Hai ricevuto un’intimazione di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione e ti stai chiedendo se è possibile impugnarla? Non sai se si tratta solo di un sollecito o se rappresenta già un atto esecutivo con effetti gravi e immediati?
L’intimazione di pagamento è un atto formale e molto delicato: può precedere direttamente il pignoramento, e spesso viene notificata senza spiegazioni chiare. In alcuni casi, però, è possibile impugnarla e bloccare le azioni successive. Vediamo come funziona e cosa puoi fare.
Cos’è esattamente l’intimazione di pagamento?
È un atto che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione invia per intimare il pagamento delle somme già indicate in una cartella esattoriale o in un avviso esecutivo. Serve per sollecitare il pagamento entro 5 giorni e costituisce un passaggio obbligato prima del pignoramento. Non è un semplice sollecito: ha valore legale esecutivo.
Quando si può impugnare l’intimazione di pagamento?
L’intimazione può essere impugnata solo in alcuni casi specifici, ad esempio quando:
- è stata notificata oltre i termini di legge (cioè a distanza di troppo tempo dalla cartella o dall’atto presupposto);
- si riferisce a debiti già prescritti;
- è basata su atti mai notificati prima (cartelle, avvisi, accertamenti);
- contiene vizi formali o sostanziali, come importi sbagliati, mancanza di motivazione, difetto di legittimazione.
Come si presenta l’impugnazione?
Il contribuente deve presentare ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione. Serve una difesa tecnica qualificata, perché si tratta di atti già in fase avanzata della riscossione.
Cosa succede se non si impugna?
Se non presenti opposizione entro i termini, l’Agenzia potrà procedere con il pignoramento dei conti, dello stipendio, dell’auto o della casa. Inoltre, non potrai più contestare i vizi dell’atto, neanche in un secondo momento.
E se hai già pagato o rateizzato?
Anche in questo caso è possibile difendersi, soprattutto se l’intimazione riguarda somme già saldate o oggetto di rateazione ancora attiva. Sarà necessario fornire prova del pagamento o della dilazione in corso.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in riscossione, contenzioso tributario e difesa patrimoniale – ti spiega quando e come impugnare un’intimazione di pagamento, quali sono le situazioni più frequenti e in che modo possiamo aiutarti a bloccare pignoramenti o azioni esecutive imminenti.
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Introduzione
L’intimazione di pagamento è l’atto con cui il concessionario della riscossione (oggi Agenzia Entrate-Riscossione) intima al debitore di pagare entro 5 giorni un debito rimasto senza esecuzione per oltre un anno. In pratica, dopo una o più cartelle esattoriali notificate e scadute i termini per il pagamento, se è trascorso oltre un anno dalla notifica dell’ultima cartella l’Agente della riscossione invia al contribuente un avviso di intimazione (art. 50 DPR 602/1973) concedendogli 5 giorni per pagare prima di procedere al pignoramento. Questo atto “riattiva” il procedimento di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche ecc.) in mancanza di pagamento.
Dal punto di vista del debitore è essenziale sapere che l’intimazione di pagamento è autonomamente impugnabile: secondo la Corte di Cassazione l’elenco tassativo degli atti impugnabili nel processo tributario (art. 19 del D.Lgs. 546/1992) non esclude la possibilità di ricorrere anche contro altri atti che esplicitano una pretesa tributaria chiaramente motivata. Ciò significa che chi riceve un’intimazione può e deve fare ricorso tributario se intende far valere vizi o fatti estintivi collegati a quella pretesa. Anzi, la giurisprudenza ha sottolineato che tale ricorso non è facoltativo ma necessario: la mancata impugnazione dell’intimazione rende definitivo il debito e “cristallizza” l’obbligo di pagamento, precludendo al contribuente di eccepire successivamente eccezioni come la prescrizione. In altre parole, se si ha un dubbio sulla validità delle cartelle o sulla scadenza del termine prescrizionale, è opportuno impugnare subito l’intimazione per evitare di perdere definitivamente quei diritti di difesa.
