Hai ricevuto un decreto ingiuntivo o un atto di pignoramento e ti stai chiedendo se il tuo compenso come amministratore di una SRL può essere pignorato? Ti domandi se ci sono limiti, tutele o differenze rispetto a uno stipendio da lavoratore dipendente?
Il compenso percepito da un amministratore di società non è un semplice stipendio, ma viene trattato in modo particolare dal punto di vista giuridico. E capire se e come può essere pignorato è essenziale per chi si trova in una situazione debitoria e vuole proteggere il proprio reddito o sapere cosa aspettarsi.
Il compenso da amministratore può essere pignorato?
Sì. Il compenso che l’amministratore di una SRL riceve per il suo incarico può essere oggetto di pignoramento da parte dei creditori. Tuttavia, non si applicano le stesse soglie di impignorabilità previste per i lavoratori dipendenti. Questo perché l’amministratore non è un dipendente, ma un soggetto con incarico fiduciario e autonomo.
Ci sono limiti al pignoramento?
Generalmente no. Poiché il compenso da amministratore non è assimilato a un salario, non si applicano i limiti di un quinto che tutelano i redditi da lavoro subordinato. In molti casi, quindi, il creditore può ottenere il pignoramento dell’intera somma, salvo che il giudice non stabilisca diversamente in base a specifiche circostanze (es. esigenze di sostentamento documentate).
Come avviene il pignoramento?
Il creditore può notificare un atto di pignoramento presso terzi alla società, indicando l’importo dovuto e chiedendo che il compenso venga versato direttamente a suo favore. La società, una volta ricevuto l’atto, è obbligata a trattenere e versare quanto indicato dal giudice, pena responsabilità diretta.
E se l’amministratore non riceve un compenso fisso?
In caso di compenso variabile o saltuario, il pignoramento può comunque riguardare le somme via via maturate, e sarà la società a doverle comunicare al giudice. Se invece non esiste alcun compenso deliberato e riconosciuto formalmente, il creditore potrebbe avere difficoltà a procedere.
Si può evitare il pignoramento?
In alcuni casi è possibile:
- negoziare con il creditore un piano di rientro;
- avviare una procedura di sovraindebitamento;
- dimostrare che la somma percepita ha natura alimentare, anche se non da lavoro subordinato.
Tuttavia, simulazioni o finti incarichi gratuiti non reggono davanti al giudice, che può comunque accertare il valore reale delle somme percepite.
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Il compenso dell’amministratore di SRL: norma e prassi
Il compenso spettante agli amministratori di società di capitali (S.r.l. e S.p.A.) è un credito verso la società che non deriva da rapporto di lavoro subordinato. Ciò comporta effetti rilevanti sul piano dell’esecutività dei crediti: la giurisprudenza di legittimità afferma in modo ormai consolidato che i compensi degli amministratori non ricadono nell’ambito dei salari o stipendi pignorabili con il limite del quinto. In altre parole, i limiti di pignorabilità dettati dall’art. 545 c.p.c. per i lavoratori dipendenti – modificato dal D.L. n.69/2013 in limiti progressivi (1/10, 1/7, 1/5 in base alla retribuzione) – non si applicano ai compensi di amministratore di S.r.l.. Le somme dovute alla società all’amministratore per le funzioni gestorie e di rappresentanza sono pertanto interamente aggredibili dal creditore.
Giuridicamente, l’amministratore di S.r.l. è legato alla società da un rapporto societario «sui generis», caratterizzato da immedesimazione organica tra la persona fisica e l’ente. Tale carattere esclude i requisiti del coordinamento tipici del rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato (art. 409 n.3 c.p.c.). Le Sezioni Unite della Cassazione hanno così stabilito che gli emolumenti spettanti agli amministratori non rientrano nella nozione di stipendio o salario di cui ai commi 4° e 8° dell’art. 545 c.p.c., e pertanto sono pignorabili per intero senza alcun limite quantitativo. Analoga conclusione è stata ribadita di recente anche in sede penale: la Cassazione ha riconosciuto che gli amministratori «non percepiscono reddito derivante da rapporto di subordinazione, anche se per altri aspetti tali redditi sono assimilati a quelli da lavoro dipendente», e perciò i limiti di impignorabilità non si applicano.
Riferimenti normativi
- Codice Civile: l’art. 2389 c.c. disciplina in generale i compensi degli amministratori in S.p.A. (applicato per analogia alle S.r.l.), rinviando alla delibera assembleare o allo statuto per la determinazione dell’ammontare. In S.r.l. l’attribuzione del compenso avviene secondo l’atto costitutivo o la delibera assembleare, senza regole di pubblicità analoghe a quelle delle S.p.A. (artt. 2462 e segg. c.c.). In ogni caso, il compenso dell’amministratore è un credito da prestazione di servizi (non un dividendo).
