Hai un’impresa e ti stai chiedendo come capire in tempo se si sta avvicinando una crisi? Hai paura che i conti non tornino più, ma non sai se si tratta solo di un momento passeggero o di un segnale da non sottovalutare?
La diagnosi precoce della crisi d’impresa è uno degli strumenti più importanti per prevenire il fallimento e intervenire prima che sia troppo tardi. Riconoscere in anticipo i segnali di squilibrio ti permette di agire con lucidità, scegliere la strada più efficace e proteggere l’impresa, i dipendenti e il tuo patrimonio personale.
Vediamo come si fa e quali segnali tenere sotto controllo.
Cos’è la diagnosi precoce della crisi?
È un’analisi della situazione economico-finanziaria dell’impresa, volta a intercettare squilibri nei flussi di cassa, nei rapporti con i creditori, nelle scadenze fiscali e nei bilanci. L’obiettivo è capire se l’azienda riesce ancora a far fronte in modo regolare ai propri impegni.
Quali sono i segnali da non ignorare?
Ci sono diversi campanelli d’allarme:
- ritardi nei pagamenti a fornitori o dipendenti;
- continui utilizzi degli affidamenti bancari per coprire le spese correnti;
- rifiuto o revoca del credito da parte delle banche;
- perdita costante di clienti o fatturato;
- incassi che non coprono più i costi;
- debiti fiscali o contributivi non versati.
Anche solo uno di questi elementi, se ricorrente, va analizzato con attenzione.
Come si effettua concretamente la diagnosi?
Serve una valutazione professionale e oggettiva dei dati aziendali, che includa:
- analisi degli indici di allerta previsti dalla normativa;
- verifica della sostenibilità del debito a breve termine;
- controllo della posizione verso Erario, Inps e fornitori;
- simulazioni di cassa per i mesi successivi.
In molti casi, l’imprenditore da solo non è in grado di valutare correttamente la situazione, perché è troppo coinvolto nelle operazioni quotidiane o sottovaluta i rischi.
Cosa fare se emergono segnali di crisi?
Se la diagnosi conferma un rischio concreto, è possibile attivare strumenti di risanamento o ristrutturazione, come la composizione negoziata, che consente di negoziare con i creditori senza subire esecuzioni, oppure valutare un piano di rilancio o un accordo stragiudiziale.
E se si aspetta troppo?
Ritardare l’analisi può trasformare un problema gestibile in una crisi irreversibile. Inoltre, l’imprenditore rischia responsabilità personali se non interviene per tempo, specialmente in società di capitali come SRL o SRLS.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, ristrutturazione aziendale e strumenti di allerta – ti spiega come funziona la diagnosi precoce, quali indicatori analizzare e in che modo possiamo aiutarti a prevenire danni maggiori e salvare l’attività.
Hai notato segnali di squilibrio nei conti della tua azienda? Vuoi sapere se è il momento di intervenire o se ci sono soluzioni per evitare la crisi?
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Introduzione
La diagnosi precoce della crisi d’impresa è un processo sistematico finalizzato a individuare tempestivamente segnali di difficoltà economico-finanziaria in un’azienda, per adottare misure correttive prima del verificarsi dello stato di insolvenza. Dal punto di vista del debitore (imprenditori e gestori di PMI/SRL), il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (e successive modifiche) – ha introdotto un quadro normativo organico che privilegia il contrasto preventivo e la continuità aziendale. In particolare, la legge definisce come crisi d’impresa «lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi». Ciò significa che la crisi si concentra sui flussi di cassa futuri: se i flussi preventivati non bastano a coprire i debiti entro 12 mesi, lo stato di crisi si considera apparente. In questa prospettiva, il legislatore ha posto al centro l’idea della continuità aziendale, orientando tutte le norme (art. 2–3 del CCII) a preservarla attraverso la prevenzione e gestione tempestiva delle difficoltà.
Il nuovo codice ha eliminato la vecchia soglia dell’insolvenza tradizionale (rimessa a fatto esterno, cfr. art. 2 CCII) e ha sancito il superamento dell’idea di default basato solo sui mancati pagamenti. Oggi, pur sussistendo la nozione di insolvenza formale («stato del debitore con inadempimenti che dimostrano l’incapacità di pagare regolarmente», art. 2, comma 1b CCII), l’attenzione è rivolta allo squilibrio patrimoniale e ai flussi negativi. L’enfasi sui flussi di cassa rende particolarmente importante per l’imprenditore gestire il budget e la tesoreria con strumenti adeguati.