Fonti normative di riferimento
La materia è principalmente disciplinata dal D.P.R. n. 602/1973 (riscossione coattiva delle imposte), in particolare art. 50 che detta le regole sull’intimazione di pagamento. Altre norme chiave sono l’art. 25 (rilascio della cartella di pagamento come titolo esecutivo), l’art. 26 (forme di notifica delle cartelle), l’art. 57 (limitazioni alle opposizioni in riscossione, in parte incostituzionale) e l’art. 49 (ruolo). In ambito procedurale tributario occorre fare riferimento al D.Lgs. n. 546/1992 (disciplinante il processo tributario): l’art. 19 elenca gli atti impugnabili e l’art. 21 fissa i termini decadenziali (generali 60 giorni), oltre alle disposizioni sul deposito del ricorso. Altre norme importanti sono il Codice Civile (artt. 2948 e ss. sui termini di prescrizione ordinari: tributi erariali 10 anni, tributi locali e interessi 5 anni, salvo eccezioni) e il Codice di Procedura Civile (artt. 615 e 617 c.p.c. per l’opposizione agli atti esecutivi). Lo Statuto del contribuente (L. 212/2000) garantisce il diritto alla conoscenza degli atti e il rimedio di rimessione in termini se la conoscenza è mancata senza colpa, principio richiamato in tema di notifiche tributarie. Di rilievo è infine la normativa sul processo tributario telematico: dal 1° luglio 2019 il processo tributario telematico (PTT) è obbligatorio per tutti i ricorsi notificati a decorrere da tale data, con notifica e deposito tramite PEC e firma digitale.
Soggetti interessati e natura del credito
L’intimazione può riguardare tributi statali (IRPEF, IVA, accise), tributi locali (IMU, TASI, TARI, addizionali etc.), contributi previdenziali (INPS, INAIL) o anche sanzioni (multe stradali, tasse di concessione governativa, sanzioni amministrative degli enti locali, ecc.). I creditori competenti variano: per tributi erariali e locali è l’Agenzia delle Entrate (tramite AdER/Equitalia), per i contributi è l’INPS o altro ente previdenziale, per i tributi comunali è il Comune o ente locale titolare del tributo, per le multe è il comune o la Prefettura. In ogni ricorso il debitore dovrà convenire come parti resistenti sia l’Agenzia Entrate-Riscossione (concessionario) sia l’ente impositore originario; ad es. se l’intimazione riguarda IRPEF e IVA, l’ente è l’Agenzia delle Entrate, se riguarda contributi l’ente è l’INPS, se sono multe stradali l’ente è il Comune o Prefettura che ha comminato la sanzione.
Termini e competenza giurisdizionale
Termini decadenziali: Nel contenzioso tributario il ricorso va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione (art. 21 D.Lgs. 546/1992). I 60 giorni decorrono dalla data di notifica dell’intimazione (anche via PEC, con data nella ricevuta di consegna) e sono soggetti alla sospensione feriale (agosto). Se il giorno 60 scade in festivo, si considera il primo giorno lavorativo successivo. Questi 60 giorni sono per la notifica del ricorso alle controparti; il deposito presso la Commissione Tributaria va effettuato entro altri 30 giorni. Anche per le intimazioni di enti non statali, se il credito è tributario (ad es. IMU o addizionali) continua a valere il termine tributario di 60 giorni.
Per contributi previdenziali e simili, il termine è 40 giorni dalla notifica (Tribunale del Lavoro). Se si eccepiscono vizi formali della cartella sottostante, il termine è di soli 20 giorni (come per il precetto in generale). Per le sanzioni amministrative di competenza del Giudice di Pace (es. multe), il termine è di 30 giorni. In sintesi, la seguente tabella riepiloga competenze e termini (per il deposito del ricorso):
Pretesa | Termine impugnazione | Giudice competente |
---|---|---|
Tributi erariali/locali | 60 giorni (ricorso tributario) | Corte di Giustizia Tributaria (CTR) |
Contributi previdenziali | 40 giorni (20 per vizi formali) | Tribunale ordinario, sezione Lavoro |
Sanzioni amministrative | 30 giorni | Giudice di Pace |
Competenza: In generale, se la pretesa è di natura tributaria (imposte e tasse), il ricorso va alla Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria). Se la pretesa deriva da contributi INPS/INAIL/istituti previdenziali, la competenza è del Tribunale ordinario in funzione di Giudice del Lavoro. Se si tratta di sanzioni amministrative stradali o altri crediti residuali (multe, bolli, ambiti comunali), il Giudice competente è il Giudice di Pace (termine 30 giorni). La giurisprudenza (Cassazione, Sezioni Unite) ha ribadito che se il motivo di ricorso riguarda vizi di notifica o di cartelle antecedenti all’intimazione, la giurisdizione resta quella tributaria (Cass. SU 30666/2022). Tuttavia, se il vizio è solo la prescrizione maturata dopo una notifica valida (vizio “consumato” solo dopo l’intimazione), la competenza potrebbe ricadere sul giudice ordinario.
