Quanto Dura La Liquidazione Controllata?

Hai avviato o stai per avviare una procedura di liquidazione controllata e ti stai chiedendo quanto durerà tutto questo? Hai paura che la procedura possa andare avanti per anni e bloccare completamente il tuo futuro finanziario o lavorativo?

La liquidazione controllata è una procedura prevista per le persone fisiche sovraindebitate, come ex imprenditori sotto soglia, lavoratori autonomi o privati cittadini. Si tratta di un percorso che consente di vendere i beni, distribuire il ricavato ai creditori e, in molti casi, ottenere l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti non pagati. Ma quanto tempo ci vuole per arrivare alla fine?

Quanto dura una liquidazione controllata?

Non esiste un termine rigido e uguale per tutti. La durata della procedura può variare da alcuni mesi a diversi anni, in base a:

  • la presenza o meno di beni da liquidare (es. immobili, veicoli, conti);
  • la collaborazione del debitore;
  • l’assenza o la presenza di contenziosi o opposizioni;
  • i tempi tecnici del Tribunale e dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC).

In generale, una procedura semplice – senza beni o con patrimonio facilmente liquidabile – può chiudersi in 12-24 mesi. Se ci sono immobili da vendere o cause da affrontare, la durata può superare i 3-4 anni.

Quando si chiude la procedura?

La liquidazione si chiude quando:

  • tutti i beni sono stati venduti (se presenti);
  • i creditori sono stati soddisfatti, anche solo parzialmente;
  • non rimangono atti da compiere e non ci sono più attività in corso.

Dopo la chiusura, il debitore può – se in possesso dei requisiti – chiedere l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti residui.

E se non ci sono beni?

Anche chi non ha beni da vendere può accedere alla liquidazione controllata. In questo caso, la procedura può essere più breve, ma il giudice e il gestore della crisi devono verificare attentamente la documentazione e l’assenza di comportamenti in mala fede. Dopo la chiusura, si può comunque ottenere l’esdebitazione del debitore incapiente.

Posso accelerare i tempi?

Sì, in molti casi. Presentare un piano documentato e chiaro, collaborare con il gestore, evitare contenziosi inutili e mantenere un atteggiamento corretto può aiutare a ridurre sensibilmente i tempi. Anche scegliere il giusto OCC e farsi assistere da un avvocato esperto può fare la differenza.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati specializzati in sovraindebitamento, esdebitazione e procedure di liquidazione – ti spiega quanto dura la liquidazione controllata, da cosa dipende la tempistica, e cosa possiamo fare per aiutarti a chiudere il prima possibile e tornare libero dai debiti.

Hai avviato la liquidazione controllata e temi che la procedura si trascini troppo a lungo? Vuoi sapere se puoi accorciare i tempi e ottenere l’esdebitazione prima del previsto?

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Introduzione

La liquidazione controllata del sovraindebitato è una procedura concorsuale introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) per consentire ai debitori non fallibili di liquidare il proprio patrimonio sotto la supervisione del tribunale, pagando (almeno in parte) i creditori e ottenendo l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui). Una delle domande più importanti per chi valuta di accedere a questa procedura è: quanto dura la liquidazione controllata?

In questa guida esamineremo in dettaglio la durata della liquidazione controllata, con taglio tecnico-giuridico ma divulgativo, dal punto di vista del debitore. Analizzeremo l’evoluzione normativa dal 2019 al 2025, le fasi e i tempi della procedura, gli orientamenti giurisprudenziali (di merito e di legittimità) più recenti, esempi pratici in diversi settori economici, tabelle riepilogative con durate medie, costi e soggetti coinvolti, e infine una sezione FAQ con risposte alle domande più comuni dei debitori.

Nota sul perimetro: La trattazione riguarda esclusivamente l’ordinamento italiano e la disciplina vigente al giugno 2025. Ci riferiremo quindi al Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) e alle pronunce giurisprudenziali italiane relative alla liquidazione controllata. Il linguaggio utilizzato, pur essendo tecnico-giuridico, sarà il più chiaro possibile per risultare utile sia agli operatori del diritto (avvocati, commercialisti) sia ai debitori (privati o piccoli imprenditori) interessati a comprendere la procedura.

Evoluzione normativa dal 2019 al 2025

In questa sezione ripercorriamo lo sviluppo normativo della liquidazione controllata, dalla nascita del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza fino alle più recenti modifiche in vigore nel 2025. Ciò aiuta a contestualizzare durata e regole della procedura, evidenziando come il legislatore sia intervenuto per equilibrarne tempi e finalità.

Dal fallimento alla liquidazione controllata: il Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019)

Il D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, istitutivo del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), ha rappresentato una riforma organica della materia concorsuale. Tra le tante innovazioni, ha unificato e sostituito sia la vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942) sia la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012). Proprio in sostituzione della “liquidazione del patrimonio” prevista dalla L. 3/2012, il nuovo Codice ha introdotto la liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII). Si tratta di una procedura analoga al fallimento (ora liquidazione giudiziale), ma pensata per debitori “minori” (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, enti non profit, imprenditori agricoli, start-up innovative, ecc.), tradizionalmente non assoggettabili al fallimento.

Il Codice della Crisi doveva inizialmente entrare in vigore nell’agosto 2020, ma la sua efficacia è stata più volte differita a causa della pandemia COVID-19 e per recepire la direttiva UE 2019/1023 (Insolvency Directive). La maggior parte delle sue disposizioni – incluse quelle sulla liquidazione controllata – è divenuta operativa a partire dal 15 luglio 2022, data di effettiva abrogazione della L.3/2012. Da quel momento, tutte le nuove procedure di sovraindebitamento si svolgono secondo il CCII.

I correttivi al Codice: modifiche del 2020 e 2022

Prima ancora che il Codice entrasse in vigore, il legislatore vi è intervenuto con modifiche correttive. In particolare:

  • D.Lgs. 26 ottobre 2020 n.147 (c.d. “decreto correttivo”): ha apportato numerosi aggiustamenti al testo originario del CCII. Per quanto riguarda il sovraindebitamento, il correttivo ha ad esempio modificato alcune definizioni e procedure minori. Ha anche introdotto nel Codice istituti già sperimentati con la L.3/2012 tramite il D.L. 137/2020 (convertito in L. 176/2020), come l’esdebitazione dell’incapiente (oggi art. 283 CCII). Inoltre, il correttivo del 2020 ha anticipato l’innovazione – poi definitivamente recepita – per cui anche i soci illimitatamente responsabili di società possono accedere alle procedure da sovraindebitamento in proprio.
  • D.L. 28 ottobre 2020 n.137 (conv. in L. 18 dicembre 2020 n.176): intervento emergenziale legato al COVID, ha modificato transitoriamente la L.3/2012 in attesa del Codice. Ha esteso la definizione di “consumatore” includendo i soci di società di persone (per debiti estranei all’attività di impresa sociale) e ha previsto la possibilità per il socio illimitato di accedere alle procedure di sovraindebitamento (accordo, piano o liquidazione personale). Ha anche introdotto l’esdebitazione del debitore incapiente, offrendo immediata liberazione dai debiti per chi non aveva beni né redditi aggredibili (anticipando quanto oggi è l’art. 283 CCII).
  • D.Lgs. 17 giugno 2022 n.83 (c.d. “secondo correttivo”): emanato per recepire la direttiva UE 2019/1023 in materia di ristrutturazioni e insolvenza. Questo decreto ha ulteriormente modificato il CCII prima della sua entrata in vigore a luglio 2022. L’impatto maggiore si è avuto sul concordato preventivo e sugli strumenti di allerta, ma sono state apportate rettifiche anche alle procedure minori di sovraindebitamento. Ad esempio, è stato meglio definito il contenuto della proposta di concordato minore (richiedendo classi di creditori se opportuno). Per la liquidazione controllata, il D.Lgs. 83/2022 ha confermato l’assetto generale, lasciando aperta la questione dei limiti di durata (come vedremo, affrontata poi da giurisprudenza e da un successivo intervento normativo).

Dal 15 luglio 2022, con il Codice finalmente in vigore, la liquidazione controllata è divenuta la procedura di riferimento per i debitori civili sovraindebitati. Nei primi anni di applicazione sono emersi alcuni problemi interpretativi, tra cui proprio la questione della durata massima e minima della procedura (soprattutto riguardo alla possibilità di prelevare porzioni di reddito futuro del debitore, come stipendio o pensione, e per quanto tempo farlo). Tali problemi hanno richiesto l’intervento dei giudici e infine del legislatore.

Le novità del 2024: terzo correttivo e interventi sulla durata della procedura

Nel 2023 e 2024 si sono registrati sviluppi importanti. Da un lato, alcuni tribunali hanno sollevato questioni di costituzionalità sulla mancanza di un limite temporale esplicito per la liquidazione controllata, in confronto al precedente limite di 4 anni previsto dalla L.3/2012. Dall’altro, è stato emanato un ulteriore decreto correttivo del Codice.

  • Ordinanze di rimessione e Corte Costituzionale (2023-2024): Il Tribunale di Arezzo, con quattro ordinanze (prima ordinanza del 3 marzo 2023), ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 142, comma 2 CCII, nella parte in cui – a differenza della previgente L.3/2012 – non fissa un limite temporale per l’acquisizione di beni sopravvenuti (redditi futuri) nella liquidazione controllata. In sostanza, sotto la legge 3/2012 il liquidatore poteva trattenere una parte degli stipendi del debitore per massimo quattro anni (art. 14-undecies L.3/2012), mentre il CCII 2019 non prevedeva esplicitamente né un minimo né un massimo, limitandosi a dire che l’esdebitazione opera dopo 3 anni. Si temeva che, senza un tetto normativo, la procedura potesse durare un tempo eccessivo o, all’opposto, che alcuni giudici autorizzassero durate troppo brevi a svantaggio dei creditori. La Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 6 del 19 gennaio 2024, dichiarando infondata la questione. La Consulta ha osservato che già nel sistema vigente esistono parametri sufficienti a guidare la durata della procedura, senza necessità di un intervento additivo. In particolare: (a) il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost. e Legge Pinto) indica 3 anni come durata auspicabile per una liquidazione controllata; (b) l’esdebitazione limita nel tempo la responsabilità del debitore, operando (di regola) dopo 3 anni dall’apertura; (c) al contempo, la tutela dei creditori impone di sfruttare tutta la finestra temporale fino all’esdebitazione per massimizzare il recupero. La Corte ha esplicitamente affermato che il liquidatore, salvo il caso in cui riesca a soddisfare integralmente i crediti prima, deve prevedere un programma di liquidazione di durata non inferiore al triennio, utilizzando tutto il tempo antecedente l’esdebitazione. Dunque 3 anni sono sia il tetto massimo per prelevare redditi futuri (dopo scatta l’esdebitazione), sia di fatto il periodo minimo quando vi siano creditori ancora insoddisfatti. La Corte ha riconosciuto che questa soluzione “flessibile” rientra nella discrezionalità del legislatore e bilancia adeguatamente l’interesse del debitore a un fresh start con quello dei creditori a una soddisfazione non meramente simbolica. Pertanto, non è stata dichiarata incostituzionale la mancanza di un termine fisso (come i 4 anni precedenti).
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n.136 (c.d. “terzo correttivo”): Nel frattempo il legislatore, in attuazione di ulteriori deleghe, ha emanato un terzo decreto correttivo al CCII, in vigore dal 28 settembre 2024. Questo intervento ha introdotto diverse novità puntuali, alcune anche in risposta alle problematiche emerse nei primi due anni di applicazione del Codice. Per la liquidazione controllata, le principali modifiche riguardano:
    • la reintroduzione di una valutazione sulla condotta del debitore ai fini dell’accesso (art. 269 CCII modificato). Pur mantenendo l’accesso aperto anche ai debitori non meritevoli (a differenza dei piani di ristrutturazione, che richiedono meritevolezza ex ante), viene ora previsto che il tribunale, già in fase di apertura, consideri se il sovraindebitamento è stato causato da dolo o colpa grave del debitore. Ciò non impedisce di accedere alla liquidazione, ma serve a segnalare sin dall’inizio eventuali cause ostative all’esdebitazione finale (per indegnità). Si riallinea così la disciplina attuale a quella della vecchia L.3/2012, in cui una condotta gravemente colposa/fraudolenta del debitore era elemento valutato.
    • la semplificazione nella nomina del liquidatore (art. 270, c.2 lett. b CCII novellato): è stato chiarito che il professionista nominato liquidatore non deve necessariamente essere iscritto personalmente nell’elenco dei gestori OCC, ma basta l’iscrizione dell’OCC di appartenenza. Ciò risolve un contrasto interpretativo sorto inizialmente su requisiti del liquidatore.
    • una disciplina espressa sul concorso di procedure (art. 271 CCII): sono dettate regole più chiare per il caso in cui lo stesso debitore abbia più procedure concorrenti, ad esempio coordinamento con un fallimento di una società di cui era socio illimitato, o un’eventuale liquidazione del gruppo familiare. Questo aspetto è tecnico e raro, ma il correttivo lo ha affrontato per completezza.
    • soprattutto, modifiche alla disciplina dell’esdebitazione nella liquidazione controllata (art. 282 CCII): il terzo correttivo ha recepito alcune indicazioni provenienti dalla prassi e dalle citate vicende giurisprudenziali. In particolare, non è più previsto che l’esdebitazione operi “di diritto” automaticamente allo spirare dei 3 anni, ma occorre una richiesta del debitore e una valutazione del tribunale. Il liquidatore dovrà segnalare al giudice, al momento opportuno, se il debitore possiede i requisiti per la liberazione dai debiti. Inoltre, è stato introdotto il contraddittorio anticipato: la domanda di esdebitazione del debitore va comunicata ai creditori, i quali possono presentare osservazioni entro 15 giorni. Questo per evitare che i creditori subiscano passivamente l’esdebitazione e debbano poi fare reclamo: ora possono intervenire prima (anche se, va detto, possono opporsi solo per i motivi legali di diniego previsti, non per semplice dissenso). Infine – punto cruciale per il tema durata – il nuovo comma 2-bis dell’art. 282 CCII ha formalizzato la separazione della massa attiva sopravvenuta dopo l’esdebitazione. In pratica, una volta concessa l’esdebitazione (trascorsi i 3 anni, se accordata prima della chiusura definitiva), eventuali beni sopravvenuti in seguito non potranno più essere acquisiti. Il liquidatore potrà proseguire la liquidazione solo dei beni già compresi nella massa fino a quel momento. Questa modifica era in linea con quanto già desumibile dai principi generali e dalla direttiva europea, ma la sua esplicitazione garantisce maggiore certezza: dopo l’esdebitazione (dunque dopo 3 anni dall’apertura) il debitore torna pienamente libero sui redditi futuri, mentre la procedura, se non è ancora formalmente chiusa, va avanti solo per completare la distribuzione dei beni già liquidati. In sintesi, il sistema aggiornato al 2025 conferma che 3 anni rappresentano la durata “standard” del programma di liquidazione per soddisfare i creditori, salvo chiusura anticipata per pagamento integrale o condizioni particolari, e comunque come limite temporale oltre il quale il debitore meritevole ottiene la libertà dai debiti.