1. Obblighi del debitore e adeguati assetti organizzativi
Il debitore (l’impresa) è tenuto per legge ad attuare un sistema di allerta interno per rilevare tempestivamente la crisi. In base all’art. 3 del D.Lgs. 14/2019 e s.m.i., gli amministratori devono adottare “un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato” alle dimensioni e alla natura dell’impresa, idoneo a rilevare gli squilibri patrimoniali e finanziari e ad avviare senza indugio le misure necessarie. Ciò significa, ad esempio, organizzare la contabilità in modo ordinato, predisporre report periodici di bilancio, budget e previsioni di cassa, affidarsi a consulenti qualificati (commercialisti, avvocati, consulenti finanziari) e adottare efficaci sistemi informatici per il monitoraggio dei dati contabili e finanziari.
In pratica, l’organo amministrativo (es. l’amministratore o il consiglio) e quello di controllo (revisori/sindaci) devono collaborare per segnalare tempestivamente segnali di crisi. Secondo la giurisprudenza recente e la dottrina, gli organi di controllo hanno un obbligo specifico di intervento: se riscontrano indizi di crisi, devono segnalare per iscritto all’amministratore l’esistenza di tali indizi e suggerire di avviare una procedura di risanamento (ad es. nominare un negoziatore). L’inerzia può comportare responsabilità (art. 2407 c.c.) a carico di sindaci/revisori qualora, in caso di successivo fallimento, si rilevi la mancata segnalazione. In sostanza, il legislatore “stimola e responsabilizza l’organo gestorio” a monitorare proattivamente l’andamento patrimoniale, reddituale e finanziario aziendale.
Gli adeguati assetti richiedono inoltre che l’imprenditore pianifichi e proietti i flussi finanziari almeno a un anno (orizzonte minimo ai fini della diagnosi), analizzando costantemente ogni variazione tra previsioni e consuntivi. In tal modo si possono intercettare in anticipo segnali di squilibrio (ad es. calo vendite, aumento costi, insolvenze di clienti) e adottare misure correttive prima che la crisi diventi irreversibile. Gli strumenti tipici sono il rendiconto finanziario e il budget di tesoreria, insieme all’analisi della posizione finanziaria netta (PFN) e dei principali indici di bilancio.
2. Segnali di allarme e indicatori di crisi
Il CCII e le prassi professionali individuano una serie di indicatori quantitativi e qualitativi che fanno ragionevolmente presumere lo stato di crisi. Il legislatore riconosce che singoli indici economico-finanziari possono essere utilizzati come segnali di allerta anticipata, purché rapportati alle specificità dell’impresa. In particolare, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (CNDCEC) ha elaborato indici di allerta comuni e settoriali da utilizzare nell’analisi di bilancio.
Tabella 1 riepiloga i principali indicatori di crisi previsti dal nuovo codice (art. 13 CCII) e dalle linee guida professionali. Tra i segnali quantitativi si annoverano: patrimonio netto negativo o sotto soglia di legge (ad es. patrimoniale inferiore ai 2/3 del capitale sociale), flusso di cassa operativo negativo per oltre 6 mesi, insolvenze dei principali clienti, deterioramento del rating bancario (centrale rischi). Indici specifici (di bilancio) includono il rapporto PFN/equity, il Debt Service Coverage Ratio (DSCR, rapporto tra flussi di cassa liberi e debiti finanziari a breve), il rapporto oneri finanziari/ricavi, l’adeguatezza patrimoniale (PN/totale debiti), il grado di liquidità (attivo circolante/passivo a breve), la redditività dei flussi (cash-flow/attivo), e l’incidenza del debito tributario/previdenziale sul totale attivo.
