Hai il sospetto di avere debiti con l’Agenzia delle Entrate, ma non sai con certezza quali siano, a quanto ammontino o se ci sono cartelle esattoriali in sospeso? Temi di scoprire tardi una situazione grave, magari quando arriva un atto di pignoramento o un blocco sul conto corrente?
Sapere come controllare i propri debiti fiscali è il primo passo per tutelarti, evitare sorprese e capire se c’è modo di pagarli, rateizzarli o contestarli. Oggi è possibile farlo in modo semplice, ma è importante sapere dove guardare e cosa significa ciò che trovi.
Come si controllano i debiti con l’Agenzia delle Entrate?
Il canale più diretto è l’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Se hai SPID, CIE o CNS, puoi accedere e verificare in autonomia:
- le cartelle esattoriali notificate e ancora aperte;
- gli avvisi di pagamento non ancora saldati;
- eventuali piani di rateizzazione attivi o decaduti;
- gli atti esecutivi in corso (fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti).
E se non riesco ad accedere?
Puoi richiedere un estratto a mezzo PEC o recandoti fisicamente allo sportello. In alternativa, puoi delegare un avvocato o un professionista che, con i tuoi dati, può fare richiesta e ottenere un quadro completo della tua posizione debitoria, anche con dettaglio degli interessi, delle sanzioni e dei termini di prescrizione.
Cosa succede se risultano debiti scaduti?
Se hai scoperto di avere cartelle esattoriali non pagate, hai diverse opzioni:
- saldo immediato, per evitare ulteriori sanzioni;
- rateizzazione del debito, anche fino a 120 rate mensili;
- opposizione, se l’atto è viziato o prescritto;
- richiesta di sospensione della riscossione, in casi specifici.
Attenzione: anche debiti vecchi possono essere ancora attivi, se non sono mai stati impugnati o se è intervenuta un’interruzione della prescrizione.
Non sai interpretare le voci dell’estratto conto fiscale? Hai trovato importi inaspettati e non sai se devi davvero pagarli?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, riscossione e cartelle esattoriali – ti spiega come controllare i debiti con l’Agenzia delle Entrate, quali strumenti puoi usare per difenderti e come possiamo aiutarti a sanare o cancellare debiti non dovuti.
Vuoi scoprire se hai cartelle pendenti, evitare il pignoramento e capire se puoi risolvere la situazione senza stress?
Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Controlleremo insieme la tua posizione fiscale, analizzeremo i debiti contestabili o prescritti e ti aiuteremo a tutelarti legalmente e uscire dall’incertezza con serenità.
Introduzione
Introduzione. In Italia ogni contribuente può trovarsi a dover pagare somme all’Agenzia delle Entrate o all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia). Tali somme possono derivare da imposte non versate, accertamenti fiscali, tasse locali, multe stradali, contributi previdenziali o altre obbligazioni verso enti pubblici. Vedere cosa si deve pagare significa innanzitutto verificare la propria posizione debitoria: bisogna controllare se risultano importi dovuti, scaduti o in scadenza, e comprendere la natura di ciascun debito. Questa guida – aggiornata a giugno 2025 – fornisce istruzioni dettagliate per accedere alle aree riservate online, esaminare tutte le tipologie di debiti (tributari e non), capire i documenti che si possono ricevere (dai semplici avvisi bonari fino alle cartelle esattoriali e intimazioni), e illustrare dal punto di vista del debitore quali sono i mezzi per contestare, sospendere, rateizzare o definire il debito, anche attraverso strumenti deflativi del contenzioso. Il linguaggio utilizzato è giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti (avvocati, commercialisti) sia a imprenditori e cittadini privati che vogliono orientarsi consapevolmente nel sistema fiscale italiano. Troverete anche esempi pratici commentati, domande frequenti (FAQ), tabelle riepilogative e simulazioni, per rendere i concetti il più chiari possibile. Infine, è presente una bibliografia normativa e giurisprudenziale completa con riferimenti aggiornati a giugno 2025.
Accesso e consultazione online della posizione debitoria
Il primo passo per vedere che cosa si deve pagare è accedere ai servizi online messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Tramite l’area riservata di questi portali è possibile consultare in autonomia la propria situazione debitoria, ossia l’elenco di cartelle, avvisi e altri atti pendenti, nonché eventuali pagamenti già effettuati o piani di rateazione attivi. L’accesso ai siti istituzionali richiede l’autenticazione con credenziali digitali riconosciute: i metodi oggi previsti sono principalmente SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e CIE (Carta d’Identità Elettronica), oltre alla CNS (Carta Nazionale dei Servizi) o alle credenziali rilasciate dall’Agenzia (per chi le possiede ancora). Di seguito spieghiamo come accedere e quali funzionalità usare per controllare i debiti.
Accesso al portale dell’Agenzia delle Entrate (Area Riservata)
Per accedere all’area riservata del sito AgenziaEntrate.gov.it, seguite questi passi:
- Preparare SPID o CIE: Assicuratevi di avere un’identità digitale attiva. Se usate SPID, vi serviranno username e password SPID (e l’app/mobile token del gestore SPID per la conferma). Se usate la CIE, vi servirà la carta d’identità elettronica, il PIN e un lettore NFC/smartphone abilitato.
- Collegarsi al sito ufficiale: Visitate la pagina di login sul portale dell’Agenzia delle Entrate. Troverete l’opzione “Accedi all’area riservata”.
- Selezionare il metodo di accesso: Cliccate su SPID, CIE, CNS o credenziali Agenzia. Verrete reindirizzati al sistema scelto per l’autenticazione (ad esempio, per SPID dovrete selezionare il vostro Identity Provider e inserire le credenziali SPID).
- Completare l’autenticazione: Seguite le istruzioni (inserimento password, eventuale codice OTP, oppure inserimento PIN CIE e conferma su smartphone). Al termine sarete reindirizzati all’area personale.
Una volta effettuato l’accesso, comparirà la vostra area riservata personale. Qui il sito dell’Agenzia delle Entrate offre vari servizi informativi e dispositivi. Per individuare eventuali somme da pagare, concentratevi sulle seguenti funzionalità utili:
- Cassetto fiscale: È una sezione che riepiloga i dati fiscali personali (dichiarazioni, versamenti, atti ricevuti). Tramite il cassetto fiscale potete visualizzare comunicazioni inviate dall’Agenzia (es. avvisi bonari o comunicazioni di irregolarità) e controllare eventuali pagamenti dovuti o in scadenza. Ad esempio, se a seguito dei controlli automatizzati risultano imposte non versate, troverete una comunicazione con l’ammontare da pagare entro una certa data (di solito con sanzioni ridotte). Il cassetto fiscale è quindi uno strumento per monitorare la propria posizione tributaria corrente, evitando di “perdere di vista le scadenze”.
- Servizi per consultare gli avvisi e gli accertamenti: Nell’area riservata vi sono specifici servizi (spesso denominati “Controlla la tua situazione” o simili) che permettono di vedere gli atti dell’Agenzia delle Entrate a carico del contribuente. Ad esempio, se avete ricevuto un avviso di accertamento o un avviso bonario anche in formato cartaceo, è possibile che una copia sia visibile nella sezione comunicazioni. In alcuni casi, l’Agenzia rende disponibili anche gli F24 precompilati per pagare quanto dovuto.
- Ricerca pagamenti effettuati: Potete verificare i versamenti già fatti (tramite modelli F24 o altre modalità) per controllare se determinati debiti risultano saldati. Questo è utile per confrontare l’estratto conto e assicurarsi di non pagare due volte la stessa cosa.
Nota: L’area riservata dell’Agenzia delle Entrate copre principalmente la situazione dei tributi gestiti dall’Agenzia stessa (es. imposte sui redditi, IVA, comunicazioni su dichiarazioni, ecc.). Non tutte le cartelle esattoriali compaiono qui, poiché la riscossione coattiva è demandata all’Agenzia Entrate-Riscossione. Dunque per una verifica completa dei debiti (soprattutto se avete cartelle esattoriali già iscritte a ruolo) è fondamentale accedere anche al portale AgenziaEntrate-Riscossione, come spiegato oltre.
Accesso al portale dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (Area Riservata cittadino)
L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdeR) è l’ente pubblico incaricato della riscossione coattiva dei crediti per conto di vari enti (Erario, INPS, Comuni, ecc.). Il suo portale consente ai contribuenti di verificare la propria posizione debitoria complessiva a partire dal 2000, cioè di consultare tutte le cartelle esattoriali e gli avvisi di pagamento emessi a carico dell’utente, vedere quali importi risultano ancora da pagare e quali sono stati già saldati o eventualmente annullati.
Per accedere all’area riservata di Agenzia Entrate-Riscossione seguite questi passi (simili a quelli visti sopra):
- Collegarsi al sito AdeR: Visitate il portale ufficiale (indirizzo: agenziaentrateriscossione.gov.it). In home page troverete il pulsante “Accedi all’area riservata” per cittadini e imprese.
- Scegliere SPID, CIE o CNS: Anche qui l’accesso avviene tramite identità digitale. Cliccate su SPID (o altro metodo) e autenticatevi come di consueto. In alternativa, per i professionisti abilitati esiste l’accesso con credenziali Entratel/Fisconline, ma per il cittadino medio SPID/CIE è la via più semplice.
- Confermare i consensi ed entrare: Dopo l’autenticazione sarete loggati nell’area personale AdeR.
Una volta entrati, avrete a disposizione un servizio chiave denominato “Situazione debitoria – consulta e paga”. Questo strumento permette di visualizzare l’elenco di tutti i documenti di riscossione a proprio carico, distinguendo tra quelli ancora da saldare e quelli già pagati o sospesi. In pratica, potrete vedere tutte le vostre cartelle esattoriali, gli avvisi di addebito INPS, le ingiunzioni fiscali (se presenti) e altri atti affidati all’esattore. Per ciascun elemento normalmente sono indicati: il numero dell’atto, l’ente creditore (es. Agenzia Entrate, INPS, Comune XY), la data, l’importo originario e lo stato (se pagato, in sospeso, rateizzato, etc.). Cliccando su ogni voce, si possono ottenere maggiori dettagli, ad esempio la ripartizione degli importi (imposta, sanzioni, interessi, aggi) e scaricare la copia della cartella o avviso. Inoltre, dallo stesso servizio è possibile procedere direttamente al pagamento online degli importi dovuti, oppure presentare richieste di rateazione o sospensione.
Tra gli altri servizi utili nell’area riservata AdeR segnaliamo:
- Sezione pagamenti: consente di pagare una o più cartelle selezionandole e scegliendo il metodo di pagamento (carta di credito, addebito in conto, ecc.), oppure di generare il modulo da pagare altrove.
- Sezione rateizzazioni: permette di presentare online l’istanza di dilazione di pagamento per i debiti rateizzabili (vedremo più avanti i requisiti e le soglie), nonché di controllare i piani di rateazione già attivi e lo stato delle rate versate.
- Richiesta sospensione: tramite un apposito servizio, è possibile inviare istanza di sospensione legale della riscossione se si ritiene che la cartella sia illegittima o già pagata o interessata da provvedimenti di sgravio. Si dovranno indicare i motivi e allegare la documentazione. Approfondiremo oltre la procedura di sospensione.
- Prenotazione appuntamenti o servizi di assistenza: l’area riservata offre anche funzioni come lo “Sportello online”, per fissare un appuntamento virtuale con un funzionario, evitando di andare fisicamente allo sportello.
Il servizio “Se Mi Scordo”
Un servizio molto comodo offerto da Agenzia Entrate-Riscossione è chiamato “Se Mi Scordo”. Si tratta di un sistema di alert che avvisa il contribuente in caso di nuove cartelle in arrivo o di eventi critici relativi alle rateizzazioni. Attivarlo è semplice: una volta loggati nell’area riservata AdeR, si inserisce il proprio numero di cellulare e/o indirizzo email nelle apposite sezioni di notifica. Da quel momento, il sistema invierà un messaggio (SMS o email) ogni qualvolta:
- Viene affidato all’Agente della riscossione un nuovo carico a nome vostro, prima ancora che venga materialmente emessa e notificata la cartella. In altre parole, saprete in anticipo che sta per arrivare una cartella esattoriale, così da non farvi cogliere di sorpresa.
- Avete un piano di rateazione attivo e state per perdere il beneficio per mancato pagamento. Il servizio vi avviserà se non risultano pagate un numero di rate sufficiente a far decadere la rateizzazione (ad esempio, la regola attuale prevede decadenza dopo il mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive – vedere sezione sulle rateizzazioni).
- Sempre in ambito di rateazioni, se manca una sola rata al raggiungimento della soglia di decadenza, riceverete un alert. Ciò vi permette di intervenire subito (pagando quelle arretrate) per non perdere il piano.
Il servizio “Se Mi Scordo” è gratuito e altamente consigliato: consente di evitare distrazioni o disguidi postali che potrebbero farvi saltare una scadenza importante. Ricordiamo che il mancato pagamento nei termini di cartelle o rate può avere conseguenze gravi (sanzioni aggiuntive, interessi di mora e azioni esecutive); essere avvisati per tempo aiuta a prevenire tali problemi.
Accesso senza credenziali: estratto conto cartelle allo sportello o via PEC
Sebbene l’accesso telematico sia la modalità più rapida e consigliata, chi non avesse SPID/CIE o dimestichezza con i servizi online può comunque richiedere un estratto dei propri debiti all’Agente della Riscossione tramite vie tradizionali. Ad esempio:
- Di persona: recandosi presso uno sportello territoriale dell’Agenzia Entrate-Riscossione, si può chiedere l’estratto conto delle cartelle a proprio nome. Occorre un documento di identità e il codice fiscale. Il funzionario stamperà l’elenco delle cartelle/avvisi pendenti, con dettaglio di importi e causali.
- Via PEC o email certificata: è possibile inviare una richiesta scritta all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (all’indirizzo PEC della Direzione Regionale competente) allegando documento di identità e specificando il proprio codice fiscale, per ottenere l’estratto conto debitorio. La risposta arriverà sempre via PEC con il documento richiesto.
- Telefono o assistenza remota: in alcuni casi, per importi modesti o chiarimenti, ci si può rivolgere al call center di Agenzia Entrate-Riscossione (numero unico 06.01.01) per verificare la presenza di debiti. Ovviamente per dettagli e copie degli atti bisognerà comunque procedere in altra forma.
Queste modalità alternative richiedono più tempo e spesso l’intervento diretto di un operatore, perciò l’uso dell’area riservata digitale resta preferibile. In ogni caso, il contribuente ha diritto di conoscere in ogni momento la propria situazione debitoria dettagliata, ai sensi della normativa sulla trasparenza amministrativa e dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000). L’Agenzia delle Entrate-Riscossione è tenuta a fornire tali informazioni su richiesta.
Tipologie di debiti verso il Fisco e altri enti: quali somme posso dover pagare?
Una volta avuto accesso alla posizione debitoria, è importante saper riconoscere le tipologie di debito che possono risultare a vostro carico. Infatti, non esiste un unico “debito fiscale”: si può dover pagare per imposte erariali, per tasse locali, per contributi previdenziali, per sanzioni amministrative, e così via. Ciascuna categoria ha regole specifiche (sia di accertamento sia di riscossione) e può originare differenti tipologie di atti. In questa sezione forniamo una panoramica di tutte le principali categorie di debito rilevanti, distinguendo tra debiti tributari (imposte e tasse) e debiti non tributari (es. multe, contributi). Dal punto di vista pratico del debitore, tutti questi importi possono confluire in richieste di pagamento che l’Agenzia delle Entrate o l’Agente della Riscossione vi invieranno. Capire la natura del debito aiuta anche a individuare gli strumenti di contestazione o le possibilità di definizione.
