Hai scoperto che è stata avviata una procedura di liquidazione giudiziale nei confronti della tua azienda o di una società con cui hai a che fare, e ti stai chiedendo quanto durerà tutto questo? Ti preoccupano i tempi, le conseguenze sui creditori, sull’impresa e anche sulle responsabilità personali?
La liquidazione giudiziale – che ha preso il posto dell’ex “fallimento” – è una procedura complessa e articolata, che può durare mesi o anni, a seconda di vari fattori. Capire quanto tempo può rimanere aperta è fondamentale per pianificare le azioni da intraprendere, per sapere quando finiranno i vincoli e per conoscere i tuoi diritti (o doveri) durante questo periodo.
Quanto può durare una liquidazione giudiziale?
Non esiste una durata fissa. La procedura può concludersi in meno di un anno nei casi più semplici, ma può anche protrarsi per diversi anni nei casi più complessi. La durata dipende principalmente da:
- numero e valore dei beni da liquidare;
- presenza di contenziosi legali in corso;
- numero e natura dei creditori;
- complessità della contabilità e della documentazione aziendale.
Cosa succede durante tutto questo tempo?
Durante la liquidazione, l’attività imprenditoriale viene bloccata (salvo autorizzazioni specifiche), i beni vengono venduti, i debiti analizzati e i creditori ammessi al passivo. Il liquidatore giudiziale (ex curatore fallimentare) si occupa di tutte le operazioni, sotto la supervisione del giudice delegato.
Nel frattempo:
- il debitore non può disporre del patrimonio;
- i creditori non possono agire individualmente;
- eventuali beni trovati successivamente vengono acquisiti alla massa attiva.
Quando finisce la procedura?
La liquidazione giudiziale si chiude quando:
- tutti i beni sono stati venduti;
- i creditori sono stati soddisfatti, anche parzialmente;
- non ci sono più somme da distribuire né attività da svolgere.
A quel punto il tribunale dichiara la chiusura della procedura, e – se ne ricorrono le condizioni – l’ex imprenditore può chiedere l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui non pagati.
Può essere chiusa prima?
In alcuni casi, sì. Se si dimostra che:
- non ci sono più beni da liquidare;
- le attività di recupero sono antieconomiche;
- i creditori non hanno presentato domande;
il tribunale può disporre una chiusura anticipata, anche senza soddisfare tutti i creditori.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in procedure concorsuali, liquidazione giudiziale e esdebitazione – ti spiega quanto può durare una liquidazione giudiziale, da cosa dipende la durata, e cosa possiamo fare per aiutarti a ridurre i tempi e uscire dalla procedura in modo ordinato e tutelato.
Sei coinvolto in una procedura di liquidazione giudiziale e vuoi sapere quanto durerà, cosa succederà ai beni e se puoi ottenere l’esdebitazione?
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Introduzione
La liquidazione giudiziale (introdotta dal D.lgs. 14/2019, “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) è la procedura concorsuale coatta che sostituisce il fallimento tradizionale. Si apre quando un imprenditore commerciale insolvente (che non rientri nei casi di impresa minore ex art. 2, c.1, lett. d) CCII) viene colto da incapacità di far fronte regolarmente ai debiti. Lo scopo è liquidare l’intero patrimonio del debitore e distribuire il ricavato fra i creditori secondo l’ordine di prelazione previsto dalla legge.
Il Codice della crisi (D.lgs. 14/2019 e s.m.i.) disciplina tempi precisi e fasi della liquidazione giudiziale. Ad esempio, l’art. 213 CCII, comma 5, impone che entro otto mesi dall’apertura della procedura si tenga il primo esperimento di vendita e avvii il recupero dei crediti, mentre il termine per il completamento dell’intera liquidazione non può superare 5 anni dal deposito della sentenza d’apertura (prorogabili a 7 anni solo in casi eccezionali). Scopo del legislatore è evitare fallimenti “infiniti” imponendo scadenze stringenti. Tali limiti normativi valgono però come tetti massimi: la durata effettiva dipende dalla complessità del patrimonio, dalla presenza di contenziosi e dall’attività del curatore.
Di seguito analizziamo nel dettaglio le fasi procedurali della liquidazione giudiziale, con i termini di legge e i tempi medi desunti dalla prassi. Presenteremo diagrammi riassuntivi, FAQ, casi esemplificativi (impresa individuale, PMI, società immobiliari, ecc.) e fac-simile degli atti principali (istanza di apertura, sentenza di nomina curatore, piano di riparto).
Fonti normative principali: D.lgs. 14/2019 (e successive modifiche, tra cui D.lgs. 136/2024), Legge 89/2001 (sulla durata ragionevole), Codice Civile (es. art. 2740 c.c. sulla responsabilità patrimoniale), Codice procedura civile. Giurisprudenza: Corte di Cassazione (es. Cass. 324/2024 sulla decorrenza ai fini Pinto), Corti d’appello e Tribunali fallimentari specializzati. Dottrina: commenti di esperti e blog di avvocati (ad es. Avv. Ticozzi, Osservatorio OCI, AvvocatiCartelle, ecc.).
