ricorso e la prova del versamento nei termini richiesti. In giudizio Rossi dimostra che il tributo era già prescritto. Il giudice annulla la cartella. Rossi recupera la cauzione e ottiene il rimborso delle spese di ricorso.

Simulazione 3 – Diniego di rimborso IVA: La ditta Beta Srl presenta all’Agenzia Entrate istanza di rimborso IVA per €50.000 (IVA versata in eccesso). L’ufficio, passato un anno, invia un diniego sostenendo mancanza di presupposti. Beta impugna il silenzio-rifiuto per rimborso: redige il ricorso, cita l’art. 19/lett. g e dimostra documentalmente di aver diritto al rimborso. In giudizio contesta la motivazione dell’ufficio e chiede accertamento del suo credito. La CGT accoglie il ricorso, annulla il diniego e condanna l’Agenzia a versare gli €50.000 (più interessi) nel termine indicato.

Fonti normative e giurisprudenziali

  • Costituzione della Repubblica Italiana, art. 111 (diritto al giusto processo).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Codice del processo tributario), artt. 2, 19, 21, 22, 23, 25-bis, 47, 52 (contributo unificato).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), artt. 6, 6-bis, 10, 10-quater, 10-quinquies (contraddittorio e autotutela).
  • D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 (riforma tributaria), artt. 1-4 (entrata in vigore, modifiche art.19-25-bis, ecc.).
  • Cassazione, Sezioni Unite, ord. n. 2147/2024 (su art. 19 impugnabilità).
  • Cassazione, sez. trib., ord. n. 8180/2025 (dinieghi di rimborso: l’Agenzia può integrare motivazioni in giudizio).
  • Cassazione, sez. trib., ord. n. 23666/2023 (istanza di rimborso: validità anche senza allegati e obbligo dell’ufficio di acquisire d’ufficio i documenti).
  • Corte costituzionale, sent. n. 46/2023 (sanzioni tributarie: ragionevolezza e applicazione art.7 D.Lgs. 472/1997).

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Conclusione

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