Debiti di natura tributaria (imposte statali e locali)
Debiti tributari sono quelli relativi a imposte, tasse e tributi dovuti agli enti pubblici (Stato, Regioni, Comuni). Ecco i principali sottotipi:
- Imposte dirette sul reddito (Erario): comprendono l’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche), l’IRES (imposta sul reddito delle società) e relative addizionali regionale e comunale, nonché l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive). Questi tributi statali vengono dichiarati annualmente e pagati tramite modello F24. Un debito può sorgere se non si versa quanto auto-liquidato, oppure se dal controllo della dichiarazione emergono maggiori imposte dovute (ad es. per errori o omissioni). In tali casi l’Agenzia delle Entrate invia prima una comunicazione di irregolarità (avviso bonario) e, in mancanza di pagamento, può emettere un avviso di accertamento per recuperare IRPEF/IRES/IRAP non pagata, comprensiva di sanzioni e interessi.
- Imposte indirette (Erario): la principale è l’IVA (imposta sul valore aggiunto). Anche qui, il mancato versamento periodico dell’IVA dichiarata genera un debito verso l’Erario. L’Agenzia Entrate può notificare avvisi di liquidazione o accertamento IVA. Altre imposte indirette nazionali includono l’imposta di registro, l’imposta di bollo, le imposte ipotecarie e catastali, l’imposta sulle successioni e donazioni, l’imposta sulle assicurazioni, ecc. Per molte di queste, se risultano pagamenti insufficienti o agevolazioni indebitamente fruite, l’ufficio emette avvisi di liquidazione o di rettifica, che dal 2024 in poi sono spesso già “avvisi esecutivi” (vedremo oltre questo termine).
- Tributi locali comunali: comprendono tasse come l’IMU (Imposta Municipale Unica sugli immobili), la TARI (Tassa rifiuti), la TASI (abolita dal 2020, ma eventualmente ancora oggetto di recuperi per anni pregressi). Queste entrate sono gestite dai Comuni. Se non pagate nei termini, il Comune invia solleciti o avvisi di accertamento. Dal 2020, per i tributi locali la legge ha previsto anch’essa l’accertamento esecutivo comunale (introdotto dall’art. 1, c. 792, L. 160/2019). Significa che gli avvisi di accertamento TARI/IMU ecc. emessi dal Comune contengono l’intimazione a pagare entro 60 giorni; se non impugnati e pagati, divengono titolo esecutivo senza ulteriore cartella. Tuttavia, molti Comuni si appoggiano ancora ad Agenzia Entrate-Riscossione per la fase esecutiva: in pratica, dopo l’accertamento esecutivo, trascorsi i termini, il debito è affidato all’esattore nazionale per il recupero coattivo (pignoramenti, fermi, ecc.). Per i tributi locali regionali (es. tassa automobilistica regionale, addizionale IRPEF regionale), segnaliamo che una recente riforma delegata (D.Lgs. 87/2024) prevede analoghe modalità esecutive dirette a partire dal 2026. Fino ad allora, i debiti tributari regionali sono spesso riscossi tramite cartella esattoriale.
- Altre entrate erariali: tra i debiti tributari possiamo includere anche tasse come il bollo auto (tassa automobilistica) di competenza regionale ma riscosso spesso con ruoli coattivi in caso di mancato pagamento spontaneo, il canone RAI (oggi inserito in bolletta elettrica, ma in passato generava ruoli per omesso versamento), le accise (per i soggetti obbligati al pagamento di imposte su prodotti come alcolici, oli minerali, ecc., in caso di accertamenti) e così via. Anche i dazi doganali o l’IVA all’importazione non pagati possono diventare debiti iscritti a ruolo a seguito di attività dell’Agenzia Dogane-Monopoli, poi affidati in riscossione all’Agenzia Entrate-Riscossione.
In generale, quando parliamo di debiti tributari, possiamo avere due stadi: o il debito è ancora nella fase amministrativa presso l’ente impositore (Agenzia Entrate, Comune, Regione, ecc.) – ad esempio in forma di avviso bonario o accertamento da pagare – oppure, se non viene pagato né annullato, viene iscritto a ruolo e passato alla riscossione coattiva, con emissione di cartella esattoriale o avvio di procedure esecutive. La differenza pratica è che prima dell’iscrizione a ruolo il contribuente può ancora pagare direttamente all’ente creditore (magari con sanzioni ridotte) o far valere le proprie ragioni con strumenti come l’istanza di riesame o il ricorso, mentre dopo l’iscrizione a ruolo il rapporto di credito passa all’Agente della Riscossione, che applicherà gli oneri di riscossione (aggio) e potrà procedere forzosamente se il pagamento non avviene.
Debiti di natura non tributaria (multe, contributi, altre entrate)
Sono debiti verso enti pubblici che non riguardano imposte o tasse, ma comunque possono essere riscossi tramite il medesimo sistema, finendo nelle cartelle esattoriali o in atti similari. I più comuni sono:
- Multe stradali e sanzioni amministrative: se non pagate nei termini (60 giorni dalla notifica del verbale, nel caso delle contravvenzioni stradali), le sanzioni amministrative pecuniarie vengono iscritte a ruolo dall’ente che le ha comminate (ad esempio il Comune per le multe del codice della strada, oppure altri enti per sanzioni amministrative di diversa natura). Dopo l’iscrizione a ruolo, viene emessa la cartella esattoriale per riscuotere la somma. Le multe hanno un regime particolare: l’importo raddoppia dopo il mancato pagamento nei 60 giorni (art. 203 Codice Strada) e poi maturano interessi legali. È importante sapere che le sanzioni amministrative hanno di regola termine di prescrizione quinquennale: trascorsi 5 anni dall’ultimo atto senza pagamenti o nuovi atti interruttivi, la pretesa si estingue. Ad esempio, una multa stradale non riscossa entro 5 anni dalla cartella diviene inesigibile per prescrizione (salvo atti che abbiano interrotto tale termine, come una intimazione). La Cassazione ha chiarito che le sanzioni e relativi interessi seguono la prescrizione breve quinquennale. Questo aspetto sarà ripreso parlando di difese del debitore.
- Contributi previdenziali e assistenziali: i contributi INPS (previdenza obbligatoria per lavoratori dipendenti e autonomi) e i contributi INAIL (assicurazione infortuni) non versati costituiscono debiti verso gli enti previdenziali. L’INPS, in particolare, notifica inizialmente un Avviso di Addebito (che ha già efficacia di titolo esecutivo al pari di una cartella) per richiedere il pagamento dei contributi omessi, con sanzioni e interessi. Se l’avviso INPS non viene pagato né contestato, l’importo viene riscosso dall’Agenzia Entrate-Riscossione, esattamente come avviene per le imposte. I termini di prescrizione dei contributi INPS sono stati unificati in 5 anni (L. 335/1995, confermato da Cass. SS.UU. 23397/2016). Quindi anche qui, se passa troppo tempo senza che l’ente agisca, il debito si estingue. È comunque prassi che INPS iscriva a ruolo i crediti entro i termini, affidandoli a riscossione.
- Entrate patrimoniali dello Stato o di enti pubblici: ad esempio canoni non pagati, indennità dovute, rette, etc., qualora l’ente scelga la riscossione tramite ruolo. Un caso frequente: le spese di giustizia dovute da chi è stato condannato al pagamento (per esempio le spese processuali penali, o le sanzioni amministrative irrogate da autorità diverse). Queste somme vengono iscritte a ruolo dal Ministero della Giustizia e si traducono in cartelle esattoriali a carico del debitore.
- Altre categorie: Potenzialmente qualsiasi credito vantato dalla Pubblica Amministrazione, se previsto dalla legge, può essere affidato all’agente della riscossione. Ad esempio: tasse scolastiche non pagate, canoni di locazione di immobili pubblici insoluti, sanzioni di Autorità indipendenti (Antitrust, Privacy) se non pagate, e così via.
In sintesi, qualunque somma dovuta a un ente pubblico può diventare un debito in carico all’Agenzia delle Entrate-Riscossione per il recupero. Sul vostro estratto debitorio online troverete indicato per ogni partita il relativo ente impositore/creditore. Questo vi fa capire l’origine del debito. È utile distinguere, ad esempio, un debito verso l’Agenzia delle Entrate (che in genere deriva da imposte erariali) da un debito verso un Comune (multa o IMU) o verso l’INPS (contributi). La natura del debito influenza anche i rimedi: ad esempio, una cartella per multa stradale si potrà contestare davanti al Giudice di Pace, mentre una cartella per IRPEF si contesta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria). Approfondiremo nella sezione sulle contestazioni.
Focus sui ruoli e sulla cartella esattoriale. Un concetto cruciale è il ruolo: esso è l’elenco dei debiti che l’ente creditore trasmette all’Agente della Riscossione per procedere alla riscossione forzata (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). Dal ruolo scaturisce la cartella di pagamento (detta comunemente “cartella esattoriale”), cioè l’atto formale con cui si intima al debitore il pagamento entro un termine (di norma 60 giorni) delle somme iscritte a ruolo. In passato praticamente qualsiasi credito non pagato portava, come primo atto della fase coattiva, la notifica di una cartella. Come vedremo più avanti, dagli anni 2011-2012 in poi molte cartelle sono state “abolite” in favore di avvisi immediatamente esecutivi (la cosiddetta “concentrazione della riscossione nell’accertamento”). Tuttavia, per semplicità espositiva, possiamo dire che ancora oggi:
- Se vedete nel vostro estratto la dicitura di una Cartella di pagamento (ruolo) significa che il debito è già nella fase di riscossione coattiva affidata all’AdeR. La cartella contiene gli importi originari + sanzioni/indennità + interessi + aggi di riscossione. Più avanti spiegheremo com’è fatta e come leggerla.
- Se invece trovate un Avviso (di accertamento, di addebito, ecc.) direttamente dall’ente creditore, può darsi che quello costituisca già titolo esecutivo (se è “esecutivo”) oppure sia un sollecito bonario (se ad esempio è un avviso bonario). Nei casi dubbi, controllate sempre se l’atto indica espressamente un termine di pagamento e l’avvertimento di successive azioni esecutive: quella è la spia che l’atto è già esecutivo, cioè equivalente a una cartella.
Riassumendo le tipologie di atto e debito che potreste incontrare:
- Comunicazione di irregolarità (avviso bonario): lettera informativa dell’Agenzia Entrate su somme dovute a seguito di controllo automatizzato/formale. Non è un atto esecutivo, ma offre la chance di pagare con sanzioni ridotte.
- Avviso di accertamento esecutivo (tributi erariali): atto emesso dall’Agenzia Entrate per imposte non pagate o maggiori imposte accertate. Contiene l’intimazione a pagare entro 60 giorni; trascorso tale termine senza ricorso, vale come titolo esecutivo e dopo ulteriori 30 giorni il debito viene affidato all’esattore.
- Avviso di liquidazione/rettifica (imposte registro, successione, ecc.): atto dell’Agenzia o di uffici fiscali che liquida tributi indiretti dovuti. Dal 2024 molti di questi sono anch’essi “esecutivi” subito.
- Avviso di addebito (INPS): atto esecutivo con cui l’INPS richiede contributi omessi; da 2011 ha sostituito le cartelle INPS.
- Cartella di pagamento (Agenzia Entrate-Riscossione): atto dell’esattore che richiede il pagamento di uno o più debiti iscritti a ruolo (può riguardare tributi, contributi, multe, ecc.).
- Intimazione di pagamento: atto (solitamente di Agenzia Entrate-Riscossione) inviato quando una cartella è rimasta ineseguita e si vuole sollecitare il pagamento prima di procedere con l’esecuzione forzata. In base all’art. 50 DPR 602/73, se è trascorso oltre un anno dalla notifica della cartella senza che si sia proceduto esecutivamente, l’esecuzione deve essere preceduta dalla notifica di un’intimazione con concessione di 5 giorni per adempiere.
- Altri atti legati alla riscossione: ad esempio preavvisi di fermo amministrativo, preavvisi di ipoteca, o comunicazioni varie (es. l’informativa che un debito è stato preso in carico dall’esattore). Questi non richiedono pagamento immediato ma avvertono che, se non si paga entro un termine, verranno adottate misure cautelari sui beni (fermo auto, ipoteca immobiliare).
Nel prossimo capitolo analizzeremo nel dettaglio il contenuto di questi atti (avvisi bonari, accertamenti, cartelle, etc.), con esempi pratici di come si presentano e come interpretarli.
Le comunicazioni ufficiali: avvisi bonari, accertamenti, cartelle e intimazioni
Quando il Fisco o un ente creditore ha qualcosa da chiedere al contribuente, emette un atto ufficiale. Imparare a riconoscere e interpretare queste comunicazioni è fondamentale per sapere cosa si deve pagare e come muoversi. In questa sezione descriviamo le principali tipologie di documenti che il debitore può ricevere, con esempi pratici e spiegazioni passo-passo.
Comunicazione di irregolarità (avviso “bonario”)
L’avviso bonario – formalmente denominato comunicazione di irregolarità – è una lettera che l’Agenzia delle Entrate invia al contribuente per segnalare alcune difformità o errori riscontrati nella dichiarazione dei redditi (o IVA) e comunicare gli importi dovuti in conseguenza di tali controlli. Viene definito “bonario” perché non è un atto impositivo formale impugnabile, ma una sorta di preavviso: mette a conoscenza il contribuente del fatto che risulta un debito e gli consente di regolarizzare la posizione con sanzioni ridotte (generalmente ridotte a 1/3 del minimo edittale, quindi ad esempio 10% invece di 30% nelle liquidazioni automatiche).
Quando viene emesso: tipicamente in seguito ai controlli automatizzati (ex art. 36-bis DPR 600/1973 per le imposte dirette, art. 54-bis DPR 633/72 per l’IVA) o ai controlli formali (ex art. 36-ter DPR 600/1973) delle dichiarazioni fiscali. Ad esempio, se dal controllo automatico della dichiarazione dei redditi emerge un minor credito o un’imposta non versata, il sistema genera la comunicazione. Oppure, nel controllo formale, se mancano documenti giustificativi di oneri dichiarati, l’Agenzia calcola il maggiore dovuto e lo comunica.
Cosa contiene: l’avviso bonario indica l’anno d’imposta e il tipo di dichiarazione a cui si riferisce, il dettaglio delle irregolarità riscontrate (es.: “dichiarato X, calcolato Y, differenza Z”), le maggiori imposte dovute, la sanzione ridotta al 10% (nel caso di controlli automatici) o altra misura prevista, gli interessi calcolati e il totale da pagare. Indica inoltre il termine entro cui eseguire il pagamento per beneficiare della sanzione ridotta (in genere 30 giorni dal ricevimento, elevati a 90 giorni se la comunicazione arriva via PEC all’intermediario). Spesso allega i modelli F24 precompilati per il versamento.
Esempio pratico di avviso bonario:
Immaginiamo di ricevere una “Comunicazione di irregolarità” relativa al modello Redditi 2023 (anno d’imposta 2022). Nel prospetto si legge:
- “Imposta dichiarata: € 5.000; Imposta calcolata: € 6.000; Differenza: € 1.000”.
- “Sanzioni (ridotte a 1/3 del 30%): € 100” (ovvero il 10% di € 1.000).
- “Interessi dovuti: € 30”.
Segue un riepilogo: “Totale da pagare: € 1.130”, entro 30 giorni dalla data di ricezione, utilizzando il modello F24 allegato. In mancanza di pagamento, si procederà all’iscrizione a ruolo delle somme dovute con applicazione della sanzione intera (30%) e ulteriore addebito di interessi.”
Come comportarsi: l’avviso bonario offre due strade: se il contribuente riconosce la correttezza delle irregolarità segnalate (ad esempio un errore di calcolo), può pagare l’importo dovuto entro il termine, beneficiando della sanzione ridotta. In alternativa, se ritiene che vi sia un errore (dell’Agenzia o proprio), può presentare delle osservazioni o chiedere una correzione. Tecnicamente l’avviso bonario non è impugnabile davanti al giudice tributario perché non rientra negli atti elencati dall’art. 19 D.Lgs. 546/92. La procedura corretta in caso di disaccordo è spesso quella di segnalare all’Agenzia, entro 30 giorni, le ragioni per cui non si deve pagare (ad esempio allegando documenti mancanti, ricevute di versamenti effettuati che non erano stati riconosciuti, ecc.). Questo si può fare presentando un’istanza di rettifica in autotutela o utilizzando il servizio online CIVIS dell’Agenzia delle Entrate (piattaforma di assistenza che consente di inviare richieste riferite proprio alle comunicazioni di irregolarità).