- Codice di procedura civile: gli artt. 543-550 c.p.c. disciplinano il pignoramento presso terzi civili. In particolare, l’art. 543 c.p.c. consente al creditore di aggredire crediti che il debitore vanta verso terzi (ad es. il compenso da società), previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione. L’art. 545 c.p.c. (nella versione vigente) stabilisce i limiti di pignorabilità dei stipendi e pensioni. Per i lavoratori dipendenti (e assimilati) l’espropriazione è limitata a frazioni progressive del reddito (fino a 1/5). Tali limiti non si estendono ai compensi degli amministratori di società di capitali. Inoltre, la riforma dell’esecuzione forzata (L. 132/2014) ha semplificato il rito presso terzi eliminando l’obbligo di comparizione del terzo davanti al giudice (la dichiarazione viene comunicata per scritto al creditore).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Testo unico delle disposizioni sulla riscossione delle imposte): all’art. 72‑bis è prevista la figura dell’ordine di pagamento diretto. Introdotto dal D.L. 203/2005, tale istituto consente all’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ex Equitalia) di ingiungere direttamente al terzo debitore (datore di lavoro, banca, committente, ecc.) di pagare una quota del credito vantato nei confronti del contribuente (originariamente soltanto gli stipendi, poi esteso a tutti i crediti). Le somme dovute a titolo di compenso amministratore sono crediti nei confronti della società: pertanto l’Agenzia può ordinare alla società stessa di versare direttamente l’importo dovuto al creditore esattore, secondo le regole dettate dal D.P.R. 602/1973 e successive modifiche.
- Tuir (D.P.R. 917/1986): ai fini IRPEF i compensi degli amministratori di società sono classificati tra i redditi assimilati al lavoro dipendente (art. 51, c.2, lett. a), quindi sottostanno alle norme di tassazione proprie dei redditi da lavoro. La società agisce da sostituto d’imposta, applicando sui compensi corrisposti la ritenuta d’acconto (attualmente pari al 23% sui compensi eccedenti una soglia minima mensile, v. art. 25 D.P.R. 600/1973 e art. 23 Tuir). L’amministratore include tali compensi nella propria dichiarazione dei redditi e, se necessario, integra l’IRPEF dovuta.
Pignoramento presso terzi (civile)
Quando un creditore (privato o pubblico) vuole agire sul compenso futuro o maturato di un amministratore di S.r.l., utilizza di solito il pignoramento presso terzi previsto dal codice di procedura civile (art. 543 c.p.c. e ss.). In pratica, il creditore ottiene dal giudice un provvedimento che ingiunge al terzo (la società, banca, ente pagatore) di dichiarare quanto dovuto all’amministratore e di versare la somma sequestrata direttamente al creditore. Grazie alle novità introdotte con la L. 132/2014, il terzo non è più convocato in udienza: egli redige una dichiarazione da inviare al creditore dentro 10 giorni dalla notifica.
Distinzione fondamentale: il pignoramento presso terzi aggredisce un credito del debitore (amministratore) verso un terzo (società, banca). Al contrario, il pignoramento diretto (art. 72-bis DPR 602/73) è attivato dall’Agenzia delle Entrate senza intervento preventivo del giudice e con termini di pagamento stabiliti dalla legge. Sotto il profilo sostanziale, però, entrambi possono interessare il compenso dell’amministratore quale credito nei confronti della società.
All’atto della notifica del pignoramento presso terzi, sorge per il terzo un doppio obbligo:
- dichiarare entro 10 giorni l’ammontare complessivo di tutti i crediti che il debitore (amministratore) vanta nei suoi confronti (art. 546 c.p.c.);
- versare al creditore esecutante la somma richiesta (ciò può avvenire fino alla concorrenza del credito pignorato), entro 60 giorni dalla notificazione (termine esteso dalle leggi speciali di riscossione).
Limiti del pignoramento presso terzi: per le retribuzioni da lavoro dipendente, come detto, esistono limiti percentuali (art. 545 c.p.c.). Nel caso del compenso di amministratore, la giurisprudenza esclude l’applicabilità di tali limiti: è pertanto possibile pignorare l’intero importo che la società deve corrispondere, al netto degli oneri sociali e fiscali. Va notato che, quando il compenso viene accreditato su conto corrente intestato all’amministratore, le norme (art. 545, comma 8) prevedono che l’ultimo accredito di stipendio rimanga inesigibile se confuso con il patrimonio del debitore. Tuttavia, poiché il compenso di amministratore non è assimilato a stipendio, in teoria tale tutela non si applica, e il terzo (banca) potrebbe dover soddisfare integralmente l’ordine di sequestro o pignoramento senza riservare nulla al debitore. Peraltro, l’ufficiale giudiziario verifica se vi siano somme oggetto di impignorabilità minima (pensione sociale, ecc.) e informa il giudice dell’esecuzione sui risultati della notificazione (art. 549 c.p.c.).