Indicatore/Segnale | Descrizione e soglia di allarme | Riferimenti |
---|---|---|
Patrimonio netto (PN) | PN negativo o inferiore al limite legale (ad es. < 2/3 del capitale sociale) → presunzione di crisi. | [39] |
DSCR (Debt Service Coverage) | Flussi di cassa liberi attesi a 6 mesi / quote di rimborso debiti finanziari → DSCR < 1 segnala situazione di allerta. | [39] |
Oneri finanziari/ricavi | Rapporto interessi passivi (art. 2425) su ricavi netti → soglie differenziate per settore (CNDCEC). Valori elevati indicano difficoltà di sostenibilità finanziaria. | [39] |
PN/Debiti totali | Rapporto PN/totale debiti (commerciali, finanziari, ratei). Soglie di allerta settoriali (CNDCEC). | [39] |
Liquidità breve | Attivo a breve termine / passività a breve termine (circolante). Valori bassi segnalano tensione di cassa. | [39] |
Cash Flow/Attivo | Cash flow (utile + costi non monetari – ricavi non monetari) / totale attivo. Indice di redditività dei flussi. Se negativo o molto basso, predispone allarme. | [39] |
Indeb. previd./tributario | (Debiti INPS + debiti fiscali) / totale attivo. Elevata incidenza di debiti erariali/previdenziali sul patrimonio è segnale di crisi incombente. | [39] |
Ritardi nei pagamenti | Debiti retribuzioni >60 giorni ≧ metà della paga mensile; debiti fornitori >120 giorni ≧ ai debiti non scaduti. Questi ritardi reiterati presuppongono crisi. | [38] |
Altri segnali qualitativi | Perdita di mercato, disallineamenti competitivi, contenziosi, turnover dirigenti, modifiche normative, ecc. (ISA 570). L’assenza di prospettive di continuità spinge alla crisi. | [38] |
Oltre agli indici numerici, il legislatore indica espressamente come segnali di allarme anche i ritardi gravi nei pagamenti di salari o fornitori e “l’assenza delle prospettive di continuità aziendale”. Tali indicatori non sono ricavabili dal bilancio tradizionale, ma devono essere monitorati dagli amministratori. L’art. 13 c.3 CCII prevede inoltre che l’impresa possa presentare nella nota integrativa indici alternativi, individuati a seconda della propria specificità, purché adeguatamente motivati. Gli indici e i segnali vanno interpretati gerarchicamente: ad esempio, un PN negativo o sotto soglia è di per sé già sintomo di crisi irreversibile; in caso contrario si passa al DSCR e poi agli indici di settore.
3. Monitoraggio dei flussi finanziari
Fondamentale nella diagnosi è l’analisi dei flussi di cassa aziendali. Come ricorda la prassi, «i flussi di cassa acquisiscono un valore speciale», poiché riflettono direttamente la capacità dell’azienda di generare risorse per far fronte agli impegni pianificati. L’imprenditore deve periodicamente predisporre un rendiconto finanziario e un budget di tesoreria, suddividendo le entrate e le uscite operative, finanziarie e straordinarie. In linea con le disposizioni del Codice, sono particolarmente utili: il rendiconto finanziario (cash flow operativo, d’investimento e di finanziamento) e la posizione finanziaria netta (PFN). Un cash flow operativo costantemente negativo, un ricorso continuativo a finanziamenti esterni o la distrazione di liquidità dalla gestione quotidiana sono segnali che la gestione non sta generando flussi sufficienti.
Tabella 2 – Esempi di flussi di cassa (ipotetici)
Voce | Entrate (a breve) | Uscite (a breve) | Flusso netto | Indicatore |
---|---|---|---|---|
Flusso operativo (CFO) | + Ricavi vendita, + incassi clienti | – Costi operativi, – Stipendi | (Entrate–Uscite) | Segno negativo persistente = allarme. |
Flusso investimenti (CFI) | + Contributi pubblici, cessioni asset | – Acquisto macchinari, – Immobilizzazioni | Entrate–Uscite | Eccessivo = riduce liquidità. |
Flusso finanziario (CFF) | + Nuovi finanziamenti | – Rimborsi prestiti | Entrate–Uscite | Indebitamento in aumento => segnale. |
PFN (Pos. Fin. Netta) | N/D | Debiti finanziari–Liquidità | Utile/(Perdita) | PFN positiva alta = rischio di indebitamento. |
Nota. Il flusso operativo netto negativo protratto (mese su mese) è uno dei segnali più critici di squilibrio finanziario. La prassi indica l’obbligo di redigere un budget di tesoreria almeno semestrale, in modo da prevedere a 6-12 mesi la copertura delle uscite. In particolare, la normativa prevede che gli amministratori adottino strumenti per “rilevare qualsiasi tipologia di difficoltà, di tipo sia economico che finanziario”. Ciò può includere l’uso di software di gestione (ERP, tesoreria) e la verifica periodica della Centrale dei Rischi di Banca d’Italia, come auspicato dalle Linee Guida ministeriali. In caso di flussi negativi o scenario di deficit prospettico, l’imprenditore deve pensare immediatamente a misure di contenimento dei costi, ristrutturazione dei debiti o ricerca di nuove fonti di finanziamento, nel rispetto degli obblighi legali.