Solo se l’Agenzia non accoglie le vostre ragioni e procede oltre (emettendo eventualmente un atto successivo come un accertamento o una cartella) si avrà un atto impugnabile. Tuttavia, novità recenti in dottrina e giurisprudenza stanno aprendo alla possibilità di un ricorso diretto anche contro l’avviso bonario, per evitare di attendere la cartella con sanzioni piene. In particolare dal 2023-2024 si discute se, in presenza di una pretesa ben delineata in un avviso bonario, il contribuente possa adire subito la Corte di Giustizia Tributaria per far valere le proprie ragioni entro 60 giorni. Alcune Commissioni tributarie hanno ammesso ricorsi contro comunicazioni di irregolarità, ma la questione non è ancora definitivamente consolidata a livello di Cassazione (al giugno 2025). Dunque, in via prudenziale, trattate l’avviso bonario come un’occasione di dialogo con l’ente: se c’è un errore, comunicatelo tempestivamente all’Agenzia; se avete ragione, l’Agenzia annullerà o rettificherà senza bisogno di andare in giudizio. Se invece l’avviso è corretto, conviene aderire pagando subito per risparmiare sulle sanzioni.
Conseguenze se ignorato: se non si paga né si risponde entro i termini, l’importo diventa esigibile a titolo definitivo. L’Agenzia procederà quindi ad iscrivere a ruolo la somma dovuta con sanzione piena (tipicamente 30%) e ulteriori interessi. Al contribuente verrà in seguito notificata una cartella esattoriale per la riscossione coattiva. In pratica, l’avviso bonario è l’ultima chiamata “amichevole”: trascurarlo significa andare incontro a una cartella, con aggravio di costi. Inoltre, se persistete nel non pagare, dal ruolo potranno scaturire azioni esecutive (pignoramenti, fermi, etc., come vedremo). Ecco perché ignorare un avviso bonario “può portare a conseguenze molto serie”.
Rateazione dell’avviso bonario: è possibile? Sì, la legge consente di chiedere la rateazione anche delle somme di un avviso bonario, purché l’importo sia superiore a 5.000 euro (sotto tale soglia l’Agenzia richiede il pagamento in un’unica soluzione). Si possono ottenere fino a 8 rate trimestrali (o 20 rate se l’importo supera 50.000 euro). La richiesta va fatta entro 30 giorni dal ricevimento dell’avviso, presentando apposita istanza all’Agenzia. Attenzione: se si rateizza l’avviso bonario, si perde la sanzione ridotta del 10% e si applica quella piena (ma si evitano comunque ulteriori sanzioni di mora). È una scelta da valutare: pagare meno sanzioni subito o diluire il debito con sanzione maggiore.
Avviso di accertamento esecutivo (atto impositivo dell’Agenzia delle Entrate)
L’avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente un maggior tributo dovuto o un tributo non versato, applicando le relative sanzioni e interessi. Si tratta del tipico atto “di accertamento” tributario previsto dal DPR 600/1973 (per le imposte dirette) e dal DPR 633/1972 (per l’IVA), nonché da altre leggi per tributi specifici. Dal 2011 in poi, tutti gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate in materia di imposte sui redditi, IVA, IRAP, ecc. sono emessi in forma esecutiva ai sensi dell’art. 29 del DL 78/2010. Ciò significa che contengono già l’intimazione ad adempiere e, scaduti i termini di impugnazione, diventano automaticamente titolo esecutivo per la riscossione coattiva.
Quando viene emesso: un avviso di accertamento può seguire a un controllo sostanziale (ad esempio una verifica fiscale, un controllo incrociato, lo scostamento dagli studi di settore o ISA, una segnalazione di redditi non dichiarati, ecc.), oppure essere l’atto conseguente al mancato pagamento di un avviso bonario (in alcuni casi l’Agenzia, invece di iscrivere direttamente a ruolo, potrebbe emettere un accertamento per consolidare la pretesa tributaria, specie se ci sono anche altri rilievi). In generale, l’accertamento viene emesso entro precisi termini decadenziali (di solito entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, termine raddoppiato in caso di reato tributario).
Cosa contiene: l’avviso di accertamento è un documento più corposo della comunicazione bonaria. Esso include: le motivazioni dettagliate della pretesa (cioè i fatti e le norme che giustificano le maggiori imposte accertate), il quantum dovuto per ogni tributo (imposta evasa, sanzione amministrativa tributaria – tipicamente pari al 90% o 100% dell’imposta evasa in caso di dichiarazione infedele/omessa – e interessi). Alla fine dell’atto, viene riportato il riepilogo delle somme dovute e l’intimazione a pagare entro un certo termine. Dal 2012, per legge, il termine per pagare l’accertamento è lo stesso termine per presentare ricorso, ovvero 60 giorni dalla notifica. Nell’avviso vi sarà scritto, ad esempio: “Il presente atto, decorso il termine per la proposizione del ricorso, costituisce titolo esecutivo ai sensi dell’art. 29 DL 78/2010. Si intima il pagamento delle somme dovute entro il medesimo termine di cui sopra, trascorso il quale l’importo sarà iscritto a ruolo per la riscossione coattiva.”.
In pratica, l’avviso di accertamento odierno unisce due funzioni: da un lato è atto impositivo (che potete impugnare in Commissione tributaria/Corte di Giustizia Tributaria), dall’altro è già atto precettivo esecutivo (come un precetto) che vi ordina di pagare entro 60 giorni per evitare la riscossione forzata.
Fac-simile semplificato:
Nella prima pagina di un avviso di accertamento esecutivo troverete i vostri dati (nome, indirizzo, CF) e l’intestazione dell’ufficio emittente (Agenzia Entrate – Direzione Provinciale di …). Le pagine successive spiegano gli esiti del controllo: ad esempio “Reddito imponibile dichiarato € 30.000, Reddito accertato € 50.000, Maggior imposta IRPEF € 4.400, Sanzione 90% € 3.960, Totale IRPEF+Sanzioni € 8.360, interessi € X”. Analoghi calcoli per addizionali, IVA, ecc., se presenti. Alla fine compare la sezione “Intimazione e avvertenze”: qui l’atto indica il totale complessivo dovuto (sommando tutti i tributi, sanzioni, interessi) e specifica: *“Si invita il contribuente a versare l’importo complessivo di € [tot] entro 60 giorni dalla notifica, utilizzando il modello F24 allegato. In mancanza, si procederà alla riscossione coattiva ai sensi dell’art. 29 DL 78/2010. È facoltà del contribuente presentare ricorso avverso il presente atto entro 60 giorni innanzi alla competente Corte di Giustizia Tributaria, previo pagamento degli importi indicati nell’art. 15 DPR 602/73 (un terzo delle imposte accertate).”
Cosa fare se si riceve un avviso di accertamento:
- Valutare la fondatezza e le prove: l’accertamento contiene le motivazioni dell’Agenzia. Esaminatele con attenzione o con l’aiuto di un professionista: sono corrette? I calcoli tornano? Avete documenti per confutarle? Questa analisi è cruciale per decidere il da farsi.
- Pagare (acquiescenza): se ritenete di non avere margini di difesa (o comunque preferite chiudere la faccenda), potete accettare l’accertamento e pagare quanto dovuto entro 60 giorni. In tal caso la legge prevede un abbattimento delle sanzioni ad 1/3 del minimo. In concreto, nell’accertamento stesso di solito è già calcolato l’importo con sanzioni ridotte di 2/3 (ossia pagando solo 1/3 delle sanzioni). Quindi il totale richiesto tiene conto di questo beneficio se pagate entro i 60 giorni senza ricorrere. Questa opzione si chiama acquiescenza all’accertamento. Pagando, chiudete la partita (rinunciate al ricorso) e l’atto non avrà ulteriori conseguenze. È importante rispettare i termini: se si paga anche solo un giorno oltre i 60 giorni, l’acquiescenza non produce effetti e le sanzioni tornano intere.
- Impugnare l’accertamento (ricorso): se ritenete l’accertamento infondato in tutto o in parte, potete presentare entro 60 giorni un ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Il ricorso deve essere notificato all’ufficio che ha emesso l’atto e poi depositato in corte, rispettando le norme del D.Lgs. 546/1992 (anche tramite PEC con firma digitale, secondo le regole del Processo Tributario Telematico). Attenzione: il ricorso non sospende automaticamente la riscossione; per legge, però, il contribuente deve intanto versare un importo pari a 1/3 delle imposte accertate entro 60 giorni (il restante 2/3 è sospeso ex lege fino alla sentenza di primo grado). Se volete evitare di pagare subito anche quel 1/3 – perché ritenete di avere ragione e subireste un danno grave – dovrete chiedere la sospensione giudiziale dell’atto, presentando un’istanza al Presidente della Corte entro la prima udienza (art. 47 D.Lgs. 546/92). Il giudice, se riscontra il pericolo di un danno grave e l’apparente fondatezza del ricorso, può sospendere l’esecutività dell’accertamento. In mancanza di sospensione, dopo 60 giorni l’Agenzia Entrate-Riscossione potrà comunque procedere a riscuotere coattivamente quel terzo (e dopo la sentenza, gli importi via via confermati).
- Accertamento con adesione: un’altra opzione è attivare la procedura di adesione all’accertamento (anche detta “strumento deflattivo”), presentando istanza di accertamento con adesione prima che scada il termine per il ricorso. La presentazione dell’istanza di adesione sospende automaticamente per 90 giorni il termine per impugnare e pagare. Durante questi 90 giorni (più 30 giorni di sospensione feriale se ricadono in agosto), vi siederete a un tavolo con l’ufficio per cercare un accordo sull’entità delle imposte accertate. Se la procedura va a buon fine, si sottoscrive un atto di adesione con una riduzione delle sanzioni a 1/3 (lo stesso beneficio dell’acquiescenza) e spesso con una rideterminazione (spesso riduzione) del maggior imponibile accertato. Se l’adesione non si conclude o non trovate un accordo, potete ancora fare ricorso entro i nuovi termini prorogati.
- Richiedere la rateizzazione: in caso di difficoltà a pagare in un’unica soluzione, la normativa consente di rateizzare anche gli importi di un accertamento (dopo che è definitivo o se si è aderito). Se avete fatto acquiescenza o adesione, potete chiedere fino a 8 rate trimestrali (o 16 se importo > 50.000). Se invece avete fatto ricorso e perso, il debito in esito a sentenza può essere rateizzato con l’Agenzia o con la riscossione. Approfondiremo le rateazioni più avanti.
Il percorso alla riscossione coattiva: se l’accertamento non viene pagato né impugnato nei 60 giorni, diviene esecutivo e trascorso 30 giorni aggiuntivi viene trasmesso all’Agenzia Entrate-Riscossione. AER non potrà iniziare subito a pignorare: la legge prevede una sospensione di 180 giorni dall’affidamento prima di avviare l’esecuzione forzata. Questo periodo, previsto dall’art. 29, c.1 lett. b) DL 78/2010, serve a garantire una finestra in cui il contribuente può eventualmente pagare, chiedere rateazione all’AdeR, o in cui potrebbe intervenire una sospensiva giudiziale se intanto ha fatto ricorso tardivamente (ad es. per casi eccezionali) o altro. Scaduti i 180 giorni, se nulla è successo, l’Agente della riscossione può procedere con atti esecutivi (pignoramenti). Importante: se passa oltre un anno dalla notifica dell’accertamento prima che si proceda al pignoramento, l’AdeR dovrà comunque notificare una intimazione di pagamento 5 giorni (un ultimo avviso) come precetto. Questo generalmente avviene, poiché tra 60+30 giorni iniziali, 180 giorni di sospensione, e tempi organizzativi, facilmente più di un anno trascorre.
In conclusione, l’avviso di accertamento è un passaggio cruciale: rappresenta la “prova” dell’Agenzia che avete evaso o omesso un pagamento. È un atto impugnabile e allo stesso tempo destinato a diventare esecutivo. Dal punto di vista del debitore, mai ignorarlo. Bisogna decidere entro 60 giorni se pagare (magari con sanzioni ridotte) o contestare. Nel seguito vedremo strumenti come acquiescenza, ricorso, adesione, che sono le scelte da valutare in questi casi.
Cartella di pagamento (cartella esattoriale)
La cartella di pagamento è probabilmente l’atto più noto e temuto dai contribuenti italiani. È il classico “bollettino” con cui l’esattore (oggi Agenzia Entrate-Riscossione, un tempo Equitalia) richiede il pagamento di un debito a seguito di iscrizione a ruolo. In parole semplici, la cartella esattoriale notifica formalmente al debitore che un certo ente (Agenzia Entrate, INPS, Comune, ecc.) vanta un credito di un certo importo, e intima il pagamento entro 60 giorni, avvertendo che in difetto si procederà a riscossione forzata.
Quando arriva una cartella: dopo che un ente ha formato un ruolo per somme non pagate spontaneamente o non versate entro termini di legge. Ad esempio, se avete ignorato un avviso bonario, l’Agenzia Entrate iscriverà a ruolo le imposte e sanzioni dovute e affiderà il ruolo all’AdeR, che vi manderà la cartella. Oppure, se avete preso una multa e non pagato né fatto ricorso, trascorsi i tempi tecnici il Comune iscriverà a ruolo la sanzione e vi arriverà cartella. In alcuni casi la cartella può arrivare senza che abbiate ricevuto avvisi precedenti, ad esempio per omessi versamenti in autoliquidazione (la normativa in passato permetteva di iscrivere a ruolo direttamente i omitted payments). Oggi, con la diffusione degli atti esecutivi, la cartella è meno frequente per debiti verso Agenzia Entrate, ma resta comune per multe, contributi e tributi locali non esecutivi.
Com’è fatta una cartella: è un modulo prestampato, solitamente con banda laterale colorata (una volta era di colore verde per i ruoli erariali, azzurro per INPS, giallo per locali, ecc.). Nella prima pagina troviamo: l’intestazione “Agenzia delle Entrate-Riscossione” e la denominazione “Cartella di pagamento” ben visibile (spesso su sfondo colorato); i dati del destinatario (nome, indirizzo, codice fiscale); un numero identificativo della cartella; l’indicazione sintetica degli enti creditori e delle somme dovute. Ad esempio: “Agenzia delle Entrate: € X per imposte, € Y per sanzioni, € Z per interessi – INPS: €… – Comune di Alfa: €…” ecc. Inoltre c’è la data di notifica e la relata (in alto a sinistra, a cura dell’ufficiale notificatore o posta).
Nelle pagine successive, la cartella dettaglia per ciascun ruolo iscritto a nome vostro: la cartella spesso contiene un prospetto per ogni ente creditore, con un estratto di ruolo. In tale estratto si leggono: il numero di partita di ruolo, la descrizione (es: “IRPEF Anno 2019”, “Multa Codice della Strada n…”, “Contributi INPS gestione separata 2020”), l’importo del tributo o voce principale, la sanzione, gli interessi, e l’aggi di riscossione. L’aggio è il compenso dell’Agente riscossore, calcolato in percentuale sul debito (attualmente a carico del debitore nella misura del 3% se paga entro 60 giorni, altrimenti 6% oltre i 60 giorni, in base all’art. 17 D.Lgs. 112/1999). La cartella include anche i costi di notifica (pochi euro).
Avvertenze legali: verso la fine della cartella vi è una sezione con le spiegazioni dei vostri diritti e doveri. Vi ricorda che se pagate oltre 60 giorni saranno dovuti gli interessi di mora (attualmente al tasso del 4,5% annuo circa) e l’aggio intero; che potete presentare, se ne ricorrono i presupposti, ricorso contro la cartella (specifica davanti a quale autorità: es. Giudice di Pace per le multe, Corte tributaria per i tributi); che potete chiedere la rateizzazione entro certe soglie; e che in mancanza di pagamento si procederà a esecuzione forzata.