Riassumendo l’evoluzione normativa: dal 2019 ad oggi la liquidazione controllata è passata da un modello iniziale (CCII originario) piuttosto permissivo sulla durata (nessun termine esplicito, esdebitazione automatica in 3 anni) ad un modello più regolato nel 2024 (esdebitazione su istanza, contraddittorio con i creditori, chiarimento sul limite dei 3 anni e separazione dei beni sopravvenuti). Questo percorso è stato guidato dall’esperienza pratica e dalla volontà di bilanciare in modo equo i diritti di debitore e creditori circa il tempo di durata della procedura.

Di seguito, dopo aver visto come si è plasmato il quadro normativo, analizzeremo in dettaglio come si svolge una liquidazione controllata e quali sono le tempistiche tipiche di ciascuna fase, dal punto di vista del debitore.

Durata e fasi della procedura di liquidazione controllata

Vediamo ora come funziona la liquidazione controllata nella pratica e quali sono le tempistiche delle varie fasi procedurali. È importante distinguere i diversi momenti: dall’apertura (con pronuncia del tribunale) alla nomina del liquidatore e accertamento del passivo, dalla liquidazione dell’attivo alla chiusura con esdebitazione finale. Ciascuna fase ha una durata che può variare in base a fattori oggettivi (termini di legge, complessità del patrimonio) e fattori pratici (carico di lavoro del tribunale, comportamento delle parti, eventuali intoppi).

Panoramica generale dei tempi: da 6 mesi a 5 anni

In via generale, la durata complessiva di una liquidazione controllata può andare da un minimo di circa 1 anno (nei casi più semplici e rapidi) fino a 5 anni nei casi più complessi e lenti. In media, per la maggior parte dei procedimenti, si stima una durata intorno ai 3 anni, che – come visto – corrisponde anche al termine oltre il quale scatta l’esdebitazione per il debitore meritevole. Le variabili principali che incidono sulla durata sono:

  • Complessità del caso: numero di creditori, tipologia di beni da liquidare, eventuali cause legali pendenti, ecc. Un conto è liquidare solo beni mobili di scarso valore, altro è dover vendere immobili con aste giudiziarie o gestire contenziosi.
  • Disponibilità di documentazione: se il debitore fornisce subito tutti i documenti e l’OCC/redattore prepara un ricorso completo, l’apertura sarà più rapida. Viceversa, integrazioni documentali possono ritardare l’avvio.
  • Efficienza del tribunale competente: i tempi variano tra tribunali. Alcuni uffici hanno ruolo fallimentare rapido, altri soffrono di arretrati e convocano udienze con lentezza. Ad esempio, nominare il liquidatore può richiedere poche settimane in un tribunale snello, ma diversi mesi in uno congestionato.
  • Comportamento delle parti: Opposizioni o reclami presentati dai creditori (es. contro lo stato passivo, o contro l’esdebitazione) possono allungare i tempi. Anche la collaborazione del debitore incide: se non reperisce documenti, non si fa trovare o ostacola le operazioni, la procedura rallenta.
  • Tipologia di attivo da liquidare: vendere beni immobili tramite aste giudiziarie è notoriamente lungo (possono volerci anni e più tentativi), mentre realizzare beni mobili o crediti può essere più veloce. Se il debitore ha un lavoro, la trattenuta di quote di stipendio si estenderà per l’intero periodo stabilito (solitamente 3 anni). Se invece il debitore è incapiente (privo di beni e redditi), la procedura può chiudersi prima proprio perché non c’è nulla da liquidare.

Nei paragrafi seguenti esamineremo ciascuna fase tipica della liquidazione controllata, indicando i tempi medi o previsti da norme, e evidenziando le possibili variabilità. Si tenga conto che i termini indicati sono orientativi: ogni situazione concreta può discostarsi, ma queste stime aiutano a comprendere l’ordine di grandezza.

Fase 1: Presentazione del ricorso e apertura della procedura

Descrizione: La liquidazione controllata inizia con un ricorso presentato al tribunale competente. Il ricorso può essere proposto volontariamente dal debitore oppure – novità del CCII – anche da un creditore o un pubblico ministero, se il debitore è in stato di insolvenza e rientra tra i soggetti “non fallibili” (es. un consumatore o piccolo imprenditore). Di fatto, i creditori hanno ora una facoltà analoga all’istanza di fallimento: possono chiedere la liquidazione controllata coattiva del debitore sovraindebitato. In caso di ricorso del creditore, il debitore è convocato ed ha la possibilità di evitare l’apertura, ad esempio proponendo un piano alternativo o dimostrando di non essere insolvente.

Atti iniziali e decisione: Il ricorso (predisposto con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi – OCC, o di un professionista) deve contenere una relazione particolareggiata sulla situazione debitoria, l’elenco dei creditori, l’inventario dei beni, ecc. Una volta depositato, il tribunale procede in camera di consiglio. Non vi è un’udienza pubblica contenziosa come in un fallimento, ma il giudice può sentire il debitore e raccogliere eventuali informazioni dall’OCC. Al termine, il collegio emette decreto di apertura della liquidazione controllata (se ritiene sussistenti i presupposti) oppure rigetta il ricorso (se il debitore non è sovraindebitato, o propone soluzioni migliori, ecc.).

Tempi medi: La presentazione della domanda richiede in genere 1-2 mesi di preparazione (raccolta documenti, incontri con OCC, stesura ricorso). Dopo il deposito, il tribunale impiega circa 1-2 mesi (nelle sedi più celeri) o fino a 3-4 mesi per emettere il decreto di apertura. In tribunali poco congestionati, talvolta il provvedimento di apertura arriva in poche settimane, soprattutto se il debitore ha urgenza (magari perché vi sono azioni esecutive sospese). Mediamente, possiamo stimare 2-3 mesi tra il ricorso e l’apertura formale.

Fattori particolari: Se il ricorso è depositato dal creditore, i tempi potrebbero allungarsi un po’ perché il tribunale di solito fissa prima un’udienza per sentire il debitore (ricordiamo che l’art. 268 CCII consente al debitore di evitare l’apertura pagando o dimostrando di avere attivo liquidabile per soddisfare i creditori, specialmente se persona fisica senza beni – in tal caso potrebbe preferirsi l’esdebitazione incapiente). Dunque, un’istanza di creditore potrebbe richiedere qualche settimana aggiuntiva per permettere il contraddittorio.

Una volta emesso il decreto di apertura, questo viene comunicato al debitore e ai creditori. Da quel momento scattano gli effetti tipici: nomina del liquidatore, cristallizzazione dei debiti, divieto di azioni esecutive individuali, etc. Ai fini della durata complessiva, possiamo far partire il “timer” dal decreto di apertura, che è anche il momento da cui decorrono i 3 anni per l’esdebitazione (come vedremo).

Fase 2: Nomina del liquidatore e accertamento del passivo

Descrizione: Nel decreto di apertura, il tribunale nomina un Liquidatore Giudiziale (figura analoga al curatore fallimentare) e designa il giudice delegato. Il liquidatore assume il controllo del patrimonio del debitore, con il compito di inventariare i beni, gestirli e liquidarli a beneficio dei creditori. Una delle prime attività del liquidatore è avviare l’accertamento del passivo, cioè la raccolta e verifica delle domande dei creditori.

Accertamento del passivo: Il CCII prevede che il tribunale fissi un termine (non superiore a 60 giorni dall’apertura) entro cui i creditori devono presentare le domande di ammissione al passivo. Questo termine viene comunicato ai creditori noti (di solito via PEC) e pubblicato sul registro ufficiale. I creditori quindi inviano al liquidatore le loro istanze con importo del credito, cause di prelazione, eventuali documenti giustificativi. Scaduto il termine (che può essere prorogato una sola volta, in genere di altri 60 giorni al massimo, in casi complessi), il liquidatore predispone l’elenco dei crediti. In base alle norme, sembra delinearsi una procedura semplificata: il liquidatore ammette i crediti non contestati e comunica un progetto di stato passivo. I creditori esclusi o parzialmente ammessi possono proporre reclamo al giudice (ex art. 133 CCII) per vedere riconosciute le proprie ragioni. In pratica, è analogo a quanto avviene nel fallimento ma con modalità meno formali: invece dell’udienza collegiale di verifica, si ha una formazione del passivo in via amministrativa e solo in caso di contestazioni interviene il giudice delegato a decidere sui reclami.

Tempi medi: La nomina effettiva del liquidatore avviene immediatamente nel decreto di apertura. Il liquidatore nominato, se accetta l’incarico (prassi comune), entro qualche giorno riceve la documentazione e inizia le attività. Per notificare l’apertura ai creditori e attendere le loro domande di ammissione, occorrono generalmente 2-3 mesi. Ad esempio, se il decreto fissa 60 giorni per le domande, più il tempo di invio avvisi e ricezione poste, è facile arrivare a due mesi abbondanti. Il liquidatore poi esamina le domande e redige lo stato passivo: a seconda del numero di creditori, può impiegare qualche settimana. Diciamo che entro 3-4 mesi dall’apertura si ha solitamente un elenco provvisorio dei crediti. Eventuali reclami di creditori esclusi allungano ulteriormente i tempi di qualche mese (dipende dal tribunale risolverli, ma di solito entro altri 2-3 mesi dall’istanza di reclamo).

Nel complesso, la fase di accertamento passivo si sovrappone in parte con la fase successiva di liquidazione attivo: il liquidatore non aspetta necessariamente la definizione di tutti i reclami per iniziare a liquidare i beni, può fare le due cose in parallelo. Tuttavia, finché non si sa quali crediti sono ammessi e in che grado, non si può procedere al riparto finale del ricavato. È quindi importante che entro il primo anno circa la lista dei creditori ammessi sia definita (salvo modifiche marginali).

Fattori particolari: In casi molto semplici (pochi creditori e nessuna contestazione), l’accertamento del passivo può concludersi velocemente, anche in 1-2 mesi. Ad esempio, se il debitore ha 5 creditori principali e tutti inviati documentazione chiara, il liquidatore può preparare presto lo stato passivo e se nessuno fa opposizione esso diventa definitivo. Invece, se vi sono tanti creditori (es. decine di fornitori o finanziarie) e magari qualcuno contesta l’importo o il privilegio, potrebbero volerci 6 mesi o più per risolvere tutte le eccezioni.

Fase 3: Liquidazione dell’attivo (realizzazione beni e distribuzione)

Descrizione: Questa è la fase centrale e più time-consuming. Il liquidatore deve convertire in denaro tutti i beni del debitore non esclusi (i beni impignorabili per legge restano fuori), quindi ripartire il ricavato tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Le attività tipiche includono:

  • Vendita di beni mobili (arredi, veicoli, attrezzature) tramite trattativa privata o asta telematica.
  • Vendita di immobili eventualmente di proprietà, tramite procedure competitive (aste in tribunale o vendite presso notai, analoghe alle vendite fallimentari).
  • Incasso di crediti verso terzi (se il debitore vantava crediti, il liquidatore può riscuoterli o cederli).
  • Eventuale prosecuzione di attività d’impresa per breve periodo se funzionale a migliore realizzo (ipotesi rara ma possibile: ad es. completare commesse in corso per vendere l’azienda come going concern).
  • Trattenuta su redditi futuri: se il debitore ha un reddito da lavoro o pensione eccedente il minimo vitale, il liquidatore può ottenere che una quota mensile venga versata alla procedura, per un certo periodo. In pratica è come un pignoramento dello stipendio in favore della massa dei creditori, autorizzato però nell’ambito della liquidazione controllata.

