Hai ricevuto una cartella esattoriale o un avviso di accertamento relativo all’IRPEF e ti stai chiedendo se quel debito è ancora valido? È possibile che sia già prescritto, ma nessuno te lo ha detto?
Capire quando si prescrivono i debiti IRPEF è fondamentale per evitare di pagare somme non più dovute. Molti contribuenti, infatti, versano importi ormai prescritti solo perché non conoscono i propri diritti. Conoscere i tempi esatti della prescrizione ti permette di difenderti, impugnare atti illegittimi e bloccare la riscossione prima che sia troppo tardi.
Quando si prescrivono i debiti IRPEF?
I debiti relativi all’IRPEF si prescrivono in 10 anni, ma con importanti precisazioni. La prescrizione comincia dal momento in cui l’atto diventa definitivo, cioè:
- dopo 60 giorni dalla notifica di un avviso di accertamento, se non viene impugnato;
- dopo la scadenza di un avviso bonario non contestato;
- dalla data in cui un ruolo è divenuto esecutivo e la cartella è stata notificata.
Attenzione: cosa interrompe la prescrizione?
Ogni atto interruttivo (come un sollecito, un’intimazione di pagamento, una nuova cartella o un pignoramento) fa ripartire il termine da capo. Questo significa che anche un debito vecchio può restare “vivo” se la riscossione è stata attiva, anche a distanza di anni.
E se non hai ricevuto nulla per molto tempo?
Se sono trascorsi più di 10 anni senza alcun atto interruttivo notificato validamente, il debito IRPEF è prescritto e non deve più essere pagato. Anche se l’Agenzia delle Entrate-Riscossione invia una cartella tardiva, puoi contestarla.
Come si verifica se il debito è prescritto?
È necessario:
- controllare la data dell’ultimo atto valido notificato;
- verificare se ci sono stati atti interruttivi nel frattempo;
- analizzare la correttezza della notifica (molti atti sono viziati o mai recapitati realmente).
Come si fa a far valere la prescrizione?
La prescrizione non si applica automaticamente. Deve essere eccepita dal contribuente, attraverso:
- ricorso alla Commissione Tributaria, se l’atto è impugnabile;
- istanza di sospensione della riscossione;
- opposizione formale nei confronti di pignoramenti o altri atti esecutivi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale – ti spiega quando si prescrive il debito IRPEF, cosa lo interrompe, e cosa possiamo fare per aiutarti a far valere la prescrizione ed evitare di pagare debiti non più esigibili.
Hai ricevuto un atto per un debito IRPEF vecchio e vuoi sapere se è prescritto? Hai dubbi sulle notifiche o temi di subire un pignoramento per un debito ormai scaduto?
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Introduzione
La prescrizione tributaria è il termine oltre il quale il debito fiscale non può più essere legalmente riscosso dall’Amministrazione finanziaria. Per i tributi erariali (come IRPEF, IRES, IVA) la regola generale stabilita dal codice civile è il termine ordinario decennale: in mancanza di diversa disciplina i diritti di riscossione si estinguono dopo 10 anni dal momento in cui il tributo è esigibile. In particolare, l’IRPEF – imposta sul reddito delle persone fisiche – non rientra fra le “prestazioni periodiche” previste dall’art. 2948 c.c., ma costituisce un’obbligazione autonoma ogni anno, per cui si prescrive decorsi 10 anni dalla sua esigibilità.
È importante distinguere il concetto di prescrizione (estinzione del diritto di credito) da quello di decadenza (perdita del potere di imporre o riscuotere). I termini di decadenza sono termini perentori oltre i quali l’Amministrazione perde il potere di accertare o riscuotere (a titolo esemplificativo, l’avviso di accertamento o la cartella notificati oltre i termini legali). Se la decadenza si verifica, il debito fiscale si considera inesistente in radice. Al contrario, la prescrizione comporta che, una volta maturata, il credito rimane formalmente esistente ma non più esigibile, estinguendosi automaticamente. Fintantoché non scadono né i termini di decadenza né quelli di prescrizione, il contribuente è tenuto al pagamento, e gli atti formali (avvisi, cartelle, pignoramenti, ecc.) possono interrompere o sospendere i termini prescrizionali.
Questa guida analizza dal punto di vista del contribuente-debitore i termini applicabili all’IRPEF, sia nella fase di accertamento che in quella di riscossione, esaminando la normativa principale (Codice Civile, Statuto del Contribuente 212/2000, D.P.R. 600/1973, D.P.R. 602/1973, D.Lgs. 472/1997, ecc.) e la giurisprudenza più recente (Cassazione 2024-2025). Saranno anche illustrati i casi tipici di interruzione/sospensione della prescrizione, il ruolo dell’Agenzia delle Entrate e di Agenzia delle Entrate‑Riscossione nella riscossione coattiva, nonché le novità normative introdotte nel 2024-2025. Infine, la guida offre sintesi tabellari dei termini e risposte a domande frequenti, con esempi pratici di calcolo della prescrizione.