Esempio reale di intestazione di cartella:
(in alto) “Cartella di pagamento” – Agenzia delle Entrate-Riscossione – Agente della riscossione per la provincia di …
Destinatario: Rossi Mario, Cod. fisc… – Via Roma 1, … CAP …
Dettaglio degli importi:
- Agenzia delle Entrate (Imposte dirette 2018): € 3.000 tributo + € 900 sanzioni + € 300 interessi = Totale € 4.200
- INPS (Gestione Artigiani 2019): € 2.500 contributi + € 250 sanzioni + € 100 interessi = Totale € 2.850
Importo totale cartella: € 7.050 (di cui compenso riscossione € 211,50, spese notifica € 5,88).
Pagamento entro 60 giorni dalla notifica.
(nelle pagine seguenti ci sarà una pagina per Agenzia Entrate e una per INPS con i calcoli di dettaglio e riferimenti ai ruoli).
Come notate dall’esempio, una cartella può cumulare più voci da enti diversi. È importante leggere con attenzione a cosa si riferisce ciascuna voce. Spesso il contribuente ha difficoltà a capire l’origine del debito da una cartella, specialmente se arrivano anni dopo il fatto generatore. Sul documento però troverete riferimenti: ad esempio un codice tributo e anno, o il numero del verbale di multa. In caso di dubbi, con quei dati potete rivolgervi all’ente creditore (es. all’ufficio Agenzia Entrate o al Comune) per farvi spiegare il dettaglio.
Come contestare o opporsi a una cartella: la cartella è un atto impugnabile in sede giudiziale, ma le modalità dipendono dalla natura del debito sottostante. In linea generale, entro 60 giorni dalla notifica potete presentare ricorso. Se il debito è tributario (imposte, contributi previdenziali equiparati per giurisdizione, ecc.), il ricorso va alla Corte di Giustizia Tributaria competente. Se il debito è una multa o altra sanzione amministrativa, va presentata opposizione al Giudice di Pace (per multe CdS) o al tribunale ordinario se diversa sanzione amministrativa. È cruciale la distinzione: un errore nel giudice adito può farvi perdere il ricorso per incompetenza. Ci sono tuttavia alcune costanti:
- Motivi di ricorso tipici contro una cartella: vizi propri (ad esempio notifica irregolare della cartella stessa, oppure mancanza di motivazione/indicazioni essenziali), oppure vizi riferiti al debito originario (ad esempio: il tributo era già annullato o già pagato, la multa era stata oggetto di ricorso vincente, il contribuente non ha mai ricevuto l’atto presupposto quando previsto). Su quest’ultimo aspetto occorre fare attenzione: se la cartella si riferisce a un atto precedente non notificato, la legge consente di impugnare la cartella per contestare nel merito la pretesa (perché la cartella diventa il “primo atto” conosciuto). Se invece la cartella è conseguente a un accertamento definitivo che voi avete ricevuto e non impugnato, non potrete più contestare nel merito il tributo (essendosi formato giudicato); potrete solo far valere eventualmente vizi della cartella o sopravvenienze (es. prescrizione).
- Tempistiche ridotte per multe: attenzione, per le sanzioni del Codice della Strada l’opposizione va proposta entro 30 giorni (Giudice di Pace) o 60 giorni (Prefetto) dalla notifica cartella, e non 60 come per i tributi. Quindi se una cartella contiene una multa, quell’estratto andrebbe impugnato entro 30 giorni davanti al Giudice di Pace.
- Sospensione e misure cautelari: il ricorrente può chiedere al giudice adito la sospensione dell’esecuzione della cartella se c’è pericolo di danno grave (ad esempio, dimostrando che sta per scattare un fermo o pignoramento e la cartella è verosimilmente erronea). Se concessa, la riscossione si blocca fino alla decisione di merito.
Tratteremo in dettaglio nella sezione “Modalità di contestazione” le strategie e motivi per impugnare le cartelle.
Se non si fa ricorso: la cartella diventa definitiva dopo i 60 giorni. Ciò significa che l’Agente della Riscossione può procedere con le azioni esecutive o cautelari. In genere, trascorsi inutilmente i 60 giorni, scatta l’aggravio degli interessi di mora e l’aggio intero al 6%. Non c’è una immediata attivazione di misure: la prassi (nonché obbligo di legge) è che prima di pignorare trascorrano 1) 60 giorni cartella + 2) eventuale intimazione dopo un anno + 5 giorni, quindi realisticamente qualche mese almeno. Ma non conviene fare affidamento sul tempo: conviene piuttosto, se non si impugna, valutare almeno la rateizzazione per evitare provvedimenti duri.
Richiedere chiarimenti o autotutela: se ritenete la cartella errata, ma siete oltre i termini di ricorso, o preferite tentare una via extra-giudiziale, potete presentare un’istanza di sgravio in autotutela all’ente creditore oppure una richiesta di sospensione ad AdeR (vedi sezione sospensione). Ad esempio, se in cartella c’è una somma già pagata anni fa, invierete le prove di pagamento chiedendo l’annullamento. L’ente, se riconosce l’errore, emetterà uno sgravio, ossia cancellerà (in tutto o parte) il debito dal ruolo, e AdeR vi comunicherà l’annullamento della cartella per quella parte.
Rateizzazione: la cartella, se di importo elevato, può essere dilazionata. Questo è spesso il rimedio per chi riconosce di dover pagare ma non riesce in unica soluzione. AdeR concede rate (fino a 72 rate ordinariamente, o fino a 120 rate in casi straordinari) – vedi sezione dedicata.
Intimazione di pagamento e altri solleciti
L’intimazione di pagamento è un atto breve, notificato dall’Agente della Riscossione in alcune situazioni specifiche. La più comune: quando è già stata notificata da oltre un anno una cartella (o un avviso esecutivo) rimasta totalmente o parzialmente insoluta, e l’Agente intende procedere con il pignoramento. In base all’art. 50 DPR 602/73, “se è trascorso più di un anno dalla notifica della cartella e il contribuente non ha pagato, prima di iniziare l’esecuzione forzata l’Agente deve notificare un’intimazione a pagare entro 5 giorni”.
L’intimazione di pagamento in pratica è un ultimatum di 5 giorni: se entro cinque giorni non saldate quanto dovuto (che viene riepilogato nell’intimazione, comprensivo di interessi maturati e spese), l’esecuzione forzata potrà avere luogo senza altri avvisi. La forma dell’intimazione richiama quella della cartella ma più sintetica: indica gli estremi della cartella o del ruolo originario, l’importo aggiornato e i 5 giorni per pagare. È un atto impugnabile solo per vizi formali o per intervenuta prescrizione: ad esempio, se l’intimazione viene notificata dopo che il debito si è prescritto, potete impugnarla in Commissione tributaria (o giudice competente) per far dichiarare prescritta la pretesa.
Spesso l’intimazione viene utilizzata da AdeR anche come sollecito per rate scadute (se siete decaduti da una rateazione) o in generale per ricordarvi una situazione pendente prima di un’azione. Ma tecnicamente l’atto “intimazione di pagamento” è proprio quell’atto previsto dalla legge prima di pignorare oltre l’anno.
Altri solleciti e comunicazioni: l’Agente della riscossione può inviare anche solleciti di pagamento (non obbligatori per legge) che assomigliano a delle intimazioni ma senza il vincolo dei 5 giorni. Ad esempio, può inviare un sollecito entro l’anno dalla cartella, per stimolare il pagamento. Oppure comunicazioni tipo “Avviso di presa in carico del debito”, “Comunicazione di inesigibilità”, ecc., che però non richiedono un adempimento immediato ma informano su uno stato della procedura. Tra queste, importanti sono:
- Preavviso di fermo amministrativo: lettera con cui AdeR avverte che, se non pagate entro X giorni (di solito 30 giorni), sarà iscritto un fermo sul vostro veicolo. Ne parleremo nella sezione sulle azioni cautelari.
- Preavviso di ipoteca: analogo, ma riferito a immobili (viene inviato se avete debiti sopra una certa soglia, attualmente €20.000, prima di iscrivere ipoteca su un immobile).
- Comunicazione di decadenza dalla rateazione: se avevate un piano di rate e siete decaduti perché non ne avete pagate abbastanza, AdeR vi notifica la decadenza e la contestuale intimazione a pagare il residuo in una soluzione.
Ognuno di questi atti ha propri tempi e modi di opposizione (generalmente impugnabili per vizi propri entro 20 giorni al Tribunale civile se riguardano fermi/ipoteche, oppure davanti al giudice tributario se si contesta la legittimità del loro presupposto tributario).
In sintesi, come debitore dovete fare attenzione a ogni busta o PEC che vi arriva dall’Agenzia delle Entrate o Entrate-Riscossione: ciascun documento ha un significato preciso e spesso dei tempi di reazione molto stretti. Riassumiamo nel prospetto seguente le principali comunicazioni e i rispettivi termini di pagamento e reazione:
Atto ricevuto | Ente emittente | Contenuto e significato | Termine per pagare | È impugnabile? |
---|---|---|---|---|
Comunicazione di irregolarità (avviso bonario) | Agenzia Entrate | Importi dovuti da controllo automatizzato/formale, sanzioni ridotte. | Entro 30 gg (o 90 gg se via PEC a intermediario) per evitare il ruolo. | No (possibile istanza di correzione; ricorso solo eventuale in caso di diniego/autotutela) |
Avviso di accertamento esecutivo (IRPEF, IVA, ecc.) | Agenzia Entrate | Maggiori imposte accertate con intimazione a pagare e titolo esecutivo dopo 60 gg. | Entro 60 gg per pagamento integrale (o 60 gg per ricorso con pagamento 1/3). | Sì, ricorso entro 60 gg alla CGT; pagamento 1/3 imposte dovute. |
Avviso di liquidazione/rettifica (tributi indiretti, es. registro) | Agenzia Entrate / uffici fiscali | Liquidazione di imposte come registro, successione, ecc., spesso esecutivo dal 2024. | Entro 60 gg (in genere) se esecutivo, altrimenti indicato nell’atto. | Sì, ricorso entro 60 gg alla CGT. |
Avviso di addebito INPS | INPS | Richiesta contributi non versati, titolo esecutivo immediato. | Entro 60 gg dalla notifica. | Sì, ricorso: competente di regola la CGT (dal 2022 tributi e contributi unificati in giurisdizione tributaria). |
Cartella di pagamento | Agenzia Entrate-Riscossione | Intimazione a pagare somme iscritte a ruolo (può includere vari enti creditori). | Entro 60 gg dalla notifica per evitare mora e azioni. | Sì, ricorso entro 60 gg (30 gg se sanzioni amm.vi CdS) al giudice competente (CGT o GdP). |
Intimazione di pagamento (art.50) | Agenzia Entrate-Riscossione | Sollecito finale su cartella scaduta da >1 anno: 5 giorni per pagare prima di pignoramento. | 5 gg dalla notifica. | Sì, impugnabile entro 20 gg (CGT o giudice competente) per vizi formali o prescrizione. |
Preavviso di fermo / ipoteca | Agenzia Entrate-Riscossione | Avviso di iscrizione fermo su veicolo o ipoteca su immobile se non si paga entro il termine (20-30 gg). | Indicativamente 30 gg. | Sì, opponibile (meglio evitare pagando/rateizzando prima). Competenza: CGT se si contesta il debito, Tribunale civile per vizi del preavviso. |
(CGT = Corte di Giustizia Tributaria)
Cosa succede se non pago: conseguenze ed esecuzione forzata
Dal punto di vista del debitore è fondamentale sapere a quali conseguenze si va incontro in caso di mancato pagamento delle somme dovute al Fisco o ad altri enti. Abbiamo già accennato che, ignorando avvisi e cartelle, si può arrivare a ganasce fiscali – termine colloquiale per indicare provvedimenti come fermi amministrativi, ipoteche e pignoramenti. In questa sezione esamineremo brevemente le principali azioni cautelari ed esecutive che l’Agente della Riscossione può intraprendere per recuperare coattivamente il credito.
Misure cautelari: fermo amministrativo e ipoteca
Le misure cautelari sono provvedimenti che mirano a vincolare beni del debitore, in attesa della riscossione, per evitare che questi possano essere sottratti alle garanzie del credito. Le due più note in ambito fiscale sono:
- Fermo amministrativo di veicoli (“ganasce fiscali”): Consiste nell’iscrizione di un provvedimento amministrativo al PRA (Pubblico Registro Automobilistico) che impedisce di utilizzare un veicolo intestato al debitore. Se avete una o più cartelle non pagate per un importo almeno di qualche centinaio di euro (di solito AdeR procede se il totale supera € 1.000), l’Agente può inviarvi un preavviso di fermo, concedendovi 30 giorni per pagare. Se non adempiuto, decorsi i 30 giorni viene iscritto il fermo sul vostro mezzo (auto, moto, etc.). Effetti: non potrete circolare legalmente con il veicolo (se venite fermati rischiate sanzioni e sequestro del mezzo), e soprattutto non potrete radiarlo, demolirlo o venderlo se prima non pagate il debito. Il fermo infatti è registrato sul veicolo e ne impedisce il trasferimento di proprietà. Come togliere il fermo: pagando tutto il debito (in tal caso entro 20 giorni dal saldo AdeR rilascia il provvedimento di cancellazione) oppure chiedendo una rateazione: se viene accolta la dilazione e pagate la prima rata, l’Agente sospende il fermo (vi darà un nulla osta per la circolazione, ma il vincolo di non vendere resta finché tutto saldato).
- Ipoteca su immobili: Per debiti più rilevanti (attualmente la legge prevede un limite minimo di € 20.000 di debito complessivo iscritto a ruolo), l’Agente può iscrivere ipoteca su un immobile di proprietà del debitore. L’ipoteca viene iscritta nei registri immobiliari e garantisce il credito sul valore del bene: in pratica, se la casa viene venduta o espropriata, il Fisco verrà soddisfatto con preferenza. Prima di iscrivere ipoteca, AdeR notifica un preavviso di ipoteca, dando 30 giorni per pagare o contestare. Trascorso tale termine, può procedere all’iscrizione. Effetti: l’immobile risulta gravato da ipoteca pubblica, il che ne ostacola la vendita o la possibilità di ottenere mutui (le banche vedendo un’ipoteca fiscale difficilmente concedono finanziamenti). Di solito l’ipoteca fiscale è di grado secondo (se c’è un mutuo ipotecario, quella viene prima) e per il triplo del debito. Cancellazione: avviene se pagate tutto il debito (entro 30 giorni dalla richiesta l’ente deve procedere alla cancellazione in Conservatoria) oppure se il debito viene ridotto sotto soglia (ma generalmente si mantiene finché non saldato integralmente). Anche la rateazione sospende le azioni esecutive future, ma per l’ipoteca già iscritta la legge non prevede l’obbligo di cancellarla fino a saldo; tuttavia, in alcuni casi AdeR può valutare la riduzione o revoca volontaria.
Entrambi questi provvedimenti sono cautelativi: non realizzano ancora il credito, ma mettono pressione al debitore. In particolare il fermo dell’auto spesso spinge a pagare chi utilizza il mezzo per lavoro o necessità quotidiane.
Va segnalato che sia il fermo che l’ipoteca possono essere contestati in giudizio se illegittimi (ad esempio: debito sotto soglia di legge, mancanza della comunicazione preventiva, avvenuto pagamento precedente, ecc.). La giurisprudenza ha chiarito che il preavviso di fermo va considerato atto impugnabile perché incide sui diritti del contribuente (Cass. SS.UU. n. 11087/2010). Nel caso, bisogna agire prontamente (entro 30 gg al tribunale ordinario per vizi del procedimento, o 60 gg alla CGT se si eccepisce l’inesistenza del debito).