1. Avvio della procedura
- Soggetti legittimati a proporre la liquidazione giudiziale: il ricorso può essere depositato dal debitore stesso, da un suo creditore, dal pubblico ministero o da altri soggetti di vigilanza (art. 40 CCII). Il debitore che deposita ricorso obbliga la cancelleria a trasmetterlo per iscrizione nel Registro delle Imprese (art. 40 CCII).
- Deposito del ricorso: si utilizza lo schema del “ricorso ex art. 40 CCII”, da depositare presso il Tribunale competente (quello del “centro principale degli interessi” del debitore). Il ricorso deve indicare le ragioni di insolvenza, gli elementi di fatto e di diritto e l’assistenza di un difensore.
- Udienza di apertura – tempi del giudice: ricevuto il ricorso, entro 45 giorni il Tribunale convoca le parti per un’udienza per decidere sull’apertura. Dal decreto di convocazione all’udienza devono trascorrere almeno 15 giorni (salvo eventuale abbreviamento autorizzato in casi urgenti). Nell’udienza il Tribunale valuta i presupposti (insolvenza, limiti dimensionali, regolarità formale) e poi decide se accogliere la richiesta.
- Sentenza dichiarativa: se l’istanza è accolta, con sentenza motivata il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale, nomina il giudice delegato (un magistrato specializzato) e designa il curatore (normalmente un professionista esperto), oltre agli eventuali altri organi (es. periti, esperti). Viene inoltre ordinato al debitore di depositare entro 3 giorni i bilanci e la contabilità dell’impresa.
- Impugnazioni in sede d’appello: la sentenza di apertura può essere impugnata con reclamo in Corte d’Appello entro 30 giorni (art. 51 CCII). Il reclamo non sospende automaticamente la procedura (salvo diversa decisione della Corte), pertanto nelle more il curatore procede (inventory, vendite, ecc.). Se l’appello conferma l’apertura, si procede; se lo annulla, la liquidazione si estingue.
=> Punto di attenzione: il termine breve di 45 giorni per la prima udienza impone velocità di deposito degli atti. Un’eventuale omissione formale del ricorso può essere sanata, ma ritardi ingiustificati (ad es. mancanza di procura o documentazione) possono ritardare l’apertura. Gli avvocati devono curare immediatamente l’avvio e gli imprenditori monitorare il calendario fissato dal Tribunale.
2. Organi della procedura e loro compiti
- Tribunale (Collegio): rimane titolare delle funzioni giurisdizionali più rilevanti. Oltre alla sentenza di apertura, decide su reclami ed impugnazioni, approva il programma di liquidazione (se necessario), convalida il piano di riparto ed emette il decreto di chiusura.
- Giudice delegato: è il “direttore d’orchestra” della procedura. Spetta a lui vigilare sull’andamento del fallimento, indirizzare il curatore affinché rispetti tempi e regole, autorizzare gli atti più importanti (vendita beni, transazioni, forme d’esercizio dell’impresa, finanziamenti ecc.) che il curatore non può compiere autonomamente. Presiede anche all’udienza di verifica del passivo (esame dei crediti) e decide sulle ammissioni/esclusioni. Il giudice delegato deve agire sempre per condurre la procedura con speditezza e regolarità, sotto il controllo del Tribunale.
- Curatore: figura chiave della liquidazione. Gestisce e amministra l’intero patrimonio (massa attiva) del fallito nell’interesse collettivo dei creditori. Il curatore ha il dovere di custodire i beni, inventariarli e venderli, incassare i crediti del fallito, pagare le spese e compilare lo stato passivo. Deve agire con diligenza professionale, trasparenza e imparzialità. Il codice richiede che già all’accettazione dell’incarico il curatore verifichi di avere tempo e risorse sufficienti a gestire la procedura (art. 126 CCII). Ogni due mesi (all’inizio della procedura) e ogni sei mesi successivamente, il curatore redige relazioni mensili/riepilogative sull’andamento, che trasmette al giudice delegato e al comitato creditori (art. 130 CCII).
- Comitato dei creditori: facoltativo o obbligatorio a seconda dei casi (in genere nominato se la procedura avrà un attivo realizzabile). Svolge un ruolo di controllo sull’operato del curatore e può approvare o respingere il programma di liquidazione. Acquisisce i rendiconti e le relazioni del curatore, può formulare osservazioni al giudice delegato e dare indirizzi su atti rilevanti (licenziare personale, scelte di vendita complesse, proposte transattive).
- Pubblico Ministero: presente in udienza; vigilanza sulla correttezza della procedura e sui reati fallimentari. Riceve copie delle relazioni del curatore e segnala al giudice delegato eventuali anomalie (es. irregolarità contabili o insussistenza di bilanci).
- Debitore fallito: da quel momento spossessato del patrimonio. Deve collaborare con depositi di documenti (bilanci, scritture) e consegna dei beni. A differenza del passato, non può partecipare in giudizio (salvo per proporre ricorso o appello come parte), perché la procedura è ormai contro il suo patrimonio.
- Altri soggetti: (es. coobbligati, garanti, soci). Ad esempio nelle società di persone i soci illimitatamente responsabili subiscono gli effetti del fallimento del socio (art. 256 CCII): da cui l’unificazione del patrimonio socio/personale nelle fasi congiunte di liquidazione.