1. Principi generali: prescrizione e decadenza
L’art. 2946 c.c. stabilisce il termine di prescrizione ordinario di 10 anni per i diritti esigibili (salvo diversa legge), mentre l’art. 2948 c.c. prevede termini speciali (ad es. 5 anni per prestazioni periodiche, 3 anni per tributi locali come il bollo auto). In base alla giurisprudenza consolidata, i tributi erariali annuali (IRPEF, IVA, IRES, IRAP, canone RAI statale, ecc.) non sono considerati prestazioni periodiche continuative, ma crediti autonomi per ciascun anno d’imposta. Ne consegue che, in assenza di una specifica norma di prescrizione più breve, i debiti IRPEF definiti (ossia divenuti definitivi con sentenza passata in giudicato o semplicemente mai impugnati) si prescrivono in 10 anni dall’esigibilità del tributo. La Cassazione ha ribadito questo orientamento più volte, anche di recente. Per le sanzioni tributare (es. sanzioni per omesso versamento, omessa dichiarazione) e gli interessi di mora, invece, è previsto un termine più breve: le sanzioni amministrative tributarie si prescrivono generalmente in 5 anni (D.Lgs. 472/1997, art.20; Cass. 23397/2016), e analogamente gli interessi seguono il termine quinquennale dell’art. 2948 n.4 c.c. in quanto accessori del tributo.
I termini di decadenza, invece, sono quelli entro cui l’Amministrazione deve compiere gli atti di accertamento o di riscossione: ad esempio, l’avviso di accertamento deve essere notificato entro una certa data (pena decadenza dell’azione impositiva), e similmente la cartella di pagamento deve essere notificata entro il termine fissato dall’art. 25 del D.P.R. 602/1973 (pena decadenza dell’azione di riscossione tramite ruolo). L’inosservanza di un termine di decadenza fa venir meno il potere dell’Amministrazione di recuperare il tributo, mentre la prescrizione riguarda il decadere del diritto al recupero indipendentemente dall’esercizio del potere. In ogni caso, decadenza e prescrizione possono essere interrotte o sospese da determinati eventi (atti dell’ente, processi, norme eccezionali): vedremo più avanti questi meccanismi.
2. Normativa di riferimento
Le principali fonti normative che disciplinano i termini di decadenza e prescrizione in materia di IRPEF sono:
- Codice Civile: artt. 2934 ss. (dichiarazione d’iscrizione a ruolo, effetto, ecc.), art. 2946 (prescrizione ordinaria 10 anni), art. 2948 (prescrizioni speciali 3 o 5 anni).
- Statuto del Contribuente – L. 27 luglio 2000, n. 212: soprattutto l’art.7 (garantisce termini certi per l’accertamento fiscale, in linea con quanto previsto dai DPR 600/1973 e successivi) e l’art. 12 (informazione preventiva al contribuente), ma non dispone specifici termini nuovi oltre a quelli vigenti per legge.
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi): art.36-bis e 36-ter (liquidazione automatica e controlli formali), art.43 (termini di decadenza dell’accertamento, c.1 legge 208/2015), art.68 (termmine per iscrizione a ruolo per vizi di forma, ecc.).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Riscossione): art.25 (termini di decadenza per iscrizione a ruolo e notifica cartella, con la distinzione per debiti da liquidazioni, controlli formali e accertamenti); art.50 (intimazione di pagamento in lieu of cartella); art.25-bis (nuove regole su rateazioni, in vigore dal 8.8.2024).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472: art.20 che fissa il termine di prescrizione di 5 anni per le sanzioni tributarie (vieta la prescrizione breve per sanzioni superiori a 5 anni).
- Altre disposizioni rilevanti: legge di bilancio 2019-2020 (stralcio carichi piccoli, caducazione quinquennale L. 160/2019), legge di delega fiscale 2023 n.111/2023 con i decreti attuativi D.Lgs. 110/2024 e D.Lgs. 33/2025 (riordino riscossione, scarico automatico a 5 anni, pianificazione atti), Norme sulla pace fiscale (DL 119/2018 e 3/2020) e sul ravvedimento operoso (DLgs. 472/97, art.13).
3. Fase di accertamento IRPEF: termini di decadenza
In fase amministrativa l’Agenzia delle Entrate deve notificare eventuali avvisi di accertamento entro i termini di decadenza previsti. Dal 2016 in poi (dichiarazioni relative al periodo di imposta 2015 e successivi), l’art. 43 co.1 del DPR 600/1973, come modificato dalla L.208/2015, stabilisce che i termini di decadenza per le imposte dirette (tra cui l’IRPEF) sono:
- 5 anni dal termine di presentazione della dichiarazione (ossia entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione).
- 7 anni se la dichiarazione è omessa o nulla (ossia entro il 31 dicembre del settimo anno successivo all’anno in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata).