Pignoramento diretto (fiscale)
L’Agente della Riscossione può utilizzare il c.d. ordine di pagamento diretto ex art. 72-bis DPR 602/1973 per recuperare crediti tributari (cartelle esattoriali, ingiunzioni fiscali) a carico di contribuenti che sono amministratori. In questo caso l’Agenzia invia alla società (terzo debitoro del compenso) un atto con cui intima di versare direttamente a essa una quota delle somme dovute all’amministratore. Originariamente l’art. 72-bis era limitato alle retribuzioni (1/5 di ogni paga), ma successive modifiche ne hanno ampliato l’ambito a qualsiasi credito e allungato il termine di pagamento a 60 giorni.
In concreto, se l’amministratore è debitore tributario, la società che gli deve compensi dovrà comunicare all’Agenzia le somme dovute e trattenere (sul piano procedurale) l’importo destinato al pagamento del debito fiscale. La società resta comunque sostituto d’imposta sui compensi rimanenti e deve continuare ad assolvere agli obblighi fiscali (ritenuta IRPEF, contributi, CU) sui compensi effettivamente erogati. Se l’ammontare del compenso è inferiore al debito fiscale, sarà interamente assorbito dall’Agenzia; se superiore, la parte eccedente verrà versata all’amministratore.
Da un punto di vista operativo, l’ordine di pagamento diretto non prevede la garanzia di minimo vitale di cui al comma 8 dell’art. 545 c.p.c.: esso si applica indipendentemente dal fatto che il compenso sia da considerarsi “stipendio” ai fini civili. In pratica, l’Agenzia può pignorare su disposizione di legge fino al terzo del compenso (in passato 1/5, poi come per tutti i crediti 1/5, 1/10 ecc. a seconda della legge vigente sul soggetto pignorato).
Giurisprudenza recente
- Cass. SS.UU. 20 gennaio 2017, n. 1545 (Sez. Lavoro): ha statuito che gli amministratori di società per azioni non sono legati da rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato con la società; pertanto, ai loro compensi non si applicano i limiti di cui all’art. 545 c.p.c. (1/5). Le Sezioni Unite hanno affermato esplicitamente che i compensi dell’amministratore unico o del consigliere d’amministrazione di società di capitali sono «pignorabili senza i limiti previsti dal comma 4 dell’art. 545 c.p.c.».
- Cass. pen., Sez. Unite, 7 luglio 2022, n. 26252: conferma il principio anche in ambito penale. Nell’ambito di un sequestro preventivo per reati fiscali, la Corte ha ribadito che i compensi degli amministratori non sono redditi da lavoro subordinato e, quindi, il limite del quinto previsto per gli stipendi non si applica. Ciò significa che un amministratore con debiti tributari non può sottrarsi alla confisca o al pignoramento dei propri emolumenti richiamando le tutele degli stipendi.
- Cass. pen., Sez. 3, 16 aprile 2021, n. 14250: sentenza del procedimento penale di primo grado, conferma il precedente SU. La Corte ha respinto il ricorso contro il sequestro preventivo di somme riconducibili agli emolumenti da amministratore, osservando che tali somme «non possono essere considerati come stipendio» e richiamando il principio per cui i compensi percepiti dall’amministratore di società di capitali sono pignorabili per intero.
- Tribunali e T.A.R.: diverse pronunce di merito hanno applicato questi principi sia in sede civile che penale, con ordinanze di sequestro/pignoramento concesse integralmente sui compensi. Non sono emersi orientamenti contrari dopo il 2017. Va tuttavia segnalato che in passato (PRIMA della SS.UU. 2017) ci furono opinioni discordanti: alcuni ritenevano applicabile il comma 3 dell’art. 409 c.p.c. e quindi il limite del quinto, mentre altri già consideravano la natura «assimilata» di tali compensi.
Distinzioni e adempimenti fiscali
- Natura fiscale del compenso: Il compenso dell’amministratore è assoggettato ad IRPEF come reddito assimilato a lavoro dipendente (art. 51 TUIR, n.2 lett. a)). Ciò implica che la società, in qualità di sostituto d’imposta, deve operare sui pagamenti una ritenuta d’acconto (attualmente 23% oltre soglia minima), trattandolo analogamente a un stipendio (anche se giuridicamente non lo è).