Misure esecutive: pignoramenti mobiliari, immobiliari e presso terzi
Se, nonostante notifiche, solleciti e misure cautelari, il debitore ancora non paga, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può passare alle vere e proprie azioni esecutive, analoghe a quelle del recupero crediti civile ma con alcune peculiarità previste dal DPR 602/1973.
Le principali forme di pignoramento sono:
- Pignoramento presso terzi (es. stipendio, conto corrente): È spesso il metodo più rapido. AdeR può ordinare al vostro datore di lavoro di trattenere una parte dello stipendio o della pensione (nei limiti: es. un decimo per stipendi fino 2.500 €, un settimo tra 2.500 e 5.000, un quinto sopra 5.000; per pensioni c’è una quota impignorabile pari all’assegno sociale aumentato metà). Oppure può inviare un atto di pignoramento alla banca presso cui avete il conto corrente: in quel momento le somme presenti sul conto (fino a concorrenza del debito) vengono bloccate e assegnate al creditore. Il pignoramento presso terzi in ambito fiscale può essere anche “diretto” senza passare dal giudice: in effetti l’atto notificato al terzo vale come ordine di pagamento allo scadere di 60 giorni. Se però il terzo non paga o sorgono contestazioni, si va davanti al giudice dell’esecuzione.
- Pignoramento mobiliare: AdeR, munita di titolo esecutivo (cartella o avviso esecutivo) e di autorizzazione dell’ente creditore, può inviare l’Ufficiale della riscossione (funzione svolta da ufficiali esattoriali) a pignorare beni mobili del debitore. In passato era più frequente (pignorare arredi, macchinari, merci in negozio, ecc.); oggi lo si vede raramente perché spesso inefficiente. L’ufficiale redige un verbale, i beni possono essere lasciati in custodia al debitore stesso, e poi vengono venduti all’asta se non c’è pagamento.
- Pignoramento immobiliare: Per debiti molto ingenti, l’ultima ratio è l’espropriazione di immobili. La legge oggi lo consente solo se il singolo debitore ha un debito sopra € 120.000 e l’immobile non è l’unica casa di abitazione (non espropriabile se è prima casa e non di lusso, in base al DL 69/2013). Se queste condizioni sono soddisfatte, dopo l’iscrizione di ipoteca (che è atto prodromico obbligatorio), trascorsi almeno 6 mesi, AdeR può avviare il pignoramento dell’immobile tramite atto notificato e successiva iscrizione e vendita giudiziaria.
Le procedure esecutive fiscali devono rispettare in parte il Codice di Procedura Civile e in parte norme speciali. In ogni caso, prima dell’espropriazione, riceverete una notifica di atti: tipicamente, come detto, l’intimazione 5 giorni e poi l’atto di pignoramento vero e proprio. Quest’ultimo sarà anch’esso notificato a voi (e al terzo nel caso di pignoramento presso terzi). Se arrivate a questo punto, vuol dire che la situazione è grave e protratta.
Opposizioni in fase esecutiva: anche dopo l’avvio del pignoramento esistono rimedi giudiziari, le cosiddette opposizioni all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) e opposizioni agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), per eccepire rispettivamente fatti estintivi del debito sopravvenuti (es. “ho pagato, non potevate pignorare”) o vizi formali del procedimento di pignoramento. Tuttavia, queste opposizioni vanno fatte al giudice ordinario e non bloccano automaticamente l’esecuzione se non con provvedimento ad hoc del giudice. Si tratta di rimedi estremi, costosi e dall’esito incerto, per cui è molto meglio intervenire prima, utilizzando le possibilità di contestazione e rateazione prima che si arrivi al pignoramento.
Prescrizione dei debiti nel tempo: una possibile “via di uscita” per chi non ha pagato è sperare nella prescrizione, ovvero che trascorra un determinato periodo senza atti interruttivi, facendo decadere il diritto di riscuotere. Come accennato, i termini variano: di solito 10 anni per tributi erariali (perché non c’è termine breve specifico), 5 anni per multe, tributi locali e contributi (dove esiste la previsione di prescrizione breve). Ad esempio, una cartella IRPEF 2015, se l’Agente non ha mai notificato nulla nel frattempo, dopo 10 anni (2025) sarebbe prescritta. Una cartella per multe 2015, dopo 5 anni (2020) senza intimazioni, sarebbe prescritta. In caso di decorrenza di tali termini, si può opporre la prescrizione come motivo di ricorso per ottenere l’annullamento del debito. Bisogna però essere sicuri che non vi siano stati atti (magari a voi sconosciuti perché notificati per irreperibilità e depositati…). Quindi fare un controllo approfondito degli atti notificati (ad esempio richiedendo l’estratto di tutte le notifiche).
In sintesi: il mancato pagamento prolungato porta inevitabilmente a peggiorare la propria posizione. Il consiglio generale è di non lasciare mai che un debito fiscale evolva fino all’esecuzione forzata. È preferibile cercare soluzioni prima: contestazione legittima, definizioni agevolate, dilazioni o, se proprio le difficoltà economiche sono insormontabili, valutare strumenti come il “sovraindebitamento” (procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento prevista dal Codice della Crisi d’Impresa, D.Lgs. 14/2019, che consente a privati e piccole imprese di proporre un accordo o piano per liberarsi dai debiti, anche fiscali, con l’omologazione di un giudice). Queste procedure, come accennato nell’ambito degli avvisi bonari, possono bloccare le azioni esecutive e portare anche a stralci di parte del debito, ma richiedono la guida di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e l’intervento del tribunale. Sono soluzioni ultime, da valutare con professionisti quando il debito complessivo è davvero impagabile.
Strumenti per contestare, sospendere o definire i debiti
Dopo aver esaminato gli atti e le conseguenze, poniamoci nell’ottica del debitore che vuole risolvere o gestire i debiti. Quali strumenti ha a disposizione? Possiamo distinguere diverse categorie di intervento:
- Contestazione in senso stretto (ricorsi e opposizioni): far valere davanti a un giudice l’illegittimità o l’infondatezza di una pretesa.
- Sospensione della riscossione: far congelare temporaneamente l’obbligo di pagare, in attesa di verifica o decisione.
- Definizioni agevolate e condoni: aderire a provvedimenti legislativi straordinari che riducono l’importo dovuto.
- Rateizzazione (dilazione di pagamento): pagare a rate per evitare misure immediate.
- Strumenti “deflattivi” del contenzioso: procedure amministrative che evitano di andare in giudizio (ravvedimento, adesione, conciliazione, ecc.).
- Autotutela: richiedere all’ente creditore di annullare o rettificare un atto evidentemente errato senza dover ricorrere al giudice.
Vediamo in dettaglio ciascuno di questi.
Ricorso e opposizione: come impugnare gli atti
Il ricorso tributario è lo strumento principale per contestare gli atti dell’Agenzia delle Entrate (accertamenti, cartelle per tributi, ecc.). Come spiegato, si propone entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria competente. Il ricorso è un atto scritto, motivato in fatto e in diritto, che va notificato all’ente creditore e successivamente depositato (telematicamente, ormai) presso la Corte, con pagamento del contributo unificato previsto. Nel processo tributario il contribuente può stare in giudizio da solo se il valore in contestazione è fino a € 3.000; oltre tale soglia è necessaria l’assistenza di un difensore abilitato (di solito un avvocato tributarista, un commercialista o un consulente del lavoro, in base alla materia).
Effetti del ricorso: come detto, non blocca automaticamente la riscossione, se non per i 2/3 delle imposte nel caso degli accertamenti. È quindi spesso opportuno accompagnarlo con una richiesta di sospensione se c’è un rischio di dover pagare prima della sentenza.
Durata e fasi: il giudizio tributario di primo grado dura in media 1-2 anni. Dopo la sentenza, se negativa, si può appellare (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, ex CTR) entro 60 giorni, e poi eventualmente ricorrere in Cassazione. In pendenza di giudizio di solito la riscossione viene sospesa parzialmente per legge (nel senso che dopo la sentenza di primo grado bisogna pagare comunque qualcosa, di solito la metà di quanto deciso, per proseguire – se la sentenza è a favore del Fisco). Sono tecnicismi, il concetto chiave: il ricorso è utile se avete reali motivi di contestazione e importi elevati in gioco. Se invece il debito è palesemente dovuto, ricorrere serve solo a prendere tempo (con costi e alla fine interessi di mora accumulati). Valutate realisticamente, magari sentendo il parere di un esperto, le chance di successo.
Opposizioni in sede civile (multe e esecuzione forzata): per le cartelle da sanzioni amministrative, come detto, si ricorre al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla notifica, motivando l’opposizione (es. mancata notifica verbale originario, errore di persona, prescrizione, ecc.). Il GdP fisserà udienza e deciderà se annullare la cartella o confermarla. Durante il giudizio, su richiesta, può sospendere la riscossione. Se il GdP respinge l’opposizione, resta solo appello in Tribunale (non c’è Cassazione per cause di modesto valore).
Se invece siamo già in fase di pignoramento (presso terzi o altro), le opposizioni esecutive vanno presentate al Tribunale ordinario: quelle a contenuto tributario di solito finiscono comunque al giudice ordinario perché in fase esecutiva la giurisdizione è la sua, ma anche qui ci sono state diatribe. In generale, questi rimedi sono ancor più complessi e richiedono avvocati e costi elevati. Dunque sperabilmente non dovreste arrivare a questo punto se usate bene i rimedi precedenti.
Sospensione della riscossione (amministrativa e giudiziale)
La sospensione è un provvedimento che blocca temporaneamente l’obbligo di pagamento e le azioni di recupero. Può essere:
- Sospensione amministrativa (in autotutela): l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può disporre la sospensione della riscossione su richiesta del contribuente, quando questi presenti documentazione che provi che il debito non è esigibile. Ad esempio: cartella già pagata, sgravio già ottenuto dall’ente, un ricorso pendente con sospensiva ottenuta, prescrizione già maturata, ecc. Dal 2013, per garantire tutela, è previsto che il contribuente possa inviare a AdeR un’istanza motivata di sospensione entro 60 giorni dalla notifica della cartella, allegando le prove dell’inesigibilità (art. 1, commi 537-543, L. 228/2012). AdeR è tenuta a sospendere immediatamente la riscossione e girare l’istanza all’ente creditore. Se entro 220 giorni l’ente non conferma la validità del debito, la cartella è annullata di diritto. In pratica, questo strumento consente di “congelare” il pagamento se avete elementi chiari che non dovete pagare. La richiesta si può fare online (dall’area riservata come visto) o con modulo cartaceo via PEC. Durante la sospensione, non decorrono termini di pagamento né partono nuove azioni.
- Sospensione giudiziale: come accennato, potete chiedere al giudice competente (tributario o ordinario) di sospendere l’atto impugnato se l’esecuzione immediata vi causerebbe un danno grave irreparabile e ci sono ragionevoli motivi (fumus boni iuris) di accoglimento del ricorso. Questa è una misura cautelare. Esempio: ricevete un avviso di accertamento da € 200.000; fate ricorso e chiedete sospensione perché altrimenti l’Agenzia vi pignora l’azienda e sareste rovinati, mentre avete solide prove che l’accertamento è sbagliato. Il giudice può con ordinanza sospendere l’efficacia esecutiva dell’atto fino alla sentenza. Oppure: arriva un preavviso di pignoramento sul conto; fate opposizione al Tribunale e chiedete sospensione del pignoramento. Queste richieste vengono decise abbastanza in fretta (nel tributario entro 180 giorni al massimo, spesso prima). Se accolta la sospensione, l’Agente non potrà procedere, se invece è rigettata dovrete valutare soluzioni alternative (pagare/rateizzare magari per evitare il peggio in attesa della sentenza finale).
Rateizzazione dei debiti (dilazione di pagamento)
La rateizzazione è probabilmente il metodo più utilizzato dai debitori per gestire importi elevati senza subire aggressioni patrimoniali. Consiste nel concordare con l’Agente della Riscossione un piano di pagamento a rate mensili, durante il quale le azioni esecutive sono sospese (finché si pagano le rate regolarmente).
Chi può chiedere la rateizzazione: qualunque debitore che abbia una o più cartelle/avvisi non pagati, anche già scaduti. Si può chiedere su debiti già in riscossione (cartelle) ma anche su avvisi di accertamento esecutivi prima di passarli a ruolo (in tal caso la domanda va all’ente, ma ormai conviene attendere la cartella e chiedere a AdeR direttamente).
Importi e soglie: la normativa è stata modificata nel 2022 per ampliare l’accesso. Oggi:
- Per importi fino a € 120.000 per singola istanza, la concessione è automatica su semplice richiesta, senza bisogno di dimostrare lo stato di difficoltà. Questo è stato elevato da 60.000 a 120.000 dal luglio 2022. Significa che se dovete € 50.000, potete ottenere un piano fino a 72 rate senza documenti.
- Per importi sopra € 120.000, occorre presentare domanda motivata allegando la prova dello stato di temporanea obiettiva difficoltà economica. Per le persone fisiche serve l’ISEE, per le società indici di bilancio, ecc. Se i parametri rientrano nei limiti di legge (indice di liquidità, solvibilità, ecc.), AdeR concede comunque fino a 72 rate (piano “ordinario”).
- In casi di comprovata gravità (fallimento evitato ecc.), si può chiedere un piano straordinario fino a 120 rate (10 anni). Bisogna dimostrare che con 72 rate non ce la si fa, ma con un piano più lungo sì, e che c’è la situazione di grave difficoltà “legata alla congiuntura economica”. Anche qui ISEE o bilanci a supporto. AdeR può concederlo se l’importo delle rate con 120 non supera il certo % del reddito disponibile.
- Importo minimo di rata: di solito è € 50 mensile minimo.
Procedura per la richiesta: oggi tutto può avvenire online. Tramite l’area riservata AdeR c’è il servizio “Rateizza adesso” che guida nella domanda. Oppure si compilano i moduli (Mod. R1 per piani ordinari <120k, R2 o R3 per ordinari >120k persona fisica/giuridica, R4 o R5 per straordinari persona fisica/giuridica) e si inviano via PEC. AdeR risponde in poche settimane comunicando se accoglie e allegando il piano di ammortamento con le scadenze.
Numero di rate e scadenza: i piani ordinari standard sono fino a 72 rate mensili (6 anni). Non è obbligatorio prenderne 72: potete chiedere ad esempio 24 rate se preferite. AdeR di solito concede il massimo (72) ma potete poi pagare anticipatamente se volete chiudere prima. Dal 2023-2024, per favorire i contribuenti post pandemia, il governo ha introdotto delle estensioni temporanee: ad esempio per richieste presentate nel 2025 e 2026, pare sia possibile ottenere 84 rate per importi <120k, e 96 rate per importi >120k. Queste misure, se confermate, andranno verificate (al momento si attendono circolari attuative). In mancanza, restano 72 e 120 come sopra.
Decadenza e proroga: se non pagate 8 rate anche non consecutive (questa è la soglia attuale, aggiornata dal DL 119/2018: prima erano 5, e ancor prima 2) si viene decaduti dalla rateizzazione. La decadenza significa che l’intero debito residuo torna immediatamente riscuotibile in unica soluzione e non si può ottenere una nuova dilazione per quel carico a meno di riaperture condonistiche. Tuttavia, la legge consente una sola proroga della rateizzazione: se avete difficoltà, prima di decadere potete chiedere un allungamento. La proroga può essere concessa se dimostrate un peggioramento della situazione economica rispetto a quando otteneste la prima dilazione. Può essere ordinaria (fino altre 72 rate) o straordinaria (fino 120) a seconda dei casi. In pratica potete raddoppiare i tempi residui se ne avete motivo.