Questi termini si applicano alle dichiarazioni relative al 2016 (tassazione 2015) e oltre; per periodi d’imposta precedenti valeva il precedente termine ordinario di 4 anni (dichiarato) e 5 anni (omesso). In pratica, ad esempio, per una dichiarazione IRPEF relativa al 2018 presentata nel 2019, l’avviso di accertamento doveva essere notificato entro il 31.12.2023 (5 anni dopo la presentazione); se la dichiarazione era omessa, il termine sarebbe scaduto 31.12.2025. L’entrata in vigore della legge 208/2015 ha abrogato il raddoppio dei termini in caso di violazioni penali (che restava applicabile solo fino al 2015).
Il Statuto del Contribuente (L.212/2000, art.7) conferma i principi di certezza e buona fede, ma non ha introdotto termini diversi da quelli dei DPR sopra citati: pertanto i termini decadenziali di cui all’art.43 del DPR 600/1973 rimangono quelli applicabili. Vale anche ricordare che la giurisprudenza di legittimità conferma che, trascorsi i termini di decadenza, l’avviso di accertamento è nullo e il debitore può eccepire tale violazione anche in sede di giudizio (Cass. 6433/2016).
Tabella 1 – Termine di decadenza per l’accertamento IRPEF (esempi)
- Dichiarazione presentata: termine di decadenza 5 anni (31/12 del quinto anno successivo).
- Dichiarazione omessa: termine di decadenza 7 anni (31/12 del settimo anno).
- Violazioni penali (periodo ante-2016): termine raddoppiato (Cass. SS.UU. 28314/2017; abrogato dopo 2015).
4. Fase di riscossione IRPEF: decadenza e prescrizione
Una volta definito (ovvero reso definitivo) il debito IRPEF, l’Amministrazione iscrive il credito a ruolo per la riscossione coattiva. Due aspetti fondamentali vanno considerati: i termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo e per la notifica della cartella esattoriale, e i termini di prescrizione dell’obbligazione tributaria residua.
4.1 Termini di decadenza (notifica cartella di pagamento)
Il D.P.R. 602/1973, art.25 c.1, prevede termini tassativi di decadenza per la notifica della cartella esattoriale a seconda della natura del titolo imposta sottostante:
- Carichi da attività di liquidazione dichiarativa (art.36-bis DPR 600/73): cartella entro il terzo anno successivo alla presentazione della dichiarazione (o alla scadenza dell’ultima rata se questa cade nell’anno successivo).
- Carichi da attività di controllo formale (art.36-ter DPR 600/73): cartella entro il quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione.
- Carichi da avviso d’accertamento definitivo: cartella entro il secondo anno successivo a quello in cui l’avviso di accertamento è divenuto definitivo (ovvero nel secondo anno dall’esito del contenzioso tributario).
Ad esempio, se un avviso di accertamento IRPEF del 2019 diventa definitivo (non impugnato o con sentenza passata in giudicato) nel 2019, la cartella deve essere notificata entro il 31 dicembre 2021. La Cassazione a Sezioni Unite (sent. 30/11/2005, n. 23533) ha stabilito che i termini introdotti dall’Art.25 (DL 106/2005) hanno efficacia retroattiva, applicandosi anche a ruoli relativi a dichiarazioni anteriori al 2005, salvo specifici regimi transitori.
Importante: la decadenza di cui all’art.25 è perentoria e non può essere sospesa o interrotta: superato il termine legale la cartella è nulla. Ad esempio, una cartella notificata oltre il biennio dalla definizione dell’accertamento è invalida. Va comunque tenuto presente che il mancato rispetto di un termine di decadenza non cancella automaticamente il debito: il creditore potrebbe ancora tentare il recupero con altre forme (decreto ingiuntivo, pignoramento conservativo, ecc.), sebbene in pratica il contribuente possa far valere la decadenza in giudizio.
4.2 Termine ordinario di prescrizione (fase esecutiva)
Nella fase di riscossione, terminata la decadenza dell’art.25, il debito tributario – e i suoi accessori – seguono il termine generale di prescrizione di 10 anni, a meno che la legge non preveda diversamente. In particolare, il diritto alla riscossione dell’IRPEF rimasto in essere si prescrive in 10 anni dal giorno in cui il tributo era esigibile o dall’ultimo atto interruttivo valido. Anche l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in assenza di una norma speciale, per IRPEF (come per IVA, IRES, IRAP) vale il termine ordinario decennale. Quindi, una volta decorsi 10 anni (ad esempio dal 1° gennaio dell’anno successivo alla scadenza del versamento spontaneo), il debito IRPEF si estingue per prescrizione se nel frattempo non è intervenuto alcun atto interruttivo.
Da ultimo, occorre evidenziare che se il debito tributario è stato trasformato in titolo esecutivo da una sentenza passata in giudicato, la Cassazione ha ribadito che deve applicarsi il termine prescrizionale ordinario decennale (art. 2953 c.c.), anziché alcuna disciplina speciale del ruolo. In sostanza, il giudicato può essere considerato un nuovo titolo (autonomo) e il relativo credito segue il decennale, non il termine breve dell’art.25.