Durata: La liquidazione dell’attivo è la fase che più incide sulla durata totale. I tempi medi stimati sono tra 2 e 4 anni. Questa forbice ampia dipende dalla natura dei beni:

  • Se il patrimonio è costituito solo da denaro liquido o crediti facilmente esigibili, la liquidazione può concludersi in pochi mesi. Ad esempio, se un consumatore mette in liquidazione la propria quota TFR o un conto deposito, il liquidatore trasforma subito in cassa e non c’è molto altro da fare.
  • Se ci sono beni mobili di modesto valore, il liquidatore può vendere rapidamente (anche entro 6-12 mesi dall’apertura) tramite mercati secondari o accordi con il debitore/terzi interessati.
  • La presenza di beni immobili (case, terreni) tende invece a prolungare i tempi. Le vendite immobiliari tramite procedure pubbliche spesso richiedono parecchi mesi o anni: bisogna stimare, far periziare l’immobile, fissare le aste; se le prime aste vanno deserte, occorrono ribassi e nuove aste. Non è infrequente che per vendere un immobile in una procedura concorsuale occorrano 1-2 anni o più. D’altra parte, a volte il debitore stesso può trovare un acquirente per velocizzare, ma sono situazioni eccezionali.
  • L’azienda: se il debitore era un piccolo imprenditore con un’azienda, il liquidatore può tentare di venderla intera o cederne i rami. Se ciò richiede mantenerla in esercizio per un certo periodo (per evitare disperdere avviamento), questo allunga la procedura. Comunque, data la dimensione “minore” di questi debitori, raramente c’è un esercizio provvisorio prolungato come nei grandi fallimenti.
  • Redditi futuri (stipendi/pensioni): Questo aspetto è cruciale per la durata. Come spiegato in precedenza, il codice ha stabilito che l’esdebitazione del debitore scatta decorso un termine di 3 anni dall’apertura. Durante questi tre anni, se il debitore percepisce un reddito, il liquidatore potrà pretenderne una quota mensile da destinare ai creditori. La legge non fissa la percentuale (dipende dal giudice e dalla situazione familiare del debitore, tendenzialmente si lascia al debitore quanto serve per vivere dignitosamente e il resto va alla procedura). In ogni caso, oltre i 3 anni non è consentito prelevare ulteriori porzioni di stipendio, poiché dopo l’esdebitazione i nuovi redditi non sono più attaccabili. Dunque, se la procedura si regge principalmente su un flusso di entrate dal reddito del debitore, è destinata a durare per intero quei 3 anni (massimo) previsti.
    Va aggiunto che, in base alla giurisprudenza attuale, i 3 anni fungono anche da limite minimo in presenza di creditori non soddisfatti: il liquidatore deve in genere programmare di raccogliere le quote di reddito per tutti i 36 mesi disponibili, salvo il caso in cui già la vendita di beni soddisfi integralmente i creditori prima. Non può chiudere dopo pochi mesi incassando ad esempio solo 6 mensilità e lasciando i creditori insoddisfatti per il resto, perché ciò frustrebbe la finalità della procedura concorsuale. Al contempo, non può nemmeno prolungare oltre i 3 anni tale prelievo, perché il debitore ha diritto al fresh start e la prosecuzione ultra triennale violerebbe la durata ragionevole.

Riparti ai creditori: Durante la fase liquidatoria, il liquidatore può effettuare uno o più riparti parziali distribuendo ai creditori le somme man mano realizzate (al netto delle spese). Tuttavia, il riparto finale avverrà solo verso la chiusura, quando tutto l’attivo sarà stato liquidato o quando comunque la procedura sta per terminare.

Tempi medi: come indicato, questa fase può variare enormemente. In casi di totale incapienza (nessun attivo), di fatto la liquidazione attivo non esiste: dopo l’apertura la procedura può passare quasi subito alla chiusura/esdebitazione (vedi oltre la fase 4). In casi con pochi beni mobili, potrebbe chiudersi tutto in 6-12 mesi. Nei casi con immobili e stipendi da riscuotere, 3 anni è un tempo comune. Procedimenti particolarmente intricati (es. più immobili, azioni revocatorie da fare, contenziosi su beni) possono richiedere fino a 4-5 anni per completare l’attivo. Superare i 5 anni sarebbe molto atipico e probabilmente contrario ai principi di legge: come vedremo, oggi un debitore che si trovasse ancora in procedura dopo 4,5-5 anni può chiedere la chiusura per non protrarla eccessivamente.

Fattori particolari: Nel 2025, con le nuove norme, se la liquidazione controllata dura da oltre 4 anni e mezzo (54 mesi) senza essere chiusa, il debitore potrebbe avere strumenti per sollecitare la conclusione. Infatti, pur non essendo formalmente in legge un termine massimo rigido, è evidente che oltre i 3 anni l’utilità per i creditori diminuisce e il disagio per il debitore aumenta. Il forum degli esperti e le interpretazioni suggeriscono che in casi di eccezionale protrazione, il debitore possa fare istanza al giudice per dichiarare chiusa la procedura e ridurre la durata eccessiva (ad esempio allineandola al triennio standard). In pratica, 5 anni possono considerarsi un limite estremo: oltre tale soglia la liquidazione controllata diventerebbe irragionevole, e il giudice dovrebbe chiuderla, concedendo o negando l’esdebitazione a seconda dei requisiti. Fortunatamente, la maggior parte delle procedure chiude ben prima di raggiungere questi estremi.

Fase 4: Chiusura della procedura ed esdebitazione del debitore

Descrizione: La fase finale è la chiusura della liquidazione controllata, che coincide (nei casi positivi) con la liberazione definitiva del debitore dai debiti residui (esdebitazione). La chiusura avviene con decreto motivato del tribunale, su istanza del liquidatore o del debitore. Le cause tipiche di chiusura sono:

  • Completamento della liquidazione: sono stati venduti/realizzati tutti i beni disponibili e distribuiti i ricavi, per cui la procedura non ha altro da svolgere. Anche se i creditori non sono pagati integralmente, non ci sono più attivi.
  • Insufficienza dell’attivo: se risultano mancare beni o fondi persino per pagare le spese di procedura, il giudice può chiudere anticipatamente la liquidazione per impossibilità di ulteriore realizzo (ipotesi simile alla chiusura del fallimento per insufficienza attivo).
  • Pagamento integrale dei creditori: caso raro ma possibile, se con l’attivo si è riusciti a soddisfare tutti i crediti ammessi. A quel punto la procedura si chiude perché lo scopo è raggiunto.
  • Decorso del termine di durata ragionevole: come discusso, se la procedura ha raggiunto il limite temporale considerato equo (3 anni, o al massimo qualche anno in più in situazioni particolari), il giudice può chiudere comunque, bilanciando gli interessi coinvolti.

Alla chiusura, se il debitore ha rispettato i suoi obblighi e non sussistono cause ostative, viene concessa l’esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti non soddisfatti. Il CCII, all’art. 282, prevedeva originariamente che l’esdebitazione operasse di diritto trascorsi 3 anni, ma come aggiornato nel 2024, ora richiede un’istanza del debitore e una verifica del tribunale. In pratica tuttavia, per il debitore onesto e cooperativo, dopo tre anni dall’apertura (o anche prima, se la procedura si chiude anticipatamente) il tribunale dichiara l’esdebitazione con decreto. Se invece emergono cause ostative (ad esempio frode, malafede, violazione degli obblighi di collaborazione, o le altre cause elencate nell’art. 280 CCII), l’esdebitazione può essere negata, nel qual caso la chiusura lascia in vita i debiti non pagati.

Tempi: La richiesta di chiusura parte di solito dal liquidatore quando ritiene esaurite le attività di realizzo. Il tribunale fissa un’udienza o valuta in camera di consiglio e poi emette il decreto di chiusura. Queste attività procedurali finali richiedono qualche settimana o pochi mesi. Spesso, per predisporre la chiusura, il liquidatore deposita un’ultima relazione in cui dà conto di tutta la gestione e verifica se il debitore può essere esdebitato. Oggi è espressamente previsto che il liquidatore alleghi alla richiesta di chiusura una relazione sui presupposti di esdebitazione, in modo da accelerare la decisione del giudice sul punto.

Se non vi sono intoppi, la fase di chiusura ed esdebitazione può concludersi in 6-12 mesi successivi alla fine delle liquidazioni dei beni. Ad esempio: il liquidatore termina vendite e incassi al mese 30; nei mesi 31-36 effettua il riparto finale e chiede la chiusura; il tribunale emette decreto di chiusura con esdebitazione intorno al mese 36. In altri casi, la chiusura viene pronunciata contestualmente al decorso del triennio: se per ipotesi al mese 24 erano già liquidati i beni ma si attendeva il termine dei 36 mesi per completare la raccolta delle quote di stipendio e far scattare l’esdebitazione, il decreto di chiusura arriverà poco dopo il mese 36.

Eccezioni: Può accadere che la procedura chiuda prima di 3 anni. Ciò succede se:

  • Il debitore non ha beni né redditi e ha richiesto la liquidazione comunque (magari perché non ammissibile all’esdebitazione incapiente per precedenti vicende). In tal caso, una volta constatata l’assenza di attivo, il tribunale potrebbe chiudere anche entro un anno, riconoscendo o meno l’esdebitazione a seconda delle circostanze.
  • Oppure se, per paradosso, il debitore riesce a pagare tutto (magari interviene un terzo finanziatore): una volta soddisfatti integralmente i creditori, la procedura viene chiusa senza attendere tre anni, ed è concessa l’esdebitazione immediata (per quanto in tale scenario il problema dell’esdebitazione nemmeno si pone, non avendo debiti residui).

Viceversa, la chiusura oltre 3 anni senza esdebitazione può avvenire per debitori non meritevoli. Se il debitore ha violato gravemente i doveri o è incappato nelle preclusioni (ad es. ha già avuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti, oppure ha causato il dissesto con dolo), il giudice potrebbe dichiarare chiusa la procedura dopo aver liquidato i beni ma negare l’esdebitazione. In tal caso, i debiti insoddisfatti tornano esigibili individualmente: i creditori riacquistano titolo per agire contro il debitore (anche se in pratica, se non c’erano beni prima, difficilmente ve ne saranno dopo). Fortunatamente, queste ipotesi sono limitate, anche perché la Cassazione ha chiarito che le cause di esclusione dall’esdebitazione sono solo quelle tassative di legge e vanno interpretate restrittivamente. Ad esempio, non si può negare l’esdebitazione per generici “illeciti fiscali” a meno che non rientrino precisamente nelle ipotesi ostative previste (come frode documentale, false attestazioni, ecc.). Il debitore quindi, salvo comportamenti dolosi, può confidare di ottenere il beneficio.

Sintesi dei tempi: Sommando le fasi:

  • Apertura: ~2 mesi (debitore) / 3-4 mesi (se istanza creditore).
  • Accertamento passivo: ~3-4 mesi (possono sovrapporsi alla successiva).
  • Liquidazione attivo: 0 (se nulla) fino a 36 mesi o più (se beni complessi e trattenute su reddito). Tipico: 24-36 mesi.
  • Chiusura ed esdebitazione: ~6 mesi dopo fine attivo (spesso coincide con attivo se quest’ultimo va a saturare i 3 anni).

In media, dunque, una liquidazione controllata dura intorno ai 3 anni dall’apertura. I casi più rapidi (no attivo) potrebbero durare anche solo 12-18 mesi, mentre quelli più lenti (beni immobiliari, liti) possono arrivare a 48-60 mesi totali. Oltre 5 anni sarebbe un’anomalia che il sistema tende ora a evitare. Nella prossima sezione forniamo anche uno schema tabellare riepilogativo delle fasi e durate medie, nonché dei costi e soggetti coinvolti.

Tabella riepilogativa: fasi, durata media, soggetti e costi

Per maggiore chiarezza, riportiamo una tabella che riassume le principali fasi della liquidazione controllata, con indicazione della durata media osservata, dei soggetti coinvolti in ciascuna fase e dei costi indicativi associati. I dati di durata sono basati sull’esperienza pratica e sulle stime normative, mentre i costi sono indicativi (possono variare in base al tribunale e alla complessità del caso).