- Dichiarazioni e ritenute: Al termine dell’anno la società rilascia all’amministratore la certificazione unica (CU), riepilogando i compensi corrisposti e le ritenute operate. L’amministratore deve includere tali compensi nella propria dichiarazione dei redditi (Modello Redditi PF o 730). Anche in caso di pignoramento diretto la società rimane obbligata a trattenere e versare le imposte spettanti sui compensi effettivamente erogati all’amministratore.
- Pignoramento e imposte: Se il compenso viene pignorato (presso terzi o con ordine di pagamento diretto), la tassazione IRPEF non viene meno: l’amministratore è comunque considerato percettore del reddito (tassato in capo a lui), mentre il creditore ottiene semplicemente la quota destinate al pagamento del debito. Qualora la ritenuta fosse stata già operata per intero sull’importo lordo del compenso, l’amministratore ha già versato per via delle ritenute fiscali gran parte dell’IRPEF; se invece una parte del compenso non arriva all’amministratore per effetto del pignoramento, questi ha comunque diritto a detrarre in dichiarazione le ritenute già versate sulla somma che gli sarebbe spettata. Il debitore ceduto (società) e l’amministratore devono semplicemente annotare correttamente il prelievo coattivo nelle scritture contabili e fiscali.
Domande frequenti (Q&A)
- D: Il compenso dell’amministratore unico di una S.r.l. è pignorabile come stipendio?
R: No. Cassazione 2017 e seguenti hanno chiarito che gli amministratori di società di capitali non percepiscono stipendio di lavoro dipendente: per essi non vale il limite del quinto. Il compenso deliberato assemblearmente a favore dell’amministratore può essere pignorato per intero. L’unica eccezione riguarda la parte di compenso che, in concreto, venga erogata come salario di un rapporto di lavoro subordinato distinto (ad es. se l’amministratore è anche dipendente con busta paga, quella parte di stipendio resta soggetta al tradizionale limite di pignorabilità). - D: Qual è la procedura di pignoramento da seguire?
R: Dipende dal creditore. Se si tratta di un creditore privato o di una sentenza civile/penale, occorre autorizzazione del Tribunale delle Imprese e pignoramento presso terzi (art. 543 c.p.c.), indirizzato alla società (terzo). Se invece è l’Agenzia delle Entrate – Riscossione a inseguire un debito tributario dell’amministratore, viene utilizzato l’ordine di pagamento diretto ex art. 72-bis DPR 602/73 (procedura esattoriale). In entrambi i casi la società deve comunicare l’entità del credito e trattenere le somme dovute, versandole al creditore. - D: Quali importi minimi restano all’amministratore?
R: Nessuno per legge, perché il compenso non è equiparato a stipendio. Gli unici limiti di tutela (es. pensione minima, assegno sociale triplo, ecc.) non operano direttamente su questo credito. Eventuali fondi di garanzia, assegni familiari, bonus fiscali, ecc., spettano comunque se già sussistenti, ma l’amministratore non ha di norma diritto a conservare una quota del compenso espropriato (diversamente dal lavoratore dipendente). In pratica, se la società versa il compenso all’ufficiale giudiziario, l’amministratore non lo incassa e non lo può spendere. - D: Esempio pratico – quanto può sequestrare l’Agenzia delle Entrate sul compenso?
R: Se un amministratore di S.r.l. ha un compenso lordo mensile di 3.000 euro e deve all’Erario 5.000 euro, l’Agenzia può pignorare (attraverso art.72-bis) fino a 3.000 euro, cioè l’intero compenso, perché non esistono limiti di frazionamento come per gli stipendi. Dopo aver trattenuto tale somma per saldare il debito fiscale, la società non gli versa nulla. Fiscali e contributivi vanno però comunque calcolati come se quel compenso fosse stato riscosso: l’amministratore avrà già subito la ritenuta del 23% sul lordo, dovrà dichiararlo come reddito nel proprio 730/Redditi, e potrà recuperare nei limiti previsti eventuali crediti d’imposta (ad es. per doppia imposizione in caso di ritenute). - D: Il compenso deliberato ma non ancora pagato può essere pignorato?
R: Sì. Il pignoramento presso terzi si realizza anche su crediti futuri o maturandi: il creditore del socio/amministratore richiede l’autorizzazione a iscrivere il pignoramento nel libro delle esecuzioni della società (C.C.I.A.A.). Finché il credito esiste (ad es. entro il termine di decadenza per chiedere il compenso), l’ufficiale può sequestrare i relativi flussi di pagamento.