4.3 Sanzioni e interessi: prescrizione speciale
Le sanzioni tributarie amministrative (ad es. sanzioni per omesso versamento o omessa dichiarazione, D.Lgs. 472/1997) si prescrivono, in generale, in 5 anni dal giorno in cui sono dovute. In pratica questo significa che, se il Fisco contesta il tributo (o lo chiede con cartella), le sanzioni collegate formano un credito a sé stante che si estingue dopo 5 anni dalla maturazione del tributo stesso. Analogamente, gli interessi di mora sulle somme tributarie si prescrivono in 5 anni per effetto dell’art. 2948 n.4 c.c. (così ha confermato la Cassazione: sanzioni e interessi seguono il quinquennio anche se associati a tributi a prescrizione decennale).
In sintesi: per il debitore IRPEF, il capitale dell’imposta segue il termine decennale, mentre i carichi accessori (sanzioni/interessi) si estinguono dopo 5 anni. Si noti però che se il debito complessivo diventa definitivo con una sentenza, potenzialmente anche le sanzioni sono comprese in quella obbligazione nuova; tuttavia la giurisprudenza più recente ha comunque ribadito la regola quinquennale per sanzioni e interessi, salvo particolari diversi casi.
4.4 Tabelle riepilogative
Tabella 2 – Prescrizione dei tributi (generale)
Tributo/Prestazione | Termine di prescrizione | Riferimenti normativi/giurisprudenziali |
---|---|---|
Imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP) | 10 anni | Art. 2946 c.c.; Cass. SS.UU. 25790/2009 e ss.; ord. Cass. 19.2.2025 n.4385 |
IVA, imposte erariali indirette | 10 anni | Art. 2946 c.c.; Cass. 19.2.2025 n.4385 |
Sanzioni tributarie (D.Lgs.472/97, art.20) | 5 anni | D.Lgs. 472/1997, art.20; Cass. 23.2.2010 n.4283; Cass. 2022 n.31260; Cass. 2024 n.11113 |
Interessi di mora (tributi) | 5 anni | Art. 2948 n.4 c.c.; Cass. 2022 n.31260; Cass. 2024 n.11113 |
Tributi locali periodici (es. IMU, TARI) | 5 anni | Art. 2948 n.4 c.c.; Cass. 23.2.2010 n.4283; Cass. ord. 31260/2022 |
Tassa automobilistica (bollo) | 3 anni | D.L. 2/1986, art.5; Cass. 9.3.2018 n.9091 |
Tabella 3 – Decadenza e caducazione (alcuni esempi)
- Accertamento IRPEF – Decadenza: 5 anni (dichiarazione presentata) o 7 anni (omessa).
- Cartella IRPEF da accertamento – Decadenza: 2 anni dal definitivo (DPR 602/73, art.25).
- Cartella IRPEF da liquidazione – Decadenza: 3 anni dal termine dich. (art.25).
- Cartella IRPEF da controllo formale – Decadenza: 4 anni (art.25).
- Prescrizione ordinaria IRPEF – 10 anni dalla scadenza di pagamento (art.2946 c.c.).
- Prescrizione sanzioni/interessi – 5 anni (art.20 D.Lgs.472/97; art.2948 n.4 c.c.).
- Caducazione ruoli (2020) – Ruoli 2017-2019, 5 anni non riscossi cancellati al 31.12.2024 (L.160/2019).
- Scarico automatico (2025+) – Ruoli affidati da 2025, quote residue cancellate dopo 5 anni di affidamento (D.Lgs.110/2024).
5. Cause di interruzione e sospensione della prescrizione
Il decorso del termine prescrizionale può essere interrotto (ricomincia da capo) da specifici atti formali di esercizio del credito, e sospeso da eventi legali che bloccano temporaneamente la decorrenza (artt. 2943-2945 c.c.). Gli atti che interrompono normalmente la prescrizione tributaria includono:
- Notifica di cartella di pagamento o intimazione fiscale: l’atto di riscossione ex art.25 D.P.R. 602/73 è equiparato a un atto interruttivo. La Cassazione ha affermato che «dal momento della notifica della cartella di pagamento il termine di prescrizione si interrompe» e riparte da capo (art. 2943 c.c.), cioè la prescrizione decennale viene azzerata e ricomincia dal giorno successivo. Lo stesso vale per l’intimazione (art.50 DPR 602/73) o per qualsiasi pignoramento eseguito. In pratica, ogni volta che l’Agente della Riscossione (ex Equitalia) notifica un atto esecutivo, il conteggio dei 10 (o 5) anni ricomincia da zero.
