Hai ricevuto un atto di pignoramento sulla pensione e ti stai chiedendo quanto tempo durerà questa trattenuta? Temevi che fosse solo un problema temporaneo, ma i mesi passano e il cedolino continua a riportare una somma inferiore. È normale? Quando finirà il pignoramento?
Il pignoramento della pensione è una misura che consente ai creditori, pubblici o privati, di recuperare quanto dovuto prelevando una parte dell’importo mensile che ti viene accreditato. Ma attenzione: non può durare all’infinito e ci sono limiti ben precisi su quantità, durata e condizioni.
Quanto può durare un pignoramento della pensione?
La durata dipende da quanto è l’importo del debito residuo e da quanto viene trattenuto ogni mese. In altre parole, il pignoramento continua fino a quando l’intero debito – comprensivo di interessi e spese – non è stato integralmente soddisfatto. Non esiste una durata fissa uguale per tutti: può trattarsi di pochi mesi o diversi anni, a seconda dei casi.
C’è un limite mensile alla trattenuta?
E se ci sono più creditori?
Cosa succede se il debitore muore o cambia la sua situazione?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in pignoramenti, recupero crediti e tutela del patrimonio – ti spiega quanto dura il pignoramento della pensione, quali sono i limiti legali e cosa puoi fare per ridurlo o fermarlo.
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Introduzione
Il pignoramento della pensione è un atto dell’esecuzione forzata tramite il quale una parte della pensione di un debitore viene trattenuta alla fonte per soddisfare uno o più crediti insoluti. In altre parole, l’INPS (o altro ente previdenziale) viene obbligato a trattenere una quota della pensione mensile e a versarla ai creditori prima che entri nella disponibilità del pensionato. Tale procedura può durare anche a lungo, fino all’integrale soddisfacimento del debito: il prelievo prosegue infatti mese per mese finché il creditore non è del tutto soddisfatto, ovvero fino alla copertura totale del credito vantato.
Questa guida, aggiornata a giugno 2025, fornisce una trattazione completa del tema, con linguaggio giuridico ma accessibile, rivolta sia a professionisti legali sia a privati cittadini e imprenditori. Saranno esaminati i riferimenti normativi aggiornati (comprese le ultime riforme fiscali e previdenziali 2024-2025), le diverse tipologie di pignoramento della pensione (da parte di creditori privati, dell’INPS stesso o dell’Agenzia delle Entrate Riscossione), i limiti di importo pignorabile e le tutele a favore del debitore. Verranno approfondite le procedure di opposizione e gli strumenti difensivi, con un focus sulla tutela del minimo vitale del pensionato. Inoltre, la guida include simulazioni pratiche di calcolo in casi concreti, tabelle riepilogative dei limiti e percentuali, e una sezione di domande e risposte frequenti. L’obiettivo è fornire un quadro chiaro e aggiornato su quanto dura e come funziona il pignoramento della pensione, evidenziando le garanzie a protezione del debitore pensionato.
Quadro normativo e ultime riforme (2022–2025)
Negli ultimi anni la normativa sul pignoramento di stipendi e pensioni è stata oggetto di importanti riforme finalizzate a rafforzare la tutela del debitore, garantendo il cosiddetto “minimo vitale”. In particolare, il Decreto Aiuti-bis (D.L. 9 agosto 2022 n. 115), convertito con modificazioni dalla Legge 21 settembre 2022 n. 142, ha innalzato la soglia di impignorabilità delle pensioni. Prima di tale intervento, la parte di pensione non pignorabile era pari a 1,5 volte l’assegno sociale; con la riforma del 2022 il limite è stato elevato a 2 volte l’assegno sociale mensile, prevedendo comunque un minimo assoluto di € 1.000. In altre parole, oggi la legge stabilisce che le somme dovute a titolo di pensione non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio dell’assegno sociale, e comunque mai sotto i 1.000 euro. Questo importo rappresenta il “minimo vitale” intoccabile, necessario a garantire mezzi adeguati di sussistenza al pensionato.
Tale nuovo limite di impignorabilità è entrato in vigore il 22 settembre 2022. Ogni anno, essendo l’assegno sociale soggetto a rivalutazione, la soglia viene adeguata di conseguenza. Ad esempio, per il 2024 l’assegno sociale era pari a € 534,41 mensili, dunque il doppio era € 1.068,82: di conseguenza le pensioni fino a tale importo erano completamente impignorabili. Per il 2025, l’assegno sociale è pari a circa € 538,68 al mese (dato indicativo per 13 mensilità). Il doppio di tale importo è circa € 1.077,36, il che significa che, essendo questo valore superiore al minimo legale di € 1.000, la soglia di pensione non pignorabile nel 2025 si attesta intorno a € 1.077. In sintesi, tutte le pensioni fino a circa 1.077 euro mensili sono totalmente impignorabili nel 2025. Questo valore viene comunemente definito minimo vitale o trattamento minimo garantito al pensionato.
Oltre alla riforma del 2022 sul minimo vitale, vanno menzionate altre novità normative recenti: la cosiddetta “Riforma Cartabia” della giustizia civile (attuata con il D.Lgs. 149/2022, in vigore dal 2023) ha introdotto disposizioni per snellire e accelerare le procedure esecutive, inclusi i pignoramenti presso terzi. Ad esempio, sono stati rivisti termini e modalità delle udienze nelle esecuzioni, con l’obiettivo di rendere più celere la definizione dei pignoramenti (si parla informalmente di “pignoramenti sprint” in 60 giorni) secondo le linee guida del nuovo rito. Tali modifiche procedurali mirano a semplificare il processo esecutivo, pur lasciando inalterati i limiti di pignorabilità e le tutele sul minimo vitale.
Sul fronte fiscale, la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) e provvedimenti successivi hanno introdotto misure di sollievo per i debitori verso il Fisco, che indirettamente incidono anche sui pignoramenti delle pensioni legati a cartelle esattoriali. In particolare, si segnalano:
- la “rottamazione-quater” delle cartelle (definizione agevolata dei debiti tributari), che consente di rateizzare o stralciare sanzioni e interessi su carichi affidati all’Agente della Riscossione entro il 2017, congelando le azioni esecutive in pendenza di adesione;
- lo “stralcio” dei mini-debiti fino a € 1.000 relativi al periodo 2000-2015, con automatica cancellazione al 31 marzo 2023 (ex art. 1 commi 227-228 L.197/2022), che ha portato all’estinzione di molti pignoramenti in corso per crediti di importo modesto;
- la proroga dei termini di pagamento delle cartelle notificate nel 2023 e nuove soglie di tolleranza nel 2024, volte a prevenire pignoramenti immediati.
Nel 2024 e 2025 non risultano ulteriori modifiche legislative peggiorative dei limiti di pignorabilità; al contrario, l’orientamento è di confermare e rafforzare le garanzie a tutela dei pensionati debitori. Ad esempio, recenti indirizzi parlamentari e normativi (anche su impulso di direttive UE) mirano a tutelare i debitori “fragili” prevedendo maggiore flessibilità nell’esecuzione: si discute della possibilità di revisione periodica dell’importo pignorato da parte del giudice in caso di peggioramento delle condizioni economiche del pensionato, ed è stato ribadito il potere del giudice dell’esecuzione di ridurre la quota pignorata in presenza di situazioni di particolare gravità per il debitore. Tali misure – alcune già rinvenibili nella recente giurisprudenza – sottolineano l’obbligo di bilanciare il diritto del creditore con la dignità e il sostentamento minimo del debitore. Inoltre, con il D.Lgs. 24 marzo 2025 n. 33 è stato approvato un nuovo Testo Unico della riscossione, che riorganizza le norme (abrogando dal 2026 disposizioni previgenti come l’art. 72-ter DPR 602/1973 sui limiti di pignorabilità), mantenendo inalterate le percentuali di prelievo ma inserendole in un contesto normativo aggiornato.
Riassumendo, ad oggi (giugno 2025) il quadro normativo presenta solide tutele per il pensionato: importo minimo impignorabile elevato, percentuali di prelievo contenute e proporzionali al reddito, nonché procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento per i casi più gravi. Nei paragrafi seguenti analizzeremo nel dettaglio come funziona il pignoramento della pensione, quanto può durare, quali limiti precisi incontra e quali strumenti il debitore ha a disposizione per opporsi o attenuare gli effetti del pignoramento.
Cos’è il pignoramento della pensione e come funziona
Il pignoramento della pensione è la procedura esecutiva attraverso cui un creditore, munito di un titolo esecutivo (ad esempio una sentenza di condanna o una cartella esattoriale), ottiene che una parte della pensione dovuta al debitore gli venga direttamente versata per saldare il debito. Tecnicamente si tratta di un pignoramento presso terzi: l’INPS (o altro ente previdenziale erogatore) riveste il ruolo di terzo pignorato, tenuto a sottostare all’ordine del giudice (o dell’Agente della Riscossione) di accantonare e versare al creditore la quota pignorata. Dal punto di vista procedurale, per i creditori privati l’azione si svolge nel modo seguente:
- Notifica dell’atto di pignoramento presso terzi: il creditore notifica al debitore e all’INPS un atto di pignoramento (ex art. 543 c.p.c.), indicando le somme dovute e intimando all’INPS di non pagare al debitore le pensioni oltre la quota impignorabile. L’atto contiene la citazione a comparire in tribunale per l’udienza di assegnazione.
- Dichiarazione del terzo (INPS): all’udienza (o anche prima, per via telematica) l’INPS dichiara l’esistenza e l’ammontare della pensione del debitore e la quota che intende accantonare secondo i limiti di legge.
- Ordinanza di assegnazione: in assenza di opposizioni, il giudice emette un’ordinanza che assegna formalmente al creditore la quota pignorata della pensione, stabilendo che l’INPS versi periodicamente tale importo al creditore.
- Esecuzione continuativa: l’INPS inizia a trattenere ogni mese la somma stabilita dalla pensione del debitore e la versa al creditore, fino all’estinzione del debito (comprensivo di interessi e spese). Il pignoramento quindi dura per tutti i mesi necessari a coprire l’importo dovuto, a meno che intervengano cause di cessazione anticipata (pagamento integrale, accordo transattivo, revoca giudiziale, decesso del debitore, ecc.).