Fase della proceduraDurata tipicaSoggetti coinvoltiCosti indicativi
1. Presentazione ricorso e aperturaPreparazione ricorso: 1-2 mesi;Decisione tribunale: 1-3 mesiDebitore (assistito da OCC/avvocato);Tribunale (collegio o G.D.)– Contributo unificato: €98【31†L23-L31];- Marca da bollo: €27【31†L5-L13】;- Compenso OCC per la fase di studio: variabile (circa €1.000-3.000, spesso incluso nelle spese di procedura)
2. Nomina liquidatore e accertamento passivoInvio domande creditori: entro 60 gg (prorogabile);Formazione stato passivo: ~2-4 mesi totali (salvo reclami)Liquidatore giudiziale;Giudice delegato (per decisione su eventuali reclami dei creditori);Creditori concorsuali– Spese di comunicazione ai creditori (PEC, pubblicazione): poche decine di €;- Nessun ulteriore contributo a carico del debitore;- Compenso liquidatore per accertamento passivo: rientra nel compenso finale (prededuzione)
3. Liquidazione dell’attivo (vendite beni, incassi crediti, trattenute stipendio)Ampia variabilità:- Nessun bene: pochi mesi;- Beni mobili: 6-12 mesi;- Immobili: 18-36 mesi (dipende dalle aste);- Trattenute stipendio: max 36 mesi (3 anni)Liquidatore giudiziale (gestisce vendite, incassi, ecc.);Giudice delegato (autorizza atti di vendita se richiesto dalle norme);Eventuali commissionari d’asta/notai per vendite immobiliari; Debitore (ha obblighi di collaborazione; subisce eventuale prelievo su stipendio)– Spese di procedura (anticipate dall’attivo): compensi degli ausiliari, perizie di stima, costi di pubblicazione avvisi, ecc. (variano in base ai beni, p.es. €1.000-2.000 per perizia immobiliare);- Compenso del liquidatore: stabilito a fine procedura dal tribunale, in % sull’attivo liquidato secondo tariffe ministeriali (di solito dal 5% al 12% circa del ricavato, decrescente sulle fasce: ad es. su 100.000 € attivo può essere intorno a €7.000). Viene pagato in prededuzione dal patrimonio liquidato.
4. Chiusura della procedura ed esdebitazioneAd attivo esaurito o a scadenza 3 anni:istanza liquidatore + verifica tribunale: ~3-6 mesiLiquidatore (presenta istanza di chiusura e relazione finale);Debitore (può presentare istanza di esdebitazione se non l’ha già fatta il liquidatore);Tribunale (decreto di chiusura);Creditori (possono fare osservazioni sull’esdebitazione in 15 gg)Nessun costo aggiuntivo significativo (eventuale marca da bollo per istanza di chiusura, spesso assolta in modo forfettario);- Compenso liquidatore (saldo finale): liquidatore e OCC prendono il compenso definitivo dalle somme ricavate, secondo decreto di graduazione del tribunale. Se l’attivo era insufficiente, possono rimanere in parte o totalmente insoddisfatti anche loro (eventualmente interviene un fondo di solidarietà OCC per minima parte).

Nota: I costi indicati a carico del debitore all’avvio (contributo unificato, bolli) sono relativamente contenuti rispetto ad altre procedure concorsuali. La gran parte dei costi (compensi del liquidatore, spese di esperti, etc.) vengono prelevati dall’attivo liquidato, quindi in sostanza incidono sui creditori (riducendo il riparto) più che sul debitore. Se però l’attivo è nullo o non sufficiente a coprire neanche le spese, spesso professionisti e OCC riducono il proprio compenso o beneficiano di appositi fondi (ad esempio la L.3/2012 prevedeva un fondo per coprire parzialmente l’OCC in casi di incapienza totale). In ogni caso, per il debitore è sempre consigliabile verificare con l’OCC/gestore all’inizio quali costi minimi dovrà anticipare (in genere, oltre ai €98+27 di contributo e bollo, può essergli richiesto un fondo spese qualche centinaio di euro, se ci sono ad esempio spese vive da affrontare).

Giurisprudenza rilevante su durata e aspetti della liquidazione controllata

Passiamo ad esaminare alcuni precedenti giurisprudenziali significativi in materia di liquidazione controllata, con particolare riguardo alla durata della procedura e all’esdebitazione. Verranno citate sia pronunce di merito (tribunali) che di legittimità (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale), aggiornate a giugno 2025.

Corte Costituzionale n. 6/2024 – Durata ragionevole della procedura

Di questa decisione abbiamo già parlato nel contesto normativo: la Corte Costituzionale ha rigettato l’ipotesi di introdurre ex abrupto un “termine minimo” fisso (4 anni) per la liquidazione controllata, ritenendo che il sistema attuale – con l’esdebitazione dopo 3 anni e il dovere del liquidatore di utilizzare tutto il triennio disponibile per soddisfare i creditori – sia conforme ai principi costituzionali. La Consulta ha chiarito che 3 anni sono la durata di riferimento: fungono da limite massimo per l’acquisizione di redditi futuri (perché dopo scatta l’esdebitazione e non si possono più toccare gli stipendi successivi), e al contempo da orizzonte minimo (perché in presenza di debiti insoddisfatti non si dovrebbe chiudere prima senza una valida ragione). Ha inoltre evidenziato che una procedura concorsuale non deve protrarsi oltre la ragionevole durata (richiamando art. 111 Cost. e legge Pinto) che, per questo tipo di procedure, è appunto quantificabile in tre anni. Questa sentenza rappresenta un importante punto fermo: vincola gli interpreti a leggere il CCII in modo da rispettare tali parametri temporali, evitando sia scorciatoie eccessive (durate troppo brevi che sacrificano i creditori) sia lungaggini ingiustificate (durate molto oltre il triennio che opprimerebbero il debitore).

Tribunale di Verona, sentenza 6/10/2022 n. 4188 – Stop ai prelievi su stipendio dopo l’esdebitazione

Il Tribunale di Verona è stato tra i primi ad affrontare in concreto il tema dei redditi sopravvenuti. In una procedura di liquidazione controllata “familiare” (coinvolgente una famiglia debitrice), con sentenza n. 4188/2022 ha stabilito che dopo la dichiarazione di esdebitazione (trascorsi massimo 3 anni dall’apertura) non è più possibile continuare a trattenere quote di stipendio o pensione del debitore. Ciò in quanto la prosecuzione della liquidazione è consentita solo rispetto ai beni già entrati nella massa prima dell’esdebitazione, in linea con l’art. 21 par.3 della direttiva UE 2019/1023. In sostanza, Verona ha affermato che il liquidatore deve programmare i prelievi dai redditi entro il termine di 3 anni e che, una volta scaduto tale termine e ottenuta l’esdebitazione, i redditi futuri restano al debitore libero. Questa pronuncia ha anticipato quello che poi la riforma 2024 del Codice ha formalizzato nel nuovo comma 2-bis dell’art. 282 CCII.

Tribunale di Arezzo, ordinanze 2023 – Durata minima della liquidazione

Le ordinanze di Arezzo del marzo 2023 (che hanno portato alla sentenza della Corte Cost. 6/2024) meritano menzione. In attesa della Consulta, alcuni giudici – come Arezzo – avevano manifestato la preoccupazione che, senza un minimo normativo, un liquidatore potesse proporre piani di durata troppo breve (ad esempio meno di 3 anni di prelievo stipendiale) magari giustificandoli col solo pagamento delle spese di procedura. Arezzo auspicava un intervento per ripristinare i 4 anni di legge previgente come garanzia minima per i creditori. La soluzione adottata poi dalla Corte Costituzionale è stata diversa: piuttosto che 4 anni fissi, ha indicato di utilizzare tutto il triennio. È interessante notare come Arezzo avesse proposto anche l’idea di limitare i prelievi ai soli costi di procedura, lasciando ai creditori il compito di agire in proprio per il resto: idea che la Corte ha definito incostituzionale perché darebbe ai debitori “furbi” un facile espediente per evitare di pagare i creditori, svuotando la procedura concorsuale del suo scopo. Queste ordinanze, pur non risolutive in sé, hanno stimolato il dibattito e la successiva clarificazione normativa.

Tribunale di Rimini, decreto 30/05/2024 – Durata e programmazione triennale

Una pronuncia più recente, post Consulta, proviene dal Tribunale di Rimini (30 maggio 2024, pubblicata in IlCaso.it). In quell’occasione, il giudice riminese ha applicato fedelmente i principi della Corte Costituzionale, affermando che il programma di liquidazione deve prevedere la durata di 3 anni in capo al debitore persona fisica, se ci sono crediti concorsuali da soddisfare. Rimini sottolinea che la liquidazione controllata è finalizzata non solo al pagamento delle spese ma anche al soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori, e pertanto una chiusura anticipata per il solo pagamento dei costi – in presenza di crediti insoddisfatti – sarebbe in contrasto con l’art. 111 Cost. (diritto dei creditori a tutela giurisdizionale) e con l’art. 24 Cost. (diritto di azione esecutiva). In quell’ordinanza, il Tribunale ha quindi respinto un piano che prevedeva di trattenere lo stipendio del debitore per meno di un anno (giusto per coprire i costi), e ha invece imposto che si sfrutti l’intero triennio a vantaggio dei creditori. Questa pronuncia di merito va esattamente “nei termini” indicati dalla Corte Cost., confermando l’orientamento restrittivo su durate inferiori al ragionevole.

Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 15359/2023 – Presupposti di esdebitazione e buona fede

La Cassazione finora si è espressa più frequentemente sulla disciplina previgente (L.3/2012) e sulle analogie col fallimento, ma alcune massime sono utili anche oggi. In particolare, la sentenza n. 15359/2023 ha affrontato il tema delle cause ostative all’esdebitazione (nel caso specifico ex art. 142 legge fall., ma il principio si estende). La Suprema Corte ha ribadito che le ipotesi in cui può essere negata l’esdebitazione per mancanza di meritevolezza del debitore sono tassative e vanno interpretate restrittivamente. Ad esempio, l’art. 142, comma 1 L.Fall. (analogo all’art. 280 CCII per la liquidazione controllata) elenca situazioni come: il debitore ha distratto attivo, ha simulato passività, non ha collaborato, ecc. Tra queste c’è anche la clausola (oggi ripresa nell’art. 280, co.1, lett. c CCII) per cui l’esdebitazione può essere esclusa se «i creditori non sono stati soddisfatti neppure in parte» a causa di comportamento inescusabile del debitore. La Cassazione ha precisato che questa valutazione sul fatto che i creditori non abbiano ricevuto nulla va fatta con prudenza e non per punire qualsiasi insolvenza: un debitore può essere liberato dai debiti anche se i creditori non hanno ottenuto pagamenti, purché non vi sia stata sua frode o colpa grave determinante il risultato. Inoltre, la sentenza richiama la direttiva Insolvency UE, secondo cui agli Stati è consentito prevedere eccezioni all’esdebitazione solo per motivi ben circoscritti. Questo orientamento pro-debitore implica che, anche se la procedura dura poco e i creditori ricevono poco o nulla, ciò non preclude l’esdebitazione salvo che il debitore abbia violato precise norme di condotta. Tradotto sul tema durata: il debitore non deve temere che ottenere una chiusura “rapida” (ad esempio perché non c’erano attivi) comporti automaticamente diniego di esdebitazione; verrà giudicato solo sul suo comportamento (onestà, collaborazione) e non sull’ammontare pagato ai creditori.

Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 115/2021 – Nozione di consumatore sovraindebitato

Un cenno merita anche questa pronuncia, sebbene non attinente ai tempi, perché ha influito sull’ambito soggettivo della procedura. La sentenza 115/2021 ha sancito che la qualifica di “consumatore” (ai fini dell’accesso alle procedure di sovraindebitamento) può essere riconosciuta anche a chi in passato abbia svolto attività d’impresa, purché i debiti oggetto della procedura non siano di natura professionale/imprenditoriale. In altre parole, un ex imprenditore con debiti personali (es. fideiussioni personali, debiti familiari) può presentarsi come consumatore. Questo principio, già anticipato da Cass. 262/2016, è stato poi recepito nelle modifiche normative (L.176/2020 e CCII). Per il discorso durata, ciò implica che anche figure come ex imprenditori possono accedere alla liquidazione controllata (magari come consumatori), e beneficiare dei tempi più snelli di questa rispetto a un fallimento. La Cassazione dunque ha favorito una platea ampia di soggetti per le procedure di sovraindebitamento, il che spiega perché oggi tra i debitori che affrontano la liquidazione controllata troviamo sì consumatori puri, ma anche ex soci, ex piccoli imprenditori, etc., con situazioni eterogenee la cui complessità può incidere sui tempi.

Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 24414/2020 – Socio illimitato e accesso al sovraindebitamento

Questa sentenza, risalente al 2020 ma di rilievo, ha confermato la possibilità per il socio illimitatamente responsabile di società di persone (S.n.c., S.a.s.) non fallibile di accedere alle procedure di sovraindebitamento in via individuale. La Cassazione ha richiamato la modifica normativa introdotta con L.176/2020 (art. 7, co.2-ter L.3/2012) che appunto estendeva l’accesso ai soci illimitati. Ciò è poi confluito nel Codice (art. 66 CCII e definizione di “consumatore” che esclude l’attività d’impresa corrente ma non il passato da imprenditore). Anche questa pronuncia allarga la platea e ha portato a situazioni in cui, ad esempio, si aprono liquidazioni controllate di ex soci di società, parallele magari a fallimenti delle società stesse. La durata in tali casi può risentire del coordinamento con le altre procedure: per esempio, se un socio è in liquidazione controllata mentre la società è in liquidazione giudiziale, la legge prevede ora (art. 271 CCII) regole di coordinamento per evitare duplicazioni di attività, con possibile beneficio sui tempi (coordinando le vendite di beni sociali e personali).