Procedura di impugnazione (ricorso tributario)
Per contestare l’intimazione di pagamento il debitore deve proporre ricorso tributario alla Commissione Tributaria provinciale competente entro il termine di 60 giorni. Il ricorso, redatto preferibilmente con assistenza tecnica (avvocato o commercialista), deve essere notificato contestualmente alle controparti (AdER e ente impositore) e poi depositato in via telematica tramite il Processo Tributario Telematico (PTT). Il ricorso dovrà contenere, ai sensi dell’art.18 D.Lgs.546/92, l’indicazione del ricorrente e dei suoi dati, il riferimento all’atto impugnato (“Intimazione di pagamento n. … del …”), l’esposizione dei fatti e dei motivi (vizi formali, notifica irregolare, prescrizione, illegittimità del credito sottostante, ecc.) e la richiesta (petitum) di annullamento dell’intimazione e degli atti presupposti. Occorre allegare copia del provvedimento di intimazione e ogni documento che provi i fatti denunciati (es. ricevute di pagamento, processi verbali, visure camerali ecc.).
Soggetti convenuti: Il ricorso deve nominare come resistenti sia l’Agenzia Entrate-Riscossione (per soggetto AdER, legale rappresentante p.t.) sia l’ente creditore originario (Agenzia Entrate, Comune, INPS, ecc.). Ad esempio, se l’intimazione riguarda IRPEF e IVA, l’ente è l’Agenzia delle Entrate; se riguarda contributi previdenziali, l’ente è l’INPS; se riguarda multe stradali, l’ente è il Comune o Prefettura emittente. L’omessa citazione dell’ente creditore può determinare nullità del giudizio o la possibilità per l’ente stesso di intervenire successivamente.
Notifica e deposito: La notifica del ricorso oggi avviene preferibilmente tramite PEC: il difensore invia il ricorso sottoscritto digitalmente agli indirizzi PEC pubblici di AdER e dell’ente creditore, allegando la relata di notifica e la firma digitale. In alternativa si può notificare con ufficiale giudiziario o raccomandata A/R come previsto dall’art. 16-bis D.Lgs.546/92. Dopo la notifica alle controparti, il ricorso deve essere depositato via PTT (o in carta se non assistito e valore di lite < €3.000) entro 30 giorni. Se questo termine integrativo non è rispettato, il ricorso viene dichiarato improcedibile (come se non fosse stato perfezionato).
Termini complessivi: In sintesi, dall’intimazione di pagamento il contribuente ha 60 giorni per notificare il ricorso; poi ha 30 giorni per depositarlo. Se il 60° giorno cade di domenica o festivo, slitta al primo giorno successivo. Se il contribuente è all’estero, il termine di notifica è esteso a 90 giorni. È fondamentale rispettare i termini: un ricorso tardivo viene dichiarato inammissibile, salvo rare rimessioni in termini motivati da causa di forza maggiore (art.6 Statuto Contribuente).
Motivi di ricorso e impugnabilità
Contro l’intimazione di pagamento il contribuente può sollevare diversi motivi:
- Vizi formali dell’atto: errori di notifica (indirizzo sbagliato, Pec non valida), mancata sottoscrizione, mancata indicazione dei termini per ricorrere, difetto di motivazione in alcune parti (es. calcolo interessi). Questi sono vizi propri dell’atto esecutivo.
- Vizi del titolo: ad esempio la cartella di pagamento sottostante può essere nulla se emessa da ufficio incompetente, se la cartella manca della motivazione, o se l’avviso bonario (per cartelle 36-bis/36-ter) non è stato inviato. Tali vizi di merito possono comportare l’annullamento della cartella e dell’intimazione.