Se invece il creditore è l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), la procedura è in parte diversa in quanto segue le regole speciali della riscossione esattoriale: l’ADER può notificare direttamente all’INPS un ordine di pagamento, senza necessità di passare dal giudice, in base all’art. 72-bis DPR 602/1973. L’INPS in tal caso è tenuta a eseguire la trattenuta e il versamento al Fisco nei limiti di legge (illustrati più avanti). La sostanza però resta simile: anche per i debiti fiscali, la pensione viene decurtata ogni mese di una certa somma fino a soddisfare il credito erariale.
È importante chiarire che non tutte le pensioni possono essere pignorate. La regola generale prevede che solo i trattamenti previdenziali (pensioni contributive) siano pignorabili, mentre i trattamenti assistenziali no. Ciò significa che NON sono pignorabili in alcun caso le prestazioni quali:
- l’assegno sociale (essendo una forma di assistenza, priva di contribuzione);
- la pensione di invalidità civile e l’indennità di accompagnamento per invalidi;
- in generale, tutti gli assegni o sussidi concessi per finalità assistenziali o di sostegno al reddito (es. pensioni di guerra, alcune pensioni privilegiate, ecc.), destinati a garantire bisogni primari.
Sono invece pignorabili le pensioni di natura previdenziale, ossia derivanti dal versamento di contributi, come la pensione di vecchiaia, anzianità, anticipata, la pensione di reversibilità (ai superstiti), ecc., sebbene – come vedremo – solo entro determinati limiti. In aggiunta, anche le retribuzioni (stipendi, salari) sono pignorabili in modo simile e seguono limiti affini, ma in questa guida ci concentriamo sulle pensioni.
Un caso particolare riguarda le situazioni in cui creditore della pensione è lo stesso INPS. Ciò avviene tipicamente quando l’INPS vanta un credito verso il pensionato, ad esempio per somme indebitamente percepite (riscosse dal pensionato senza averne diritto, a causa di un ricalcolo retroattivo, un errore o mancata comunicazione di redditi). In tali casi non si configura tecnicamente un “pignoramento presso terzi”, poiché l’INPS non ha bisogno di agire contro sé stesso in tribunale; l’Istituto può trattenere autonomamente dalla pensione le somme dovute a titolo di recupero. Questo avviene spesso attraverso un piano di recupero rateale concordato con il pensionato oppure, in mancanza di accordo, mediante trattenute forzose. Sebbene la normativa imponga comunque il rispetto del minimo vitale e di proporzioni ragionevoli, sono stati segnalati casi in cui l’INPS – in assenza di opposizione – ha trattenuto importi cospicui, fino a congelare di fatto l’intero assegno mensile per recuperare il dovuto. Occorre infatti distinguere: se l’INPS recupera un indebito su una pensione assistenziale (es. assegno sociale), può anche sospendere o ridurre drasticamente la prestazione (trattandosi di somme non altrimenti pignorabili da terzi); se invece l’indebito riguarda una pensione previdenziale, l’INPS tende ad applicare criteri analoghi a quelli del pignoramento giudiziale (spesso limitando la trattenuta a 1/5 della pensione oltre il minimo vitale, per analogia con l’art. 545 c.p.c.). In ogni caso il pensionato ha diritto di contestare la richiesta dell’INPS (presentando reclamo amministrativo entro 90 giorni al Comitato provinciale INPS, come indicato nelle comunicazioni ricevute) oppure di chiedere una rateizzazione del debito entro 30 giorni dalla notifica, evitando così trattenute eccessivamente onerose tutte in una volta.
Durata del pignoramento della pensione
Una domanda frequente – che dà il titolo a questa guida – è “Quanto dura il pignoramento della pensione?”. Dal punto di vista legale, non esiste un termine fisso o predeterminato: la durata dipende esclusivamente dall’ammontare del debito da recuperare e dalla quota mensile pignorata. Poiché come vedremo la quota massima prelevabile è frazionata (generalmente una percentuale relativamente piccola della pensione ogni mese), il pignoramento può durare diversi mesi o anni, finché tutte le rate dovute non siano state trattenute. In teoria, se il debito è molto elevato rispetto all’importo pignorabile mensilmente, l’esecuzione potrebbe protrarsi anche per decenni, salvo eventi interruttivi.
La legge tuttavia non prevede un termine di scadenza per un pignoramento presso terzi: esso cessa solo quando il credito è estinto. Non operano, durante l’esecuzione in corso, termini di prescrizione (la notifica dell’atto di pignoramento e l’assegnazione interrompono la prescrizione del credito). Dunque il pignoramento dura fino al pagamento completo. Fanno eccezione eventuali sospensioni legali: ad esempio, durante l’emergenza COVID-19 il legislatore aveva disposto la sospensione di tutte le trattenute da pignoramento su stipendi e pensioni per un certo periodo (marzo 2020 – agosto 2021), congelando temporaneamente i pignoramenti in corso e rinviandone la ripresa al termine dell’emergenza. Attualmente, però, non vi sono sospensioni generalizzate in atto.
In caso di morte del debitore pensionato, il pignoramento sulla pensione si estingue automaticamente, poiché la pensione stessa cessa di essere erogata (eventuali rate maturate fino al decesso possono essere riscosse dagli eredi, ma a quel punto diventano crediti ereditari e un pignoramento in corso su di esse perderebbe efficacia). Il creditore potrà semmai rivalersi sull’eredità del debitore defunto, secondo le regole generali, ma il prelievo diretto sulla pensione termina con la vita del pensionato.
Riassumendo: quanto può durare un pignoramento della pensione? Potenzialmente per tutto il tempo necessario a saldare il debito. Non vi è una durata massima prestabilita, ma il meccanismo rateale implica tempistiche spesso lunghe. Per fare un esempio semplice, se da una pensione vengono prelevati € 100 al mese e il debito iniziale era € 6.000, occorreranno circa 60 mesi (5 anni) di trattenute per soddisfare il credito (senza contare interessi legali nel frattempo). Nel prosieguo vedremo come calcolare la quota pignorabile mensile e proporremo alcune simulazioni pratiche sulla durata in casi tipici.
Limiti di importo pignorabile: minimo vitale e percentuali
Il principio cardine che regola il pignoramento delle pensioni (e dei redditi da lavoro) è che al debitore deve sempre essere lasciata una somma sufficiente a vivere dignitosamente. La normativa italiana, attraverso l’art. 545 del Codice di procedura civile e successive modifiche, definisce precisi limiti di impignorabilità. Tali limiti si articolano su due livelli: una soglia fissa impignorabile (minimo vitale) e una percentuale massima pignorabile sulla parte eccedente tale soglia.
Minimo vitale: la soglia impignorabile della pensione
Come già accennato, il minimo vitale corrisponde al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale INPS, con un minimo di € 1.000 per legge. Questa è la parte di pensione assolutamente impignorabile: il pensionato deve poter disporre di almeno tale importo per le esigenze fondamentali. Pertanto:
- Se la pensione netta mensile del debitore (al netto delle ritenute fiscali) è pari o inferiore al minimo vitale (circa € 1.077 nel 2025), nessuna trattenuta per pignoramento è consentita. La pensione è integralmente impignorabile e qualunque atto esecutivo verrebbe limitato a zero.
- Solo la parte di pensione eccedente il minimo vitale può essere oggetto di pignoramento. Ad esempio, con pensione di € 1.500 mensili netti nel 2025, la quota eccedente il minimo vitale di € 1.077 è € 423; su questa sola base si calcola la porzione prelevabile (in percentuale, come vedremo).
Va sottolineato che il minimo vitale è uguale per tutti i tipi di debito (salvo l’eccezione dei crediti alimentari, di cui diremo a parte). Quindi sia che il creditore sia una banca, un privato, o l’Agenzia delle Entrate, la soglia di impignorabilità iniziale è identica: la pensione fino a ~€ 1.000 (o fino al doppio dell’assegno sociale, se maggiore) non si tocca.
Questa regola è frutto di un bilanciamento di interessi anche costituzionale: la Corte Costituzionale, in diverse sentenze (es. sent. n. 506/2002, n. 70/2016), ha affermato che la tutela del minimo vitale del pensionato è fondamentale, ma non può spingersi fino a rendere integralmente impignorabili i redditi da pensione, in quanto anche i creditori hanno diritto a soddisfarsi, seppur entro limiti equi. L’attuale soglia (rafforzata nel 2022) è ritenuta un ragionevole punto di equilibrio.
Esempio pratico – calcolo della quota eccedente minima: Poniamo che Tizio percepisca una pensione netta mensile di € 1.400 nel 2025. Il minimo vitale è € 1.077,36; la parte eccedente è € 1.400 – 1.077,36 = € 322,64. Questa cifra rappresenta il massimo “base pignorabile” da cui poi si calcola la percentuale dovuta al creditore. Se la pensione fosse € 1.000 esatti, essendo pari al minimo legale (2025), € 0 sarebbe la parte eccedente e il pignoramento non inciderebbe affatto.
Nota: Nel caso di pignoramento di pensione su conto corrente (quando il creditore agisce direttamente sulle somme depositate in banca; v. sezione dedicata), la legge prevede una diversa tutela per le somme già accreditate prima del pignoramento: in quel caso è impignorabile un importo fino a tre volte l’assegno sociale (anziché due) se le somme si riferiscono a pensioni pregresse. Approfondiremo più avanti questa distinzione.
Percentuale pignorabile sulla parte eccedente
Sulla porzione di pensione oltre il minimo vitale, si applicano dei limiti percentuali al pignoramento. Ciò significa che anche della parte eccedente non può essere prelevata l’intera differenza, ma solo una frazione (di regola, al massimo 1/5, ossia il 20%). Le percentuali variano in funzione della natura del credito per cui si procede:
- Crediti ordinari (banche, finanziarie, privati, fornitori, risarcimenti, ecc.): la quota pignorabile della pensione è al massimo il 20% (un quinto) dell’importo eccedente il minimo vitale. Questo limite del quinto è quello generale previsto dall’art. 545, 4º comma c.p.c. per “ogni altro credito” non alimentare. In pratica, per debiti civili comuni il creditore potrà ottenere al massimo il 20% della parte di pensione che supera la soglia impignorabile.