4. Strumenti giuridici per la gestione della crisi
Quando dai monitoraggi emergono segnali di crisi, l’imprenditore può attivare vari strumenti giuridici previsti dal nostro ordinamento, anche in forma combinata, per risanare l’impresa. Le soluzioni vanno scelte in base all’entità dello squilibrio, alla dimensione aziendale (PMI vs grandi imprese), e al grado di cooperazione dei creditori. Di seguito una panoramica dei principali strumenti di risanamento (cfr. art. 41 e ss. CCII):
- Composizione negoziata della crisi (D.Lgs. 118/2021, art. 25 e seguenti): è una procedura stragiudiziale facoltativa introdotta dal legislatore (modifiche CCII del 2021-2022) e aperta a tutte le imprese (anche sotto soglia). L’impresa in crisi può domandare al Ministero della Giustizia di avviare trattative assistite nominando un esperto (negoziatore) indipendente. L’esperto, in forma confidenziale, facilità le negoziazioni tra debitore e creditori (inclusi fisco e INPS, che possono segnalare in anticipo) per definire un piano di risanamento con misure di ristrutturazione. Vantaggi: tempi rapidi, riservatezza e incentivi (dalla moratoria fiscale alla forza degli accordi anche sui dissenzienti). Si tratta di uno strumento flessibile e volontario, pensato per stimolare l’autonomia privata: infatti il legislatore ha vietato ogni forma di interferenza giudiziaria in questa fase (il PM non può attestare la fattibilità del piano, al contrario di altre procedure). La composizione negoziata rappresenta di fatto la principale novità di imminente operatività (dopo varie proroghe) nel panorama delle PMI italiane, con l’obiettivo di favorire trattative tempestive anziché arrendersi all’insolvenza.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII): strumenti stragiudiziali già noti, rimodernati dal nuovo codice. Il debitore può negoziare un accordo quadro con i creditori (banche, fornitori, ecc.), concordando dilazioni di pagamento o modifiche del debito. Se l’accordo è sottoscritto da creditori che rappresentano l’85% dei crediti e viene presentato al tribunale, può ricevere omologazione giudiziale anche contro il dissenso dei creditori privilegiati (c.d. cram-down fiscale/pensionistico sotto art. 182-ter l.Fall., D.Lgs. 83/2022). In pratica, i nuovi accordi di ristrutturazione sono simili ai piani attestati di risanamento: richiedono un professionista incaricato di verificare la coerenza dell’operazione, ma possono essere realizzati privatamente senza dover passare attraverso il concordato, grazie alle garanzie legali sull’adesione dei creditori. Questi strumenti sono indicati quando è necessario il consenso giudiziale per vincolare l’intera compagine creditoria.
- Concordato preventivo (art. 84 e ss. CCII): procedura giudiziale di risanamento o liquidazione supervisata dal tribunale. L’impresa (non “piccola” secondo parametri normativi) può chiedere il concordato presentando un piano che assicuri ai creditori una percentuale di soddisfazione non inferiore a quella ottenibile in liquidazione (piani in continuità o liquidativi). Il concordato consente all’imprenditore di ottenere il congelamento delle azioni esecutive e di riorganizzare debiti e attività. A differenza della composizione negoziata, richiede l’intervento del tribunale e il voto favorevole dei creditori; d’altro canto può disciplinare situazioni più gravi e offre effetti erga omnes. Nel 2022 sono state introdotte semplificazioni (es. concordato semplificato per imprese di minor dimensione) e incentivi per accelerare i tempi.
- Liquidazione giudiziale (fallimento): misura di ultima istanza per l’impresa insolvente. Anche se formalmente non mirata alla continuità, il nuovo codice ne ha ammorbidito l’impatto – ad es. permettendo forme di “concordato fallimentare” e favorendo accordi di ristrutturazione anche in questa fase (art. 182-bis l.Fall., art. 57 CCII). Tuttavia, il fallimento porta alla liquidazione forzata del patrimonio ed espone l’imprenditore a responsabilità civili e penali (a tutela dei terzi). Viene considerato “rimedio estremo” quando tutte le altre soluzioni siano impraticabili.