- Richiesta di rateizzazione o transazione: l’istanza di dilazione dei ruoli (con o senza pagamenti) è considerata atto negoziale che interrompe la prescrizione. In particolare, la Cassazione (ord. 37389/2022) ha sancito che la presentazione di una domanda di rateizzazione seguita dal parziale pagamento equivale ad un riconoscimento del debito e interrompe il termine prescrizionale (ex art.2943 c.c.). Ciò vuol dire che, se il contribuente richiede una rateizzazione e versa delle somme, la prescrizione deve essere ricalcolata dal momento di tale atto. Se invece la richiesta di saldo e stralcio o rottamazione viene respinta o il contribuente decade per mancato pagamento, la prescrizione riprende a decorrere come se nulla fosse successo: il debito rinasce nelle sue condizioni originarie con i termini di prescrizione iniziali.
- Riconoscimento del debito: in genere, la semplice dichiarazione del debitore (“riconosco il debito”), se prevista in un accordo o in un atto formale, interrompe la prescrizione (art. 2944 c.c.). Tuttavia, in assenza di tale riconoscimento espresso, anche versamenti parziali spontanei possono essere valutati dal giudice come volontà di paralizzare l’azione esecutiva: la Cassazione (sent. 18/2018) ha stabilito che i pagamenti parziali non annotati come “in acconto” non interrompono la prescrizione, in quanto possono essere motivati da altre ragioni (ad es. evitare pignoramenti). In altre parole, un versamento parziale occasionale, senza esplicito riconoscimento, non equivale di per sé ad interruzione.
- Ricorso tributario: in diritto tributario la presentazione del ricorso davanti alla Commissione Tributaria (oppure un qualsiasi atto giudiziale) generalmente sospende la prescrizione fino alla decisione. Mentre il giudizio è pendente, i termini di prescrizione non scorrono (sospensione della prescrizione per litispendenza). Se però la Commissione dichiara decadenza o rigetta il ricorso per motivi formali, la prescrizione può riprendere il proprio corso.
Gli eventi di sospensione includono situazioni come la sospensione del procedimento amministrativo o fiscale da parte di legge (es. impugnazione dell’atto all’Agenzia delle Entrate, indagini penali, ecc.), ma queste hanno carattere complesso e raramente interessano il debitore normale. Un caso tipico è l’improcedibilità del procedimento esecutivo in caso di cumulo di ricorsi: fino alla definizione finale del contenzioso, il termine prescrizionale resta sospeso.
In sintesi, il contribuente deve prestare attenzione a ogni atto notificatogli: una volta notificata una cartella, il termine prescrizionale si resetta; analogamente, una dilazione seguita da pagamenti ferma il termine. Viceversa, in assenza di tali atti la prescrizione prosegue e, trascorso il decennio (per l’IRPEF), il debito si estingue.
6. Ruolo dell’Agenzia delle Entrate e di Entrate‑Riscossione
Nell’ordinamento italiano l’accertamento delle imposte sui redditi è effettuato dall’Agenzia delle Entrate, mentre la riscossione coattiva è affidata all’Agenzia delle Entrate‑Riscossione (AdER, che dal 1° luglio 2017 ha sostituito Equitalia). In fase di accertamento l’Agenzia Entrate emette avvisi di accertamento e liquidazioni; in fase di esecuzione AdER notifica cartelle di pagamento, intimazioni, ingiunzioni fiscali e svolge pignoramenti presso terzi o presso conservatorie.
Dal lato del debitore, ciò significa che due enti distinti possono intervenire: l’Agenzia Entrate invia l’atto impositivo (avviso di accertamento, atto di adesione, richiesta informazioni), mentre AdER invia tutti gli atti coercitivi per il recupero (cartella, sollecito, pignoramento). Ciascuno di questi atti può incidere sui termini di prescrizione come visto.
La recente riforma del sistema di riscossione (D.Lgs. 29 luglio 2024, n. 110) ha introdotto alcune novità rilevanti: AdER ora deve pianificare tempestivamente le notifiche delle cartelle e degli atti interruttivi (in collaborazione con il MEF) e alcuni atti dell’Agenzia delle Entrate (ad es. gli avvisi di liquidazione derivanti dai controlli, o gli inviti bonari) possono assumere valore di titoli esecutivi senza necessità di nuova cartella (art.4, c.2). Ciò serve ad ampliare le possibilità di recupero senza passare sempre da un nuovo ruolo e ad accelerare l’iter.
Va evidenziato che il calcolo dei termini parte dall’“atto zero”, cioè dall’ultimo atto che rende esigibile il credito. Nella maggior parte dei casi per il debitore il giorno “0” coincide col primo giorno utile dopo la scadenza del pagamento spontaneo (di solito 30/11 dell’anno di competenza). Ad esempio, se una cartella concede 60 giorni di dilazione per pagare, il termine di prescrizione comincia a decorrere dal 61° giorno successivo alla notifica. L’importante è stabilire con precisione da quale data partono i 10 (o 5) anni, tenendo conto di ogni eventuale interruzione.