- Crediti fiscali (debiti verso il Fisco, cartelle esattoriali per tasse, imposte, contributi): si applicano percentuali ridotte a seconda dell’importo della pensione, secondo la tabella prevista dall’art. 72-ter DPR 602/1973 (oggi ribadita nel D.Lgs. 33/2025). Le fasce sono:
- Pensione fino a € 2.500 netti mensili: pignorabile 1/10 (10%) della parte eccedente il minimo.
- Pensione da € 2.500 a € 5.000: pignorabile 1/7 (~14,28%) della parte eccedente.
- Pensione oltre € 5.000: pignorabile 1/5 (20%) della parte eccedente.
- Crediti alimentari (assegni di mantenimento dovuti a familiari): questo tipo di crediti gode di una disciplina particolare. Se il pignoramento della pensione avviene per recuperare somme dovute a titolo di alimenti o mantenimento familiare (es. mantenimento dei figli minori, contributo al coniuge separato per il suo sostentamento, alimenti ad altri familiari ex art. 433 c.c.), il giudice può autorizzare un prelievo fino a 1/3 della pensione netta. In tal caso, l’ordinaria protezione del minimo vitale viene derogata: la legge infatti consente di pignorare la pensione anche se l’importo è inferiore al minimo, purché entro il limite di un terzo. Questo perché i crediti alimentari sono considerati di pari rango rispetto al bisogno di sopravvivenza del debitore: si bilancia il minimo vitale del debitore con il minimo vitale di chi deve ricevere gli alimenti. Ad esempio, se un pensionato deve versare alimenti al figlio e non paga, il figlio potrà pignorare fino a un terzo di quella pensione, anche se il pensionato ha solo € 900 mensili (in tal caso potrebbe essere prelevato € 300, lasciandogli € 600, quindi al di sotto di 1.000 euro). Naturalmente sarà il giudice a valutare caso per caso l’entità della trattenuta in base ai bisogni reciproci. Va precisato che non tutti gli assegni familiari rientrano strettamente nella categoria alimentare: la giurisprudenza, ad esempio, distingue l’assegno divorzile all’ex coniuge (che non ha natura alimentare pura, ma compensativa) dall’assegno di mantenimento per i figli (che invece sì ha natura alimentare). In pratica:
- Un creditore ex coniuge che pignora la pensione del debitore per somme di mantenimento arretrate, di regola rientra nei limiti ordinari (1/5), poiché l’assegno di mantenimento del coniuge è considerato diverso dagli alimenti in senso tecnico. Tuttavia, la legge speciale sul divorzio consente comunque il pignoramento diretto fino a 50% della pensione per il coniuge divorziato (art. 8 L. 898/1970), quindi è un caso sui generis.
- Un creditore figlio per alimenti può ottenere fino a 1/3 come alimenti veri e propri.
- Crediti verso lo Stato o enti pubblici per danno erariale: in giurisprudenza si applica il limite generale del 1/5 anche a questi crediti, salvo diverse disposizioni.
Riepilogo in tabella: Di seguito una tabella riassuntiva dei limiti di pignoramento mensile della pensione nel 2025, per tipologia di credito.
Importo mensile della pensione (netto) | Creditori Privati (debiti ordinari) | Agenzia Entrate-Riscossione (debiti fiscali)Art. 72-ter DPR 602/73 | Crediti Alimentari (assegni di mantenimento) |
---|---|---|---|
Fino a € 1.000 circa (soglia minima vitale) | Impignorabile al 100% (nessuna trattenuta) | Impignorabile al 100% (nessuna trattenuta) | Impignorabile, salvo decisione del giudice in sede di alimenti (in casi eccezionali può autorizzare un prelievo fino a 1/3 anche se la pensione è bassa) |
Oltre € 1.000 e fino a € 2.500 | Pignorabile al max 20% dell’importo eccedente il minimo vitale | Pignorabile al 10% dell’eccedenza (1/10) | Fino a 1/3 della pensione (33%) dell’importo totale, su autorizzazione del giudice (per crediti alimentari strettamente intesi) |
Oltre € 2.500 e fino a € 5.000 | Pignorabile al max 20% dell’eccedenza (sempre 1/5, invariato) | Pignorabile al 14,28% dell’eccedenza (1/7) | Fino a 1/3 della pensione, su autorizzazione del giudice (come sopra) |
Oltre € 5.000 | Pignorabile al max 20% dell’eccedenza (1/5) | Pignorabile al 20% dell’eccedenza (1/5) | Fino a 1/3 della pensione, su autorizzazione del giudice (come sopra) |
Legenda: la “parte eccedente” il minimo vitale si calcola sempre sottraendo € 1.000 (o il doppio dell’assegno sociale se maggiore) dalla pensione mensile netta. Le percentuali si applicano su tale differenza. Esempio di utilizzo della tabella: pensione netta € 3.000 → eccedenza ≈ € 1.923. Se il credito è bancario (privato), quota pignorabile = 20% di 1.923 = ~€ 384 mensili. Se il credito è dell’ADER (debito fiscale), poiché € 3.000 rientra tra 2.500 e 5.000, quota pignorabile = 14,28% di 1.923 ≈ € 274 mensili. Se concorre anche un credito alimentare, il giudice potrebbe autorizzare fino a 1/3 di € 3.000 = € 1.000, ma dovrà coordinarsi con l’altra trattenuta nel limite massimo del 50% totale (vedi infra).
Concorso di più pignoramenti e limite massimo cumulativo
È possibile che sulla stessa pensione insistano più pignoramenti contemporaneamente, avviati da creditori diversi (ad esempio un finanziamento non pagato e, separatamente, un debito fiscale, oppure più debiti con differenti banche). La legge prevede criteri per il concorso di più trattenute:
- Se coesistono pignoramenti per crediti di diversa natura (ad esempio uno per crediti ordinari e uno per crediti alimentari, oppure uno fiscale e uno ordinario), in nessun caso la somma delle trattenute può superare il 50% dell’importo della pensione. Questo è un tetto massimo assoluto: al pensionato deve comunque rimanere almeno metà della pensione.
- In particolare, l’art. 545, 5º comma c.p.c. stabilisce che, se tra i crediti concorrenti vi sono crediti alimentari, la somma prelevata non può eccedere la metà della retribuzione/pensione. Ciò significa ad esempio: se un pensionato subisce sia un pignoramento per mantenimento figli (1/3) sia uno per un debito bancario (1/5), teoricamente la somma sarebbe ≈ 53% della pensione; ebbene, dovrà essere ridotta al 50% massimo. Sarà il giudice a bilanciare eventualmente le percentuali, ad esempio riducendo leggermente uno dei due prelievi.
- Se invece i crediti concorrenti sono tutti non alimentari (es. più finanziarie, oppure finanziaria + Fisco), la situazione è più articolata. La legge prevede che nel concorso di crediti diversi da quelli alimentari il limite di capienza resta pari a 1/5. Ciò viene interpretato nel senso che non è possibile prelevare più di un quinto alla volta per più debiti ordinari insieme. In pratica, i creditori ordinari devono condividere quella stessa aliquota del 20%: se più banche agiscono, il primo pignoramento bloccato in ordine di tempo occupa l’intero quinto disponibile; gli altri creditori dovranno attendere (oppure, se intervengono nel medesimo processo esecutivo, si ripartiranno pro quota quello stesso quinto). Diverso è il caso di concorso tra Fisco e creditori ordinari: qui intervengono norme speciali; in genere l’INPS applicherà ad esempio il 10% per il Fisco e il 20% per il privato, arrivando ad un totale del 30% (ben entro il tetto del 50%). Non c’è un’esplicita norma sul concorso tra pignoramento ex art. 72-ter DPR 602/73 e ordinario, ma in prassi si tende a non superare comunque il 20% + 20% = 40% complessivo. Tale scenario può verificarsi perché il pignoramento fiscale è attivato senza coinvolgere il giudice ordinario e potrebbe giungere quando già un quinto è prelevato da altro creditore: l’INPS nel dare esecuzione dovrà rispettare sia il vincolo del 10-20% per il Fisco sia il limite totale del 50%. Dunque, un caso massimo potrebbe essere: 1/5 (20%) alla banca + 1/5 (20%) al Fisco = 40% totale, ammissibile; oppure 1/3 (33%) per alimenti + 1/5 (20%) per altro = 53%, che va ridotto al 50%. In ogni caso, almeno metà pensione resta intoccabile.
Infine, va ricordato che, qualora esistano già cessioni del quinto volontarie sulla pensione (ad esempio il pensionato aveva in corso un prestito con cessione del quinto prima del pignoramento), queste non rientrano formalmente nel conteggio dei pignoramenti giudiziari. Tuttavia, poiché incidono sul netto percepito, i giudici tendono a tener conto della situazione complessiva del pensionato. La somma di una cessione volontaria (20%) e un pignoramento giudiziario (20%) porterebbe comunque il pensionato a perdere il 40% dell’assegno; se si aggiungesse un alimentare (fino a 33%), si sforerebbe di gran lunga il 50%. In tali casi complessi, di solito il giudice dell’esecuzione (per i crediti ordinari) dispone adeguamenti per non oltrepassare la soglia del 50% di decurtazione totale. Ad esempio, può sospendere un ulteriore pignoramento finché non termina la cessione in corso, ecc. Si tratta comunque di situazioni da valutare caso per caso.
Modalità di pignoramento: INPS alla fonte vs. conto corrente
Il pignoramento della pensione può avvenire con due modalità principali:
- Pignoramento presso l’ente erogatore (INPS): è la forma più comune. L’atto di pignoramento viene notificato direttamente all’INPS, che è tenuto a trattenere la quota pignorata dalla pensione prima che questa venga pagata al debitore, versandola poi al creditore. In pratica il pensionato riceve già la pensione diminuita della parte pignorata. Questo meccanismo garantisce al creditore continuità nei pagamenti e si applica sia ai pignoramenti ordinari in sede civile, sia ai pignoramenti esattoriali disposti dall’Agente della Riscossione. Tecnicamente, una volta emessa l’ordinanza del giudice (o l’ordine diretto di ADER), l’INPS provvede ogni mese fino a nuova comunicazione. Il debitore viene informato e può verificare sul cedolino pensione l’ammontare trattenuto.