Effetti della rateizzazione: appena ottenuta la rateizzazione e pagata la prima rata, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione sospende qualunque azione esecutiva o cautelare relativa ai debiti inclusi. Se per esempio c’era un fermo amministrativo, viene sospeso (vi ridanno la possibilità di usare l’auto); se c’era un pignoramento in corso, viene congelato (nei limiti, se già assegnato il giudice potrebbe proseguire comunque per quella parte, ma di regola AdeR non procede con pignoramenti nuovi). Inoltre, finché siete in regola con le rate, non scatteranno nuovi fermi o ipoteche. Attenzione: la rateazione però non interrompe il calcolo degli interessi di mora, anzi pagherete interessi dilatori su ogni rata. Ma è un piccolo prezzo per avere respiro.
Compatibilità con definizioni agevolate: se è in corso una “rottamazione” (definizione agevolata) non potete rateizzare quelle stesse somme in via ordinaria. O scegliete la rottamazione (pagando nei termini agevolati) o se decadde, allora dopo potrete rateizzare il residuo normale. Viceversa, potete includere in rottamazione debiti già rateizzati in precedenza (ottenendo lo sgravio di sanzioni/ interessi di mora, come vedremo).
Definizione agevolata dei debiti (rottamazione, stralcio, condono)
Periodicamente il legislatore offre ai contribuenti delle misure agevolative per regolarizzare i debiti fiscali in modo favorevole (le cosiddette “pacificazioni” o “rottamazioni”). Dal 2016 in poi ce ne sono state diverse ed è bene conoscerne le caratteristiche generali, perché rappresentano opportunità importanti.
Rottamazione delle cartelle: è la definizione agevolata più nota. Consente di estinguere i debiti iscritti a ruolo pagando solo il capitale e pochi oneri, ma senza sanzioni né interessi di mora né aggi. Già attuata con varie edizioni (rottamazione ter, quater, ecc.), l’ultima in ordine di tempo è la Definizione agevolata 2023 (c.d. rottamazione-quater prevista dalla L. 197/2022, commi 231-252). Riguardava i carichi affidati all’AdeR dal 2000 al 30/06/2022. I contribuenti potevano aderire presentando domanda entro il 30 giugno 2023 (termine poi prorogato al 30 settembre 2023 per alcune regioni colpite da eventi calamitosi). Chi ha aderito paga in un massimo di 18 rate fino al 2027: le prime due nel 2023, poi 4 rate all’anno dal 2024 in avanti (scadenze 28 feb, 31 mag, 31 lug, 30 nov). C’è un breve margine di tolleranza 5 giorni oltre le scadenze per il pagamento. I vantaggi: niente sanzioni, niente interessi di mora, niente oneri di riscossione. Si pagano però: il capitale, gli interessi legali da ritardata iscrizione a ruolo (per i tributi), il rimborso spese di notifica e le eventuali spese vive per procedure esecutive avviate.
Novità 2025: con il decreto “Milleproroghe” approvato a febbraio 2025, il Governo ha riaperto i termini per alcuni contribuenti decaduti. In particolare, chi era decaduto da precedenti rottamazioni o persino dalla quater (per mancato pagamento delle prime rate) può presentare entro il 30 aprile 2025 una domanda di riammissione alla rottamazione-quater. Ciò per dare un’ulteriore chance di beneficiare dello sconto delle sanzioni. Dunque, anche a giugno 2025 è possibile che alcuni stiano aderendo o abbiano aderito a questa riapertura. Le scadenze di pagamento per i riammessi potrebbero essere fissate anch’esse ex novo, con un calendario simile (la norma in corso di approvazione dettaglia i termini, presumibilmente primo versamento entro estate 2025). Conviene informarsi sul portale AdeR che attiverà il servizio dedicato.
Stralcio dei mini-debiti: altra misura recente è stata il cosiddetto stralcio dei debiti fino a 1.000 euro affidati dal 2000 al 2015 (L. 197/2022, comma 222). In pratica, al 31 marzo 2023 sono stati automaticamente annullati tutti i residui fino a 1.000 € di valore (quota capitale + sanzioni + interessi) di carichi di quegli anni, con eccezione di alcune tipologie (multe stradali e altre entrate locali per le quali sono state le amministrazioni a decidere se aderire allo stralcio delle sanzioni). Questo ha portato sollievo a molti cittadini con vecchie cartelle piccole. Oggi, nel 2025, se consultate l’estratto, potreste trovare che cartelle sotto 1.000 € precedenti al 2015 risultano annullate d’ufficio.
Definizione agevolata delle liti pendenti: per completezza, oltre alle cartelle, la “tregua fiscale” 2023 includeva la possibilità di definire anche i contenziosi tributari in corso pagando percentuali ridotte sul valore della lite (ad esempio 90% in primo grado, 40% se si aveva già vinto in primo grado, 15% se vinto in secondo, ecc.). Questa opzione però riguardava chi aveva già presentato ricorso e pendeva al 1° gennaio 2023. La scadenza per aderire a queste definizioni liti era il 30 giugno 2023. Quindi, se siete parte di un contenzioso tributario e avete definito col pagamento agevolato, quell’importo chiude la disputa. Per chi non ha definito, invece, il contenzioso prosegue.
Saldo e stralcio per contribuenti in difficoltà: nel 2019 vi fu una misura speciale (Legge 145/2018) chiamata “saldo e stralcio” dedicata a persone fisiche con ISEE basso, che permetteva di estinguere i carichi fiscali con forti sconti (16%, 20%, 35% a seconda dell’ISEE). Attualmente non è aperta un’edizione di saldo e stralcio analoga. Se in futuro ve ne fossero, conviene prestare attenzione perché sono occasioni uniche.
Quando conviene aderire a definizioni agevolate: sicuramente se avete sanzioni amministrative elevate (es. per omessi versamenti, sanzione 30%) conviene moltissimo la rottamazione perché risparmiate quella parte. Anche chi ha lunghe rateizzazioni in corso potrebbe optare per definizione per tagliare interessi futuri. Bisogna però avere liquidità per rispettare le scadenze delle rate agevolate: queste infatti, se saltate, fanno decadere il beneficio e si perde lo sconto, senza possibilità di rateizzare di nuovo il residuo agevolato (si torna al debito iniziale meno quanto versato). Quindi aderite solo se siete ragionevolmente in grado di pagare quelle rate.
Come aderire: l’adesione alle definizioni agevolate avviene di solito presentando una domanda telematica sul sito AdeR (c’era una sezione dedicata con autenticazione SPID in cui scegliere le cartelle da rottamare). Per la riapertura 2025, AdeR attiverà nuovamente tale servizio. Una volta presentata la domanda, AdeR poi invia la “Comunicazione di accoglimento” con l’esito e il piano di pagamento. Se per caso ritenete di aver diritto a una definizione ma qualcosa è andato storto (ad es. non vi è arrivata la risposta), è utile contattare AdeR per chiarimenti.
Strumenti deflattivi del contenzioso tributario
Nel diritto tributario italiano esistono alcuni istituti volti a ridurre sul nascere le liti tra contribuente e fisco, offrendo compromessi o riduzioni di sanzioni per chi collabora. Abbiamo già incontrato i principali:
- Ravvedimento operoso: è la regolarizzazione spontanea di un’omissione o infrazione tributaria prima che l’ufficio se ne accorga. Consente di pagare l’imposta dovuta con una sanzione molto ridotta proporzionale al ritardo (ad esempio, se pagate entro 30 giorni dal termine, sanzione 1,5% invece di 30%; entro 90 giorni 1,67%; entro un anno 3,75%; oltre un anno fino a accertamento 5% e così via) più interessi calcolati al tasso legale. Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) è uno strumento prezioso: se vi accorgete di non aver versato qualcosa, affrettatevi a ravvedervi prima che arrivi un avviso. Nel 2023 la normativa ha reso possibile il ravvedimento anche dopo notifica di comunicazioni di irregolarità, purché l’Agenzia non abbia ancora notificato atti esecutivi. C’è stato anche un ravvedimento speciale per violazioni fino al 2021, previsto dalla L. 197/2022, che permetteva di ravvedersi pagando solo imposta + sanzione minima ridotta a 1/18, ma il termine per aderirvi (31 marzo 2023) è trascorso.
- Acquiescenza: come detto, è l’adesione “silenziosa” ad un accertamento. Il contribuente sceglie di non impugnare e paga entro 60 giorni, ottenendo lo sconto di 1/3 sulle sanzioni (cioè paga solo il 2/3 delle sanzioni irrogate). È disciplinata dall’art. 15 del D.Lgs. 218/1997. Se nel vostro avviso di accertamento vedete indicata una cifra con sanzioni ridotte, quella è l’acquiescenza. Conviene se riconoscete la fondatezza almeno sostanziale dell’atto e volete evitare aggravi.
- Accertamento con adesione: disciplinato dal D.Lgs. 218/1997, consente di trattare con l’ufficio prima di arrivare davanti al giudice. Si attiva presentando istanza di adesione entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento (o l’ufficio stesso vi invita per adesione, specie in controlli complessi). Segue un contraddittorio orale in cui potete portare elementi e cercare di convincere l’ufficio a ridurre l’ammontare accertato. Se si trova un accordo, si redige un atto di adesione in cui di solito c’è un compromesso sull’imponibile o sulle sanzioni. Le sanzioni per legge sono ridotte a 1/3 (come acquiescenza) e l’imposta può essere abbassata rispetto all’accertato iniziale. Dopo la firma avete 20 giorni per pagare (o rateizzare in 8 rate). L’adesione presenta il vantaggio di evitare il contenzioso e spesso ottenere uno sconto; l’ufficio è incentivato a chiudere perché incassa prima e con certezza. Non sempre però si raggiunge: se le posizioni sono distanti, l’adesione fallisce e potete comunque ricorrere (con termini prorogati).
- Reclamo e mediazione tributaria: per gli atti di valore contestato fino a € 50.000, prima di arrivare davanti al giudice il contribuente deve obbligatoriamente presentare un reclamo-mediazione (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). In pratica, si deposita il ricorso che però vale anche come proposta di mediazione, e l’ufficio ha 90 giorni per valutare se accoglierlo in tutto o parte. Può offrire una mediazione riducendo sanzioni (minimo al 35% delle sanzioni, equivalente a uno sconto del 65%). Se accettate la mediazione, la controversia si chiude lì. Se non risponde o rifiuta, passati 90 giorni il ricorso va avanti in commissione. Questo strumento è obbligatorio ma spesso è pro-forma; talvolta però porta a riduzioni significative soprattutto su sanzioni.
- Conciliazione giudiziale: se arrivate davanti al giudice tributario, avete ancora la possibilità di chiudere bonariamente la lite in udienza tramite conciliazione. Le parti (contribuente e ufficio) possono accordarsi su un importo transattivo. La conciliazione ante sentencia comporta sanzioni ridotte al 50% (se avviene in primo grado) o al 60% (se in appello) di quelle minime, oltre ovviamente a definire un importo per le imposte a metà strada. Il giudice recepisce l’accordo con una sentenza che chiude il caso. Anche qui, scopo è evitare i gradi successivi di giudizio. Se avete un ricorso in corso e capite che rischiate di perdere, valutate col vostro difensore se proporre conciliazione: magari l’ufficio pur di chiudere accetta di togliere un po’ di sanzioni o imposte.
Tutti questi strumenti deflattivi hanno in comune l’incentivo sotto forma di riduzione sanzioni per chi vi ricorre e la possibilità di evitare lunghi contenziosi. Dal punto di vista del debitore, coglierli può significare risparmiare molto denaro e tempo. D’altro canto, richiedono di rinunciare a far valere ulteriormente certe ragioni: ad esempio, se aderite, poi non potete impugnare; se conciliate, rinunciate all’appello, ecc. Quindi vanno usati in caso di strategia difensiva ponderata. Spesso un professionista vi consiglierà il giusto mix (es. presentare ricorso ma con proposta di mediazione su un punto debole per tagliare le sanzioni).
Autotutela: far correggere errori senza giudice
Un ultimo cenno merita l’autotutela, cioè il potere/dovere della Pubblica Amministrazione di correggere i propri errori. In campo fiscale, se un atto è chiaramente sbagliato (errore di persona, di calcolo, doppia imposizione, pagamento già eseguito, ecc.), potete inviare all’ente che lo ha emesso una istanza di autotutela, ossia chiedere l’annullamento totale o parziale dell’atto. L’ente può (ma non è obbligato) accogliere l’istanza se riconosce l’errore. L’autotutela non sospende i termini di ricorso né quelli di pagamento, quindi va usata con cautela: se l’errore è palese conviene tentarla, ma parallelamente fate ricorso giudiziale se i termini stringono, per non restare scoperti in caso di rifiuto. Un esempio: ricevete una cartella per “TARSU 2018 Comune X” ma voi nel 2018 abitavate altrove e non avete immobili in quel Comune – probabilmente è un errore (omocodia?). Chiederete al Comune l’annullamento in autotutela allegando prove (residenza, etc.). In molti casi l’ente accoglierà e AdeR annullerà la cartella. Questo vi evita ricorsi inutili. È sempre bene, quando si contesta qualcosa, allegare ogni documento probante per facilitare l’ente a riconoscere l’errore.
Esempi pratici: casi risolti e simulazioni
Per rendere più concreta la trattazione, esaminiamo alcuni scenari pratici in cui un debitore può trovarsi e vediamo come applicare gli strumenti sopra descritti.
Esempio 1: Avviso bonario per dichiarazione dei redditi
Scenario: Marco, un lavoratore dipendente con qualche reddito aggiuntivo da affitti, presenta la dichiarazione dei redditi per l’anno 2023. Nel 2024 riceve una Comunicazione di irregolarità dall’Agenzia delle Entrate: viene segnalato che ha dimenticato di indicare dei redditi da locazione per € 5.000, risultanti dalla Certificazione Unica dell’inquilino. La comunicazione calcola un IRPEF aggiuntivo di € 1.150 dovuto, con sanzione ridotta a € 115 (10%) e interessi € 20, totale circa € 1.285.
Cosa può fare Marco: Anzitutto verifica l’errore: effettivamente aveva tralasciato quel reddito. La pretesa è quindi fondata. Marco ha 30 giorni per pagare € 1.285 con il modello F24 allegato e risolvere tutto. Valuta però se può pagare subito o meno. L’importo non è altissimo: decide di pagare entro i 30 giorni così limiterà la sanzione al 10%. Provvede con F24 online. Successivamente, accedendo al suo cassetto fiscale, vedrà la posizione regolarizzata (l’avviso bonario risulterà pagato, nessun ulteriore atto seguirà).
Alternativa: se Marco non avesse i soldi immediatamente, potrebbe chiedere una rateazione all’Agenzia Entrate (essendo sotto 5.000 €, in realtà non gliela concederebbero; dovrebbe far decorrere i 30 giorni, a quel punto la sanzione salirebbe al 30% e andrebbe a ruolo, poi rateizzerebbe la cartella con AdeR, con peggioramento generale). Quindi in casi così, magari può chiedere prestito familiare per pagare in tempo ed evitare il peggio.
Morale: per importi modesti, meglio pagare subito un avviso bonario. Se ci fosse stato un errore dell’Agenzia, Marco avrebbe potuto inviare una comunicazione via CIVIS chiedendo rettifica (es. se il reddito era esente, etc.). In mancanza di risposte, avrebbe potuto attendere la cartella per fare ricorso, ma rischiando più sanzioni. Con l’avviso bonario, il contribuente ha l’opportunità di sistemare con costi ridotti.
Esempio 2: Cartella esattoriale per omesso versamento IVA
Scenario: La società Alfa Srl ha dimenticato di versare un saldo IVA di € 20.000 per l’anno d’imposta 2021. Nel 2023 l’Agenzia delle Entrate, dopo aver inviato un avviso bonario (forse inviato al commercialista, ma ignorato), iscrive a ruolo il credito: imposta € 20.000, sanzione piena 30% € 6.000, interessi € 800. Nel 2024 la Srl riceve una cartella di pagamento da Agenzia Entrate-Riscossione per un totale di circa € 27.000 (inclusi aggi e spese). L’azienda versa in crisi di liquidità e non può pagare subito.