- Amministrazione straordinaria (L. 270/99 “Prodi bis”): procedimento speciale riservato alle grandi imprese in crisi di rilevanza strategica nazionale. Pur non destinato alle PMI, è un cardine del sistema per le realtà che occupano molti dipendenti o sono primarie in un settore (es. FIAT, Alitalia, grandi industrie). Prevede un commissario straordinario che sovrintende a piani di ristrutturazione in continuità.
- Legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012): per debitori non fallibili (consumatori, professionisti, imprenditori minori). Sebbene non applicabile alla maggior parte delle PMI o SRL, vale la pena citarla: introduce procedure analoghe (accordi di ristrutturazione dei debiti, liquidazione del patrimonio residuo) in forma semplificata per categorie protette. Anche alcune piccole imprese agricole o start-up innovative possono ricorrere ad essa in casi di grave crisi.
- Transazioni e misure ad hoc: Oltre alle procedure “classiche”, il debitore può attivare strumenti complementari: piani di ristrutturazione del debito bancario con garanzie SACE o Mediocredito, cessioni di asset non strategici, fusioni o acquisizioni simulate, accordi con l’Agenzia delle Entrate per la dilazione dei debiti fiscali (art. 67, co.3 D.P.R. 602/1973) o con INPS per ritardare versamenti contributivi (nei limiti di legge). Spesso il successo della ristrutturazione dipende da azioni operative razionali da parte del debitore (contrazione dei costi, rilancio di linee strategiche) prima ancora che da formalismi procedurali.
Tabella 3 – Strumenti di composizione della crisi (principali)
Strumento giuridico | Destinatari | Finalità ed effetti |
---|---|---|
Composizione negoziata | Imprese in difficoltà (anche PMI/SRL sotto soglia) | Procedura stragiudiziale volontaria di ristrutturazione: nomina di un esperto negoziatore che facilita accordi con creditori (banche, fisco, INPS, fornitori). Piano di risanamento confidenziale. Incentivi: moratorie (anche fiscali) e vincolo anche sui dissenzienti (cram-down). Visata dell’autorità giudiziaria solo per omologazione del piano finale. Nessun intervento del PM (non considerata concorsuale). |
Accordi di ristrutturazione dei debiti | Imprese con sofferenze (anche sotto e sopra soglia) | Negoziazione privata di un piano di ristrutturazione. Se l’accordo coinvolge creditori per almeno il 60-85% del debito (a seconda della tipologia), si può chiedere omologazione in tribunale anche contro dissenzienti (art.182 bis l.Fall. / art. 57 CCII). Vantaggi: possibilità di cedere l’autonomia con intervento giudiziario mirato a favorire la continuità, senza aprire un concordato completo. Richiede relazione di professionista attestante sostenibilità del piano. |
Concordato preventivo | Imprese non minori (sotto/o sopra soglia) | Procedura ufficiale di risanamento o liquidazione. Il debitore propone un piano (con continuità o liquidazione) che fissa la soddisfazione percentuale dei creditori. Necessita del voto favorevole delle categorie creditorie e del tribunale. Effetti: sospensione dell’azione esecutiva, anatocismo congelato, trattamento differenziato dei creditori. La nuova disciplina del concordato (introdotta da D.Lgs. 83/2022) enfatizza la continuità aziendale e prevede forme semplificate (concordato semplificato) per alcune imprese. |
Liquidazione giudiziale | Imprese insolventi conclamate (fallimento) | Dissoluzione coatta con ruolo del curatore fallimentare. Lo stato di crisi si trasforma in insolvenza legale; l’azienda diviene patrimonio fallimentare. L’obiettivo è soddisfare i creditori vendendo i beni (con possibile tentativo di concordato in corso di fallimento art. 162–173, e accordi di ristrutturazione). In alcuni casi, se esistono creditori con progetto (es. offerenti), si cerca la continuità di ramo d’azienda (art. 104 c.p.c.). |
Amministrazione straordinaria | Grandi imprese in crisi sistemica | Procedura pubblica di gestione sotto controllo ministeriale. Preserva l’azienda in continuità (se tecnicamente ed economicamente fattibile) con commissari straordinari nominati dal Governo. Rivolta alle imprese di rilevante interesse nazionale (tipicamente occupazione elevata o filiere strategiche). È un istituto residuale, non applicabile alle PMI. |
Legge sul sovraindebitamento | Consumatori, professionisti, PMI molto piccole | Regime speciale extragiudiziale. Consente piani di ristrutturazione dell’indebitamento (acc. di ristrutt. o liquidazione del patrimonio residuo) per soggetti non ammessi al fallimento. Interessa marginalmente l’imprenditore “privato” in crisi. L’efficacia è limitata a piccoli importi (sotto alcune soglie) ed è strettamente regolata. |
(Fonte: elaborazione su CCII e prassi attuativa)
5. Simulazioni pratiche
Per comprendere come agire nella realtà italiana, si presentano di seguito alcuni scenari esempi (casistiche ipotetiche) che potrebbero verificarsi in una PMI/SRL in crisi e le conseguenti misure di diagnosi e intervento.