- Pignoramento presso il conto corrente bancario: in alcuni casi il creditore può scegliere di pignorare le somme dovute quando queste sono già state accreditate sul conto corrente del pensionato. Si tratta di un pignoramento del conto in banca o posta intestato al debitore, che può colpire anche i saldi derivanti da pensione. Questa modalità segue le regole generali del pignoramento di conti (art. 543 c.p.c. verso la banca). Tuttavia, la legge tutela in parte il debitore per i ratei di pensione già depositati sul conto prima del pignoramento. In particolare, se il pignoramento del conto viene eseguito e sul conto vi sono somme riconducibili a pensioni accreditate antecedentemente all’atto, tali somme sono impignorabili fino all’importo di tre mensilità di pensione sociale (cioè tre volte l’assegno sociale). In cifra, con assegno sociale ~€ 538, ciò equivale a circa € 1.615 nel 2025: fino a tale importo, il saldo è insensibile. Solo l’eventuale eccedenza può essere sequestrata (sempre nei limiti del quinto). Ad esempio, se sul conto ci sono € 2.000 frutto di arretrati di pensione e risparmi, il primo pignoramento potrà prendere il 20% di (2.000–1.603) ≈ € 79. Al contrario, per gli accrediti successivi (le pensioni che arriveranno sul conto dopo la notifica del pignoramento), si applicano le stesse regole del pignoramento alla fonte. In pratica la banca, ricevuto l’atto, blocca le somme esistenti entro i limiti suddetti, ma non può toccare quelle future; se il creditore vuole agganciare anche le pensioni future deve pignorare l’INPS. Oppure, come chiarito dalla normativa, ogni nuovo accredito pensionistico dopo il pignoramento sul conto mantiene la sua natura di credito da pensione non ancora nella disponibilità del debitore, quindi sarebbe necessaria un’ulteriore azione. Pertanto di norma il creditore che conosce la fonte preferisce sempre pignorare presso INPS, più efficace; il pignoramento sul conto è utilizzato spesso quando non si conosce la provenienza delle somme o quando si vuole colpire risparmi già accumulati sul conto stesso.
In entrambi i casi, per il pensionato debitore è fondamentale sapere che:
- Le somme pignorate devono rispettare i limiti di legge visti sopra, altrimenti il pignoramento è inefficace per la parte eccedente (art. 545 ult. co. c.p.c.). Ad esempio, se per errore venisse trattenuto più di 1/5, il pensionato può far valere l’inefficacia di quel prelievo e ottenerne la restituzione. Il controllo sui limiti viene di solito fatto dall’INPS stesso, ma è bene vigilare.
- Se il pignoramento presso terzi (INPS) è già attivo, l’ultima mensilità accreditata sul conto corrente non può essere nuovamente pignorata sul conto. La legge infatti impedisce la doppia sottrazione: l’ultimo rateo di pensione versato rimane libero sul conto, a meno che il creditore non avesse pignorato anche il conto prima che quel rateo vi affluisse. Ciò serve a evitare che il debitore si trovi privato due volte della stessa mensilità.
- In caso di errore o abuso (ad esempio pignoramento di una pensione di invalidità impignorabile, oppure prelievo oltre il dovuto, o omessa applicazione del minimo vitale), il debitore può e deve reagire prontamente con gli strumenti di opposizione descritti nel prossimo capitolo.
Strumenti di opposizione e tutele del debitore
La legge mette a disposizione del debitore una serie di strumenti di tutela per reagire contro pignoramenti illegittimi, irregolari o eccessivamente gravosi. Un approccio orientato alla tutela del debitore richiede di conoscere tali strumenti e saperli attivare quando necessario. Di seguito analizziamo le principali forme di opposizione e le misure difensive, enfatizzando il punto di vista del pensionato debitore.
Opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi
Se il pensionato ritiene che il pignoramento sia ingiusto o viziato, può presentare:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): contestando il diritto del creditore a procedere. Questo ricorso è ammissibile ad esempio se il debitore sostiene di non dover pagare quanto richiesto (perché ha già pagato, o la somma non è dovuta, o il titolo è invalido). Nel caso delle pensioni, un classico esempio è l’opposizione perché la somma è impignorabile ab origine (es: un creditore tenta di pignorare una pensione assistenziale come l’assegno sociale, o una pensione sotto la soglia minima – situazioni in cui la legge “vieta” proprio l’esecuzione). Oppure si può opporre se manca un titolo esecutivo valido. L’opposizione all’esecuzione si propone davanti al giudice competente (generalmente lo stesso ufficio giudiziario dell’esecuzione) e può condurre alla sospensione e alla successiva estinzione del pignoramento se accolta.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): contestando vizi formali o procedurali del pignoramento. Ad esempio, notifiche irregolari, difetti nell’atto di pignoramento, mancato rispetto dei termini, ecc. In materia di pignoramento presso terzi, un esempio è l’opposizione se l’atto non conteneva le indicazioni obbligatorie di legge o se è stato notificato in maniera invalida. Questa opposizione va proposta entro termini brevi (5 o 20 giorni dal momento in cui si è avuta conoscenza dell’atto, a seconda dei casi), sempre al giudice dell’esecuzione.
Entrambe le opposizioni vanno fatte con l’assistenza di un legale e si introducono con ricorso o atto di citazione a seconda del momento (prima o dopo l’assegnazione). È spesso possibile chiedere in tale sede la sospensione immediata del pignoramento (art. 624 c.p.c.) se vi sono motivi gravi e fondati. Ad esempio, un pensionato può chiedere la sospensione se dimostra che la pensione pignorata era in realtà impignorabile (sotto soglia, o natura assistenziale): il giudice, verificato sommariamente ciò, può bloccare subito le trattenute.
Inoltre, esiste la possibilità di far valere l’inefficacia parziale del pignoramento per violazione dei limiti ex art. 545 c.p.c.: come detto, la norma prevede espressamente che il pignoramento eseguito oltre i limiti di legge è inefficace per l’eccedenza. Ciò significa che, anche senza un formale giudizio, il debitore può segnalare (magari tramite il proprio avvocato all’INPS o al giudice) che è stata trattenuta una quota troppo alta o che non è stato rispettato il minimo, ottenendo la rettifica. Se necessario, può presentare apposita istanza al giudice dell’esecuzione perché dichiari l’inefficacia di quella parte e ordini la restituzione al pensionato delle somme indebitamente sottratte.
Sospensione e riduzione del pignoramento per gravi motivi
Il sistema esecutivo italiano tende ad essere rigido una volta iniziata la procedura, ma il debitore in condizioni di grave difficoltà economica può invocare alcune tutele particolari. In via generale, fuori dai casi di opposizione (vizi o inesistenza del diritto di procedere), non è semplice ottenere una riduzione della quota pignorata: la legge già presume che 1/5 o le altre percentuali siano eque. Tuttavia, giurisprudenza recente ha aperto spiragli. Ad esempio, è stato riconosciuto che il giudice possa valutare, in casi eccezionali, di ridurre temporaneamente il prelievo per evitare un indebitamento irreversibile del debitore o situazioni di indigenza assoluta. Questo spesso avviene in combinazione con procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (vedi oltre): se il debitore attiva un piano del consumatore o un accordo, il tribunale può sospendere le azioni esecutive in corso, compresi i pignoramenti, per favorire la ristrutturazione dei debiti.
La riduzione della quota pignorata può anche essere frutto di un accordo transattivo col creditore: ad esempio, il debitore può negoziare privatamente con il creditore una diminuzione della rata pignorata (magari offrendo un pagamento parziale in unica soluzione). Se il creditore acconsente, si può riferire all’INPS di ridurre o cessare il pignoramento. Per formalizzare ciò, spesso serve presentare al giudice dell’esecuzione un’istanza congiunta di estinzione parziale o totale del pignoramento in base all’accordo raggiunto.
Un’altra possibilità prevista dal codice è la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): il debitore può chiedere di sostituire i beni pignorati (nel nostro caso la quota di pensione futura) con una somma di denaro immediata pari all’importo dovuto più spese. In pratica significa pagare il debito (anche a rate cauzionate da un deposito immediato del 20%). È però uno strumento poco usato nelle pensioni, perché presuppone che il debitore abbia delle risorse per saldare o garantire gran parte del debito in tempi brevi, il che spesso non è.
Rateizzazione delle cartelle esattoriali e effetti sul pignoramento
Per i debiti fiscali, esistono tutele specifiche legate alla rateizzazione delle cartelle presso Agenzia Entrate-Riscossione. Se il pensionato debitore, dopo aver ricevuto la notifica della cartella o anche dopo l’avvio di un pignoramento, chiede e ottiene dall’ADER una dilazione del pagamento (piano di rate), questo di norma comporta la sospensione delle azioni esecutive in corso. In particolare, secondo la normativa vigente sulla riscossione, la concessione di una rateazione prima che il pignoramento sia eseguito impedisce di procedere al pignoramento stesso. Se invece il pignoramento è già stato notificato all’INPS, l’ADER in teoria potrebbe mantenerlo finché non riceve regolarmente le rate, ma nella prassi, su istanza del debitore e con l’accordo dell’ADER, il giudice può sospendere l’esecuzione mentre il piano di rateazione è rispettato. È dunque interesse del pensionato con debiti esattoriali muoversi per tempo: attivare un piano di rate presso l’ADER (se sostenibile) può evitare il pignoramento della pensione o congelarne gli effetti. Attenzione però: basta saltare alcune rate perché l’ADER revochi il beneficio e riprenda il pignoramento.
Un cenno va fatto anche alle procedure di definizione agevolata (rottamazione) e saldo e stralcio offerte periodicamente dalla legge: qualora il debitore aderisca a queste misure e versi le somme concordate, i pignoramenti fiscali devono essere revocati. Durante il periodo tra adesione e pagamento, le procedure esecutive sono sospese ex lege. Ad esempio, chi ha aderito alla rottamazione-quater entro il 2023 ha diritto a non subire azioni esecutive (compresi pignoramenti su pensione) per i debiti rottamati, in attesa delle scadenze di pagamento 2023-2024.
Procedure da sovraindebitamento ed esdebitazione del debitore
Quando un pensionato si trova oppresso da più debiti e pignoramenti tali da comprometterne la sopravvivenza economica, è possibile valutare il ricorso alle procedure previste dalla Legge 3/2012 (ora trasfuse nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019). Tali procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento consentono, al debitore civile non fallibile, di proporre ai creditori un piano di rientro o ottenere, in casi estremi, l’esdebitazione (liberazione dai debiti residuali).