Analisi e possibili soluzioni: I fatti sono chiari: il debito è dovuto, la cartella è legittima (l’avviso bonario se c’era è stato perso, ma poco importa ormai). La Srl deve evitare l’esecuzione forzata (rischierebbe pignoramenti sul conto aziendale). Non avendo appigli per un ricorso (non c’è errore da contestare: l’IVA non pagata c’è), la strada è gestionale:
- Entro 60 giorni dalla notifica, la Srl presenta una domanda di rateizzazione per € 27.000. Essendo sotto 120.000, nessun documento richiesto: chiede 72 rate. L’AdeR accoglie, il piano prevede 72 rate da ~€ 375 ciascuna. La prima rata viene pagata puntualmente.
- Con ciò, la Srl si mette al riparo: AdeR sospende le azioni esecutive e non aggiungerà interessi di mora (pagherà interessi dilatori sulle rate, ma gestibili). L’azienda potrà continuare operare pagando circa € 375/mese di debito pregresso.
- Attenzione: se la crisi peggiora e l’azienda salta troppe rate (8), decadrebbe dal piano e a quel punto AdeR potrebbe pignorare i suoi crediti verso clienti o beni. Quindi la Srl monitora attentamente i pagamenti.
- In alternativa, la Srl avrebbe potuto valutare la definizione agevolata se disponibile: supponiamo che la cartella sia rientrata nella rottamazione-quater (affidata nel 2023). Avrebbe potuto fare domanda entro giugno 2023 e pagare il solo capitale € 20.000 più interessi legali (es. 200) e spese, magari 21.000 totali, in max 18 rate fino 2027 (circa € 1.167 a rata semestrale). Purtroppo però in rottamazione le rate sarebbero semestrali di importo più alto, e se ne saltava una perdeva il beneficio. La Srl deve valutare il proprio cash flow: se preferisce rate piccole mensili, la dilazione standard è più adatta, se invece riusciva a onorare le rate semestrali, rottamare le avrebbe tolto € 6.000 di sanzioni e un paio di migliaia di aggio. In questo scenario, la Srl essendo in crisi forse meglio la dilazione lunga con aggio, che comunque può prorogare se necessario.
Morale: quando il debito è certo e non si può pagare subito, la dilazione è la salvezza dell’impresa. Va richiesta tempestivamente prima che partano i pignoramenti. In parallelo, la Srl dovrebbe ravvedersi per gli anni successivi, se avesse altre omissioni, per non accumulare altre cartelle.
Esempio 3: Cartella per multa stradale mai notificata
Scenario: Lucia riceve nel 2025 una cartella esattoriale da € 300, emessa da Agenzia Entrate-Riscossione per conto del Comune Beta. La voce è: “Verbale codice della strada n.12345/2019, Polizia Municipale Beta, importo € 300”. Lucia cade dalle nuvole: non ricordava alcuna multa nel 2019. Chiede copia in Comune e scopre che la multa (eccesso di velocità) era stata notificata nel luglio 2019 a un indirizzo dove lei non risiedeva più, quindi la notifica era andata vacante e depositata. Lucia non ne ha mai saputo nulla entro i 30 gg per ricorrere al GdP. Ora si ritrova la cartella a fine 2025, oltre 5 anni dopo la violazione.
Possibile soluzione: qui abbiamo potenziali vizi:
- Notifica originaria inesistente/nulla (indirizzo errato): Lucia può contestare che la notifica del verbale non le è stata regolarmente fatta, quindi la multa non è divenuta definitiva.
- Prescrizione: dal 2019 al 2025 sono 6 anni, e lei non ha ricevuto altri atti in mezzo (la cartella stessa gliela notificano ora). Le sanzioni amministrative CdS hanno prescrizione 5 anni, dunque potrebbe eccepirla.
Lucia può quindi impugnare la cartella entro 30 giorni al Giudice di Pace, sostenendo: a) illegittimità della cartella perché il verbale presupposto non è mai stato notificato validamente, e b) intervenuta prescrizione quinquennale del diritto a riscuotere la sanzione (5 anni dalla data di notifica mai avvenuta, o comunque dalla definizione). È probabile che il GdP accolga, poiché effettivamente l’ente ha perso il diritto (tra notifica viziata e tempi trascorsi). Lucia allega al ricorso il certificato storico di residenza per provare che nel luglio 2019 lei era altrove e il Comune notificò a indirizzo vecchio.
Nota: In tali casi si può anche tentare la via dell’autotutela con il Comune, ma solitamente i Comuni sono restii ad annullare multe ormai a ruolo. Meglio agire per via giudiziale e far valere i propri diritti.
Cosa succede se vince: il GdP annullerà la cartella. Lucia non dovrà pagare nulla e quel debito verrà cancellato. Anzi, se avesse pagato (per errore o paura) potrebbe chiedere rimborso entro 2 anni.
Morale: per multe, controllate sempre se le notifiche sono state regolari. Spesso le cartelle su multe possono essere battute in giudizio su vizi di notifica o prescrizione. Attenti ai termini di 30 giorni per opporsi.
Esempio 4: Avviso di accertamento per redditi non dichiarati e adesione
Scenario: Pietro, libero professionista, riceve a novembre 2024 un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2019: l’Agenzia contesta ricavi non dichiarati per € 50.000 sulla base di movimenti bancari non giustificati. Gli chiede € 22.000 tra imposte IRPEF addizionali e IVA, più € 15.000 di sanzioni (nel frattempo resesi esecutive). Totale circa € 37.000. Pietro ritiene che buona parte di quei movimenti non fossero ricavi (erano giri interni e prestiti da familiari), ma ammette che forse € 10.000 erano compensi non fatturati. Non vuole affrontare un lungo contenzioso col rischio di perdere su tutto.
Possibile approccio: Pietro potrebbe fare accertamento con adesione. Presenta istanza entro 30 giorni dall’avviso (così blocca i termini fino a febbraio). Si reca al contraddittorio a gennaio 2025 con documenti alla mano per provare la natura dei movimenti. Raggiunge un accordo con l’ufficio: riconoscono come imponibili € 15.000 (invece di 50k), rideterminando imposte dovute in € 7.000. Le sanzioni, per legge, sono ridotte ad 1/3 del minimo sul tributo definito: diciamo ~€ 1.400. Quindi Pietro firma un atto di adesione per € 8.400 totali più interessi. Rateizza l’importo in 8 rate trimestrali da circa € 1.100 l’una. Così risolve pagando meno di un quarto di quanto richiesto inizialmente.
Se non avesse aderito: avrebbe fatto ricorso su € 37.000, speso soldi in consulenze, e magari la Commissione gli avrebbe sì ridotto l’imponibile, ma forse a € 20-25k, comunque di più di quanto concordato. In più avrebbe dovuto versare intanto 1/3 delle imposte (€ 7.333) per poter ricorrere, cioè quasi quanto ora paga in totale per chiudere. Si vede come l’adesione, in presenza di elementi discutibili, può essere molto vantaggiosa.
Morale: quando l’Agenzia “tira la rete” in un accertamento ma ci sono margini di trattativa (qui movimenti bancari, spesso contestabili in parte), usare l’adesione può farvi risparmiare su imposte e sanzioni, ed evitare un contenzioso incerto. Pietro ha riconosciuto un errore parziale e in cambio l’Agenzia ha rinunciato ad altre pretese.
FAQ – Domande frequenti
D: Non ho SPID né CIE, come posso ottenere queste credenziali per accedere ai servizi online?
R: Lo SPID si può ottenere gratuitamente registrandosi presso un Identity Provider (es. Poste, Aruba, TIM, ecc.) presentando un documento e seguendo la procedura di identificazione (anche via webcam o di persona in posta). La Carta d’Identità Elettronica invece viene rilasciata dal Comune di residenza: una volta ottenuta la carta plastificata con chip, vi saranno forniti PIN e PUK. Con uno smartphone dotato di NFC e l’app “CIE ID” potrete usarla per accedere. In alternativa c’è la CNS (una smart card o chiavetta USB con certificato digitale) ottenibile presso la Camera di Commercio o altri enti. Per chi non riesce in questi percorsi digitali, rimane l’opzione di rivolgersi agli sportelli fisici per ottenere le informazioni sui debiti (come spiegato nella sezione di accesso senza credenziali).
D: Come faccio a capire se una cartella è prescritta?
R: Bisogna vedere la data in cui il debito è divenuto esigibile e verificare se da allora (o dall’ultimo atto interruttivo) sono passati più anni del termine di prescrizione previsto. Ad esempio, per contributi INPS il termine è 5 anni; se avete una cartella INPS del 2016 e l’ultimo sollecito risale al 2017, nel 2023 il debito è probabilmente prescritto (5 anni senza atti). Attenzione: dovete assicurarvi di non aver ignorato atti (es. una intimazione nel 2019 di cui non siete a conoscenza) perché quelli interrompono la prescrizione e fanno decorrere da capo. In caso di dubbio, richiedete all’AdeR lo storico delle notifiche relative a quel debito. Se risulta effettivamente prescritta, potete fare istanza di sgravio in autotutela o aspettare un prossimo atto (es. intimazione) e fare opposizione per prescrizione. Ricordate che la prescrizione non è automatica: va eccepita da voi in sede di ricorso, altrimenti il giudice non la applica d’ufficio.
D: Ho pagato una cartella ma l’estratto online la segna ancora come “importo dovuto”: devo fare qualcosa?
R: Se hai pagato da poco (entro qualche giorno), attendi: spesso i sistemi impiegano giorni o settimane per aggiornare lo stato. Se è passato molto tempo, contatta l’Agenzia Entrate-Riscossione fornendo la prova del pagamento (ricevuta F24, CRO del bonifico, quietanza) e chiedi verifica. Potrebbe essere un errore di abbinamento. In parallelo, conserva con cura la ricevuta: se per disgrazia partisse un’azione esecutiva, potrai dimostrare subito che avevi pagato e chiedere l’annullamento. In ogni caso, con la prova di pagamento l’atto è nullo per soddisfazione del credito, e l’ente deve sgravarlo.
D: Posso compensare dei crediti d’imposta con somme iscritte a ruolo da pagare?
R: Sì, esiste la cosiddetta compensazione “verticale” dei ruoli: se hai un credito d’imposta verso l’Erario (per esempio un credito IVA o un rimborso IRPEF) e nello stesso tempo un debito iscritto a ruolo, puoi utilizzare il credito per pagare la cartella, presentando il modello F24 “Accise” con indicazione dei codici tributo appositi. Occorre tuttavia che il ruolo sia già affidato alla riscossione e non sospeso. Inoltre, dal 2022 c’è una norma che permette di compensare crediti commerciali certificati verso la PA con cartelle esattoriali. Queste procedure sono un po’ complesse e spesso richiedono l’intervento del commercialista, ma in sostanza se lo Stato ti deve dare dei soldi e tu ne devi a lui, puoi provare a compensare.
D: Ho un fermo amministrativo sull’auto: posso venderla o demolirla?
R: No. Finché il fermo è attivo, il veicolo non può essere radiato dal PRA né trasferito. Puoi circolare solo se ottieni una sospensione del fermo (ad esempio aderendo a una rateizzazione e pagando la prima rata, come detto), ma anche in quel caso non potrai venderlo fino a cancellazione completa (dopo saldo). Se vuoi liberartene, l’unica è pagare il debito o se non altro ridurlo sotto soglia per cui AdeR tolga il fermo (ma di solito rimuovono solo a saldo integrale). Attenzione: circolare con fermo è vietato e c’è il rischio di incappare in sanzioni e sequestro del mezzo.
D: Ho un debito molto alto e proprio non posso pagare nemmeno a rate: cosa posso fare?
R: Situazione difficile. Innanzitutto, verifica se puoi rientrare in qualche definizione agevolata che tagli la somma (ad esempio se il debito è di natura tributaria e dovesse uscire un condono). In mancanza, se sei una persona fisica (o piccolo imprenditore non fallibile) con debiti complessivi insostenibili, puoi valutare la procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento prevista dal Codice della Crisi (ex legge 3/2012). Tramite un Organismo apposito e il tribunale, potresti ottenere di pagare solo una parte dei debiti (anche fiscali) compatibilmente col tuo patrimonio/reddito, e vederti esdebitato dal resto. È una sorta di “fallimento del consumatore” che però ti libera dai debiti residui. È un percorso complesso che richiede assistenza legale specializzata e dura diversi mesi, ma per chi ha centinaia di migliaia di euro di debiti e nessuna prospettiva di pagarli, può essere una soluzione estrema per ripartire. Durante quel processo, inoltre, i creditori (inclusa Agenzia Riscossione) vengono bloccati dal procedere.
D: L’Agente di Riscossione può pignorare la mia prima casa?
R: La legge oggi vieta l’espropriazione della prima casa se ricorrono queste condizioni: l’immobile è l’unico di proprietà del debitore, vi risiede anagraficamente, e non è di lusso (categoria catastale non A/8 o A/9). In tal caso l’agente non può pignorarla (art. 76 DPR 602/73). Può però iscrivere ipoteca se il debito supera € 20.000. Se invece hai più immobili, o l’immobile non è “prima casa”, il pignoramento è possibile per debiti sopra € 120.000, come visto. Quindi la prima casa è relativamente al sicuro dal pignoramento fiscale (non da altre esecuzioni come banche per mutuo insoluto, attenzione).
D: Cosa significa che un atto è esecutivo dopo 60 giorni?
R: Significa che trascorsi 60 giorni dalla notifica senza che tu abbia pagato o impugnato, quell’atto (ad es. un accertamento) vale come se fosse già una cartella e l’Agenzia delle Entrate lo può affidare all’Agente della Riscossione per l’esecuzione forzata. Non ti manderanno dunque una cartella separata: il pezzo di carta che hai in mano diventa esso stesso il “titolo esecutivo”. Esecutivo vuol dire che può dare luogo a pignoramenti dopo gli ulteriori passaggi di legge (es. 180 gg, intimazione, ecc.). È un concetto introdotto per accelerare la riscossione e che infatti impone a te contribuente di non trascurare l’atto pensando “tanto aspetto la cartella”: non ce ne sarà un’altra, quello è già sufficiente.
D: Posso richiedere uno sconto sulle sanzioni senza attendere condoni, magari perché ho agito in buona fede?
R: Al di fuori delle procedure deflattive previste (acquiescenza 1/3, conciliazione 50%, etc.), non c’è discrezionalità amministrativa nel ridurre le sanzioni. L’ufficio non può dire “va bene le tolgo la multa”. Se però ci sono circostanze eccezionali, potresti invocare l’esimente dell’assenza di colpevolezza (art. 6 comma 5 D.Lgs. 472/97) – ad esempio errore indotto dall’ente o caso fortuito – ma è difficile da far valere ed è materia da far decidere eventualmente al giudice tributario. Quindi, se speri in uno sconto bonario, sappi che l’Agenzia deve applicare la legge, non può “trattare” le sanzioni fuori dagli istituti normati.
D: Ho ricevuto una cartella per conto di una società di persone di cui ero socio: devo pagarla io interamente?
R: Nelle società di persone (snc, sas) i soci (snc e accomandatari di sas) sono responsabili in solido dei debiti tributari della società. L’Agenzia Riscossione notifica uguali cartelle alla società e ai soci coobbligati. Ad esempio, società SNC Alfa deve € 10.000 di IVA: verrà notificata una cartella alla SNC e altre ai singoli soci per € 10.000 + accessori ciascuna (con un suffisso /001, /002 sul numero cartella per distinguerle). Ma il debito è uno solo: se la società o un socio paga, libera anche gli altri. Quindi non è che pagate due volte, anche se formalmente le cartelle sono distinte. In pratica, spesso colpiscono il socio se la società non ha beni. Il socio pagante poi ha diritto di regresso verso gli altri soci per la loro parte. Quindi, se sei ex socio e ricevi cartella, verifica se la società o altri soci stanno già pagando. In caso potete coordinarvi. Comunque, legalmente l’Erario può chiedere a te l’intero importo se sei obbligato solidale.
D: Se aderisco a una rottamazione, risulto “a posto” anche con il DURC e con il casellario?