Altre pronunce di merito significative

  • Tribunale di Milano, decreto 16/12/2023: ha confermato, in sede di reclamo, un provvedimento che già in apertura di una liquidazione controllata aveva negato la nomina come liquidatore di un professionista non iscritto ad un OCC, affermando la necessità di rispettare l’elenco dei gestori OCC anche per i liquidatori (questione poi semplificata dal correttivo 2024).
  • Tribunale di Lecco, decreto 05/01/2021: in applicazione anticipata delle norme L.176/2020, ha ammesso un socio accomandatario di S.a.s. alla liquidazione del patrimonio ex L.3/2012 (caso pionieristico). Questo ha di fatto inaugurato l’accesso dei soci illimitati, poi consolidato col Codice.
  • Tribunale di Milano, decreto 18/03/2021: caso del “socio consumatore”, ha riconosciuto come consumatore un ex socio illimitato con debiti estranei all’attività sociale, applicando la nuova definizione di consumatore già prima dell’entrata in vigore del CCII. Ciò è un esempio di come i tribunali abbiano anticipato soluzioni volte a includere più debitori nella procedura, evitando al massimo che piccoli imprenditori fossero esclusi (e dovessero restare in crisi senza strumenti).
  • Tribunale di Grosseto, decreto 22/06/2021: ha ammesso un piano del consumatore presentato da un debitore che era stato socio illimitato, in linea col nuovo orientamento, superando un precedente contrario (Trib. Rimini 2020). Questo consolidamento giurisprudenziale ha portato a un’applicazione più uniforme e oggi dà certezza sulle categorie di debitori ammessi.

In sintesi, la giurisprudenza recente ha:

  • Definito i confini temporali della procedura (3 anni come periodo di riferimento).
  • Garantito che l’esdebitazione sia effettiva dopo tale periodo per i debitori meritevoli, stoppando ulteriori sacrifici di reddito.
  • Scongiurato interpretazioni che potessero penalizzare i creditori con durate troppo brevi o i debitori con durate indefinite.
  • Chiarito che l’accesso è aperto a un ampio novero di soggetti (consumatori, ex imprenditori, soci), il che influisce sulla tipologia di procedure che si vedono, ma non altera la logica di durata salvo complicazioni specifiche.
  • Rafforzato la finalità di fresh start: la Cassazione ha più volte richiamato il principio per cui il sovraindebitamento serve a dare una seconda chance al debitore onesto, e dunque norme come l’esdebitazione vanno applicate estensivamente, non restrittivamente. Questo, indirettamente, è un monito a non prolungare inutilmente le procedure: la prospettiva della liberazione dai debiti entro tempi certi è parte integrante dell’istituto.

Esempi pratici di durata in settori economici rappresentativi

Per concretizzare quanto detto, presentiamo alcuni casi ipotetici di liquidazione controllata applicati a diversi profili di debitori: un commerciante al dettaglio, un artigiano, un’impresa di servizi (PMI), un imprenditore agricolo e un consumatore privato. Ogni esempio simula la situazione economica del debitore, le attività liquidabili e stima la durata della procedura in quel contesto. Questi esempi servono a illustrare come la durata possa variare in funzione del tipo di attività e di debiti.

Esempio 1: Commerciante al dettaglio in liquidazione controllata

Scenario: Mario gestiva un negozio di abbigliamento (ditta individuale non fallibile). A causa di crisi di mercato e debiti con fornitori e fisco per €200.000, decide nel 2023 di chiudere l’attività e avviare una liquidazione controllata. Ha i seguenti beni: un modesto magazzino di merci invendute (valore stimato €20.000), arredi e scaffali del negozio (€5.000), un’automobile usata intestata (€8.000). Non possiede immobili (il negozio era in affitto) né macchinari di gran valore. Ha però un debito IVA e contributi per €50.000, debiti con 10 fornitori (€120.000) e qualche finanziaria (€30.000). Al momento del ricorso, Mario è disoccupato (ha chiuso l’attività) e vive di piccoli lavoretti saltuari.

Procedura: Presenta ricorso come sovraindebitato consumatore (o imprenditore minore) a gennaio 2024. Il tribunale apre la liquidazione a marzo 2024, nominando un liquidatore. Entro maggio 2024 i creditori inviano le domande. Si forma uno stato passivo di €200.000 ammesso (nessuna contestazione rilevante). Il liquidatore procede a liquidare:

  • Organizza una vendita di liquidazione delle merci in magazzino: con l’aiuto di Mario, in 3 mesi vende i capi rimanenti incassando €15.000 netti (svendita).
  • Vende l’auto tramite un portale online in giugno 2024 per €7.500.
  • Gli arredi li cede a uno sgrossatore per €3.000.

Entro fine 2024 tutta l’attività di realizzo è terminata. In cassa ci sono circa €25.000 (dopo aver pagato qualche spesa di procedura). Mario nel frattempo non ha un lavoro fisso, quindi non c’è stipendio da trattenere. Il liquidatore effettua un riparto finale nel febbraio 2025 distribuendo €25.000 tra i creditori (che prendono circa il 12% dei loro crediti). A questo punto non c’è altro attivo. Mario ha collaborato pienamente e non emergono condotte fraudolente.

Durata: Il liquidatore presenta istanza di chiusura appena completato il riparto. Il tribunale però nota che non sono ancora trascorsi 3 anni dall’apertura (solo 1 anno). Poiché i creditori hanno ricevuto solo il 12% e Mario non è occupato, il giudice potrebbe decidere di tenere aperta la procedura fino a raggiungere i 3 anni, nel caso in cui Mario trovasse un lavoro. Tuttavia, se appare improbabile che Mario ottenga redditi utili (ad es. perché ultrasessantenne e prossimo alla pensione sociale), il giudice potrebbe anche chiudere anticipatamente per assenza di ulteriori prospettive. In pratica, supponiamo che nel caso di Mario:

  • Il giudice deleghi il liquidatore a monitorare fino a marzo 2027 (36 mesi) se Mario trova occupazione. Se entro tale data Mario rimane senza reddito significativo, allora a marzo 2027 chiude e concede esdebitazione.
  • Se invece Mario nel 2025 trova un impiego, allora scatterebbe la trattenuta su stipendio per i mesi restanti fino a marzo 2027.

Dunque per Mario commerciante, la durata potrebbe essere l’intero triennio 2024-2027, non tanto per le vendite (che erano rapide e finite in meno di un anno) ma perché la legge orienta a mantenere aperto per sfruttare eventuali redditi futuri.

Esito: A marzo 2027, trascorsi 3 anni dall’apertura, il tribunale chiude la procedura. Mario, avendo rispettato tutto (e magari non avendo comunque prodotto reddito da cedere), ottiene l’esdebitazione. I creditori, seppur parzialmente soddisfatti, non possono più pretendere il resto. La durata complessiva in questo scenario è di 36 mesi circa.

(Se Mario fosse rimasto del tutto incapiente, si poteva teorizzare una chiusura già nel 2025 con applicazione dell’esdebitazione per incapienza ex art. 283 CCII; tuttavia Mario aveva qualche bene, quindi quella procedura specifica non era applicabile. Si è seguita la via ordinaria della liquidazione controllata).

Esempio 2: Artigiano (idraulico) con pochi beni e nuova occupazione

Scenario: Paolo è un idraulico artigiano, ditta individuale non fallibile, che nel 2022 ha dovuto cessare l’attività per troppi debiti (circa €80.000, tra banche, fornitori e tasse). Nel 2023, su consiglio di un legale, avvia una liquidazione controllata. Patrimonio: la sua attrezzatura da idraulico (utensili, macchina da lavoro), un furgone usato (valore €10.000), nessun immobile. Debiti: €30.000 banca (mutuo attrezzature), €20.000 fornitori, €10.000 equitalia, €20.000 varie. Dopo aver chiuso, Paolo trova impiego come operaio presso una ditta edile nel 2024, con stipendio netto €1.400/mese.

Procedura: Ricorso depositato settembre 2023, liquidazione aperta a novembre 2023. Liquidatore nominato a dicembre 2023. Creditori presentano domande entro febbraio 2024 (importo confermato €80.000). Il liquidatore vende subito il furgone (a gennaio 2024) ricavando €9.000 e la maggior parte degli strumenti (alcuni li ha anche tenuti il datore di lavoro di Paolo) incassando €3.000. Entro metà 2024 realizza quindi €12.000. Paolo però ora percepisce uno stipendio, sebbene modesto. Il giudice delegato dispone che da giugno 2024 fino a novembre 2026 (36 mesi dall’apertura) sia trattenuto il 10% dello stipendio di Paolo a favore della procedura, cioè circa €140 al mese. In tre anni questa trattenuta frutterà altri ~€5.000. Sommati ai €12.000 dei beni venduti, l’attivo finale sarà circa €17.000 (meno qualche spesa).

Durata: Paolo vorrebbe “chiudere il prima possibile”, ma sa che con reddito in corso la procedura andrà avanti fino al completamento del triennio. Infatti:

  • Le vendite dei beni si sono chiuse in 6 mesi (entro primavera 2024 tutto liquidato).
  • Da giugno 2024 a novembre 2026 il liquidatore mensilmente incamera la quota stipendiale di Paolo (magari farà riparti annuali ai creditori nel frattempo).
  • A dicembre 2026 il liquidatore presenta la relazione finale: ha raccolto tutto il possibile.
  • Il tribunale fissa udienza a gennaio 2027 e, non emergendo cause ostative (Paolo ha cooperato bene, anche con un modesto sacrificio mensile), emette decreto di chiusura con esdebitazione.

La durata totale risulta di 3 anni e 2 mesi circa dall’apertura (nov 2023 – gennaio 2027). In questo periodo i creditori hanno recuperato circa il 20% (17k su 80k) e Paolo, dal 2027, è libero dai debiti residui. L’esperienza per lui è stata relativamente breve in termini di liquidazione beni (solo pochi mesi) ma ha comportato un impegno di tre anni di trattenute sullo stipendio – impegno comunque sostenibile, e terminato il quale ha ottenuto il fresh start.

Questo caso evidenzia come un piccolo artigiano con alcuni beni e un nuovo lavoro rientri nella tempistica standard di 3 anni: le attività liquidatorie di beni si concludono presto, ma la procedura rimane aperta per sfruttare l’intero periodo di 36 mesi di contributo da reddito.

Esempio 3: Impresa di servizi (PMI) – liquidazione prolungata per beni immobili

Scenario: La società XYZ S.r.l., impresa di servizi informatici a conduzione familiare, non ha requisiti di fallibilità (sotto soglie) e si trova insolvente nel 2022 con debiti di €500.000. Poiché è liquidabile come sovraindebitata (il Codice consente anche alle società non fallibili di accedere a liquidazione controllata), i soci decidono per questa soluzione. Patrimonio: la società possiede un piccolo ufficio (immobile commerciale) del valore stimato €150.000 su cui grava un’ipoteca bancaria residua €100.000, alcune attrezzature elettroniche (€20.000), crediti verso clienti per €30.000 (ma molti insoluti). Debiti: banca ipotecaria (€100k), fornitori vari (€200k), Fisco (€150k), dipendenti per TFR (€50k).

Procedura: Ricorso depositato come “concordato minore” nel 2022 ma convertito in liquidazione controllata nel 2023 per mancanza di accordo. Liquidazione aperta ad aprile 2023. Liquidatore nominato a maggio 2023. Procede a:

  • Mettere in vendita l’immobile: Prima asta a ottobre 2023, deserta. Seconda asta a febbraio 2024, aggiudicato a €120.000. Credito della banca (ipoteca 1° grado) viene soddisfatto per €100.000, restano €20.000 al netto spese.
  • Incassare i crediti clienti: su €30.000 ne riesce a riscuotere solo €10.000 (alcuni clienti anche loro insolventi).
  • Vendere le attrezzature: entro fine 2023 cede tutto per circa €15.000.
  • Non c’è stipendio del debitore (essendo società, la società non genera redditi futuri dopo cessazione, e i soci non hanno obbligo di contribuire con redditi propri in questa procedura).

Il grosso del lavoro è vendere l’immobile ipotecato, che ha richiesto quasi 1 anno. Entro metà 2024, il liquidatore ha in cassa: €20k da immobile + €10k crediti + €15k beni mobili = €45k. Deve pagare prima le spese di procedura (diciamo €10k tra perizie, compensi) e i crediti prededucibili (compenso liquidatore, eventualmente ratei stipendio dei dipendenti maturati post ricorso, etc.). Poi distribuirà il resto: probabilmente i dipendenti (€50k TFR) prenderanno quasi tutto (€35k disponibili, ad es., andranno pro quota a dipendenti, che quindi ricevono ~70% dei loro crediti, gli altri chirografi zero).