In particolare, il Piano del consumatore o il Concordato minore possono prevedere la ristrutturazione dei debiti con pagamento parziale e proporzionale agli introiti del debitore. Durante l’omologazione del piano, il giudice può sospendere i pignoramenti in corso. Una volta approvato, il piano vincola i creditori: ad esempio, potrebbe stabilire che della pensione del debitore venga pignorato solo il 10% invece che il 20%, o addirittura nulla, prevedendo un saldo finale diverso (magari con il ricavato della vendita di un immobile, ecc.). I creditori sono obbligati a rispettare tali condizioni se la procedura va a buon fine.
Per i casi disperati esiste l’esdebitazione dell’incapiente (introdotta nel 2021 nel Codice della crisi): un soggetto persona fisica meritevole che non abbia alcuna capacità di pagare i crediti può chiedere al tribunale la cancellazione di tutti i suoi debiti (one-shot nella vita). Questa misura estrema comporta la chiusura di ogni pignoramento e la liberazione integrale dal debito residuo. Ovviamente richiede specifici requisiti e viene concessa con parsimonia, ma rappresenta un’ancora di salvezza in casi di sovraindebitamento non risolvibile altrimenti.
In sintesi, il pensionato indebitato ha a disposizione varie vie legali per mitigare o risolvere la situazione:
- Contestare il pignoramento se illegittimo (opposizioni).
- Chiedere rateizzazioni o accordi per alleggerire il peso.
- Usufruire di sospensioni legali (per es. rottamazione).
- Riorganizzare i debiti con procedure giudiziali di esdebitazione.
Tutte queste soluzioni vanno valutate con l’aiuto di professionisti (avvocati, gestori della crisi) per capire quale sia praticabile e conveniente nel caso concreto. L’importante è non rassegnarsi alla trattenuta, ma informarsi sui propri diritti: molti pensionati non sanno, ad esempio, di poter difendere la quota impignorabile o di poter chiedere soluzioni alternative. Una piena consapevolezza normativa consente al debitore di evitare prelievi eccessivi e conservare la propria dignità economica, che è poi la finalità ultima delle tutele previste dalla legge.
Simulazioni pratiche di pignoramento della pensione
Per comprendere meglio quanto dura e come si svolge in concreto un pignoramento della pensione, proponiamo alcune simulazioni pratiche, cioè esempi realistici con numeri. Questi casi di studio illustrano l’applicazione delle percentuali e dei limiti, nonché la durata approssimativa del prelievo fino all’estinzione del debito. Si consideri che gli esempi non includono gli interessi legali e le spese che spesso gravano sui debiti (i quali allungano i tempi), ma servono a dare un’idea di massima.
Caso 1: Pensione modesta e creditore unico (debito ordinario)
- Scenario: Mario percepisce una pensione netta mensile di € 1.200. Ha un debito di € 5.000 con una finanziaria (credito ordinario non pagato). La finanziaria ottiene decreto ingiuntivo e procede a pignorare la pensione di Mario.
- Calcolo quota pignorabile: Il minimo vitale (2025) è ~€ 1.077, quindi la parte eccedente la pensione di Mario è € 1.200 – 1.077 = € 123. Essendo un creditore privato, può pignorare al massimo 1/5 di € 123, cioè € 24,60 al mese. In pratica, all’INPS verrà ordinato di trattenere circa € 25 ogni mese dalla pensione di Mario.
- Durata: Per recuperare € 5.000 attraverso rate mensili di € 24,60, occorreranno circa 203 mesi, ossia 16-17 anni! (203 × 24,60 ≈ 5.000). Questo valore può sembrare sorprendente, ma con pensioni basse e debiti significativi la durata diventa molto lunga. In realtà Mario probabilmente cercherà un accordo, poiché il creditore stesso preferirebbe chiudere prima: ad esempio, potrebbe offrire € 3.000 in un’unica soluzione per saldare, oppure la finanziaria potrebbe cedere il credito a un recupero crediti che transa per una cifra minore. Se invece tutto prosegue regolarmente, Mario vedrà € 25 in meno sul cedolino per quasi 17 anni. Va detto che, se Mario in futuro ottenesse un aumento consistente della pensione (es. per scatti o altri redditi), la quota pignorabile aumenterebbe (restando sempre 1/5 dell’eccedenza rispetto al nuovo minimo vitale). Viceversa, se l’assegno sociale sale e la sua pensione rientrasse sotto 2×assegno sociale, il pignoramento cesserebbe.
Caso 2: Pensione elevata con pignoramenti multipli (ordinario + fiscale)
- Scenario: Lucia ha una pensione netta di € 3.500 al mese. Ha due debiti: (a) un mutuo impagato con la banca residuo € 30.000; (b) cartelle esattoriali per € 20.000 di tasse non versate. La banca avvia pignoramento e anche l’ADER procede.
- Calcolo quota pignorabile: Per € 3.500 di pensione, minimo vitale € 1.077 → eccedenza € 2.423.
- Per il debito bancario (credito ordinario) la quota è 1/5 di 2.423 = € 484,60 mensili.
- Per il debito fiscale, dato che € 3.500 è tra 2.500 e 5.000, la quota è 1/7 di 2.423 ≈ € 346,14 mensili.
- Sommate, le trattenute sarebbero € 830,74, che su € 3.500 corrispondono al 23,7% della pensione. Questo è inferiore al limite del 50%, quindi teoricamente sostenibile. Tuttavia, qui sorge un problema: due pignoramenti di natura diversa possono coesistere ma, come spiegato, devono rispettare le regole del concorso. In assenza di crediti alimentari, il 20% ordinario e il 14,28% fiscale possono sommarsi (diverso tribunale e procedura). Quindi Lucia potrebbe subire entrambe le trattenute per un totale di circa € 830 al mese (INPS darà priorità al prelievo fiscale come da legge speciale e continuerà col 1/5 per quello ordinario, monitorando il 50%).
- Durata:
- Il debito fiscale di 20.000 con rata € 346 richiederà ~58 mesi (circa 5 anni) per essere estinto, sempre che nel frattempo non maturino altri interessi.
- Il debito bancario di 30.000 con rata € 484 richiederà ~62 mesi (~5 anni e 2 mesi).
Entrambi dunque si estinguerebbero in poco più di 5 anni. In realtà, essendo partiti insieme, dopo circa 5 anni Lucia avrà finito di pagare entrambi (il fiscale finirà qualche mese prima, poi rimarrà solo la banca eventualmente che potrebbe chiedere di elevare la trattenuta a 20% pieno sull’eccedenza, ma tanto era già così).
- Considerazioni: Lucia subisce una decurtazione di quasi un quarto della pensione, tutto sommato sostenibile visto l’importo elevato. Resterà con circa € 2.670 netti al mese (3.500–830). Se però fosse intervenuto anche un credito alimentare (es. mantenimento figlio 1/3 di 3.500 = ~1.167), non sarebbe stato possibile prelevare 1.167+830 = 1.997 (57%). Si sarebbe dovuto ridurre qualcosa per rientrare nel 50%. Verosimilmente, il giudice avrebbe limitato la somma totale a € 1.750 (il 50%) distribuendo priorità all’alimentare. Questo per dire che con pensioni alte è possibile arrivare al cap del 50% in situazioni estreme.
Caso 3: Pignoramento della pensione accreditata in conto corrente
- Scenario: Antonio percepisce una pensione di € 1.600 al mese, accreditata sul suo conto corrente postale. Ha un unico debito di € 10.000 con un privato. Il creditore però, non sapendo dell’INPS, pignora direttamente il conto corrente di Antonio su cui giacciono € 5.000 di saldo (risparmi accumulati in alcuni mesi).
- Effetti immediati: Alla data del pignoramento, sul conto ci sono € 5.000. Di questi, per legge, l’importo equivalente a tre volte l’assegno sociale è impignorabile: 3 × 538,68 ≈ € 1.616 resta libero. Il resto, 5.000–1.616 = € 3.384, è potenzialmente pignorabile. Tuttavia, non l’intera eccedenza viene assegnata al creditore, ma solo la quota nei limiti del quinto: Antonio ha una pensione di 1.600, eccedenza sul minimo vitale (1.077) = 523, dunque 1/5 di 523 = € 104,6 è la quota mensile. Al momento del pignoramento sul conto, il giudice disporrà il trasferimento di € 104,60 (corrispondente ad una mensilità pignorabile) dal conto al creditore. I restanti soldi sul conto dovrebbero essere liberati poiché frutto di pensioni pregresse oltre l’ultima mensilità intoccabile.
- Successivi accrediti: Dopo il pignoramento, Antonio continua a ricevere la pensione di € 1.600 ogni mese sul conto. Poiché il creditore ha colpito solo il conto, tecnicamente l’atto si esaurisce nei limiti di quanto c’era. Per le mensilità successive, Antonio potrebbe prelevare subito la pensione appena arriva per evitare accumuli pignorabili. In pratica, però, il creditore, visto l’esito magro sul conto, quasi certamente ripresenterà il pignoramento oppure ne avvierà uno presso l’INPS. Se il creditore notifica un nuovo atto direttamente all’INPS, a quel punto dall’origine verrà prelevato 1/5 di (1600–1077) = € 104 ogni mese.
- Durata: Supponendo che dopo il primo blitz sul conto (dove ha ricevuto 104 euro) il creditore attivi il pignoramento presso INPS per il residuo, Antonio avrà € 104 in meno al mese. Per soddisfare € 9.895 rimanenti ci vorranno circa 95 mesi, cioè quasi 8 anni. Se invece il creditore insistesse solo sul conto senza pignorare l’INPS, ogni volta dovrebbe notificare un nuovo atto e potrebbe prendere solo quanto trova al momento (scenario inefficiente). Quindi normalmente si passa all’INPS per le trattenute future.
- Morale: Il pignoramento sul conto corrente tutela parzialmente il debitore per le somme pregresse (3×assegno sociale impignorabili), ma non rappresenta una protezione definitiva: il creditore può comunque aggredire le stesse somme rivolgendosi direttamente all’ente previdenziale. Il consiglio per i debitori è di sapere che l’ultima mensilità accreditata prima del pignoramento rimane libera, ma dopo la notifica conviene magari spostare i fondi altrove o tenerli sotto soglia protetta sul conto.