Le definizioni agevolate (rottamazioni, saldo e stralcio) gestite da AdER fungono anch’esse da interruttivi: finché il piano dilatorio è regolarmente eseguito, la prescrizione è sospesa/interrotta; se il debitore decade per mancato pagamento, la prescrizione ricomincia dal punto in cui si era fermata (con i termini originari). In pratica, aderire a un condono senza completare il versamento non fa maturare la prescrizione: solo il regolare adempimento del piano mantiene bloccato il decorso prescrizionale.
7. Novità normative 2024-2025
Gli ultimi aggiornamenti legislativi hanno introdotto importanti novità sul fronte della prescrizione e della riscossione:
- Scarico automatico ruoli a 5 anni (riordino riscossione): Il D.Lgs. 29 luglio 2024, n. 110 ha previsto uno scarico automatico dei carichi affidati ad AdER. In base a questo, a partire dai ruoli affidati dal 2025 in poi, dopo 5 anni dall’affidamento (si veda il 31 dicembre del quinto anno successivo) i residui non riscossi vengono cancellati d’ufficio. Ad esempio, un ruolo affidato a gennaio 2025, se entro il 31.12.2030 non è stato integralmente riscosso, vedrà azzerate le quote residue (le quali potranno essere restituite all’ente creditore). È bene notare che lo scarico non fa prescrivere per legge il debito; esso semplicemente impedisce che AdER continui la riscossione coattiva oltre i 5 anni. Il debitore perde dunque l’esazione dall’Agente della Riscossione, ma l’ente creditore può sempre riprendere il debito (ad esempio riassegnando il ruolo o agendo per decreto ingiuntivo). Per i carichi affidati prima del 2025 permane invece lo schema previgente: si applica ancora il caducazione quinquennale già introdotto dalla legge di bilancio 2020 (L.160/2019), per cui i ruoli affidati fino al 31/12/2019 non riscossi da almeno 5 anni sono stati annullati al 31.12.2024. Inoltre, tra il 2019 e il 2020 sono entrati in vigore gli stralci automatici dei piccoli importi: per i ruoli affidati fino al 2017 vennero cancellate le somme residue ≤€1.000 (L.145/2018), successivamente la soglia salì a €2.000 per i ruoli 2018-2019.
- Pianificazione atti ed estensione rate: La stessa riforma (DL 110/2024) ha disciplinato tempi e modalità più stringenti per le notifiche. In particolare, AdER deve programmare le notifiche di cartelle, intimazioni e altri atti interruttivi nel modo più tempestivo possibile. Inoltre, è stato previsto che alcuni atti interni all’Agenzia delle Entrate (ad es. un avviso di liquidazione emesso dopo un controllo) possano avere valore di titolo esecutivo senza bisogno di riedificare un nuovo ruolo. Sul fronte delle dilazioni, la legge di conversione del DL fiscale ha aumentato le rateizzazioni ordinarie da 72 a 120 rate per i piani fino al 2025, con possibilità di proroga per gravi difficoltà; in futuro la delega fiscale (L.111/2023) permette ulteriori allungamenti dei piani di pagamento.
- Pace fiscale e ravvedimento: Restano in vigore le norme sui condoni fiscali (rottamazione quater, saldo e stralcio, ecc.) che, come detto, interrompono la prescrizione fino all’ultimo pagamento. Se il contribuente accetta di far emergere i debiti tramite queste sanatorie e versa regolarmente, la prescrizione rimane ferma. Al contrario, la decadenza dal beneficio (per mancato versamento) fa ricominciare i termini prescrizionali.
- Atti di autotutela e definizioni: Da segnalare anche la proroga continua dei termini di decadenza per l’impugnazione tramite il ravvedimento operoso (D.Lgs.472/97 art.13) o tramite motivazioni semplificate degli atti (recenti novità “motivazione light”). Queste norme non mutano il decorso di prescrizione, ma possono estendere i tempi per aderire alle definizioni agevolate o per contestare i provvedimenti.
8. Domande frequenti
D1. È valida una cartella notificata dopo 7 anni dall’accertamento?
No. L’art. 25 del D.P.R. 602/1973 stabilisce che la cartella relativa a IRPEF deve essere notificata entro il 31 dicembre del secondo anno successivo alla definizione dell’accertamento. Una cartella notificata oltre tale termine decadenziale (ad es. dopo 7 anni) è nulla per decadenza del potere esecutivo. L’unica eccezione può riguardare i casi in cui, nel frattempo, sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna fiscale: in tal caso il giudicato funge da nuovo titolo esecutivo e la cartella è soggetta al termine prescrizionale ordinario (decennale) anziché all’art.25. Ma in assenza di giudicato, una cartella “troppo tardiva” va impugnata per decadenza.
D2. Il pagamento parziale interrompe la prescrizione?