- Prescrizione del credito: il debitore può eccepire che il tributo richiesto è già estinto per prescrizione. La prescrizione, tuttavia, non opera automaticamente: va sollevata nel ricorso. In genere la prescrizione dei tributi erariali è decennale (5 anni per le sanzioni), decorrenti dalla notifica dell’atto impositivo. L’intimazione, se non impugnata, interrompe la prescrizione del credito sottostante. Pertanto, se si intende far valere l’estinzione del debito per prescrizione maturata prima o dopo la notifica dell’intimazione, è cruciale impugnare l’intimazione stessa. In particolare, la Cassazione (ord. 16743/2024) ha chiarito che l’avviso di intimazione sospende (interrompe) la decorrenza dei termini prescrizionali, e che il contribuente può far valere la prescrizione maturata fra una cartella e l’avviso impugnando l’avviso successivo.
- Decorrenza del termine di efficacia: l’intimazione vale per 1 anno dalla notifica; se dopo un anno non si avvia l’esproprio, bisognerebbe notificare nuova intimazione (art.50 DPR 602/73). Talvolta si contesta che l’intimazione stessa sia scaduta se l’Agente ha tardato l’esecuzione oltre un anno.
- Eccezione di inesistenza del debito: il contribuente può ritenere inesistente o già pagata la pretesa tributaria sottostante (es. falsi avvisi, errori di calcolo). In tal caso, l’impugnazione avrà ad oggetto il merito del credito. Se accolto, ciò travolge la pretesa principale e ordina l’annullamento totale del debito.
Effetti dell’impugnazione
Il ricorso contro l’intimazione ha effetti rilevanti. Se il ricorso viene accolto, l’intimazione (e le cartelle correlate) vengono annullate, liberando il debitore dall’obbligo di pagamento. L’annullamento dell’intimazione equivale a «recuperare» un’impugnazione che non era stata fatta tempestivamente contro la cartella precedente. Inoltre, è possibile chiedere sospensione cautelare della riscossione: il giudice tributario può sospendere gli effetti esecutivi dell’intimazione fino al provvedimento di merito, se ravvisa fondati motivi e pericolo di danno grave e irreparabile. Nelle ipotesi civili (opposizione all’ingiunzione ai sensi degli artt. 615-617 c.p.c.), la proposizione di opposizione entro i termini sospende l’esecuzione. In ogni caso, ricorre l’effetto sospensivo “legale” in presenza di domanda di definizione agevolata o di concessione di rateizzazione: ad esempio, l’accoglimento di una richiesta di rateizzazione blocca automaticamente ogni azione esecutiva finché il piano è in corso.
Se invece il ricorso è rigettato o dichiarato inammissibile, l’intimazione resta valida ed il debito è confermato. Anzi, se non si era fatto ricorso nei termini, il debito si solidifica: le eccezioni come la prescrizione non potranno più essere sollevate (si produce la “cristallizzazione” del debito). La giurisprudenza ammonisce pertanto che, se sussistono validi motivi di opposizione, il ricorso va fatto subito perché altrimenti si rischia di perdere irrimediabilmente la possibilità di far valere quelle censure.
Sospensione e altri rimedi in via cautelare
Oltre al ricorso stesso, il contribuente ha altri strumenti per bloccare l’esecuzione. Ad esempio, può chiedere all’Agente della riscossione un annullamento in autotutela per vizi evidenti (errore di calcolo, pagamento già effettuato, cartella prescritta o emessa da soggetto errato). Se l’autotutela viene accolta, AdER sospende immediatamente ogni azione esecutiva (fino a fermo, ipoteca, pignoramento). In ambito giudiziario, come detto, si può chiedere contestualmente al ricorso la sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva dell’intimazione: il giudice tributario, se ritiene fondate le ragioni del ricorso e sussistente un danno grave, può sospenderne gli effetti. Se il contribuente invece riconosce l’esistenza del debito ma non può saldarlo subito, può presentare domanda di rateizzazione all’AdER (art. 19-ter DPR 602/73). L’accoglimento della rateazione blocca per legge tutte le misure esecutive finché il piano viene rispettato. Infine, nel caso di sovraindebitamento (aziendale o del consumatore), il deposito del piano di composizione dei debiti impedisce automaticamente ogni atto esecutivo, inclusi le intimazioni e i pignoramenti.