Caso 4: Pignoramento da parte dell’INPS per indebito
- Scenario: Carla percepisce una pensione di vecchiaia di € 800 mensili (importo sotto il minimo vitale). L’INPS scopre di averle erogato per 3 anni una maggiorazione sociale non spettante, accumulando un indebito di € 5.000. Le invia quindi una lettera chiedendo la restituzione di tale somma entro 30 giorni, con bollettino PagoPA. Carla non ha disponibilità per pagare.
- Azione INPS: Se Carla non paga né propone ricorso amministrativo fondato, l’INPS procederà a recupero diretto sul futuro: data la sua difficoltà economica, concederà verosimilmente una rateizzazione sulla pensione stessa. Anche se la pensione è € 800 (teoricamente impignorabile per creditori esterni), trattandosi dell’INPS, questo potrà trattenere comunque una porzione del suo assegno. Di solito l’INPS applica criteri analoghi al pignoramento: potrebbe trattenere ad esempio € 80 al mese (circa il 10% della pensione) per 62 mesi, finché i € 5.000 sono rientrati. In certi casi estremi, l’INPS ha anche il potere di sospendere temporaneamente la pensione per recuperare l’indebito – ma ciò succede se la pensione stessa è interamente non dovuta.
- Tutele di Carla: Carla, pur essendo di fronte al suo ente, può comunque opporre reclamo entro 90 giorni alla commissione INPS se ritiene l’indebito non dovuto, o chiedere una dilazione più lunga. Visto che € 800 è sotto il minimo vitale di € 1.000, Carla potrebbe sostenere che prelevare qualsiasi importo la mette in difficoltà, ma poiché l’indebito deriva da pensione, non c’è un divieto assoluto per l’INPS. L’INPS però deve lasciare a Carla quanto necessario a vivere, quindi presumibilmente non andrà oltre un quinto (€ 160). Una trattenuta di € 80 (10%) appare compatibile con la tutela minima. Carla potrebbe inoltre verificare se esistono cause di annullamento del debito (errore esclusivo dell’INPS non riconoscibile da lei, ecc.) per chiedere la non ripetibilità di quelle somme – in certi casi la legge esonera il pensionato dal restituire somme indebitamente percepite senza dolo dopo un certo tempo. Qualora Carla non riesca a sostenere nemmeno € 80 al mese (perché, ad esempio, paga affitto e farmaci e le rimarrebbe troppo poco), potrebbe tentare di rivolgersi al giudice del lavoro per far valutare l’applicazione rigorosa del minimo vitale anche contro l’INPS. La giurisprudenza qui non è univoca, ma la dignità della persona è sempre un argomento forte.
Caso 5: Pensione con cessione del quinto già in corso e nuovo pignoramento
- Scenario: Giovanni percepisce una pensione di € 1.800 netti. Ha una cessione volontaria del quinto attiva da tempo (rata di € 360) per un prestito personale. Successivamente subisce un pignoramento da parte di un altro creditore (debito residuo € 15.000).
- Situazione: Prima del pignoramento, Giovanni riceveva € 1.440 (perché € 360 li tratteneva la banca come cessione). Ai fini del calcolo del pignoramento, però, la base di € 1.800 è considerata per il minimo vitale ed eccedenza. Minimo € 1.077 → eccedenza € 723; 1/5 di € 723 = € 144,6 pignorabili al mese. L’INPS, su ordine del giudice, tratterrà € 144 dal suo assegno.
- Interazione con cessione: Giovanni ora vedrà trattenuti € 360 (cessione) + € 144 (pignoramento) = € 504 complessivi, ricevendo € 1.296. La trattenuta totale equivale al 28% della pensione. È entro il 50%, quindi formalmente regolare. Non c’è una norma che imponga di ridurre il pignoramento perché c’è già la cessione (quest’ultima è un atto volontario contrattuale). Tuttavia, se Giovanni facesse presente al giudice di essere rimasto con meno del minimo vitale effettivo, il giudice potrebbe dire che il minimo legale riguarda solo l’esecuzione forzata, mentre la cessione è scelta sua. Quindi non vi sono molti spazi per opposizione in questo caso. Giovanni dovrà continuare a pagare entrambi finché la cessione terminerà (supponiamo ancora 2 anni) e poi continuerà solo col pignoramento. Dopo i 2 anni, la sua pensione tornerà € 1.800, di cui € 144 pignorati e € 1.656 a lui.
- Durata: Con € 144 al mese, per € 15.000 di debito ci vorranno circa 104 mesi (8 anni e 8 mesi). Ma nei primi 2 anni la cessione non incide sui tempi del pignoramento (la quota pignorata resta 144, non aumenta dopo fine cessione perché sempre calcolata su eccedenza rispetto al minimo, che però su € 1.800 rimane € 723 finché il minimo vitale non cambia molto). Dunque complessivamente Giovanni pagherà 2 anni a € 144 (nel frattempo la cessione finisce) e poi ancora ~6 anni e 8 mesi a € 144 per finire il debito.
Questi esempi dimostrano che il pignoramento della pensione è spesso un percorso lungo e “rateale”. Dal punto di vista del pensionato debitore, ciò può essere positivo in quanto diluisce l’impatto nel tempo e gli lascia in mano la maggior parte del suo assegno; dal punto di vista del creditore, costituisce un recupero sicuro ma lento, spesso con il rischio che intervengano eventi (morte del debitore, condoni, ecc.) prima del completo incasso. È per questo che molti creditori preferiscono accordi transattivi, se possibile, piuttosto che attendere anni. In ogni caso il quadro normativo vincola le parti a queste misure per garantire che il pensionato non resti mai senza mezzi sufficienti per vivere, anche a costo di allungare la soddisfazione dei creditori.
Domande frequenti (FAQ) sul pignoramento della pensione
D: Una pensione minima può essere pignorata?
R: No, le pensioni di importo pari o inferiore al minimo vitale sono totalmente impignorabili. Attualmente (2025) la soglia minima è di circa € 1.077 mensili (corrispondenti al doppio dell’assegno sociale), con un minimo assoluto di € 1.000 previsto per legge. Ciò significa che una pensione fino a circa 1.077 € al mese non può subire alcun pignoramento. Ad esempio, una pensione di € 800 non è pignorabile da nessun creditore (fatta salva l’eccezione dei crediti alimentari, che possono intaccarla fino a 1/3 su decisione del giudice). Se la pensione supera tale soglia, solo la parte eccedente può essere attaccata.
D: Quanto dura un pignoramento sulla pensione? C’è un termine massimo?
R: Il pignoramento dura fino al pagamento integrale del debito per cui si procede. Non c’è un termine massimo prefissato: può durare mesi o molti anni, a seconda dell’importo del debito e della somma mensile che viene pignorata. Ogni mese viene trattenuta una certa quota della pensione e versata al creditore, finché il credito (capitale, interessi e spese) non è soddisfatto. Ad esempio, per un debito di 5.000 € e una trattenuta di 100 € al mese, occorreranno circa 50 mesi (oltre 4 anni). Il pignoramento si estingue prima solo se interviene una causa di chiusura: pagamento anticipato, accordo tra le parti, sospensione legale o morte del debitore (in tal caso la pensione cessa e l’eventuale residuo debito rientra nell’eredità).
D: Cosa succede se il pensionato muore durante il pignoramento?
R: Con la morte del debitore pensionato, la pensione cessa di essere erogata (salvo reversibilità a favore di superstiti, che però è un nuovo trattamento a nome di terzi). Il pignoramento sulla pensione quindi si interrompe definitivamente. Il creditore potrà eventualmente insinuarsi nel patrimonio ereditario del defunto per la parte di debito rimasta insoluta. Se esiste una pensione di reversibilità a coniuge o figli, questa è un nuovo reddito di soggetti diversi: un creditore del defunto non può automaticamente continuare il pignoramento su di essa, a meno che quel creditore abbia titolo anche contro l’erede beneficiario (situazione particolare, ad esempio debito ereditario accettato). In sostanza, il pignoramento muore con il pensionato debitore, e il creditore dovrà rivolgersi agli eredi secondo le regole successorie.
D: Quali pensioni sono impignorabili?
R: Sono impignorabili tutte le pensioni e gli assegni di natura assistenziale, cioè non basati su contributi ma su stato di bisogno. Esempi: assegno sociale, pensione (assegno) di invalidità civile, indennità di accompagnamento, pensioni per ciechi e sordomuti, pensioni di guerra. Queste prestazioni non possono essere pignorate da creditori privati né dal Fisco, in quanto la legge le destina al sostentamento primario del beneficiario. Attenzione: se però l’INPS deve recuperare un indebito su una prestazione assistenziale (es. somme non dovute di assegno sociale), può compensare riducendo quella stessa prestazione. Le pensioni di reversibilità, essendo derivate da contributi del dante causa, sono pignorabili secondo le regole ordinarie. Naturalmente tutte le pensioni sotto il minimo vitale, pur essendo previdenziali, di fatto non sono pignorabili (fino a 1.000/1.077 €).
D: L’INPS può pignorare la sua stessa pensione?
R: Tecnicamente l’INPS non pignora, ma trattiene in via amministrativa. Se il pensionato ha un debito verso l’INPS (ad esempio per contributi dovuti o pensioni indebite), l’ente può trattenere d’ufficio quote della pensione senza dover passare per il tribunale. Deve comunque rispettare certe soglie di tutela, ma non vale il meccanismo formale del pignoramento presso terzi (perché l’INPS è sia creditore che terzo erogatore). Quindi sì, l’INPS può “pignorare” la pensione erogata da sé medesimo in caso di crediti verso il pensionato, trattenendo ogni mese una porzione finché il suo credito è soddisfatto. L’INPS seguirà indicativamente il limite del quinto eccedente il minimo, salvo diversi accordi col pensionato (in alcuni casi, per debiti contributivi, può applicare fino a 1/10 se la pensione è bassa, analogamente al Fisco). Se si ritiene che l’INPS stia trattenendo troppo, il pensionato può fare ricorso interno o al giudice del lavoro per far verificare il rispetto dei limiti vitali.
D: L’Agenzia delle Entrate Riscossione può pignorare la pensione?