=> Punto di attenzione: gli organi collaborano, ma ogni qualvolta una figura (curatore o giudice) ritardi nell’adempimento di un obbligo, l’altro deve sollecitare con urgenza o segnalarlo al Tribunale. Ad esempio, un giudice delegato diligente può intimare al curatore di accelerare la vendita di un bene rimasto invenduto. Per l’imprenditore/debitore, è cruciale nominare per tempo un avvocato e un commercialista preparati (ad es. iscritti nell’elenco gestori crisi) per evitare che omissioni di gestione prolungino indebitamente la procedura.
3. Fasi principali e scadenze normative
La procedura di liquidazione giudiziale si svolge in più fasi concitate. Di seguito un riepilogo dei momenti salienti con riferimenti ai tempi di legge (per ciascun termine indichiamo il comma e l’articolo del CCII, quando possibile):
- Udienza di verifica del passivo (art. 49 CCII): dopo l’apertura, il Tribunale fissa con la sentenza un’udienza per la verifica delle domande di insinuazione al passivo. Tale udienza deve essere programmata entro 120 giorni dal deposito della sentenza di apertura (se la procedura è complessa il termine sale a 150 giorni). Il decreto di fissazione dell’udienza deve essere notificato ai creditori e ai terzi aventi diritti reali su beni del fallito almeno 30 giorni prima. In quell’udienza il giudice delegato esamina le domande di credito, ammettendo o respingendo, e forma il tabulato o stato passivo provvisorio.
- Tempi medi: l’inventario e la compiuta verifica del passivo richiedono tipicamente da 4 a 6 mesi dall’apertura. Un curatore efficiente riesce spesso a svolgere l’esame del passivo in un solo verbale, chiudendo la fase in pochi mesi.
- Inventario della massa (art. 49 CCII): contemporeamente, il curatore deve redigere l’inventario dei beni mobili, immobili e crediti del fallito. L’art. 49, c.3 c) impone di depositare subito (entro 3 giorni) le scritture contabili e fiscali obbligatorie; l’inventario vero e proprio viene solitamente redatto entro pochi mesi e depositato presso la cancelleria per iscrizione nel fascicolo.
- Programma di liquidazione (art. 213 CCII): entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario (e in ogni caso non oltre 150 giorni dalla sentenza di apertura), il curatore deve predisporre un programma di liquidazione e sottoporlo al comitato dei creditori. Tale termine di 150 giorni è fissato come perentorio: il suo inesatto rispetto (senza giustificato motivo) è causa di revoca del curatore. Il programma contiene informazioni su criteri di vendita degli immobili, di liquidazione degli altri beni, piani di riscossione dei crediti, costi e presunti tempi di realizzo (comprendendo anche il termine entro cui inizieranno le vendite). In particolare l’art. 213 c.5 stabilisce che nel programma deve essere indicato il termine entro cui avrà inizio l’attività di liquidazione dell’attivo e il termine presunto di completamento. Si prevede anche che entro 8 mesi dall’apertura della procedura si tenga il primo esperimento di vendita.
- Vendita dell’attivo: secondo il programma approvato, il curatore procede alla vendita dei beni fallimentari (beni immobili, azienda, beni mobili, crediti). Il Codice prevede che per gli immobili almeno tre vendite all’anno debbano essere tentate (salvo il primo anno dove va garantito almeno un tentativo entro 8 mesi). Se dopo sei aste deserte non vi è alcuna aggiudicazione, la norma presume sia “manifestamente non conveniente” continuare con l’attività di liquidazione su quegli immobili, a meno che il giudice delegato non autorizzi una proroga (art. 213 c.2 CCII).
- Tempi medi: questa è generalmente la fase più lunga. Vendere immobili o rami aziendali, condurre cause di responsabilità o del creditore, richiede tempo. Procedimenti e aste successive possono allungare la procedura ben oltre i termini standard. Un fatto positivo: il legislatore spinge il curatore a dismettere velocemente l’attivo non redditizio, anche rinunciando a cose di scarso valore per accelerare i rimborsi.
- Piano di riparto (art. 220 CCII): una volta realizzato l’attivo e definito lo stato passivo, il curatore prepara un piano di riparto dei fondi (esposizione delle somme disponibili e relative quote da liquidare a ciascun credito). Il piano deve rispettare l’ordine di prelazione (crediti privilegiati, chirografari ecc.) e può prevedere riserva di somme in caso di reclamo. Se ci sono reclami, viene dichiarato esecutivo con accantonamento delle somme contestate (si veda anche art. 220 sulla tecnica del piano, simile alla vecchia legge fallimentare). Dopo l’approvazione definitiva, il curatore provvede al pagamento ai creditori.
- Chiusura della procedura (art. 233 e seguenti CCII): conclusi i pagamenti (o constatata l’insufficienza dell’attivo residuo), il curatore deposita il rendiconto finale e il Tribunale emette un provvedimento di chiusura della liquidazione giudiziale. Le fattispecie di chiusura variano (esaurimento attivo, nullità, estinzione d’ufficio, ecc.; cfr. artt. 233-236 CCII). Con la chiusura la procedura termina formalmente e gli organi decadono. In ogni caso, dopo tre anni dall’apertura il debitore persona fisica può chiedere o ottenere anche prima della chiusura l’esdebitazione (per maggiori dettagli, v. infra).