Durata: In sostanza, a metà 2024 la liquidazione attivo è completata. Perché tenere aperto oltre? Non ci sono redditi futuri da attendere (trattandosi di società cessata). Dunque il liquidatore potrebbe chiedere la chiusura subito dopo aver ripartito le somme. Qui interviene però un dettaglio: l’art. 282 CCII, versione originale, parlava di esdebitazione automatica dopo 3 anni anche per le società cancellate (estesa ai soci eventualmente). Nella nuova versione, anche per i soci di società cancellate è previsto il beneficio, ma va richiesto e concesso secondo il regime modificato. Nel caso di una società, tecnicamente l’esdebitazione non ha senso (la società cancellata cessa di esistere); semmai i soci illimitatamente responsabili potrebbero chiedere l’esdebitazione dei debiti sociali rimasti. Nel nostro scenario la s.r.l. non ha soci illimitati, quindi dopo liquidato tutto e cancellata la società, i creditori insoddisfatti non possono comunque agire oltre (responsabilità limitata). Pertanto, la procedura può chiudersi anche prima dei 3 anni senza che nessuno debba ottenere esdebitazione (non prevista per persone giuridiche, se non fosse per eventuali soci illimitati che qui non ci sono).

Il tribunale dunque può dichiarare chiusa la liquidazione a fine 2024. Durata totale: circa 20 mesi (aprile 2023 – dicembre 2024). È una durata relativamente breve considerato che c’era un immobile: in questo esempio il bene è stato venduto al secondo tentativo in meno di un anno, ma se fosse rimasto invenduto più a lungo, la procedura si sarebbe prolungata. Avrebbe comunque trovato un limite naturale attorno ai 3-4 anni: in mancanza di esdebitazione da concedere, i creditori insoddisfatti sarebbero rimasti tali, ma ragionevolmente il giudice avrebbe chiuso per sopravvenuta inutilità continuare a tentare vendite.

Considerazioni: Le PMI che accedono alla liquidazione controllata spesso hanno immobili aziendali o macchinari importanti; ciò le avvicina come tempistiche ai vecchi fallimenti, anche se su scala ridotta. La necessità di vendere cespiti di valore è il fattore più dilatante. Nel contempo, l’assenza di un “debitore persona fisica” con stipendio fa sì che la procedura non abbia motivo di restare aperta fino a 3 anni se i beni si liquidano prima. In questo bilanciamento, l’esempio ha occupato meno di 2 anni. Un caso leggermente più difficile (immobile venduto alla quarta asta, quindi diciamo 2 anni per venderlo) avrebbe portato la durata a circa 3 anni totali.

Esempio 4: Imprenditore agricolo – beni parzialmente impignorabili e continuità familiare

Scenario: Lucia è un’imprenditrice agricola (coltivatrice diretta) fortemente indebitata dopo alcuni raccolti disastrosi. Ha debiti per €300.000 (mutuo agrario, fornitori di sementi e attrezzi, bollette arretrate, ecc.). È imprenditore agricolo quindi non fallibile, può accedere al sovraindebitamento. Il suo patrimonio: possiede 5 ettari di terreno agricolo con un piccolo casale dove abita con la famiglia. Il valore del fondo è difficile da valutare (forse €200.000), ma c’è un’ipoteca della banca per il mutuo residuo €150.000. Inoltre ha macchinari agricoli (trattore, ecc.) del valore di €50.000, però questi beni sono spesso funzionali alla produzione agricola e alcuni magari in leasing. Ha moglie e figli che l’aiutano e vogliono continuare a coltivare. Situazione complicata: se si liquida tutto il patrimonio, l’attività agricola cessa e la famiglia perde anche l’abitazione (il casale sul terreno).

Procedura: Ricorre alla liquidazione controllata nel 2025, consapevole che il liquidatore dovrà vendere i beni. Tuttavia, potrebbe tentare soluzioni come la vendita a terzi con patto di affitto del fondo, o trovare un accordo per riscattare il casale. Queste circostanze negoziali potrebbero richiedere tempo. Probabilmente la vendita del fondo agricolo con casale è l’operazione principale: data la particolarità (terreno non lottizzato, valore agricolo basso), l’asta potrebbe non essere semplicissima. Forse un confinante lo acquista nel 2026 per €180.000. Con questi soldi si paga la banca ipotecaria (€150k) e restano €30k. I macchinari si vendono anch’essi all’asta, ma magari un parente di Lucia li compra per ridarglieli in comodato, incassando però il liquidatore un prezzo simbolico di €20.000. Totale attivo €50.000. Debiti totali €300.000, i chirografari prenderanno poco.

Durata: Una situazione simile potrebbe durare almeno 3-4 anni. La vendita dell’azienda agricola e dei terreni potrebbe richiedere 2 anni, durante i quali la famiglia cerca soluzioni. Nel frattempo Lucia e i familiari lavorano come braccianti altrove (non c’è stipendio fisso, quindi nessuna trattenuta significativa su redditi). Forse non si raggiungono neppure i 3 anni esatti, ma è plausibile che si arrivi vicino: se apertura nel 2025, chiusura nel 2028.

Qui più che la legge, è la complessità emotiva e sociale a incidere sulla durata: il liquidatore potrebbe non voler svendere immediatamente la terra se c’è speranza di ottenere un’offerta decente, e potrebbe concedere ai debitori tempo per trovare un acquirente di loro gradimento. Questo allunga un po’ i tempi oltre il minimo, ma rientra nell’elasticità della procedura. L’esdebitazione sarà concessa a fine procedura (Lucia non ha commesso irregolarità, è stata solo sfortunata con il meteo).

Considerazione: I casi agricoli mostrano come la durata sia influenzata anche da fattori sociali e territoriali. Spesso il tribunale preferisce una liquidazione “soft” per non disperdere un’azienda agricola familiare: magari un acquirente che continui l’attività. Queste valutazioni possono protrarre la procedura, ma difficilmente oltre 4-5 anni, perché comunque poi subentra la necessità di concludere e voltare pagina.

Esempio 5: Consumatore privato – nessun bene, solo debiti da carte di credito

Scenario: Anna è una semplice consumatrice, impiegata part-time, che ha accumulato €50.000 di debiti tra carte di credito, prestiti personali e bollette arretrate, senza possedere alcun immobile o bene di valore. Il suo stipendio è di €1.000 al mese e non ha risparmi. Tecnicamente Anna sarebbe il prototipo del debitore incapiente che può chiedere l’esdebitazione immediata ex art. 283 CCII (la “esdebitazione del debitore incapiente”), evitando del tutto la liquidazione. Infatti, tale procedura “speciale” dura pochi mesi e cancella i debiti se il debitore è meritevole e realmente privo di patrimonio.

Tuttavia, poniamo che Anna non possa accedere a quell’istituto perché, ad esempio, ha già beneficiato di un’esdebitazione 6 anni fa dopo una precedente crisi. La legge preclude l’esdebitazione dell’incapiente se l’ha già avuta (è “una tantum”). Quindi Anna, trovandosi di nuovo sommersa dai debiti, nel 2025 opta per una liquidazione controllata sapendo che non le sarà concessa l’esdebitazione se non paga qualcosa (il giudice potrebbe negarla per aver abusato, ma intende provarci lo stesso).

Procedura: Ricorso nel 2025, apertura subito concessa (tanto i creditori non possono opporsi all’apertura per la sua pregressa esdebitazione, possono solo poi opporsi al beneficio finale). Liquidatore nominato ma non trova alcun bene da liquidare. I creditori presentano domande (50k). Il liquidatore verifica che Anna ha solo il modesto stipendio. Dispone che per 3 anni Anna versi, poniamo, €100 al mese (10% stipendio) come “pegno” per ottenere forse l’esdebitazione. Anna lo fa dal 2025 al 2028, per un totale di €3.600 raccolti. I creditori ottengono briciole, ma almeno qualcosa.

Durata: Non essendoci altro da fare, la procedura rimane aperta giusto per il triennio standard, così da giustificare un eventuale esdebitazione. Al termine del triennio, il giudice valuta: Anna è recidiva (ha avuto già un’esdebitazione 6 anni fa, però la legge dice 5 anni come minimo intervallo, quindi ne sono passati 6 quindi sarebbe ammessa; tuttavia un’altra causa ostativa è se ha già beneficiato di due esdebitazioni, e Anna ne avrebbe una sola precedente, quindi potrebbe teoricamente avere la seconda). Se il giudice ritiene che, pur essendo il secondo beneficio, la legge non lo vieta (lo vieta oltre due), allora le concede l’esdebitazione nel 2028. I creditori non possono eccepire più di tanto: Anna ha adempiuto a ciò che le è stato richiesto (versare quanto poteva in 3 anni). La durata è stata esattamente 3 anni, finalizzata praticamente solo a “mettere in prova” Anna.

Considerazione: Se invece Anna avesse già avuto due esdebitazioni pregresse, la terza sarebbe vietata ex lege. In tal caso la liquidazione controllata l’avrebbe comunque potuta aprire (abbiamo visto che le cause ostative non precludono l’accesso alla liquidazione, servono solo a valutare l’esdebitazione). Però al termine il giudice non le avrebbe dato il beneficio, lasciandole i debiti. Uno scenario triste: tre anni di trattenute per nulla, se non aver ridotto un po’ il debito. E i creditori, passati i 3 anni, tornano all’attacco (possono riprendere pignoramenti, magari sullo stipendio per altri 5-10 anni finché non esauriscono il debito). Questo esempio estremo serve a mostrare che la meritevolezza e il rispetto delle regole (non abusare ripetutamente) è importante: la legge offre una o due opportunità di fresh start, ma non infinite.

Domande Frequenti (FAQ) sulla liquidazione controllata per i debitori

Di seguito una serie di domande comuni che un debitore sovraindebitato potrebbe porsi riguardo alla liquidazione controllata, con risposte basate sulla normativa vigente e quanto emerso dalla prassi e dalla giurisprudenza fino al 2025.

D1: La liquidazione controllata ha una durata minima o massima stabilita per legge?
R: Non c’è un termine fisso di legge uguale per tutti. Tuttavia, la durata ragionevole della procedura è considerata in circa 3 anni dall’apertura. Dopo 3 anni, infatti, scatta – per il debitore meritevole – l’esdebitazione di diritto (ora su istanza) che libera dai debiti. Dunque 3 anni sono il limite massimo per sfruttare i redditi futuri del debitore nella liquidazione. Possono esservi casi in cui la procedura chiude prima (se tutti i beni sono liquidati e non ci sono redditi da attendere) oppure può protrarsi un po’ oltre 3 anni (ad esempio per completare la vendita di un immobile, o se ci sono ritardi), ma superare 5 anni sarebbe eccezionale e probabilmente considerato irragionevole. Con le modifiche 2024, se la procedura dovesse protrarsi verso i 54 mesi (4,5 anni), il debitore può chiedere al giudice di valutarne la chiusura anticipata per evitare eccessive lungaggini. Quindi in pratica: 3 anni tipici, con una forbice di variabilità tra ~1 anno (minimi casi) e ~5 anni (massimi casi complessi).

D2: Se dopo 3 anni la procedura non ha ancora liquidato tutto, cosa succede?
R: Trascorsi 3 anni, il tribunale può comunque pronunciare l’esdebitazione del debitore, cioè liberarlo dai debiti, anche se restano beni da liquidare. In tal caso, grazie al nuovo art. 282 comma 2-bis CCII, i beni non ancora liquidati rimangono nella massa attiva separata e il liquidatore continuerà a venderli distribuendo il ricavato ai creditori, ma il debitore non sarà più coinvolto (ad esempio non subirà più trattenute sul reddito successivo, e non risponderà di eventuali passività residue). Se la procedura ha ancora attivo consistente, di solito non si aspetta esattamente il 36° mese per vendere: l’obiettivo è liquidare il prima possibile. Ma se qualcosa inspiegabilmente rimane (es. un immobile invenduto), si potrà proseguire la liquidazione tecnica di quel bene anche post-esdebitazione, oppure il giudice potrebbe chiudere ugualmente mandando il bene invenduto all’Erario (come avveniva nei vecchi fallimenti per attivi irrisori rimasti). L’importante è che dopo 3 anni il debitore esca dalla procedura e non subisca ulteriori penalizzazioni.

D3: Posso essere obbligato a entrare in liquidazione controllata contro la mia volontà?
R: Sì, dal 2022 i creditori possono presentare istanza al tribunale per aprire la liquidazione controllata di un debitore non fallibile insolvente. Quindi, ad esempio, se sei un consumatore o un piccolo imprenditore che non paga, un tuo creditore (o più d’uno insieme) può chiedere al giudice di accertare il tuo stato di insolvenza e aprire la procedura. In tal caso subirai la liquidazione come procedura “coattiva”. Hai però la possibilità, in quella sede, di opporsi mostrando di non essere insolvente o proponendo magari una soluzione alternativa (es. un concordato minore con pagamento parziale ai creditori). La legge prevede espressamente che, se il debitore persona fisica non ha beni sufficienti e sarebbe un caso da esdebitazione incapiente, questa situazione non impedisce comunque ai creditori di chiederne la liquidazione (coattiva). Semplicemente, al termine di tale procedura i creditori potrebbero ottenere ben poco, ma almeno tentano di escutere quel poco. Quindi sì, esiste una sorta di “fallimento del non fallibile” su iniziativa dei creditori. Va detto che prima di arrivare a ciò, spesso i creditori provano pignoramenti individuali; la liquidazione coattiva è più utile quando ci sono più creditori e pochi beni, così si evita la corsa disordinata e si concentra tutto in un’unica procedura.