R: Sì, l’ADER (ex Equitalia) può pignorare la pensione per cartelle esattoriali non pagate. Ha però limiti specifici più favorevoli al pensionato per legge: può prendere al massimo 1/10, 1/7 o 1/5 a seconda dell’importo della pensione (rispettivamente: pensioni fino 2.500 €, fino 5.000 €, oltre 5.000 €). Inoltre vale sempre la regola del minimo vitale intoccabile di circa 1.000 €. L’ADER procede senza passare dal giudice, notificando un atto di pignoramento diretto all’INPS (art. 72-bis DPR 602/73); l’INPS in base a quello inizia le trattenute dovute. Se il debitore nel frattempo ha chiesto una rateazione o vi è una sospensione, l’atto può essere congelato. È importante sapere che l’ADER non può prendere più di quanto previsto in queste percentuali, quindi se ad esempio la pensione è € 1.500, l’ADER applicherà 1/10 sull’eccedenza oltre 1.077, cioè 1/10 di 423 ≈ 42 € al mese. Queste percentuali sono state introdotte nel 2013 proprio per legge, riconoscendo che il Fisco, pur avendo poteri ampi, deve rispettare fasce protette di reddito.
D: Posso evitare il pignoramento spostando la pensione su un altro conto o ritirandola in contanti?
R: Una volta che il pignoramento è attivo presso l’INPS, spostare il conto non serve: l’INPS trattiene alla fonte e paga il creditore prima di accreditare l’eventuale resto sul conto del pensionato. Se però si riceve notizia di un pignoramento in arrivo (ad es. un precetto), si potrebbe tentare di incassare la pensione in contanti (revocando l’accredito in banca) per non far trovare somme sul conto. Tuttavia, questo non impedisce al creditore di pignorare l’INPS direttamente. Ritirare subito i soldi dal conto può aiutare a proteggerli se il conto è pignorato senza passare dall’INPS, perché come detto sul conto possono bloccarti solo l’eccedenza oltre 3 volte l’assegno sociale di ciò che è già accreditato. Ma è una soluzione temporanea e scomoda. In sintesi: spostare la pensione altrove o in contanti può salvare i fondi presenti al momento se il pignoramento colpisce il conto, ma non ferma un pignoramento verso l’INPS. Inoltre, trasferimenti anomali di denaro potrebbero essere revocati se fatti allo scopo di sfuggire ai creditori (anche se nel caso di pensione spesa per vivere, di solito non c’è malafede). La via migliore è affrontare legalmente il problema, non tentare di nascondere la pensione.
D: Ho già una cessione del quinto sulla pensione; cosa succede se arriva un pignoramento?
R: La coesistenza è possibile, ma il pensionato subirà due decurtazioni distinte. La cessione volontaria (max 20%) e il pignoramento giudiziario (ulteriore max 20% su eccedenza) possono sommarsi, tenendo però presente che la somma delle trattenute non deve superare circa il 50% della pensione. Ad esempio, se hai il quinto ceduto e poi un quinto pignorato, perdi il 40% dell’assegno complessivo. La legge consente ciò, perché la cessione è un atto volontario che non conta nel limite del quinto per esecuzioni forzate. Quindi il creditore pignorante ottiene il suo quinto a prescindere dalla cessione in corso. Solo se insieme cessione+pignoramento superassero la metà (es. cessione 1/5 + alimenti 1/3 = ~53%) si dovrà correggere qualcosa per rientrare nel 50%. Nella pratica, l’INPS calcola prima le trattenute per cessioni volontarie poi aggiunge quelle per pignoramenti giudiziari. Il pensionato deve purtroppo sopportare entrambe. Non c’è facoltà di opporsi al pignoramento invocando l’esistenza di una cessione, se non appunto quando la somma va oltre la metà e quindi solo per limitare l’eccesso. Si consideri infine che, terminata la cessione (che ha un numero fissato di rate, es. 120 mesi), il pignoramento rimane e il pensionato tornerà a disporre della parte prima ceduta.
D: Cosa posso fare se ricevo un atto di pignoramento della pensione?
R: Prima di tutto, verificare che l’atto sia legittimo: controllare che il creditore abbia un titolo esecutivo valido (sentenza, decreto ingiuntivo definitivo, cartella ecc.), che le somme richieste siano corrette e che la pensione rientri tra quelle pignorabili. Se noti irregolarità o se ritieni di avere già pagato o che il credito non sia dovuto, valuta con un legale un’opposizione all’esecuzione. Se invece tutto è regolare ma l’importo ti sembra erroneo (ad es. non hanno applicato il minimo vitale), puoi sollevare il problema all’udienza o con istanza al giudice. In alcuni casi urgenti si può chiedere al giudice di sospendere il pignoramento (ad esempio se ti stanno pignorando una pensione che in realtà è assegno sociale, quindi impignorabile: il giudice sospenderà subito). Se la procedura è corretta ma l’importo del debito è elevato, puoi contattare il creditore tramite il tuo avvocato per cercare un accordo transattivo: magari proponendo un pagamento parziale upfront o un piano concordato migliore della trattenuta minima, in cambio della rinuncia al pignoramento. Oppure, se si tratta del Fisco, puoi ancora chiedere una rateizzazione all’ADER: se concessa, bloccherà il pignoramento. Ricorda anche che hai diritto di mantenere il minimo vitale: se per errore le trattenute te lo negano, fai immediatamente valere questo diritto. Infine, informa sempre l’INPS di eventuali sviluppi (accordi, sospensioni) perché è l’INPS che materialmente deve adeguarsi. In breve: non ignorare l’atto, attivati subito per usare i rimedi previsti (opposizione, accordo, rateazione) e salvaguardare i tuoi mezzi di sostentamento.
D: È possibile bloccare o ridurre un pignoramento della pensione in corso?
R: Sì, vi sono alcuni modi. Puoi presentare un’opposizione in tribunale se emergono motivi validi (vedi sopra) e ottenere una sospensione in attesa della decisione. In caso di peggioramento delle tue condizioni economiche, puoi chiedere al creditore di rivedere l’importo (ad esempio offrendo un saldo e stralcio minore) – se acconsente, il giudice può modificare/estin¬guere il pignoramento. Se sei in grave sovraindebitamento, puoi accedere a procedure di composizione della crisi: quando il giudice ammette un piano del consumatore o simili, sospende tutte le azioni esecutive (quindi anche il pignoramento) e poi, se il piano è omologato, il pignoramento viene revocato in favore delle nuove modalità di pagamento concordate. Un’altra via è pagare il debito residuo in un’unica soluzione (magari con l’aiuto di familiari) e poi depositare istanza di conversione del pignoramento: il giudice, ricevuto il saldo, dichiara estinto il pignoramento. In caso di pignoramenti esattoriali, ottenere la rateazione dall’ADER sospende subito il pignoramento (finché paghi regolarmente le rate). Quindi, bloccare si può, ma serve un motivo giuridico o un intervento attivo (accordo o procedura concorsuale). Da solo, il pignoramento non si “riduce” spontaneamente, se non per la fine parziale di alcuni crediti (es. uno dei due creditori viene soddisfatto e cessa la sua trattenuta).
D: Se ho più creditori, possono pignorarmi la pensione contemporaneamente?
R: Possono provarci, ma come visto c’è un limite cumulativo: in nessun caso puoi subire trattenute oltre il 50% della pensione. Se i creditori sono tutti chirografari (ordinari), il primo che arriva si prende il quinto e gli altri devono attendere (o intervengono dividendosi quel quinto). Se c’è di mezzo il Fisco o crediti alimentari, possono sovrapporsi ma senza superare la metà dell’assegno. Esempio: se hai un pignoramento del 20% già in atto e ne arriva un altro di tipo diverso, potresti subire in totale, poniamo, il 35-40% di decurtazione. Ma un terzo pignoramento difficilmente partirà finché uno dei due in corso non termina, perché saturerebbe la capienza. Inoltre l’INPS e il giudice monitorano questa capienza. Quindi sì, ci possono essere più pignoramenti, ma il loro effetto combinato è limitato e comunque almeno metà pensione deve restare intoccabile. Se erroneamente venisse oltrepassato il 50%, quella parte è illegittima e recuperabile.
D: La pensione può essere pignorata per intero se il debito è verso l’ex coniuge o i figli?
R: No, per intero mai. Però i crediti alimentari (mantenimento dovuto per legge) consentono prelievi più alti del normale quinto: si può arrivare fino a un terzo della pensione per soddisfare tali obblighi. Inoltre, la legge sul divorzio permette al coniuge divorziato, se l’ex non paga l’assegno, di pignorare la pensione presso l’INPS fino al 50% della quota spettante all’ex coniuge (art. 8 L. 898/1970). Quindi, in circostanze di mancato versamento di assegni familiari, il giudice può disporre trattenute cospicue, ma comunque non oltre metà pensione. L’idea è che l’ex famiglia ha anch’essa diritto a quel minimo vitale. Dunque, sebbene i crediti di mantenimento abbiano un trattamento di favore, la pensione non viene mai interamente azzerata nemmeno in questi casi estremi: il debitore conserverà almeno il 50% (salvo forse casi di arretrati brevi in cui una mensilità isolata può essere presa al 50%, ma mai tutto).
D: Cosa succede se la mia pensione aumenta o diminuisce durante il pignoramento?
R: Se la pensione subisce variazioni (per rivalutazioni annuali, per integrazioni, per trattenute fiscali diverse, ecc.), la quota pignorata si adegua proporzionalmente. Il calcolo infatti è sempre fatto in percentuale sull’importo corrente eccedente il minimo vitale. Ad esempio, se la tua pensione sale perché scatta la tredicesima mensilità, su quel mese la trattenuta sarà maggiore (perché la tredicesima si somma e aumenta l’eccedenza). Se invece la pensione diminuisce (es. vengono meno delle integrazioni, oppure aumentano le detrazioni IRPEF), la quota pignorata può ridursi, purché non sotto il minimo vitale che resta intoccabile. In pratica l’INPS ogni mese ricalcola l’importo pignorabile in base alle regole, quindi il creditore risente di eventuali fluttuazioni. Da notare che, nel caso di tredicesima o arretrati di pensione erogati, anch’essi sono soggetti a pignoramento con gli stessi limiti (anzi, la tredicesima essendo pensione a tutti gli effetti viene calcolata come importo aggiuntivo pignorabile quell’anno). Se la pensione supera nuove soglie (es. oltrepassa 2.500 €, allora per il Fisco potrebbe salire dal decimo al settimo), l’INPS applicherà la nuova percentuale. Viceversa se scende sotto soglia, il Fisco dovrà ridurre la trattenuta al decimo. Insomma, è un meccanismo dinamico.