In linea di principio no, non automaticamente. La Cassazione ha chiarito (sent. 18/2018) che un versamento parziale spontaneo, senza esplicita dichiarazione “in acconto sul debito” o senza accordo formale, non è di per sé atto interruttivo della prescrizione. Ciò perché il contribuente potrebbe aver pagato solo per paralizzare temporaneamente l’azione esecutiva, senza riconoscere chiaramente il debito. Tuttavia, se il pagamento parziale è stato effettuato nell’ambito di una richiesta di dilazione accettata, la situazione cambia. Infatti la stessa Cassazione (ord. 37389/2022) ha affermato che la domanda di rateizzazione dei ruoli, seguita dal pagamento di una quota, interrompe il termine di prescrizione ex art.2943 c.c.. In pratica, una dilazione concordata con pagamenti periodici è considerata un riconoscimento del debito, mentre un pagamento “selvaggio” non formalmente acclarato no.
D3. Quando inizia a decorrere la prescrizione?
Per i tributi erariali, la prescrizione decorre dal giorno in cui il tributo è esigibile (generalmente il giorno successivo alla scadenza del pagamento volontario). Ad esempio, se l’IRPEF di competenza 2020 scadeva il 30/11/2021, il computo del decennio parte dal 1/12/2021. Se invece il contribuente viene condotto alla riscossione coattiva, il termine può partire dal giorno successivo alla scadenza fissata nella cartella (ad es. 61° giorno dopo la notifica, se la cartella concede 60 giorni). In ogni caso è cruciale stabilire il “giorno zero” del conteggio, perché da lì decorrono i 10 (o 5) anni.
D4. Che effetto ha l’impugnazione della cartella?
L’impugnazione della cartella presso la Commissione Tributaria interrompe e sospende la prescrizione. Finché il giudizio è in corso, il termine prescrizionale resta sospeso: la cartella stessa equivale a un atto interruttivo (art.25 DPR 602/73) e l’azione di soccombenza giudiziale prolunga i termini. Se il contribuente vince e la cartella viene annullata, il debito si estingue comunque. Se invece il ricorso è rigettato, i termini di prescrizione riprenderanno a decorrere dal giorno della notificazione della sentenza. In ogni caso, anche dopo una sentenza passata in giudicato, il contribuente può eccepire la prescrizione maturata (ad es. in opposizione di decreto ingiuntivo) se trascorso il decennio.
D5. Prescrizione decennale o quinquennale?
Per l’IRPEF definita il termine è decennale (art.2946 c.c.). Il termine quinquennale dell’art.2948 c.c. si applica solo alle prestazioni periodiche, categoria in cui rientrano i tributi locali annuali (IMU, TARI, ecc.), non l’IRPEF erariale. Nel corso degli anni, la Cassazione e le Sezioni Unite hanno confermato che l’azione di riscossione dell’IRPEF utilizza sempre il termine ordinario decennale. Le eccezioni quinquennali si riferiscono invece a sanzioni e interessi (art.20 DLgs 472/97).
9. Esempi pratici e simulazioni
Per chiarire l’applicazione dei termini, riportiamo alcuni scenari esemplificativi:
- Caso 1 – Debito IRPEF divenuto definitivo nel 2019:
Immaginiamo che l’IRPEF relativa al 2016 sia stata accertata con avviso notificato e divenuto definitivo nel 2019. Il debito era dovuto (mettiamo) con scadenza 30/11/2019. La prescrizione ordinaria di 10 anni scatterà il 30/11/2029. Se AdER ha notificato la cartella nel 2021, ciò ha interrotto la prescrizione nel 2021 (con nuovo decorso), per cui il termine decennale si calcola dal 2021 anziché dal 2019. In ogni caso, fino al 2025 il debito rimane valido (il decennio non è terminato). Le sanzioni e gli interessi collegati, invece, si prescriverebbero già nel 2024 (5 anni dalla nascita del debito) se non ulteriormente interrotti. - Caso 2 – Cartella notificata oltre il termine:
Supponiamo un contribuente che ha ricevuto un avviso di accertamento IRPEF definitivo il 2010. L’Agenzia notifica una cartella di pagamento nel 2018: si tratta di un ritardo di 8 anni. Essendo trascorsi più di 2 anni dalla definitività, la cartella è nulla per decadenza (art.25 DPR 602/73) e il contribuente può eccepirne l’illegittimità. D’altronde, se nel frattempo la cartella fosse stata notificata nel 2013 (entro i 2 anni), allora la prescrizione del tributo si sarebbe interrotta nel 2013 e sarebbe scaduta nel 2023 (10 anni dal “day zero” – fine 2013). Ma notificata così tardi (2018), il potere esecutivo era già caducato. - Caso 3 – Cartella prescritta:
Un contribuente riceve una cartella IRPEF nel 2014 relativa al reddito 2008 (presumibilmente divenuto esigibile il 1/1/2009). L’IRPEF essendo erariale ha prescrizione decennale: dalla presunta esigibilità il decennio sarebbe scaduto il 1/1/2019. Se non c’erano atti interruttivi, fin dal 2019 il debito IRPEF 2008 è estinto. Anzi, già nel 2014 (data di notifica) erano trascorsi oltre 5 anni, ma poiché il termine è 10 anni, il debito rimaneva in vita fino al 2019. Il contribuente, nel caso concreto, potrà opporre la prescrizione (ai sensi dell’art.2934 c.c.) qualora la cartella superi i 10 anni complessivi. - Caso 4 – Effetto di un ricorso:
Un contribuente impugna una cartella IRPEF del 2015 davanti alla CTP, che giunge a sentenza definitiva favorevole al debitore nel 2018. Non pagando quanto dovuto, il fisco emette nuova cartella nel 2020. In questo caso l’anzianità del debito è stata “riavviata”: la prima cartella (2015) aveva già interrotto la prescrizione (nuovo giorno 0 a fine 2015), ma il ricorso e la sentenza, pur sospendendo temporaneamente la riscossione, non fanno maturare la prescrizione (il debito divenuto definitivo nel 2018 rimane esigibile). La nuova cartella 2020 fa ripartire il conto da capo: la prescrizione di 10 anni decorrerà dal termine del pagamento concesso nel 2020.