D4: Ho già ottenuto un’esdebitazione 3 anni fa in una precedente liquidazione: posso fare di nuovo la procedura?
R: Puoi accedere di nuovo alla liquidazione controllata, perché, a differenza dei piani di ristrutturazione, non ci sono preclusioni all’accesso per chi ha beneficiato in passato di esdebitazione. La logica è: la liquidazione è a tutela dei creditori, quindi anche un debitore “recidivo” può essere liquidato di nuovo se insolvente, così almeno i creditori hanno la chance di incassare qualcosa. Tuttavia, per quanto riguarda l’esdebitazione finale, la legge pone dei limiti:

  • Se hai già ottenuto un’esdebitazione negli ultimi 5 anni, non hai diritto a ottenerne un’altra adesso (sarà negata dal giudice al termine, salvo casi eccezionali).
  • Se hai già ottenuto due esdebitazioni in qualsiasi tempo passato, non puoi ottenerne una terza (mai). Quindi al massimo nella vita si possono avere due “fresh start”.
  • Inoltre, se hai causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, anche questa è causa di diniego dell’esdebitazione (indipendentemente dal passato).
    Nel tuo caso, avendone avuta una 3 anni fa, sei dentro il periodo di 5 anni: ciò significa che se anche fai ora una seconda liquidazione, non otterrai la cancellazione dei debiti residui questa volta. Potresti comunque usare la procedura per liquidare eventuali beni a favore dei creditori e chiudere formalmente la vicenda, ma rimarresti responsabile per i debiti non pagati. Per questo conviene, in tali situazioni, aspettare almeno 5 anni prima di cercare una nuova esdebitazione, oppure valutare soluzioni transattive alternative. Consigliamo sempre di consultare un esperto: a volte il calcolo dei termini e delle convenienze può essere complesso.

D5: Quali obblighi ho durante la procedura e cosa succede se non li rispetto?
R: Come debitore in liquidazione controllata hai principalmente i seguenti obblighi:

  • Consegnare o segnalare al liquidatore tutti i tuoi beni, documenti contabili, informazioni sui crediti e debiti. Devi collaborare lealmente, non nascondere beni, non distrarli.
  • Non pagare individualmente alcuni creditori a scapito di altri (dopo l’apertura, tutti i pagamenti devono essere autorizzati).
  • Se percepisci redditi, devi comunicarlo e versare le quote stabilite al liquidatore (ad es. la trattenuta su stipendio).
  • Non aggravare il dissesto: ad esempio non contrarre nuovi debiti se non per stretta necessità, non dilapidare entrate future ecc.
  • Essere presente se convocato dal giudice o dal liquidatore, rispondere alle domande, fornire spiegazioni sulla genesi dei debiti.
    Se non rispetti questi obblighi, rischi diverse conseguenze. In primo luogo, il giudice può revocare la procedura (la liquidazione controllata può essere chiusa anticipatamente senza esdebitazione se il debitore commette atti in frode, ad esempio), oppure più frequentemente, a fine procedura, il giudice può negare l’esdebitazione per mancanza di meritevolezza. Ad esempio, se si scopre che hai occultato un bene o hai speso soldi in lusso invece di contribuire ai creditori, molto probabilmente il tribunale non ti libererà dai debiti residui. In casi estremi, ci possono essere anche conseguenze penali: il nuovo Codice prevede reati di bancarotta/deposito di beni anche per il sovraindebitato se compie atti di frode simili a quelli fallimentari. Insomma, una volta dentro la procedura devi tenere un comportamento trasparente e diligente. La buona notizia è che la legge non ti chiede l’impossibile: sei protetto dal poter condurre una vita dignitosa (nessuno ti toglie il minimo vitale) e se fai del tuo meglio, otterrai comunque l’esdebitazione anche se i creditori hanno recuperato poco. La Cassazione ha sottolineato che l’importante è la condotta, non la percentuale di soddisfo dei creditori.

D6: Posso continuare a svolgere un’attività lavorativa durante la liquidazione controllata?
R: Sì, assolutamente. Se sei un privato lavoratore dipendente, continui con il tuo lavoro (anzi, è meglio perché così generi reddito con cui magari contribuisci). Se eri un imprenditore, la tua attività precedente cessa (la liquidazione serve proprio a liquidare l’azienda o i beni dell’impresa). Però puoi iniziare una nuova attività se vuoi, anche durante la procedura. Tieni presente però che:

  • I guadagni della nuova attività, finché la liquidazione è aperta, potrebbero in parte confluire nella massa (soprattutto se sono redditi e tu non hai esdebitazione immediata). Ad esempio se apri una partita IVA come freelance e inizi a fatturare bene, il liquidatore o i creditori potrebbero chiedere che parte di quei guadagni vada a loro prima della chiusura.
  • Se la nuova attività richiede di usare beni che sono nella procedura, dovresti concordare col liquidatore. Ad esempio, se vuoi riprendere una piccola impresa artigiana, ma i macchinari sono stati presi dal liquidatore, potresti chiedere di riacquistarli o prenderli in affitto dalla massa.
  • Non puoi invece continuare la stessa impresa come se nulla fosse: una volta aperta la liquidazione, quell’impresa (se individuale) viene liquidata. Però nulla ti vieta di, per dire, costituire una nuova società intestata a un parente e lavorarci (stando attento a non simulare passaggi di beni; dev’essere tutto reale e trasparente).
    La legge incoraggia il debitore sovraindebitato a mantenersi attivo. Tra l’altro, se migliori la tua situazione economica, potresti anche in qualsiasi momento proporre ai creditori un concordato e chiudere anticipatamente la liquidazione pagando qualcosa in più. In conclusione, sì puoi lavorare e intraprendere nuove iniziative: la liquidazione controllata non è uno status di “morte civile”, ma solo una procedura economica. E dopo l’esdebitazione sarai libero di tornare imprenditore senza pregiudizi (salvo forse l’accesso al credito, che dipenderà dalla tua storia creditizia, non da divieti legali).

D7: Cosa succede se durante la procedura ricevo un’eredità o vinco alla lotteria?
R: I beni che sopravvengono al patrimonio del debitore finché la procedura è aperta in linea di principio entrano nella massa attiva e vanno a beneficio dei creditori. Questo include eredità, donazioni ricevute, vincite, ecc. Tuttavia, come abbiamo ampiamente discusso, c’è un limite temporale: fino all’esdebitazione. Se l’evento fortunato accade entro i famosi 3 anni (prima che tu ottenga l’esdebitazione), il liquidatore potrà richiedere che quella ricchezza sia utilizzata per pagare i debiti. Se invece accade dopo l’esdebitazione, potrai tenerla tutta per te. Facciamo due esempi:

  • Ricevi un’eredità al 2° anno di liquidazione: il liquidatore aprirà la successione, prenderà possesso della tua quota ereditaria e la aggiungerà all’attivo da distribuire. Questo potrebbe anche accelerare la chiusura perché magari consente di pagare tutto. Nota: se l’eredità consiste in un immobile e tu la rifiuti per non farla entrare, il liquidatore potrebbe impugnare la rinuncia per sospetta frode (non è così semplice “svicolare”).
  • Vinci alla lotteria al 4° anno, ma ti hanno appena concesso l’esdebitazione al mese 37: la vincita è tua, i creditori non potranno toccarla perché legalmente la procedura è chiusa e quei soldi sono considerati nuovi beni successivi.
    C’è anche da dire che, se la somma sopravvenuta è ingente da poter soddisfare tutti i creditori, potresti negoziare una chiusura anticipata: paghi tutto e chiedi esdebitazione immediata (che in realtà se paghi tutto non serve, ma chiudere la procedura sì). Quindi, è un caso in cui l’arricchimento improvviso tendenzialmente va ai creditori se capita durante, altrimenti resta al debitore se dopo.

D8: Quanto costa, in termini di spese, per un debitore affrontare la liquidazione controllata?
R: Come visto nella sezione dedicata ai costi, l’esborso diretto per il debitore è relativamente contenuto all’inizio: contributo unificato €98, marca da bollo €27, e magari un compenso di qualche centinaio/migliaio di euro all’OCC o professionista che aiuta a predisporre il ricorso. Molti OCC delle camere di commercio chiedono un anticipo spese di qualche centinaio di euro, ma talvolta, in casi socialmente difficili, lavorano pro bono confidando di ricevere qualcosa dalla procedura. Tutti gli altri costi (compenso liquidatore, perizie, spese di vendita) vengono pagati dall’attivo liquidato prima di soddisfare i creditori. Ciò significa che, se il tuo patrimonio è scarso, anche i costi saranno commisurati (il liquidatore non prenderà parcelle esorbitanti se ci sono pochi soldi). Di fatto, il “costo” principale per il debitore è la perdita del patrimonio liquidato e l’eventuale sacrificio di reddito per i 3 anni (se hai uno stipendio, dovrai sopravvivere con un po’ meno). Ma quelle non sono spese in senso tecnico: è soddisfacimento dei tuoi debiti, che comunque avresti dovuto pagare in un modo o nell’altro. Una cosa importante: se la procedura dovesse chiudersi per mancanza di attivo, le spese rimaste non diventano debiti a tuo carico (non è come le spese di giustizia penali). Semplicemente, liquidatore e OCC resteranno non pagati o pagati da un fondo, ma tu non dovrai compensarli tu personalmente (salvo tu abbia agito con frode causando inutilmente costi: in teoria, in tal caso, potrebbero rivalersi, ma scenario remoto). Quindi, la liquidazione controllata è accessibile economicamente anche a chi è in gravi difficoltà.

D9: Se durante la liquidazione un creditore mi chiama per un accordo a saldo e stralcio personale, posso pagarlo fuori procedura?
R: No, una volta aperta la procedura tutti i creditori devono essere trattati in modo paritario secondo le regole concorsuali. Non è ammesso pagare un creditore al di fuori della procedura (sarebbe un pagamento preferenziale vietato). Se hai la disponibilità di soldi di terzi o amici che vogliono aiutarti a chiudere i debiti, la strada corretta è presentare un’offerta di concordato all’interno della procedura, cioè una proposta di saldo e stralcio collettivo ai creditori. Ad esempio: proponi che un parente versi €10.000 che verranno ripartiti a tutti i creditori dando magari un 20% ciascuno, in cambio della chiusura anticipata e dell’esdebitazione. Questo nel Codice si configurerebbe come concordato minore (se presentato fin da subito) o come accordo in corso di liquidazione (è possibile convertire la liquidazione in un accordo se c’è consenso). In pratica, se un singolo creditore ti propone “paga solo me fuori, che ritiro la domanda”, non puoi farlo; dovresti semmai includerlo in un accordo che coinvolga anche gli altri. Tieni presente che se paghi di nascosto un creditore e ciò si scopre, rischi la revoca dell’esdebitazione per atto in frode (avresti violato la par condicio). Quindi è altamente sconsigliato. Al contrario, i creditori sono liberi (anche dopo apertura) di accettare transazioni collettive: se ad esempio un tuo familiare offre una somma che soddisfa tutti al 30%, i creditori potrebbero accettare e allora il giudice omologa l’accordo e chiude la procedura prima. Ma deve essere tutto trasparente e approvato nelle forme di legge.

D10: Cosa distingue la liquidazione controllata dall’“esdebitazione del debitore incapiente”?
R: L’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) è una procedura semplificata e più breve riservata a chi non ha alcun attivo da liquidare e nessuna capacità di offrire soddisfacimento ai creditori. In sostanza, è un beneficio una tantum che consente al debitore onesto, totalmente privo di risorse, di essere esdebitato subito, senza passare per la liquidazione classica. Le differenze principali:

  • Accesso: richiede prova rigorosa che il debitore non ha beni né capacità di pagamento di alcun importo (salvo forse importi simbolici). Inoltre, non deve aver mal gestito per arrivare lì (serve meritevolezza un po’ più stringente).
  • Durata: è molto breve, qualche mese per la pronuncia. Non c’è un periodo di 3 anni da attendere. Infatti la chiamano anche “esdebitazione immediata”.
  • Nessun liquidatore: il giudice valuta la situazione su relazione OCC e, se tutto ok, cancella i debiti subito. Non c’è liquidazione perché non c’è nulla da liquidare.
  • Effetti: se poi nei 4 anni successivi alla concessione l’incapiente dovesse migliorare la propria condizione (es. vince alla lotteria), c’è un meccanismo per cui i creditori potrebbero chiedere di revocare il beneficio o partecipare a quei nuovi beni (questa è una tutela per evitare finti poveri).
    In pratica, la liquidazione controllata è per chi qualcosa da liquidare ce l’ha, anche poco, o comunque non soddisfa i requisiti più stretti dell’incapienza. Molti debitori preferirebbero l’esdebitazione immediata, ma non sempre è concessa: ad esempio, se uno ha anche solo €5.000 di beni vendibili, già lo indirizzano verso la liquidazione controllata perché almeno quei €5.000 vanno ai creditori. Oppure se ha uno stipendio, anche modesto, spesso il giudice dice: meglio fare 3 anni di prelievo. L’idea è che l’istituto dell’incapiente serve a casi disperati (nullatenenti cronici, persone uscite da situazioni sociali gravi, ecc.). La durata della procedura incapienti è molto inferiore: potrebbe chiudersi in 6-12 mesi con il decreto di esdebitazione immediata. La liquidazione controllata invece come abbiamo visto impiega anni. Dunque, se hai zero beni ma sei semplicemente sommerso dai debiti, chiedi sempre al tuo OCC se puoi accedere all’esdebitazione incapiente: è preferibile. Se invece vieni avviato comunque alla liquidazione, vuol dire che c’è qualche ragione (attivo minimo, oppure dubbi sulla meritevolezza) per procedere con quella più lunga.