=> Tabella riassuntiva dei tempi principali:
Fase procedurale | Termine normativo | Nota |
---|---|---|
Convocazione dell’udienza di apertura | Entro 45 giorni dal deposito del ricorso | + notifica con preavviso ≥15 gg |
Udienza di accertamento dell’insolvenza/nomina | In 1ª udienza (di regola) dopo 1–4 mesi dal deposito | Dipende dal Tribunale |
Deposito inventario e contabilità | Debiti e scritture contabili: entro 3 giorni dall’udienza di apertura | Inventario curatore: dopo pochi mesi |
Udienza di verifica dello stato passivo (art. 49) | Fissata entro 120 gg dalla sentenza di apertura (150 se complesso) | Notifica domande insinuazione: ≥30 gg prima |
Presentazione domande di ammissione al passivo | Termine perentorio: 30 giorni prima dell’udienza di verifica | |
Programma di liquidazione (art. 213 CCII) | Entro 60 gg dall’inventario e comunque ≤ 150 gg dalla sentenza | Ritardo grave = revoca curatore |
Primo esperimento di vendita di immobili | Entro 8 mesi dall’apertura | Si presume non conveniente dopo 6 aste deserte |
Completamento liquidazione dell’attivo | Entro 5 anni dal deposito della sentenza (7 anni max per complessità) | Sollecito proroga in caso di difficoltà |
Presentazione piano di riparto | (Dopo esaurimento attivo, senza termine prefissato – in pratica entro pochi mesi dopo ultimo incasso) | Soggetto al consenso del Tribunale |
Chiusura della procedura | Dopo approvazione rendiconto finale e decreto di chiusura (in genere entro 6 mesi dalla fine liquidazione) | Termine improrogabile: 5 anni per completare attività |
=> Ruoli e competenze (schematica):
- Curatore: amministra i beni (inventario, vendite, riscossioni), deposita relazioni e rendiconto, promuove il programma di liquidazione e il piano di riparto.
- Giudice delegato: autorizza gli atti proposti dal curatore (vendite, esercizio provvisorio, transazioni, ecc.), convoca e presiede le udienze istruttorie (stato passivo, riparto), decide sui reclami. Vigila sul rispetto dei termini procedurali.
- Comitato dei creditori: controlla il curatore, approva eventuali scelte strategiche (programma di liquidazione, rinuncia di beni all’attivo) e formula osservazioni sui rapporti periodici del curatore.
- Tribunale (Collegio): pronuncia l’apertura e la chiusura, decide su ricorsi e reclami, omologa il piano di riparto, nomina il curatore e il giudice delegato.
- Debitore: collabora fornendo documenti, trasferisce i beni al curatore.
- Creditori: presentano domande di insinuazione al passivo, partecipano alla procedura come parti, possono proporre opposizioni al piano di riparto e chiedere la liquidazione di garanzie.
4. Punti di attenzione per imprenditori e difensori
- Tempistica forzata: il Codice impone scadenze rigorose (ad es. 45 gg per l’udienza, 120 gg per lo stato passivo, 5 anni per completare l’attivo). Un difensore deve tenere monitorato il cronoprogramma, sollecitare i soggetti responsabili (tribunale, curatore) in caso di ritardo e, se necessario, chiedere udienze straordinarie o soluzioni ex art. 61 (sospensione atti).
- Verifica dell’attivo e passivo: è cruciale svolgere velocemente l’inventario e la verifica dei crediti, per ridurre i tempi totali. Eventuali contestazioni agli atti del curatore o allo stato passivo vanno proposte con urgenza (poiché i creditori hanno termini perentori).
- Gestione beni immobili: vendere immobili è spesso la parte più lunga della procedura. Gli imprenditori devono essere consapevoli che più sono complessi i beni, più potrà dilatarsi il tempo. I difensori possono consigliare al curatore strategie alternative (ad es. cessione tramite patto di uscita di immobili contestati, affitto o altre forme di cessione) per accelerare il realizzo.
- Impatti per i soci e garanti: nelle società di persone, i soci illimitatamente responsabili subiscono gli effetti della liquidazione sociale; pertanto, anche per loro valgono i termini della procedura principale. Bisogna considerare che, al termine, la massa fallimentare comprenderà i patrimoni personali di tali soci (art. 256 CCII).
- Recupero dell’esdebitazione (c.d. “fresh start”): per gli imprenditori persone fisiche l’attesa dell’esdebitazione è generalmente contenuta. Il Codice prevede infatti che il debitore meritevole può ottenere l’annullamento dei debiti residui già dopo 3 anni dall’apertura della liquidazione (non occorre attendere la chiusura). Ciò offre un orizzonte massimo per il “liberi tutti” del debitore individuale anche se i creditori hanno ricevuto poco. È una novità positiva rispetto alla vecchia legge fallimentare.
- Legge Pinto (durata del procedimento): la Cassazione ha chiarito che, ai fini del computo della “ragionevole durata” ex L.89/2001 (equo indennizzo se la procedura supera i 6 anni), per i creditori il termine inizia a decorrere con il deposito delle istanze di ammissione dei crediti (art. 2 L.89/2001). Ciò significa che non si computa il periodo successivo all’apertura fino alla presentazione delle domande. In ogni caso, i curatori e giudici delegati dovrebbero evitare ritardi colpevoli (il tempo oltre i termini convenuti nel programma di liquidazione non viene computato ai fini Pinto, art.213 c.9 CCII).