Esempio 1 – Calo improvviso del fatturato e tensione di liquidità: Una piccola azienda manifatturiera (SRL di 30 dipendenti) subisce un calo del 25% del fatturato in un anno a causa di perdita di mercato. I costi fissi (ammortamenti, affitti, stipendi) restano in gran parte invariati. Dopo tre mesi i flussi di cassa operativi diventano negativi (incassi insufficienti a coprire pagamenti). Nel bilancio di fine anno emergono debiti verso fornitori oltre 90 giorni e ritardi nella consegna contributi INPS. Gli indicatori (PN/Debiti, Liquidità) superano le soglie di allerta. L’imprenditore aggiorna il budget a 12 mesi e constata che, senza interventi, il capitale circolante negativo porterà all’insolvenza.
Azioni consigliate: Avviare immediatamente un revisione delle spese, sospendendo investimenti non necessari e negoziando dilazioni con fornitori. Parallelamente, convocare sindaci/revisori e consulenti esterni per analizzare i conti; essi potrebbero attivare la segnalazione prevista dall’art. 15 CCII. Se le difficoltà sembrano temporanee (es. recupero mercato possibile), valutare la composizione negoziata della crisi con un piano di rilancio (eventuale nuovo finanziamento bancario collegato al piano di risanamento). In alternativa, predisporre un accordo di ristrutturazione dei debiti con le banche e l’Erario (art.182-ter L. Fall.), che possa ottenere omologazione anche senza il consenso di fisco e INPS. L’obiettivo è ripianare il debito su tempo e ristabilire flussi positivi a medio termine.
Esempio 2 – Accumulo di debiti tributari e previdenziali: Una SRL di servizi, operante in Lombardia, registra all’improvviso pagamenti fiscali saltati per 120 giorni a causa di tensione di cassa. In breve, si accumulano debiti verso Agenzia delle Entrate e INPS che superano €100.000, pari al 10% del suo debito totale. Ai sensi del CCII, questa esposizione previdenziale/tributaria rileva come indice di crisi (oltre a possibili segnalazioni automatiche degli enti pubblici). L’azienda rischia pignoramenti. Gli indici di bilancio (PFN, DSCR) entrano in allarme.
Azioni consigliate: Non ignorare la segnalazione: il legale della società consiglia di comunicare proattivamente con gli enti creditori. Si può richiedere una rateizzazione/concordato fiscale (ex art. 67 D.P.R. 602/1973) e un piano di dilazione contributiva (ex art. 34 DL 18/2020, convertito in L. 27/2020), in modo da evitare inadempimenti. Contestualmente, l’azienda in difficoltà si rivolge ad un consulente e valuta il concordato preventivo in continuità: presenta al tribunale un piano di soddisfazione dei creditori (banche, erario, INPS) che preveda ristrutturazioni dei debiti (anche con moratorie pluriennali) e la conservazione dei posti di lavoro. Per convincere i creditori, allega analisi di continuazione d’esercizio e un impegno di investimento su un nuovo mercato. Questa procedura ha l’effetto di sospendere le azioni esecutive (compresi pignoramenti fiscali) e le scadenze tributarie per il tempo stabilito dal giudice.
Esempio 3 – Difficoltà strutturali di settore: Una PMI metalmeccanica all’esaurirsi di un ciclo di commesse si trova con vendite dimezzate. Sebbene non abbia debiti scaduti rilevanti, i piani previsionali al 18 mesi mostrano flussi di cassa consistenti negativi. I soci decidono di avviare una diagnosi organizzativa: emergono inefficienze produttive e strategia commerciale da ripensare. L’organo amministrativo redige nuovi indici di allerta specifici nel bilancio (es. valore del magazzino, livello di utilizzo della capacità produttiva) per motivare in nota integrativa le loro esigenze.