D: Il pignoramento incide sulla pensione lorda o netta?
R: Incide sull’importo netto mensile percepito dal pensionato, cioè dopo le ritenute fiscali e previdenziali di legge. L’art. 545 c.p.c. parla di somme “dovute a titolo di pensione” e tradizionalmente si intende al netto delle imposte. Quindi la base di calcolo per minimo vitale e percentuali è ciò che effettivamente il pensionato porterebbe a casa. Ad esempio, se la pensione lorda è 2.000 ma netta 1.600, è su 1.600 che si applicano minimo e quinto. Questo per non penalizzare il debitore sull’imponibile che poi comunque verrebbe decurtato delle tasse. In pratica l’INPS esegue prima le trattenute fiscali sulla pensione, poi applica il pignoramento sulla residua “pensione netta”. Le tabelle (2.500, 5.000 € ecc.) parlano infatti di importi netti. Conferma è che l’assegno sociale considerato è un importo netto esente imposte. Quindi il debitore non deve temere che gli venga pignorata anche la quota che finisce al fisco: quella è esclusa a monte.
D: Posso scegliere io la percentuale da farmi pignorare (magari più bassa del quinto)?
R: No, il debitore non ha questa facoltà unilaterale. La percentuale è stabilita dalla legge e applicata in automatico (o dal giudice o dall’ADER). Non è possibile dire “trattenetemi meno del quinto perché faccio fatica”: occorre un accordo col creditore o un provvedimento del giudice per circostanze eccezionali. Puoi però volontariamente pagare di più per accelerare la fine del pignoramento: ad esempio, puoi versare extra quote al creditore per ridurre il debito residuo. Ma pagare meno no, se non tramite le procedure già spiegate (opposizione, accordo, piano sovraindebitamento).
D: Il datore di lavoro può pignorarmi la pensione di ex dipendente per recuperare un danno?
R: Se sei un pensionato ex dipendente pubblico e l’Amministrazione vanta un credito (es. per danno erariale, sanzioni disciplinari, ecc.), esistono norme particolari (DPR 5/1/1950 n. 180) che consentono pignoramenti su stipendi e pensioni pubbliche con limiti simili: 1/5 per crediti comuni e 1/3 per crediti alimentari o da risarcimento allo Stato. Quindi sì, anche un ente pubblico tuo ex datore può agire sulla pensione se ha titolo. Ma deve comunque rispettare i limiti generali (minimo vitale incluso). Ad esempio, una pubblica amministrazione che deve recuperare somme indebitamente pagate a un ex dipendente pensionato di solito coinvolge l’INPS con un atto di pignoramento presso terzi e si applica sempre la solita regola del quinto. Alcune entrate di diritto pubblico sono addirittura impignorabili (tributi non pagati dall’ente al dipendente? Caso raro, ma in generale i crediti vantati dallo Stato come autorità pubblica non subiscono pignoramento di stipendi se non previsto). In sintesi, il datore pubblico può farsi valere come un creditore qualsiasi tramite il giudice, non può “decidersi da solo” (a differenza dell’INPS su pensione propria).
D: Un creditore può pignorare la pensione complementare (fondo pensione privato) o la buonuscita?
R: La pensione complementare (tipo fondo pensione integrativo) quando in erogazione è assimilabile a un reddito da pensione normale, quindi pignorabile con gli stessi limiti del quinto e minimo vitale, secondo diversi orientamenti. Alcuni sostengono sia impignorabile in quanto destinata a previdenza integrativa, ma la giurisprudenza tende a equipararla a reddito disponibile al debitore, dunque aggredibile parzialmente. Discorso diverso per il TFR o TFS (buonuscita): finché non è versato, il creditore può pignorare presso l’ente datore la buonuscita dovuta fino a 1/5 (o 1/3 se alimenti) prima che venga liquidata al dipendente/pensionato. Dopo che il TFR è stato accreditato sul conto del pensionato, se non c’è stato pignoramento prima, rientra nelle somme generiche sul conto e può essere pignorato come un saldo qualsiasi (quindi con soglia 3x assegno sociale impignorabile se è lì come deposito). In sintesi: la rendita pensionistica integrativa sì, tendenzialmente pignorabile a quinto; il TFR sì, ma con vincolo del quinto se bloccato prima dell’erogazione.
D: L’INPS mi ha trattenuto tutta la pensione di una mensilità per un indebito: è legale?
R: Di regola no, non è legale trattenere l’intero rateo mensile, poiché anche l’INPS deve rispettare il minimo vitale. Tuttavia, alcuni pensionati segnalano casi in cui, a fronte di un indebito, l’INPS abbia sospeso interamente l’assegno per uno o più mesi (magari con promessa di restituzione successiva a conguaglio). Questo può avvenire per motivi tecnici (es. pensione da ricalcolare da zero) ma non dovrebbe mai lasciare il pensionato senza nulla. Se accade, è opportuno rivolgersi subito a un patronato o avvocato e presentare ricorso urgente, perché è verosimile che ci sia un errore o un abuso. L’INPS a volte si appella al fatto che quell’importo non era dovuto affatto, quindi sospendendolo non “pignora” ma blocca un pagamento indebito. Però se la persona ci contava per vivere, si può far valere il principio che, finché non c’è certezza, non si può togliere tutto. In caso di indebito contestato, meglio subito attivarsi come detto (reclamo, richiesta rateazione minima) per evitare misure drastiche.
Riferimenti normativi e giurisprudenziali (aggiornati a giugno 2025)
- Codice di Procedura Civile, art. 543 – Pignoramento presso terzi: disciplina la forma dell’atto di pignoramento notificato al terzo (INPS) e al debitore.
- Codice di Procedura Civile, art. 545 – Crediti impignorabili e limiti di pignoramento: prevede le quote massime pignorabili di stipendi e pensioni (1/5 ordinario, 1/3 alimenti) e l’impignorabilità delle pensioni fino a 2×assegno sociale (min. € 1.000) introdotta nel 2022. Comma 7 aggiunto dal D.L. 115/2022 (Aiuti-bis) conv. L.142/2022.
- Codice di Procedura Civile, art. 546 – Obblighi del terzo pignorato: l’INPS come terzo deve accantonare le somme entro i limiti di legge e versarle una volta avuta l’ordinanza di assegnazione; pignoramenti in violazione dei limiti sono inefficaci.
- D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, art. 1-4: Limiti di pignorabilità per dipendenti pubblici e pensionati pubblici (richiama 1/5 ordinario, 1/3 alimenti, max 50%).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 72-bis: Pignoramento dei crediti verso terzi da parte dell’Agente della Riscossione (facoltà di pignorare direttamente stipendi/pensioni senza giudice).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 72-ter: Limiti di pignorabilità (esattoriale) – percentuali 1/10, 1/7, 1/5 per stipendi e pensioni, invariato fino al 2025. (N.B.: Articolo abrogato dal D.Lgs. 24/03/2025 n. 33 con effetto dal 1/1/2026, che però riproduce sostanzialmente gli stessi limiti in altro articolo del nuovo Testo Unico sulla riscossione).
- Legge 21 settembre 2022 n. 142, art. 21-bis (conversione D.L. 115/2022 “Aiuti-bis”): ha modificato l’art. 545 c.p.c. elevando il minimo vitale pensioni a 2×assegno sociale con minimo € 1.000. Efficacia dal 22/09/2022.
- Circolare INPS 3 aprile 2023 n. 38: istruzioni applicative su nuovo limite impignorabilità pensioni (minimo € 1.000, adeguamento a doppio assegno sociale).
- Legge 30 dicembre 2022 n. 197 (Legge di Bilancio 2023), commi 227-231: Stralcio automatico dei debiti fino € 1.000 (2000-15) e Definizione agevolata (“Rottamazione-quater”) – sospensione e successivo annullamento di cartelle entro tali limiti, con effetti di estinzione dei relativi pignoramenti.
- D.Lgs. 14/2019 e D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, art. 4: Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, sez. sovraindebitamento – introduce la procedura di esdebitazione del debitore incapiente (artt. 283-284 CCII), che consente di cancellare i debiti residuali delle persone fisiche meritevoli. Previste anche Piano del consumatore e Concordato minore con sospensione delle esecuzioni (art. 69 CCII).
- Legge 8 agosto 1995 n. 335, art. 13: Divieto di cessione e pignoramento delle pensioni di invalidità civile e assegno sociale (trattandosi di prestazioni assistenziali).
- Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 1044/2011: chiarisce che il minimo vitale va calcolato sull’importo netto della pensione e che l’ultimo rateo accreditato prima del pignoramento non è aggredibile con pignoramento presso terzi (a tutela delle esigenze immediate del debitore).
- Corte Costituzionale, sentenza n. 506/2002: ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sull’impignorabilità integrale delle pensioni, confermando la pignorabilità nei limiti di 1/5 e ritenendo tale limite un adeguato bilanciamento.
- Corte Costituzionale, sentenza n. 70/2016: ha ribadito la differenza di regime tra stipendi (pignorabili nella misura di 1/5) e pensioni (all’epoca, impignorabili sotto il minimo vitale di 1,5×assegno sociale) – intervenuta su ricorso relativo all’assegno sociale, confermando la legittimità del minimo vitale a tutela del pensionato.
- Tribunale di Napoli, decreto 14/4/2023 (esempio di giurisprudenza di merito): ha ridotto in via d’urgenza la percentuale di pignoramento di una pensione dal 20% al 10%, valutando le condizioni di estrema difficoltà del debitore (orientamento innovativo di equità, basato sull’art. 68 CCII relativo al sovraindebitamento). (Non massimata).
- Art. 8, legge 1° dicembre 1970 n. 898 (Divorzio): prevede che l’ex coniuge titolare di assegno divorzile non pagato possa ottenere il pagamento diretto da INPS, fino al 50% di quanto dovuto all’obbligato sulla pensione, cumulato con eventuali altri pignoramenti (ma sempre nei limiti della metà).
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Conclusione
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