- Danni da eccessiva durata: l’imprenditore e i soggetti interessati (come creditori e soci) possono sollevare eccezioni di ritardo ingiustificato (ad esempio chiedendo al giudice delegato di accelerare o proporre reclamo all’ADunanza del Tribunale se la liquidazione si trascina senza avanzare). Seppur residuali, si possono ipotizzare profili di responsabilità del curatore o del giudice delegato per eccessiva lentezza.
- Protezione degli interessi del debitore: benché il debitore perda il potere decisionale, ha comunque diritto di presentare istanze per ottenere beni di uso personale, curare l’esdebitazione e collaborare alla procedura. Gli avvocati difensori del debitore devono vigilare affinché i diritti del fallito (es. conservazione di alcuni cespiti privati o conto deposito “neutro”) vengano rispettati.
5. FAQ – Domande frequenti
- Quanto tempo dura una liquidazione giudiziale?
Non esiste un termine fisso universale: la durata varia a seconda del patrimonio e delle contestazioni esistenti. Tuttavia, il Codice della crisi impone un termine massimo di 5 anni per completare la liquidazione dell’attivo (con possibile proroga a 7 anni se particolarmente complessa). In pratica, una procedura di media complessità può durare 3–5 anni. In passato il fallimento medio durava anche 5-7 anni, ma con la nuova normativa si prevede di accelerare i tempi: fasi come l’apertura e lo stato passivo si concludono in pochi mesi. Casi semplici (piccole imprese con pochi beni o insolvenze concluse per insufficienza attivo) possono chiudersi in 1–2 anni, mentre i casi complessi (imprese con molti immobili, contenziosi, azioni di responsabilità) rischiano di superare i 5 anni. Oltre quel termine occorre giustificare ogni proroga. - Qual è il termine legale per completare la liquidazione dell’attivo?
In origine il Codice prevedeva 2 anni, ma è stato corretto: l’art. 213 CCII ora stabilisce che il curatore deve completare l’attivo entro 5 anni dal deposito della sentenza di apertura. Questo tetto può essere prorogato dal giudice delegato (se giustificato) fino a 7 anni per casi molto complessi. Il curatore che rispetta i termini (anche se prolungati) non vede conteggiare il tempo extra ai fini della legge Pinto (il tempo straordinario non è computato come ritardo del processo). - Cosa succede se non si rispettano i termini di legge?
Il mancato rispetto ingiustificato dei termini (per esempio, non formulare il programma di liquidazione entro 150 giorni) è causa di revoca del curatore. Se il curatore fallisce nel concludere le vendite entro 5 anni senza motivazione, il giudice delegato può revocarlo e nominarne un altro. Se la procedura si protrae oltre 6 anni complessivi, i creditori possono invocare la legge Pinto per ottenere equa riparazione (ad es. risarcimento per eccessiva durata). D’altro canto, se il curatore rispetta le scadenze del programma, i tempi prolungati non vengono considerati come ingiustificati. - Quando inizia a decorrere la durata “utile” del fallimento (L. 89/2001)?
La Cassazione ha precisato che, ai fini dell’equa riparazione (L.89/2001), per ogni creditore il termine inizia con il deposito della sua domanda di insinuazione al passivo (seguendo l’art. 94 L.F.). In altre parole, non si tiene conto del periodo tra apertura e presentazione di quella domanda, perché il creditore era estraneo fino ad allora. Dal momento della domanda, la procedura è considerata avviata ai fini del conteggio. - Quali differenze ci sono tra liquidazione giudiziale e liquidazione controllata o volontaria?
La liquidazione giudiziale si applica solo agli imprenditori commerciali insolventi. Esiste anche la liquidazione controllata (ex art. 89 CCII) destinata ai casi di sovraindebitamento e alle “imprese minori”, con regole che favoriscono un management più continuativo e tutele di finanza strutturata. La liquidazione controllata prevede un’esdebitazione automatica già dopo 3 anni dall’apertura. La liquidazione volontaria è invece la procedura di scioglimento di una società ancora solvente: si accede su decisione dei soci e senza applicazione delle regole concorsuali (i creditori vengono pagati integralmente con il patrimonio esistente). - Posso ottenere l’esdebitazione prima della chiusura del fallimento?
Sì. Per le persone fisiche, il tribunale può pronunciare l’esdebitazione “anticipata” già decorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione giudiziale. Ciò significa che, se il debitore risulta meritevole (senza cause di esclusione), può essere liberato dai debiti residui anche se la liquidazione non è formalmene chiusa. In ogni caso, al termine (reale) della procedura il tribunale deve esaminare l’esdebitazione residua. Questo acceleramento “fresh start” offre un orizzonte certo al debitore persona fisica. - Come può impattare sui tempi l’esistenza di beni di famiglia o trust?