D11: Durante la liquidazione possono continuare a maturare interessi sui miei debiti?
R: No, uno degli effetti dell’apertura della procedura è la cristallizzazione del passivo. Ciò significa che i debiti si considerano al valore alla data di apertura: da lì in poi, i crediti chirografari non producono più interessi. I crediti privilegiati possono produrre interessi entro i limiti di capienza del bene su cui hanno privilegio (simile a regole fallimentari). Ma in pratica, per il debitore, eventuali interessi e sanzioni cessano di correre. Anche eventuali procedimenti esecutivi o atti di precetto si bloccano. Questo è importante perché, ai fini della durata, il debitore non deve temere che in 3 anni i suoi debiti lievitino: rimangono congelati. Se la liquidazione poi finisce con esdebitazione, tutti quegli interessi “congelati” non si rivitalizzano affatto; se invece finisse senza esdebitazione, i creditori potrebbero far ripartire gli interessi dal momento post-chiusura. Ma durante, è tutto sospeso. Quindi la procedura offre anche questa tregua.

D12: Alla fine della procedura, i miei debiti risultano cancellati anche dalle banche dati tipo CRIF?
R: L’esdebitazione cancella giuridicamente l’obbligo di pagare quei debiti. Però le segnalazioni creditizie (CRIF, Centrale Rischi Bankitalia, ecc.) seguono le loro regole. In genere, un debito non pagato rimane segnalato come sofferenza per un certo numero di anni (anche se esdebitato). Tuttavia, i creditori dovrebbero aggiornare lo status a “estinto per esdebitazione” o simili. Non c’è ancora un sistema uniformato di cancellazione automatica delle segnalazioni negative dopo l’esdebitazione. Il debitore può però presentare copia del decreto di esdebitazione e richiedere almeno la chiusura delle posizioni (che risultino non più dovute). Bisogna accettare che lo storico creditizio resterà segnato da quell’evento (come un fallimento per un imprenditore rimane negli archivi). Ad ogni modo, ai fini legali, nessuno potrà più esigerli. Anche eventuali ipoteche sui beni decadono (se ad esempio c’era ipoteca sulla casa che non è stata escussa durante la procedura, con l’esdebitazione quel vincolo per il debito residuo dovrebbe venire meno: su questo però va valutato con attenzione, perché l’ipoteca è un diritto reale e alcuni ritengono che l’esdebitazione personale non la elimini se il bene non è stato liquidato; ma diciamo che di solito in liquidazione controllata o vendono il bene o la banca partecipa come chirografo se il bene manca).

D13: Se la procedura si chiude senza esdebitazione, posso tentare comunque un saldo e stralcio successivo con i creditori?
R: Sì, certamente. Se (disgraziatamente) la liquidazione controllata termina con un decreto di chiusura senza concederti l’esdebitazione (ad es. per comportamento fraudolento rilevato, o per preclusioni normative), tu torni ad essere responsabile per i debiti residui. A quel punto sei nella situazione di un debitore normale con tot debito rimasto, solo che avrai in meno beni (perché li hanno liquidati) e forse i creditori un po’ sfiduciati. In tale scenario, nulla ti impedisce di prendere contatti con i creditori e proporre un accordo transattivo stragiudiziale. Anzi, i creditori sapendo che hai già passato una procedura concorsuale potrebbero accontentarsi di poco. Purtroppo, senza esdebitazione non c’è protezione giuridica: i creditori potrebbero anche riprendere subito i pignoramenti. Quindi il margine di manovra dipende dalla tua capacità negoziale e da se i creditori attiveranno esecuzioni. In alcuni casi, potrebbe convenire riaprirsi fallimento se parliamo di ex imprenditore (ma nel sovraindebitamento no, non c’è quella opportunità). Diciamo che la soluzione migliore è cercare di evitare di arrivare a chiusura senza esdebitazione: se vedi che la cosa sta mettendosi male (es. emergono condotte che potrebbero farti negare il beneficio), valuta di trasformare la procedura in un concordato con i creditori offrendo qualcosina in più e ottenendo il loro voto favorevole: il giudice omologa e, poiché non è tecnicamente un’esdebitazione ma un concordato adempiuto, anche se avevi colpe ciò non conta. Questo però è un discorso complesso, da fare con un legale. In ogni caso, sì, potrai sempre tentare accordi, ma la tua forza dipenderà da cosa avrai da offrire e dalla pazienza dei creditori.


Le domande potrebbero continuare, ma abbiamo coperto i dubbi più ricorrenti. Per qualsiasi altra incertezza, il debitore può far riferimento all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che lo assiste o al proprio legale di fiducia. Data la delicatezza di questa procedura, è sempre consigliato avere un esperto al fianco.

Conclusione

La liquidazione controllata è uno strumento potente per chiudere una situazione debitoria insostenibile, ma va affrontata con consapevolezza. Dal punto di vista del debitore, significa sottoporsi a un percorso di alcuni anni in cui il patrimonio verrà azzerato e, se possibile, parte dei redditi futuri sarà destinata ai creditori. In cambio, si ottiene la possibilità di ripartire puliti dai debiti tramite l’esdebitazione.

Abbiamo visto che la durata standard della procedura si aggira sui 3 anni, coerentemente con il principio di ragionevole durata sancito anche dalla Corte Costituzionale. Questo termine è tanto una tutela per il debitore (che sa di non dover restare a vita in uno stato concorsuale) quanto per i creditori (che sanno di poter riscuotere quel che c’è in un arco di tempo definito, senza che il debitore possa scappare per sempre).

Le fasi procedurali – apertura, accertamento del passivo, liquidazione beni, chiusura – scandiscono questo periodo e ciascuna può presentare criticità, ma conoscendole in anticipo il debitore può prepararsi. La normativa è evoluta per chiarire molti aspetti, specie sul fronte durata e esdebitazione, riducendo margini di incertezza. La giurisprudenza ha confermato i capisaldi: tre anni sono sufficienti e necessari, comportamenti scorretti non pagano, l’accesso è ampio ma il beneficio va meritato.

Infine, gli esempi pratici mostrano in modo tangibile che ogni situazione è diversa: c’è chi in un anno risolve perché non aveva nulla, c’è chi impiega cinque anni perché c’era una casa da vendere, c’è chi sta in mezzo. Il debitore deve collocare la propria situazione nel giusto contesto e porsi con un atteggiamento collaborativo e proattivo.

Questa guida, aggiornata a giugno 2025, offre un quadro completo e avanzato sulla durata della liquidazione controllata dal lato del debitore. Si raccomanda di consultare sempre le fonti normative e le ultime pronunce (in costante aggiornamento) per verificare eventuali novità successive.

Fonti normative e giurisprudenziali (riferimenti)

Normativa:

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), artt. 268-277 (liquidazione controllata) e artt. 278-283 (esdebitazione). (G.U. n.38 del 14/02/2019).
  • D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147 – Primo decreto correttivo al CCII. (G.U. n.276 del 05/11/2020).
  • D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, conv. in L. 18 dicembre 2020 n. 176 – Interventi urgenti COVID, modifiche alla L.3/2012 anticipando parti del CCII (definizione consumatore, soci illimitati, esdebitazione incapiente). (G.U. n.319 del 24/12/2020).
  • D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 – Secondo decreto correttivo al CCII (attuazione direttiva UE 2019/1023). (G.U. n.152 del 01/07/2022).
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 – Terzo decreto correttivo al CCII, in vigore dal 28/09/2024, con modifiche a varie disposizioni tra cui art. 269, 270, 271, 275-bis, 276, 282 CCII. (G.U. n.249 del 24/10/2024).
  • Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (abrogata) – Disciplina del sovraindebitamento (precedente al CCII), rilevante per confronto storico (artt. 14-terdecies e 14-undecies prevedevano limite 4 anni nel liquidazione patrimonio).

Giurisprudenza di legittimità:

  • Corte Costituzionale, sentenza 19 gennaio 2024 n. 6 – Questione di legittimità su durata minima liquidazione controllata: dichiara infondata, indicando in 3 anni la cornice di ragionevole durata (art. 142 co.2 CCII vs art.14-ter L.3/2012).
  • Cassazione Civile, Sez. I, sentenza 21 gennaio 2021 n. 115 – Nozione di “consumatore” sovraindebitato: anche ex imprenditore può esserlo se debiti non attinenti attività d’impresa.
  • Cassazione Civile, Sez. I, sentenza 5 novembre 2020 n. 24414 – Socio illimitatamente responsabile di società non fallibile può accedere a procedure da sovraindebitamento (conferma estensione soggettiva introdotta da L.176/2020).
  • Cassazione Civile, Sez. VI-III, ordinanza 10 agosto 2021 n. 22665 – Inammissibilità del ricorso straordinario ex art.111 Cost. contro il decreto di rigetto dell’istanza di sovraindebitamento: impugnabile solo con reclamo ex L.3/2012.
  • Cassazione Civile, Sez. I, sentenza 17 dicembre 2015 n. 262/2016 – (Principio poi ripreso) – Ammissibilità del socio di SNC come consumatore per debiti personali distinti da quelli sociali.
  • Cassazione Civile, Sez. I, ordinanza 31 maggio 2023 n. 15359 – Esdebitazione: tassatività delle cause di esclusione (art. 142 L.F.) e irrilevanza di illeciti non espressamente previsti; meritevolezza valutata in base ai soli requisiti legali.
  • Cassazione Civile, Sez. I, ordinanza 27 luglio 2023 n. 22616 – (indicativa) – Legittimazione dei creditori a proporre reclamo contro la mancata apertura della liquidazione ex L.3/2012 (conferma che i creditori sono “soggetti interessati” e possono attivare il controllo sulle decisioni di ammissione) (nota: caso su vecchia legge ma applicabile per il principio di iniziativa dei creditori).

Giurisprudenza di merito:

  • Tribunale di Verona, sez. fallimentare, sentenza 6 ottobre 2022 n. 4188 – In procedura familiare liquidazione controllata: dopo esdebitazione (massimo 3 anni) non è più lecito apprendere quote di stipendio future del debitore; limitazione ai beni presenti al momento.
  • Tribunale di Arezzo, ordinanze 3 marzo 2023 (e succ.) – Questione costituzionale su art.142 co.2 CCII: segnalano mancanza termine minimo (4 anni) paragonato a L.3/2012; propongono interpretazione restrittiva a tutela creditori (solo beni sopravvenuti per spese). [Esito: Corte Cost. 6/2024, v. sopra].
  • Tribunale di Rimini, decreto 30 maggio 2024 – Conferma necessità che il programma di liquidazione sfrutti l’intero triennio pre-esdebitazione se vi sono creditori insoddisfatti, escludendo chiusure anticipate “strategiche” per evitare pagamenti.
  • Tribunale di Milano, decreto 16 dicembre 2023 – Nomina liquidatore: conferma invalidità nomina di professionista non appartenente a OCC (prima del correttivo 2024 che ha chiarito requisiti), provvedimento confermato in reclamo.
  • Tribunale di Lecco, decreto 5 gennaio 2021 – Ammesso socio accomandatario a liquidazione del patrimonio ex L.3/2012 applicando L.176/2020, anticipando CCII.
  • Tribunale di Milano, decreto 18 marzo 2021 – Qualifica di consumatore riconosciuta a socio illimitato per debiti estranei a società (applicazione nuova definizione art.6 L.3/2012 novellato).
  • Tribunale di Grosseto, decreto 22 giugno 2021 – Ammissibile piano del consumatore proposto da ex socio illimitato per debiti personali, superando orientamento precedente (post L.176/2020).
  • Tribunale di Ascoli Piceno, decreto 8 novembre 2024 – Valutazione prognostica su esdebitazione: già in fase di apertura, giudice esprime riserve su futura esdebitazione in caso di inattività protratta dell’impresa (caso di liquidazione controllata dove l’impresa era ferma da tempo, considerato indice di mala fede).

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