Di seguito si riporta una tabella riepilogativa di alcuni strumenti cautelativi:
Strumento | Effetto | Condizioni |
---|---|---|
Autotutela (istanza ad AdER) | Blocco immediato di fermi/pignoramenti | Deve emergere in modo chiaro un errore o anomalia (pagamento, vizi) |
Ricorso con istanza di sospensione | Sospensione giudiziale fino a decisione | Devono sussistere motivi validi e documentati |
Rateizzazione | Sospensione automatica esecuzione | Piano accolto (ad es. fino a 72 rate per persone fisiche) |
Sovraindebitamento (legge 3/2012) | Sospensione legale di tutti gli atti esecutivi | Deposito pratica presso tribunale competente |
Opposizione agli atti esecutivi (CPC 615/617) | Possibile blocco se accolta | Da proporre entro 20 o 40 giorni dall’intimazione; vizi formali o prescrizione come motivi |
Esempi pratici e FAQ
- Simulazione (cartelle multiple): Il sig. Rossi riceve un’intimazione di pagamento riferita a diverse cartelle: alcune per tasse IRPEF, altre per contributi INPS e alcune per multe stradali. Poiché si tratta di pretese diverse, dovrà presentare più ricorsi: uno al Tribunale Tributario (60 giorni) per contestare le cartelle tributarie IRPEF, uno al Tribunale (sezione lavoro) (40 giorni) per i contributi INPS, e uno al Giudice di Pace (30 giorni) per le multe. In ciascun ricorso indicherà come parti convenute AdER e l’ente creditore di riferimento (Agenzia delle Entrate per IRPEF, INPS per contributi, Comune per multe).
- Domanda: Quali sono i termini e il giudice per impugnare un’intimazione?
Risposta: In ambito tributario il termine è di 60 giorni dalla notifica. Il ricorso si presenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria del luogo (giudice tributario). Se l’intimazione riguarda contributi previdenziali, il termine è di 40 giorni (salvo 20 giorni per vizi formali) e si deve ricorrere al Tribunale ordinario in funzione di Giudice del Lavoro. Per sanzioni amministrative (es. multe), il termine è di 30 giorni e si va davanti al Giudice di Pace. - Domanda: Cosa succede se non faccio ricorso entro il termine?
Risposta: Purtroppo la mancata impugnazione nei termini comporta l’inammissibilità del ricorso e la stabilizzazione del debito. Di fatto l’intimazione non contestata si consolida in un titolo esecutivo definitivo e il contribuente perde il diritto di sollevare eccezioni come la prescrizione del credito. - Domanda: Posso chiedere la sospensione dell’intimazione subito dopo aver presentato il ricorso?
Risposta: Sì. In sede di ricorso tributario è possibile (e consigliabile) chiedere contestualmente la sospensione cautelare dell’intimazione. Se il giudice tributario ritiene fondate le ragioni (ad es. prescrizione già maturata) e il pericolo di danno, può sospendere gli effetti esecutivi dell’avviso. In alternativa, come detto, la richiesta di rateizzazione o l’istanza in autotutela bloccano anch’esse l’esecuzione. - Domanda: Se vinco il ricorso, cosa accade al debito?
Risposta: Se il giudice accoglie il ricorso, l’intimazione (e i relativi atti presupposti, come le cartelle contestate) sono annullati. In pratica il debito contestato decade e il contribuente non è più tenuto a pagare quelle somme. Inoltre il congelamento dei beni (fermi, ipoteche) legato alla riscossione viene revocato.
Procedure telematiche (PEC e PTT)
Dal 2019 è obbligatorio utilizzare strumenti telematici nel processo tributario. Il ricorso e tutti gli atti accessori devono essere notificati tramite PEC (indirizzo PEC del difensore del contribuente e indirizzi PEC di AdER/enti, indicati nei registri ufficiali) e depositati telematicamente presso la Commissione Tributaria tramite il Portale del Processo Tributario Telematico (PTT). È necessaria la firma digitale del difensore sui documenti, in formato CAdES. L’invio telematico (PEC) vale come notifica tra le parti e semplifica la procedura. La piattaforma telematica delle Commissioni Tributarie richiede che dal 1° luglio 2019 tutti i ricorsi/appelli notificati siano depositati con modalità telematica. Solo chi decide di stare in giudizio senza difensore e per controversie minime (valore < 3.000€) può ancora depositare in forma cartacea in segreteria.