Azioni consigliate: Ristrutturare l’impresa internamente (reengineering, formazione, digitalizzazione) parallelamente alla ricerca di un partner o investitore, con cui potrebbe essere stipulata una convenzione in moratoria preventiva (accordo c.d. “in bianco”, ex art. 182-ter). Anche in questo caso, la composizione negoziata può essere adeguata per aprire trattative ufficiali con banche e fornitori, supportate da un piano industriale aggiornato.
In tutti i casi, è cruciale agire prima che la crisi diventi conclamata (insolvenza legale): la legge vuole premiare il debitore proattivo. Come più volte ricordato dall’interpretazione giudiziale, lo stato di crisi è misurato con i parametri dei flussi e degli squilibri («lo stato di bisogno» a conoscenza del debitore) e la tempestiva attivazione degli strumenti di risanamento serve a evitare esiti più drammatici.
6. Domande frequenti (FAQ)
- D: Come distinguere crisi da insolvenza?
R: La crisi è uno stato di potenziale insolvenza misurato sui flussi di cassa a 12 mesi. Non è richiesta una situazione di default ancora effettiva. L’insolvenza, invece, si verifica quando i debiti sono realmente scaduti e il debitore non può più adempiere regolarmente (art. 2 CCII). La legge vuole intervenire in anticipo sulla crisi, prima che i segni esterni di insolvenza si manifestino. - D: Cosa deve fare il debitore se emergono segnali di crisi?
R: Deve innanzitutto documentare questi segnali con dati contabili aggiornati (bilanci, budget, centrale rischi) e coinvolgere gli organi di controllo. Se i segnali superano le soglie di allerta, l’amministrazione deve adottare senza indugio misure idonee (es. ristrutturazione costi, negoziazione con creditori). È consigliabile attivare subito i professionisti (commercialisti, avvocati tributaristi) e valutare l’accesso a procedure apposite (vedi strumenti sopra). Non agire può aggravare la situazione e aumentare la responsabilità dei gestori. - D: Cosa succede se il sindaco/revisore non segnala la crisi?
R: Il CCII (art.15) impone a sindaci e revisori di segnalare per iscritto eventuali indizi di crisi all’amministrazione e consigliarne la richiesta di nomina di un esperto negoziatore. L’inerzia di tali organi, se le crisi si concretizzano in fallimento, può determinare responsabilità patrimoniali ai loro danni (art. 2407 c.c.). Anche per l’imprenditore questo è un incentivo a non eludere l’obbligo di vigilanza: se il sindaco o revisore ravvisano anomalie (per esempio, flussi operativi negativi continuativi), dovranno formalmente avvisare gli amministratori. - D: Quando è utile la composizione negoziata?
R: È particolarmente indicata quando l’impresa è in fase iniziale di difficoltà e vuole negoziare la ristrutturazione in modo rapido e riservato. Si rivolge anche a società di piccole dimensioni (anche sotto soglia contabile). Offre un percorso amichevole per concordare piani con banche, fornitori e fisco, mantenendo autonomia gestionale e riservatezza. Non sostituisce però un concordato: se i problemi sono gravi o i creditori rifiutano, si passerà a soluzioni giudiziarie. - D: Cosa differenzia un accordo di ristrutturazione da un piano attestato?
R: Entrambi sono piani di risanamento negoziati, ma l’accordo di ristrutturazione (art.57 CCII) spesso coinvolge esclusivamente finanziatori professionali (banche, obbligazionisti) e diventa vincolante dopo omologa. Il piano attestato (ex art.56 CCII) – ora assorbito dalla composizione negoziata – era storicamente allegato ai concordati o alle ristrutturazioni crediti. In pratica, oggi le differenze si sono attenuate: con la composizione negoziata il piano viene sottoposto a un professionista e, dopo negoziazioni, può essere omologato in sede concorsuale. - D: Quali sanzioni rischia l’imprenditore inadempiente?