Questi esempi dimostrano come contare correttamente gli anni – dal giorno zero fino a eventuali interruzioni – sia fondamentale. Il debitore dovrebbe sempre verificare: (i) la data di esigibilità originaria del tributo, (ii) eventuali atti interruttivi notificati (cartelle, ingiunzioni, ecc.), e (iii) il termine finale del decorso decennale. In caso di dubbio, può convenire chiedere assistenza professionale o fare opposizione alla cartella, invocando la prescrizione decorrenza.
10. Conclusioni
In sintesi, i debiti IRPEF definitivi si prescrivono decorsi 10 anni dalla data di esigibilità del tributo (art. 2946 c.c.), mentre i termini più brevi (5 anni) si applicano alle sanzioni e agli interessi accessori. Tuttavia, in sede coattiva occorre sempre considerare i termini di decadenza dell’accertamento e della cartella (art.43 DPR 600/73, art.25 DPR 602/73). L’interruzione della prescrizione avviene con atti formali (cartelle, intimazioni, ricorsi, ecc.), mentre sospensioni si verificano in particolare con definizioni agevolate o vicende giudiziarie. Negli ultimi anni si sono inoltre affermati principi di decadenza quinquennale (per i ruoli nel periodo 2017-2019, L.160/2019) e ora di scarico automatico a 5 anni (ruoli dal 2025, D.Lgs.110/2024). Per il debitore è essenziale controllare costantemente le comunicazioni ricevute e i tempi trascorsi, per valutare se un debito IRPEF sia ancora valido o sia ormai prescritto.
11. Fonti normative e giurisprudenziali
- Codice Civile – Artt. 2935 ss. (scadenzario), 2946 (prescrizione 10 anni), 2948 (prescrizione 5 anni, 3 anni, ecc.), 2943-2945 (interruzione e sospensione della prescrizione).
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente) – art.7 (principio di certezza dei termini) e art.12 (diritto di informazione preventiva).
- D.P.R. 29/9/1973, n. 600 – art.36-bis, 36-ter (liquidazione dichiarazioni, controlli), art.43 co.1 (termini di decadenza accertamento, modificato dalla L.208/2015).
- D.P.R. 29/9/1973, n. 602 – art.25 (termini di decadenza per iscrizione a ruolo e cartella, commi 1-3), art.50 (intimazione di pagamento), art.25-bis (rateizzazione 2024).
- D.Lgs. 18/12/1997, n. 472 – art. 20 (prescrizione sanzioni tributarie).
- L. 145/2018 (legge di bilancio 2019) – stralcio ruoli fino a €1.000 (art.1, comma 184).
- L. 178/2020 (legge di bilancio 2021) – estende stralcio ruoli fino a €2.000.
- L. 160/2019 (legge di bilancio 2020) – caducazione quinquennale ruoli 2017-2019.
- L. 197/2022 (legge di bilancio 2023) – proroga definizioni, pianificazione AdER, incremento rateizzazioni.
- D.Lgs. 29 luglio 2024, n. 110 (riordino riscossione) – pianificazione atti, scarico automatico 5 anni.
- D.Lgs. 33/2025 (testo unico riscossione, in corso) – coordinamento e razionalizzazione delle norme (in attuazione L.111/2023).
- Cassazione Civile/Trib. (sezione tributaria) – vedi in particolare Cass. SS.UU. 25790/2009; Cass. civ. ord. 23.2.2010 n.4283; Cass. 19.2.2025 n.4385; Cass. ord. 12.2.2024 n.3827; Cass. ord. 24.4.2024 n.11113; Cass. 6.2.2018 n.18; Cass. 2022 n.11676; Cass. 2020 n.21332; Cass. 2021 n.8120; sent. 30.11.2005 n.23533; ecc. – tutti richiamati nel testo.
- CTP/CTR – decisioni di merito (Commissioni Tributarie) che confermano la prescrizione decennale per tributi erariali e quinquennale per sanzioni (Cass. ord. 33681/2022, Cass. ord. 25790/2009 richiamati in doctrine).
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