Alcuni beni sono sottratti alla procedura per disposizione di legge (es. i beni di famiglia ex art. 1 L. 80/2005). Se il debitore invoca tale patrimonio separato, si apre un contenzioso per escludere quegli attivi dal fallimento, prolungando la verifica e le vendite. In questi casi il curatore deve rispettare l’ipotesi dei beni inalienabili e difenderla se necessario, ma i tempi di disputa aumentano. Gli avvocati devono gestire con urgenza eventuali eccezioni sui beni esenti. - Esempio di anticipo di termine: se un creditore suggerisce che un immobile debba restare al fallito per uso abitativo (art. 48 L.F.), il giudice delegato dovrà valutare subito l’istanza anziché procedere con aste, altrimenti la liquidazione potrebbe ritardare incertezza.
6. Durata media delle liquidazioni giudiziali in Italia
Statistiche e osservatori confermano che le procedure concorsuali in Italia sono mediamente lunghe, ma con una tendenza al miglioramento:
- Secondo studi recenti, prima del CCII un fallimento di dimensioni medie durava in media 3–5 anni. Con la riforma si è cercato di accorciare i tempi: a titolo di esempio, il curatore ora deve liquidare l’attivo in massimo 5 anni.
- In pratica, le fasi iniziali sono piuttosto rapide: l’udienza di apertura spesso si ottiene entro pochi mesi dal ricorso; la verifica del passivo è solitamente completata entro 4–6 mesi dall’apertura; e già entro un anno si tengono i primi riparti parziali.
- Gli elementi che incidono sui tempi complessivi sono in particolare le vendite (soprattutto di immobili, quando aste ripetute non vanno a buon fine) e le cause legali (azioni di responsabilità verso gli amministratori possono durare molti anni). Con le nuove norme il curatore è incentivato a chiudere prima possibile, anche rinunciando a un bene che richiederebbe troppo tempo. Pertanto, si prevede una riduzione del tempo medio nel prossimo futuro.
- Resta però una forte variabilità: casi semplici (imprenditori individuali con scarsi beni o fallimenti per insolvenza totale senza attivo) possono chiudersi in 1–2 anni. Casi complessi (società con grosso patrimonio immobiliare e contenziosi) possono superare abbondantemente i 5 anni e anche i 7 previsti dalla legge; in questi casi, oltre tale termine il curatore deve chiedere al giudice delegato una proroga motivata per continuare.
- Osservatori di settore (Cribis, rapporti Infocamere, analisi Unioncamere) segnalano che mediamente in Italia una liquidazione giudiziale richiede attualmente alcuni anni (spesso 4–6) prima di chiudersi definitivamente, con differenze territoriali e di settore.
=> Tabella riassuntiva – Durata e fasi (esempi indicativi):
Caso tipo | Durata stimata |
---|---|
Impresa individuale (pochi beni) | ~1–2 anni dalla sentenza di apertura. Fasi rapide: udienza e stato passivo in pochi mesi; attivo contenuto, vendita veloce. Può chiudersi anche in 12 mesi. |
PMI (cap. di rischio medio) | ~3–5 anni. Apertura e passivo 4–6 mesi, inventario breve. Il completamento dell’attivo richiede più tempo (vendite, contenziosi). Riparti parziali entro 1–2 anni. |
Società di capitali con immobili | 5–7+ anni. Lentezza legata alle aste immobiliari e possibili opposizioni (interessi, usi). Può protrarsi oltre 7 anni, ma dopo 5 anni serve proroga motivata. |
Società di persone (SNc/Sas) | Simile ai precedenti, ma con il patrimonio personale dei soci coordinato nelle vendite (art. 256 CCII), quindi tempi paragonabili alle cap. di rischio alto. |
Impresa “mini” (scarsa entità) | Se art. 213 per insufficienza attivo, si procede all’immediata estinzione (nessun attivo da liquidare). Durata: pochi mesi per la pronuncia del Tribunale. |
Ogni caso concreto può divergere: contenziosi tributari, garanzie prestate, rami aziendali complessi, etc. influenzano fortemente i tempi.
7. Simulazioni pratiche (casi tipo)
1. Impresa individuale con patrimonio modesto:
Un piccolo artigiano di 45 anni, con un’attività commerciale e un magazzino di beni per €50.000, deve €120.000 tra fornitori e banche. Non possiede immobili (abitazione esclusa dalla liquidazione).
- Apertura: ricorso depositato; entro 3 mesi il tribunale convoca l’udienza e dichiara aperta la liquidazione. Contestualmente si nomina il curatore (es. Dott. Rossi). Il debitore consegna i registri contabili e i beni (magazzino) al curatore.
- Verifica stato passivo (dopo ~4 mesi dall’apertura): i fornitori presentano domande per i loro €100K, le banche per €20K. L’udienza si svolge entro 120 giorni: tutti i crediti vengono ammessi.
- Inventario attivo: il curatore redige l’inventario (il magazzino di beni) entro 2 mesi e ottiene dal giudice delegato di avviare subito le vendite (nessun immobile comporta semplificazione).
- Liquidazione attivo: si svolgono 3 aste in 5 mesi; il primo esperimento deserto, il secondo aggiudica buona parte del magazzino per €40K complessivi. Il curatore rimette in vendita il rimanente e ottiene altri €5K. In totale incassa €45K in 6 mesi di liquidazione.
- Riparto: redige il piano di riparto: spese procedura 5K; attivo netto da distribuire €40K. I creditori chirografari (fornitori e banche non garantite) ricevono il riparto proporzionale: 40K/120K = 33,3%. Ciascun fornitore di €10K riceve €3.333, le banche in totale €1.111.