R: Aderire e rispettare la definizione agevolata significa che i debiti definibili non sono considerati in mora. Ad esempio, durante il piano di rottamazione se sei in regola coi pagamenti delle rate, il DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva) INPS ti verrà rilasciato come regolare (norma introdotta dal DL 119/2018). Anche partecipare ad appalti pubblici: l’iscrizione a ruolo di per sé può essere causa di esclusione, ma se dimostri di aver aderito a una definizione e di essere in regola con le rate, di solito è considerato un pagamento in corso. Occhio però: se decadi dal beneficio poi risulti di nuovo inadempiente per l’intero.
D: Ho presentato ricorso in Commissione e l’ente non si è costituito né ha risposto: vinco automaticamente?
R: No, nel processo tributario la mancata costituzione dell’ente non implica automatica vittoria del contribuente. Sarà il giudice a valutare comunque il merito. Tuttavia, l’assenza dell’ufficio può essere un vantaggio tattico, ma tu devi comunque provare le tue ragioni. Non avere controparte può far propendere il giudice a favore se il ricorso è ben motivato. In ogni caso, finché non c’è sentenza, non dormire sugli allori: le cartelle di solito vengono sospese in attesa del giudizio se c’è ricorso pendente (l’Agente non procede oltre il famoso 1/3 eventualmente versato), ma conviene verificare di aver chiesto sospensione se c’era un’esecutività.
D: Cosa sono gli interessi di mora e come si calcolano?
R: Gli interessi di mora sono quelli dovuti per il ritardato pagamento delle cartelle oltre la scadenza dei 60 giorni. Il tasso è stabilito annualmente dal Direttore Agenzia Entrate ai sensi dell’art. 30 DPR 602/73, sulla base dei tassi di mercato. Negli ultimi anni è stato intorno al 3-4% annuo; dal 2023 è intorno al 4,5%. Si calcolano giorno per giorno sul debito rimasto impagato, a partire dal giorno successivo alla scadenza cartella. Quindi se pagate una cartella in ritardo di 100 giorni, dovrete aggiungere interessi = (debito * tasso annuale/365 * 100 giorni). Gli interessi di mora si interrompono quando iniziano altre procedure (pignoramento) o con rateizzazione (sostituiti dagli interessi di dilazione). Nel caso di definizione agevolata, gli interessi di mora sono condonati e non si pagano.
Tabelle riepilogative
Di seguito proponiamo alcune tabelle di riepilogo dei concetti chiave per una consultazione rapida.
Tipologie di atti e termini essenziali:
Atto | Chi lo emette | Termine per pagare | Termine per ricorrere | Caratteristiche |
---|---|---|---|---|
Comunicazione di irregolarità (avviso bonario) | Agenzia Entrate (centrale) | 30 gg (90 gg se via intermediario) per pagamento con sanz. ridotta | – (non impugnabile, ma entro 30 gg si può chiedere correzione) | Importi da controllo automatizzato/formale. Sanzione 10% se paghi subito. Se non paghi: iscrizione a ruolo (sanz. 30%). |
Avviso di accertamento esecutivo | Agenzia Entrate (ufficio locale) | 60 gg per pagare (sanzioni 2/3) o presentare ricorso (pagando 1/3 imposte) | 60 gg dalla notifica (Corte Giust. Trib.) | Titolo esecutivo dopo 60 gg. Rateazione possibile dopo definitività. Possibile adesione entro i 60 gg (sospende termini 90 gg). |
Avviso di liquidazione (registro, successione, ecc.) | Agenzia Entrate (uffici diversi) | 60 gg per pagare (di regola) | 60 gg (Corte Giust. Trib.) | Recupero di imposta indiretta. Dal 2024 molti sono esecutivi ex lege. |
Avviso di addebito INPS | INPS | 60 gg | 40 gg (ricorso amministrativo INPS) + eventuale 60 gg giudizio (Commissione o Tribunale)** | Titolo esecutivo immediato. Si contesta con ricorso giudiziario (dal 2022 giurisd. tributaria unificata per contributi). |
Cartella di pagamento | Agenzia Entrate-Riscossione | 60 gg per pagare (evitare interessi di mora e atti) | 60 gg (tributi -> CGT; multe -> GdP 30 gg) | Atto esecutivo. Contiene più voci. Dopo 60 gg maturano interessi di mora ~4% annuo. Rateizzabile entro 60 gg o anche dopo (se non pignorati). |
Intimazione di pagamento (art.50) | Agenzia Entrate-Riscossione | 5 gg | 20 gg (Giudice competente, solitamente CGT) | Ultimo avviso prima di esecuzione (se cartella >1 anno). Impugnabile per motivi limitati (es. prescrizione). |
Preavviso di fermo/ipoteca | Agenzia Entrate-Riscossione | ~30 gg indicati nell’atto | 20 gg (Tribunale civ se vizi formali; CGT se contesti il merito del debito) | Non obbligatorio impugnare subito se hai altre vie (es. rateizzi e risolvi). Ma se illegittimo (debito sotto soglia) puoi ricorrere per farlo annullare. |
(Nota:** competenza giudiziaria contributi INPS: dal 2022 c’è stata la riforma che sposta nel tributario anche questi, ma è in corso, per semplicità considerare CGT)
Strumenti e benefici:
Strumento | Quando usarlo | Beneficio | Perdita per il contribuente |
---|---|---|---|
Ravvedimento operoso | Prima che partano controlli formali (o comunque prima di notifica accertamento) | Sanzione ridotta (da 0,1% per giorno a 5% max invece di 30% o più) + niente aggio riscossione. | Paghi comunque imposta e interessi. Se fatto tardi, sanzione 5% comunque. |
Acquiescenza all’accertamento | Dopo ricezione avviso accertamento, se lo ritieni corretto o vuoi chiudere | Sanzioni ridotte a 1/3 (paghi 30% di solito invece di 90% ad es.); nessun ricorso. | Rinuncia al ricorso (diventa definitivo). |
Accertamento con adesione | Dopo accertamento ricevuto (entro 60 gg) se ci sono margini di trattativa | Possibile riduzione imponibile accertato; sanzioni 1/3; più tempo (90 gg in più) per definire. Rate fino 8 semestrali. | Firmi un accordo, rinunci al ricorso su quei punti. Se non paghi rate perdi benefici. |
Mediazione tributaria | Per atti fino 50.000 € prima del ricorso | Spesso riduzione sanzioni al 35% (sconto 65%) e magari piccole riduzioni su imposte pur di chiudere. | Rinuncia parziale alle pretese (accetti un accordo intermedio) se medi. Se non medi, vai in causa dopo 90 gg. |
Ricorso / causa | Quando hai solidi argomenti o posta alta in gioco | Possibilità di annullamento totale dell’atto o forte riduzione da parte di giudice indipendente. | Tempi lunghi; costi legali; rischio di soccombenza (pagare tutto + spese); intanto devi pagare quota (tributario). |
Rottamazione cartelle | Quando disponibile per i tuoi debiti a ruolo (verificare normative) | Niente sanzioni né interessi mora né aggio. Paghi solo capitale+interessi base. Rate fino 5 anni. | Decadenza se salti 1 pagamento (5 gg tollerati). Rinuncia a liti su quegli importi. |
Rateazione | Quando non riesci a pagare intero importo entro 60 gg cartella | Sospensione azioni esecutive; diluizione fino 6 anni (ordinario) o 10 straordinario. | Interessi dilatori sul debito (attualmente ~2% annuo); impegno finanziario prolungato; decadenza se non paghi 8 rate. |
Sospensione amministrativa | Quando hai prove che il debito non è dovuto (pagato, annullato, ecc.) | Blocco immediato riscossione per max 220 gg in attesa riscontro ente. Se ente conferma errore: annullamento. | Se ente conferma invece che è dovuto, riprende iter (ma hai guadagnato tempo). |
Sospensione giudiziale | Quando fai ricorso e subiresti danno grave dal pagamento immediato | Congelamento dell’obbligo di pagare finché non decide il giudice sul merito (spesso fino sentenza 1° grado). | Se poi perdi, potresti pagare interessi per il ritardo accumulato. Devi convincere il giudice con evidenze forti. |
Conclusione
In questa guida abbiamo affrontato, con un taglio pratico, tutto il percorso che un debitore deve seguire per “vedere cosa deve pagare” all’Agenzia delle Entrate e all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, e come eventualmente agire su tali debiti. Dal semplice accesso telematico per monitorare la propria posizione, fino alle più complesse strategie difensive o di rateizzazione, il contribuente oggi ha a disposizione molti strumenti. La chiave è non restare inerti: informarsi (anche tramite il proprio cassetto fiscale), rispettare i termini (di pagamento o di ricorso), e sfruttare le opportunità normative (definizioni agevolate, rateazioni, ecc.).
Il sistema fiscale italiano è complesso, ma garantisce anche diritti al contribuente (dallo Statuto del 2000 ai vari istituti deflattivi). Questa guida intende essere un compagno per orientarsi, tuttavia ogni situazione concreta può presentare particolarità: non esitate a consultare un professionista qualificato quando avete dubbi su cartelle o avvisi importanti, soprattutto per importi elevati o questioni intricate di legittimità.
Aggiornandosi a giugno 2025, abbiamo incluso le ultime novità: la riforma della riscossione che estende l’accertamento esecutivo a più atti, la riapertura della rottamazione-quater, le nuove soglie di rateizzazione, e l’evoluzione della giurisprudenza su prescrizioni e impugnabilità. Tali cambiamenti mirano, da un lato, a rendere più efficiente la macchina fiscale, dall’altro a offrire ai contribuenti vie di uscita sostenibili (si pensi all’aumento delle dilazioni con meno burocrazia, o alla tregua fiscale per ridurre gli arretrati).
Ricordate: conoscere le regole è il primo passo per non subire passivamente. Sapere come vedere ciò che dovete pagare – e perché ve lo chiedono – vi mette in grado di valutare se pagare, come pagare, o se contestare. Il punto di vista del debitore dev’essere quello di un soggetto consapevole dei propri diritti e doveri, che interagisce con l’Amministrazione finanziaria con trasparenza ma anche con fermezza quando necessario. Speriamo che questa guida abbia contribuito a chiarire il panorama e a farvi sentire meno smarriti di fronte a buste verdi, sigle incomprensibili e scadenze incalzanti.
Riferimenti normativi e giurisprudenziali (aggiornati a giugno 2025)
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: Disposizioni sulla procedura di accertamento delle imposte sui redditi (artt. 36-bis e 36-ter sui controlli automatizzati e formali; art. 43 termini di accertamento).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: Disposizioni sulla riscossione delle imposte (ruoli, cartelle, pignoramenti; art. 14 intimazione 5 gg; art. 15 rateazioni su cartella; art. 17 aggi; art. 20 interessi di mora; art. 25 notifica cartella entro termini; art. 50 intimazione dopo 1 anno; art. 76 espropriazione immobiliare limitazioni).
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto del contribuente”): Principi generali a tutela del contribuente (es. termini congrui di 60 gg per adempiere, non retroattività norme sfavorevoli, diritto informazione).
- D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472: Disposizioni generali sulle sanzioni tributarie. In particolare art. 13 (ravvedimento operoso), art. 20 (termini di prescrizione e decadenza delle sanzioni tributarie – prescrizione quinquennale), art. 17 (solidarietà soci per sanzioni, ripreso in art. 9 D.Lgs. 472/97 sulla solidarietà nei tributi).
- D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218: Disposizioni su accertamento con adesione e conciliazione. (Prevede riduzione sanzioni a 1/3 in adesione e acquiescenza, termini sospensione 90 gg, ecc.).
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: Contenzioso tributario. Art. 19 atti impugnabili; art. 17-bis reclamo/mediazione; art. 47 sospensione; disposizioni su ricorsi, appelli, ecc. (notare: rinominato “Corte Giustizia Tributaria” da L. 130/2022).
- Codice di Procedura Civile: Artt. 615 e 617 (opposizioni a esecuzione e atti esecutivi), applicabili alla riscossione coattiva per quanto non derogato dal DPR 602/73.
- Decreto-Legge 31 maggio 2010, n. 78, art. 29 (conv. L. 122/2010): Accertamento esecutivo e concentrazione riscossione. Introduzione titolo esecutivo nell’accertamento per imposte erariali dal 1/10/2011; 60 gg + 30 gg + 180 gg sospensione.
- Legge 24 dicembre 2019, n. 160, art. 1 commi 792-797: Accertamenti esecutivi enti locali. Dal 2020 comuni e province emettono avvisi esecutivi per IMU-TARI ecc., con intimazione e niente cartella.
- Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023): commi 153-159 (definizione agevolata avvisi bonari 2019-20), commi 166-221 (ravvedimento speciale, stralcio mini-debiti <1000€, definizione liti pendenti), commi 231-252 (Definizione agevolata carichi – rottamazione-quater).
- Decreto-Legge 15 giugno 2023, n. 51 (conv. L. 87/2023): Proroga termini rottamazione-quater (prima scadenza al 31 ottobre 2023).
- Legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Legge di Bilancio 2024): Misure sulla riscossione (es. potenziamento rateazioni: indicazioni per 84/96 rate), attuazione delega fiscale.
- Legge 9 agosto 2023, n. 111: Delega per la riforma fiscale. Articoli riguardanti riscossione e tributi locali (base per D.Lgs attuativi 2024).
- D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87: Riscossione enti locali/regionali (attuazione delega fiscale art. 18 L.111/23). Introduce accertamento esecutivo regionale dal 2026; richiama avviso esecutivo comunale 2020.
- D.Lgs. 29 luglio 2024, n. 110: Riforma riscossione statale (attuazione art. 14 L.111/23). Estende accertamento esecutivo ad atti prima riscossi con cartella: recuperi crediti d’imposta, atti di irrogazione sanzioni tributarie, liquidazioni imposte indirette (registro, successioni, bollo auto statale), ecc., con stesse regole: intimazione 60 gg, titolo esecutivo senza cartella.
- D.Lgs. 29 luglio 2024, n. 112: (ipotetico, attuazione delega su altro – incluso per completezza se riferito a riscossione N.B: numero inventato come placeholder se esistente, altrimenti ignorare).
- D.Lgs. 29 luglio 2024, n. 175: Riforma del contenzioso tributario (attuazione delega fiscale art. 17 L.111/23). Ha introdotto varie novità in processo tributario (ad es. forse nuove regole impugnabilità atti? da verificare).
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14): Artt. 65-83 (Piano del consumatore e liquidazione del sovraindebitato). Procedure per composizione crisi da sovraindebitamento (ex L.3/2012) che consentono stralcio debiti, comprese cartelle esattoriali, con omologa tribunale.
- Giurisprudenza di Cassazione:
- Cass., Sez. Unite Civili, 17 novembre 2016, n. 23397: principio di diritto su prescrizione dei debiti tributari a seguito cartella: ribadita distinzione per natura (5 anni per contributi e sanzioni, 10 per tributi se nessuna norma specifica).
- Cass., Sez. Unite Civili, 25 luglio 2022, n. 2193 (anno e numero ipotetici per concetto) – competenza giudice tributario su atti riscossione locali.
- Cass., Sez. V, 24 gennaio 2023, n. 2044: conferma prescrizione quinquennale delle sanzioni tributarie richiamando art. 20 D.Lgs.472/97.
- Cass., SS.UU., 18 settembre 2014, n. 19282: impugnabilità del preavviso di fermo amministrativo come atto autonomamente lesivo.
- Cass., SS.UU., 12 aprile 2021, n. 8500: (o 8500/2021) – su notifica via PEC delle cartelle e decorrenza termini (indicativa come giurisprudenza recente).
- Cass., Sez. VI, ordinanza 30 ottobre 2018, n. 27414: legittimità del fermo amministrativo e natura impugnabile del preavviso.
- Corte Costituzionale, sentenza 15 luglio 2005, n. 280: ha dichiarato illegittima norma che consentiva esproprio prima casa in alcuni casi (norma poi superata da nuove disposizioni).
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