Giurisprudenza di rilievo aggiornata
- Cassazione, ordinanza Sezioni Unite 18/10/2022 n.30666: ha stabilito la competenza del giudice tributario per le domande di impugnazione di intimazione fondate su fatti anteriori alla notifica dell’atto (ad es. nullità della cartella sottostante), ribadendo che anche se accompagnate da domande di risarcimento, queste ultime sono subordinate all’accertamento tributario. Ha poi delimitato la competenza per la prescrizione: se la prescrizione è maturata per mancata o nulla notifica della cartella, a giudicare è il giudice tributario; se è maturata dopo una notifica valida, è competenza del giudice ordinario.
- Cassazione sez. trib. 17/06/2024 n.16743: conferma che l’avviso di intimazione, sebbene non incluso nell’art.19 D.Lgs.546/92, va considerato come atto che interrompe la prescrizione. In tal caso il contribuente non doveva impugnare il primo avviso di intimazione per far valere la prescrizione maturata tra la cartella e quell’avviso: può sollevare l’eccezione di prescrizione anche nell’impugnazione del secondo avviso. Ciò chiarisce che l’intimazione di pagamento (avviso di mora) è equiparata a una sospensione della prescrizione del credito.
- Cassazione civ., sez. trib. 11/03/2025 n.6436: ha ribadito che l’avviso di intimazione di pagamento ex art.50 DPR 602/1973 è autonomamente impugnabile e che la sua impugnazione non è facoltativa ma necessaria, pena la cristallizzazione del debito. In quella vicenda si affermava che qualunque eccezione relativa a un atto impositivo reso definitivo rimane inammissibile se non sollevata già in sede di impugnazione del precedente avviso, sottolineando l’importanza di contestare tempestivamente l’intimazione se si vogliono far valere fatti estintivi (ad es. prescrizione) maturati prima. La Suprema Corte ha dunque riconosciuto la possibilità di ricorrere contro “qualsiasi atto che espliciti una pretesa tributaria ben individuata”.
Oltre a queste recenti pronunce, la giurisprudenza precedente (Cass. n.2616/2015, n.26129/2017, n.1230/2020, etc.) ha già riconosciuto che l’intimazione è atto impugnabile e funge da atto interruttivo della prescrizione. In dottrina si segnala il commento di Andrea Guerra (Ratio, 24 luglio 2024) sulla sentenza 16743/2024, e vari approfondimenti pratici su riviste e siti specialistici (ad es. FiscoOggi, Nuova Giurisprudenza Tributaria, Commercialista Telematico).
Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali
Di seguito alcune delle principali fonti utilizzate:
- Normativa: D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (riscossione coattiva, art. 50 sull’intimazione); D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (processo tributario, artt. 19-21-32); L. 27/7/2000, n. 212 (Statuto del contribuente, art. 6); Codice Civile (artt. 2948 ss. sulla prescrizione); Codice di Procedura Civile (artt. 615, 617 sulla opposizione agli atti esecutivi); D.L. 23/10/2018, n. 119 conv. L. 136/2018 (disposizioni su processo tributario telematico); D.M. 163/2013 (regole attuative PTT); L. 27/12/2019, n. 160 e L. 205/2017 (bilanci/definizioni agevolate); D.Lgs. 14/2019 (codice della crisi e insolvenza).
- Giurisprudenza: Cass. sez. trib., 11/03/2025 n.6436; Cass. sez. trib., 17/06/2024 n.16743; Cass. SS.UU. 18/10/2022 n.30666; Cass. 21/01/2020 n.1230; Cass. 22/10/2015 n.2616; Cass. 02/11/2017 n.26129; Cass. 17/11/2016 n.23397; Cass. 18/11/2022 n.30650; Cass. 18/11/2022 n.30666; Corte Cost. sent. 175/2018; Trib. Reg. Lazio (modena) sent. di merito sulla n.16743/2024; etc.
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Conclusione
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