- Chiusura: dopo 8 mesi dalla sentenza di apertura, con il piano di riparto eseguito, il tribunale emette decreto di chiusura della procedura. L’imprenditore può chiedere immediatamente l’esdebitazione (anche se non formalmente chiuso).
2. PMI con sede e capannone:
Una S.r.l. manifatturiera con fatturato medio di 1 milione €, sede e capannone di proprietà, 5 dipendenti, risulta insolvente per debiti verso banche (€300K) e fornitori (€200K).
- Apertura: udienza in 3 mesi, nomina curatore. Deposito dei bilanci e del registro dei beni immobili (capannone, attrezzature, automezzi).
- Esame passivo (entro 120 giorni): diversi fornitori e dipendenti ammettono istanze (ammontano a €220K), banche €300K garantite da ipoteca sul capannone. Stato passivo formato: crediti garantiti €300K, privilegiati €? (es. TFR dipendenti), chirografari €220K.
- Programma di liquidazione: redatto entro 150 gg. Prevede vendita del capannone e dell’azienda come complesso. Termine fissato: primo esperimento immobiliare entro 8 mesi.
- Vendite e causa: il primo bando d’asta deserto (il capannone non viene aggiudicato per prezzo minimo alto). Serve reimpostare aste: si tengono in totale 5 esperimenti nel primo anno, i primi due deseri, il terzo trova un acquirente esterno che paga €250K per il capannone (di valore stimato €300K). Nel frattempo, il curatore ottiene l’autorizzazione a vendere in blocco macchinari e scorte tramite trattativa privata, incassando altri €50K in due mesi.
- Riparto intermedio: parzialmente, parte dell’attivo viene distribuita (ad es. coperti €250K+€50K = €300K).
- Attivo residuo e cause: residua da vendere un veicolo aziendale (€10K). Nel frattempo, alcuni creditori presentano opposizioni al riparto per voci di debito contestate (ritardi nelle estrazioni, false posizioni). Il curatore deve affrontare due opposizioni di liquidazione, richiedendo tempo aggiuntivo.
- Chiusura finale: in 3 anni la liquidazione dell’attivo è completa (vendite, incassi totali €310K, spese incluse 15K). Gli eventuali creditori residui (rimasti con crediti parziari insoddisfatti) accettano il riparto finale. Entro il 4° anno la procedura si chiude con decreto. L’imprenditore (persona fisica unico socio) riceve l’esdebitazione (dopo 3 anni può già ricorrerne).
3. Società di capitali con importante patrimonio immobiliare:
Una S.p.A. turistica proprietaria di immobili turistici (hotel) e con pendenze miliari (€5M) verso molte banche e obbligazionisti. I crediti esigibili ammontano a €7M totali.
- Apertura: procedimento complesso, richiede mesi di istruttoria. Inventario depositato in 5 mesi. Stato passivo attrae centinaia di domande (30 creditori principali + 200 fornitori minori). Udienza di esame passivo fissata a 150 giorni.
- Programma: curatore propone liquidazione degli hotel unitamente alla struttura aziendale (completo di contratti gestionali). Fissa un primo esperimento di vendita unitario dell’azienda entro 8 mesi.
- Vendita e fallimento (oltre 5 anni): i bandi d’asta (sia immobili che complesso aziendale) subiscono numerosi rinvii per mancanza di offerte valide. Vengono reiterati 6 esperimenti immobiliari nel primo biennio (tutti andati deserti). Il giudice delegato concede proroghe per giustificata complessità. Nel frattempo, alcuni fornitori falliscono per insolvenza del gruppo, e debiti tributari emergono in contenzioso (duplica i tempi). Dopo 6 anni, il curatore conviene che non esistono più offerte: prosegue dismissione liberatoria (rimessa azienda a gestori terzi, break up di rami non caratteristici).
- Riparto parziale: compaiono progressivamente incassi residuali (leasing su attrezzature, resti di cassa). Nei 7 anni si arriva a un attivo di soli €500K su debiti €7M. Su questo l’assemblea creditori approva un piano di riparto finale, liquidando proporzionalmente i residui.
- Chiusura: al termine del 7° anno la procedura si conclude. Il patrimonio sociale è stato completamente liquidato (la società è estinta ex art. 233 c.3 CCII). I creditori chirografari hanno recuperato una piccola percentuale, gli obbligazionisti sono risultati insoddisfatti. Nonostante l’eccessiva durata, essendo il curatore stato diligente nel perseguire ogni vendita, eventuali azioni per “eccesso di durata” sono probabilmente infondate (il tempo extra non conta ai fini Pinto se giustificato).
Questi esempi illustrano come la durata varia in base alle circostanze: aziende con pochi beni chiudono in breve, mentre quelle con elevati valori e contenziosi subiscono lungaggini.