Esempi pratici di calcolo (simulazioni)
- Pignoramento civile da parte di un creditore privato: Mario Rossi, amministratore unico di S.r.l. Alfa, riceve 10.000 € mensili di compenso. Tizio, suo creditore, ottiene un pignoramento presso terzi sulla ditta Alfa per l’importo di 20.000 €. La società Alfa, informata dell’atto, dichiara che deve a Rossi 10.000 € per il mese corrente. Il giudice dell’esecuzione assegna a Tizio l’intera somma di 10.000 € (non 2.000 €, nonostante l’art. 545 c.p.c.). Rossi non percepisce nulla, e Tizio incassa 10.000 €. Stipendio di Rossi (come dipendente) non è stato preso in considerazione.
- Pignoramento tributario (ordine di pagamento diretto): L’amministratore Bianchi ha un debito di 15.000 € con l’Agenzia delle Entrate. L’Agenzia invia un ordine di pagamento diretto a società Beta, per trattenere il compenso di Bianchi. Se il compenso mensile lordo è di 2.500 € (netti circa 1.900 €), l’Agenzia ordina a Beta di versare 2.500 € direttamente entro 60 giorni. Dopo la trattenuta, a Bianchi nulla rimane (salvo recupero fiscale, qualora spettante). Dal punto di vista fiscale, su quei 2.500 € Beta aveva già operato la ritenuta del 23% come sostituto d’imposta.
- Amministratore anche dipendente: Se lo stesso amministratore Bianchi fosse anche assunto come dipendente con un salario netto di 2.000 € mensili (oltre al compenso di amministrazione da S.r.l. Beta), su quel salario si applicherebbero i limiti del 1/10-1/7-1/5 (ad es. solo 200 € sequestrabili se è entro la prima fascia), mentre sul compenso di amministratore non vi è limite. Questo esempio sottolinea la differenza: stipendio da lavoro subordinato vs compenso gestionale.
Tabelle riepilogative
Limiti di pignorabilità (stipendi/pensioni vs compensi amministratori):
Tipo di reddito | Art. cod.proc. civ./norma | Limiti ordinari | Applicabilità ai compensi amministratori |
---|---|---|---|
Stipendio dipendente/pensione | Art. 545 c.p.c. | Fino €2.500 netti: pignorabile 1/102€2.501-5.000: 1/7Oltre €5.000: 1/5 | NON si applicano (il compenso non è stipendio) |
Credito da lavoro parasubordinato | Art. 409, n.3 c.p.c. | Equiparato allo stipendio (limite 1/5) | Non applicabile, rapporto societario autonomo |
Compenso amministratore S.r.l./S.p.A. | – (natura societaria) | Nessun limite di legge (pignorabilità per intero) | Interamente pignorabile, trattato come credito comune |
Pignoramento diretto (fisco) | D.P.R. 602/73, art.72-bis | Originariamente 1/5, ora 1/10-1/7-1/5 a scaglioni per ogni credito | Stesso trattamento di qualsiasi altro credito: il compenso aziendale può essere pignorato (dall’Agenzia) senza limiti speciali per l’amministratore |
Note: (1) Minimo vitale: l’art. 545, comma 8, c.p.c. impone un limite di 3 volte l’assegno sociale nell’eventualità di accredito in conto; questa tutela però esclude i compensi non derivanti da rapporto di lavoro, pertanto di norma non tutela l’amministratore.
(2) Dal 2014 i limiti tradizionali (1/5) sono stati modificati dal D.L. 69/2013 come indicato nella tabella.
Fonti normative e giurisprudenziali
- Cod. civ., artt. 2389, 2462 e segg. (amministratori S.p.A./S.r.l.); cod. proc. civ., artt. 543-550 (pignoramento presso terzi), 545 c.p.c. (limiti stipendio/pensione), 409 c.p.c. n.3.
- D.P.R. 602/1973, artt. 48-bis, 72 bis (pignoramento diretto esattoriale).
- Tuir (D.P.R. 917/1986), art. 51 co.2 (redditi assimilati da lavoro dipendente).
- Cass. SS.UU. n. 1545/2017 (interpretazione art. 545 c.p.c. su compensi amministratori).
- Cass. pen., Sez. penali, n. 26252/2022 (sequestro preventivo – riconoscimento della non applicabilità del limite del quinto agli amministratori).
- Cass. pen. Sez. III, n. 14250/2021 (sequestro preventivo, compensi amministratori interamente pignorabili).
- Cass. civ. Sez. III, 20.01.2017, n. 1545 (azioni a Sezioni Unite).
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