R: Oltre alle ordinarie conseguenze contrattuali (interessi di mora, escussione fideiussioni, pignoramenti), il legislatore prevede la responsabilità degli amministratori per mancato adempimento degli obblighi di diagnosi precoce (art. 2086 c.c. e segnalazione art.15 CCII). Ciò si traduce in possibile responsabilità civile verso i creditori e, in caso di omessa convocazione dell’assemblea in perdita del capitale, anche penale (art. 2486 c.c.). In sintesi, ignorare le evidenze di crisi può portare a risarcire i danni di creditori e soci. - D: Gli indici di allerta da soli obbligano all’inizio di una procedura?
R: No. Gli indici di bilancio e le soglie di allerta servono per rilevare in anticipo la crisi, ma non innescano autonomamente procedure forzate. Oggi l’ordinamento non prevede più un meccanismo “automatico” di fallimento a parametri superati. Tuttavia, il superamento persistente degli indici di rischio crea l’obbligo interno di intervenire. In pratica, se tutti gli indicatori segnano crisi (PN negativo, DSCR<1, ritardi gravi), è ragionevole presumere la crisi e adottare subito soluzioni (accordi o concordato). - D: È obbligatorio rivolgersi all’OCRI?
R: L’OCRI (Organismo di composizione della crisi nelle Camere di Commercio) era previsto dal codice originario, ma non è mai entrato in funzione. Con le recenti modifiche (D.Lgs. 118/2021 conv. 147/2021) l’OCRI e le procedure di allerta esterna sono state sospese o abrogate. Al suo posto si promuove la composizione negoziata volontaria. Pertanto, non ci si rivolge più a un organismo camerale per la segnalazione, ma piuttosto si agisce internamente o si attivano i protocolli volontari con gli istituti bancari (c.d. Ristori bancari) e con il fisco (accordi, ravvedimenti). - D: Cos’è il “test pratico di risanamento”?
R: Nell’ambito della composizione negoziata è prevista una lista di controllo particolareggiata e un test di sostenibilità del risanamento. Si tratta di una check-list di parametri (flussi di cassa, patrimoniali, occupazione) che il professionista incaricato redige per verificare la realizzabilità del piano presentato. Questa verifica, obbligatoria nella negoziazione, non è richiesta nel concordato tradizionale, ma rimane uno strumento utile per valutare le prospettive nel medio termine. - D: Come devono comportarsi i fornitori e le banche?
R: Se gli amministratori interni non intervengono, anche i creditori (in particolare quelli privilegiati come fisco e previdenza) possono segnalare all’imprenditore i debiti scaduti e suggerire l’adesione alla composizione negoziata (art. 25- novies CCII). Le banche aderenti alla moratoria (DL 18/2020 e seguenti) seguono procedure semplificate per sospendere temporaneamente i crediti esistenti. In ogni caso, il debitore dovrebbe instaurare un dialogo con tutti i creditori: l’obiettivo della normativa è proprio quello di promuovere trattative cooperative prima dell’estremo contenzioso fallimentare.
Fonti normative e giurisprudenziali
- D.Lgs. 12/1/2019, n.14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (definizioni e criteri di crisi).
- D.Lgs. 17/6/2022, n.83 – Modifiche e correttivi al Codice della crisi (attuazione Direttiva UE 2019/1023) e ss.mm.ii.
- D.Lgs. 3/3/2015, n.23 – (Decreto attuativo Direttiva UE 2014/59 sul risanamento bancario, in parte coordinato con il CCII).
- L. 3/2012 – Disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento (legge “salva-suicidi”).
- L. fallimentare (R.D. 267/1942) – Norme sul concordato preventivo, liquidazione giudiziale e amministrazione straordinaria.
- Cass. civ., ord. 8 agosto 2024, n.22474 – Il surplus da continuità aziendale rientra nell’APR: “flussi di cassa continuativi” soggetti al divieto di alterazione delle prelazioni.
- Cass. civ., ord. 29 gen. 2025, n.367 (pres. e rel. Terrusi) – Rilevante interpretazione su obblighi di assetti e verifica di continuità (simile focus alla giurisprudenza pregressa).
- Altri riferimenti normativi: Direttiva (UE) 2019/1023, art. 13 CCII (indici di allerta), art. 15 CCII (segnalazione da sindaci/revisori), artt. 25‑29 CCII (composizione negoziata), artt. 41‑56 CCII (concordato preventivo), art. 57 CCII (accordo di ristrutturazione), art. 2086 c.c. (diligenza dell’imprenditore, adeguati assetti) e art. 2407 c.c. (responsabilità sindaci).
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