8. Fac-simile di atti principali
- Istanza di apertura (art. 40 CCII): si tratta del modello di ricorso da depositare al Tribunale. Un tipico atto inizia con l’intestazione del Tribunale competente (es. “Tribunale di Milano – Sezione Specializzata in materia di impresa”), i dati di indicazione della procedura (ad es. “Ricorso ex art. 40 CCII per dichiarazione di liquidazione giudiziale”), e prosegue con l’esposizione dei fatti (“Il sottoscritto Dott. Rossi, in qualità di legale rappresentante della [Denominazione Impresa], espone che…”). Vengono descritti lo stato di insolvenza (giustificando con documenti contabili, bilanci, atti interruttivi del credito), la titolarità di qualificati creditori, l’assenza di requisiti per l’esdebitazione privata, ecc. Si conclude con la formula di chiesta (es. “chiede che il Tribunale, definita l’istruttoria, dichiari aperta la procedura di liquidazione giudiziale in capo all’impresa [nome], disponendo le misure del caso e condannando la parte soccombente alle spese del procedimento.”). In calce vanno i documenti prodotti (bilanci, estratti conto, prove di credito) e la firma del difensore.
- Sentenza di apertura (nomina del curatore): non è un atto redatto dall’interessato ma dal Tribunale. Un fac-simile del dispositivo potrebbe essere riportato così: “Il Tribunale di [Città], Sezione specializzata in materia di impresa, dopo aver esaminato il ricorso depositato in data //__ e gli atti della procedura, Dichiara aperta la liquidazione giudiziale del patrimonio dell’impresa [Denominazione e dati fiscalità del fallito], limitatamente al patrimonio descritto nell’inventario. Nomina Giudice Delegato il Giudice [Nome Giudice] e Curatore il Dott. [Nome Curatore], con studio in [indirizzo]. Impone al curatore di trasmettere al Tribunale e al pubblico ministero copia del rendiconto ogni sei mesi e di compiere gli adempimenti di cui all’art. 130 CCII (relazione interna). Ordina al debitore, entro 3 giorni, il deposito dei bilanci aziendali e delle scritture contabili presso la cancelleria. L’udienza di verifica dello stato passivo è fissata per il //__ (entro 120 giorni). Compete alle parti interessate la pubblicazione del dispositivo e la sua iscrizione nel Registro delle imprese secondo l’art. 45 CCII. Il ricorso del debitore viene trasmesso al Registro delle imprese per la pubblicità obbligatoria. Così deciso. [Data, Firma del Presidente].”
Questi fac-simile mostrano l’impostazione pratica di alcuni atti. Ovviamente ogni procedura può avere variazioni di forma, ma in genere i documenti seguiranno questa struttura logica, con citazione degli artt. pertinenti del CCII.
9. Conclusioni
La liquidazione giudiziale è una procedura complessa con scadenze rigide: dalla sentenza dichiarativa di apertura, il percorso è scandito da termini fissati a norma di legge (es. udienza in 45 giorni, stato passivo in 120 giorni, programma di liquidazione in 150 giorni). L’obiettivo del legislatore è garantire che l’iter concorsuale venga completato in tempi ragionevoli: il curatore deve liquidare l’attivo entro 5 anni, pena la revoca, spingendo così ad accelerare le operazioni. È fondamentale per difensori e imprenditori conoscere a fondo queste scadenze e pianificare le mosse: un ritardo ingiustificato può comportare conseguenze (revoca del curatore, responsabilità, rivalsa della legge Pinto), mentre un’eccessiva fretta può compromettere il valore ottenuto dalle vendite.
In concreto, per un imprenditore sotto liquidazione significa restare senza controllo sull’impresa, con il futuro dipendente dall’operato del curatore e dal calendario stabilito dal tribunale. Deve prepararsi psicologicamente a perdere i beni d’impresa (e nel caso di società di persone, anche quelli personali) e può ambire però all’esdebitazione dopo 3 anni. Per un difensore, è cruciale agire sin dal deposito del ricorso, curare ogni passaggio (deposito bilanci, domande di debito, opposizioni) nel rispetto dei termini e sostenere i diritti del proprio assistito (sia esso debitore o creditore) presentando reclami e istanze ove necessario.
In conclusione, la durata di una liquidazione giudiziale dipende in larga misura dalla struttura dell’attivo, dalla quantità di passività da gestire e dalla presenza di contenzioso. La normativa fornisce “paletti” chiari (fasi e scadenze) e strumenti per accelerare e chiudere le procedure, ma è sempre l’operato degli organi concorsuali e gli eventi di fatto a determinare la durata effettiva. Una conoscenza approfondita del CCII e un’attenta gestione procedurale sono quindi essenziali per contenere i tempi e tutelare gli interessi delle parti coinvolte.
10. Fonti e riferimenti
- Normativa: D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) e ss.mm.ii. (in particolare artt. 49, 50, 51, 213, 220, 233-236 CCII); D.lgs. 136/2024 (“Correttivo-ter” al CCII); Legge 24 marzo 2001, n. 89 (legge Pinto sulla durata ragionevole); Codice Civile (art. 2740 e segg. sul patrimonio); D.P.R. 602/1973 (atti esecutivi, per crediti privilegiati).
- Giurisprudenza selezionata: Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2024, n. 324 (decisiva sul dies a quo per calcolo della durata ai fini Pinto); altri precedenti Cassazione in materia fallimentare citati nelle fonti; pronunciamenti di Corti d’Appello specializzate (ad es. Verona, Milano) e Tribunali fallimentari (es. Trib. Catania 12/1/2023 sulla verifica degli oneri di impresa minore, richiamata in dottrina).
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